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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Alta Formazione Artistica e Musicale

CONSERVATORIO DI MUSICA “LUIGI CHERUBINI”


ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI MUSICALI
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www.conservatorio.firenze.it

materiali di studio per il corso di


ACUSTICA E PSICOACUSTICA
per i corsi di Diploma Accademico di primo livello

Il cervello umano, struttura e modalità della percezione


a cura di
ALFONSO BELFIORE

alfonso.belfiore@conservatorio.firenze.it
IL CERVELLO UMANO

Gli elementi fondamentali sono le cellule nervose (neuroni) i collegamenti (sinapsi) le protezioni (guaina mielinica) e il
linguaggio (neurotrasmettitori).

È l’oggetto più complesso e misterioso che si conosca: 1.300-1.500 grammi di tessuto gelatinoso composto da 100
miliardi di cellule (i neuroni), ognuna delle quali sviluppa in media 10 mila connessioni con le cellule vicine. Ecco, in
sintesi, come si forma, com’è organizzato, come si difende e come funziona il cervello (encefalo).

Tutti i neuroni in 8 mesi


Durante la vita fetale l’organismo produce non meno di 250 mila neuroni al minuto. Ma 15-30 giorni prima della
nascita, la produzione si blocca e per il cervello comincia una seconda fase che durerà per tutta la vita: la creazione di
connessioni tra le cellule. In questo processo, le cellule che falliscono le connessioni vengono eliminate, tanto che al
momento della nascita sono già dimezzate.
La moria diviene imponente dai 30-40 anni quando, senza che l’organismo le sostituisca (la rigenerazione di neuroni è
stata realizzata solo in laboratorio), le cellule cerebrali cominciano a morire al ritmo di 100 mila al giorno, circa 1 al
secondo. Per fortuna non c’è un corrispondente declino mentale: la capacità di creare nuove connessioni preserva,
infatti, le facoltà mentali acquisite.

Struttura, funzioni e topografia celebrale nell'uomo


L'uomo è dotato di un sistema nervoso centrale e di uno periferico. Il sistema nervoso centrale
comprende il cervello propriamente detto costituito dal complesso dei due emisferi cerebrali destro e
sinistro (cerebrum) strettamente collegati dal corpo calloso, il diencefalo col talamo e l'ipotalamo, il
mesencefalo, il midollo allungato, il cervelletto (cerebellum) e il midollo spinale.
Il sistema nervoso periferico è costituito dall'insieme di tutti i nervi e le terminazioni nervose che si
irradiano in ogni recesso del corpo umano. Tramite l'interconnessione dei sistemi nervosi centrale e
periferico è assicurato il più completo collegamento di ogni punto del corpo umano con il cervello:
impulsi e stimoli possono essere così trasmessi, sia dal cervello al corpo che viceversa, in tempi
brevissimi. Inoltre, cervello e corpo sono anche connessi chimicamente: il cervello emette ormoni e
peptidi che, immessi nel sangue, possono rapidamente raggiungere il corpo tramite il circuito
arterioso-venoso e trasmettergli e riceverne segnali.

Topografia cerebrale

Le cellule nervose, o neuroni, costituenti il sistema nervoso, si raccolgono in corpi cellulari di diversa
struttura: distinguiamo la corteccia cerebrale e cerebellare, in cui dette cellule sono disposte a strati,
e i nuclei grandi e piccoli (il caudato, il putamen, il globus pallidus, l'amigdala, il talamo, il locus
niger, il nucleus ceruleus), in cui le cellule sono disposte in gruppi ellissoidici di varie dimensioni.
Nel corso dell'evoluzione umana si è formata prima la struttura in gruppi (regione subcorticale);
successivamente la corteccia limbica (che partecipa del sistema limbico, col giro del cingolo,
l'amigdala, il prosencefalo basale) e in ultimo la neocorteccia (detta anche neopallio).

Struttura di un neurone tipico

I neuroni (le cellule nervose) hanno diverse forme e dimensioni. I neuroni hanno mediamente dimensioni oscillanti tra 4
e 100 micron (1 micron corrisponde a un millesimo di millimetro).
I neuroni possono essere anche molto grandi. In alcuni casi, come i neuroni corticospinali (dalla corteccia motoria al
midollo spinale), i motoneuroni o i neuroni afferenti primari (come quelli che portano informazioni dalla pelle al
midollo spinale ed al tronco dell'encefalo), si possono raggiungere lunghezze di diverse decine di centimetri, fino al
metro e più.

Per certi aspetti, i neuroni sono simili alle altre cellule dell'organismo, in quanto:

0. I neuroni sono dotati di una membrana cellulare.


0. I neuroni hanno un nucleo che contiene i geni.
0. I neuroni hanno citoplasma, mitocondri ed altri "organelli".
0. I neuroni attuano processi metabolici elementari, quali la sintesi proteica e la produzione di energia.

I neuroni differiscono, però, dalle altre cellule dell'organismo in quanto:

0. I neuroni hanno estensioni specializzate che si chiamano dendriti e assoni. I dendriti portano informazioni al corpo
cellulare, mentre gli assoni le portano fuori dal corpo cellulare.
0. I neuroni comunicano fra loro tramite processi elettrochimici.
Parti principali di un neurone

Un modo di classificare i neuroni è sulla base del numero di estensioni che originano dal suo corpo cellulare (soma).

I neuroni bipolari hanno due processi che si dipartono dal loro corpo cellulare (come nella retina e nell'epitelio
olfattivo).

I neuroni pseudounipolari (ad esempio, quelle dei gangli della radice dorsale) hanno, in realtà, 2 assoni invece che un
assone ed un dendrite. Un assone si porta centralmente verso il midollo spinale, l'altro si porta verso la pelle o i
muscoli.

I neuroni multipolari hanno molti processi che si estendono dal corpo cellulare, ma uno solo di questi è l'assone
(come i motoneuroni spinali, i neuroni piramidali e le cellule di Purkinje).

Esistono varie differenze fra assoni e dendriti:

Assoni Dendriti
. Portano le informazioni fuori dal corpo cellulare . Portano le informazioni al corpo cellulare
. La loro superficie è liscia . La superficie è ruvida (spine dendritiche)
. Generalmente ce n'è uno solo per cellula . Ce ne sono generalmente molti per ogni cellula
. Non hanno ribosomi . Hanno ribosomi
. Possono essere mielinizzati . Non sono mielinizzati
. Si ramificano lontano dal corpo cellulare . Si ramificano vicino al corpo cellulare

Cosa c'è dentro un neurone?


Un neurone ha molti degli "organelli", come mitocondri e nucleo, che si trovano nelle altre cellule del corpo. In
particolare:

Nucleo Contiene il materiale genetico (cromosomi) che conserva le informazioni necessarie allo
sviluppo della cellula ed alla sintesi proteica, indispensabile per il mantenimento e la
sopravvivenza della cellula. E' ricoperto da membrana.
Nucleolo Produce i ribosomi, necessari per la translazione delle informazioni genetiche nelle
proteine.
Corpi di Nissl Gruppi di ribosomi utilizzati per la sintesi proteica.
Reticolo endoplasmico (RE) Sistema di vescicole utilizzate per trasportare materiale nel citoplasma. Può essere dotato
di ribosomi (RE rugoso) o meno (RE liscio). Quando vi sono i ribosomi, il RE è
importante per la sintesi proteica.
Apparato di Golgi Struttura costituita da membrane, importante per l'immagazzinamento di peptidi e
proteine (compresi i neurotrasmettitori) in vescicole.
Microfilamenti/Neurotubuli Sistemi di trasporto all'interno del nurone, utilizzati anche come supporto strutturale.
Mitocondri Producono energia per alimentare le attività della cellula.
I neuroni sono dotati di alcune strutture specializzate (come le sinapsi) e contengono speciali sostanze chimiche (come i
neurotrasmettitori).

Tanto le cellule nervose stratificate che quelle disposte in gruppi formano la cosiddetta "sostanza
grigia", dalla quale escono le fibre nervose (o "sostanza bianca") necessarie per la interconnessione
dei vari sistemi.

