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Riassunto neuropsicologia -

Università Mercatorum
Neuropsicologia
Università telematica Universitas Mercatorum (UNIMERCATORUM)
80 pag.

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CAPITOLO 1: IL FUNZIONAMENTO NEUROFISIOLOGICO: UNITÀ CELLULARI DEL SISTEMA
NERVOSO CENTRALE
Quando parliamo di sistema nervoso intendiamo un’unità morfo-funzionale altamente specializzata
nell'elaborazione di segnali bioelettrici. Schematicamente possiamo dividere il sistema nervoso in due
componenti principali:
1. Sistema nervoso centrale (SNC);
2. Sistema nervoso periferico (SNP);
Le strutture che compongono il Sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico sono il cervello e il
midollo spinale; i nervi, fasci di fibre nervose strettamente avvolte da tessuto connettivo, portano i segnali
dal sistema nervoso centrale ai distretti periferici e da questi ultimi al sistema nervoso centrale o ai gangli,
piccole masse costituite dall’aggregazione dei corpi cellulari dei neuroni, che formano il sistema nervoso
periferico.
Funzioni del sistema nervoso
Il sistema nervoso è in grado di ricevere, integrare e trasmettere impulsi nervosi:
 Quando parliamo di ricezione dell’input sensoriale parliamo di afferenza sensoriale. La ricezione
dell’input sensoriale può avvenire grazie alla ricezione di segnali provenienti dall’ambiente che
vengono trasmessi dai recettori ai centri di integrazione.
 L’integrazione consiste nell’interpretazione dei segnali sensoriali attraverso il sistema nervoso
centrale e nella successiva formulazione e integrazione di risposte adeguate.
 Emissione dell’output motorio (efferenza motoria): consiste nella trasmissione dei segnali dai
centri di integrazione, attraverso il sistema nervoso periferico, alle cellule effettrici.
Una cellula nervosa, o neurone, è costituita da tre parti che sono il corpo cellulare, i dendriti e gli assoni.
Il corpo cellulare contiene la maggior parte degli organelli. I dendriti sono ramificazioni che ricevono i
segnali da altri neuroni e li conducono al corpo cellulare; mentre gli assoni possono essere anche molto
lunghi e trasmettono i segnali ad altre cellule. Il corpo cellulare, anche detto soma o perikaryon, contiene il
nucleo ed il citoplasma ad esso attiguo. Nella maggior parte dei vertebrati gli assoni sono mielinizzati, ossia
circondati da un involucro lipidico isolante (guaina mielinica) prodotto da cellule di sostegno specializzate:
gli oligodendrociti nel SNC e le cellule di Schwann nel SNP.
Schematicamente quindi i neuroni sono formati da:
 DENDRITI: sottili processi che si ramificano e ricevono segnali di ingresso provenienti da altre
cellule nervose;
 ASSONE: origina dal corpo cellulare ed è in grado di condurre impulsi elettrici per tratti molto estesi
sino alle terminazioni sinaptiche o a cellule e organi bersaglio;
 SOMA: contiene nucleo e organuli necessari per la sintesi di RNA delle proteine.
Le principali differenze tra assoni e dendriti possono essere che gli assoni portano le informazioni via dal
corpo cellulare mentre i dendriti portano le informazioni al corpo cellulare. Gli assoni hanno la loro
superficie liscia mentre i dendriti presentano una superficie rugosa per la presenza di spine dendridiche. Di
assone generalmente ce n'è uno solo per cellula mentre i dendriti sono generalmente molti per ogni cellula.
Gli assoni non hanno ribosomi, al contrario dei dendriti, e possono essere mielinizzati, mentre i dendriti non
lo sono. Infine gli assoni si ramificano lontano dal corpo cellulare mentre i dendriti si ramificano vicino al
corpo cellulare. Nel sistema nervoso centrale ci sono due tipi di fenomeni che si possono verificare: la
convergenza e la divergenza.
 La convergenza è un fenomeno per il quale un elevato numero di segnali vengono trasmessi allo
stesso neurone, questo è un tipico fenomeno che avviene nelle cellule corticali piramidali.

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 La divergenza è un fenomeno dove la diffusione di segnali provenienti da un singolo neurone ha
molteplici bersagli.
I neuroni possono essere classificati per il numero di processi e dal tipo di processi, in quanto questi
determineranno la loro forma; in particolare possiamo classificare i neuroni in:
 I neuroni unipolari costituiscono la classe più semplice di neuroni. Hanno un solo processo
primario, in generale fornito di molte ramificazioni. Una di queste è l’assone mentre le altre
servono come strutture dendritiche di ricezione. Sono caratteristici del sistema nervoso degli
invertebrati; nei vertebrati vanno a formare i gangli del sistema nervoso autonomo.
 I neuroni pseudounipolari sono cellule che si sviluppano inizialmente come cellule bipolari; i due
processi vanno in seguito incontro a fusione formando un unico assone che emerge dal corpo
cellulare e si suddivide quindi in due branche: l’una decorre verso la periferia mentre l’altra entra
nel midollo spinale.
 I neuroni bipolari hanno un corpo ovoidale che dà origine a due processi: un dendrite, che porta
informazioni provenienti dalla periferia al corpo, e un assone, che invia informazioni al sistema
nervoso centrale. Molti neuroni bipolari sono di natura sensitiva.
 I neuroni multipolari predominano nel sistema nervoso dei vertebrati. Hanno un unico assone e
una o più branche dendritiche che, in generale, possono nascere da ogni parte del corpo cellulare.
Quando ci riferiamo alla loro funzione i neuroni possono essere classificati come:
 I Neuroni sensitivi: portano alla periferia del corpo al sistema nervoso centrale le informazioni
necessarie sia per la percezione che per la coordinazione motoria.
 I Motoneuroni: portano ordini, dal cervello o dal midollo spinale, ai muscoli o all’apparato
ghiandolare.
 Gli Interneuroni: costituiscono la classe di neuroni di gran lunga più numerosa e comprendono
tutte le cellule del sistema nervoso che non siano specificatamente sensitive o motrici. Sono
suddivisi a loro volta in interneuroni di ritrasmissione o di proiezione che posseggono assoni lunghi
e trasmettono informazioni a distanze considerevoli, da una regione cerebrale all’altra. Gli
interneuroni locali hanno invece assoni brevi ed elaborano informazioni all’interno di circuiti locali.
Per funzionare normalmente i neuroni hanno bisogno del supporto delle cellule gliali. Esistono due tipi di
cellule gliali, le cellule di Shwann nel SNP e gli oligodendrociti nel SNC, che sono particolari cellule che
avvolgono gli assoni con la guaina mielinica. Le cellule gliali servono da elementi di sostegno, dando forma
e consistenza al tessuto nervoso. Il sistema nervoso periferico contiene due tipi di cellule gliali, le cellule di
Schwann e le cellule satelliti, mentre il SNC ne contiene quattro tipi:
 Astrociti
 Oligodendrociti/Cellule di Schwann
 Microglia
 Cellule ependimali
Istologicamente gli astrociti sono divisi in due sottoclassi, fibroso e protoplasmatico. Il primo si trova nella
sostanza bianca, il secondo nella grigia. Nel tessuto patologico troviamo la glia reattiva. Questa viene a
volte identificata come astroglia. La funzione principale degli oligodendrociti è la formazione di guaine
mieliniche attorno agli assoni. Le cellule di Schwann nel SNP e gli oligodendrociti nel SNC sostengono gli
assoni e li isolano formando la mielina. Le cellule di Schwann sono gli oligodendrociti che ricoprono le fibre
nervose periferiche. Nel sistema nervoso periferico una cellula di Schwann avvolge di mielina un solo
assone mentre nel sistema nervoso centrale un oligodendrocita può rivestire con la mielina diversi assoni
vicini. La microglia è rara o assente nel normale tessuto nervoso centrale, ma è comune nei siti di
infiammazione e lesioni. La funzione principale è la rimozione delle cellule morte e di altri detriti tramite

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fagocitosi. Infine, le cellule ependimali sono cellule specializzate che creano uno strato selettivamente
permeabile che separa i vari compartimenti liquidi del SNC.

CAPITOLO 2: IL FUNZIONAMENTO NEUROFISIOLOGICO: IMPULSO NERVOSO


I neuroni comunicano tra loro grazie a “messaggi” di tipo elettrico. La genesi di questi messaggi dipende da
rapidissime variazioni della differenza di potenziale elettrico esistente ai capi delle membrane neuronali. Il
potenziale di membrana o voltaggio di membrana di un neurone può essere misurato inserendo un
microelettrodo nel citoplasma. Il microelettrodo è riempito con una soluzione elettroconduttrice e il
voltmetro misura la differenza di potenziale elettrico esistente tra la punta di questo microelettrodo ed un
conduttore posto all'esterno della cellula. La carica elettrica non è uniformemente distribuita ai lati della
membrana neuronale, ma l'interno del neurone è elettricamente negativa rispetto all'esterno. Questa
differenza di potenziale tra i due capi della membrana è definita potenziale di riposo.
La membrana cellulare è costituita da un doppio strato di molecole lipidiche disposte con le estremità
idrofile in direzione dell’acqua intra ed extra cellulare e le estremità idrofobe verso l’interno della
membrana. La membrana è attraversata da proteine pompa, che spostano ioni contro un gradiente di
concentrazione, e da proteine canale, che sono vie selettive per la diffusione di ioni specifici. Il doppio
strato lipidico non permette il passaggio di molecole cariche elettricamente se non attraverso le proteine
canale. Il potenziale di riposo è una conseguenza della separazione di cariche di segno opposto ai capi della
membrana plasmatica, dove la situazione delle cariche elettriche è la seguente:
 Eccesso di cariche positive sulla faccia esterna
 Eccesso di cariche negative sulla faccia interna
 La differenza di potenziale di membrana a riposo è in valore assoluto di circa -60, -70 mV.
Ioni coinvolti nel mantenimento del potenziale di membrana nelle cellule gliali
Il caso più semplice è quello delle cellule gliali perché, essendo la membrana permeabile solo al potassio, il
loro potenziale di riposo si avvicinerà molto al potenziale di equilibrio del potassio, ovvero circa –75 mV. In
queste cellule la massima parte dei canali passivi della membrana è permeabile a riposo quasi
esclusivamente agli ioni K+. Le cellule gliali posseggono elevate concentrazioni di K+ all’interno ed elevate
concentrazioni di Na+ e Cl- all’esterno. Poiché i K+ sono caricati positivamente, tale differenza di potenziale
tenderà ad opporsi ad un’ulteriore efflusso di K+. Gli ioni saranno in tal modo sollecitati da due diverse
forze che tendono a farli spostare da una parte all’altra della membrana:
1) una forza motrice chimica, che dipende dal gradiente di concentrazione esistente ai capi della
membrana;
2) una forza motrice elettrica, che dipende dalla differenza di potenziale presente sulle due facce
della membrana stessa.
Quando la diffusione dei K+ avrà raggiunto una certa entità, ai capi della membrana si sarà anche stabilita
una differenza di potenziale tale che le forze elettriche che spingono i K+ verso l’interno della cellula
saranno esattamente controbilanciate dalle forze chimiche che spingono gli stessi ioni verso l’esterno.
Questo potenziale viene detto potenziale d’equilibrio del potassio, Ek.
Il potenziale di riposo della glia è determinato solo dagli ioni potassio, in quanto la glia è permeabile solo
agli ioni potassio. Nel neurone invece le cose si complicano, perché la sua struttura è molto più complessa:
nel neurone ci sono canali ionici selettivi per altre tre specie ioniche, oltre al potassio: per il sodio (Na+), per
il calcio (CA2+) e per il cloro (CL-).
Perché una cellula possegga un potenziale di membrana di riposo stabile è necessario che la separazione
delle cariche esistente ai capi della membrana si mantenga costante nel tempo. I gradienti ionici degli Na+ e
dei K+ finirebbero per venire dissipati riducendo in tal modo anche il potenziale di membrana. Questa
dissipazione dei gradienti ionici viene impedita dalla pompa sodio-potassio, che sospinge Na+ e K+ contro il

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loro gradiente elettrochimico netto. Una riduzione della separazione delle cariche elettriche ai lati della
membrana è definita depolarizzazione, ovvero il processo per cui la negatività interna del neurone
diminuisce, per cui si avvicina allo zero. Quando la depolarizzazione raggiunge un valore critico, detto
valore soglia, si ha l’insorgere del potenziale d’azione. Al contrario, un aumento della separazione delle
cariche che determina un potenziale di membrana più negativo, è definito iperpolarizzazione.
Il potenziale d’azione è un segnale nervoso che viaggia lungo l’assone. Il potenziale d’azione è un evento
regolato dalla legge “tutto o nulla”, cioè non esiste alcun potenziale d’azione al di sotto del valore critico.
Dopo l’insorgenza di un potenziale d’azione non se ne può innescare subito un altro perché i canali
voltaggio dipendenti sono in uno stato di inattivazione per un periodo detto periodo refrattario assoluto
cui segue il periodo refrattario relativo in cui un nuovo potenziale può essere innescato solo se la
depolarizzazione è maggiore rispetto alla soglia critica precedente. Durante il periodo refrattario assoluto il
neurone non è assolutamente in grado di generare un altro impulso in quanto si trova in uno stato di
iperpolarizzazione.

CAPITOLO 3: FUNZIONAMENTO NEUROFISIOLOGICO E PROCESSI PSICHICI: SINAPSI E


COMPORTAMENTO
La caratteristica che differenzia le cellule nervose dalle altre cellule è la capacità di stabilire rapidamente
mutue comunicazioni che si effettuano con grande precisione. Questo è possibile grazie a due meccanismi:
1. Conduzione assonale
2. Trasmissione sinaptica
Le sinapsi possono essere elettriche o chimiche:
 Sinapsi elettriche. Il segnale nervoso passa direttamente dal neurone presinaptico alla cellula
successiva, detta postsinaptica.
 Sinapsi chimiche. Il neurone presinaptico secerne un neurotrasmettitore; il neurotrasmettitore
attraversa la fessura sinaptica; il neurotrasmettitore si lega a un recettore sulla membrana della
cellula postsinaptica
Nelle sinapsi elettriche una parte della corrente passa direttamente nella cellula postsinaptica attraverso
canali ionici specializzati, detti giunzioni comunicanti, che mettono in comunicazione il citoplasma della
cellula pre- e postsinaptica. Nelle sinapsi chimiche tutta la corrente iniettata sfugge all’esterno attraverso i
canali della cellula postsinaptica.
Le principali caratteristiche delle sinapsi elettriche sono:
 Estrema rapidità della trasmissione
 Bassa precisione
 Soglia di attivazione molto alta
La trasmissione elettrotonica è graduata e ha luogo anche quando le correnti della cellula presinaptica
sono sotto la soglia necessaria per generare un potenziale d’azione.
Le membrane pre e post-sinaptiche di una sinapsi chimica sono separate da uno spazio chiamato fessura
sinaptica, dieci volte più grande rispetto a quello presente tra le giunzioni comunicanti. La trasmissione
sinaptica di natura chimica deve dipendere dalla liberazione di un neurotrasmettitore da parte del neurone
presinaptico. Un neurotrasmettitore è una sostanza chimica in grado di legarsi a recettori specifici presenti
sulla membrana della cellula postsinaptica. Il neurotrasmettitore viene liberato dalle terminazioni
presinaptiche. Nelle terminazioni presinaptiche sono presenti agglomerati di particolari strutture
vescicolari, le cosiddette vescicole sinaptiche, ciascuna delle quali contiene parecchie migliaia di molecole
di un particolare neurotrasmettitore. Le vescicole sinaptiche si accumulano in alcune regioni della
membrana specializzate per la liberazione di neurotrasmettitori e dette zone attive. La sinapsi chimica si
distingue da quella elettrica per:

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 L’assenza di un elemento strutturale che connette le cellule
 La presenza di vescicole presinaptiche (neurotrasmettitori)
Sinapsi elettriche. Possono essere trasmesse sia depolarizzazioni sia iperpolarizzazioni.
Sinapsi chimiche. Solo una depolarizzazione presinaptica è efficace per la trasmissione.
L’arrivo di un potenziale d’azione nella terminazione di un assone presinaptico determina l’apertura di
canali Ca2+ voltaggio-dipendenti. Di conseguenza, la concentrazione degli ioni Ca2+ aumenta in queste
zone e ciò determina la fusione delle vescicole sinaptiche che contengono il neurotrasmettitore con la
membrana citoplasmatica (endocitosi). Così le vescicole liberano il loro contenuto nella fessura sinaptica
(esocitosi). Il neurotrasmettitore diffonde attraverso la fessura sinaptica e si lega a recettori specifici sulla
membrana postsinaptica. I recettori, a loro volta, aprono o chiudono canali ionici. La trasmissione sinaptica
chimica comporta due diversi processi: un processo di trasmissione, che provvede alla liberazione di una
sostanza chimica capace di trasmettere il messaggio, e un processo recettivo, mediante il quale il
neurotrasmettitore si lega a molecole di recettori situati sulla membrana della cellula postsinaptica.
Una vasta gamma di sostanze chimiche può fungere da neurotrasmettitore, ma l’azione che essi esercitano
sull’elemento postsinaptico non dipende tanto dalla loro struttura chimica quanto dalle proprietà dei
recettori che li riconoscono e con i quali essi si legano.
Due tipi di neurotrasmettitori:
 Neurotrasmettitori eccitatori: Inducono l’innesco di potenziali d’azione
 Neurotrasmettitori inibitori: Riducono la capacità della cellula di innescare potenziali d’azione.
Esistono due famiglie di recettori:
1. Recettori che modificano direttamente le condizioni di accesso ai canali, detti recettori ionotropici.
2. Recettori che controllano indirettamente l’accesso ai canali e sono accoppiati con G-protein, detti
recettori metabotropici:
 Hanno un’unità recettiva che riconosce il neurotrasmettitore.
 Tale unità è lontana dai canali ionici.

CAPITOLO 4: ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO: INTRODUZIONE


Una sezione è individuata da un taglio lungo un piano all’interno dell’organo. I vari piani di sezione sono
individuati da assi e sono:
 Piano orizzontale: individuato dall’asse sinistro-destro e dall’asse antero-posteriore. Nel caso
dell’encefalo, è anche chiamata sezione trasversale;
 Piano coronale: individuato dall’asse laterale e dall’asse dorso-ventrale;
 Piano sagittale: è perpendicolare all’asse laterale.
Le sezioni che non passano per il punto medio sono parasagittali. I termini anteriore, posteriore, superiore
e inferiore si riferiscono all’asse longitudinale del corpo, che è dritto. I termini dorsale, ventrale, rostrale e
caudale si riferiscono all’asse longitudinale del SNC (prosencefalo e tronco encefalico/midollo spinale).
Termini direzionali:
 Rostrale > verso il naso (anteriore – verso l’alto)
 Caudale > verso la coda (posteriore – verso il basso)
 Dorsale > posteriore
 Ventrale > anteriore
La complessità organizzativa di organismi pluricellulari ha portato alla formazione di cellule specializzate
per le funzioni di elaborazione dello stimolo, i neuroni. Queste cellule specializzate, assieme alle cellule di
sostegno formano il sistema nervoso. Esse sono in grado di:
 recepire gli stimoli in entrata (attività afferente o sensitiva)
 elaborare risposte adeguate (attività efferente o motoria)

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Nei vertebrati si distinguono:
 sistema nervoso centrale (SNC): detto anche nevrasse, contenuto in involucri ossei;
 sistema nervoso periferico (SNP): costituito da tutti gli elementi nervosi che collegano l’ambiente e
l’interno dell’organismo al nevrasse.
Dal punto di vista embriologico, l’encefalo si sviluppa a partire da 3 vescicole del primitivo tubo neurale:
 Prosencefalo, che evolve in Telencefalo e Diencefalo;
 Mesencefalo;
 Romboencefalo, da cui originano bulbo, ponte e cervelletto.
Il sistema nervoso centrale è costituito dall'encefalo e dal midollo spinale. Il suo compito è di identificare,
interpretare e integrare gli impulsi che arrivano dai neuroni sensoriali, generare una risposta adeguata e
trasmetterla ai neuroni motori. L’encefalo e il midollo spinale sono protetti da tre membrane chiamate
meningi. Le meningi sono un sistema di membrane che, all’interno del cranio e del canale rachidiano,
rivestono il SNC e proteggono l’encefalo e il midollo spinale. Sono:
 Dura madre: è fortemente fibrosa e pertanto è molto dura. Contiene vasi venosi che drenano il
sangue dal SNC attraverso cavità dette seni venosi;
 Aracnoide: interposta tra dura madre e pia madre; è formata da due foglietti, foglietto parietale,
che aderisce alla dura madre, e foglietto viscerale, che è in rapporto con la pia madre. Ha uno
spessore maggiore della pia madre;
 Pia madre: strato di connettivo che si trova direttamente al di sopra della superficie cerebrale.
Contiene le arterie che irrorano il sistema nervoso.
Ventricoli cerebrali: cavità dell’encefalo a forma di corno contenenti il liquido cerebro-spinale; sono 4:
 2 ventricoli laterali (I e II): sono i più grandi e corrono lungo i 2 emisferi cerebrali. Formano una
curva che entra nel lobo temporale;
 2 ventricoli discendenti (III e IV): il III è quello mediale con un canale che attraversa il mesencefalo
e stabilisce una comunicazione tra III e IV ventricolo. Il IV ventricolo si trova a livello del bulbo e del
ponte ed è continuo con il canale centrale del midollo spinale.
Gli emisferi cerebrali nell’uomo sono caratterizzati dalla presenza di giri o circonvoluzioni e solchi. Gli
emisferi cerebrali sono collegati dal corpo calloso, una struttura fibrosa di materia bianca, e sono suddivisi
in regioni chiamate lobi, nominati a seconda dell’osso piatto del cranio vicino al quale si trovano:
 Lobo frontale: si trova rostralmente rispetto al solco centrale. Il giro pre-centrale fa parte di questo
lobo;
 Lobo parietale: si trova caudalmente rispetto al solco centrale, ed è separato dal lobo temporale
dalla scissura di Silvio;
 Lobo temporale: presenta un giro temporale superiore, mediale e inferiore. È separato dal resto
dell’encefalo dalla scissura laterale;
 Lobo occipitale: si trova nella parte più caudale dell’encefalo. Contiene la scissura calcarina, che
ospita la corteccia visiva primaria, la prima regione corticale che riceve gli input visivi provenienti
dalla retina.
Il sistema nervoso periferico (SNP) è posto fuori dagli involucri ossei ed è costituito da formazioni nervose:
nervi spinali e nervi encefalici, che trasmettono impulsi:
 dagli organi extranervosi (informazioni afferenti)
 verso gli organi extranervosi (informazioni efferenti)
I nervi encefalici e spinali sono costituiti da:
 fibre afferenti: fibre sensitive che portano informazioni al centro partendo dalla periferia;

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 fibre efferenti: portano informazioni alla muscolatura scheletrica liscia, al miocardio, alle
ghiandole.
Sia le fibre afferenti che le fibre efferenti possono avere funzioni:
 somatiche: fibre sensitive somatiche e motrici somatiche, collegate alla risposta volontaria;
 vegetative: fibre sensitive e motrici viscerali, collegate alle risposte involontarie.
I nervi periferici possono contenere sia fibre somatiche che vegetative (nervi misti) oppure solo alcuni di
essi. Il sistema nervoso periferico si può dividere in due parti:
 Sistema nervoso somatico o volontario;
 Sistema nervoso autonomo o vegetativo.
Il sistema nervoso volontario è costituito dalle fibre nervose periferiche che inviano informazioni sensoriali
al sistema nervoso centrale e dalle fibre nervose motorie che comandano la contrazione e la distensione
dei muscoli scheletrici. È costituito dai nervi cranici e dai nervi spinali.
Il sistema nervoso autonomo comprende l'insieme di fibre nervose che corrono lungo la colonna
vertebrale e che innervano gli organi interni e le ghiandole, svolgendo funzioni che generalmente sono al di
fuori del controllo volontario. I fasci di nervi del sistema nervoso autonomo, detto simpatico, generalmente
stimolano l’attività di un organo, mentre quelli del fascio parasimpatico la rallentano o la bloccano.

CAPITOLO 5: ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO: LA CORTECCIA CEREBRALE


Il cervello umano è tra i più grandi, relativamente al peso, e presenta un maggior numero di circonvoluzioni
rispetto alle altre specie. Nel ratto e nel gatto la curvatura dell’encefalo è minima. I primati più specializzati
hanno una maggiore superficie della corteccia cerebrale e un maggior numero di circonvoluzioni. I primati
meno specializzati hanno una corteccia olfattiva più vasta, comparativamente al resto della corteccia,
chiamata neocorteccia. La neocorteccia, struttura molto sviluppata nei mammiferi, è organizzata in 6 strati.
La corteccia paraippocampale, chiamata anche allocorteccia, è organizzata in 3 o, in alcune regioni
specializzate, 4 strati.
Il lobo limbico è quella parte della corteccia cerebrale che forma una sorta di bordo attorno al corpo calloso
e al diencefalo. È detto anche il 5° lobo. Il sistema limbico è l’insieme di strutture collegate al lobo limbico
dal punto di vista funzionale, che comprende:
 Corteccia cingolata o giro del cingolo: è una parte molto interna della corteccia cerebrale,
immediatamente adiacente al corpo calloso. È distinta in giro del cingolo anteriore, mediale e
posteriore. Nella zona anteriore e ventrale del giro del cingolo anteriore è presente la corteccia
subgenuale, chiamata così perché si trova sotto un ginocchio di corpo calloso; nella zona più
ventrale del giro del cingolo posteriore si trova, invece, la corteccia retrospleniale, situata
posteriormente rispetto allo splenio del corpo calloso. La corteccia cingolata è una regione
neocorticale.
 Ippocampo: regione allocorticale situata nel lobo temporale mediale. Presenta uno strato più
denso, chiamato giro dentato, e una struttura arrotolata chiamata corno di Ammone.
 Talamo: complesso di nuclei situato nel diencefalo.
 Amigdala: complesso di nuclei che si trova nel lobo temporale mediale, anteriormente
all’ippocampo. Presiede all’elaborazione delle emozioni e della cognizione sociale.
 Bulbo olfattivo, che continua con il tratto olfattivo. L’olfatto è l’unico senso che non passa dal
talamo prima di raggiungere la corteccia.
 Corpi mammillari: due piccoli tubercoli che sporgono dalla parte omentale dell’encefalo e fanno
parte del diencefalo. Hanno la stessa origine embriologica del talamo e sono ad esso connessi
tramite il villo talamico, anch’esso facente parte del lobo limbico.

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Queste strutture formano un importante circuito, fortemente implicato nella memorizzazione. È il circuito
di Papez.
I nuclei della base sono strutture di sostanza grigia organizzate per nuclei che si trovano verso l’interno
dell’encefalo, cioè verso la parte più mediale, che fanno parte del prosencefalo, quindi degli emisferi
cerebrali e traggono origine dal telencefalo. Essi sono:
1. Nucleo caudato: costituito da testa, corpo e coda del caudato;
2. Putamen;
3. Globo pallido: diviso in un segmento interno ed esterno.
Il putamen e il globo pallido sono riuniti a formare il nucleo lentiforme. I nuclei della base sono coinvolti nel
movimento. Sono infatti implicati in patologie come la Corea di Huntington, in cui si ha disinibizione del
movimento, che porta a movimenti involontari, e il morbo di Parkinson, in cui c’è difficoltà nell’iniziazione
del movimento. Funzionalmente fa parte dei nuclei della base anche il nucleo subtalamico, anche se
nettamente più ventrale. Lo striato è la stazione di input più importante del sistema dei nuclei della base. È
distinto in:
 Striato dorsale, più implicato nella programmazione e nel controllo del movimento;
 Striato ventrale: include il nucleus accumbens, che gioca un ruolo importante nella risata, nella
dipendenza, nell’elaborazione delle sensazioni di piacere e paura, nella ricompensa, nella
dipendenza e in una serie di disturbi come l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività).
I nuclei della base sono fondamentali anche per l’apprendimento guidato da ricompensa.
Il talamo si trova in posizione mediale, è una struttura posta bilateralmente ai margini laterali del III
ventricolo. Fa parte del diencefalo e funzionalmente del sistema limbico. Il talamo è un insieme di nuclei
che comunicano pochissimo tra loro, eccetto per il nucleo pulvinar, che si connette a tutti i nuclei. I nuclei
comunicano con diverse regioni della corteccia:
 I nuclei anteriori comunicano con il lobo temporale mediale e con il giro del cingolo.
 Il nucleo medio-dorsale comunica prevalentemente con la corteccia prefrontale
 I nuclei ventro-laterale e ventrale-anteriore comunicano fortemente con le regioni motorie.
Il talamo ha una struttura istologica diversa da quella dei nuclei della base; questi hanno molti corpi
cellulari compattati, mentre la struttura del talamo è immersa in una matrice con radi corpi cellulari. Il
talamo è un’importante stazione di passaggio di informazioni percettive e sensoriali, e con lesioni limitate
a questo livello si potrebbe avere un blocco del sistema percettivo che interessa una regione specifica
dell’organismo. Una lesione anche molto piccola a livello del talamo può produrre gli stessi risultati di una
lesione molto più estesa a livello corticale.
Aree di Brodmann. All’inizio del ‘900 il neurologo tedesco Brodmann ha descritto la struttura citologica di
tutto l’encefalo e ha individuato 52 aree, dette aree di Brodmann, che hanno costituito la prima mappa
cito-architettonica dell’encefalo. Brodmann prelevava piccoli strati di corteccia da punti vicini tra loro e li
esaminava sistematicamente. Questi prelievi sistematici hanno permesso di tracciare dei bordi e
distinguere le diverse aree. Strutture vicine con un’organizzazione di corteccia simile stanno nella stessa
area di Brodmann. Aree aventi una cito-architettura diversa hanno anche funzioni diverse.
Strati della corteccia. La corteccia cerebrale è composta da 6 strati:
1. Strato molecolare: ricco di fibre, con poche cellule;
2. Strato granulare esterno: cellule molto più piccole e addensate, alcune piramidali, altre
rotondeggianti o stellate;
3. Strato piramidale esterno: così chiamato perché contiene cellule di media dimensione, chiamate
cellule piramidali, che hanno un corpo cellulare con una struttura basale più allargata e una
struttura apicale più stretta;
4. Strato granulare interno: piccole cellule fittamente addensate;

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5. Strato piramidale interno: grandi cellule piramidali, gli assoni escono dalla corteccia e raggiungono
per mezzo di diramazioni altre strutture sottocorticali. Queste strutture hanno efferenze cortico-
talamiche: partono dalla corteccia e vanno verso il talamo
6. Strato multiforme: cellule di varie forme.
La dimensione dei corpi cellulari nei differenti strati è ben visibile con la colorazione di Nissl. Colorazioni
alternative della corteccia cerebrale sono quella di Golgi e quella di Weigert.

CAPITOLO 6: ANATOMIA DEL SISTEMA NERVOSO: TECNICHE DI STUDIO


I metodi di indagine nella neuropsicologia sono essenzialmente due:
 Studio di casi singoli o di piccoli gruppi di pazienti;
 Studio di grandi gruppi di pazienti.
Grazie agli studi di Paul Broca sul linguaggio e le afasie, si è riusciti a stabilire una connessione tra aree
cerebrali e funzioni mentali. Broca, infatti, ha scoperto che una particolare lesione cerebrale determina una
specifica afasia legata all’incapacità di articolare il linguaggio, mentre si mantiene la capacità di
comprendere il linguaggio. In seguito, Carl Wernicke osservando due pazienti con disturbi del linguaggio e
lesioni nel giro temporale sinistro avanzò la prima teoria sull’organizzazione cerebrale del linguaggio.

Approccio delle alterazioni cerebrali: Il nesso causale ci permette di dire che una perturbazione occorsa
allo stadio neurale comporta una variazione della prestazione a un compito o rispetto al livello cognitivo
prima della lesione, o rispetto a un gruppo di controllo.
Approccio del neuromonitoraggio (o neuroimaging): Nel neuroimaging si ha una modulazione della
cognizione, ovvero si mette il soggetto in una certa modalità cognitiva e si guarda come al variare del
processo cognitivo varia la misura neurale oggetto dello studio. Questo significa che siamo noi a manipolare
il processo cognitivo.
Tecniche che permettono di rilevare e riprodurre graficamente, in termini anatomici e funzionali,
l’attività cerebrale. Tecniche di imaging anatomico sono MRI e DTI. Tecniche di imaging funzionale sono:
EEG/ERP, PET/SPECT, fMRI e MEG.
 La tecnica di Risonanza Magnetica per Immagini (o MRI) viene utilizzata per produrre immagini ad
alta definizione dell'interno del corpo umano, in particolare dei tessuti molli. Essa rappresenta una
metodica innocua poiché utilizza campi magnetici senza radiazioni ionizzanti e si basa sul principio
di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), ossia sfrutta le proprietà fisiche dell’atomo di idrogeno
sottoposto a campi magnetici ed impulsi a radio-frequenza.
 La risonanza magnetica con tensore di diffusione (DTI) è una tecnica di risonanza dove il tensore di
diffusione permette di ottenere immagini basandosi sull’analisi del movimento delle molecole
d’acqua presenti nei tessuti cerebrali. L’acqua si muove preferenzialmente in una direzione nella
mielina (idrofoba) che funge da isolante. Questa tecnica viene usata per misurare l’integrità della
materia bianca e per individuare i fasci nervosi e la loro direzione.
 L’Elettroencefalografia (EEG) è la registrazione dell’attività elettrica dell’encefalo. È un’acquisizione
dei dati sull’attività spontanea del cervello, non legata a eventi specifici.
 I Potenziali Evento-correlati (ERP) rappresentano modificazioni del segnale EEG (variazioni del
potenziale elettrico) che fanno seguito ad uno stimolo. L’ERP è una risposta cerebrale misurabile
che si forma direttamente come risultato di un pensiero o di una percezione. L’EEG studia l’attività
spontanea, gli ERP dipendono da specifici stimoli o stati d’animo.
 La tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnica utilizzata per la produzione di
bioimmagini (immagini del corpo). L’esame si basa sulla somministrazione endovenosa di
radiofarmaci, caratterizzati dall’emissione di particelle chiamate positroni. Lo scopo è quello di

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indagare le caratteristiche funzionali degli organi e degli apparati nei quali il radiofarmaco si
localizza.
 La Tomografia a Emissione di Singolo Fotone (SPECT) è una tecnica simile alla PET che adopera una
radiazione ionizzante, i raggi gamma. È in grado di ricostruire la distribuzione tridimensionale della
radioattività all’interno di organi e tessuti del corpo umano. La radioattività è dovuta a sostanze in
grado di emettere fotoni, somministrate al paziente.
 La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) permette di vedere il cervello in attività sfruttando le
variazioni di ossigenazione del flusso sanguigno (effetto BOLD – Blood Oxygen Level Dependent)
dove il sangue fa da mezzo di contrasto. La fMRI è una tecnica di imaging biomedico non invasiva
che fornisce una mappa delle aree cerebrali funzionalmente eloquenti, ovvero coinvolte nello
svolgimento di un determinato compito cognitivo, come parlare, leggere, muovere una parte del
corpo ecc. Le aree cerebrali che vengono reclutate durante lo svolgimento di un compito sono
anche quelle in cui viene consumato più ossigeno. Di conseguenza, varia il rapporto tra
Ossiemoglobina e Deossiemoglobina presenti nelle aree reclutate dall’attivazione. Tale variazione
viene rivelata dal segnale di risonanza magnetica e tradotta in immagini.
 Deossiemoglobina: Paramagnetica > presenta momento magnetico diverso da 0 e si
orienta rispetto al campo magnetico. La presenza di deossiemoglobina crea una distorsione
del campo magnetico applicato.
 Ossiemoglobina: Diamagnetica > presenta momento magnetico pari a 0 e non si orienta
rispetto al campo magnetico.
 La Magnetoencefalografia (MEG) si basa sulla misurazione dei campi magnetici prodotti
dall'attività elettromagnetica dell'encefalo. Viene usata per valutare le fluttuazioni del campo
magnetico che l'organismo produce; studia dunque la funzionalità cerebrale tramite la misura di
tale campo magnetico generato dall'attività elettrica cerebrale.
Southern, Northern and Western Blot sono tecniche di ricerca molecolare utilizzate per analizzare le
molecole cellulari (DNA, RNA e proteine).
Il patch clamp ("blocco di area") è una tecnica usata per misurare le correnti che attraversano singoli canali
ionici presenti nella membrana cellulare.

CAPITOLO 7: SVILUPPO ED EVOLUZIONE DEL CERVELLO


La fecondazione è un processo in cui il gamete maschile (aploide, 1n) e quello femminile (aploide, 1n) si
fondono per formare lo zigote, cellula uovo fecondata (diploide, 2n). La fecondazione degli ovociti
femminili può avvenire in un arco di tempo di circa 24 ore dopo l’ovulazione della cellula uovo. In tale
periodo, chiamato capacitazione, gli spermatozoi devono soggiornare per alcune ore all’interno delle vie
genitali femminili.
L’ingresso dello spermatozoo nella cellula uovo scatena la reazione corticale:
1. impedisce l’ingresso di altri spermatozoi;
2. stimola il completamento della meiosi.
Lo zigote inizia lo sviluppo dividendosi ripetutamente (segmentazione) e originando una massa di cellule
(blastomeri) detta morula. Da 3 a 5 cellule diventeranno placenta, il resto delle cellule serviranno per
formare il bambino. All’interno della morula si crea una cavità ripiena di liquido nella quale sporge una
piccola massa di cellule (nodo embrionale). Dal nodo embrionale si forma un disco, chiamato blastodisco
che è formato da due foglietti di cellule sovrapposti:
 epiblasto: rivolto verso la cavità amniotica;
 ipoblasto: rivolto verso il blastocele.

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La blastocisti determina la formazione del blastodisco caratterizzato da 2 strati di cellule. La successiva
gastrulazione determina la gastrula. La gastrulazione determina il differenziamento del nodo embrionale in
tre foglietti embrionali:
 Ectoderma (epiblasto)
 Mesoderma (il nuovo foglietto)
 Endoderma (ipoblasto)
L’Endoderma darà origine a: apparato respiratorio, digerente e ghiandole ad esso annesse e apparato
urinario.
Il Mesoderma darà origine a: muscolatura, apparato urogenitale, vasi sanguigni, sangue e ossa.
L’Ectoderma darà origine a: epidermide e annessi cutanei, porzioni di organi di senso e sistema nervoso.

L’ induzione neurale è un processo mediante il quale alcune cellule del foglietto più esterno dell'embrione,
ectoderma, cominciano a trasformarsi in tessuto nervoso. Dal mesoderma ha origine la notocorda che
formerà le ossa del sistema nervoso centrale, tra le quali la colonna vertebrale. La notocorda induce la
formazione del sistema nervoso differenziando tramite fattori chemioattvi le cellule dell’ectoderma in
cellule cutanee e neuroblasti.
o Il primo atto della formazione del sistema nervoso è la formazione della placca neurale.
o La placca neurale forma un’invaginazione che scende sotto la superficie dell’embrione con la
formazione di pieghe neurali che prendono il nome di creste neurali.
o Le creste neurali si uniscono e si fondono formando il tubo neurale.
Appena il tubo neurale si chiude la cavità si riempie di liquido cerebrospinale e le cellule cominciano a
dividersi a grande velocità. Comincia il processo proliferativo, un rapido moltiplicarsi delle cellule per
mitosi. La cessazione del processo mitotico innesca la successiva migrazione: un movimento ameboide, su
un substrato, verso la destinazione definitiva. Durante la migrazione le cellule iniziano il processo di
differenziazione conferendo l’indirizzo definitivo.
La morte cellulare programmata serve alla formazione di sinapsi stabili e veloci.
Dopo essersi formato il tubo neurale, caudalmente diverrà sistema nervoso periferico, medialmente
midollo spinale mentre rostralmente genererà 3 vescicole encefaliche:
 Romboencefalica → cervelletto, ponte, midollo allungato;
 Mesencefalica: fa sì che l’encefalo curvi dalla polarità rostro-caudale ad una dorso-ventrale →
acquedotto cerebrale, peduncoli cerebrali, lamina quadrigemina, substanzia nigra;
 Proencefalica → telencefalo, diencefalo.
All’estremità anteriore del tubo neurale si costituiscono tre importanti aree encefaliche:
 Proencefalo
 Diencefalo
 Telencefalo
 Mesencefalo
 Romboencefalo
 Metencefalo
 Mielencefalo
Successivamente queste tre aree si dividono ulteriormente. Questo processo è chiamato encefalizzazione.
Alla nascita il cervello non è completamente sviluppato, esso è solo un terzo di quello adulto. Il suo sviluppo
prosegue per tutto il primo anno. Le aree associative prefrontali raggiungeranno la piena maturità soltanto
a 20 – 25 anni.
 Alla nascita le fibre nervose non sono rivestite di mielina e il neonato non è in grado di controllare i
propri movimenti ma reagisce ai rumori e segue con gli occhi gli oggetti in movimento

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 Al raggiungimento di 1 anno circa il cervello aumenta di volume e le fibre nervose si rivestono di
mielina.
 Al raggiungimento di 5 anni circa maturano i centri del linguaggio, il bambino parla ed è in grado di
leggere e scrivere.
 Al raggiungimento di 15-16 anni circa il cervello ha raggiunto una capacità più o meno simile a
quella di un adulto, ma i gruppi cellulari che formano la materia grigia andranno avanti a svilupparsi
fino a oltre 20 anni.

CAPITOLO 8: SVILUPPO ED EVOLUZIONE DELLE FUNZIONI COGNITIVE


Le caratteristiche dello sviluppo cerebrale sono:
 Stabilità: l’organizzazione delle cellule e delle strutture cerebrali risponde a un programma
genetico che specifica l’ordine con cui le strutture si costituiscono e in parte il ritmo a cui questo
avviene.
 Plasticità: capacità del cervello di adattarsi e modificare le sue caratteristiche strutturali e funzioni
alle necessità del momento.
 Unicità: l’espressione genica differisce anche in due cloni.
Apprendimento nervoso:
 generazione di sinapsi (sinaptogenesi).
 selezione di legami nervosi: questa fase si estende per oltre 10 anni (il cervello continua a
specializzarsi sino alla pubertà)
 i processi di generazione e potatura delle sinapsi si verificano in tempi e ritmi diversi a seconda
delle aree corticali, secondo un programma genetico.
Le funzioni cognitive sono tutti quei processi mentali di ordine superiore che ci permettono di conoscere il
mondo. Sviluppo delle funzioni cognitive:
 Codificazione: passaggio alla memoria (informazioni rilevanti vs. irrilevanti);
 Automaticità: sforzo consapevole vs. nessuno (minore) sforzo;
 Costruzione di una strategia: tecniche;
 Auto-modifica: adattare conoscenze pregresse;
 Metacognizione: consapevolezza di sapere.
L’orientamento è la capacità cognitiva di base. Lo sviluppo dell’orientamento è strettamente legato alla
capacità di attenzione spaziale, che nel suo sviluppo assume una forma:
 Implicita, quando avviene in assenza di movimenti oculari;
 Esplicita, quando il bambino inizia ad usare i movimenti del capo e quelli degli occhi per orientarsi.
Attenzione: capacità cognitiva di ordine superiore, determina la capacità di selezione degli stimoli presenti
nell’ambiente.
Sviluppo dell’attenzione:
 Prime settimane di vita: la capacità di selezionare gli stimoli agisce come meccanismo di
preferenza: comincia l’aggancio e lo sgancio dagli stimoli.
 4 mesi: alla capacità di selezionare gli stimoli, si aggiunge l’abilità di mantenere per un tempo
sempre più prolungato l’attenzione verso un dato stimolo selezionato.
Memoria: sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’informazione.
Expertise: costruzione di una conoscenza estesa e approfondita rispetto a un certo dominio.
Strategia: chunking (dividere il dominio in sotto-fasi o sotto-categorie in modo da spezzettarlo e
accumulare le conoscenze una per volta). Implica la conoscenza organizzata intorno ad idee e concetti
importanti ed è costruita attraverso nodi e interrelazioni.

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Amnesia Infantile: riguardante i ricordi dei primi 3 anni di vita. Presente sia in adulti che in bambini e
causata dall’immaturità dei lobi frontali, che completano il loro sviluppo solo a 20-25 anni.
I bambini possono ricordare molti stimoli se dotati di indizi e cues.
Span di memoria: corrisponde al numero di elementi in una serie che una persona può ricordare dopo
averle sentite. La norma per un adulto è di 7 più o meno 2 elementi ricordati.
 2 anni: 2 numeri
 7 anni: 5 numeri
 7-13 anni: aumento medio di 1,5 numeri per anno
Lo sviluppo del pensiero nella prima infanzia è centrato sulla formazione di due elementi fondamentali:
1. Concetto: rappresentazione di stimoli ambientali in base ad un certo criterio. La formazione dei
concetti è utile a classificare, semplificare e riassumere le informazioni;
2. Categoria: permette di creare un insieme di concetti che sono tra loro accomunati dalla
condivisione di alcune proprietà fondamentali.
Tappe fondamentali dello sviluppo del pensiero nella prima infanzia:
 La formazione dei concetti appare nei neonati ad appena 3 mesi.
 3 mesi: categorizzazioni percettive, oggetti classificati in base qualità percettive simili.
 7-9 mesi: categorizzazioni concettuali e maggiore varietà delle proprietà percettive.
 Ampliamento delle categorie concettuali nel secondo anno di vita.
Teoria della mente: Consapevolezza dei propri processi mentali e di quelli degli altri.
 2-3 anni: comprensione degli stati mentali degli altri relativamente a percezioni, desideri,
emozioni.
 4-5 anni: la mente può rappresentare gli oggetti in modo dettagliato o impreciso. Comprensione
che le persone possono avere convinzioni non vere (false credenze).
Lo sviluppo del pensiero nella seconda infanzia è invece finalizzato all’imparare a pensare riflessivamente e
produttivamente e a valutare i fatti: cioè corrisponde allo sviluppo del pensiero critico.
Il pensiero critico aumenta con l’età ma può essere distorto dalle proprie considerazioni personali.
Le massime espressioni del pensiero critico sono:
 Decision Making: è massimo nell’adolescenza. Legato alla formazione di opinioni, esame di diversi
punti di vista, immaginazione delle conseguenze.
 Metacognizione: la capacità di pensare, riflettere e valutare le proprie capacità di pensiero.
Tappe di sviluppo delle capacità metacognitive:
 5-6 anni: la metamemoria inizia a svilupparsi ma è limitata e viene sopravvalutata;
 7-8 anni: i bambini apprezzano l’importanza degli aiuti in compiti rievocativi;
 11-12: la stima della propria prestazione in compiti di memoria migliora;
 Adolescenza: aumentata capacità di monitoraggio e di gestione delle risorse cognitive.

CAPITOLO 9: LESIONI CEREBRALI E COMPROMISSIONI ASSOCIATE


La mappa somatotopica è una proprietà del funzionamento del sistema nervoso per cui ad aree adiacenti
dello spazio recettivo nel mondo esterno corrispondono gruppi di neuroni adiacenti in un nucleo cerebrale
o in un’area corticale. Nel giro post-centrale della corteccia parietale è contenuta una rappresentazione
topografica tridimensionale del corpo umano. Anche la corteccia motoria del lobo frontale contiene una
mappa somatotopica del corpo, nel senso che gruppi di neuroni adiacenti governano muscoli
anatomicamente adiacenti. L'homunculus corticale è una rappresentazione della suddivisione anatomica
dell'area somatosensoriale primaria, dove prende il nome di homunculus sensitivo o somatosensoriale, e
dell'area motoria primaria, dove prende il nome di homunculus motorio. Il termine homunculus è dovuto al
fatto che la rappresentazione del corpo umano appare grottesca e sproporzionata. Regioni come mano,

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piede e bocca sono ingrandite perché la grandezza di una regione è proporzionale al numero di neuroni in
essa presenti. Nell’uomo le labbra hanno una porzione vastamente più ampia della fronte, in quanto la
fronte contiene alcuni muscoli mimici ma non ha una funzione comparabile a quella della bocca.
Tecnicamente i danni possibili a livello cerebrale sono:
 Trauma cranico
 Ictus
 Emorragico
 Ischemico
Nel trauma cranico la lesione che si riscontra è più o meno complessa a seconda del tipo di trauma.
Il trauma cranico viene causato da una variazione di pressione encefalica in termini di aumento o
decompressione. In dipendenza del meccanismo e dell’agente traumatico si possono avere:
 Traumi cranici chiusi: dovuti allo scivolamento o rotazione di strutture a diversa densità con
integrità della scatola cranica;
 Traumi cranici aperti: rottura degli involucri ossei e meningei, possibile fuoriuscita di materia
cerebrale.
La Glasgow Coma Scale (GCS) è una scala neurologica che mira a fornire un modo affidabile e obiettivo di
registrare lo stato di coscienza di una persona che ha subito un trauma cranico. Un paziente viene valutato
in base ai criteri della scala, e i punti risultanti danno un punteggio compreso tra 3 (indicante l'incoscienza
profonda) e 15 (coscienza totale). Sulla base delle conseguenze cliniche del trauma si possono avere:
 Trauma cranico non commotivo
 Nessuna perdita di coscienza, nessuna conseguenza organica sul SNC.
 Traumi cranici commotivi:
 Lievi: punteggio Glasgow Trama Scale > 12;
 Moderati: punteggio GCS tra 9 e 12 oppure > 12 ma lesione di interesse chirurgico in TC;
 Gravi: punteggio GCS < 9.
Un ictus può essere:
 Un danno emorragico
 Un danno ischemico
Un danno emorragico può avvenire a seguito della rottura di un vaso sanguigno, come di un’anastomosi
artero-venosa (collegamento tra 2 vasi), oppure di un aneurisma (dilatazione localizzata di un’arteria) e
conduce a morte neuronale. Un danno emorragico può essere:
 Sub-aracnoideo: si verifica spesso quando si rompe un aneurisma;
 Intra-cerebrale: può essere determinato da ipertensione con rottura di alcuni vasi.
Un danno ischemico è un fenomeno per cui una regione cerebrale rimane priva di irrorazione sanguigna e
dopo alcuni minuti può provocare l’apoptosi di alcuni gruppi di cellule. A sua volta, l’ictus ischemico può
essere di origine:
 Trombotica: si ha una progressiva riduzione del lume dei vasi sanguigni, che può essere causata da:
 Formazione di 1 trombo;
 Stenosi arteriosa, per irrigidimento delle pareti con blocco del lume. È dovuta all’accumulo
di un trombo;
 In base al luogo in cui si ha il trombo, è possibile che anche una regione cerebrale molto
ampia rimanga priva di irrorazione.
 Ipossica: determinata da una cattiva ossigenazione del sangue. Una delle regioni più sensibili
all’ipossia è l’ippocampo (sono i primi neuroni che cominciano a morire in caso di ipossia).

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 Embolica: il trombo si stacca dalla parete del vaso che lo contiene e migra in altre regioni del
circolo, e raggiunge i vasi cerebrali più piccoli. L’embolia si verifica frequentemente nei pazienti che,
a causa di altri danni, rimangono allettati per molto tempo. La circolazione nelle gambe è ridotta e
si possono formare dei trombi di piccola dimensione, che finiscono nel circolo sanguigno e
raggiungono le arterie cerebrali (ictus cerebrale), le arterie coronarie (infarto del miocardio) o le
arterie polmonari (edema polmonare). Se il trombo è piccolo e va ad occludere un’arteriola o un
gruppo di capillari, è più probabile che anche la lesione sarà più piccola.
Il tema delle lesioni è fondamentale per comprendere alcune funzioni cerebrali:
o Funzioni segregate tra di loro: indipendenti o parzialmente indipendenti;
o Funzioni integrate: interagiscono tra di loro, quindi se si perde una delle 2 funzioni, si perde anche
quella integrata.
La degenerazione neuronale può essere causata da:
1. Degenerazioni da malnutrizione;
2. Morbo di Alzheimer;
3. Morbo di Parkinson, coinvolge i neuroni dopaminergici della sostanza nigra;
4. Corea di Huntington;
5. Degenerazione con l’avanzare dell’età.

CAPITOLO 10: LINGUAGGIO E LATERALIZZAZIONE


Il linguaggio umano ha caratteristiche peculiari che lo distinguono da tutte le altre forme di comunicazione:
 Creatività: siamo in grado di creare e capire immediatamente una serie infinita di frasi significative
per mezzo di regole grammaticali.
 Forma: il linguaggio fa un uso infinito di un numero limitato di suoni.
 Contenuto: a differenza della comunicazione gestuale, il linguaggio può raffigurare e comunicare
idee astratte, con significato del tutto indipendente dalle situazioni contingenti.
 Uso: il linguaggio è un mezzo di comunicazione sociale. Ogni volta che parliamo o scriviamo
perseguiamo uno scopo sociale.
Dopo la morte di “Tan”, Paul Broca che ne aveva studiato il caso eseguì l’autopsia del cadavere e scoprì una
grave lesione nella corteccia cerebrale inferiore sinistra, situata subito davanti alla corteccia motoria
primaria. Quest’area, che oggi porta il nome di area di Broca, è coinvolta nella produzione del discorso.
Area di Wernicke.
Localizzazione: prima circonvoluzione temporale sinistra.
Ruolo: comprensione del linguaggio, centro uditivo-verbale.
Altre regioni coinvolte nell’elaborazione del linguaggio:
 Fascicolo Arcuato: connette l’area di Broca all’area di Wernicke;
 Network frontale, parietale e temporale sinistro: organizzazione sintattica;
 Regioni motorie e somato-sensoriali: implicate nella coordinazione dei muscoli bucco-facciali per
la produzione del linguaggio.
Col termine lateralizzazione si intende la localizzazione di una funzione principalmente nell’uno o nell’altro
emisfero cerebrale. Una corretta lateralità è fondamentale per il normale sviluppo di ogni essere vivente. Il
processo di lateralizzazione nell'uomo termina a 7-8 anni.
Le capacità linguistiche dell’uomo dipendono dall’integrità di diverse aree specializzate che si trovano
prevalentemente nelle cortecce di associazione dei lobi temporale e frontale. Nella stragrande
maggioranza delle persone le funzioni linguistiche sono localizzate nell’emisfero sinistro. L’emisfero destro
è invece specializzato nell’analizzare i suoni e le differenze di ampiezza, timbro e diversi aspetti della
musica. I collegamenti tra i suoni delle parole e i loro significati sono rappresentati nella corteccia

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temporale sinistra. I circuiti alla base dei comandi motori che coordinano la produzione di discorsi sensati si
trovano soprattutto nella corteccia frontale sinistra. Il contenuto emotivo del linguaggio è ampiamente
controllato dall’emisfero destro.
Intervento chirurgico dello «split brain» (cervello diviso): recisione di tutte e quattro le vie di connessione
interemisferica. È grazie a questi esperimenti di Joseph Bogen che è stato possibile scoprire la specificità dei
due emisferi cerebrali nelle diverse sotto-funzioni del linguaggio.
Lateralizzazione manuale e lateralizzazione cerebrale:
 90% della popolazione: destrimane
 96%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero sinistro;
 4%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero destro.
 10% della popolazione: mancina
 70%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero sinistro;
 15%: il linguaggio è localizzato nell’emisfero destro;
 15%: entrambi gli emisferi vengono utilizzati in modo equivalente.
La lateralizzazione cerebrale e la lateralizzazione manuale generalmente coincidono, ma possono non
coincidere.
Ascolto dicotico: tecnica di analisi delle funzioni cognitive e cerebrali utilizzata in psicologia e in
neuroscienze per lo studio delle asimmetrie emisferiche, dell'attenzione e della coscienza.
1. Sillaba presentata soltanto all’orecchio destro; il soggetto ripete.
2. Sillaba presentata soltanto all’orecchio sinistro; il soggetto ripete.
3. Sillabe diverse presentate simultaneamente ai due orecchi.
Gli studi hanno evidenziato che i destrimani, in caso di stimoli verbali, quando interrogati sullo stimolo
meglio percepito tendono a riportare quello presentato all'orecchio destro, mentre viceversa avviene per
gli stimoli non verbali.
Test di Wada, o «dell’amital sodico»:
 Somministrazione di un blando anestetico, introdotto dentro una delle due arterie carotide interne;
 Il farmaco viene iniettato in un emisfero alla volta;
 L’anestetico azzera momentaneamente qualsiasi funzione linguistica in uno dei due emisferi;
 Ciò permette di valutare l'emisfero non anestetizzato.
Specialmente se l’iniezione è applicata all’emisfero sinistro il paziente sperimenta disturbi del linguaggio,
tanto da non riuscire a capirlo o ad esprimersi in assoluto. Anche se non in grado di parlare, molto spesso
dopo l’iniezione i pazienti possono ancora cantare. Questo accade perché i network cerebrali relativi alla
percezione musicale sono prevalentemente localizzati nell’emisfero destro, mentre quelli che sostengono la
lingua parlata, scritta ed ascoltata nell’emisfero sinistro.

CAPITOLO 11: I DISTURBI DEL LINGUAGGIO ORALE


L’afasia consiste in un deficit profondo delle capacità di comprendere, elaborare e produrre messaggi
linguistici. Le afasie sono una perdita o alterazione della funzione del linguaggio causata da un danno
cerebrale. La causa più comune delle afasie è la malattia vascolare. Il metodo dell’osservazione clinica delle
afasie si fonda sull’analisi delle diverse prestazioni linguistiche nelle modalità orale e scritta, entrambe
sempre coinvolte nel disturbo. In base alle alterazioni quantitative dell’espressione orale, gli afasici si
dividono in due gruppi:
 Afasia non fluente
 Afasia fluente
Il modo in cui si svolge il discorso permette di distinguere le afasie fluenti e non fluenti.

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Afasia non fluente: riduzione del flusso verbale, l’eloquio spontaneo è scarso, le parole sono prodotte con
fatica; le frasi sono brevi e con struttura sintattica semplificata. Al massimo grado si ha la totale
soppressione del linguaggio (detta anche anartria). Nei casi meno gravi l’emissione della parola è lenta e
caratterizzata da numerose pause. Con questo linguaggio ridotto all’essenziale, il malato riesce tuttavia a
comunicare il proprio pensiero.
Afasia fluente: il flusso verbale è quantitativamente normale o anche aumentato (fino alla logorrea).
L’articolazione è corretta, la”melodia” è normale (ascoltando da lontano senza percepire le parole, si ha
l’impressione di un linguaggio normale). Quello che è alterato è il significato delle parole. Il suo linguaggio è
costituito da parole sbagliate, simili a quelle giuste come suono (parafasie), da parole inventate prive di
senso (neologismi), da perifrasi usate al posto di singole parole (circumlocuzioni). Spesso il malato ripete
più volte una parola o una frase (perseverazione). Nei casi più gravi, il linguaggio è del tutto
incomprensibile e si ha l’impressione di ascoltare un gergo o una lingua sconosciuta (jargonafasia). Di
regola il malato ignora di parlare male (nosoagnosia) e si arrabbia perché non viene capito.
È possibile analizzare i deficit dei pazienti afasici in una prospettiva neurolinguistica che distingue le diverse
competenze linguistiche in base al livello di elaborazione:
 Competenze fonologiche: studio dei suoni della lingua;
 Competenze semantico-lessicali: conoscenza delle parole e del loro significato;
 Competenze sintattico-grammaticali: regole del sistema linguistico.
Un deficit fonologico si caratterizza per la presenza di parafasie fonemiche (sostituzioni, omissioni,
aggiunte e trasposizioni), anche multiple, che talvolta rendono le parole bersaglio irriconoscibili.. Il termine
parafasia formale si riferisce agli errori fonemici che sostituiscono parole comunque esistenti.
Il deficit semantico-lessicale: si riconosce innanzitutto una difficoltà a recuperare le parole, che viene detta
anomia; nel caso di un semplice ritardo nell’evocazione di una parola bersaglio si parla di latenza anomica.
Il deficit può d’altra parte manifestarsi con un errore nella scelta delle parole:
 Sostituzioni con termini di significato affine (parafasie semantiche);
 Sostituzioni con parole senza relazione di significato (parafasie verbali).
Il deficit sintattico-grammaticale si riconosce nelle difficoltà nel corretto uso:
 dell’ordinamento delle parole
 nella formulazione della frase
 selezione delle parole e dei suoni che hanno funzioni grammaticali.
Tra le afasie fluenti abbiamo:
 Afasia anomica: incapacità di nominare intenzionalmente un oggetto.L'anomia si presenta
improvvisamente, all'interno di un discorso fluente e chiaro; probabilmente, la causa si riferisce ad
una lesione simile a quella riscontrata nell'afasia transcorticale di tipo sensoriale, ma di lieve entità.
 Afasia sensoriale o di Wernicke: il nome deriva dall'area cerebrale compromessa dalla lesione.
Infatti, un danno a livello della regione di Wernicke genera possibili disturbi della produzione e
della comprensione del linguaggio; il paziente elabora un codice linguistico particolare, artificioso e
ricco di neologismi, talvolta incomprensibili.
 Afasia di conduzione o di ripetizione: malgrado il soggetto afasico si sforzi di ripetere le parole per
imitazione, questi presenta una grave difficoltà nella ripetizione dei vocaboli.
 Afasia transcorticale sensoriale: la ripetizione delle parole viene compromessa solo in parte. I
pazienti tendono ad essere pressoché logorroici, parlando in modo fluido, ma privo di senso
compiuto.
Tra le afasie non fluenti abbiamo:
 Afasia dinamica: le capacità di comprensione rimangono intatte, malgrado le competenze di
eloquio vengano drasticamente ridotte.

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 Afasia transcorticale motoria: i pazienti affetti faticano a disquisire spontaneamente; tuttavia,
sono in grado di ripetere i vocaboli e di nominare gli oggetti - previa indicazione o aiuto. Sono
mantenute integre anche le capacità di comprendere il linguaggio scritto ed orale. È stata
riscontrata una possibile correlazione tra afasia transcorticale motoria e balbuzie.
 Afasia transcorticale mista (sindrome di isolamento dell'area del linguaggio): caratterizzata sia da
una marcata alterazione dell'espressione linguistica, sia da una spiccata compromissione della
comprensione del linguaggio.
 Afasia del Broca (o afasia motoria): la scrittura, la lettura ed il semplice linguaggio spontaneo
risultano gravemente compromessi ed alterati. La parlata è telegrafica ed il paziente mostra gravi
problemi nell'anagrammare le parole; le poche frasi sono spesso prive di senso compiuto e
mancanti di articoli, preposizioni ed avverbi. Ad ogni modo, la comprensione delle parole e dei
concetti rimane inalterata; di conseguenza, i pazienti malati di afasia del Broca mantengono
completamente intatte le capacità intellettive.
 Afasie globali: Nelle afasie di tipo globale (o misto), l'eloquio non risulta affatto fluente e anche la
comprensione del linguaggio risulta pesantemente compromessa. L'afasia globale è definita come
una grave alterazione del linguaggio, poiché viene intaccata la produzione della parola,
l'elaborazione e la comprensione stessa.
Al fine di redigere una corretta diagnosi, è innanzitutto doveroso distinguere un'ipotetica afasia da una
possibile disartria: se nell'afasia i pazienti non sono in grado di enunciare vocaboli e di comprenderli, nella
disartria i malati presentano difficoltà nella sola articolazione delle parole. Allo scopo di accertare la
malattia e di identificare con esattezza il tipo di afasia, la diagnosi differenziale prevede:
 Test di Aachen: Il test prevede, principalmente, prove di valutazione del linguaggio spontaneo, di
ripetizione dei vocaboli, di denominazione di oggetti o colori, di ripetizione di parole e valutazioni di
linguaggio scritto.
 Test di Token: noto come test dei gettoni, dà un'idea della capacità di comprensione del linguaggio
orale. Questo test diagnostico non fornisce informazioni sulla forma di afasia fluente e non fluente,
ma solamente sul grado di alterazione del linguaggio.
Per verificare e confermare l'ipotesi di afasia, lo specialista può consigliare al paziente altri test diagnostici:
 Test di fluenza: valuta le capacità di ricerca rapida dei vocaboli.
 Test sul linguaggio: valutazione della produzione di parole, della denominazione e di
comprensione.
 Valutazione del quoziente corticale: uno strumento classificatorio per valutare sia la tipologia di
afasia sia il grado di severità.
 Test di Benton: comprende prove di linguaggio spontaneo, ripetizione di cifre, comprensione,
associazione di vocaboli e scrittura.

CAPITOLO 12: I DISTURBI DEL LINGUAGGIO SCRITTO


I disturbi della lettura sono definiti alessie o dislessie e consistono nella difficoltà di leggere in soggetti che
hanno acquisito questa abilità prima di un danno cerebrale. Classificazione degli errori di lettura:
 Errori visivi: caratterizzati da somiglianza visiva tra lo stimolo e la risposta del paziente. L’errore
può consistere nella sostituzione, omissione, aggiunta o inversione di una sola lettera. L’errore può
coinvolgere più lettere (mandarino – canarino).
 Errori morfologici o derivazionali: gli errori morfologici colpiscono specificatamente quella parte
della parola che indica il genere, il numero o il tempo. Gli errori derivazionali colpiscono quella
parte della parola che dà indicazioni circa la funzione grammaticale o il preciso referente
semantico. In entrambi i casi la radice della parola è conservata.