Le fibre nervose, dette "assoni", sono dei filamenti che originano dal corpo cellulare (soma) e
costituiscono i “cavi” di trasmissione dei messaggi neuronali.

Schema della struttura di un neurone

Gli assoni possono percorrere dei tragitti più o meno lunghi, terminando in un’altra struttura del
sistema nervoso centrale (assoni brevi) oppure uscire da esso e, riuniti in fasci (nervi), raggiungere un
“bersaglio” – per esempio, una fibra muscolare – nel corpo (assoni lunghi).

Dal soma neuronale originano anche altri prolungamenti, detti “dendriti”, che hanno tragitti molto
brevi e servono a connettere tra loro i neuroni circumvicini.

Quando un assone contatta la sua struttura-bersaglio (un altro neurone, una fibra muscolare, un
dendrita, una cellula ghiandolare, etc.) si ha una “sinapsi”.

Anche i dendriti terminano con delle sinapsi, in genere sulla superficie del corpo di altri neuroni.

Esistono, tuttavia, tutte le possibilità di interconnessione, e cioè sinapsi asso-somatiche, asso-


assoniche, asso-dendritiche, e dendro-dendritiche, cosicchè il tessuto nervoso è un immenso “telaio”
di reti sinaptiche o di complesse “reti neuronali”.
Classificazione dei neuroni basata sul numero dei neuriti

Si stima in varie centinaia di migliaia di chilometri la lunghezza totale degli assoni e dendriti
formanti i circuiti neuronici di un sistema nervoso umano. Nel cervello umano sono presenti dai 10 ai
100 miliardi di neuroni, che si interconnettono tramite le sinapsi; il suo funzionamento provoca la
"attivazione" dei neuroni, durante la quale vengono emessi i "neurotrasmettitori", sostanze chimiche
particolari che possono essere immesse nel circolo arterioso-venoso, quali ad esempio la serotonina,
la dopamina, la noradrenalina, la acetilcolina, che trasducono il segnale neuronale in un evento
elettrochimico, detto “trasmissione sinaptica”.

Meccanismo per il movimento di materiale lungo i microtuboli


dell’assone. Intrappolato in vescicole all’interno della membrana, il
materiale viene trasportato dal soma verso i terminali assonici tramite
l’azione della proteina chinesina che “passeggia” lungo i microtuboli
consumando ATP (adenosintrifosfato; "moneta" energetica del corpo umano).

Ogni neurone ha mediamente 1000 sinapsi (anche fino a 10.000), per cui il livello generale di
interconnessione reciproca non risulta molto elevato: questo fa sì che tale interconnessione interessi
solo neuroni contigui, non molto distanti gli uni dagli altri, per cui, qualunque segnale un singolo
neurone attivato possa (con emissione di neurotrasmettitore) inviare, esso viene recepito solo da un
gruppo relativamente piccolo di neuroni, che possono attivarsi anch'essi (sinapsi "forte") o smorzare il
segnale (sinapsi "debole").
Il risultato di tutto ciò è che l'intero gruppo di cui il neurone fa parte decide effettivamente le
attivazioni, e può influenzare o meno altri gruppi di neuroni.
In ogni caso, è molto probabile che il numero totale delle connessioni che i neuroni di un cervello
umano riescono a stabilire, sia comparabile al numero di tutti i corpi celesti presenti nell’universo.
Ciò può dare un’idea dell’enorme complessità di questa struttura.

Il terminale assonico e la sinapsi. I terminali assonici fanno sinapsi con i dendriti o i corpi cellulari di
altri neuroni. Quando un impulso nervoso arriva nell’assone terminale presinaptico, le molecole di
neurotrasmettitore vengono rilasciate dalle vescicole sinaptiche nello spazio intersinaptico. Poi il
neurotrasmettitore si lega a delle proteine specifiche del recettore, causando la generazione di segnali
chimici o elettrici nella cellula post-sinaptica.

Si delinea così un’architettura cerebrale composta di sistemi di gruppi di neuroni interconnessi


mediante sinapsi, in cui ciascun gruppo contribuisce alla attivazione del sistema a seconda della
posizione occupata nel sistema rispetto al segnale primitivo inviato dal singolo neurone attivato: il
cervello è come un "supersistema di sistemi" in cui si possono distinguere diversi livelli di architetture
neurali che vanno dai singoli neuroni ai circuiti locali (gruppi) e che interessano via via i nuclei
subcorticali e le regioni corticali.

Connessioni sinaptiche tra neuroni

Questi risultati, dovuti alle ricerche neurobiologiche degli ultimi cinquanta anni, dimostrano la non
veridicità delle precedenti ipotesi della frenologia, secondo cui si avrebbe nel cervello una
localizzazione ben definita delle funzioni, e quindi esisterebbero dei "centri" preposti a queste
singole funzioni (ad esempio, la visione, il linguaggio, il comportamento, il ragionamento, etc).

Mappa delle aree cerebrali secondo Gall. Questa mappa, basata sui solchi e sulle sporgenze presenti sulla
superficie cranica, rappresenta le funzioni cerebrali secondo l’interpretazione dei frenologi. In questo schema
della prima metà del XIX secolo si distinguono e si localizzano in aree distinte della corteccia cerebrale più di 35
facoltà intellettuali ed emotive.

Le funzioni vanno invece attribuite a numerosi e singoli sistemi interconnessi, il cui diverso e
variabile livello di interconnessione "produce" le varie funzioni mentali che noi classifichiamo
discrezionalmente come attività separabili: della vecchia idea frenologica si salva forse solo la
constatazione che la localizzazione del neurone o del gruppo di neuroni attivati che riceve o che
produce il primo stimolo, nel sistema che svolge una certa funzione, può essere determinante al pari
della struttura (e delle relative interconnessioni) del sistema cui appartiene; ma non dimentichiamoci
che lo stesso sistema può svolgere funzioni mentali diverse, a seconda delle diverse interconnessioni.
Perciò ciascuna funzione mentale non è strettamente localizzabile nè attribuibile ad un singolo
gruppo di neuroni, e neppure ad una singola unità cerebrale.

Purtuttavia sussiste una certa asimmetria di funzioni tra i due emisferi cerebrali, destro e sinistro, nel
senso che ciascuno di essi è interconnesso con sistemi e gruppi di neuroni che svolgono attività
affini. Ciò è stato rilevato da numerose esperienze compiute soprattutto su chi ha subìto lesioni in uno
dei due emisferi.
L'emisfero sinistro sembra più analitico, e presiede particolarmente alle attività del linguaggio, della
scrittura fonetica, del ritmo, della classificazione di suoni e colori, del calcolo logico-matematico.
L'emisfero destro, invece, prevale nelle attività dell'analisi visiva e spaziale (riconoscimento e
riproduzione di figure), in alcuni aspetti della espressione musicale (tonalità, timbro, elaborazione
armonica), nella scrittura ideografica.
E' da notare inoltre che negli uomini le differenze e le asimmetrie funzionali sono molto più evidenti
che nelle donne, nelle quali eventuali lesioni cerebrali producono effetti meno accentuati.

I due emisferi formano, come dicevamo, il complesso chiamato cerebrum; sotto di essi, al centro e in
posizione posteriore, il cerebellum o cervelletto; vedremo in seguito una differenza funzionale
estremamente interessante che distingue il cerebrum dal cervelletto; ma fin d'ora possiamo notare
che il numero di neuroni e di sinapsi del cervelletto è dello stesso ordine di quello del cerebrum: si
parla di circa 30 miliardi di neuroni per il cervelletto, nonchè di un numero di sinapsi quasi pari a
quello dei neuroni del cerebrum. Inoltre sembra che il cervelletto presieda alle attività autonome (e
forse alle attività inconscie) del nostro sistema nervoso.

Le difese del cervello


All’esterno il cervello si avvolge con la corteccia cerebrale, che si piega variamente formando numerose
circonvoluzioni e solchi, così che la sua superficie totale è molto più estesa di quella che appare dall’esterno, come
fosse un mantello che forma parecchie pieghe.
La fenditura più profonda è quella che separa i due emisferi, uniti però dal corpo calloso, una fittissima trama di fibre
nervose: se si recidessero, i due emisferi non comunicherebbero più.
Le altre fenditure maggiori distinguono i cosiddetti lobi. I maggiori sono quello temporale (udito ed equilibrio),
frontale (movimenti volontari), parietale (sensibilità tattile e gusto) e occipitale (visione).