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 Errori semantici: risposte che hanno una relazione semantica con lo stimolo. Possiamo ritrovarci
errori superordinari, coordinati, subordinati o associazioni contestuali.
 Sostituzioni di parole-funtore: errori che riguardano le congiunzioni, gli avverbi e i pronomi.
 Regolazioni: la regolazione riguarda le parole irregolari, dove la risposta non contiene errori formali
di lettura ma non rispetta le normali consuetudini della lingua. In italiano la regolazione riguarda
soprattutto la collocazione dell’accento.
 Lessicalizzazioni: errore di lettura di sequenze di lettere che non hanno significato, cioè di non-
parole.
Errori nella lettura ad alta voce in un qualunque esame di linguaggio sono sufficienti per diagnosticare
dislessia acquisita. Per la diagnosi neurolinguistica risulta importante la produzione di errori di uno stesso
soggetto su parole diverse piuttosto che la comparazione con la lettura ad alta voce di altri soggetti.
Una moderna classificazione diagnostica della dislessia tiene conto dell’analisi quantitativa e qualitativa
degli errori commessi nella lettura ad alta voce, dividendo le dislessie in:
 Dislessie periferiche
 Dislessie centrali
I pazienti con dislessia periferica producono errori legati alla conformazione fisica della parola, ma non alle
caratteristiche linguistiche dello stimolo. Tra le dislessie periferiche troviamo:
 Dislessia da eminegligenza spaziale;
 Errori visivi secondo una caratteristica disposizione spaziale;
 Dislessia attenzionale: errore nella lettura delle parole in mezzo ad una frase, ma non se
presentate da singolarmente;
 Dislessia lettera per lettera: lettura lenta, monotona e faticosa.
Le dislessie centrarli implicano un deficit dell’elaborazione linguistica dello stimolo, dove la prestazione di
lettura è influenzata dalle variabili linguistiche. Tra le dislessie centrali troviamo:
 Dislessia superficiale: difficoltà nel leggere parole irregolari;
 Dislessia fonologica: errori morfologici e derivazionali;
 Dislessia profonda: errori semantici nella lettura di parole;
 Dislessia diretta o iperlessia: errore della comprensione della lettura.
Le agrafie o disgrafie sono disturbi acquisiti della scrittura normalmente presenti in pazienti afasici, ma che
ritroviamo anche in pazienti non afasici. Pertanto, abbiamo necessità di una catalogazione della tipologia di
errori osservabili. Per la diagnosi delle disgrafie si utilizzano prove di scrittura di singoli stimoli, sia di parole
che di non parole. Gli errori che si possono osservare nella scrittura si possono sovrapporre a quelli
identificati per la lettura:
 Errori morfologici e derivazionali;
 Errori semantici;
 Sostituzione di parole-funtore;
 Regolazioni e lessicazioni.
In scrittura non si possono osservare errori visivi, ma sono possibili altri tre tipi di errori:
1. Errori grafemici costituiti dall’omissione, inversione, delezione o sostituzione di uno o più grafemi;
2. Errori di formazione delle lettere: produzione di lettere alterate o simboli non leggibili;
3. Errori allografici: confondere fra loro versioni diverse dello stesso grafema.
Le prove per la diagnosi delle abilità di scrittura consistono in prove di scrittura di produzione di parole
grafiche. Come nelle prove di lettura è importante notare la quantità di errori di un singolo soggetto e non
la comparazione con altri soggetti.

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Una moderna classificazione diagnostica delle agrafie tiene conto dell’analisi dettagliata sia quantitativa che
qualitativa degli errori commessi nella scrittura e nella produzione di simboli, dividendo le agrafie in:
o Agrafie periferiche
o Agrafie centrali
I pazienti con disgrafia periferica mostrano alterazioni della risposta scritta, ma eseguono bene i compiti di
spelling o di composizione di lettere mobili. Tra le disgrafie periferiche troviamo:
 Disgrafie dovute ad errori grafemici;
 Disgrafie dovute ad errori allo grafici;
 Digrafie dovute ad errori nella formazione delle parole;
 Disgrafia da eminegligenza con errori che riguardano o solo l’inizio delle parole (eminegligenza
sinistra) o la fine delle parole (eminegligenza destra).
I pazienti con disgrafia centrale compiono lo stesso numero e tipo di errori indipendentemente dalla
modalità di produzione della risposta. Tra le disgrafie centrali troviamo:
 Disgrafia fonologica: errori morfologici e derivazionali;
 Disgrafia profonda: errori semantici in prove di scrittura;
 Disgrafia lessicale o superficiale: errori di regolarizzazione;
 Disgrafia da deficit del buffer grafemico: errori grafemici con tutti i tipi di stimoli.

CAPITOLO 13: IL CONTROLLO DEL MOVIMENTO


Il movimento è costituito da un insieme di strutture nervose e muscolari che permette ad un essere vivente
di muoversi, e quindi di poter vivere. Distinguiamo due principali tipi di movimento: movimento volontario
e riflesso nervoso.
Il movimento volontario implica che vi siano dei meccanismi neurali sottostanti che permettono di
scegliere i muscoli adatti e come farli funzionare. Implica che vi sia un piano che porti all’azione e alla scelta
dei muscoli adatti: tale piano è detto il “piano motorio”. Il movimento volontario implica quindi la
«progettazione» dell’atto motorio stesso. Fasi della progettazione dell’atto motorio:
 Decisione di compiere un movimento:
 Influenzata da aspetti motivazionali e ideazionali;
 Prevalentemente a carico della corteccia frontale.
 Coordinazione dei parametri spazio-temporali dell’atto motorio volontario:
 Ampiezza, velocità, intensità, durata, traiettoria;
 Questa coordinazione è garantita da: nuclei della base (movimenti lenti), talamo e
cervelletto (movimenti più rapidi).
 Esecuzione: trasferimento dell’impulso dal motoneurone superiore al motoneurone inferiore.
L’individuo, però, spesso si muove secondo movimenti che conosce molto bene e su cui effettua solo un
controllo generale (automatismi).
Il riflesso nervoso è un fenomeno che consiste in una risposta involontaria, fissa e automatica, con la quale
l‘organismo reagisce a un determinato stimolo. Si realizza attraverso una serie di collegamenti nervosi tra la
struttura recettrice dello stimolo e la struttura effettrice della risposta. Questo circuito nervoso è detto
«arco riflesso». I riflessi vengono classificati in somatici o viscerali, a seconda che riguardino funzioni della
vita di relazione o funzioni della vita vegetativa.
Tra i riflessi somatici vengono distinti:
 i riflessi esterocettivi, o riflessi superficiali, attivati da stimoli che agiscono su esterocettori;
 i riflessi propriocettivi,o riflessi profondi, attivati da stimoli che agiscono su propriocettori.
I riflessi somatici esterocettivi possono essere indotti dalla stimolazione della cute o delle mucose. I più
comuni riflessi cutanei sono il riflesso nervoso addominale, il riflesso plantare.

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I riflessi somatici propriocettivi o profondi sono provocati da stimoli che agiscono sui propriocettori
muscolotendinei, cioè su recettori localizzati all'interno dei muscoli scheletrici, nelle capsule articolari e nei
legamenti.
I riflessi viscerali sono responsabili di diverse attività vegetative quali la vasomotilità, la sudorazione, le
modificazioni della pupilla alla luce e all‘accomodazione, le variazioni dell‘attività cardiaca, il controllo degli
sfinteri vescicale e rettale.
Nella corteccia motoria vi è una rappresentazione del corpo per cui ad ogni singolo punto di essa è
deputato il controllo di una ben definita area del corpo. Del sistema motorio fa anche parte il cervelletto,
situato nella parte posteroinferiore della scatola cranica. Esso si collega con la corteccia motoria e i nuclei
della base affinché i movimenti siano continui e non a scosse, coordinando l'azione dei diversi muscoli. Il
cervelletto è quindi responsabile del controllo del tono muscolare involontario. È inoltre una struttura pari:
presenta 2 emisferi che sono collegati a livello di una struttura impari chiamata verme del cervelletto.
I nuclei della base sono responsabili della programmazione motoria. Essi sono:
 nucleo caudato, costituito da testa, corpo e coda del caudato;
 putamen;
 globo pallido, diviso in un segmento interno ed esterno.
Il midollo spinale ha il compito di trasmettere al cervello gli stimoli sensoriali, ricevere dal cervello gli
impulsi motori e trasmetterli ai muscoli. A livello di ciascuna vertebra fuoriesce una coppia di nervi, detti
nervi spinali: sono 33 paia ed entro ciascuno troveremo sia fibre motorie che sensitive. Ciascuna fibra è
isolata dalle altre perché avvolta da una guaina mielinica, cioè costituita da mielina.
Le informazioni che ci giungono dalla sensibilità dei muscoli e tendini, dalle articolazioni, dalla pelle e dal
”senso dell’equilibrio” fungono da segnali che guidano il controllo nervoso per l’esecuzione corretta del
movimento secondo un certo schema mentale, che mano a mano viene costruito e immagazzinato nella
memoria procedurale. Tutte queste sensazioni determinano la cinestesia, ovvero il “senso del
movimento”. Esso è dato dunque dall’insieme delle sensazioni che provengono dal:
 Tatto;
 Articolazioni, tendini e muscoli;
 Vestibolo-labirinto (senso dell’equilibrio) dell’orecchio interno.
La persona si mette in contatto con la realtà mediante gli organi di senso e i nervi che portano tale
sensibilità. Questi, unitamente ai centri nervosi superiori che ricevono le informazioni, vengono detti
“canali percettivi”. I canali percettivi sono i seguenti: visivo, olfattivo, gustativo, tattile, vestibolare,
muscolo- articolare, dolorifico, piacere-benessere, organico-viscerale. Dal canale muscolo-articolare invece
ci giungono le percezioni della posizione degli arti e della colonna vertebrale.

CAPITOLO 14: IL CONTROLLO DEL MOVIMENTO E LE SUE BASI ANATOMICHE


A livello micro, l’unità fondamentale per il movimento è il motoneurone. È la cellula nervosa su cui
convergono tutte le informazioni provenienti dalle altre parti del sistema nervoso e che invia il segnale
finale al muscolo, attraverso il proprio assone, che forma il nervo periferico motorio. I motoneuroni sono
classificabili in:
 Motoneuroni somatici: innervano direttamente i muscoli scheletrici;
 Motoneuroni branchiali: innervano direttamente i muscoli branchiali;
 Fibre efferenti post gangliari: innervano indirettamente il cuore o i visceri. Essi innervano i neuroni
del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico.
È possibile inoltre distinguere:
 Motoneurone superiore: l’insieme dei neuroni corticali e sotto-corticali dell’encefalo, il cui assone
è coinvolto nel controllo motorio;

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 Motoneurone inferiore: l’insieme dei motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale o dei
nuclei motori dei nervi encefalici, il cui assone innerva la muscolatura striata scheletrica;
 I motoneuroni alpha, suddivisi in alpha 1 (grosse cellule con voluminosi assoni destinate ai muscoli
«bianchi») e alpha 2 (cellule meno voluminose che innervano i muscoli rossi destinati alla funzione
tonica);
 I motoneuroni gamma: piccole cellule motorie con assone sottile la cui funzione è quella di
innervare il fuso neuromuscolare.
L'unità motoria è dunque costituita da un motoneurone alpha e da un certo numero di fibre muscolari
striate. La giunzione neuromuscolare si avvale del neurotrasmettitore acetilcolina.
 Midollo spinale. Ruolo: riflessi spinali; generazione di modelli per la locomozione. Riceve
informazioni da: recettori sensoriali. Invia informazioni a: talamo, tronco encefalico, cervelletto,
corteccia motoria.
 Tronco encefalico. Ruolo: postura, movimenti oculari e delle mani. Riceve informazioni da:
cervelletto, recettori sensoriali. Invia informazioni a: midollo spinale.
 Aree motorie della corteccia cerebrale. Ruolo: programmazione e coordinazione di movimenti
complessi. Riceve informazioni da: talamo. Invia informazioni a: tronco encefalico, midollo spinale,
cervelletto, gangli della base.
Importante: tutte le afferenze alla corteccia sono di tipo eccitatorio.
Aree motorie della corteccia cerebrale sono:
 corteccia motoria primaria;
 corteccia premotoria e motoria supplementare.
 Cervelletto. Ruolo: monitora le informazioni uscenti dalla corteccia cerebrale e aggiusta il
movimento. Riceve informazioni da: midollo spinale, corteccia cerebrale. Invia informazioni a:
tronco encefalico, corteccia cerebrale (notare: tutte le informazioni uscenti sono inibitorie).
Cervelletto, in particolare:
 vestibolo-cervelletto (archicervelletto): mantenimento equilibrio e stabilizzazione dello
sguardo;
 spino-cervelletto (paleocervelletto): movimento tronco e arti;
 cerebro-cervelletto (neocervelletto): programmazione movimento volontario.
 Talamo. Ruolo: contiene nuclei di collegamento che trasferiscono le informazioni alla corteccia
cerebrale. Riceve informazioni da: gangli della base, cervelletto, midollo spinale. Invia informazioni
a: corteccia cerebrale.
 Nuclei della base. Ruolo: programmazione motoria. Riceve informazioni da: corteccia cerebrale.
Invia informazioni a: corteccia cerebrale, tronco encefalico.
Le vie discendenti sono un gruppo numeroso ed eterogeneo di vie nervose, caratterizzate dal fatto di avere
come bersaglio centri nervosi situati a un livello gerarchicamente inferiore rispetto a quello di origine. Le
vie discendenti motorie hanno origine sia dalla corteccia cerebrale sia dal tronco encefalico.
Tre originano dalla corteccia cerebrale:
1. Fascio corticospinale laterale;
2. Fascio corticospinale anteriore;
3. Fascio cortico bulbare.
Quattro originano dal tronco encefalico:
1. Fascio rubrospinale;
2. Fasci reticolo spinali;
3. Fascio tettospinale;
4. Fasci vestibolospinali.

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I fasci sono ancora classificabili in:
 Via piramidale: comprende il fascio corticobulbare e quello corticospinale.
 Via extrapiramidale: comprende tutto il resto delle vie motorie.
La via piramidale è deputata al controllo volontario del movimento.
La via extrapiramidale agisce direttamente o indirettamente sulla coordinazione motoria, controlla le
reazioni istintive e le integra all’interno del movimento volontario, di cui la via piramidale è principalmente
responsabile.

CAPITOLO 15: I DISTURBI DELLA PROGRAMMAZIONE MOTORIA


Le aprassie sono disturbi del movimento volontario. Le aprassie interessano qualunque tipo di gesto. I gesti
si distinguono in:
 gesti aventi un significato: gesti simbolici o relativi all’uso degli oggetti;
 gesti privi di significato: gesti non simbolici, atti motori privi di senso.
Le aprassie comportano una dissociazione automatico-volontaria. L’aprassia non va confusa con:
o Dismetria: alterazione dell’ampiezza del movimento;
o Atassia: alterazione della direzione del movimento;
o Freezing: alterazione della prontezza del movimento;
o Bradicinesia: alterazione della velocità del movimento;
o Ipostenia: alterazione della forza;
o Adiadococinesia: alterazione del ritmo del movimento;
o Asinergia: alterazione nella scioltezza del movimento.
I principali tipi di aprassie sono:
 Aprassia ideomotoria: consiste nell’incapacità del paziente, una volta rievocata la rappresentazione
di un determinato movimento che viene richiesto, di eseguirlo attivando la corretta sequenza
motoria per attuare il movimento stesso (non sa COME fare).
 Aprassia ideativa: consiste nell’incapacità da parte del paziente a rappresentarsi mentalmente un
determinato gesto da compiere (non sa COSA fare).
 Aprassia mielocinetica: è un disturbo che consiste nell’esecuzione con estrema lentezza di
movimenti che appaiono, quindi, imprecisi e grossolani.
Perdita della melodia cinetica: il paziente manifesterà: perdita della capacità di automatizzare le
azioni, perdita della capacità di fornire la giusta fluenza alle sequenze motorie.
 Aprassia del tronco: consiste nell’incapacità da parte del paziente ad eseguire correttamente
movimenti complessi con il corpo che coinvolgono la muscolatura assiale. Il paziente, in altre
parole, ha difficoltà nell’espressione gestuale con la muscolatura assiale (per esempio: difficoltà a
sedersi ed alzarsi dalla sedia).
 Aprassia del cammino: è un tipo di aprassia del tronco che è caratterizzata da: difficoltà ad iniziare
il cammino, tendenza del paziente a guardare i propri piedi come se fossero calamitati al terreno,
calpestio preparatorio (il paziente solleva il piede dal pavimento senza spostarlo in avanti), ecc.
 Aprassia bucco-facciale (o orale): consiste nell’incapacità da parte del paziente di eseguire
movimenti con l’apparato faringo-bucco-facciale (per esempio: difficoltà a toccarsi il labbro).
 Aprassia costruttiva: consiste in un disturbo dell’attività di eseguire elaborazione visuo-spaziale in
compiti costruttivi quali costruzione, composizione, disegno.
Gli errori di contenuto sono:
o Perseverazioni;
o pantomime ben eseguite ma diverse da quella richiesta, pur essendo semanticamente correlate;
o pantomime non semanticamente correlate;

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o pantomime senza l’uso dell’oggetto.
Gli errori temporali sono:
o errori di sequenza;
o delezioni;
o aggiunte.
Gli errori spaziali sono:
o I movimenti interferenti;
o Gli errori nell’ampiezza del movimento;
o Gli errori di “configurazione interna”.
Gli errori bucco-facciali sono:
o sostituzioni: un movimento viene sostituito da un altro movimento;
o movimenti orali addizionali: movimenti in aggiunta a quelli richiesti;
o esecuzione incompleta o assente;
o conduite d’approche: analoghe a quelle verbali;
o movimenti amorfi;
o perseverazioni.
Aprassia ideomotoria:
 Richiesta di esecuzione di gesti intransitivi;
 Test di imitazione di movimenti.
Aprassia ideativa: prove che prevedono l’utilizzo di più oggetti in sequenza (per esempio: preparare il
caffè).
Aprassia mielocinetica:
 Prove che prevedono l’esecuzione di movimenti sotto imitazione, privi di significato o con le dita
della mano.
 Prove basate su: esecuzione di gesti, imitazione di posture, utilizzazione di oggetti.
Aprassia del tronco:
 far compiere al paziente semplici movimenti degli arti in posizione supina: simulare il movimento
della pedalata in bicicletta;
 valutare se è in grado di mantenere la stazione eretta senza supporti con il test della tirata;
 valutare la “messa in moto”, cioè l’inizio del cammino.
Aprassia bucco-facciale: richiesta di esecuzione di gesti: soffiare, fischiare, fare una pernacchia, dare un
bacio, raschiarsi la gola.

CAPITOLO 16: I DISTURBI DELLO SPAZIO CORPOREO


La negligenza spaziale unilaterale o eminegligenza spaziale unilaterale, nota anche con il termine
anglosassone neglect, è un disturbo della cognizione spaziale nel quale, a seguito di una lesione cerebrale, il
paziente ha difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione e non è consapevole degli stimoli
presenti in quella porzione di spazio esterno o corporeo. La consapevolezza degli stimoli presenti nella
porzione di spazio corporeo possono essere alterati con manifestazioni comportamentali correlate ad
alterazioni dello spazio corporeo chiamate eminegligenza corporea o personale, o emisomatoagnosia.
L’eminegligenza corporea si osserva prevalentemente dopo lesioni dell’emisfero destro. La manifestazione
clinica dell’eminegligenza spaziale è quella di ignorare la parte sinistra del corpo. Per valutare la presenza di
emisomatoagnosia si chiede al paziente di toccare una qualsiasi parte del corpo a sinistra: il paziente avrà
difficoltà e normalmente fermerà la mano sulla parte mediale del corpo. Il paziente con eminegligenza
spaziale corporea può manifestare somatoparafrenia. La somatoparafrenia è un disturbo del pensiero: idee
deliranti sulla metà corporea ignorata, idee che riguardano l’estraneità della parte del corpo sinistra e che a

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volte possono far pensare che qualcuno abbia messo quella parte del corpo affianco. L’eminegligenza
motoria consiste nel trascurare l’uso spontaneo degli arti di sinistra pur senza deficit motori. I pazienti
possono manifestare una reale paralisi di metà del corpo e quindi la metà sinistra è completamente
paralizzata. I pazienti affetti da emisomatoagnosia possono presentare anosognosia, cioè la tendenza non
solo ad ignorare la parte del corpo colpita ma anche la malattia stessa. In altri casi i pazienti sono in grado
di riconoscere la malattia ma hanno nei confronti della stessa un distacco emotivo e la tendenza
all’indifferenza, definita anosodiaforia. Altri disturbi della consapevolezza corporea sono:
 Somatoparafrenia: negazione dell’arto plegico e negazione della patologia in atto, spesso associato
quindi all’anosognosia.
 Anosognosia: negazione della malattia e anosognosia per l’emiplegia. La negazione esplicita
verbale è definita anosognosia e l'indifferenza è stata definita anosodiaforia.
L’emisomatoagnosia è un disturbo non facilmente rilevabile. Per valutarlo si fa riferimento all’osservazione
clinica.
Test del pettine e del rasoio: in questo test ai pazienti viene chiesto di far finta di radersi (per le donne
mettere la cipria) e di pettinarsi. Ai pazienti vengono concessi 30 secondi per eseguire la simulazione.
L’esaminatore conta il numero di “rasoiate” e di “colpi di pettine” eseguiti. Per ciascuna prova viene dato
un punteggio che valuta sia quantitativamente che qualitativamente l’azione.
All’emisomatoagnosia si possono associare altri disturbi neurologici:
 Emianestesia, perdita della sensibilità dell’emisoma controlaterale alla sede della lesione.
 Fenomeni allucinatori, come la percezione di movimento dell’arto plegico o la presenza di arti
sovrannumerari.
Un disturbo del controllo dello spazio corporeo specifico della capacità di identificazione e localizzazione di
parti del proprio corpo è definito autotopoagnosia.
Altri disturbi della localizzazione corporea:
 Agnosia digitale: autotopoagnosia limitata alle dita;
 Sindrome di Gerstmann: sindrome caratterizzata da: agnosia digitale, disorientamento destra
sinistra sia sul proprio corpo che su quello dell’esaminatore, agrafia e acalculia;
 Lesione ipotizzata: giro angolare sinistro.
La valutazione della localizzazione di parti corporee si può realizzare attraverso prove formalizzate. La
batteria di test maggiormente utilizzata comprende test verbali e non verbali.
Gli errori tipici dei pazienti possono essere:
 Errore di localizzazione, si tocca una parte del corpo diversa;
 Errori di contiguità;
 Errori funzionali.
Quando il disturbo della localizzazione corporea si riferisce su un’altra persona, come l’esaminatore,
nominiamo questo disturbo somatotopoagnosia. La somatotopoagnosia fa riferimento a lesioni del lobo
parietale sinistro e per questa tipica localizzazione è spesso associata ad afasia ed aprassia ideomotoria. La
rappresentazione corporea è uno schema complesso, definito schema corporeo, che consta di:
 Conoscenze spaziali: estensione del corpo, localizzazione delle parti corporee.
 Conoscenze strutturali: come è fatto il corpo e le sue parti.
 Conoscenze semantiche: conoscenze enciclopediche relative al corpo e alle sue parti.

CAPITOLO 17: I DISTURBI DELLO SPAZIO EXTRACORPOREO


La sindrome di eminegligenza spaziale o negligenza spaziale unilaterale, denominata anche
emiinattenzione o con il termine inglese neglect indica una patologia caratterizzata da difficoltà ad
esplorare, prestare attenzione, percepire e agire nel mondo esterno, nello spazio controlaterale alla lesione

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cerebrale. Quando il disturbo impedisce anche di immaginare questo spazio viene definito eminegligenza
immaginativa. I due sintomi fondamentali che caratterizzano il neglect sembrano essere i seguenti:
 una ridotta capacità di rispondere a stimoli presentati nell'emispazio controlaterale alla lesione, in
assenza di deficit delle aree sensoriali primarie;
 una marcata riduzione nella capacità di esplorare attivamente l'emispazio contro laterale alla
lesione.
L’eminegligenza spaziale nella maggior parte dei pazienti va incontro ad un recupero spontaneo, a distanza
di giorni o di poche settimane dall'insorgenza della lesione cerebrale.
Conseguenze comportamentali del neglect:
 incapacità di vestirsi, radersi, truccarsi la metà sinistra del corpo;
 omissione del cibo nel lato sinistro del piatto.
I singoli pazienti con neglect possono presentare manifestazioni cliniche molto diverse tra di loro, con
deficit selettivi in compiti diversi o a livelli diversi. Le dissociazioni più rilevanti sono:
 La dissociazione tra sistemi di riferimento: si riferisce ad un’eminegligenza che può essere di tipo
egocentrico o allocentrico.
 La dissociazione tra i settori dello spazio: fa riferimento al corpo e all’eminegligenza che riguarda il
proprio corpo o quello degli altri.
 La dissociazione tra meccanismi causali: fa riferimento ad un’eminegligenza percettiva.
 La dissociazione tra modalità sensoriali: si riferisce ad un’eminegligenza che può riguardare un
senso.
 La dissociazione tra compiti: fa riferimento ai compiti di cancellazione.
 La dissociazione tra materiali: si riferisce al neglect del viso e il neglect associato a dislessia.
Le strutture anatomiche più frequentemente sede di lesione nei pazienti con eminegligenza spaziale sono
le aree corticali parietali.
La lesione in alcuni casi può riguardare i gangli della base e il talamo.
I compiti neuropsicologici impiegati ai fini diagnostici, prognostici e riabilitativi sono:
 Compiti per valutare il neglect per lo spazio vicino (test di barrage, disegno su copia e tracing e
bisezione di linee e Landmark Task con risposta manuale):
 compiti con componente visuo-motoria: tipicamente coinvolgono la modalità visiva e
implicano una risposta motoria (di solito uso della mano ipsilaterale);
 compiti percettivi.
 Compiti per valutare il neglect di tipo rappresentazionale;
 Compiti per valutare il neglect corporeo personale.

 Test di barrage. È un compito per valutare il neglect dello spazio vicino.


Compiti che richiedono l’esplorazione visuo-motoria. Al paziente è richiesto di barrare con una
matita, usando la mano ipsilaterale, tutti gli stimoli presentati su un foglio posto di fronte a lui. È
libero di muovere testa ed occhi. Consentono di distinguere i pazienti con emianopsia (perdita della
metà del campo visivo) dai pazienti con neglect.
 Disegno su copia. Il disegno su copia consente di evidenziare la tendenza del paziente ad omettere
o ad alterare alcune o tutte le parti di sinistra del modello da copiare.
 Bisezione di linee. Nel compito di bisezione di linee il paziente deve usare l’arto controlaterale alla
lesione cerebrale per segnare la metà di alcuni segmenti presentati su un foglio.
Compiti per valutare il neglect per lo spazio vicino:
 Compiti percettivi: coinvolgono solo la modalità visiva e non implicano una risposta motoria.
Compiti per valutare il neglect di tipo rappresentazionale:

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 Disegno su comando verbale e spontaneo;
 Descrizione verbale di immagini mentali;
 Localizzazione di città/stati su una mappa.
Compiti per valutare il neglect corporeo personale: il neglect si può presentare in presenza di disturbi dello
spazio corporeo che viene valutato con l’osservazione dei gesti quotidiani o con scale standardizzate che
riproducono o mimano gesti. Al paziente può venir chiesto di toccarsi con la mano destra parti del corpo a
sinistra.

CAPITOLO 18: LA VISIONE


La vista è la modalità sensoriale più sviluppata nell’uomo. Il sistema visivo non registra semplicemente i
segnali luminosi presenti nell’ambiente, ma li elabora dando vita ad una percezione organizzata attraverso
meccanismi con forte componente cognitiva, che permettono di interpretare l’immagine e le associano un
significato. Per capire il meccanismo della visione umana dobbiamo distinguere tre parti:
 L'occhio: un sistema ottico che forma e proietta le immagini su una superficie sensibile.
 La retina: una superficie sensibile che raccoglie le immagini, ne fa una prima elaborazione e
trasmette l'informazione ai centri superiori.
 Il cervello: un elaboratore dei dati provenienti dalla retina che li elabora ulteriormente e "forma"
l'immagine definitiva.
Occhio: è l’organo sensoriale del sistema visivo. Anatomia dell’occhio:
 Membrana esterna: sclera, cornea;
 Membrana intermedia: uvea, coroide, corpo ciliare e iride;
 Membrana interna: retina, fovea, disco ottico.
Retina: la superficie sensibile dell'occhio è costituita dai fotorecettori (i bastoncelli ed i coni). Gli assoni
delle cellule gangliari si riuniscono in modo da formare il nervo ottico.
Fotorecettore: neuroni specializzati che si trovano sulla retina. Nella struttura dei fotorecettori si possono
identificare tre parti:
 segmento esterno: caratterizzato da strutture membranose (chiamate "dischi"), su cui sono
posizionati i pigmenti che reagiscono allo stimolo dei fotoni (luce che arriva in "pacchetti" detti
quanti);
 segmento interno: caratterizzato dalla presenza degli organelli interni;
 terminazione sinaptica: permette la trasmissione dei segnali dal fotorecettore alle cellule bipolari
mediante sinapsi.
Tipi di fotorecettori:
o Bastoncelli: sono più sensibili al movimento, sono impiegati per la visione al buio (scotopica) e si
concentrano nella zona periferica della retina.
o Coni: si concentrano nella zona centrale della retina (la fovea) e sono deputati alla visione dei colori
(fotopica) e alla visione distinta.
Tutto il fondo dell'occhio è ricoperto dai fotorecettori, tranne che in un punto, dove convergono i nervi e i
vasi sanguigni della retina, pertanto questo punto non è sensibile alla luce, è una zona senza informazioni.
Tuttavia, il cervello riesce a ricostruire l'immagine mancante attraverso un processo chiamato "filling in".
Decussazione: incrocio di fibre nervose costituenti i nervi ottici. La decussazione avviene nel chiasma ottico.
Un oggetto nell’emicampo sinistro proietta alla porzione nasale della retina sinistra e a quella temporale
della retina destra. La porzione nasale sinistra incrocia nella parte destra del chiasma per cui tutto quello
che è presente nell’emicampo sinistro “viene visto” dall’emisfero destro e viceversa. Le fibre che decussano
si associano a quelle della metà laterale del nervo ottico del lato opposto, che non decussano e formano i
tratti ottici, che fuoriescono posteriormente al chiasma.

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Nucleo genicolato laterale: i due NGL (destro e sinistro) sono localizzati sul talamo dorsale e rappresentano
il principale bersaglio del tratto ottico. Sono composti da 6 strati di cellule. È importante notare come il NGL
destro riceve informazioni sul campo visivo sinistro e viceversa, infatti a questo livello l’input visivo dei due
occhi viene mantenuto separato. 6 strati di cellule:
 Magnocellulari: i primi 2, presentano grandi neuroni – campi ricettivi ampi.
 Parvocellulare: gli ultimi 4, presentano neuroni più piccoli e campi ricettivi altrettanto piccoli.
Corteccia visiva primaria (V1), detta anche «striata»: le cellule della corteccia visiva sono organizzate in
sistemi funzionali verticali, i cui neuroni posseggono proprietà di risposta analoghe. In V1 vi è la mappa
retinotopica, ovvero la proiezione ordinata e puntuale delle informazioni visive ricevute dalla retina.
Tre sono le caratteristiche della mappa retinotopica:
 la mappatura del campo visivo fornita dalla retina viene distorta;
 un singolo stimolo luminoso attiva diffusamente la corteccia striata con un picco nella
corrispondente posizione retinotopica nella mappa;
 la mappa retinotopica deve essere letta correttamente. Il cervello deve interpretare l’attività
nervosa distribuita per consentire la visione.
Aree visive extrastriate – V2 = corteccia visiva secondaria: nota anche come corteccia pre-striata, è la
seconda area più estesa della corteccia visiva, e la prima regione all'interno dell'area associativa visiva.
Aree visive extrastriate – V3 = corteccia visiva terziaria complessa: ha connessioni più deboli con la l'area
visiva primaria, e connessioni più forti con la corteccia temporale inferiore.
La separazione delle vie magnocellulari e parvocellulari in V1 permette di identificare due distinti flussi di
elaborazione visiva nella corteccia:
 una via dorsale, o via «del dove», implicata nell’analisi del movimento;
 una via ventrale, o via «del cosa», implicata nel riconoscimento degli oggetti.