Ad avvolgere l’encefalo troviamo infine le membrane chiamate meningi (pia madre, aracnoide e dura madre):
contrariamente a quanto suggeriscono le frasi fatte, non servono a pensare, ma a nutrire e proteggere il cervello vero e
proprio.

La corteccia cerebrale, la fenditura centrale e i solchi

Sempre a scopo protettivo, l’encefalo è infine percorso da una serie di cavità piene di liquido (il liquor
cefalorachidiano) che crea una sorta di effetto galleggiamento utile per contrastare la forza di gravità e le accelerazioni
dovute ai rapidi movimenti della testa.

C’è infine una difesa cerebrale che, tra l’altro, rende difficilissimo dimagrire a comando. Se il digiuno tende infatti a
intaccare più i muscoli che la massa grassa, è infatti perché il cervello difende se stesso. Il suo nutrimento sono gli
zuccheri, e i neuroni non sono in grado di demolire i grassi per fabbricarsi zuccheri. Perciò, finiti quelli disponibili
subito nel fegato, usano le proteine (nel frattempo l’organismo demolisce anche i grassi) e intaccano i muscoli. Meglio
così, perché gran parte delle fibre nervose sono "isolate" da un manicotto - la guaina mielinica - costituito da grassi...
se i neuroni li potessero "mangiare", come accade nella malattia chiamata sclerosi multipla, diverrebbe impossibile
l’attività cerebrale.

I messaggi chimici
La maniera più consueta di comunicare tra le diverse parti del cervello, oppure tra gli organi
periferici e il cervello, è quella che si affida a impulsi nervosi che si propagano seguendo le vie delle
fibre nervose.
Per rendere il viaggio più veloce, sull’assone l’impulso procede a balzi. L’assone, infatti, è ricoperto dal materiale
isolante chiamato guaina mielinica, che però lascia scoperti alcuni punti: i nodi di Ranvier, e saltando da un nodo
all’altro, l’impulso raggiunge i 400 km/h circa (oltre 100 metri al secondo).
Vi è tuttavia un’altra importante maniera di comunicare nel sistema nervoso, tramite la produzione di
sostanze, gli ormoni (neurotrasmettitori) che si propagano seguendo le vie del sangue e raggiungendo
i recettori di altri organi regolandone l’attività nervosa, sia elettrica che umorale. Il regolatore capo di
questo secondo tipo di comunicazione nervosa è appunto l’ipotalamo, che ha a sua disposizione
addirittura una piccola fabbrica di ormoni: l’ipofisi.

I neurotrasmettitori sono come parole di un linguaggio limitato ma molto complesso, composto da appena una
cinquantina di vocaboli, ma capaci di fornire istruzioni dettagliate. Purtroppo non esiste ancora un vocabolario per
tradurre i messaggi chimici, ma possiamo almeno raggruppare i neurotrasmettitori in due gruppi distinti: quelli ad
azione rapida e quelli ad azione lenta.

Tra i primi troviamo molecole come l’acetilcolina, l’adrenalina, la noradrenalina, la dopamina, la serotonina:
molecole di piccole dimensioni, che hanno il compito di provocare risposte immediate, dalla percezione di un profumo
alla reazione (per esempio, un sorriso). Del secondo gruppo fanno parte i neuropeptidi (i più noti sono la
somatostatina e le betaendorflne): grosse molecole, lente ad agire ma capaci di indurre modifiche durevoli. Danno per
esempio forma alle sinapsi, ma possono anche ridurre i recettori per un certo neurotrasmettitore, rendendo così i
neuroni "sordi" a certi comandi.
Il cervello ha alcuni punti di contatto con i computer, ma anche una differenza essenziale: è "plastico". Che cosa
significa? Che ogni volta che lo usiamo, si modifica.

Abbiamo già visto che due neuroni, per comunicare, si scambiano sostanze chimiche che li inducono a generare
particolari impulsi elettrici. Immaginate di ripetere questo processo milioni, miliardi di volte e avrete descritto, pur se
in maniera semplificata, il trasferimento di un’informazione (visiva, acustica...) all’interno di un circuito neuronale del
cervello umano.

Ma questo che relazione ha con i processi di apprendimento, memorizzazione e ricordo?

Vediamo un caso semplice. immaginiamo per esempio di cogliere un fiore mai visto prima e caratterizzato da un
profumo piacevolissimo. Questo tipo di informazione viaggerà dalla mucosa olfattiva (la parte interna del naso che
"sente" gli odori), lungo il nervo olfattivo, fino alla parte della corteccia cerebrale organizzata per analizzare e
comprendere i profumi. Nel fare ciò, l’informazione attraverserà un numero enorme di sinapsi creando l’equivalente di
un "sentiero" neuronale. Al ripetersi dell’esperienza, l’informazione viaggerà nuovamente lungo lo stesso percorso
rinforzandolo ancora di più, proprio come il passaggio di molte persone in un bosco crea un sentiero.

Memorie accoppiate
Questo processo, chiamato facilitazione, è, con tutta probabilità, la base fisica dei processi di apprendimento e
memorizzazione: quando un’informazione è passata un gran numero di volte attraverso la medesima sequenza di
sinapsi, le sinapsi stesse sono così facilitate che anche segnali o impulsi diversi, ma attinenti (per esempio il nome del
fiore che ha un certo profumo) generano una trasmissione di impulsi nella stessa sequenza di sinapsi. Ciò determina nel
soggetto la percezione dell’esperienza fatta in precedenza numerosissime volte, e cioè il sentire quel piacevole profumo
anche se il profumo non viene in realtà "sentito". Ecco generato il ricordo.

Lo stesso accade quando si cerca di memorizzare un nuovo numero telefonico o un nuovo numero del Bancomat:
occorrerà ricomporlo più volte prima di fissarlo nella memoria. A meno che non si usino strategie di memorizzazione
che legano il nuovo numero a percorsi già formati.., sarebbe facile per esempio ricordare un numero come 191518
collegandolo al concetto "Prima guerra mondiale" (cominciata nel 1915 e finita nel 1918). Questo meccanismo spiega
anche un altro piccolo mistero: perché mai, quando abbiamo imparato una canzone o una poesia, è così difficile
recitarla partendo dalla seconda strofa e non dall’inizio? Proprio perché l’intera memorizzazione fa parte di un percorso
facilitato: solo imboccandolo dall’inizio si riesce a ripercorrerlo senza difficoltà.

Ovviamente il processo dell’apprendimento è molto più complesso. Le informazioni da apprendere e memorizzare sono
caratterizzate da diversi parametri (colore, sapore, suono, emozione, dimensione, sofferenza...) che, presi uno per uno,
interessano aree cerebrali differenti.

Il cervello è infatti suddiviso in centinaia di aree, ognuna delle quali governa una specifica funzione. Ogni volta che
pensiamo, ricordiamo, parliamo, cantiamo, corriamo, annusiamo o soffriamo, queste aree si attivano in maniera
trasversale, attraverso un processo ancora non ben chiarito d’integrazione dei singoli aspetti della realtà.

Sinapsi in costruzione
Una cosa però è certa: alla base della memoria c’è la plasticità neuronale. Con queste parole si definisce l’abilità del
cervello di plasmare se stesso attraverso il continuo rimodellamento delle sinapsi vecchie e la creazione di sinapsi
nuove. Il cervello è infatti in costante rimodellamento, ed è proprio per questo che si deve mantenerlo sempre in
esercizio per garantirne l’efficienza.

Certo, è legittimo pensare che l’apprendimento sia qualcosa di più della ristrutturazione di un certo numero di sinapsi...
ma esiste una prova concreta che senza la plasticità neuronale non saremmo più capaci di apprendere. Innanzi tutto, una
premessa: per essere "plastico", il cervello deve poter fabbricare rapidamente nuove proteine.