CAPITOLO 19: I SISTEMI SENSORIALI NON VISIVI


Un sistema sensoriale è una parte del sistema nervoso che consiste di recettori sensoriali, vie nervose e
parti del SNC responsabili dell’elaborazione dell’informazione. La funzione del sistema sensoriale è quella di
informare l’individuo su sensazioni che possono derivare tanto dal mondo esterno (sensibilità
esterocettiva) quanto dal nostro stesso organismo (sensibilità introcettiva e propriocettiva).
Per stimolo si intende una variazione apprezzabile dell’ambiente esterno o interno. Ogni recettore è
specifico per un determinato tipo di stimolo. Si parla di stimolo adeguato. Lo stimolo più debole che viene
riconosciuto da un sistema è detto soglia. È importante anche sapere quanto a lungo lo stimolo permane
nel tempo. L’andamento temporale di uno stimolo è una caratteristica fondamentale. Quando uno stimolo
perdura nel tempo l’intensità percepita diminuisce e si parla di adattamento. Esistono recettori a rapido
adattamento e recettori a lento adattamento. Il meccanismo dell’adattamento può essere a livello
periferico o centrale. A livello periferico può dipendere da vari fattori. L’adattamento a livello centrale può
dipendere da meccanismi di inibizione sinaptica. A questo caso appartiene l’adattamento dei recettori per
gli odori. In base al tipo di stimolo al quale un recettore risponde si parla di:
 Chemorecettori: rispondono a segnali chimici;
 Meccanocettori: rispondono a distorsioni di tipo meccanico (tatto, pressione, udito);
 Termocettori: rispondono a variazioni di temperatura;
 Fotocettori: rispondono a stimoli luminosi (fotoni).
I recettori possono inoltre essere classificati come:
 Esterocettori: rispondono a stimoli provenienti dall’esterno;
 Introcettori: rispondono a stimoli interni come temperatura, pressione, composizione chimica dei
liquidi corporei.

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 Propriocettori: forniscono informazioni relative alla posizione degli arti.
I recettori tattili e pressori sono ampiamente distribuiti nella pelle. Tre dei recettori coinvolti nel tatto e
nella pressione sono:
 Terminazioni dendritiche di neuroni sensoriali: interposte tra le cellule epiteliali della pelle:
importanti per la percezione degli oggetti che sono a contatto con la pelle e per la percezione del
dolore.
 Corpuscoli di Meissner: terminazioni di nervi sensoriali circondate da tessuto connettivo; sensibili
alle sensazioni tattili localizzate: importanti nella percezione di leggeri stimoli tattili discriminativi.
 Corpuscoli del Pacini: circondati da diversi strati di tessuto connettivo; comuni nel derma profondo
e nel tessuto sottocutaneo, nei tendini e nei legamenti; stimolati da forti pressioni.
Temperatura: i termocettori sono localizzati immediatamente al di sotto della pelle e sono ampiamente
distribuiti; includono due tipi di terminazioni nervose per la percezione delle variazioni di temperatura:
recettori per il caldo e recettori per il freddo. Temperature < 10° C e >25° C stimolano recettori dolorifici.
Dolore: il senso del dolore è generato dai nocicettori, che sono terminazioni nervose libere stimolate da un
danneggiamento del tessuto. Essi hanno una funzione protettiva.
Propriocezione: è il senso della postura; permette di percepire la localizzazione e la velocità del movimento
di una parte del corpo rispetto ad un’altra. Organi tendinei del Golgi si trovano a livello delle giunzioni dei
tendini con i muscoli.
Il sistema uditivo è in grado di scomporre i suoni complessi in suoni puri e di codificarne l’ampiezza, la
frequenza ed il timbro. Le cellule ciliate del sistema uditivo sono presenti nell’orecchio interno,
esattamente nell’organo del Corti. Le cellule ciliate, inoltre, rilasciano tramite estremità basale i
neurotrasmettitori che entrano in contatto con gli assoni periferici dei neuroni bipolari i cui corpi cellulari
sono localizzati nel ganglio spirale e le branche danno origine al nervo acustico. Il nervo acustico è in grado
di trasmettere il segnale nervoso dalla periferia al centro. La corteccia uditiva è localizzata nel lobo
temporale. L’informazione sonora, dopo essere stata ricevuta, giunge alla corteccia uditiva primaria che è la
prima area a ricevere questi dati. La corteccia uditiva primaria è tonotopica, ossia analizza le caratteristiche
dell’onda sonora in arrivo come l’altezza, l’intensità o l’ampiezza, il timbro o il ritmo.
L’olfatto è un senso chimico, poiché i suoi recettori rispondono a stimoli chimici. Per suscitare la
sensazione, una sostanza deve anzitutto essere allo stato gassoso. L’organo dell’olfatto è il naso, che
costituisce anche la principale via d’ingresso dell’aria per il sistema respiratorio. Le cellule recettoriali
olfattive sono diverse da tutti gli altri recettori sensoriali; queste, infatti, non sono protette da nessuna
struttura e sono connesse direttamente al cervello. La perdita dell’olfatto (anosmia o cecità agli odori) può
provocare deficit molto importanti, per esempio al senso del gusto, o alla capacità di prendere coscienza di
determinati pericoli, non solo nel caso classico di una fuga di gas, ma anche perché alcune malattie
neurodegenerative (Alzheimer o Parkinson) possono iniziare a mostrare i loro effetti dalla perdita
dell’olfatto.

CAPITOLO 20: I DISTURBI VISUO-SPAZIALI


I disturbi visuo-spaziali sembrano essere implicati in numerose abilità, quali soprattutto la matematica,
l'abilità di problem-solving, la scrittura e la comprensione del testo. Sono correlati alle abilità motorie, quali
la coordinazione oculo-manuale e la motricità fine.
Percezione spaziale: consiste nell’analisi delle relazioni spaziali fra stimoli (oggetti) ed osservatore e fra
stimoli tra di loro.
Modalità con cui è possibile ottenere un’informazione spaziale e derivarne una percezione spaziale:
 Modalità visiva, attraverso la quale è possibile:
 localizzare gli stimoli

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 percepire l’orientamento delle linee
 percepire la distanza, la profondità e lo spessore
 Modalità tattile
 Modalità uditiva.
Disturbi della percezione visiva dello spazio (disturbi visuo-spaziali). Consistono in:
 disturbo nella capacità di localizzare gli stimoli;
 disturbo della percezione dell’orientamento di linee;
 disturbo nella percezione della distanza (profondità e spessore).
Disturbo di coordinazione visuo-motoria. Sono rappresentati dall’atassia ottica o visuomotoria. Questo
disturbo consiste in una spiccata imprecisione di movimenti dell’arto superiore verso un obiettivo posto nel
campo visivo
Sindrome di Bàlint-Holmes: è caratterizzata dai seguenti quattro sintomi: aprassia dello sguardo, atassia
ottica, deficit attentivi, deficit di valutazione delle distanze degli oggetti. È costituita dall'associazione di tre
disturbi neuropsicologici:
 Simultaneoagnosia: incapacità ad osservare una scena nel suo complesso e nella tendenza a
prestare attenzione a un solo dettaglio alla volta.
 Atassia ottica: incapacità di indicare o raggiungere col dito gli elementi presentati per via visiva, a
differenza degli stimoli presentati per altri canali sensoriali che riescono ad essere raggiunti.
 Aprassia dello sguardo: consiste nell'incapacità di spostare lo sguardo verso uno stimolo visivo.
Il deficit attentivo più frequentemente osservato nei pazienti con sindrome di Balint-Holmes consiste
nell'incapacità di notare altri oggetti presenti nel campo visivo mentre se ne fissa uno, disturbo definito
simultaneoagnosia ventrale o di Wolpert. Tale disturbo consiste nell'incapacità di cogliere il significato
complessivo di una scena pur riuscendo a descriverne i singoli elementi. Secondo alcuni autori questo
disturbo è dovuto alla difficoltà di sganciare l'attenzione spaziale dal punto di fissazione per dirigerla in
qualsiasi punto del campo visivo.
Sindrome evolutiva da disfunzione dell’emisfero destro, è una sindrome dovuta a disfunzione
dell’emisfero destro che si caratterizza nei bambini per la presenza dei seguenti disturbi: disturbi visuo-
spaziali, difficoltà in compiti matematici, difficoltà in compiti di disegno, presenza di eccessiva timidezza:
tendenza ad evitare lo sguardo altrui, assenza di accentuazioni prosodiche e gestuali che normalmente
accompagnano il linguaggio parlato.
Disturbo della memoria spaziale. Incapacità di ricordare e richiamare informazioni di tipo spaziale nel
breve termine e nel lungo termine.
Disturbi dell’orientamento topografico. Il disorientamento topografico consiste nella perdita del senso
dell'orientamento spaziale e nell’ incapacità di collocarsi adeguatamente entro le condizioni spaziali,
nonché rispetto alla propria persona e all'ambito in cui ci si trova. Quando si manifesta in modo graduale, la
mancanza di orientamento rispetto allo spazio può essere conseguenza del naturale processo di
invecchiamento. In altri casi, questo sintomo dipende da lesioni alle strutture del sistema nervoso centrale
o da patologie degenerative cerebrali.
Paramnesia reduplicativa per i luoghi. È una sindrome delirante caratterizzata dall'alterata identificazione
dei luoghi, per cui il soggetto crede che un luogo o una scena sia stata duplicata, che esiste in due o più
posti contemporaneamente, oppure che è stato "trasferito" in un altro luogo. Fa parte delle sindromi da
falso riconoscimento ed è di solito associata a casi di lesioni all'emisfero cerebrale destro.
Tipi di fenomeni reduplicativi:
 Primo tipo: la reduplicazione produce un vero e proprio mondo parallelo;
 Secondo tipo: la reduplicazione si sposta da un posto all’altro.
Disturbi nella percezione tattile dello spazio. Possono manifestarsi a livello:

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 Tattile superficiale
 Dolorifico
 Termico
 Vibratorio
Disturbi nella percezione uditiva dello spazio:
 Afasia di Wernicke
 Agnosia uditiva
 Amusia: incapacità di riprodurre suoni musicali o ritmi
 Tinnito: percezione di un segnale acustico costante
 Acufene: percezione di una sensazione sonora derivante esclusivamente da attività all’interno del
sistema nervoso centrale senza alcuna attività vibratoria meccanica a livello della coclea e non
correlata a qualsiasi stimolazione esterna.
Via n.1: via occipito-parietale. Coinvolta in operazioni visuo-spaziali. Deficit in sede occipito-parietale
provocano disfunzioni nell’analisi delle caratteristiche visuo-spaziali.
Conseguenze di una lesione occipito-parietale:
o Achinetopsia: disturbo della percezione del movimento degli oggetti;
o Atassia ottica: disturbo del raggiungimento di un oggetto sotto la guida della vista;
o Sindrome di Balint Holmes.
Via n.2: via occipito-temporale. Coinvolta in riconoscimento degli oggetti, identificazione della forma degli
oggetti, stereopsi globale. Deficit in sede occipito-temporale provocano disfunzioni nel riconoscimento
(oggetti, volti).
Conseguenze di una lesione occipito-temporale:
o Deficit del riconoscimento di colori: acromatopsia;
o Deficit del riconoscimento di volti: prosopagnosia;
o Agnosie visive per gli oggetti.

CAPITOLO 21: I DISTURBI DEL RICONOSCIMENTO: LE AGNOSIE


L’agnosia è un disturbo percettivo che consiste nell’incapacità di riconoscere gli oggetti. Per comprendere
il meccanismo delle agnosie possiamo utilizzare un modello secondo cui il riconoscimento degli oggetti
avviene a due livelli di analisi:
 al primo livello (livello percettivo) avviene l’integrazione dei dati sensoriali elementari in forme
complesse;
 al secondo livello (associativo) avviene il confronto tra ciò che viene percepito e le conoscenze
immagazzinate nella memoria.
Un deficit del primo livello porta all’agnosia appercettiva, un deficit del secondo all’agnosia associativa.
Si parla di agnosia appercettiva quando il soggetto, in assenza di un danno sensoriale, non è in grado di
unificare i contenuti della percezione in un’unità strutturata. Si distinguono tre tipi di agnosia appercettiva:
 L’agnosia per la forma: il paziente non riesce a ricavare la configurazione esterna dell’oggetto;
 L’agnosia integrativa: il paziente fallisce nell’integrare le singole caratteristiche dell’oggetto in una
struttura complessiva unitaria;
 L’agnosia trasformazionale: il paziente non riesce a trasformare la struttura globale dell’oggetto.
L’agnosia associativa, invece, si presenta quando un paziente, la cui analisi percettiva è integra, non è in
grado di confrontare la rappresentazione percettiva strutturata di uno stimolo con le conoscenze presenti
nel cosiddetto “magazzino semantico” e quindi di attivare le conoscenze relative all’oggetto evocato,
dandogli un nome o rievocandone l’uso. Il paziente può essere in grado di riconoscere visivamente un
coltello o un cacciavite come oggetti conosciuti, ma non sa dire a cosa servano.

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Secondo la qualità sensoriale dell’oggetto che non viene riconosciuto distinguiamo:
 Agnosia visiva: incapacità di riconoscere gli oggetti visti, indipendentemente da disturbi periferici
dell’apparato visivo. Distinguiamo tra le agnosie visive:
 Agnosia per le cose: oggetti, immagini di oggetti, colori.
 Agnosia per lo spazio: il malato ignora tutti gli oggetti situati in una metà dello spazio (di
solito quello di sinistra).
 Agnosia per i volti: Prosopoagnosia. Incapacità di riconoscere il volto dei familiari e
nemmeno il proprio volto riflesso da uno specchio.
Esiste anche una forma di agnosia topografica, come incapacità di riconoscere o ricordare i tipici
luoghi familiari o domestici. A queste si aggiunge l’agnosia per i colori, cioè l’impossibilità di
riconoscere i colori, da non confondere con il daltonismo, che è, invece, un disturbo della vista.
 Agnosia tattile (Astereoagnosia): incapacità di riconoscere gli oggetti con il tatto (senza l’aiuto
della vista). Tra le agnosie tattili collochiamo anche:
 amorfognosia, che riguarda la forma e le dimensioni degli oggetti;
 ailognosia, che investe una valutazione corretta del peso e delle caratteristiche
materiali/termiche degli oggetti;
 asimbolia, cioè l’agnosia tattile propriamente detta, l’agnosia delle dita, detta anche
agnosia digitale in quanto incapacità di riconoscere le proprie mani;
 onosoagnosia, vale a dire l’incapacità di riconoscere la propria patologia;
 autotopoagnosia, che implica l’incapacità di individuare e indirizzare le diverse parti del
corpo nello spazio.
Somatoagnosia: il malato ignora la presenza di una parte del proprio corpo realmente presente.
 Agnosia uditiva: incapacità di riconoscere i suoni (in assenza di sordità). Secondo le qualità degli
stimoli sonori, si distingue:
 sordità verbale;
 amusia per canzoni, note, strumenti, ritmi, ecc.; agnosia per i rumori (incapacità di
riconoscere gli oggetti dal suono che producono).
Sede della lesione: in genere lesioni bilaterali delle aree associative acustiche in regione temporale
posteriore.
Amnesia semantica: è un tipo di agnosia visiva per gli oggetti, in cui il soggetto ha perso le conoscenze sulle
cose, in qualunque modo si cerchi di evocarle.
Afasia tattile: l’afasia tattile è un raro tipo d’agnosia tattile, in cui il soggetto è incapace di riconoscere il
nome di uno stimolo tattile conseguente ad una mancata attivazione della parola da parte degli stimoli che
provengono dai centri uditivi.
Afasia ottica: è un raro tipo d’agnosia visiva per gli oggetti, in cui il soggetto è incapace di evocare il nome
di uno stimolo visivo conseguente al suo mancato riconoscimento, oppure ad una mancata attivazione della
parola da parte degli stimoli che provengono dai centri visivi.
La diagnosi dell’agnosia, spesso di difficile interpretazione, va effettuata tramite alcuni test mirati, che
permettono non solo di individuare il disturbo, ma anche di definirne la gravità.
 Test del Bottom-Up (o test «dalla periferia al centro»). Si tratta di un test dove il paziente deve
stabilire se l’oggetto raffigurato nell’immagine appartiene alla realtà oppure è un oggetto
immaginario.
 Test dell’ippogrifo di Riddoch ed Humphreys. Il soggetto viene interrogato sulla possibile esistenza
o meno delle figure rappresentate in una serie di disegni.

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 Test delle figure con parti mancanti. All’agnostico sono presentate alcune immagini incomplete e
deve scegliere quale tra le alternative proposte è più indicata per completare la prima immagine.
 Test verbali (top down, o dal centro alla periferia). Il paziente è chiamato ad eseguire un disegno,
senza avere un campione da copiare.
 Test di evocazione del gesto. Viene utilizzato un oggetto e consiste nell’azione di mimo, da parte
dello specialista, di un oggetto, mentre il paziente deve scegliere quale immagine è la più indicata
per rappresentarne l’oggetto stesso.
 Test di coloritura di oggetti. L’agnostico, posto davanti a figure prive di sfondo colorato, deve
colorare gli spazi bianchi con il colore più adatto.

CAPITOLO 22: BIOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO E DELLA MEMORIA


La memoria è la funzione che organizza l’aspetto temporale del comportamento e che determina i legami
tra eventi attuali ed eventi accaduti in precedenza. Essa ci permette di basarci sulle conoscenze passate per
utilizzarle nel presente. Il termine ‘apprendimento’ indica un cambiamento relativamente permanente nel
comportamento o nella conoscenza provocato dall’esperienza. La memoria consta di tre operazioni base:
o Codifica: trasformazione dei dati in un tipo di rappresentazione mentale.
o Immagazzinamento: conservazione dell’informazione nella memoria.
o Recupero: l’informazione viene ripresa dal magazzino ed utilizzata.
Codificazione: è un fenomeno che riguarda il fatto che per depositare nuove informazioni c’è bisogno di
concentrare l’attenzione su qualcosa. La codificazione nasce in parte dalla ripetizione, ma soprattutto, per
gli elementi autobiografici, dalla concentrazione dell’attenzione sull’esperienza fatta.
Consolidamento: tale esperienza deve poi essere “consolidata”; tale processo può essere necessario
oppure no; se l’evento che è stato codificato è molto forte, accompagnato da uno stato emotivo molto
violento sia in positivo che in negativo, non necessita di consolidamento perché la traccia mnemonica è
molto forte; se invece tale traccia è più flebile bisogna consolidarla ed il consolidamento può essere legato
alla ripetitività che crea un’ informazione più stabile.
Conservazione: è un meccanismo cellulare che consente di mantenere le memorie che si sono prima
codificate e poi consolidate.
Recupero: tutte queste informazioni verranno poi estratte per essere integrate e per essere ripescate e
ricostruite.
L'ippocampo è legato al talamo tramite dei fasci di sostanza bianca (fornice).
L’ippocampo sembra più attivo nella codifica che nel recupero. L'ippocampo fa parte del sistema limbico,
che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni. Poiché l'ippocampo si occupa della funzione di
selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio
sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative.
Uno dei casi clinici più famosi nelle neuroscienze è quello di un paziente che nominiamo con le sue iniziali: il
paziente H.M. H.M. dall’età di 10 anni soffriva di attacchi epilettici e convulsioni che all’età di 20 anni, per
la loro gravità e frequenza, diventano invalidanti. All’età di 27 anni H. M. viene sottoposto ad un intervento
di rimozione bilaterale di una parte del lobo temporale che comprende l’ippocampo e l’amigdala. Come
conseguenza della chirurgia H.M. manifestò una profonda amnesia anterograda e amnesia parziale
retrograda.
 L'amnesia anterograda impedisce la formazione di nuovi ricordi dopo un trauma come una lesione
cerebrale;
 L'amnesia retrograda è la perdita di ricordi che si sono formati prima di un trauma come una
lesione cerebrale.

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Il caso H.M. ha consolidato l’idea che esistono diversi tipi di memoria separabili per il loro correlato
neurale.
Le più recenti ricerche hanno stabilito che le informazioni vengono immagazzinate in tre depositi differenti
da cui vengono richiamate.
 La memoria sensitiva trattiene per pochi attimi le informazioni che provengono dagli organi di
senso.
 La memoria primaria (memoria a breve termine) è il deposito più limitato dell'encefalo. Le
informazioni sono trattenute nella memoria a breve termine per un periodo variabile tra pochi
secondi e alcuni minuti.
 La memoria secondaria (memoria a lungo termine) immagazzina per lungo termine le
informazioni. Dalla memoria primaria l’informazione passa nella memoria a lungo termine e qui
può essere immagazzinata. La memoria a lungo termine può ritenere un numero molto elevato di
informazioni.
La memoria a lungo termine si può dividere in:
 Memoria dichiarativa o esplicita
 Memoria episodica
 Memoria semantica
 Memoria non dichiarativa o implicita
La memoria implicita si riferisce al cambiamento comportamentale come risultato dell'esperienza,
senza consapevolezza.
Nella memoria episodica è cruciale il ruolo dell’ippocampo e delle strutture del lobo temporale mediale
durante la codifica ed il recupero.
Nella memoria semantica è coinvolto il lobo temporale laterale e la corteccia prefrontale. Anche in questo
caso c’è il coinvolgimento dell’ippocampo.
Nella memoria procedurale sono importanti le procedure motorie.
Priming: fenomeno per cui un oggetto già visto viene processato con più facilità sotto la soglia attentiva.

CAPITOLO 23: BIOLOGIA DELL’ATTENZIONE


Si definisce attenzione il processo cognitivo che permette di dirigere le risorse cerebrali al fine di
selezionare determinati stimoli, ignorandone altri. L’allerta rappresenta il primo livello nella gerarchia
dell’attenzione e contiene tre livelli:
 Attivazione fisiologica (arousal), solo se si è svegli si possono usare i vari livelli di attenzione.
 Fase di preparazione alla risposta, è l’allerta fasica.
 Attivazione prolungata, è allerta tonica.
L’attenzione può esser divisa in sottoprocessi:
 Attenzione selettiva: selezione delle informazioni rilevanti per poter raggiungere scopi o avere
comportamenti coerenti e finalizzati.
 Orientamento nei confronti di uno stimolo: distinzione tra elaborazione di semplici caratteristiche e
di stimoli composti da combinazioni di caratteristiche.
 Attenzione sostenuta: capacità di predisporre e mantenere lo stato di attenzione allo scopo di
processare segnali in arrivo di significativa priorità.
I principi organizzativi dell’attenzione:
a) esiste un circuito attentivo cerebrale che è possibile considerare pressoché distinto da altri sistemi
di elaborazione cerebrale;
b) l’attenzione è supportata da un contesto di aree anatomiche;
c) le aree cerebrali coinvolte nell’attenzione sono implicate in specifici sottoprocessi.

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Concetto di unità funzionale: un gruppo di strutture anatomiche collegate tra loro attraverso vie nervose
per garantire l’espletamento di una funzione.
L’unità funzionale dell’attenzione ha diversi livelli di strutture anatomiche che garantiscono la sua funzione:
 Primo livello: il tronco cerebrale, in particolare la sostanza reticolare. Questo livello è l’interruttore
generale che garantisce e mantiene lo stato di veglia.
 Secondo livello: diencefalo, in particolare ipotalamo, talamo, nucleo caudato. Permettono il riflesso
di orientamento su uno stimolo esterno.
 Terzo livello: La corteccia, in particolare le aree prefrontali della convessità e le aree mesiali dei due
lobi frontali. Garantiscono la coscienza, la memorizzazione, il contenuto programmatorio dei
processi psichici.
Si definisce controllo attentivo la capacità di orientare pensieri e comportamenti in maniera flessibile nei
confronti di uno stimolo. Il controllo attentivo ha due sottoprocessi:
 allocazione di risorse attentive;
 monitoraggio e/o rilevamento del conflitto tra stimoli.
Esistono due effetti principali che denotano come può variare la risposta attentiva e il controllo attentivo:
 Effetto Flanker: il tempo necessario per elaborare un bersaglio circondato da stimoli incongruenti
(flanker) è più lungo rispetto a quando i flanker sono congruenti.
 Effetto della preferenza globale (effetto Navon, READ): i processi percettivi sono temporalmente
organizzati in modo che essi procedano dalla struttura globale verso un’analisi degli elementi più
fine.
La corteccia prefrontale dorsolaterale e il cingolo anteriore sono coinvolti nel controllo attentivo. Esiste un
network di regioni cerebrali che include la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), la corteccia
parietale e la corteccia del cingolo.
 La DLPFC, sostenuta dalla corteccia parietale, sembra essere importante nel sottoprocesso di
allocazione delle risorse attentive;
 Il cingolo dorsale sembra essere implicato nel sottoprocesso relativo al monitoraggio e/o
rilevamento del conflitto tra stimoli.

CAPITOLO 24: BIOLOGIA DELLE EMOZIONI


Le emozioni sono un insieme complesso di configurazioni chimiche e neurali, in risposta ad uno stimolo
emozionalmente adeguato, che determinano modificazioni transitorie nello stato del corpo e delle
strutture cerebrali che costituiscono la base del pensiero. Le emozioni sono processi di breve durata a
fronte di uno stimolo che provocano cambiamenti a 3 livelli:
 Cognitivo: si attribuisce un significato personale allo stimolo e alle sensazioni fisiologiche;
 Comportamentale: espressioni facciali, postura, tono della voce e reazioni;
 Fisiologico: modificazioni fisiche e fisiologiche riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il
battito cardiaco, ecc.
Il complesso sistema neurofunzionale responsabile delle risposte emotive è stato esaminato dapprima
mediante gli studi neuroanatomici e poi attraverso l’analisi delle alterazioni comportamentali in pazienti
affetti da lesioni cerebrali specifiche. Negli ultimi anni i metodi di ricerca si avvalgono di moderne
apparecchiature che riescono a studiare il cervello in vivo, grazie a moderne tecniche di neuroimaging.
Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle
identificate come appartenenti al lobo limbico. Papez fu il primo ad ipotizzare che le strutture limbiche
fossero determinanti nell’elaborazione delle emozioni. Il sistema limbico non costituisce un circuito chiuso
ma caratterizzato da un alto grado di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali.

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MacLean integrò il circuito di Papez con altre regioni: amigdala, nuclei del setto, ecc. costituenti il sistema
limbico. Aree del sistema limbico importanti in riferimento alle emozioni sono amigdala e ipotalamo.
L’amigdala è interconnessa con aree regolanti il comportamento. Ha la funzione di regolare la paura e le
emozioni negative molto intense per la decodifica di informazioni salienti ed elaborazione di espressioni
facciali ambigue. Si attiva bilateralmente quando si tende a fare previsioni positive sul futuro, solo a destra
se i pronostici sono pessimisti.
L’ipotalamo attiva il sistema nervoso autonomo sia simpatico che parasimpatico, determinando modifiche
nel battito cardiaco, pressione arteriosa, respiro, sudorazione, diametro pupillare, caratteristici
dell’attivazione emozionale. Sistema di neuroni:
 Magnicellulari che liberano direttamente nel circolo generale neuropeptidi;
 Parvicellulari che fanno da tramite tra il sistema nervoso centrale e i neuroni che liberano peptidi
nel sistema portale ipofisario.
L’insula è un’area corticale profonda distinta in due regioni:
 Anteriore: centro di elaborazione olfattivo e gustativo;
 Posteriore: connessa con aree uditive, somato-sensoriali, premotorie.
Regola l’emozione del disgusto.
Regola anche l’enterocezione, ovvero il senso di sé.
Corteccia prefrontale dorsolaterale, che pianifica il comportamento esecutivo anche in relazione
all’emozione.
Corteccia del cingolo coinvolta nell’attribuzione di contenuti emozionali e media il comportamento
motivato. Il cingolo anteriore elabora la tristezza.
Corteccia prefrontale mediale elabora diversi processi emotivi ed affettivi nella sua parte più rilevante.
Corteccia orbitofrontale: questa parte consente il controllo emozionale e motivazionale.
L’ippocampo si colloca nel lobo temporale profondo, è coinvolto nei processi di memoria ed è
fondamentale per la formazione delle paure apprese.
Il giro ippocampale è coinvolto nel riconoscimento dei volti e nella percezione delle emozioni di sorpresa.
Il talamo è un insieme di nuclei profondi. I nuclei ventrali e mediali e i dorso-laterali sono molto rilevanti
per i processi emozionali.
I nuclei della base:
 Caudato:connesso con l’insula,coinvolto nella percezione del disgusto;
 Striato: connesso con il cingolo, è coinvolto nella motivazione e nelle emozioni di aggressività;
 Corpi mammillari:coinvolti nel processo di memoria;
 Nuclei mediali del setto: proiettano fibre sull’ippocampo.
Il sistema dei neuroni specchio è attivo quando un soggetto esegue un movimento o quando il soggetto
vede lo stesso movimento eseguito da un altro. Funzionale all’apprendimento imitativo: i neuroni specchio
sono attivi durante la visione e l’esecuzione di azioni mai viste prima. L’attivazione di questo sistema di
neuroni non comporta l’esecuzione dell’azione stessa: questo avviene grazie a comunicazioni neuronali di
tipo inibitorio localizzate nella corteccia prefrontale. Danni a carico di tale sistema inibitorio possono
causare la ripetizione automatica dei comportamenti imitativi (ecoprassia).

CAPITOLO 25: I DISTURBI DELLA MEMORIA


3 modalità di organizzazione del materiale:
 Memoria sensoriale: sistema di selezione e registrazione attraverso cui le percezioni accedono al
sistema mnestico;
 Memoria a breve termine: si limita a 15-20 secondi circa, a meno che il materiale non venga
richiamato - Memoria di lavoro;

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 Memoria a lungo termine: l'informazione viene immagazzinata in forma codificata sia in senso
semantico che per associazioni.
Le funzioni della memoria a lungo termine sono:
 Registrazione: capacità di aggiungere nuovo materiale;
 Ritenzione: conservare conoscenze che possono essere riportate alla coscienza successivamente;
 Rievocazione: accedere alle informazioni immagazzinate tramite un richiamo;
 Richiamo: recupero volontario di materiale (effetto primacy e recency);
 Riconoscimento: identificazione di elementi appresi in precedenza attraverso la rimembranza o
conoscenza.
L’oblio. Prima ipotesi è quella secondo cui esso è causato dal tempo: tanto più è ampio l’intervallo tra
l’apprendimento e la rievocazione, tanto più facile sarà dimenticarsi. In realtà, però, non è sempre così:
accade, in situazioni particolari, di ricordarsi perfettamente un evento anche se è accaduto molto tempo
prima, o di dimenticarsi qualcosa avvenuto solo pochi istanti prima.
Amnesia: perdita di capacità di memoria, di solito a causa di lesioni o rimozione chirurgica di parti del
cervello. Un'amnesia pura è relativamente rara.
Due grandi categorie di amnesia:
 Retrograda: perdita di ricordi per eventi precedenti al danno;
 Anterograda: perdita della capacità di immagazzinare nuovi ricordi di eventi dopo i danni.
Per richiamare le immagini vengono attivate la corteccia prefrontale destra e la corteccia paraippocampale
in entrambi gli emisferi. Per richiamare le parole, vengono attivate la corteccia prefrontale sinistra e la
corteccia paraippocampale sinistra. Lo storage della MLT si verifica nella corteccia.
 Amnesia diencefalica - danno al talamo mediale e ai nuclei mammillari;
 Amnesia del lobo temporale mediale - danno alla formazione dell'ippocampo, uncus, amigdala e
aree corticali circostanti.
L’amnesia può avere origine da:
 Alterazioni organiche
 Alterazioni psicogene
Tra le alterazioni organiche troviamo:
 Amnesia Lacunare: perdita di memoria spesso conseguente a trauma cranico che interessa uno
specifico periodo di tempo molto limitato;
 Amnesia Anterograda/Retrograda: perdita di memoria in genere causata da trauma cranico,
intossicazioni da sostanze;
 Amnesia Globale: quadro clinico nel quale si riscontrano sia l’amnesia anterograda che l’amnesia
retrograda;
 Blackout alcolico: l’abuso di alcol, anche episodico, causa spesso piccoli blackout di memoria che
interferiscono con la capacità di ricordare eventi ed episodi recenti fino a cancellare del tutto la
consapevolezza di quanto è stato fatto o detto in stato di ubriachezza;
 Sindrome di Korsakov: malattia degenerativa indotta da carenza di vitamina B1 con danni al nucleo
medio-dorsale del talamo, i corpi mammillari, l’ippocampo e le regioni frontali con conseguente
amnesia anterograda e retrograda;
 Confabulazione: si verifica in stato di coscienza lucida in associazione con amnesia di origine
organica (Korsakov):
 Confabulazione di imbarazzo: alterazione transitoria, in cui il paziente cerca di coprire
vuoti di memoria;

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 Confabulazione fantastica: il paziente descrive spontaneamente esperienze non accadute,
spesso avventurose.
 Perseverazione: segno di malattia cerebrale organica in cui una risposta appropriata al primo
stimolo viene mantenuta anche se lo stimolo cambia.
Altre alterazioni organiche:
 Déja vu (termine francese che significa “già visto"): sentimento di familiarità associato a qualcosa
che viene sperimentato per la prima volta;
 Jamais vu (termine francese che significa "mai visto"): incapacità di riconoscere una situazione
come familiare.
Entrambi i fenomeni possono verificarsi anche in condizioni di normalità, ma possono anche essere sintomi
di epilessia o disturbi cerebrovascolari.
Tra le alterazioni psicogene troviamo:
Disturbi affettivi della memoria
 Dimenticanza selettiva: tendenza all’oblio per eventi penosi o imbarazzanti;
 Falsificazione della memoria: menzogna plausibile e disinvolta che si associa spesso ai disturbi di
personalità istrionico o antisociale;
 Criptoamnesia: esperienza di non ricordare che si sta ricordando. Si riferisce alla generazione di
una parola, idea, soluzione che già esiste da tempo credendo che sia totalmente originale.

 Amnesia Dissociativa (Amnesia Psicogena): uno o più episodi di incapacità a ricordare dati
personali importanti;
 Fuga dissociativa: restringimento del campo di coscienza con successiva amnesia per l’episodio di
allontanamento;
 Personalità Multipla: amnesia completa o parziale per una o più delle personalità assunte;
 Amnesia Globale Transitoria: grave perdita di memoria non dovuta ad una condizione organica,
spesso indotta da forte stress con un totale e completo ripristino della funzione mnemonica dopo
circa 24 ore;
 Sindrome di Ganser: forma dissociativa con amnesia per il periodo nel quale si manifestano i
sintomi. Si verifica una produzione volontaria di sintomi psicologici che tende al peggioramento
quando il paziente è consapevole di essere osservato.
Altre alterazioni psicogene:
 Alterazioni di memoria in corso di DPTS: in cui l'evento traumatico viene rivissuto
persistentemente attraverso ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, che comprendono
immagini, pensieri, o percezioni;
 Vuoti di memoria indotti da ansia: possono verificarsi in forma transitoria e occasionale in soggetti
sani;
 Confabulazione fantastica a contenuto persecutorio: si verifica in corso di schizofrenia,
depressione, stati ossessivi;
 False Memory Syndrome: fenomeno spesso conseguente ad amnesia psicogena.

CAPITOLO 26: IL DISTURBO COGNITIVO LIEVE


Le modificazioni dello status cognitivo correlate all’età sono tra quelle condizioni che inducono maggiore
preoccupazione in coloro che invecchiano. Questi timori sono essenzialmente legati alla preoccupazione
della perdita di autonomia conseguente al deficit di funzioni fondamentali per l’adattamento ai rischi
provenienti dall’ambiente.

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Un moderato declino cognitivo può precedere anche di molti anni la comparsa di malattia di Alzheimer
sintomatica. Di conseguenza, l’attuale ricerca clinica ha focalizzato l’attenzione sull’identificazione degli
indici diagnostici precoci.
Il disturbo cognitivo lieve viene definito in letteratura in diversi modi:
 Aging-Associated Cognitive Decline (AACD): i pazienti riportano una deviazione standard al di sotto
degli standard basati sull’età e la scolaritànei test neuropsicologici che valutano le diverse funzioni
cognitive.
 Age-Related Cognitive Decline (ARCD): declino oggettivo nella funzione cognitiva conseguente al
processo d’invecchiamento, che è però compreso nei limiti di normalità relativi all’età del soggetto.
 Mild Cognitive Disorder (MCD): questa definizione è utilizzata soltanto quando esiste una diagnosi
di malattia o condizione clinica che possa essere la causa del disturbo cognitivo.
 Cognitive Impairment No Dementia (CIND): si usa per classificare i soggetti con declino cognitivo
che non rientrano però nei criteri per la demenza.
La definizione più condivisa del disturbo cognitivo lieve è oggi quella del Mild Cognitive Impairment (MCI).
 Mild Cognitive Impairment (MCI) è un’etichetta clinica che include persone anziane non dementi
con declino della memoria o comunque con un deficit cognitivo ed uno status funzionale non
compromesso in maniera significativa.
Il disturbo cognitivo lieve può riguardare la memoria, ma anche altre funzioni cognitive.
Caratteristiche sintomatologiche nello specifico:
 evidenza di una riduzione della capacità del soggetto in uno o più domini cognitivi maggiore di
quella attesa in base all’età del paziente e al livello di istruzione. Tale mutamento in senso
peggiorativo può riguardare diversi domini cognitivi, quali memoria, attenzione, linguaggio e
capacità visuo-spaziali;
 stato di preoccupazione legato al cambiamento di condizione del soggetto rispetto al suo status
precedente; questa evidenza può essere data dal paziente stesso, da un familiare, conoscente
oppure da un clinico che abbia tenuto in osservazione il paziente;
 iniziali difficoltà nel ricordare fatti avvenuti da pochi giorni, settimane o mesi;
 occasionali momenti di spaesamento fuori casa;
 depressione o perdita di interesse nelle attività abituali;
 ansia e/o irritabilità.
Il disturbo cognitivo lieve viene suddiviso in quattro sottotipi:
 Disturbo cognitivo lieve a dominio singolo: si tratta di una forma tendenzialmente rara che vede
coinvolta solo la memoria;
 Disturbo cognitivo lieve a dominio multiplo: rappresenta la forma prevalente. La memoria risulta
compromessa, insieme ad uno o più altri domini cognitivi;
 Disturbo cognitivo lieve non amnesico a dominio singolo: a poter essere coinvolto è un solo
dominio cognitivo, ad eccezione della memoria;
 Disturbo cognitivo lieve non amnesico a dominio multiplo: Sono coinvolti due o più domini
cognitivi ad eccezione della memoria.
La sintomatologia comunemente riscontrabile nei pazienti con disturbo cognitivo lieve è rappresentata da:
depressione, ansia, irritabilità, apatia, agitazione. Si rilevano invece, con meno frequenza: euforia,
disinibizione, allucinazioni, deliri. I soggetti con disturbo cognitivo lieve affetti da depressione sviluppano
una demenza più precocemente rispetto ai non depressi.
Ad oggi non esiste alcun trattamento o terapia farmacologica che si sia dimostrata efficace per il
deterioramento cognitivo lieve. Il trattamento riabilitativo nel si basa tuttavia principalmente su
trattamenti di tipo non farmacologico. I principali interventi riguardano:

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 Esercizio fisico: i soggetti affetti da disturbo cognitivo lieve che svolgono regolarmente esercizio
fisico hanno un rischio minore di sviluppare demenza rispetto a quelli che non lo fanno.
 Riabilitazione cognitiva: comprende l’insegnamento individuale di strategie e abilità, in modo da
ottimizzare in modo specifico le funzioni cognitive del soggetto.

CAPITOLO 27: LA PLASTICITÀ CEREBRALE


La memoria a breve termine ha una certa durata limitata nel tempo e nello spazio. La memoria a lungo
termine, invece, non ha limiti né di tempo e né di spazio: ci permette di ricordare episodi lontani nel tempo
e può contenere una quantità infinita di informazioni. Durante l’apprendimento ci sono dei cambiamenti
nella struttura sinaptica che una volta consolidati consentono la formazione della traccia in memoria. Se
questi cambiamenti sono transitori e reversibili, avremo la memoria a breve termine. Se invece sono
persistenti e stabili, si avrà la formazione della memoria a lungo termine. Per plasticità cerebrale, quindi, si
intende la capacità dell'encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda
dell'attività dei propri neuroni. I cambiamenti nella struttura sinaptica a seguito della formazione della
traccia in memoria costituiscono la capacità di plasticità neuronale, che implica quella cerebrale.
 Fenomeni a breve termine: dovuti a modificazione della liberazione di neurotrasmettitore;
 Fenomeni a lungo termine: associati a modificazioni funzionali e strutturali dell’elemento post- e
pre-sinaptico.
Affinché si formi la memoria a lungo termine sono necessari due processi:
 l’espressione genica;
 il cambiamento strutturale della morfologia delle sinapsi.
Con espressione genica si intende quella serie di eventi che, dall'attivazione della trascrizione di un gene,
conducono alla produzione della proteina corrispondente.
Alla base dell’apprendimento vi è la legge di Hebb: due neuroni ripetutamente stimolati insieme formano
tra loro un legame simbolico, per cui all’attivazione di uno corrisponde anche la risposta dell’altro. Il ruolo
centrale nei processi di plasticità è svolto dal calcio; l’ingresso del calcio è l’elemento chiave per capire
come noi apprendiamo. Le strutture coinvolte sono l’assone del neurone presinaptico e la spina dendritica
del neurone postsinaptico. In seguito al potenziale d’azione vi è da parte del neurone presinaptico il rilascio
del neurotrasmettitore che in questo caso è il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del
SNC. I recettori per il glutammato possono essere metabotropici o ionotropici:
 Metabotropici: mGluR, 7 domini transmembrana.
 Ionotropici: sono canali onici glutammato-dipendenti.
 AMPA: sinapsi più veloci ed ampie. 4 subunità (da GLUA1 aGLUA4);
 KAINATO: risposta ampia che decresce lentamente. 4 subunità (da GluK1 a GluK4).
 NMDA: sinapsi più lente e durature. 3 subunità (GluN1 – GluN3).
Il neurotrasmettitore maggiormente implicato nei processi di plasticità è il glutammato.
Quando la trasmissione sinaptica viene modificata per brevi periodi siamo in presenza di un processo di
plasticità neuronale chiamato «potenziamento a breve termine». La trasmissione sinaptica può essere
modificata per brevi periodi da diversi meccanismi che agiscono sull’efficienza di rilascio di
neurotrasmettitore:
 Nella facilitazione sinaptica si verifica una successione di potenziali d’azione molto ravvicinati.
 In seguito ad una scarica di potenziali d’azione ad alta frequenza, l’arrivo di nuovi potenziali
d’azione può evolvere in un aumento della quantità di neurotrasmettitore liberato con un
conseguente aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici. Questa forma di rafforzamento
della trasmissione sinaptica prende il nome di potenziamento post-tetanico.

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 A seguito di potenziali d’azione ripetuti, la trasmissione sinaptica può registrare un graduale
indebolimento, definito depressione sinaptica: i meccanismi di sintesi di nuovo neurotrasmettitore
e di riciclo delle membrane non sono abbastanza rapidi da bilanciarne la perdita.
I processi di plasticità neuronale conseguenti a stimoli di memoria avvengono prevalentemente
nell’ippocampo, struttura molto plastica. L’ippocampo ha all’interno tre circuiti:
 Via perforante: fibre che arrivano al giro dentato dell’ippocampo;
 Fibre muscolidi: vanno dal giro dentato a CA3;
 Collaterali di Schaffer: da CA3 a CA1.
Negli anni 70 è stato dimostrato che una breve stimolazione ad alta frequenza in una di queste tre vie
dell’ippocampo induce una risposta post-sinaptica molto elevata. Nello specifico, un impulso a neuroni in
area CA3 induce una risposta elevata nei neuroni CA1. Questo fenomeno è definito potenziamento a lungo
termine (LTP): è un aumento della forza della trasmissione sinaptica che si verifica con l'uso ripetitivo della
stessa e che può durare fino ad alcuni minuti.
È possibile affermare che, per poter avere un pieno consolidamento della traccia mnestica, devono
avvenire tre processi a livello neuronale:
 Induzione, di cui è responsabile lo ione calcio. Recettori chiave: NMDA;
 Consolidamento: morfogenesi o cambiamento strutturale delle spine dendritiche;
 Mantenimento LTP (stabilizzazione delle spine). Questa avviene attraverso i recettori AMPA.

CAPITOLO 28: LA PLASTICITÀ CEREBRALE: MEMORIA E APPRENDIMENTO


LTP: aumento riverberante, da CA1 a CA3, dell’efficacia sinaptica che può durare da ore a giorni.
Le caratteristiche del LTP sono:
 Cooperatività. È il fenomeno che si può avere quando si stimolano contemporaneamente più
gruppi di fibre, poiché in questo caso si vanno a sommare tutti i contributi depolarizzanti di ogni
assone. Dunque: più fibre si stimolano, più si ha la possibilità di indurre LTP.
 Associatività. Si ha quando gli input sinaptici provenienti da due o più assoni condividono lo stesso
bersaglio post sinaptico.
 Specificità. Se non sia ha combinazione di fase, solo l'assone trasportante il tetano verrà indotto
verso la LTP.
Fasi del potenziamento a lungo termine (LTP):
1. Una scarica di potenziali d'azione porta alla liberazione di glutammato dalla terminazione
presinaptica.
2. Il glutammato liberato si lega a recettori sia NMDA che non-NMDA della membrana postsinaptica.
Questi ultimi determinano un ingresso di ioni sodio.
3. Gli ioni sodio depolarizzano la membrana postsinaptica.
4. La depolarizzazione della membrana post-sinaptica porta non solo ad un potenziale post-sinaptico
eccitatorio, ma anche ad un’uscita degli ioni Mg attraverso i canali ionici associati ai recettori
NMDA.
5. Normalmente, gli ioni Mg bloccano i canali ionici associati ai recettori NMDA, così la loro rimozione
consente un ulteriore ingresso di ioni Na e Ca nella terminazione post-sinaptica.
6. L'ingresso di ioni calcio porta all’attivazione di una protein-chinasi postsinaptica, che è responsabile
dell’induzione iniziale della LTP, che è quindi un evento post-sinaptico.
7. Rilascio di glutammato.
8. Il mantenimento della LTP, oltre a richiedere la persistente attivazione della protein-chinasi, è
dovuto all’inserimento dei recettori AMPA su sinapsi silenti.

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Il primo effetto della LTP è il cambiamento delle spine dendritiche che è il cambiamento della morfologia
delle sinapsi. Le sinapsi infatti sono costituite da assone pre-sinaptico, fessura sinaptica, dendriti post-
sinaptici. Il risultato di questi cambiamenti morfologici è l’aumento della neurotrasmissione. Affinché gli
effetti della LTP persistano nel tempo, è necessaria non solo la presenza del calcio, poiché i neuroni senza
altre stimolazioni cesserebbero di secernere il glutammato. Si pensa che il calcio sia il responsabile della
produzione di messaggeri, definiti fattori di plasticità retrograda, i quali dal neurone post-sinaptico
ritornano al presinaptico e gli “dicono” di continuare a secernere il glutammato.
Con la polimerizzazione, i monomeri tendono a legarsi tra loro formando dei polimeri di actina, che si
inseriscono nelle estremità del dendrite e lo allargano, inducendo anche la formazione di nuove spine. L’LTP
consta di tre fasi: induzione, consolidamento e mantenimento.
La long term depression (LTD) consiste nella diminuzione dell’efficacia di una sinapsi.
Fasi:
1. Alle sinapsi Schaffer Collateral dell’ippocampo viene generalmente applicato uno stimolo elettrico a
bassa frequenza per un tempo prolungato.
2. Tale treno di stimoli provoca l’apertura dei canali NMDA, permettendo il passaggio di ioni calcio.
3. Il segnale del calcio agisce poi su una cascata biochimica che attiva proteine quali la calcineurina e
la proteina-fosfatasi. Queste fosfatasi "smontano" l'apparato biochimico/strutturale creato in
precedenza nella LTP e portano progressivamente la sinapsi verso i valori di base.
4. L’aumento del calcio può anche venire da altre fonti, come per esempio i canali al calcio voltaggio-
attivati, il reticolo endoplasmatico.
5. Nel caso di LTD NMDA-dipendente, il sito di espressione della depressione è prevalentemente
postsinaptico e comporta cambiamenti nelle proprietà dei recettori AMPA.
Le neurotrofine sono delle proteine responsabili, durante la formazione e lo sviluppo del SNC, della
proliferazione, della sopravvivenza e della differenziazione e crescita dei neuroni. Le neurotrofine si
spostano sia con meccanismo anterogrado che con meccanismo retrogrado e quindi sono così espresse a
tutti i livelli dei neuroni e possono essere secrete in due modi: secrezione costitutiva per cui esse sono
liberate normalmente senza la necessità di uno stimolo elettrico; secrezione regolata che è appunto
regolata dall’attività elettrica del neurone.

CAPITOLO 29: LA PLASTICITÀ CEREBRALE: NEUROGENESI


Neurogenesi è un termine che indica la capacità dei neuroni di rigenerarsi e di rinascere. La neurogenesi nel
giro dentato dell’ippocampo è possibile grazie al fatto che i nuovi neuroni, definiti granuli, si formano molto
vicini alla loro destinazione finale. La struttura più studiata dove avviene la neurogenesi è l’ippocampo, che
presiede ai processi di memoria e di apprendimento.
Esperimento 1. Si voleva dimostrare che i nuovi neuroni che nascono nel giro dentato dell’ippocampo
vanno ad inserirsi nel circuito della memoria e dell’apprendimento. Gli autori hanno diviso i ratti in due
gruppi: il gruppo di controllo riceveva un’iniezione di soluzione salina, che non aveva alcun effetto sul
sistema nervoso centrale del ratto, mentre il gruppo sperimentale riceveva l’iniezione di una tossina
chiamata MAM, nociva per il DNA, che influiva sullo sviluppo dei nuovi neuroni, ma non intaccava la salute
dei neuroni già maturi. Gli autori hanno poi suddiviso i ratti in: ratti che venivano studiati dopo sei giorni dal
trattamento e ratti che venivano studiati dopo 14 giorni. Questi periodi furono scelti perché entro 6 giorni i
nuovi neuroni non possono entrare a far parte del circuito perché non sono ancora formati, mentre lo
erano a 14 giorni. È stato riscontrato che:
 il numero di nuovi neuroni era significativamente maggiore nei ratti che avevano ricevuto la
soluzione salina rispetto ai ratti che avevano ricevuto il MAM, e ciò dimostra che nel secondo
gruppo di ratti la neuro genesi è stata effettivamente impedita;

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 dopo 6 giorni la risposta dei due gruppi di ratti ai compiti di apprendimento era del tutto
sovrapponibile, cioè apprendevano allo stesso modo;
 dopo 14 giorni, si aveva la conferma che la MAM aveva inibito la neurogenesi: le performance dei
ratti trattati con soluzione salina erano significativamente superiori a quelle dei ratti trattati con
MAM.
Quindi:
 L’effetto di una tossina può inibire la neurogenesi.
 Prima di una settimana, i nuovi neuroni non partecipano ai processi di apprendimento.
 A 14 giorni i nuovi neuroni sono maturi e vengono effettivamente utilizzati dall’ippocampo nei
processi di apprendimento.
Esperimento 2. È dimostrato come un’esperienza positiva riesce a facilitare e promuovere la neurogenesi.
Gli autori hanno condotto uno studio sui ratti, prendendo due gruppi: uno più giovane ed uno meno
giovane, e questo perché volevano dimostrare che la neuro genesi avviene anche in età avanzata. Ciascuno
dei gruppi è stato suddiviso ulteriormente: ratti in gabbie standard e ratti in gabbie arricchite con labirinti,
ruote, ecc. È stato riscontrato che:
 Il numero di nuovi neuroni era significativamente maggiore nei ratti più giovani rispetto a quello nei
ratti anziani.
 L’ambiente arricchito riesce a modulare il cervello e ad avere effetti sulla neurogenesi.
Esperimento 3. Questo esperimento dimostra come le esperienze negative inibiscano la neurogenesi.
L’ipotesi iniziale è che la neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo è mediata dal cortisolo, cioè
dall’ormone prodotto in situazioni di stress, che ha effetti negativi sulla neurogenesi. Gli autori hanno preso
dei ratti e li hanno divisi in 4 gruppi: gruppo di controllo che riceveva la soluzione salina, gruppo sottoposto
a stress inserendo nelle gabbie garze con odore di volpe, le altre gabbie, infine, avevano rispettivamente
garze con odore di menta e di arancia. È stato riscontato che l’esperienza negativa di stress diminuiva in
modo netto e significativo la neurogenesi nell’ippocampo. Inoltre, gli autori hanno studiato ratti sacrificati
subito dopo l’esperimento, ratti sacrificati dopo una settimana e ratti sacrificati dopo tre settimane. Hanno
riscontrato la diminuzione della neurogenesi nei primi due gruppi di ratti, mentre nel terzo gruppo non si
verificava. Quindi, l’effetto negativo dello stress sulla neurogenesi è transitorio, questo effetto è reversibile:
quando lo stress diminuisce la neurogenesi riprende in modo regolare.
Esperimento 4. Questo esperimento considera gli effetti dello stress prenatale. In questo studio l’ipotesi
era che le madri stressate, producendo molto cortisolo, influivano negativamente sullo sviluppo del sistema
nervoso centrale del nascituro. Vengono presi due gruppi di ratti costituiti da femmine in gravidanza,
fecondate in condizioni standard: un gruppo trascorre il periodo di gravidanza in condizioni di tranquillità,
un gruppo sottoposto tre volte al giorno a situazioni di stress rappresentate da rettili di plastica o luce
intensa. Il numero di nuovi neuroni dei ratti sottoposti a stress prenatale è significativamente inferiore
rispetto a quello dei ratti non sottoposti a tale stress. Inoltre gli effetti dello stress prenatale sono
irreversibili a differenza di quelli dello stress in età adulta.
Il test di apprendimento del primo gruppo di ratti, detto water-maze, consiste in una piscina tonda
all’interno della quale viene posta una piattaforma al di sotto del livello dell’acqua. L’acqua viene resa
opaca da un colorante, in modo tale da non rendere più visibile la piattaforma. Vengono poi predisposte
delle figure geometriche che devono servire al ratto come punti di riferimento per trovare la piattaforma.
L’apprendimento si evince dal fatto che diminuisce il tempo impiegato per raggiungere la piattaforma e
diminuisce anche la lunghezza della traiettoria percorsa dal ratto. La neurogenesi nei ratti sottoposti al
training ippocampo dipendente è significativamente maggiore rispetto alla neurogenesi dei ratti non
sottoposti al training.

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Esperimento 5. Gli autori dimostrano che la neurogenesi avviene anche in soggetti anziani e che l’esercizio
fisico può migliorarla. Gli autori hanno utilizzato quattro gruppi di ratti: ratti giovani sedentari, ratti giovani
corridori (young runner), ratti vecchi sedentari e ratti vecchi corridori (old runner). È stato riscontrato che,
per quanto riguarda il grado di latenza, di lunghezza della traiettoria e di velocità nel compito water-maze, i
ratti anziani sedentari presentavano le performance peggiori in assoluto.
Nel corso della vita è possibile apprendere un numero infinito di informazioni, grazie al fatto che i neuroni
non rimangono quelli di cui disponiamo alla nascita, ma il loro numero aumenta.

CAPITOLO 30: IL CICLO SONNO-VEGLIA


Per poter comprendere sonno e veglia è necessario introdurre alcune definizioni:
 Coscienza: consapevolezza del mondo esterno ed interno espressa verbalmente o per mezzo di
comportamenti non-verbali.
 Vigilanza: capacità di reagire in maniera integrata agli stimoli ambientali.
 Attenzione intensiva: funzione che modula la vigilanza aumentando o riducendo la risposta a tutti
gli stimoli presenti.
 Attenzione specifica: funzione che aumenta l’attenzione verso una specifica sorgente di stimoli.
Diverse teorie spiegano cosa induce il sonno:
 Sonno come processo passivo: riducendo le afferenze sensoriali si induce il sonno.
 Teoria reticolare: l’attivazione della sostanza reticolare risveglia, mentre la distruzione della
sostanza reticolare induce sonno permanente.
 Sonno come processo attivo: indotto dall’attività di specifiche regioni cerebrali.
Prima Legge della fisiologia del sonno: sonno e veglia sono due facce della stessa medaglia e si influenzano
a vicenda. A questa prima legge della fisiologia si riallaccia quello che viene chiamato il processo
omeostatico di regolazione del ritmo sonno-veglia, ovvero quanto più si resta svegli, tanto più forte sarà la
pressione della sonnolenza.
Seconda Legge della fisiologia del sonno (aspetti circadiani della regolazione del sonno): il nostro cervello è
programmato per il riposo notturno.
 Il processo circadiano di regolazione del ritmo sonno-veglia: programma il nostro cervello per
vegliare nelle ore diurne e per dormire di notte.
 Il processo circadiano è regolato a livello ipotalamico: nel nucleo soprachiasmatico si trova
l’orologio endogeno che governa buona parte dei ritmi del nostro organismo.
 Il processo circadiano interagisce con il processo omeostatico: in condizioni normali essi lavorano
in armonia e contribuiscono insieme a determinare sia la sonnolenza serale, che conduce al sonno
notturno, sia la maggior propensione alla veglia delle ore diurne.
Il cronotipo di un soggetto definisce il rapporto tra l’orario dell’orologio endogeno e l’orario esterno.
 Se i due orologi sono “in fase”: cronotipo normale (tipico dei soggetti che dormono negli orari
canonici, 23-24/7-8).
 Se l’orologio interno è in ritardo rispetto all’esterno: cronotipo gufo.
 Se invece è l’orologio esterno ad essere in ritardo rispetto all’interno: cronotipo allodola.
Terza Legge della fisiologia del sonno: se non si rispetta il bisogno quantitativo e qualitativo di sonno si
crea una condizione di deprivazione di sonno.
Ipnotipo:
o Bisogno medio: 7-8 h;
o Brevi dormitori – durata totale < 6 h;
o Lunghi dormitori – durata totale ≥ 10 h.
La qualità della veglia è un fenomeno multidimensionale.

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 Sonnolenza soggettiva: riflette il bisogno di sonno ma anche il desiderio di sonno.
 Sonnolenza oggettiva: esistono metodiche oggettive di valutazione della veglia.
Metodi per valutare la sonnolenza:
 MSLT (Multiple Sleep Latency Test). Si esegue in laboratorio: si valuta strumentalmente il tempo
che il paziente impiega ad addormentarsi, quando messo in condizioni idonee e favorenti il sonno e
invitato ad addormentarsi.
 MWT (Maintenance of Wakefulness Test). È simile come modalità ma prevede che al paziente
venga impartita la consegna di restare sveglio, quindi di “resistere” alla voglia di dormire
Fasi del sonno
 Stadio 1: onde theta, ridotta risposta agli stimoli sensoriali; il soggetto, se risvegliato, dichiara di
non essersi addormentato; improvvise contrazioni muscolari.
 Stadio 2: complessi k e fusi del sonno; i soggetti, se risvegliati, dichiarano di aver dormito.
 Stadio 3 e 4: ritmo delta.
 fase REM (Rapid Eye Movement): attività desincronizzata + movimenti oculari rapidi + aumento
della frequenza cardiaca e respiratoria e della pressione.
Fenomeni tonici: che si mantengono per tutta la durata dell’episodio
Fenomeni fasici: che compaiono saltuariamente durante l’episodio
I neuroni prevalentemente coinvolti nel sonno REM sono i GABAergici.
Il sonno è un processo nervoso attivo e ritmico:
o Pacemaker circadiano localizzato nell’ipotalamo, influenzato dal ciclo luce-buio, da fattori interni,
ormonali e temperatura;
Il circuito talamo-corticale: lo stato di coscienza e le transizioni tra veglia-sonno sono controllate
dall’oscillatore talamo corticale.

CAPITOLO 31: REGOLAZIONE DEGLI STATI CORPOREI INTERNI


Il concetto di omeostasi rappresenta la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità
interna.
Equilibrio stazionario: in realtà l’ambiente interno subisce continuamente lievi fluttuazioni.
L’organismo è un sistema aperto che scambia energia e materia con l’ambiente esterno. Per mantenere lo
stato di omeostasi l’organismo segue la cosiddetta «legge dell’equilibrio di massa»: la costanza di una data
sostanza è mantenuta se le entrate sono uguali alle uscite dall’organismo.
La maggior parte dei sistemi di controllo dell'organismo agiscono mediante un meccanismo a feedback
negativo.
 Feedback negativo: la variazione di un parametro da controllare attiva una risposta che contrasta la
perturbazione iniziale, riportando il parametro controllato al valore originale.
 Feedback positivo: produce un ulteriore incremento del disturbo, che permette però di portare a
compimento processi che in condizioni di riposo sono inattivi, amplificando il segnale di partenza.
Per mantenere un equilibrio omeostatico sono richiesti:
 un sistema di sensori, che misurano la variabile controllata;
 un centro di integrazione dove la misura è paragonata ad un valore di riferimento;
 un sistema di effettori capaci di modificare il parametro da controllare, riportandolo al valore di
riferimento ogni volta che esso si modifica.
Non tutti gli animali hanno stessa capacità di regolazione omeostatica. Un animale viene definito
«regolatore» quando utilizza meccanismi omeostatici per compensare il cambiamento interno in risposta
ad una fluttuazione esterna. Molti animali, soprattutto quelli che vivono in ambienti stabili, vanno incontro

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a variazioni di parametri in relazione a determinati cambiamenti ambientali e vengono definiti «conformi».
I livelli della regolazione omeostatica sono:
 Livello molecolare: ad esempio, l’inibizione feedback limita la quantità dei prodotti finali che si
formano per l’azione di un sistema enzimatico;
 Livello cellulare: interviene il fenomeno dell’inibizione da contatto, per il quale in una popolazione
di cellule il processo della mitosi si arresta quando queste divengono così numerose da toccarsi.
L’inibizione da contatto è persa in alcune patologie come i tumori, e questo spiega l’inarrestabile
produzione degli elementi cellulari neoplastici.
 Livello organismico: i vari meccanismi operano con differenti modalità.
Esempio: le ghiandole endocrine. L’attività di sintesi ormonale delle ghiandole endocrine è
governata dagli eventi che si verificano nei sistemi regolati dagli stessi ormoni. L’aumento della
glicemia stimola la secrezione di insulina, la quale a sua volta aumenta l’utilizzazione periferica del
glucosio, con conseguente diminuzione della sua concentrazione ematica.
Omeostasi delle riserve energetiche: esistono meccanismi fisiologici per mantenere costanti le riserve
energetiche in risposta alla disponibilità di cibo e alle spese energetiche.
La regolazione dell’omeostasi energetica è regolata da:
 Segnali efferenti: fame, attività fisiche, livelli ormonali, riproduzione e crescita.
 Segnali afferenti:
 A corto termine, prodotti ad esempio durante i pasti;
 A lungo termine, prodotti dalle riserve energetiche.
La zona del SNC coinvolta nell’omeostasi energetica è l’ipotalamo. Esso è costituito da diversi nuclei,
ognuno di essi svolge una funzione diversa, ma tutti sono coinvolti nei riflessi omeostatici. Di grande
importanza è anche l’ipofisi, il cui lobo anteriore è detto adenoipofisi e quello posteriore neuroipofisi.
L’adenoipofisi sintetizza ormoni, la neuroipofisi non li sintetizza ma li rilascia.
Ipotalamo endocrino: complesso di neuroni che hanno sviluppato la capacità di secernere ormoni che
giungono all’ipofisi. Composto da neuroni parvicellulari e magnocellulari:
 Neuroni parvicellulari: secernono fattori di rilascio;
 Neuroni magnocellulari: secernono ormoni peptidici strettamente correlati con la neuroipofisi.
Ormoni prodotti dalla neuroipofisi:
o Ossitocina: coinvolta nella secrezione del latte durante i processi di suzione;
o Vasopressina: mantiene il bilancio idrico dell’organismo.

CAPITOLO 32: ORMONI E COMPORTAMENTO SESSUALE


Alla strutturazione dell’identità sessuale concorrono fattori biologici, psicosessuali e relazionali. L’identità
sessuale è dinamica, perché espressione di un vissuto modificabile da fattori endogeni ed esogeni, biologici
e psichici. Si distinguono:
 Il sesso biologico: caratteristiche fisiche (genere, maschile o femminile);
 L’identità di genere: si riferisce alla percezione di se stessi, cioè al fatto che ci si senta maschi o
femmine;
 L’ideale di genere: aspettative culturali relative ai comportamenti maschili e femminili;
 L’identità di ruolo: è il derivato della divisione sessuale del lavoro, dei diritti e delle responsabilità.
Identità di genere: si costituisce sulla base di determinanti sociali e culturali elaborate in un certo sistema
di relazioni, sedimentate in pratiche, comportamenti ed aspettative sociali che tradizionalmente vengono
ascritte alla categoria distintiva maschio/femmina.
Ideale di genere: relativa all’orientamento del proprio desiderio o méta sessuale, su un partner, oggetto di
desiderio.