La semplice espulsione del neurotrasmettitore dall’estremità dell'assone richiede la presenza di proteine: il loro compito
in questo caso, è quello di spingere le vescicole piene di neurotrasmettitori in prossimità della membrana presinaptica.

Altre proteine hanno una funzione simile a quella delle gru nelle costruzioni edilizie: spostano i dendriti e gli assoni in
nuove posizioni, dove possono connettersi con altre cellule prima fuori portata. Ebbene, è stato notato che l’uso di
farmaci capaci di bloccare la sintesi proteica blocca anche apprendimento e memorizzazione. Il cervello, insomma, non
impara se non modificandosi.

Il magazzino del passato


Ma dove vanno a finire fisicamente le cose apprese e memorizzate? Come vengono archiviati i ricordi complessi?
Anche qui, non tutto è chiaro. Sappiamo però che i ricordi non vengono immagazzinati nel cervello come fotografie,
ma vengono in realtà scomposti nei loro costituenti (colore, sapore, movimento, profondità, intensità, suono e così
via). Il mistero maggiore è come facciano i frammenti dispersi nelle varie aree del cervello a ricomporsi, all’occorrenza,
in qualche millesimo di secondo, facendo riemergere il ricordo completo. Più facile, invece, è capire perché alcuni
ricordi si perdano (o vengano fatti sparire volontariamente): basta che il percorso facilitato tra le sinapsi si cancelli o si
indebolisca, e il ricordo diventa inaccessibile.

L’Homunculus
Il cervello ha molte altre funzioni, oltre all’apprendimento e alla memoria. In particolare, funge da centrale di controllo
per le sensazioni e il movimento. E oggi i ricercatori hanno costruito con una certa precisione la mappa sensoriale e
motoria del cervello. Come? Un sistema è quello di applicare, nel corso di interventi chirurgici in anestesia locale,
minime stimolazioni elettriche in aree precise della corteccia e chiedere al paziente quali sensazioni prova. Viceversa,
una stimolazione periferica (per esempio una puntura su un piede) produce nella corteccia un segnale elettrico che può
essere rilevato grazie, per esempio, alla risonanza magnetica. Lo stesso dicasi per la corteccia motoria, la cui
stimolazione elettrica può produrre un movimento specifico e viceversa.

Homunculus. Rappresentazione schematica delle connessioni tra corteccia cerebrale e corpo umano relativamente all’attività
sensoriale e al controllo muscolare per il movimento.

Da qui è nato l’Homunculus , ovvero la rappresentazione di come sarebbe il corpo umano se tutti gli organi fossero
proporzionati alle aree cerebrali che li controllano: grande testa (con lingua ancora più grande), mani enormi, organi di
senso in evidenza, genitali piccolissimi, muscoli insignificanti e cosi via.
Homunculus. Il corpo umano come risulterebbe in proporzione alla diffusione nella corteccia cerebrale dei neuroni interessati
dai segnali trasmessi dai relativi punti del corpo in relazione all’attività sensoriale.

Homunculus. Il corpo umano come risulterebbe in proporzione alla diffusione nella corteccia cerebrale dei neuroni interessati
dai segnali trasmessi dai relativi punti del corpo in relazione all’attività motoria.

Tra destra e sinistra


Con la stessa tecnica si è messo in evidenza il modo in cui i due emisferi del cervello che sono sostanzialmente identici,
si sono suddivisi alcune funzioni. L’emisfero destro è più specializzato nei compiti spaziali e di sintesi come la lettura
delle mappe, l’esecuzione di disegni geometrici, il riconoscimento dei volti e la sensibilità musicale. L’emisfero sinistro
predilige invece l’espressione e la comprensione del linguaggio, l’analisi dei dettagli, il ragionamento simbolico.

Sono legate proprio a questa differenziazione tra gli emisferi anche alcune differenze statistiche tra i due sessi: gli
uomini, che usano prevalentemente l’emisfero destro, si rivelano migliori nell’orientamento spaziale e nella logica
matematica, le donne nella ricchezza di vocabolario e nell’abilità manuale. E la nota differenza di volume tra il cervello
di lui e quello di lei? Esiste, ma pare che ciò sia dovuto soltanto al fatto che il maschio è più grosso e ha più muscoli,
per cui al suo cervello è richiesto un maggior lavoro di controllo: per quanto riguarda la corteccia con funzioni
cognitive, però, l’estensione è assolutamente identica nei due sessi.

C’è invece una disparità, meno nota, che si manifesta a livello di emisferi: nella donna i due emisferi cerebrali sono
mediamente più simili tra loro. Con la conseguenza che, nel caso di una malattia che colpisce soltanto un emisfero, le
capacità di recupero della donna risultano nettamente superiori a quelle del maschio.

I tre cervelli
Premesse queste poche nozioni, parliamo delle funzioni emotive e della loro localizzazione nel cervello. Si tratta di una
storia interessante che si è sviluppata nel tempo in sintonia con la progressione delle acquisiszioni scientifiche.
Lo psichiatra John Hughlings Jackson, nei primi anni del ‘900, avanzò l’idea di un’evoluzione filogenetica del sistema
nervoso centrale, che avrebbe acquistato progressivamente funzioni più complesse; nella sua ipotesi la razionalità e la
coscienza rappresentano lo stadio più recente dell’evoluzione del sistema nervoso, mentre le funzioni vegetative quello
più antico. In armonia col concetto allora accettato che lo sviluppo ontogenetico di un singolo individuo ricapitolasse le
tappe dell’evoluzione filogenetica, Jackson faceva notare che nel bambino appena nato dominano le funzioni nervose
vegetative e che queste passano poi man mano sotto il controllo di meccanismi cerebrali più complessi, responsabili
anche del carattere volontario delle azioni degli individui.
Molti anni dopo, nel 1937, James Papez sintetizzò queste idee asserendo che le esperienze emotive avevano luogo in
una parte gerarchicamente inferiore del cervello, che egli asseriva essere costituita dall’ippocampo e… dalle tonsille.

Successivamente il neurofisiologo americano Paul MacLean riprese le idee di Papez e ne diede una nuova formulazione
molto vicina a quella che ancor oggi è ritenuta valida. Le sue teorie di fatto, anche se controverse sono state
ampiamente accettate fino agli anni Settanta. Secondo MacLean l’uomo possiede tre cervelli, ognuno dei quali
corrisponde a momenti successivi dell’evoluzione dei vertebrati.

Il primo cervello (romboencefalo), il più semplice ma anche il più antico, che egli chiama rettiliano, comprende
principalmente strutture del midollo spinale e la zona inferiore del tronco dell’encefalo. Esso controlla il
comportamento istintivo, cioè tutte quelle attività automatiche o semiautomatiche che avvengono in via riflessa senza
coinvolgere la sfera emotiva o psichica.

Il secondo cervello (mesencefalo), che comprende strutture più recenti di quelle midollari ma più antiche di quelle
neocorticali, è rappresentato dal paleocervello. Esso è alla base di una serie di attività che soddisfano I bisogni
dell’individuo; queste attività ricorrono frequentemente e ciclicamente nella vita dell’animale e sono tipiche della
specie, anche se soggette a modificazioni apportate dall’esperienza. Il paleocervello ha un ruolo rilevante nella
determinazione degli strati emozionali, dal comportamento aggressivo e sessuale. Le strutture comprese in questo
sistema sono sotto il manto cerebrale e tra queste dominano l’ipotalamo e il lobo limbico.

Il terzo cervello (prosencefalo), la neocorteccia, il nuovo cervello dei mammiferi dovuto alla successiva espansione
delle aree corticali durante l’evoluziolne, è responsabile delle attività cerebrali più alte dell’uomo, comprese quelle
razionali.