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 dello stesso sesso: orientamento omosessuale
 del sesso opposto: orientamento eterosessuale
In una stessa persona il desiderio e il comportamento sessuale possono essere presenti in entrambe le
direzioni, si parla in tal caso di orientamento bisessuale.
Identità di ruolo: relativa al vissuto del proprio ruolo sociale, maschile o femminile.
In passato, la funzione sessuale era stata rappresentata come un modello lineare trifasico: desiderio,
eccitazione, orgasmo. Oggi prevalgono i modelli circolari. Le quattro fasi del modello circolare sono:
 Desiderio
 Eccitazione
 Orgasmo
 Risoluzione e soddisfazione
Il desiderio sessuale coinvolge le stesse aree cerebrali, nell’uomo e nella donna.
L’eccitazione sessuale cerebrale (mentale o soggettiva) comporta simili meccanismi neurobiologici. Esiste
tuttavia una maggiore attivazione dell’area occipitale visiva, nel maschio, e temporo-parietale nella donna.
L’eccitazione sessuale periferica non-genitale, somatica è simile nei due sessi, con differenze qualitative
mediate dagli ormoni sessuali.
L’eccitazione sessuale genitale è diversa tra uomo e donna a causa delle differenze anatomiche negli
organi genitali.
L’orgasmo segue le medesime vie a livello cerebrale e di midollo spinale. A livello genitale si differenzia per
l’associazione all’eiaculazione nell’uomo e per la possibilità di orgasmi multipli nella donna.
La soddisfazione, per definizione soggettiva, è ritenuta di crescente importanza nel vissuto dell’esperienza
sessuale, in uomini e donne.
Nel desiderio sessuale gioca una parte fondamentale lo stimolo biologico-istintuale. Tale stimolo è fondato
su basi anatomiche e neurofisiologiche, oggi definito come “interesse sessuale”, il cui primo significato è di
promuovere il mantenimento della specie, attraverso la procreazione. Si tratta di un processo attivato dal
testosterone in entrambi i sessi. Una componente importante dello stimolo biologico-istintuale sono gli
ormoni.
Gli ormoni particolarmente coinvolti nello stimolo biologico istintuale del desiderio sessuale sono:
 gli androgeni: nell’uomo e nella donna sono gli ormoni più rappresentati a livello plasmatico.
Hanno il ruolo più potente nell’accendere il desiderio fisico istintuale e fra di essi prevale il
testosterone;
 il deidroepiandrosterone (DHEA), ormone surrenalico prodotto in elevate quantità durante e dopo
la pubertà, sembra contribuire alle basi fisiche e psichiche del desiderio;
 gli estrogeni, nella donna, agiscono come modulatori della femminilità e del benessere psicofisico;
 i progestinici hanno un effetto diverso a seconda delle loro caratteristiche, androgeniche,
antiandrogeniche o simili al progesterone naturale;
 la prolattina ha un ruolo inibitorio in entrambi i sessi;
 l’ormone tiroideo, se carente, può ridurre il desiderio sessuale in entrambi i sessi;
 l’ossitocina, neuro-ormone che presenta un picco plasmatico in coincidenza con l’orgasmo;
 la vasopressina, neuro-ormone, sembra contribuire alla modulazione centrale del desiderio.
Un altro stimolo importante nel desiderio sessuale è quello motivazionale-affettivo, collegato mediante la
fantasia e l’immaginario erotico al bisogno di piacere e di amore.
La funzione sessuale richiede l’integrità anatomica e funzionale del sistema limbico. È possibile affermare
sulla base degli studi:
o che il controllo autonomo ed endocrino della risposta sessuale sia mediato dall'ipotalamo;

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o che l'amigdala sia attivata dagli stimoli somato-sensoriali afferenti e che partecipi alla valutazione
del contenuto emozionale degli stessi;
o che la regione dell’insula e l'area corticale somato-sensoriale elaborino la percezione della risposta
comportamentale;
o che l’area del cingolo e l'area prefrontale abbiano un ruolo importante nella valutazione delle
informazioni motivazionali ed emozionali e nell'attivazione della risposta eccitatoria.
L’amigdala, che fa parte del lobo limbico, ha due funzioni principali:
 si presenta come un centro critico per la mediazione tra le emozioni fondamentali, che concorrono
alla modulazione del bisogno sessuale;
 confronta continuamente lo stimolo sessuale attuale con il ricordo di stimoli precedenti.
Il lobo frontale è caratterizzato da una grande capacità di inibire i propri impulsi, nello specifico sessuali,
per rendere i propri comportamenti più socialmente appropriati. Insieme al lobo frontale, il sistema limbico
è essenziale in entrambi i sessi.
Nell’area preottica (POA) dell’ipotalamo sono state identificate differenze sessuali relativamente al
numero di sinapsi. Il dimorfismo sessuale (cioè le differenze osservabili tra maschi e femmine) nel sistema
nervoso riguarda differenze relative al numero, grandezza e forma dei neuroni e al numero di sinapsi.
La letteratura suggerisce che:
 L’orientamento sessuale non modifica completamente le caratteristiche dell’identità del genere
biologico;
 Esistono delle basi genetiche e fisiologiche dell’omosessualità;
 Esistono altri fattori (personali, ambientali) che interagiscono con questa variabilità genetica.

CAPITOLO 33: ANAMNESI E COLLOQUIO CLINICO IN ETÀ ADULTA, DIAGNOSI FUNZIONALE IN


ETÀ EVOLUTIVA
L’anamnesi psicologica è una parte del colloquio clinico e ha lo scopo di indagare una serie di aspetti che
servono al clinico per avere un quadro il più possibile completo del paziente, per avere indicazioni utili per
una diagnosi psicologica il più precisa possibile. L'anamnesi in ambito psicologico e neuropsicologico è
strutturata in diverse parti:
Anamnesi recente. Una prima parte consiste nella raccolta dei dati anagrafici del paziente, chiedendo in
particolare informazioni relative alla sua vita sociale e lavorativa, alla situazione familiare, quella di origine
e quella attuale. Una seconda parte si focalizza sulla richiesta specifica che il paziente ci fa, ovvero sul
motivo per il quale richiede il colloquio con noi. Si indaga allora sul disturbo lamentato, la sua insorgenza, la
sua manifestazione, eventuali effetti della stessa, stati emotivi.
Anamnesi remota. L’obiettivo principale dell’anamnesi remota è la raccolta dei dati relativi a tutti gli
eventuali traumi, eventi stressanti o esperienze potenzialmente disturbanti vissuti negli anni dal paziente.
Anamnesi patologica. Le domande qui hanno l'intento di raccogliere dati relativi alle malattie e ai disturbi
che hanno interessato il paziente.
Anamnesi psicopatologica. Si cerca di indagare se ci sono stati, ed eventualmente di che tipo, disturbi di
natura psicologica nella vita passata del paziente.
Il colloquio clinico. La sua finalità riguarda l’esame del problema che porta il paziente allo psicologo clinico.
In tal modo sarà possibile collocare il problema all’interno del reticolo di elementi che vanno a costituire la
storia del paziente, le sue caratteristiche personologiche, la rete di relazioni familiari e sociali. Non è una
procedura passiva di ascolto e di registrazione di informazioni. Deve consentire di dare senso psicologico a
quanto porta il paziente. Costituisce un esempio di comportamento interpersonale.
Il primo colloquio consta di diverse fasi:
1. Fase dei preliminari: accoglienza, presentazione, saluti, riferimenti ad antefatti;

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2. Fase dell’apertura vera e propria: “di che problemi parliamo?”, “per quale motivo è qui?”;
3. Specificazione del problema: fase del problema iniziale - ciò che succede nel presente.
Poiché i comportamenti disfunzionali hanno conseguenze interne, familiari e sociali, è necessario
individuare variabili che modulano l’intensità, la frequenza e il grado di interferenza del problema per fare
ipotesi sulle variabili di mantenimento.
 Fase delle ipotesi eziopatogenetiche. Il focus è sulla ricostruzione del primo insorgere del
problema.
 Fase del profilo complessivo. In questa fase si lasciano da parte gli elementi problematici e
patologici relativi alla storia clinica e ci si centra su elementi della storia personale del paziente.
 Aspettative di trattamento. Bisogna approfondire le aspettative del paziente riguardo al
trattamento e ai suoi risultati. Il trattamento psicologico è infatti un progetto di cambiamento e
implica disponibilità al cambiamento.
 Ipotesi di trattamento. Consente di precisare gli obiettivi di trattamento realistici sia per il breve
che per il lungo termine. Sono valutate le diverse opzioni terapeutiche ed eventuali tecniche.
 Formulazione conclusiva e chiusura. Lo psicologo dà informazioni sui risultati principali delle varie
analisi che hanno integrato il colloquio. Lo psicologo prospetta la propria formulazione del caso
mettendo in evidenza i principali meccanismi che possono aver dato origine ai problemi.
La diagnosi deve rispondere a requisiti di:
 Specificità: che cosa caratterizza quel dato individuo;
 Generalizzabilità: che cosa ha in comune quell’individuo con altri che presentano caratteristiche
simili.
La diagnosi:
 cerca di conoscere il singolo individuo (conoscenza idiografica);
 cerca di riferire lo stesso individuo a leggi generali che accomunano il funzionamento di diversi
soggetti (conoscenza nomotetica).
Per diagnosi funzionale si intende la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato
psicofisico dell'alunno in situazione di handicap. Alla diagnosi funzionale provvede l'unità multidisciplinare.
La diagnosi funzionale è finalizzata al recupero del soggetto portatore di handicap.
Profilo dinamico-funzionale: Descrive in modo analitico i possibili livelli di risposta dell'alunno in situazione
di handicap riferiti alle relazioni in atto e a quelle programmabili. Indica in via prioritaria, dopo un primo
periodo di inserimento scolastico, il prevedibile livello di sviluppo che l'alunno dimostra di possedere nei
tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi (due anni). Il profilo dinamico funzionale viene redatto alla fine
della seconda e quarta elementare, alla fine della seconda media, alla fine del biennio superiore e del
quarto anno della scuola superiore.

CAPITOLO 34: LA SINDROME FRONTALE E IL CASO DI PHINEAS GAGE


Le funzioni esecutive costituiscono i processi mentali necessari per l'elaborazione di schemi cognitivo-
comportamentali adattivi in risposta a condizioni ambientali nuove e impegnative. Le funzioni esecutive
comprendono:
 le capacità di pianificazione e valutazione delle strategie efficaci in relazione ad un fine specifico,
connesse con le abilità di problem-solving e la flessibilità cognitiva;
 il controllo inibitorio e i processi decisionali che supportano la selezione della risposta funzionale e
la modificazione della risposta in relazione al cambiamento delle caratteristiche ambientali;
 il controllo attentivo, riferito alla capacità di inibire stimoli interferenti e di attivare l’informazione
rilevante;

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 la memoria di lavoro, ovvero i meccanismi cognitivi che consentono il mantenimento on-line e la
manipolazione dell'informazione necessaria per l'esecuzione di operazioni cognitive complesse.
La compromissione dei processi esecutivi descritti dà luogo a un quadro clinico definito «sindrome
disesecutiva». In una prospettiva neurobiologica, un ampio accordo è presente in letteratura sul
considerare la corteccia prefrontale il principale substrato neurale di tali funzioni. Per tale ragione, la
sindrome disesecutiva viene indicata in letteratura anche come «sindrome frontale».
La sindrome frontale è un quadro clinico caratterizzato da deficit cognitivi e disturbi comportamentali,
emotivi e motori. I sintomi critici per la diagnosi di questa patologia sono:
 incapacità di astrazione e di pianificazione;
 perseverazioni e mancanza di flessibilità nella formulazione e nell'uso di strategie cognitive;
 alterazione della personalità e del tono dell'umore con manifestazioni maniacali o depressive;
 comportamenti di imitazione.
La sindrome frontale è un quadro clinico la cui frequenza è correlata ad eventi traumatici di varia natura. Il
lobo frontale sottende alle funzioni esecutive attraverso tre fondamentali sistemi:
o Il sistema frontale dorsolaterale: controlla la pianificazione di azioni sequenziali e l’elaborazione di
strategie;
o Il sistema frontale orbito-mediale: interagisce con gli aspetti della motivazione, dell’emozione e
dell’iniziativa;
o Il sistema frontale cingolato anteriore: media il comportamento motivato.
Circuito dorsolaterale. Sostiene le funzioni cognitive, di memoria ed attentive.
Circuito orbito-mediale. Media risposte empatiche e socialmente appropriate.
Circuito cingolato anteriore. In caso di lesione causano: ridotta motivazione, ridotta iniziativa, ridotta
partecipazione emotiva, mutismo acinetico, linguaggio monosillabico.
Corteccia prefrontale dorsolaterale. Facile distraibilità, tendenza ad orientare l’attenzione verso stimoli
non rilevanti rispetto al contesto, ridotta capacità di giudizio e valutazione critica delle circostanze.
Lesioni della corteccia prefrontale dorsolaterale. Il comportamento è disorganizzato e caotico, non
appropriato rispetto al fine prefissato. Rigidità comportamentale, risposte ripetitive.
Corteccia prefrontale orbito frontale. Alterazione dei processi decisionali, alterazione dei processi di
risoluzione di problemi.
Lesioni della corteccia prefrontale orbitofrontale. Alterata regolazione di comportamenti socialmente
adattivi, pazienti incapaci di rispettare le norme sociali, di decidere in modo vantaggioso per se stessi.
Lesioni della corteccia cingolata anteriore
 Mutismo acinetico: marcata apatia, mancanza di iniziativa e di attività spontanea, profonda
indifferenza alle proprie necessità.

Il caso di Phineas Gage


Phineas Gage era un giovane di 25-27 anni, capo di un piccolo gruppo di operai che spianava il terreno per
costruire ferrovie negli Stati Uniti: la tecnica utilizzata allora consisteva nel far esplodere porzioni di terreno
per poi riempirlo con i binari. Quello che lui stava facendo al momento dell’incidente era la sistemazione
della polvere da sparo con una spranga di metallo sul fondo di un buco scavato per far esplodere il
monticolo di terra. In quel momento una scintilla ha fatto esplodere la carica di polvere da sparo e la
spranga è passata attraverso la parte inferiore dello zigomo di Phineas Gage, attraverso l’orbita, ledendo
tutta la porzione cerebrale che ha trovato sulla sua strada e poi fuoriuscendo. Ci si aspettava che il soggetto
morisse per le ferite, ma sopravvisse perché la spranga con la velocità aveva cauterizzato immediatamente
la ferita. Dopo l’incidente, tuttavia, cambiò il comportamento dell’individuo: la spranga aveva danneggiato
la regione orbito-frontale, in parte anche la regione ventro-mediale, e in parte anche la corteccia del

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cingolo anteriore. Phineas Gage, dall’essere una persona seria, posata, professionale, divenne un individuo
sgradevole, scurrile: questa lesione sembrava aver investito le sue capacità morali.
Un caso analogo a quello di Phineas Gage è il caso di Elliot.
Era un paziente con intelligenza superiore che faceva il broker di banca. Dopo una lesione in una regione
analoga a quella Phineas Gage, anche Elliot manifestò delle alterazioni nel comportamento, correlate ad
una completa incapacità di decidere.

CAPITOLO 35: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: RITARDO


MENTALE
Il ritardo mentale è definito come un incompleto o insufficiente sviluppo generale delle capacità mentali.
Secondo il DSM V, per porre diagnosi di ritardo mentale, il deficit delle funzioni intellettive è una condizione
necessaria. Per la diagnosi del ritardo mentale è fondamentale valutare il Quoziente Intellettivo (QI)
dell’individuo attraverso test psicometrici. Il quoziente intellettivo è espresso attraverso il rapporto tra:
 Età mentale, ovvero l’età del soggetto calcolata in relazione a come ha eseguito il test, cioè in base
alle sue abilità cognitive;
 Età cronologica, ovvero l’età anagrafica del soggetto.
Il DSM V afferma che la disabilità intellettiva, per essere tale, deve compromettere il funzionamento
personale in tre specifici domini. Per affermare che un dominio è compromesso, la condizione necessaria e
sufficiente è che questo deve essere compromesso in modo da rendersi necessario un supporto al soggetto
in un ambito.
I tre domini adattivi compromessi nel ritardo mentale sono:
 Dominio concettuale: include le abilità di linguaggio, lettura, scrittura, matematica, ragionamento,
conoscenza, memoria;
 Dominio sociale: si riferisce a consapevolezza dei pensieri e sentimenti altrui, empatia, giudizio
sociale, capacità nelle relazioni interpersonali, la capacità di fare e mantenere amicizie;
 Il dominio pratico: include autogestione come ad esempio la cura personale, le responsabilità
lavorative, la gestione del denaro.
Nel caso di ritardo mentale a seguito di lesioni encefaliche di natura traumatica si può anche usare la
definizione di “disordine neurocognitivo”.
È fondamentale differenziare tra ritardo mentale lieve e funzionamento intellettivo limite.
 Ritardo mentale lieve: relazioni sociali soddisfacenti. Relativamente alle aspettative per l’età,
difficoltà nell’apprendimento miste, orientamento spazio-tempo con supporto in una o più di
queste aree. Nell’età adulta spesso raggiungono una autonomia lavorativa.
 Ritardo mentale moderato: si associa a marcati ritardi dello sviluppo durante l’infanzia. Possono
sviluppare un certo grado di indipendenza nella cura di sé, discrete abilità scolastiche e capacità
comunicative. Progressi negli apprendimenti molto lenti, orientamento temporale e uso del denaro
marcatamente limitato.
 Ritardo mentale grave e gravissimo: cause biologiche. Spesso comorbilità con altre patologie:
paralisi cerebrale, epilessia, deficit sensoriali. Vi è compromissione di alcune competenze
visuospaziali come l’accoppiamento e l’ordinamento.
L’eziologia del ritardo mentale può manifestarsi a livello di diverse cause:
 Rischi prenatali: rosolia, toxoplasmosi, sifilide, HIV. Incompatibilità del sangue materno e fetale,
malnutrizione materna, tossicità in gravidanza da uso di tabacco, alcool, farmaci, droghe.
 Rischi perinatali: prematurità ed asfissia.
 Rischi postnatali: encefalite, meningite, traumi e tumori cerebrali, cause cerebrovascolari, lesioni
cerebrali.

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Cause genetiche
 Anomalie cromosomiche, trisomie dei cromosomi non sessuali (la trisomia 21 o sindrome di Down),
delezioni;
 Sclerosi tuberosa;
 Neurofibromatosi;
 Galattosemia: incapacità del neonato di metabolizzare il galattosio, una componente del latte.
Cause più comuni, responsabili di circa il 30% di tutte le cause individuabili di ritardo mentale:
 Sindrome di Down
 Sindrome X fragile
 Sindrome di Prader Willi
Sindrome di Down: le persone con sindrome di Down hanno un aspetto caratteristico con occhi all'insù,
macchie di Brushfield (macchie nell'iride), il naso piccolo e la faccia schiacciata. Una piega di Simian (piega
palmare singola) è presente nel 50% delle persone affette da tale sindrome. Le persone con sindrome di
Down hanno un ritardo mentale ed un maggior rischio di sviluppare demenza in avanti con gli anni.
Sindrome dell’X fragile: questa sindrome si sviluppa quando c'è un’area abnorme in uno dei cromosomi X.
Le persone con questa sindrome hanno giunture rilassate, faccia lunga con grandi orecchie, testicoli larghi,
anormalità cardiache ed una testa larga con il naso lungo. Numerosi comportamenti sono associati con l'X-
Fragile inclusi comportamenti di tipo autistico e iperattività.
Sindrome di Prader-Willi: è dovuta alla perdita di materiale del cromosoma 15 paterno che causa ritardo
mentale e anormalità fisiche associate ad un insaziabile appetito, grossa sovralimentazione, obesità, pica,
strapparsi la pelle, irritabilità e cocciutaggine. Le persone con questa sindrome si mostrano spesso
arrabbiate, aggressive, con comportamenti di sfida se i loro comportamenti per procurarsi il cibo vengono
ostacolati e hanno disturbi di personalità parzialmente dovuti alla sensibilità nei confronti del loro aspetto
fisico.
Per i test psicometrici al di sotto dei 4 anni di vita si utilizzano le scale che esprimono un quoziente di
sviluppo (QS).
Test psicometrici per la valutazione del quoziente intellettivo:
 Wechsler Preschool and Prymary Scale of Intelligence (4-6 anni)
 Wechsler Intelligence Scale for Children (6-16 anni)
 Wechsler Adult Intelligence Scale (dopo i 16 anni)
 WAIS-R (adulti)
 Disegno figura umana (3-13 anni)
Test psicometrici per la valutazione del quoziente di sviluppo:
 Bailey Scales of Infant Development II (1-42 mesi)
 Griffiths’ Mental Development Scales (0-2 anni e 2-8 anni)
Test per valutare l’adattamento nei diversi domini di vita:
 Vineland Adaptative behavior Scale (VABS)
 Adaptative Behavior Scale (ABS)
 Adaptative Behavior Inventory (ABI)

CAPITOLO 36: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: SCHIZOFRENIA


Emil Kraepelin, raggruppa, sotto l’unica denominazione di “demenza precoce”, l’ebefrenia, la catatonia e la
demenza paranoide, individuando nelle tre forme un comune processo degenerativo.
Bleuler Eugen introduce il concetto di schizofrenia, letteralmente “scissione della mente”

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Sintomi di base: difficoltà nel pensare chiaramente, affettività incongrua o appiattita, perdita del
comportamento mirato o ambivalenza dovuta agli impulsi conflittuali, ritiro in un mondo interiore
(autismo).
Sintomi Secondari: adattamento ai sintomi primari: deliri, allucinazioni, disturbi del linguaggio e della
scrittura e sintomi catatonici.
Nel tempo la descrizione dei sintomi per diagnosticare la schizofrenia è cambiata:
 Kurt Schneider introduce i sintomi di primo e secondo ordine;
 Crow distingue tra schizofrenia di tipo I e di tipo II;
 Andreasen distingue in schizofrenia negativa, schizofrenia positiva, schizofrenia mista.
Oggi la schizofrenia è descritta come una malattia psichiatrica con 3 classi di sintomi:
 Sintomi positivi: allucinazioni, deliri;
 Sintomi negativi: appiattimento affettivo, assenza di motivazione;
 Compromissione cognitiva: problemi di memoria a breve termine e attenzione.
Ipotesi del neurosviluppo e schizofrenia:
 Alcuni autori hanno proposto che nella schizofrenia una lesione precoce dell’ippocampo,
interagendo con lo sviluppo dei neuroni in corteccia prefrontale dorsolaterale, potrebbe
comportare l’alterazione di una serie di fenomeni, inclusi quelli relativi alla regolazione
dopaminergica e alla working memory.
Ipotesi della disregolazione dopaminergica: la disregolazione del sistema dopaminergico nella schizofrenia
è stata ipotizzata da lungo tempo sulla base del fatto che antagonisti dei recettori per la dopamina
alleviano certi sintomi del disturbo, come i deliri e le allucinazioni, mentre agonisti dopaminergici li
accentuano nei pazienti. Sulla base di queste evidenze, è stata proposta una teoria dopaminergica della
schizofrenia per la quale in questo disturbo esisterebbe un’iperfunzione del sistema dopaminergico.
Teoria dopaminergica 1960-70. I sintomi psicotici e la schizofrenia in genere sono causati da un’iperattività
dopaminergica: i farmaci antidopaminergici sono detti neurolettici perché inducono una sindrome motoria
simile al Parkinson, patologia degenerativa nota per la perdita di neuroni dopaminergici.
Teoria dopaminergica 1980-90. Il difetto iniziale e peculiare della schizofrenia risiederebbe nella corteccia
dorsolaterale prefrontale, in cui si osserva una riduzione del tono dopaminergico. Ciò sarebbe correlato allo
sviluppo dei sintomi negativi e dei deficit neurocognitivi della schizophrenia.
Attuale ipotesi dopaminergica: vengono chiaramente separati i sintomi psicotici produttivi dai sintomi
deficitari e neurocognitivi. Viene riconosciuto, ma ridimensionato ad una componente non esclusiva, il
ruolo della dopamina.
Un ruolo importante nella schizofrenia lo ha la genetica:
Modalità di trasmissione genetica: i dati degli studi familiari suggeriscono che la malattia sia causata
dall’azione combinata di differenti geni (poligenica).
Studi di brain imaging (CT, MRI) e post-mortem documentano, in vivo, riduzione del volume corticale:
Studi istopatologici dimostrano un allargamento del sistema ventricolare.
Studi di rCBF (Regional Cerebral Blood Flow) e di metabolismo del glucosio indicano che i deficit
mnemonici e decisionali sono associati ad un deficit nella connettività temporo-limbica.
Fattori di vulnerabilità nella schizofrenia:
 Disfunzioni dopaminergiche;
 Ridotta capacità di processazione delle informazioni;
 Iper-reattività a stimolazioni negative;
 Tratti schizotipici di personalità.

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CAPITOLO 37: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: DISTURBI
DELLO SPETTRO AUTISTICO
Lo spettro autistico è una categoria che comprende un gruppo di disturbi che condividono una
compromissione peculiare delle funzioni comunicative, interattive e immaginative. I disturbi dello spettro
autistico sono altrimenti detti «disturbi pervasivi dello sviluppo» in quanto tutti comprendono una
pervasiva compromissione dello sviluppo di tutte, o quasi tutte, le funzioni mentali essenziali per il processo
evolutivo del bambino. Comprendono:
 Autismo
 Disturbo di Asperger
 Disturbo di Rett
 Disturbo disintegrativo della fanciullezza
 Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato
I punti in comune a tutti i disturbi dello spettro autistico riguardano:
o Deficit nella comunicazione e interazione sociale: assenza di reciprocità emotiva, deterioramento
nell’uso di comportamenti non verbali, difficoltà nello sviluppare o mantenere amicizie, assenza di
condivisione di esperienze.
o Attività stereotipate e interessi ristretti: presenza di movimenti stereotipati o ripetitivi, aderenza
inflessibile a routine non funzionali, interessi ristretti e fissi, iper o iporeattività a stimoli sensoriali.
I disturbi dello spettro autistico possono essere diversi non solo per caratteristiche sintomatologiche, ma
anche per gravità. Una volta posta diagnosi di disturbo dello spettro autistico, esistono tre possibili livelli di
gravità:
 Livello 1, Richiesta di assistenza: il problema sociale è caratterizzato solo da un inizio difficile di
interazione. Il soggetto è capace di esprimersi e di rispondere a semplici domande, ma non riesce a
sostenere una conversazione.
 Livello 2, Richiesta di assistenza sostanziale: per quei soggetti i cui deficit verbali e non verbali
sono marcati. Le iniziative di interazione sociale sono limitate e i comportamenti interferiscono con
il normale funzionamento.
 Livello 3, Richiesta di assistenza molto sostanziale: i deficit sono molto severi. Vi è assenza di
produzione di linguaggio verbale, estrema difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti.
Genetica: si pensa che la causa sia poligenica (più geni coinvolti).
Biologia:
 Disordine neurologico che danneggia il funzionamento cerebrale;
 Malfunzionamento dei neuroni specchio.
I neuroni specchio sono alla base di: capacità imitative, intersoggettività, comprensione delle azioni e delle
intenzioni degli altri, riconoscimento delle emozioni ed empatia.
Nei primi anni di vita: mancato uso del linguaggio verbale e disattenzione nei confronti del linguaggio
verbale degli altri. Non cerca di compensare con modalità alternative di comunicazione come gesti o
mimica.
Fra il secondo e il quinto anno di vita: il bambino si aggira fra gli altri come se non esistessero; tende a
isolarsi; quando chiamato non risponde; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo
rende partecipe delle sue attività; utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze
del momento.
Dopo il sesto anno di vita, il 50% dei casi riesce ad accedere al linguaggio verbale, che tuttavia risulta
inadeguato. Mancato riconoscimento dell’altro come partner conversazionale: parla di argomenti a lui
favoriti senza preoccuparsi se interessino l’interlocutore o se siano pertinenti al discorso. Deficit di
comprensione: incapacità di riconoscere i motti di spirito, i doppi sensi, le metafore.

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Avere una «Teoria della Mente» vuol dire essere capaci di attribuire a se stessi e agli altri degli stati mentali
differenti per spiegare e predire il comportamento. Gli stati mentali propri e altrui permettono di
comprendere e legare assieme le azioni e di dare un’interpretazione coerente a ciò che accade. Nel
bambino con disturbo dello spettro autistico la teoria della mente è deficitaria, pertanto i soggetti con
disturbi dello spettro autistico sarebbero incapaci di rappresentarsi lo stato mentale di se stessi e degli altri
e del pensiero altrui. Questo deficit di mentalizzazione spiegherebbe alcuni sintomi, come il deficit di
comunicazione intenzionale, immaginazione e socializzazione, assenza di attenzione condivisa, della
capacità di imitare. Il deficit di coerenza centrale fa riferimento a problematiche più generali che
consentirebbero di cogliere la struttura complessiva di uno stimolo e le relazioni con il contesto.
Deficit nelle funzioni esecutive: deficit nelle capacità di inibire una risposta o di posticiparla, l’abilità di
pianificare una sequenza di azioni, rappresentarsi un compito.

CAPITOLO 38: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: DEMENZE


Con il termine di demenza si definisce una sindrome clinica caratterizzata da perdita delle funzioni
cognitive, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative della persona e da
rappresentare un deciso peggioramento rispetto ad un precedente livello funzionale della persona stessa.
L’acronimo BPSD sta per behavioral and pschological symptoms of dementia. La demenza è una sindrome
complessa determinata da una combinazione di fattori genetici e ambientali, responsabili della perdita di
un numero sufficiente di neuroni e connessioni sinaptiche. Si tratta di una compromissione globale delle
funzioni corticali superiori, comprese: la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della vita di ogni
giorno, la capacità di svolgere le prestazioni percettivo-motorie già acquisite in precedenza. Tutto ciò in
assenza di compromissione dello stato di vigilanza. Il sospetto diagnostico si fonda:
 sul confronto con l’efficienza mentale precedente l’esordio della malattia;
 sull’osservazione attuale del malato.
Questi caratteri consentono di differenziare le demenze dalle oligofrenie (che sono stati d’insufficienza
mentale presenti fin dall’inizio della vita). La demenza è caratterizzata anche da sintomi non cognitivi.
Vengono definiti come un gruppo eterogeneo di sintomi da “alterazione della percezione, del contenuto del
pensiero, dell’umore o del comportamento, che si osservano frequentemente in pazienti con demenza”.
Sono sintomi secondari, cioè espressione del tentativo di adattamento del soggetto ai sintomi cognitivi e al
deficit di funzionamento che ne consegue. Includono:
o alterazioni dell’umore: depressione, labilità emotiva, euforia;
o sintomi psicotici: deliri, allucinazioni e misidentificazioni o falsi riconoscimenti;
o sintomi neurovegetativi: alterazioni del ritmo sonno-veglia, dell’appetito, del comportamento
sessuale;
o disturbi della personalità: indifferenza, apatia, disinibizione, irritabilità;
o disturbi dell’attività psicomotoria: vagabondaggio, acatisia
o comportamenti specifici: agitazione, aggressività verbale o fisica.
Le demenze possono essere classificate in primarie e secondarie.
Le demenze primarie si dividono tra:
 Demenze Degenerative Pure: demenza di Alzheimer, demenza fronto-temporale, demenza da
atrofie corticali posteriori;
 Demenze Degenerative “plus”: demenza a corpi di Lewy, Parkinson- demenza.
Le demenze secondarie, cioè dovute ad altre condizioni patologiche, si dividono in:
 Da Patologie dirette del SNC: vascolari, infettive, demielinizzanti, malattie metaboliche del SNC,
traumatiche, tumorali;
 Demenze secondarie da patologie sistemiche: metaboliche, disendocrine, tossiche, disimmuni.

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Un’altra possibile classificazione distingue demenze corticali e sottocorticali.
In fase conclamata:
 Decadimento intellettivo. Non è in grado di eseguire un ragionamento, risolvere un problema, fare
calcoli, svolgere il proprio lavoro. Si isola dal mondo e si racchiude in un cerchio sempre più
ristretto di abitudini, al di fuori delle quali non è più capace di operare.
 Confusione mentale. Malato disorientato nello spazio, nel tempo, nel riconoscimento delle
persone, nel riconoscimento della propria identità.
 Perdita della memoria. Ricordi recenti dapprima, antichi successivamente. Il demente tende a
negare il difetto mnesico. Il depresso endogeno invece lamenta un difetto della memoria recente,
in realtà non compromessa.
 Disturbi dell’affettività: ansia e depressione lasciano posto ad uno stato di apatia.
Fenomeni accessori: alcune sindromi amnesiche sono caratterizzate dalle pseudo-amnesie, consistenti in
“ricordi” errati, creduti reali dal malato. Se ne distinguono due tipi:
 i falsi riconoscimenti (errori presente-passato): il malato attribuisce ad una persona o ad un luogo
del presente l’identità di persone o luoghi appartenenti alla sua storia passata
 i falsi ricordi (errori fantasia-realtà o “confabulazioni”): il malato fabbrica “ricordi” con la fantasia.
La malattia di Alzheimer (MdA) costituisce circa il 50-60% di tutte le forme di demenza.
3 differenti gradi di espressione clinica:
 MdA preclinica: assenza di segni clinici evidenti ma presenza di dati strumentali, biochimici,
genetici, che ne fanno ipotizzare il futuro sviluppo;
 Deterioramento cognitivo lieve;
 Demenza conclamata.
Aspetti neuropatologici generici: cervello diffusamente atrofico, prevalentemente a livello dei lobi frontali
e temporali; circonvoluzioni assottigliate, solchi corticali allargati; terzo ventricolo e ventricoli laterali
dilatati in modo simmetrico; diffusa perdita neuronale a livello corticale, e gliosi secondaria.
Aspetti neuropatologici specifici: degenerazione neuro-fibrillare; placche senili, accumuli di materiale
amorfo extracellulari, costituito da neuroni degenerati.

CAPITOLO 39: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: PATOLOGIE


NEURODEGENERATIVE
Le malattie neurodegenerative sono un gruppo di alterazioni in cui si ha una distruzione graduale dei
neuroni. Le malattie neurodegenerative sono patologie caratterizzate dalla perdita lenta e progressiva di
una o più funzioni del sistema nervoso. Le malattie neurodegenerative sono causate da un difetto di uno o
più geni che coinvolgono la differenziazione e la funzione del neuroectoderma e suoi derivati.
Le mutazioni possono avvenire per:
 Delezione: sindrome di Prader-Willi, sindrome di Angelman;
 Mutazioni puntiformi: sindrome di Charcot-Marie Tooth tipo 1, forme familiari di SLA;
 Espansione di un trinucleotide: distrofia miotonica, sindrome da ritardo mentale x-fragile, malattia
di Huntington;
 Malattie geneticamente eterogenee: malattia di Parkinson e malattia di Alzheimer.
Malattia di Alzheimer. La demenza è la perdita delle funzioni intellettive come il ricordare, il pensare, il
ragionare, di gravità tale da rendere la persona malata incapace di svolgere gli atti della vita quotidiana.
Tra le cause della malattia: Il deficit della memoria e la progressiva compromissione delle funzioni cerebrali,
tipiche della malattia di Alzheimer, sono dovuti alla degenerazione di una popolazione particolare di
neuroni, chiamati colinergici perché rilasciano acetilcolina importanti per le funzioni complesse come la
memoria e il ragionamento.

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Fattori di rischio: età, storia familiare di demenza, trauma cranico con perdita di coscienza, depressione;
Ereditarietà: la malattia di Alzheimer è in parte geneticamente determinata.
Autosomica dominante, a insorgenza precoce:
 gene che codifica per la proteina proteina APP → cromosoma 21;
 gene che codifica per la proteina presenilina 1 → cromosoma 1;
 gene che codifica per la proteina presenilina 2 → cromosoma 14.
Forma ad esordio tardivo:
 gene che codifica per l’apolipoproteina E → cromosoma 19.
Malattia di Parkinson. Si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente
da degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza
nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, cioè una sostanza chimica che trasmette messaggi a
neuroni in altre zone del cervello. Il neurotrasmettitore in questione, chiamato dopamina, è responsabile
dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento.
Sindrome clinica caratterizzata da specifici deficit motori: tremore, acinesia, rigidità, instabilità posturale.
Corea di Huntington. Si tratta di una delle più gravi malattie neurodegenerative ed è caratterizzata da
movimenti involontari di tipo coreico, disturbi psichici e demenza. Vi è un’alterazione delle capacità
cognitive, dei movimenti e del controllo emotivo. Ha un andamento ingravescente, per cui i sintomi e il
disturbo cognitivo peggiorano col progredire della malattia. Altro sintomo comune è la disartria, che si
manifesta come un’alterazione della capacità di articolare il linguaggio, spesso associata alla difficoltà di
deglutizione. Il gene responsabile della malattia di Huntington è denominato IT15 e contiene all’interno
della regione codificante una sequenza trinucleotidica CAG ripetuta in numero variabile di volte. Nei
cromosomi normali la sequenza CAG è ripetuta tra 6 e 35 volte ed è trasmessa in modo mendeliano,
mentre nei cromosomi che trasmettono la malattia di Huntington la stessa sequenza nucleotidica è ripetuta
più di 40 volte.
Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). È una malattia neurodegenerativa tipica dell’età adulta caratterizzata
dalla progressiva paralisi muscolare, causata dalla degenerazione dei motoneuroni nella corteccia motoria
primaria, nel tratto corticospinale e nel midollo spinale. I motoneuroni sono le cellule responsabili della
contrazione della muscolatura volontaria preposta in primo luogo al movimento, ma che presiede anche
funzioni vitali come deglutizione, fonazione e respirazione: la loro degenerazione comporta la paralisi
progressiva dei muscoli da loro innervati.
Ipotesi eziologiche:
 Eccitotossicità glutammatergica: il glutammato determina un aumento dell’afflusso di calcio
intracellulare che si traduce in un’attivazione enzimatica che culmina nella degenerazione e necrosi
cellulare;
 Stress ossidativo: aumento radicali liberi;
 Disfunzione mitocondriale: alterazioni biologiche e biochimiche, aumento livelli di calcio al loro
interno, riduzione attività della catena respiratoria.

CAPITOLO 40: DISTURBI PSICHIATRICI AD ALTA COMPROMISSIONE COGNITIVA: IL DISTURBO


DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Il «Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività» o «Attention Deficit Hyperactivity Disorder» (DDAI o
ADHD) è la più recente etichetta diagnostica utilizzata per descrivere bambini che presentano problemi di
attenzione, impulsività e iperattività. La prevalenza di ADHD è stimata tra il 3% e il 5% dei bambini in età
prescolare. Il 70-80% dei soggetti con ADHD ha almeno un altro disturbo psicopatologico associato. Solo il
20-30% dei bambini diagnosticati ha solo ADHD.
Dettagli riguardo la comorbidità psichiatrica:

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 Disturbo oppositivo-provocatorio e disturbo della condotta: molto frequente;
 Disturbi d’ansia, disturbi specifici di apprendimento, disturbo evolutivo specifico della funzione
motoria: frequente;
 Disturbi dell’umore, tic, disturbo ossessivo- compulsivo: moderatamente frequente;
 Disturbi pervasivi di sviluppo, disabilità intellettiva: rara.
Disattenzione. Diversi autori sostengono che il deficit principale della sindrome sia rappresentato dalle
difficoltà d’attenzione, che si manifestano sia in situazioni scolastiche/lavorative, che in quelle sociali.
Sembra che le problematiche attentive diventino evidenti in particolare quando il compito da svolgere non
risulta attraente e motivante per il bambino.
Iperattività. Eccessivo livello di attività motoria o vocale. Il bambino iperattivo manifesta continua
agitazione, difficoltà a rimanere seduto e fermo al proprio posto.
Impulsività. Difficoltà a dilazionare una risposta, ad inibire un comportamento inappropriato, ad attendere
una gratificazione.
Secondo il DSM V per effettuare diagnosi di DDAI abbiamo bisogno di “un pattern persistente di
inattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo, come
caratterizzato dal punto 1 e/o 2”:
1. Disattenzione: sei (o più) sintomi di disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con
un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo;
2. Iperattività/impulsività: sei (o più) sintomi di iperattività che persistano per almeno 6 mesi con
un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo.
Sottotipi:
 ADHD con prevalente disattenzione: almeno sei sintomi di disattenzione, ma meno di sei sintomi
di iperattività/impulsività;
 ADHD con prevalente iperattività: almeno sei sintomi di iperattività/impulsività, ma meno di sei
sintomi di disattenzione;
 ADHD combinato: almeno sei sintomi sia di iperattività/impulsività che di disattenzione.
I sintomi di inattenzione o di iperattività-impulsività sono presenti già prima dei 12 anni.
Età prescolare (3-6 anni): massima iperattività, comportamenti aggressivi, litigiosità, provocatorietà,
frequenti scoppi d’ira, crisi di rabbia, sonno discontinuo e agitato, gioco ridotto, semplificato.
Età scolare (6-12 anni), qui generalmente avviene la prima diagnosi: maggiore evidenza della disattenzione
e impulsività, tendenza ad evitare compiti cognitivi complessi e lunghi, difficoltà scolastiche.
Adolescenza: crescente compromissione emotiva (depressivo-ansiosa) e sociale, carente capacità di
organizzazione e di pianificazione, instabilità in scelte scolastiche, lavorative, relazionali, condotte
pericolose e ricerca di sensazioni forti.
Età adulta: il 50% con pregresso ADHD funziona normalmente; il restante 50% ha sintomi di diversa
intensità: difficoltà di attenzione difficoltà di auto-organizzazione. Scarso rendimento nel lavoro (70-80%).

I geni svolgono un ruolo importante nello sviluppo dell’ADHD. I geni sono coinvolti nella trasmissione
familiare dell’ADHD. La regolazione epigenetica di trasmissione dei segnali neurobiologici nell’ADHD si basa
sui neurotrasmettitori dopamina, noradrenalina, serotonina.
Fattori ambientali che modulano l’effetto dei fattori genetici nel rischio di ADHD: instabilità familiare,
conflitto genitoriale, disturbi psicologici dei genitori, rapporto negativo bambino-genitori, esposizione a
stress o traumi.
Studi di Brain Imaging evidenziano come, nei bambini con ADHD, il SNC maturi in modo normale, ma con un
ritardo medio di 3 anni. Le regioni cerebrali più coinvolte riguardano quelle che interessano l’attenzione,
nonché regolazione delle emozioni e motivazione.

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CAPITOLO 41: IL RUOLO DELL’EREDITARIETÀ
Ciascun individuo possiede delle caratteristiche fisiche che permettono di riconoscerlo come appartenente
a una certa specie e di distinguerlo rispetto ad altri esemplari della stessa specie. Queste caratteristiche
sono trasmesse da una generazione all’altra: sono, cioè, caratteri ereditari. Lo studio scientifico
dell’ereditarietà costituisce la branca della biologia che è detta genetica. Questa disciplina deve il proprio
nome al fatto che le unità trasmissibili di generazione in generazione sono chiamate geni. Un singolo gene
corrisponde ad un determinato tratto di DNA, mentre l’insieme dei geni, o genoma, corrisponde all’intero
DNA e costituisce il patrimonio genetico di un individuo o di una specie. Le differenti caratteristiche che può
assumere lo stesso gene si chiamano alleli. Tutti gli individui possiedono una coppia di alleli per ogni
carattere ereditario: quando la coppia responsabile di un carattere è formata da alleli identici l’individuo è
detto “geneticamente puro” o omozigote. Quando la coppia è formata da alleli diversi l’individuo è detto
“misto” o eterozigote. In una coppia di alleli diversi, l’azione di un allele può essere dominante o recessiva.
L’insieme dei geni di un individuo è detto genotipo; invece, l’insieme dei caratteri di un individuo è detto
fenotipo.
Lo studio dell’ereditarietà dei caratteri ebbe inizio con gli esperimenti di Gregor Mendel. Dall’analisi dei
risultati dei suoi esperimenti, Mendel formulò quattro ipotesi:
1. Ogni carattere è trasmesso da un “fattore ereditario” che è presente in due forme alternative. Oggi
il fattore ereditario è chiamato gene e le due forme alternative alleli.
2. Per ogni carattere un organismo ha due alleli, uno ereditato da un genitore, uno dall’altro. La
combinazione dei due alleli costituisce il genotipo dell’individuo per quel dato carattere. I due alleli
di ciascun gene possono essere uguali – e in questo caso l’individuo è omozigote per quel carattere,
oppure diversi, e quindi l’individuo è eterozigote.
3. Le coppie di alleli di ciascun gene si separano al momento della formazione delle cellule
riproduttive che pertanto possiedono un solo allele per ogni gene. La coppia di alleli si riforma con
la fecondazione.
4. Quando un individuo è eterozigote per un certo carattere, uno dei due alleli viene espresso nel
fenotipo mentre l’altro non ha effetti visibili. L’allele che controlla il fenotipo dell’eterozigote è
chiamato allele dominante, mentre l’altro è detto allele recessivo.
Queste ipotesi confluiscono nella prima legge di Mendel, o «legge della segregazione dei caratteri»: le
coppie di alleli di un gene si separano durante la formazione dei gameti, in modo che metà dei gameti
riceverà un allele e metà l’altro.
La seconda legge di Mendel. Prende in considerazione la trasmissione contemporanea di due caratteri
differenti. La trasmissione degli alleli avviene secondo meccanismi casuali.
La genetica non mendeliana è basata su un modello di trasmissione genetico che si chiama threshold
ability model, ovvero modello della soglia di suscettibilità. Il modello considera l’emergere di un carattere
patologico, come l’emergere di una caratteristica che supera una determinata soglia. Questo modello per
sua natura porta anche a pensare che ci possano essere dei sintomi pre-soglia, anche detti prodromici, e
che questi possono portare a una manifestazione incompleta del disturbo.
Distinguiamo la differenza tra ereditarietà ed ereditabilità:
 L’ereditarietà è la capacità di un carattere di manifestarsi nella prole più di quanto sia dovuto al
caso;
 L’ereditabilità è una valutazione statistica che studia quale proporzione di un dato tratto è dovuta a
fattori genetici.
Il tratto è un carattere stabile dell’individuo, come ad esempio l’altezza nell’adulto o l’intelligenza.
Lo stato è invece una situazione transitoria che può aversi nell’individuo in un dato tempo ma può anche
non esserci.

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L’ereditabilità varia tra 0 e 1. Questi indici valgono per un tratto specifico in una data popolazione in
condizioni specifiche.
L’ereditabilità può cambiare come il risultato di un cambiamento dell’ambiente. Ci sono 3 categorie di
interazione gene-ambiente che influenzano lo sviluppo dell’individuo e sono di tipo:
 Passivo
 Evocativo
 Attivo
Le influenze genetiche passive sono causate dal fatto che i genitori, che sono imparentati con i propri figli,
danno un ambiente come conseguenza del loro genotipo che corrisponde a quello che i figli hanno
ereditato insieme al loro genotipo.
Le influenze evocative sono quelle per le quali i figli ricevono risposte dagli altri, che sono influenzate dal
genotipo.
Le influenze di tipo attivo sono quelle per cui una tendenza geneticamente indotta a manifestare un
comportamento porta a una pressione ambientale.

CAPITOLO 42: COMPROMISSIONE COGNITIVA SECONDARIA A DISTURBI DELL’UMORE


I disturbi dell’umore sono disturbi psichiatrici caratterizzati da un’alterazione nella regolazione degli affetti.
I principali disturbi dell’umore sono:
 Disturbo depressivo maggiore (unipolare)
 Disturbo bipolare I
 Disturbo bipolare II
Disturbo depressivo maggiore unipolare. Almeno uno dei sintomi è costituito da: umore depresso, marcata
diminuzione di interesse per tutte le attività, significativa perdita di peso o aumento di peso, oppure
diminuzione o aumento dell’appetito, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio,
faticabilità o mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati.
Disturbo Bipolare I: secondo il DSM, per fare diagnosi di disturbo bipolare I è necessario e sufficiente che vi
sia un episodio maniacale nell’anamnesi purché tale episodio non sia meglio spiegato da schizofrenia e
relativo spettro. L’età media di esordio è di 18 anni.
Disturbo Bipolare II: secondo il DSM, per la diagnosi di disturbo bipolare II è necessaria la presenza di
almeno un episodio ipomaniacale e uno depressivo maggiore.
Episodio maniacale: si caratterizza per un innalzamento abnorme del tono dell’umore; l’umore è espansivo
o irritabile; deve perdurare almeno una settimana e compromettere la vita quotidiana.
Umore persistentemente elevato o irritabile e persistente aumento di attività o energia per almeno 1
settimana, con 3 (4 se umore irritabile) dei seguenti criteri: autostima ipertrofica o grandiosità, ridotto
bisogno di sonno, logorrea, fuga delle idee, distraibilità, aumento dell’attività finalizzata, coinvolgimento in
attività piacevoli ma pericolose, marcata compromissione funzionale.
Episodio ipomaniacale: umore persistentemente elevato o irritabile e persistente aumento di attività o
energia per almeno 4 giorni, con 3 (4 se umore irritabile) tra: autostima ipertrofica o grandiosità, ridotto
bisogno di sonno, logorrea, fuga delle idee (l’associazione delle idee è superficiale e rapida), distraibilità,
aumento dell’attività finalizzata, coinvolgimento in attività piacevoli ma pericolose, marcata
compromissione funzionale.
Differenze tra episodio maniacale e ipomaniacale:
 Durata minima per fare diagnosi (1 settimana per maniacale, 4 giorni per ipomaniacale);
 Nell’episodio maniacale, il paziente può manifestare sintomi psicotici, nell’episodio ipomaniacale le
manifestazioni psicotiche sono assenti.

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Lo studio degli alberi genealogici dei pazienti ha dimostrato che il disturbo bipolare è una malattia
familiare, e questo fa pensare che esista una predisposizione genetica, anche se un gene specifico non è
stato individuato. Il rischio sembra essere cumulativo: più persone in una famiglia ne soffrono, più è
probabile che un nuovo membro ne soffra. È stata identificata una mutazione nel gene DAT (dopamine
transporter) specificamente associata al disturbo bipolare, ma non alla schizofrenia e alla depressione.
La correlazione tra disfunzioni cognitive e funzionamento psicosociale nel disturbo depressivo risulta
complessa e di difficile comprensione a causa dell’eterogeneità dei sintomi e degli episodi depressivi, delle
capacità cognitive e dei domini di funzionamento psicosociale. Valutazioni oggettive delle prestazioni
cognitive suggeriscono che i pazienti con depressione melanconica abbiano una compromissione
significativamente maggiore della memoria e della funzione esecutiva, rispetto ai pazienti con depressione
non melanconica. Le alterazioni cognitive maggiormente presenti nella patologia depressiva riguardano le
funzioni esecutive, il problem solving, l’attenzione e la memoria a breve termine e di lavoro.
Particolarmente compromessa è l’abilità di set-shifting task. Tale funzione esecutiva garantirebbe la
flessibilità cognitiva permettendo al soggetto di spostare l’attenzione tra compiti diversi. Questa capacità
faciliterebbe l’adattamento del soggetto a nuove e inusuali situazioni in modo rapido ed efficiente. Inoltre,
studi neuropsicologici sulla depressione maggiore hanno ipotizzato l’esistenza di uno specifico deficit di
performance della memoria di lavoro (working memory) frutto di una disfunzione della corteccia
prefrontale dorsolaterale.
Il riscontro di compromissioni cognitive nell’ambito dei disturbi bipolari è un rilievo molto frequente nella
pratica clinica, durante gli episodi critici ma anche nelle fasi intercritiche. I deficit cognitivi sono presenti
non solo in tutte le fasi del disturbo fin dall’esordio, ma anche nei soggetti con rischio genetico di disturbo
bipolare e nei familiari di primo grado dei pazienti. Le anomalie cognitive osservabili sono molto spesso
associate al riscontro di anormalità strutturali e funzionali nel network limbico e corticale. L’episodio
maniacale, in particolare, si caratterizza per deficit cognitivi dell’attenzione, della memoria di lavoro, della
flessibilità mentale e della memoria verbale. In generale, invece, la compromissione cognitiva (attenzione,
memoria e funzioni esecutive) è maggiore nel disturbo bipolare I. Varie ricerche hanno evidenziato, inoltre,
un decorso più sfavorevole nei soggetti che all’inizio del trattamento mostravano maggiori deficit cognitivi,
individuando un ruolo predittivo di questi ultimi sulla prognosi del disturbo bipolare.

CAPITOLO 43: COMPROMISSIONE COGNITIVA SECONDARIA ALL’USO DI SOSTANZE


La dipendenza da sostanze è quella condizione psichica e talvolta anche fisica derivante dall'interazione tra
un organismo vivente e una sostanza tossica, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre
reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o
periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.
Alcuni concetti chiave:
 Craving: desiderio impulsivo verso una sostanza psicoattiva o un oggetto/comportamento
gratificante;
 Tolleranza: si verifica quando una data dose di sostanza, dopo somministrazioni ripetute, produce
un effetto minore di quello ottenuto alla prima somministrazione;
 Astinenza: insieme dei sintomi che compaiono quando si è lontani dalla sostanza/condotta
patologica;
 Ricaduta: ritorno all’assunzione della sostanza o alla condotta patologica dopo un periodo più o
meno protratto di astensione.
Tra le più frequenti conseguenze dell’uso in acuto di cannabinoidi vi è l’induzione di un effetto euforizzante
o “high”. Una dose di 2.5 mg risulta sufficiente a determinare tale azione psicoattiva, comprendente la
riduzione dell’ansia, dell’allerta e delle tensioni, accompagnate da un incremento delle capacità

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socializzanti. Mentre l’evidenza indica che l’abuso di cannabinoidi da parte di consumatori abituali è
associato a incremento della frequenza di disturbi d’ansia e di altri problemi psichiatrici, recenti studi
epidemiologici non hanno confermato tale dato. Accompagnando l’euforia, e spesso contribuendovi, la
cannabis produce alterazioni percettive. I colori possono essere percepiti come più brillanti, i suoni come
più intensi e le emozioni più significative. La percezione spaziale può venire distorta ed il trascorrere del
tempo viene alterato tale da apparire più rapido. Ogni deficit cognitivo prodotto dall’assunzione di cannabis
in adolescenza può avere implicazioni non favorevoli per il successivo funzionamento in ambito scolastico,
lavorativo e sociale anche in età adulta. Quindi uno dei fattori che più influisce sui deficit neuropsicologici
secondari all’uso di cannabis è l’età d’esordio.
Medina e colleghi hanno esaminato il volume cerebrale di un gruppo di consumatori di cannabis
adolescenti, dopo un mese di astinenza. In una delle prime analisi, è emerso che i consumatori di cannabis
adolescenti non differivano in modo significativo dai gruppi di controllo sani nel volume ippocampale,
anche se le correlazioni tra volume ippocampale e memoria verbale risultavano anomale rispetto ai
soggetti di controllo. Inoltre, è stato rilevato che un incremento dell’uso di cannabis o la presenza di sintomi
di dipendenza predicevano fortemente un maggiore volume dell’ippocampo sinistro. Simili anomalie della
struttura cerebrale sono state riscontrate in adolescenti con disturbo bipolare.
Gli studi su adolescenti con fMRI hanno rilevato anomalie della corteccia prefrontale, dei pattern di
attivazione limbica e parietale nei consumatori di cannabis, rispetto ai gruppi di controllo, in risposta
all’inibizione cognitiva, della memoria verbale di lavoro e della memoria spaziale di lavoro. Adolescenti
consumatori mostrano un’eccessiva attivazione delle aree della corteccia prefrontale durante un compito di
memoria verbale.
Recenti studi hanno dimostrato che i soggetti affetti da dipendenza da cocaina mostrano avere funzioni
esecutive significativamente compromesse rispetto al gruppo di controllo, ma l’età d’inizio della
dipendenza risulta determinante quando si esaminano le singole funzioni neuropsicologiche e gli schemi di
consumo. In particolare, i consumatori precoci mostrano performance peggiori in: memoria di lavoro,
attenzione sostenuta e memoria dichiarativa, mentre i consumatori tardivi evidenziano peggiori prestazioni
nell’attenzione divisa. Il fatto che, a parità di anni di consumo, l’età d’inizio implichi tali differenze è una
dimostrazione di come la cocaina e le sostanze di abuso più in generale interferiscano con lo sviluppo
neuropsicologico in adolescenza. Studi di neuroimmagine evidenziano che vi è un’alterazione della
connettività tra aree parietali e prefrontali nei consumatori di cocaina. Dai 12 anni di età vi è una
diminuzione della materia grigia corticale nei lobi frontali e parietali, ciò spiegherebbe il motivo per cui i
soggetti consumatori precoci presentano alterazioni specifiche a livello delle funzioni esecutive.

CAPITOLO 44: LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELLA MEMORIA


La valutazione dei disturbi di memoria avviene attraverso la somministrazione di test neuropsicologici.
Questi ci permettono di comprendere se le prestazioni del paziente in particolari compiti si discostino (e di
quanto) o meno da quelle considerate “normali” per soggetti di età, scolarità e sesso analoghi a quelli del
paziente stesso. I punteggi ottenuti ai test dai pazienti vengono a questo scopo confrontati con quelli
ottenuti agli stessi test da campioni di soggetti di controllo (senza patologie) aventi le stesse caratteristiche
anagrafiche dei pazienti stessi. Prima di procedere alla valutazione testistica delle funzioni mnesiche, è
indispensabile raccogliere informazioni precise circa le funzioni che sono necessarie per un’adeguata
performance testistica:
 Funzioni globali: livello di coscienza, attenzione, concentrazione, motivazione, velocità di
elaborazione dell’informazione; si tratta di funzioni indispensabili per la fissazione ed il richiamo
della traccia mnestica;

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 Funzioni strumentali o espressive: linguaggio orale e scritto, la capacità di disegnare, la gestualità,
il movimento.
Digit Span Forward: Al paziente viene chiesto di ripetere delle sequenze di cifre nello stesso ordine in cui
vengono pronunciate dall’esaminatore. Se il paziente sbaglia la ripetizione di una sequenza, ha una seconda
possibilità di ripetere una sequenza della stessa lunghezza. Lo span verbale sarò dato dal numero di cifre
della stringa più lunga che il paziente è stato in grado di ripetere.
Test di Corsi. Si presenta al paziente una tavoletta di legno su cui sono posizionati 9 cubetti, numerati dal
lato rivolto verso l’esaminatore. L’esaminatore toccherà alcuni dei cubetti in una sequenza che poi dovrà
essere ripetuta dal paziente. La misura della capacità (o span) della MBT visuo-spaziale sarà data dalla
lunghezza della serie più lunga per la quale siano state ripetute almeno 2 sequenze.
N-Back test. Questo compito consta di diverse condizioni: 1-back, 2-back, 3-back. Compare un rombo con
quattro posizioni organizzate nello spazio ai quattro angoli, all’interno delle quali compaiono 4 numeri un
po’ alla volta. Nella posizione di 0-back compare lo stimolo, e la risposta da dare è quella corrispondente al
tasto che indica il numero. Nelle condizioni di 1,2,3-back bisogna rispondere allo stimolo presentato,
rispettivamente con lo stimolo precedente visto, rispettivamente, una, due o tre volte prima. Ad esempio,
nella condizione 2-back bisogna rispondere con lo stimolo visto due volte prima. È evidente come i compiti
di 1-back, 2- back e 3-back presentino una complessità sempre maggiore poiché, nel momento in cui si
svolge il compito, occorre registrare i simboli, manipolarli e rispondere con gli stimoli precedenti. Per cui
con il crescere di N (1, 2, 3) aumenta il numero di stimoli da ricordare (carico di memoria) e la complessità
della manipolazione.
Memoria di prosa. Valuta l’abilità di apprendimento di materiale verbale organizzato gerarchicamente. Il
testo è diviso visivamente in campi semantici utili per il calcolo del punteggio. Si attribuisce
un punto ad ogni elemento del racconto rievocato correttamente. Dopo la prima presentazione del brano il
paziente è invitato a ripetere tutto quello che ricorda (Ricordo Immediato – RI); al termine, il brano viene
riletto e verrà richiesta una seconda ripetizione (Ricordo Differito –RD), differita di 10 minuti. Il punteggio
sarà dato dalla media dei punteggi ottenuti in RI e RD.
Coppie di parole. Il test consiste in 10 coppie di parole, 5 facili e 5 difficili che vengono presentate 3 volte al
paziente; dopo ogni presentazione l’esaminatore ripeterà la prima parola di ogni coppia e il paziente dovrà
rievocare il corretto abbinamento.
La memoria episodica recente. Durante la valutazione neuropsicologica è possibile attuare una valutazione
“informale” della memoria episodica. Una possibile prova può essere la seguente: si presentano 3 oggetti di
uso comune e si chiede al paziente di denominarli; successivamente i 3 oggetti vengono nascosti in 3 posti
diversi, facendo in modo che il paziente presti attenzione agli oggetti e ai luoghi in cui sono stati riposti.
Mini Mental State Examination (MMSE).
Il MMSE comprende prove che valutano l’orientamento spazio-temporale, la memoria a breve termine, la
memoria di lavoro, il linguaggio. Il punteggio del MMSE ci dà informazioni circa la presenza e l’entità di un
deterioramento cognitivo. Il punteggio del MMSE va da 0 a 30 ed il valore soglia tra normalità e patologia è
24. Punteggio inferiore a 10: deterioramento cognitivo grave.
Esempi di prove oggetto del MMSE:
 Orientamento spazio-temporale: il paziente sa riferire la data del test con giorno, mese e anno;
 Attenzione e calcolo: sa contare per 7 all’indietro partendo da 100;
 Memoria: sa ripetere 3 parole che l’esaminatore pronuncia. La prova viene eseguita come richiamo
immediato;
 Richiamo parole: richiamo in differita delle parole;
 Linguaggio: se gli si indica una matita o un orologio, il paziente sa chiamare questi oggetti con il
loro nome;

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 Esecuzione di un compito su comando: si invita il paziente ad eseguire correttamente degli ordini.
Punteggi:
 MMSE > 24: nella norma;
 MMSE =: 24 borderline;
 MMSE tra 20 e 24: compromissione lieve;
 MMSE tra 20 e 10: compromissione moderata;
 MMSE < 10: compromissione grave.

CAPITOLO 45: VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELL’ATTENZIONE


L'attenzione è un sistema complesso di componenti interattive che permettono alle persone di filtrare
informazioni rilevanti e irrilevanti in base alle intenzioni, mantenere e manipolare le rappresentazioni
mentali, monitorare e modulare le risposte agli stimoli. La valutazione dell'attenzione viene eseguita allo
scopo di:
o pianificare un intervento riabilitativo tenendo conto delle abilità cognitive compromesse e delle
abilità preservate;
o contribuire ad una diagnosi medica;
o monitorare il decorso di alcune patologie;
o valutare l’efficacia di un trattamento neurocognitivo.
Test per la valutazione dell'attenzione nel bambino
Test delle Ranette: composto da 2 fogli raffiguranti 20 percorsi di 14 caselle ciascuno. I bambini devono
ascoltare attentamente una registrazione che presenta due suoni diversi:
 Un suono (Go): il bambino deve segnare la casella successiva;
 Un suono (no-Go): non ci si deve muovere e si deve passare al percorso successivo.
Il punteggio è ottenuto dal numero di percorsi eseguiti correttamente (max 20). Per avere successo nella
prova il bambino deve riuscire a seguire il ritmo della sequenza di suoni e contemporaneamente inibire la
risposta motoria. Il test valuta:
 Attenzione selettiva: capacità di identificare i suoni che richiedono di segnare il puntino sul foglio
da quelli che richiedono l'inibizione di tale azione;
 Attenzione sostenuta: capacità di rimanere concentrato per un periodo prolungato;
 Inibizione motoria: capacità di evitare di fornire la risposta, segnando il foglio, quando viene
presentato un suono di no-Go.

Test delle Campanelle modificato: consiste in una prova di barrage: il bambino deve barrare più
velocemente possibile tutte le campanelle individuate in un foglio con stimoli diversi. Il test fornisce 2
indici:
 Rapidità: totale delle campanelle individuate nei primi 30'';
 Accuratezza: totale di tutte le campanelle individuate.;
Il test valuta attenzione selettiva e attenzione sostenuta.

Trail Making Test o TMT-B: Viene presentato al soggetto un foglio dove sono rappresentati numeri e
lettere disposti in modo casuale. Il soggetto deve compiere simultaneamente due compiti: collegare, sia in
ordine progressivo che alternato, numeri e lettere (cioè: 1-A-2-B-3-C- ecc...), unendo, quindi, in maniera
alternata, i numeri (dall’1 al 13) e le lettere (dalla A alla N). Il punteggio è basato sul numero di secondi
impiegati per completare il test. Vengono ottenuti tre punteggi (parte A; parte B; differenza B – A). Il test
valuta l'attenzione divisa e lo shifting attentivo.

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Test MF 20 e MF 14: si mostra una figura-modello accompagnata da altre figure, in cui solo una è identica
al modello. Il bambino deve scegliere più velocemente possibile la figura uguale al modello. Gli indici
osservati sono:
 Il tempo di latenza: tempo di prima risposta;
 L'accuratezza: numero di errori.
Si assume che un tempo di latenza breve e un alto numero di errori siano rappresentativi di uno stile di
risposta impulsivo. Età di somministrazione: 5 – 7 anni (MF14), 6 – 14 anni (MF20). Il test valuta:
l'attenzione sostenuta, le strategie di ricerca visiva, il controllo della risposta impulsiva.

Test per la valutazione dell'attenzione nell'Adulto


Continuous Performance Test o CPT: vengono mostrate una serie di lettere al ritmo di circa una al secondo.
Tra tutte le lettere presentate il soggetto deve identificare la lettera stimolo. Il CPT è un test di valutazione
dell’attenzione sostenuta.

Claridge 1 e 2: è costituito da una serie random di numeri semplici, che l’esaminatore deve leggere in tre
minuti. Il paziente deve battere un colpo sul tavolo ogni volta che si presentano un numero pari seguito da
due numeri dispari ed uno pari. Il punteggio viene calcolato sommando il numero di risposte corrette, che
va da 0 a 9, il numero di falsi allarmi e di omissioni. Il Claridge è un test per la valutazione dell’attenzione
sostenuta.

Test di barrage di una lettera dell'alfabeto: il test prevede la presentazione al soggetto di un foglio di carta
bianca sul quale, in modo casuale, sono scritte le lettere dell'alfabeto. L'esaminatore colloca il foglio di
fronte al soggetto, si accerta che riesca a leggere alcune lettere e poi dice: "Faccia un segno su tutte le
lettere A che trova su questo foglio". Il test valuta l'attenzione selettiva.