Questa suddivisione di MacLean, vista alla luce delle conoscenze moderne, è senza dubbio troppo semplificata e quindi
non del tutto corretta, ma dà un’idea efficace della distribuzione delle funzioni cerebrali ai diversi livelli del sistema
nervoso centrale.
Molte funzioni sono chiaramente localizzate in determinate parti del cervello; altre, come ad esempio le emozioni, sono
localizzate in più strutture collegate anatomicamente e funzionalmente tra loro, per cui, alla luce delle conoscenze
attuali, si ritiene non corretto parlare di una loro unica localizzazione cerebrale.
Per gli stati emozionali si ritiene inoltre che essi siano almeno in parte sotto il controllo razionale, e quindi sotto il
controllo della neocorteccia. Questa ipotesi fu suggerita dal fatto che l’asportazione della corteccia cerebrale in
mammiferi come il cane o il gatto provoca iperattività emotiva. In questi animali privati di corteccia, una semplice
stimolazione tattile produce reazioni rabbiose, con comportamento di difesa e di preparazione all’attacco, aumento della
pressione arteriosa, tachicardia, dilatazione pupillare e altre manifestazioni del sistema vegetativo tipiche delle reazioni
emotive di rabbia e di paura.

Il cervello e le emozioni
Queste osservazioni suggeriscono di ricercare se vi fossero nei centri sottocorticali, collegati con la
corteccia, dei meccanismi regolatori delle emozioni. La regione del cervello più accuratamente
sottoposta a indagine sperimentale è stata l’ipotalamo. Esperimenti volti a individuare i centri
dell’emozione e il loro controllo da parte della corteccia cerebrale introdussero, negli anni Sessanta,
l’idea che agendo farmacologicamente o chirurgicamente su questi centri si potesse influenzare il
comportamento degli animali e in particolare dell’uomo. Faceva capolino l’ipotesi che la scienza
potesse controllare il cervello dell’uomo e le sue emozioni. Queste idee facevano parte della cultura
del tempo e lo scrittore inglese Aldous Huxley ne aveva già parlato, alcuni decenni prima, nel suo
libro Brave New World.

Gli esperimenti più sensazionali furono quelli di stimolazione elettrica di particolari centri
ipotalamici. Vale la pena di ricordare quelli del fisiologo spagnolo José Delgado, non tanto per la
loro importanza, quanto per la loro spettacolarità. Delgado impiantò elettrodi nell’ipotalamo di un
toro; poi lo affrontò nell’arena armato solamente di un radiotrasmettitore per controllare a distanza gli
elettrodi e inviare impulsi all’ipotalamo dell’animale. Da attaccante infuriato, il toro venne reso,
attraverso gli elettrodi, calmo e rilassato come un animale domestico.

Altri esperimenti che ebbero grande risonanza furono quelli del neurochirurgo canadese Penfield,
che nel 1954 applicò una stimolazione elettrica a zone del lobo limbico in pazienti affetti da
epilessia. La stimolazione elettrica è stata in passato una metodica di routine per individuare le zone
del cervello che dovevano essere rimosse durante l’operazione chirurgica. Nei pazienti di Penfield la
stimolazione elettrica fece rivivere loro stati emotivi che avevano già provato nel passato.
Molte delle informazioni sul “cervello delle emozioni” derivano da osservazioni o da esperimenti su
animali e solo in piccola parte da osservazioni dirette sull’uomo. Il “cervello delle emozioni” è un
cervello ancora in gran parte misterioso e che suscita per questo grande interesse e curiosità. Si tratta
di una parte di cervello dove la neurochimica sembra avere un ruolo predominante, dove si
producono molti ormoni che in quantità infinitesime riescono a modulare il funzionamento di organi
o ghiandole come la tiroide, il surrene o le ghiandole sessuali, con alterazioni metaboliche e di
comportamento. Questo “cervello delle emozioni” comincia a svelare alcuni dei suoi misteri solo per
alcuni aspetti ristretti e definiti della vita istintuale ed emozionale, come la fame, la sete,
l’aggressività, la vita sessuale. Indulgendo ad alcune speculazioni, d’altronde sempre indicate come
tali, noi tratteremo l’argomento riassumendo prima le caratteristiche anatomiche funzionali di questa
parte del cervello, e facendo notare in un secondo tempo le possibili relazioni di queste funzioni con
il piacere estetico, in particolare con quel piacere che si prova guardando un quadro.

Il lobo limbico, l’ipotalamo e le emozioni


Il lobo limbico è così chiamato perché avvolge come un limbo (da limbus, bordo) il tronco
dell’encefalo; è costituito da una corteccia filogeneticamente più antica, collegata ampiamente sia
con la neocorteccia, probabilmente sede delle funzioni razionali più alte, sia con i centri sottostanti
e in particolare con l’ipotalamo. Il lobo limbico e l’ipotalamo giocano un ruolo senza dubbio
rilevante nella regolazione degli stati emozionali. Lo schema funzionale proposto è che queste
strutture sottocorticali e le funzioni che esse regolano, siano normalmente controllate dalla corteccia.
Stimolazioni esterne come gli stimoli provenienti dai sensi, o interne, dovute ad esempio a una
variazione della attività elettrica della corteccia per un impegno intellettuale o motorio ne possono
modificare la funzione, modulando così umori ed emozioni.

Abbiamo ricordato le molteplici connessioni del sistema limbico sia con la corteccia che con i centri
regolatori della produzione degli ormoni perché queste ci possono far capire la complessità
dell’origine e delle conseguenze di uno stato emozionale. Certi stati emotivi possono variare i livelli
ormonali in tutto il corpo preparandolo a varie evenienze collegate con la sopravvivenza
dell’individuo (nell’animale la fuga, l’attacco, la difesa) e influenzando anche lo stato di reattività
generale che a sua volta può sfociare in uno stato patologico. Le connessioni con la corteccia
possono spiegare gli stati emotivi che accompagnano il lavoro intellettuale e gli stati mentali.
Un’idea (attività corticale) può far battere più forte il cuore, o alterare la motilità dello stomaco o la
sudorazione o la salivazione, effetti che certamente coinvolgono l’ipotalamo e il lobo limbico. Per
contro, una forte emozione può completamente distogliere da un pensiero, da un calcolo mentale,
ecc.

Tra le varie strutture del sistema limbico coinvolte nella regolazione degli stati emotivi,
particolarmente importante sembra essere una struttura cerebrale a forma di mandorla, l’amigdala,
che ha anche una funzione regolatrice dell’ipotalamo e quindi indirettamente dell’ipofisi, una
fabbrica importantissima di ormoni.
Vi sono zone dell’ipotalamo, del lobo limbico e anche del tronco dell’encefalo che sembrano
regolare le funzioni cosiddette “vitali” dell’uomo e degli altri mammiferi. La lesione di piccole zone di
queste parti del cervello può abolire la sete o la fame o alterare i battiti cardiaci, la temperatura o la
copulazione. La stimolazione elettrica o farmacologica di queste regioni può provocare l’aumento
della sete e della fame o del numero delle copulazioni.

La regolazione di queste funzioni vitali avviene mediante la produzione di ormoni: vi sono ormoni
che stimolano la funzione sessuale, altri la sete o la fame, altri l’aggressività, ecc. È interessante
notare che la zona del cervello che regola queste importanti funzioni vitali dell’uomo ha
un’estensione molto limitata, che corrisponde circa all’1% del suo volume.

Da questa rassegna rapida ed incompleta si può dedurre che molte strutture cerebrali (strutture
corticali e sottocorticali) sono coinvolte con diversi pesi e misure, nella regolazione delle emozioni.
È, questo un fenomeno di grande complessità anche perché spesso è difficile dedurre da modelli
animali o da informazioni ricavate dalla patologia la vera funzione del cervello; particolarmente
quando si tratta di stati complessi, inafferrabili e spesso indefinibili come le reazioni emotive.

Rimane affascinante e molto probabile l’ipotesi (suffragata da molte indicazioni sperimentali) che nel
segreto della complessità del cervello e della sua neurochimica, stia la fonte delle nostre gioie, dei
nostri piaceri, da quelli più “animali” a quelli più “intellettuali”, tutti riuniti però dalla loro natura di
eventi biologici che derivano da una stimolazione esterna o interna del nostro cervello.
I centri del piacere
Se l’opera d’arte, sia arte figurativa, poesia o musica, dà piacere, allora può essere interessante
domandarsi se esistano delle basi nervose di questo piacere, se si possa cioè almeno fantasticare su
quali possano essere i meccanismi che lo generano e lo regolano.

Abbiamo accennato nel paragrafo precedente alle cosiddette “funzioni vitali” che hanno sede in
centri dell’ipotalamo e del lobo limbico. Anche il piacere, inteso nella sua forma biologicamente più
rilevante e che porta al mantenimento della specie, sembra aver sede, o almeno avere centri
regolatori, in queste regioni del cervello.

Molte delle ricerche che hanno portato a queste conoscenze sono state condotte sul ratto, ma alcune
anche sull’uomo; si tratta, nella maggior parte dei casi, di esperienze in cui queste regioni del
cervello vengono stimolate, cioè eccitate elettricamente o chimicamente, mentre
contemporaneamente si osserva il comportamento dell’animale o dell’uomo.

La storia di questi esperimenti inizia nel 1954 con due ricercatori americani, Olds e Milner. I loro
studi riguardavano l’ipotalamo che, come abbiamo già detto, è collegato con il lobo limbico e con
l’ipofisi e di conseguenza ha un ruolo importante nella produzione e nella regolazione degli ormoni.

Olds e Milner inserirono un elettrodo che poteva inviare impulsi elettrici nell’ipotalamo laterare di un
ratto. Con particolare pazienza insegnarono al ratto a pigiare una leva che metteva in azione
l’elettrodo, così che l’animale aveva la possibilità, se voleva, di autostimolarsi.

Gli sperimentatori sorprendentemente notarono che il ratto, una volta che aveva imparato a toccare
la leva per autostimolarsi, continuava poi a premerla ininterrottamente, non lasciandosi distrarre da
niente, nemmeno dall’offerta del cibo. Gli autori correttamente ne dedussero che il ratto si produceva
con la stimolazione elettrica una sensazione piacevole che voleva poi ripetere, quasi perpetuare ad
ogni costo.

La parola “piacere” indica sensazioni ed emozioni complesse e noi non azzarderemo una sua
definizione, rimandando piuttosto alle esperienze soggettive di ciascuno. Questi esperimenti, e altri
connessi, hanno fatto definire l’ipotalamo laterale come “il centro del piacere”: una definizione però
inesatta, dal momento che ci sono altre parti nel sistema nervoso, localizzate a livello del lobo
limbico e del tronco dell’encefalo, che, stimolate elettricamente, possono indurre il fenomeno
dell’autostimolazione. Una riflessione importante che si può dedurre da questi esperimenti è che
sensazioni così importanti come il piacere sono in realtà guidate dall’attività di una schiera molto
ristretta di neuroni.

Alcuni ricercatori hanno studiato questi cosiddettì centri del piacere, chiamati anche “sinapsi
edoniche”, nell’uomo e nella donna durante l’orgasmo, che è una manifestazione di piacere
sufficientemente definita. Heath (1972) ha studiato una sessantina di pazienti e ha trovato che la
stimolazione elettrica di particolari regioni del cervello umano (ipotalamo laterale e setto)
corrispondenti a quelle citate per il ratto, provocava nei pazienti una sensazione di piacere. Se
invece di stimolare queste zone si impiantano nei loro neuroni elettrodi atti a registrare la loro attività
elettrica e si analizza questa attività durante l’orgasmo, si nota che questa è molto accentuata,
parossistica, e che nella donna si estende anche all’amigdala. Queste variazioni dell’attività elettrica
sono limitate all’ipotalamo e al lobo limbico e sorprendentemente non interessano mai la corteccia
cerebrale.

Fin qui ci siamo soffermati a descrivere le strutture anatomiche dell’ipotalamo che sono alla base del
fenomeno dell’autostimolazione, e in generale della sensazione di piacere. Consideriamo ora che il
sistema nervoso per comunicare si serve di sostanze, i mediatori chimici, che permettono il passaggio
dei segnali nervosi da un neurone all’altro. Nell’ipotalamo laterale, i mediatori chimici di gran lunga
più frequenti sono la dopamina e la noradrenalina, due sostanze che appartengono alla famiglia
delle catecolamine. Per questo fatto, e per amore di paradosso più che di scienza, la dopamina in
particolare è stata chiamata “il mediatore chimico del piacere”. Si sa tuttavia che anche la
noradrenalina svolge importanti funzioni in queste aree dell’ipotalamo, e certamente non si può
escludere la partecipazione di altri mediatori chimici.

Vi sono delle sostanze la cui assunzione aumenta gli effetti della noradrenalina nel sistema nervoso:
sono l’anfetamina, gli anfetaminici e la cocaina. Nell’animale queste sostanze aumentano il
fenomeno dell’autostimolazione e nell’uomo esaltano le sensazioni di piacere. Queste proprietà ne
spiegano il loro uso come stupefacenti. Invece i neurolettici, farmaci che diminuiscono la
liberazione delle catecolamine, riducono il fenomeno dell’autostimolazione e le sensazioni di
piacere.

Gli oppiacei esogeni ed endogeni


Tra le famiglie di sostanze capaci di produrre sensazioni di piacere nel senso più ampio della parola,
la più nota fin dall’antichità è la famiglia degli oppiacei. L’oppio, estratto dalla pianta del papavero è
forse la più antica delle droghe, usata per i suoi effetti psicoattivi e antidolorifici.

L’uso degli estratti di papavero si trova citato già nel quarto millennio prima di Cristo, presso i Sumeri.
Lo stesso Omero, nell’Odissea (IX o VIII secolo a.C.) descrive come il nepente, di origine vegetale,
dia tranquillità e benessere seguiti da sonnolenza. Il dio romano del sonno è spesso rappresentato
con in mano un bicchiere colmo di un estratto di papavero. L’uso dell’oppio diventò di gran moda in
Europa nell’epoca romantica, in particolare presso gli artisti, come mezzo per trovare un mondo
artificiale di parole e di immagini che poteva aiutare la loro creatività. Il principio attivo dell’oppio è
la morfina, che dà al soggetto una sensazione generale di piacere e il forte desiderio di ripetere
l’esperienza dell’azione della droga, di ritornare cioè, come abbiamo osservato per i ratti, ad
autostimolarsi.

Recentemente sono state scoperte in molte zone del cervello delle sostanze (peptidi) la cui
costituzione chimica è simile alla morfina, e che agiscono sugli stessi recettori nervosi. Queste
sostanze sono prodotte in discreta quantità in diverse parti del sistema nervoso e sono chiamate
endorfine.

La morfina, e così pure le endorfine, si distinguono per due principali azioni. La prima è legata
all’attenuazione del dolore, sia a livello centrale che periferico. Le endorfine esercitano questa
azione interferendo con la sostanza P, che è il mediatore chimico dei nervi che trasmettono il dolore.

La seconda azione è la produzione di uno stato di euforia. La spiegazione che viene data di questo
piacevole effetto è più oscura e basata sull’osservazione che il lobo limbico e altre zone del cervello
sono particolarmente ricche di recettori per le endorfine. La droga esogena (somministrata
dall’esterno) o endogena (prodotta dall’organismo stesso) occuperebbe questi recettori nelle zone del
lobo limbico, provocando verosimilmente una alterazione eccitatoria dei centri dell’emozione e del
piacere.

Questo ha fatto nascere l’ipotesi che le endorfine rientrino, oltre che nella regolazione e
nell’attenuazione degli stimoli dolorifici, anche in qualche modo nella regolazione dei centri del
piacere e delle sinapsi edoniche.

Nel contesto dell’argomento “piacere”, è noto da tempo che l’uso dell’oppio diminuisce l’attività
sessuale mentre i farmaci che bloccano l’azione degli oppiacei, come il Naloxone, la aumentano
incrementando ad esempio il numero delle erezioni e altri fenomeni correlati. Inoltre si sa che negli
animali, dopo l’orgasmo, vi è un forte aumento di peptidi di tipo endorfinico in circolo.

Si è fatta anche l’ipotesi che la liberazione di queste endorfine provocata dall’orgasmo sia
responsabile della diminuzione dell’appetito sessuale e anche delle sensazioni piacevoli di
benessere e quiete che seguono l’orgasmo stesso. Un aumento delle endorfine regolerebbe in senso
negativo l’attività del centro del piacere; al contrario una loro diminuzione in circolo provocherebbe
un aumento della libido e del desiderio sessuale.
Ci siamo soffermati a parlare di orgasmo perché questo è un evento importante nella vita dell’uomo,
anche se è soprattutto un evento soggettivo, in larga misura incomunicabile. Le esperienze che
abbiamo riportato fanno intravedere spiegazioni possibili, benché al momento non sappiamo con
precisione quali neuroni siano coinvolti nella regolazione dell’orgasmo, né quali siano le loro
proprietà fisiologiche e anatomiche.

Un dato sorprendente che abbiamo acquisito è che la corteccia cerebrale, almeno a livello della sua
attività elettrica, non sembra essere coinvolta nell’evento orgasmo. È interessante notare che certe
forme di piacere che guidano la vita dell’uomo, e che sembrano avere assunto particolari valori con
la liberazione sessuale dei tempi moderni, sono in gran parte limitate al secondo cervello di
MacLean, che guida le funzioni vegetative e gli stati dell’umore, senza coinvolgere la parte più
nuova del cervello che ci differenzia dagli altri mammiferi.

Ora ci vogliamo soffermare sulla domanda se possa esistere un “piacere” di origine centrale,
corticale, che non ha bisogno di stimoli che provengono dalla periferia o di particolari eccitazioni
chimiche che arrivano ai centri attraverso il sangue, ma che è provocato da stimoli che provengono
dalla corteccia cerebrale e che riescono a stimolare i centri del piacere sottostanti. L’evenienza è
teoricamente possibile poiché esiste una comunicazione della corteccia con i centri sottostanti e
perché inoltre, come abbiamo accennato riportando gli esperimenti di Penfield, la stimolazione
della corteccia può indurre stati emozionali diversi. In via puramente speculativa, una fantasia, un
pensiero potrebbero eccitare la corteccia e questa mandare i suoi impulsi eccitatori al lobo limbico e
all’ipotalamo e produrre quindi gli effetti che si hanno per stimolazione di queste parti del cervello.
Forse l’esperienze dei mistici e dei santi, come le estasi di Santa Teresa d’Avila che Gian Lorenzo
Bernini ha rappresentato in marmo in dimensioni naturali nella Cappella Cornaro in Santa Maria
della Vittoria a Roma (1645-1652) o il “felice” martirio di San Sebastiano, possono essere state
esperienze di piacere a origine corticale. Il San Sebastiano di Matteo di Giovanni (1435-1495) alla
National Gallery di Londra con il volto “felice” e sorridente mentre il suo corpo è trafitto da numerose
frecce sembra proprio invaso da un piacere paradisiaco, probabilmente risultante dalla sicurezza del
pensiero della fede.

Il piacere nel guardare un quadro


Ma perché siamo svicolati a parlare di piacere sessuale, di dopamine ed endorfine? Cosa ha a che
fare tutto questo con l’arte? Anche l’arte dà piacere; perché non cercare allora di collegare questo
piacere con sensazioni o emozioni di simile natura, di cui si comincia ad intravedere il
funzionamento neurochimico o neurofisiologico? La reazione ad uno stimolo complesso, sensoriale e
culturale allo stesso tempo, come ad esempio l’opera d’arte, non può realizzarsi solo a livello del
pensiero ma deve coinvolgere tutto il corpo, con la sua parte a controllo razionale e con quella a
controllo vegetativo. Quando nasce un pensiero nel nostro cervello, l’attività da esso generata nel
sistema nervoso può influenzare altre funzioni come il battito cardiaco, la sudorazione, la
salivazione, il diametro pupillare, ecc.

Nell’esperienza artistica si possono distinguere, forse con eccesso di schematicità, due stadi. Un
primo stadio è caratterizzato dal desiderio e dall’eccitazione di esperire un’opera d’arte, visitare un
museo, sentire un concerto. Un secondo stadio, che segue la fine dell’esperienza, è caratterizzato da
una sorta di stato di grazia, di quiete spirituale, da sensazioni ed emozioni che chiamiamo “il piacere
dell’esperienza artistica” o “piacere estetico”.

Si potrebbe fare l’ipotesi affascinante che il primo stadio, quello di eccitazione, derivi da
un’attivazione dei cosiddetti centri del piacere nell’ipotalamo laterale o di qualche altra parte del
lobo limbico. Questi centri potrebbero essere attivati dall’esperienza artistica, come ad esempio dalla
visione di un’opera d’arte e dalle esperienze culturali che essa richiama alla memoria. Va ricordato
che i mediatori chimici coinvolti nella regolazione e nel controllo dei centri del piacere (come le
catecolamine) partecipano anche all’attivazione generale della corteccia, al cosiddetto fenomeno
dell’arousal; arousal significa risveglio, aumento dell’attenzione e, in questo caso, dell’interesse del
soggetto. In senso neurofisiologico, arousal significa eccitazione diffusa di tutta la neocorteccia, che
in conseguenza di ciò diviene anche più recettiva alle esperienze sensoriali.

Il secondo stato dell’esperienza estetica, quello di soddisfazione, potrebbe essere dovuto alla
produzione di endorfine, cui conseguirebbe il senso di piacere e di quiete: insomma, un piccolo
orgasmo estetico, con stadi consimili di eccitazione e rilassamento. Bisogna però dire che il piacere
che segue l’esperienza estetica non è mai, come dicono gli psicologi, una piccola mors post coitum;
rimane un piacere creativo, pieno di pensierio e di desideri.

Si potrebbe obiettare che questo tentativo di attribuire il piacere artistico al funzionamento di circuiti
cerebrali è un’ipotesi riduzionistica poiché cerca di spiegare un fenomeno così complesso con
meccanismi troppo semplici della neurofisiologia e della neurochimica del nostro cervello. Noi non
pensiamo che il tentativo sia di per sé riduttivo, perché tutti gli eventi della sfera dell’emotivo e del
cosciente sono da riportare, in ultima analisi, al sistema nervoso, e anche perché non si negano
margini di imprevedibilità al sistema: infatti le variabili che possono influenzare l’attività elettrica
eccitatoria e inibitoria dei vari centri nervosi, attraverso il gioco degli ormoni con le loro influenze
reciproche, sono così numerose e complesse che lasciano lo spazio più ampio all’imprevedibilità e
quindi alla libertà di pensiero e di giudizio.

Estetica e struttura cerebrale


Non si può concludere un capitolo che tratta dell’emozione suscitata dalla visione di un’opera d’arte
senza almeno sfiorare il problema della possibile esistenza di principi percettivi che stiano alla base
della sensazione del bello e della sua universalità. Di particolare importanza ci sembra ricordare
ancora una volta le leggi percettive della Gestalt, che dimostrano l’esistenza di regole ben precise
nell’ordinamento delle nostre percezioni e che fanno della percezione stessa un processo attivo di
categorizzazione e interpretazione. Anche una figura ambigua suscettibile di due interpretazioni
percettive non dà mai luogo ad una situazione di incertezza: ho si percepisce l’una o l’altra. Il vaso di
Rubin o è un vaso o sono due facce.

Il vaso di Rubin

Fra le leggi della Gestalt vi è anche quella della gute Gestalt (“buona forma”), che si può verificare
qundo si osservano semplici figure geometriche, come triangoli, cerchi o quadrati, che abbiano
piccole irregolarità o asimmetrie: si tende sempre a percepire la forma nel suo aspetto più regolare e
simmetrico. Questa tendenza alla regolarità e alla simmetria è già presente nei bambini molto
piccoli.

A proposito della gute Gestalt è nota a tutti la cosiddetta sezione aurea di un segmento, cui
corrisponde un rapporto privilegiato tra i lati di un rettangolo (1:1,62). l’occhio sembra
particolarmente appagato da figure che obbediscono a questo rapporto, ampiamente usate in diverse
epoche e in particolare nel rinascimento. È stato fatto notare che l’architettura del rinascimento e
anche la pittura rinascimentale danno un senso di riposo e di bello allo stesso tempo. Ciò avviene in
parte per l’uso dei rapporti suggeriti dalla sezione aurea nelle finestre nelle porte, ecc. A questo però
si aggiunge l’uso di archi a tutto sesto, cioè semicircolari, e la preferenza per organizzazioni
architettoniche o pittoriche simmetriche, sia nelle strutture verticali sia in quelle orizzontali. È un
fatto che la nostra percezione ama l’ordine e cerca di dare ordine alle sensazioni visive.

Categorizzare, scoprire ordine dà piacere visivo, così come dà piacere ridurre la realtà a semplici
forme geometriche. In riferimento a quest’ultimo punto, Cézanne ha scritto che la realtà si può ridurre
a cilindri, sfere e coni. Salvador Dalì e l’artista olandese Escher hanno abilmente giocato con i
principi percettivi della Gestalt per rendere l’interpretazione dei loro quadri instabile e misteriosa.

Escher, Relativity Escher, Eight Heads


Queste leggi “estetiche” della Gestalt in parte sono innate, ma in parte sono anche acquisite. C’è un
interessante esperimento di Francis Galton che risale a più di un secolo fa. Ripetuto con tecniche più
moderne da Daucher nel 1979, esso dà un’idea di come si possono formare dei templates per il bello.

Daucher sovrappose 20 fotografie di ragazze ottenendo come risultato una media dei 20 volti. Questo
volto rappresenta una media statistica dei lineamenti delle facce delle varie donne. Si tenga
presente che il procedimento in genere attenua o addirittura toglie le particolarità, mettendo in
evidenza i lineamenti che sono più comuni. Agli osservatori veniva richiesto di indicare la donna che
sembrava loro più attraente. In generale essi trovarono più bella la faccia di donna che risulta dalla
media delle altre. L’esperimento fu interpretato come la dimostrazione che certi “modelli” di
riferimento si formano dalla somma di molteplici esperienze.

Non è forse irrilevante notare che gli ideali della bellezza greca si rifacevano a figure di riferimento
esistenti solo nel mondo delle idee di Platone. Questi modelli non mostravano mai particolarità nella
loro struttura fisica, proprio come se scaturissero da un tipo di Gedanken-Experiment (esperimento
mentale) simile a quello citato. Plinio racconta che Zeusi costruì la sua Elena prendendo ad esempio
cinque delle più belle fanciulle di Crotone. Per i Greci la bellezza era armonia di proporzioni e
doveva essere regolata da numeri.

Tra le caratteristiche fisiche di animali o persone che vengono giudicate più piacevoli, vanno
ricordate le caratteristiche infantili, ciò che Konrad Lorenz chiama Kindchen-Schema (schema del
bambino). Secondo gli antropologi questa preferenza è motivata dai sentimenti di tenerezza e
protezione tipici del comportamente materno o paterno, essenziali per la protezione della specie.
Nell’uomo in particoalre questo schema è caratterizzato da una testa grande rispetto al corpo,
guance grassocce, contorni tondeggianti, ecc.

Per quanto riguarda la bellezza del corpo femminile, Eibl-Eibesfeldt fa notare che esistono due ideali
di bellezza. Uno è il modello della Venere greca che predomina ai giorni nostri, e l’altro è la Venere
paleolitica di Willendorf, grassa, con un grosso seno e un grosso sedere. Già in epoca preistorica si
era sviluppato un altro modello di bellezza femminile, in cui le forme erano stilizzate secondo
schemi geometrici: sono le figure femminili delle Cicladi. Nel corso della storia si succedono modelli
in cui si alternano con vario peso le forme tondeggianti della Venere di Willendorf, che suggeriscono
la fertilità e le forme più sottili e slanciate tipiche della giovane donna. La Venere del Botticelli ha
forme slanciate e sensuali allo stesso tempo, mentre le donne di Rubens e in parte di Renoir
richiamano certe caratteristiche della Venere paleolitica. Inoltre, almeno così asseriscono gli
antropologi, gli uomini tendono a preferire nella donna caratteri che richiamano quelli infantili. È
stato provato che una bocca infantile, un naso piccolo e un piccolo mento sono molto attraenti.

Lo studio del funzionamento del cervello non ha motivazioni convincenti per spiegare l’esistenza di
un giudizio estetico con valenza universale. Nota anzitutto che il problema si ripropone anche per
altre modalità sensoriali, in particolare per l’udito e il tatto. Una spiegazione plausibile per il
neurofisiologo si basa sulla relativa uniformità strutturale e funzionale del cervello di tutti gli uomini
che vivono in un determinato momento storico, dovuta sia a ragioni biologiche sia culturali.

Dal punto di vista strutturale si constata che la forma, il peso e la struttura macroscopica e
microscopica del cervello sono molto simili in tutti gli individui. Ne consegue che se l’organo è simile
in tutti gli uomini anche la sua maniera di rispondere allo stesso stimolo sensoriale sarà con molta
probabilità paragonabile.

Il secondo tipo di ragioni, quello di origine culturale, è rintracciabile nell’osservazione che in un


determinato luogo della terra, ad esempio il mondo occidentale, gli stimoli che gli individui ricevono
dall’ambiente in cui vivono, sia da bambini sia da adulti, sono in parte simili e quindi atti
verosimilmente a produrre cambiamenti simili nella memoria e nell’organizzazione cerebrale di tutti
gli individui. Questo potrebbe causare una certa uniformità di giudizio di fronte a un quadro o a una
poesia.

Chomsky ha proposto che la struttura cerebrale stia alla base di certe regole e caratteristiche comuni
in tutte le lingue. Anche nella percezione del bello attraverso i sensi potrebbe accadere che la
struttura cerebrale sia responsabile, per proprietà innate o acquisite, delle nostre preferenze estetiche.

Alcune tendenze estetiche di ordine e regolarità sembrano essere proprie anche di certi animali; il
che suggerisce che evolutivamente esista una somiglianza fra gli esseri viventi. L’antropologo Eibl-
Eibesfeldt riporta esperimenti con diversi animali, tra cui la scimmia e gli uccelli, che dimostrano
una loro chiara preferenza per la regolarità e la simmetria nella disposizione degli oggetti.
Tra questi esperimenti si inseriscono anche le esperienze di Desmond Morris sui tentativi pittorici
degli scimpanzé. In realtà i tentativi di far dipingere i primati sono stati molteplici: i primi risalgono
all’inizio del XX secolo. Gli esperimenti di Morris sono però tra i più fantasiosi e sono stati raccolti nel
1962 in un libro interessante, dal titolo The Biology of Art. I suoi risultati concordano con quelli
ottenuti da altri autori.

Oltre alle qualità estetiche, Morris fa notare interessanti regolarità nei dipinti. L’animale riempie il
foglio simmetricamente, restando dentro un contorno tracciato dallo sperimentatore. Sono frequenti,
ad esempio nello scimpanzé di nome Congo, I disegni o dipinti a ventaglio, che riempiono il foglio
con armonia. Se si dà agli animali la possibilità di usare diversi colori, questi li dipingono con
regolarità, evitando di metterli uno sopra l’altro. Se, ad esempio, uno scimpanzé ha dipinto un
ventaglio con un certo colore, quando gli si offre un altro colore esso cerca di inserirlo negli spazi
lasciati liberi e crea così un altro ventaglio.

Morris organizzò una mostra dei dipinti di Betsy e Congo, i suoi due migliori scimpanzé pittori,
all’Istituto di Arte Contemporanea di Londra nel 1957. La mostra fu inaugurata da Sir Julian Huxley,
che scrisse: “I risultati mostrano in modo decisivo che gli scimpanzé hanno potenzialità artistiche che
possono essere portate alla luce se se ne fornisce loro l’opportunità. Uno dei grandi misteri nella storia
dell’evoluzione culturale umana è l’improvvisa esplosione di un’arte di alta qualità nel Paleolitico
superiore. Ciò diventa più comprensibile se i nostri antenati scimmieschi hanno avuto queste
primitive potenzialità estetiche cui si è aggiunta in seguito la capacità peculiare dell’uomo, quella di
creare simboli”. La mostra ebbe un grande successo e i dipinti furono trovati simili a certi quadri
astratti e a quelli dipinti con le dita dai bambini.

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