Test delle matrici attentive: vengono mostrate al soggetto tre matrici; ciascuna di esse è costituita da 13
righe di 10 numeri da 0 a 9 ciascuna, disposti in una sequenza casuale. Il soggetto deve sbarrare tutti i
numeri uguali a quelli stampati in cima alla matrice. Viene calcolato il numero di risposte esatte, il numero
di falsi allarmi e le omissioni.

Test per la valutazione dell’attenzione selettiva


Stroop color word interference test: è una prova articolata in tre subtest:
 leggere una lista di nomi di colori;
 dire il nome dei colori che presentano alcune macchie di colore;
 dire il nome del colore in cui sono stampate alcune denominazioni di colore (per esempio: se c’è la
parola “verde” scritta in giallo, bisogna dire “giallo”).
Il test valuta lo shifting attentivo.

Paced auditory serial addition task o PASAT: vengono presentati dei numeri oralmente; il soggetto deve
sommare coppie di numeri, sommando ogni numero al precedente. Test di valutazione dell’attenzione
divisa uditivo-verbale; nell’esecuzione del compito sono anche coinvolte l’attenzione selettiva e sostenuta.

Test of everiday attention (TEA): misura, in situazioni tipiche della vita quotidiana, tutte le componenti
dell’attenzione (l'attenzione selettiva, l'attenzione sostenuta, lo switching attentivo e l'attenzione divisa).
 Shifting attentivo visivo: prevede il conto visivo dei piani in ascensore; la ricerca del piano è
effettuata con conteggio di una serie di simboli visivi che rappresentano i piani, ma la direzione
dell’ascensore in salita o in discesa può variare e viene indicata da frecce;

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 Attenzione selettiva: il soggetto deve segnare con un pennarello il maggior numero di stimoli
target, in un certo intervallo di tempo, sulla mappa di una città;
 Attenzione divisa: il soggetto deve, contemporaneamente al compito precedente (barrare simboli),
anche contare una serie di suoni;
 Attenzione sostenuta: al soggetto viene presentata uditivamente una serie di 2 lettere seguite da
una serie di 3 numeri. Nel caso in cui il biglietto termina con 2 numeri uguali, il soggetto deve
scrivere su un foglio le prime 2 lettere del biglietto.

CAPITOLO 46: VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELLE FUNZIONI ESECUTIVE


Le funzioni esecutive sono definite come quelle abilità cognitive necessarie per programmare, mettere in
atto e portare a termine con successo un comportamento finalizzato a uno scopo. Includono quindi
processi cognitivi e di autoregolazione che consentono il monitoraggio e il controllo di pensieri e azioni,
quali l’inibizione, la pianificazione, la flessibilità attentiva, l’individuazione e correzione di errori, la
resistenza alle interferenze.
Il modello teorico più utilizzato per lo studio e la valutazione delle funzioni esecutive è l'analisi fattoriale.
All' interno di questo paradigma teorico vengono individuate tre componenti nucleari delle funzioni
esecutive:
 Controllo inibitorio;
 Memoria di lavoro;
 Flessibilità cognitiva.
Test per la valutazione del controllo inibitorio
Il Go-No-Go Task: quando viene sottoposto al test Go-No-Go, il soggetto deve:
o produrre risposte rapide in condizioni di Go;
o inibire la risposta in condizione di NoGo.
Nei compiti Go-No-Go il numero di errori che il soggetto fa nelle condizioni di NoGo (dare una risposta
quando non si dovrebbe) viene preso come indice del controllo inibitorio.
Stroop Test: il test prevede che il paziente denomini il colore dell’inchiostro con cui sono scritti i nomi dei
colori; in questo caso è necessario inibire l’automatica tendenza a leggere le parole e prestare attenzione al
solo colore dell’inchiostro.

Test per la valutazione della memoria di lavoro


Digit Span: è un test di misurazione dello span di memoria verbale. Il digit span è composto da due
differenti test:
 Digits forward (ripetizione di cifre in avanti);
 Digits backward (ripetizione di cifre a rovescio).
Il test consiste di coppie di sequenze di numeri. L'esaminatore legge la sequenza numerica. Quando la
sequenza è ripetuta dal soggetto correttamente, l'esaminatore legge la sequenza successiva, che è più
lunga di un numero rispetto la precedente, e continua così fino a che il soggetto fallisce una coppia di
sequenze o ripete correttamente l'ultima sequenza composta da nove numeri. Un forward span di 6 o + è
nei limiti normali.
Test di Corsi: lo stimolo è costituito da una tavoletta di legno in cui sono incollati 9 cubetti. I cubetti sono
numerati dal lato rivolto verso l'esaminatore. Il somministratore è seduto di fronte al soggetto e tocca con
l'indice i cubetti in una sequenza standard di lunghezza crescente. Appena terminata la dimostrazione della
sequenza, l'esaminatore chiede al soggetto di riprodurla toccando i cubetti nello stesso ordine. Vengono
presentate tre sequenze per ogni serie. Se il soggetto riproduce correttamente almeno due sequenze su
tre, si passa ad esaminare la serie successiva. Il numero di cubetti relativo alla serie più lunga, per la quale

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sono state riprodotte correttamente almeno due sequenze, costituisce il punteggio del test che
rappresenta lo span di memoria spaziale di quel soggetto.

Test per la valutazione della flessibilità cognitiva


Trail Making Test: TMT-A TMT-B: è un test di attenzione e flessibilità cognitiva composto da due parti, A e
B. Il corretto svolgimento della parte A richiede adeguate capacità di elaborazione visiva, riconoscimento di
numeri, conoscenza e riproduzione di sequenze numeriche, velocità motoria. Il corretto svolgimento della
parte B, oltre alle predette abilità, necessita di una flessibilità cognitiva e di una capacità di shifting nella
norma.
Trail Making Test A: TMT-A: il soggetto deve unire in sequenza con una matita i numeri dall’1 al 25. Deve
svolgere il compito nel più breve tempo possibile.
Trail Making Test B: TMT-B: viene presentato al soggetto un foglio dove sono rappresentati numeri e
lettere disposti in modo casuale. Il soggetto deve compiere simultaneamente due compiti: collegare, sia in
ordine progressivo che alternato, numeri e lettere (cioè: 1-A-2-B-3-C- ecc...), unendo, quindi, in maniera
alternata, i numeri (dall’1 al 13) e le lettere (dalla A alla N).
Wisconsin Card Sorting Test o WCST: il soggetto ha davanti a sé 4 cartoncini con disegnate figure diverse
per una o più caratteristiche di colore, forma o numero. Uno alla volta gli vengono presentati 128 cartoncini
con figure analoghe a tre dei modelli per qualcuno dei caratteri. Il soggetto deve porre ogni cartoncino
sotto al modello con cui reputa condivida qualche caratteristica, e dopo ogni scelta l’esaminatore lo
informa se l’assegnazione è stata “giusta” o “sbagliata”. Vengono dapprima dichiarate giuste le
assegnazioni effettuate per colore, e, dopo 10 risposte corrette consecutive, quelle eseguite per forma, e
infine quelle per numero, senza che nel corso della prova il soggetto sia mai avvertito di quando il criterio
“giusto” cambia. Si calcolano il numero di categorie identificate dal soggetto, gli errori commessi e gli errori
perseverativi.

Test che indagano aspetti più globali.


Test della torre di Londra: utilizzato per la valutazione delle capacità delle funzioni esecutive fondamentali.
Su tre pioli di diversa lunghezza il soggetto dovrà collocare le palline colorate, in un numero prestabilito di
mosse e con una serie di regole.

Nonostante non esista una diagnosi specifica di deficit delle funzioni esecutive, numerosi sono i quadri
clinici nei quali palese è una difficoltà di programmazione, organizzazione, controllo comportamentale o
flessibilità nell’adattarsi a situazioni nuove. Oggetto di particolare attenzione ed approfondimento in
letteratura è il funzionamento esecutivo di bambini ed adolescenti con i seguenti quadri clinici:
 Disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD);
 Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA);
 Disturbi generalizzati dello sviluppo (DGS);
 Sindrome di Gille de la Tourette.
Un deficit a carico del dominio inibitorio sembrerebbe caratterizzare tutti i quadri clinici; accanto ad esso è
possibile osservare:
 compromissione di memoria di lavoro e vigilanza in bambini ed adolescenti con ADHD;
 problemi a carico di flessibilità cognitiva, pianificazione e memoria di lavoro in bambini ed
adolescenti con DGS;
 cadute specifiche della performance in prove volte alla valutazione della memoria di lavoro in
bambini ed adolescenti con diagnosi di DSA.
Una valutazione neuropsicologica del funzionamento del soggetto risulta dunque fondamentale per
coglierne punti di forza e di debolezza e quindi per delineare un trattamento riabilitativo che sia:

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 personalizzato: specifico e mirato sulle problematiche del singolo;
 integrato: che vada ad agire su più aspetti del funzionamento cognitivo, contemporaneamente o in
fasi successive.

CAPITOLO 47: LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DEL QUOZIENTE INTELLETTIVO


Il concetto di quoziente intellettivo QI è strettamente collegato al costrutto "intelligenza"; il QI infatti
indica il livello intellettivo misurato. Nello specifico il Quoziente Intellettivo è il rapporto tra punteggio
ottenuto dal soggetto e punteggio di riferimento della popolazione alla quale il soggetto appartiene,
moltiplicato per cento. La sua misura ci dice se il livello intellettivo del soggetto è nella media oppure sopra
o sotto la media. I test di intelligenza “classificano” i soggetti:
 un punteggio compreso tra 85 e 115 è un indicatore di intelligenza nella media;
 tra 85 e 70 c’è un funzionamento intellettivo limite;
 tra 70 e 50-55 c’è un ritardo lieve;
 tra 50-55 e 35-40 un ritardo moderato;
 tra 35-40 e 20-25 un ritardo grave;
 al di sotto di 20-25 un ritardo gravissimo.
Wechsler Adult Intelligent Scale o WAIS e WAIS-R. È il test più utilizzato per la valutazione del livello
intellettivo-cognitivo nell’adulto. È suddivisa in due parti:
o una scala verbale (composta da 6 sottoscale);
o una scala di performance (composta da 5 sottoscale).
Queste producono punteggi separati ed un punteggio QI totale. La WAIS è formata da 11 subtest suddivisi
in 6 prove verbali e 5 di performance.
Scala QI verbale prevede prove di:
 Informazione o cultura generale. I quesiti sondano la quantità di informazioni accumulata dai
soggetti e variano per contenuto e difficoltà a seconda dell’età considerata.
 Comprensione. Si chiede al soggetto di trovare un perché a fatti o azioni comuni, di spiegare il
significato di proverbi, di risolvere problemi di vita quotidiana. La soluzione implica buon senso,
capacità di verbalizzazione, utilizzazione di esperienze passate, valutazione di situazioni pratiche.
 Memoria di cifre. Vengono lette al soggetto serie di numeri e gli si chiede di ripeterle, in avanti e
all’indietro. Sono implicate memoria uditiva, attenzione, capacità di non distrarsi.
 Ragionamento aritmetico. Vengono letti brevi problemi aritmetici a cui il soggetto deve rispondere
oralmente. Oltre alla capacità di ragionamento aritmetico i problemi implicano comprensione di
istruzioni verbali, concentrazione e capacità di non distrarsi.
 Analogie. Si chiede al soggetto di dire in che cosa si somigliano due oggetti. Richiede percezione
delle caratteristiche essenziali, concettualizzazione, associazione, valutazione concettuale.
 Vocabolario. Si chiede al soggetto il significato di parole che gli vengono lette una per una. Nel
valutare le risposte si tiene conto della corretta comprensione.
Scala QI Performance prevede prove di:
 Completamento di figure. Si presentano ai soggetti dei disegni incompleti raffiguranti oggetti
comuni e si chiede di indicare qual è la parte mancante e di dirne il nome. Richiede abilità nel
riconoscere oggetti familiari e nel valutare quali dettagli sono essenziali e quali no.
 Riordinamento di storie figurate. Ai soggetti viene presentato un gruppo di vignette che nel loro
insieme compongono una breve storia; si chiede di riordinare le varie parti in modo che la storia
abbia un senso.

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 Disegno con cubetti. Si danno al soggetto dei cubi con le facce dai diversi colori e modelli di disegni
geometrici da riprodurre con i cubi stessi. Richiede abilità nella percezione di forme, capacità di
soluzione di problemi, integrazione visuo-motoria, rapidità nell’esecuzione.
 Ricostruzione di figure. Si presentano al soggetto delle parti di cartoncino che vanno ricomposte in
modo da formare un “qualcosa” che abbia senso. Sul risultato influiscono capacità di analisi visiva e
abilità a sintetizzare più elementi in un insieme.
 Associazione tra simboli e numeri o cifrario. Si chiede ai soggetti di associare dei simboli grafici a
dei numeri e si valuta la rapidità e la precisione dell’esecuzione. Sull’esecuzione influisce l’abilità
nell’apprendere un compito nuovo e il coordinamento visuo-motorio.
Le Scale Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence WPPSI e Wechsler Intelligence Scale for
Children WISC. Valutano rispettivamente l'abilità intellettiva di bambini in età prescolare (WPPSI) e di
bambini dai 6 ai 17 anni (WISC).
Matrici progressive di Raven. Il test prevede la presentazione di tavole figurative da completare e il
soggetto si trova a scegliere tra 4 disegni riportati sotto, quello che completa il modello presentato. È un
test non influenzato dalla cultura.
Test di intelligenza breve (T.I.B.). La prova fornisce la ‘stima’ delle capacità di livello intellettivo preesistenti
un evento traumatico o morboso patito dal soggetto. Esso consente un rapido confronto tra la condizione
cognitiva attuale del paziente e quella possibile che antecedeva l’evento traumatico. Gli stimoli si
compongono di 54 parole, di cui 34 parole test la cui lettura ad alta voce determina il punteggio al test, e 20
parole ad elevata frequenza d'uso. Il TIB è rilevante in ambito medico legale dove è necessario verificare
l'esistenza di un danno psichico esistente ad un trauma cranico e soprattutto il livello intellettivo
precedente al trauma. Infatti, è un ottimo strumento per valutare l'avvenuto deterioramento intellettivo,
avvalendosi del confronto tra livello intellettivo in corso e il livello intellettivo premorboso. Il TIB è utile per
riconoscere un decadimento intellettivo in soggetti iperdotati. Il TIB è un test insufficiente, se usato da solo,
per la valutazione dei QI dei soggetti normali. Inoltre, risulta essere inadeguato per valutare il QI dei
soggetti iperdotati e infine non discrimina nella fascia alta.
Elithorn's Perceptual Maze Test. Il test prevede che l’esaminatore inviti il soggetto a tracciare sulle figure
esempio un percorso partendo dalla propria parte del foglio per giungere a quella opposta.

La valutazione neuropsicologica del QI diventa fondamentale in tutte le diagnosi e gli interventi nell’ambito
della psicologia dello sviluppo. Ad esempio, è necessaria nei casi di diagnosi di disturbi specifici
dell’apprendimento (DSA); conoscere il QI del bambino, infatti, serve per escludere che la condizione di DSA
sia la conseguenza di una disabilità intellettiva. Nell’ambito della psicologia dell’invecchiamento diventa
centrale la valutazione del QI del paziente psicogeriatrico, in quanto un declino cognitivo comporta sempre
una menomazione funzionale la quale, di conseguenza, aumenta il rischio di complicanze e ne diminuisce la
sopravvivenza. Più nello specifico, conoscere il QI dell’anziano ed il livello di deterioramento mentale aiuta
ad effettuare una diagnosi di demenza e a discriminare clinicamente tra le demenze degenerative quella di
cui il paziente potrebbe essere affetto.

CAPITOLO 48: VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DI ANSIA E DISTURBI POST-TRAUMATICI


L'ansia è uno stato caratterizzato da una sensazione di paura non connessa ad alcuno stimolo specifico. Si
distingue dalla paura vera e propria per il fatto di essere aspecifica, vaga o derivata da un conflitto
interiore. Sembra avere quattro componenti:
 La componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso e incerto.
 Dal punto di vista somatico, il corpo prepara l'organismo ad affrontare la minaccia: la pressione del
sangue e la frequenza cardiaca aumentano, la sudorazione aumenta e le funzioni del sistema

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immunitario e quello digestivo diminuiscono. Esternamente i segni somatici dell'ansia possono
includere pallore della pelle, sudore, tremore e dilatazione pupillare.
 Dal punto di vista emotivo, l'ansia causa un senso di terrore o panico, nausea e brividi.
 Dal punto di vista comportamentale, si possono presentare sia comportamenti volontari che
involontari, diretti alla fuga o all'evitare la fonte dell'ansia.
Scale di valutazione dell’ansia
Anxiety Scale Questionnaire - ASQ. Gli item dell’ASQ sono a scelta multipla. Viene richiesto al soggetto di
indicare come generalmente si sente o si comporta e quindi, in definitiva, la valutazione è rivolta all’ansia-
tratto. Gli items sono suddivisi in:
 Fattore O, Apprensione: alti valori in questo fattore indicano persone irritabili, incapaci di dormire
a causa di inquietudini, di scoraggiarsi facilmente e di essere tormentate dai rimorsi.
 Fattore Q4, Tensione: indica un livello di frustrazione generale.
 Fattore Q3, Mancanza di controllo: alti livelli indicano poca importanza all’approvazione sociale,
poco riguardo per la propria reputazione. Bassi livelli indicano carattere coercitivo, controllato.
 Fattore C, Instabilità emotiva: alti punteggi descrivono persone che tendono ad annoiarsi
facilmente delle cose, che hanno reazioni nevrotiche sotto forma di fobie, come disturbi
psicosomatici, difficoltà nel sonno, comportamenti isterici ed ossessivi.
 Fattore L, Sospettosità: alti punteggi indicano individui che disprezzano la mediocrità,
scrupolosamente corretti nel comportamento ed infastiditi da chi ha atteggiamenti di superiorità.
State-Trait Anxiety Inventory – STAI. Può essere considerato come il primo strumento in cui l’ansia-tratto e
l’ansia-stato vengono valutate separatamente. Composto da due sub-scale: STAI T-Anxiety Scale (o Forma
X-2) e STAI S-Anxiety Scale (o Forma X-1) per la valutazione, rispettivamente, dell’ansia-tratto e dell’ansia-
stato. Dello STAI esiste anche una versione per bambini, lo STAIC.
Hamilton Rating Scale for Anxiety - HRSA o HAM-A. Scala di valutazione dell’ansia più conosciuta e più
ampiamente utilizzata. Non ha finalità diagnostiche, ma serve solo a quantificare l’ansia nei pazienti già
diagnosticati come sofferenti di disturbi ansiosi. Esplora 14 categorie di sintomi.
Self-rating Anxiety State – SAS. Scala di autovalutazione dell’ansia, composta da 20 item; il paziente deve
valutare, su di una scala da 1 a 4, la frequenza con cui i sintomi descritti negli item si manifestano; per 5
item, che esplorano il benessere, il punteggio è opposto rispetto agli atri 15 che esplorano la
sintomatologia ansiosa.

La componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso e incerto. Nello specifico, in


condizioni d’ansia, si verificherebbe:
 La sopravvalutazione dei segnali di pericolo;
 La sottovalutazione delle capacità personali di fronteggiare il pericolo.
Le distorsioni cognitive nell’ansia comprenderebbero inoltre:
 Perfezionismo patologico o timore dell’errore: legato al timore intollerabile di commettere errori
anche trascurabili nelle prestazioni e alla convinzione che questi errori siano fonte di danni
personali gravi oppure segnale di profonda inadeguatezza personale.
 Intolleranza dell’incertezza: l’attenzione del soggetto ansioso rimane ristretta sulle possibilità
negative; egli vede solo i possibili sbocchi pericolosi.
 Obbligo/bisogno di controllo: è l’unica alternativa alla paura di una catastrofe concepita dai
soggetti ansiosi; il “controllo” è l’indispensabile condizione per la tranquillità per gli ansiosi ed è
inteso come convinzione di non averne a sufficienza.
 Autovalutazione negativa e intolleranza emozioni negative/paura della paura: ogni cosa negativa
che potrebbe accadere è un riflesso di come sei tu come persona.

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Tra gli strumenti per la valutazione dell’ansia, ne esistono alcuni che valutano la sua componente cognitiva.
Cognitive-Somatic Anxiety Questionnaire – CSAQ. Questa indaga separatamente le componenti cognitive e
somatiche dell’ansia.
Somatic, Cognitive, Behavioral Anxiety Inventory – SCBAI. Scala di autovalutazione messa a punto per
valutare componenti principali dell’ansia: somatica, cognitiva e comportamentale.

Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è un grave quadro clinico che nella sua forma cronica si
sviluppa solo in una piccola parte di sopravvissuti a un trauma. Successivamente all’evento traumatico i
sintomi del disturbo post traumatico da stress più frequenti sono:
Sintomi intrusivi associati all’evento come: ricorrenti e involontari ricordi spiacevoli dell’evento
traumatico; ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e le emozioni del sogno sono collegati all’evento
traumatico; flashback in cui il soggetto sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
Marcata reattività associata all’evento traumatico: ipervigilanza e forti risposte di allarme; problemi di
concentrazione; difficoltà relative al sonno.
Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico: tentativi di evitare ricordi spiacevoli,
pensieri o sentimenti relativi o strettamente associati all’evento traumatico; tentativi di evitare fattori
esterni che suscitano ricordi spiacevoli relativi all’evento traumatico.
Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento traumatico: incapacità di ricordare
qualche aspetto importante dell’evento traumatico; persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative
negative relative a se stessi, ad altri o al mondo; persistente stato emotivo negativo.
Un fenomeno che si riscontra spesso nei pazienti con DPTS è la dissociazione.
Dissociazione: i ricordi traumatici non sono integrati nella memoria narrativa ma vengono archiviati come
stati affettivi o come frammenti residui, che si riaffacciano alla coscienza quando un evocatore qualunque li
riattiva. Durante un’esperienza traumatica, la dissociazione consente di osservare l’evento da spettatore, di
non provare dolore o stress o di provarlo in misura limitata, proteggendo il soggetto dalla consapevolezza
della vera portata di ciò che ha subito. Esistono strumenti di valutazione della componente dissociativa del
PTSD:
Peritraumatic Dissociation Experiences Questionnaire – PDEQ. È un questionario per la valutazione della
sola componente dissociativa nella risposta ad un trauma in coincidenza o nelle immediate vicinanze del
trauma stesso. Questionario composto da 10 items, che includono derealizzazione, amnesia, esperienze di
estraneazione dal corpo ed alterata percezione del tempo.
Presso la Cattedra di Psichiatria dell’Università degli Studi di Siena è stato inoltre elaborato un
questionario in autovalutazione per il DPTS. Il questionario è diviso in due parti:
La prima parte del test comprende gli item relativi alle seguenti dimensioni: reazione soggettiva all’evento;
sintomi legati al "rivivere" l’evento (RI), in forma di ricordi ricorrenti, sogni, flashback, disagio di fronte a
stimoli collegati all’evento; evitamento delle situazioni collegate all’evento.
Nella seconda parte del test sono valutati gli item relativi a: sintomi di "numbing" (NU), ossia attenuazione
della reattività generale, in forma di distacco dall’ambiente, dalle persone care, perdita di interesse in
attività significative, sensazione di un futuro già abbreviato; iperarousal (IP), comprendente ipervigilanza,
esagerate risposte d’allarme; sintomi neurovegetativi; irritabilità, disturbi del sonno e sintomi dissociativi
(DI): depersonalizzazione, derealizzazione.

CAPITOLO 49: IL REFERTO NEUROPSICOLOGICO E LA RESTITUZIONE DEI RISULTATI


Possiamo schematizzare il percorso valutativo nei seguenti passi:
 Analisi della domanda: si esamina il problema e la richiesta.

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 Anamnesi neuropsicologica: il processo anamnestico è una ricostruzione quanto più dettagliata
possibile della storia clinica e sociale dell’individuo. Per ottenere più informazioni possibili, il
neuropsicologo deve utilizzare più fonti: familiari, cartelle cliniche, medico di base, medico inviante.
 Colloquio (intervista neuropsicologica preliminare): viene effettuato col paziente (quand’è
possibile) e con i familiari. Ha un duplice scopo: consente al neuropsicologo di ottenere
informazioni ma anche di fornirle.
 Somministrazione dei test neuropsicologici: si utilizzeranno in principio test che forniscono un
quadro cognitivo generale del paziente ed in seguito test specifici per valutare le funzioni cognitive
che risultano più compromesse.
 Stesura della relazione: la comunicazione dei risultati al paziente e ai familiari è seguita dalla
stesura del referto che deve contenere le informazioni anagrafiche, il richiedente ed il motivo
dell’esame, l’anamnesi neuropsicologica, la descrizione qualitativa e quantitativa delle funzioni
cognitive esaminate, le conclusioni ed in fondo la tabella dei punteggi ottenuti ai test.
Il referto espone una grande varietà di informazioni e deve specificare le fonti diverse da cui derivano e le
procedure diverse con cui sono state raccolte. Le affermazioni devono avere un significato chiaro e univoco
e fare riferimento ai fatti; il richiamo a costrutti psicologici e la concettualizzazione sulla base di modelli
teorici deve essere giustificata sulla base dei fatti, e non sostituirsi ad essi. La lunghezza e la struttura sono
variabili a seconda degli scopi.
Il momento della restituzione, che avviene al termine di una valutazione neuropsicologica, è una fase
estremamente delicata, oltre che di profonda responsabilità, nella quale il soggetto e la famiglia vengono
informati dallo specialista neuropsicologo rispetto a quanto emerso dalla valutazione. Il momento della
restituzione rappresenta per il paziente ed i familiari l’inizio di un processo di analisi e riflessione, che può
suscitare reazioni di paura e nuove domande.
All’interno di un referto è necessario chiarire da chi è stato richiesto l’esame neuropsicologico ed è
possibile consigliare visite da altri specialisti.

CAPITOLO 50: TECNICHE DI RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA


Le potenzialità di recupero del paziente cerebroleso stanno alla base di ogni programma riabilitativo dei
deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali. La riabilitazione neuropsicologica è lo studio delle opportunità
riorganizzative assunte dal cervello in seguito, ad esempio, ad una lesione. I processi cognitivi ed emotivo-
motivazionali possono essere alterati da lesioni o disfunzioni cerebrali di diversa origine. Queste
andrebbero a modificare il comportamento, la condizione di salute della persona, le sue relazioni familiari e
la sua integrazione sociale, ridurrebbero inoltre la sua autonomia nella vita quotidiana.
I pazienti con disturbi di consapevolezza dei propri deficit vengono guidati a prendere coscienza delle
ricadute funzionali nella vita quotidiana ma anche delle risorse presenti. Un adeguato funzionamento nel
mondo reale può avvenire anche in presenza di scarse capacità cognitive se la persona è in grado di avere
consapevolezza delle proprie abilità, potendo supplire a quelle mancanti. In generale il trattamento
riabilitativo cognitivo mirato all’intervento diretto sul deficit può essere differenziato in:
 Approccio restitutivo: il cui obiettivo è quello di riportare la funzione deficitaria alla stessa
efficienza pre-morbosa, cioè ricostruire le funzioni cognitive compromesse.
 Approccio sostitutivo (compensativo): il cui obiettivo è portare le funzioni integre a vicariare la
funzione deficitaria, cioè trovare delle strategie alternative di compenso.
Esistono diversi strumenti di riabilitazione neuropsicologica: ognuno di questi si focalizza su determinate
aree problematiche e su specifici disturbi. La riabilitazione cognitiva nella schizofrenia, ad esempio, è un
programma di intervento finalizzato al miglioramento delle funzioni cognitive deficitarie. Gli obiettivi della
riabilitazione cognitiva nella schizofrenia sono:

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 identificare con precisione i deficit cognitivi che caratterizzano la schizofrenia e le loro implicazioni
a livello del funzionamento globale dei pazienti;
 mettere a punto un trattamento specificamente designato per l’allenamento delle funzioni
cognitive compromesse;
 motivare il paziente durante il training ponendo una particolare enfasi sull’aiuto che lo
sperimentatore può fornire al fine di integrare l’esperienza di trattamento cognitivo all’interno
dell’esperienza di vita quotidiana sperimentata dal paziente.
Tra i benefici:
 Il training basato sulla riabilitazione cognitiva sembra essere efficace sia se destinato a pazienti con
diagnosi di schizofrenia cronica, che nel momento in cui venga utilizzato in pazienti al primo
episodio di schizofrenia.
 L’esperienza del training cognitivo permetterebbe ai pazienti affetti da schizofrenia di generalizzare
le esperienze di successo e/o fallimento durante il training all’interno della propria esperienza di
vita.
Una strategia computerizzata: cogpack software.
Il Cogpack è uno dei software maggiormente utilizzati sia in ambito clinico che di ricerca nella riabilitazione
cognitiva della schizofrenia. Il cogpack permette di creare set di esercizi specifici per le funzioni cognitive da
riabilitare. Si compone di 64 test, raggruppati in diverse funzioni cognitive:
o Area visuomotoria: esercizi relativi all’elaborazione delle informazioni visive e motorie. Un
esercizio che indaga questa area è il Labirinto: il paziente ha il compito di uscire, muovendo il
cursore, da dei labirinti, nel minor tempo possibile e facendo il minor numero possibile di errori.
o Area vigilanza e reazioni: indaga la capacità attentiva. Un esercizio tipo è Stelle: il paziente deve
prendere al volo delle stelle che cadono con tempi e posizioni randomizzati. Il compito richiede
velocità, precisione e un riconoscimento rapido del posizionamento corretto.
o Area linguaggio: conoscenza linguistica del paziente attraverso esercizi di vocabolario,
completamento di parole, riconoscimento di citazioni, anagrammi. Nel caso dell’esercizio
Anagrammi, ad esempio, il paziente deve formare parole che abbiano un senso, utilizzando le
lettere date.
o Area memoria: ricordare una serie di vari elementi prevedendo un facoltativo mantenimento delle
informazioni e un richiamo delle informazioni precedentemente memorizzate. Un esempio è
l’esercizio Per Strada: il paziente si trova a vestirei panni di un automobilista. Assumendone la
prospettiva, il soggetto viaggia su una strada sulla quale incontra cartelli stradali e automezzi. La
scena si interrompe e al paziente vengono poste domande circa i limiti di velocità, i divieti, apparsi
precedentemente mentre guidava.
o Area logica: risolvere problemi relativi all’aritmetica, alla geometria, al calcolo delle quantità, alle
deduzioni. Un esempio è l’esercizio Collegare: sullo schermo compaiono dei numeri o delle lettere,
o una combinazione di entrambi, che il soggetto deve collegare tra loro secondo una regola
specifica.
o Area vita quotidiana: testare la capacità del paziente di svolgere semplici operazioni che testano
più funzioni cognitive nello stesso momento. Un esempio è l’esercizio Denaro in cui si chiede al
paziente di effettuare compiti realistici che richiedono l’uso di denaro di vari Paesi per pagare e
contare il resto.
o Area capacità extra: altri domini cognitivi, orientamento, conoscenze e capacità di tutti i giorni. Un
esempio è l’esercizio Bussola: il soggetto deve riconoscere dei punti cardinali muovendo una rosa
dei venti presente sullo schermo e ruotabile tramite il mouse.

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CAPITOLO 51: TECNICHE DI RIABILITAZIONE SOCIO-COGNITIVE
La cognizione sociale è stata definita come l’insieme delle funzioni mentali che consentono agli individui di
una stessa specie di interagire tra loro. In altre parole, la cognizione sociale è un costrutto cognitivo che
comprende una vasta gamma di conoscenze e abilità di tipo sociale ed emozionale, che maturano nel corso
dell’evoluzione dell’individuo consentendogli di modulare il proprio comportamento in riferimento
all’organizzazione sociale cui appartiene. Comprende 4 diverse funzioni:
 l’elaborazione delle emozioni: riconoscimento, comprensione e gestione degli stati emozionali;
 la percezione sociale, quale comprensione di ruoli e regole di contesti socio-relazionali;
 la teoria della mente, in termini di inferenza degli stati mentali altrui;
 empatia, come capacità di condividere e comprendere i sentimenti degli altri.
Qualsiasi danno cerebrale può potenzialmente avere un impatto sulla cognizione sociale in vari gradi. Un
deficit della cognizione sociale è particolarmente marcato nelle seguenti malattie: autismo, la demenza
frontotemporale, demenza di Alzheimer, malattia di Parkinson, depressione, disturbi bipolari, schizofrenia.
Nello specifico: molti pazienti affetti da schizofrenia presentano difficoltà nel percepire e valutare i propri
pensieri (metacognizione) e quelli degli altri (social cognition).
Tecniche di training cognitivo. Nel corso degli ultimi anni sono stati proposti ed elaborati differenti
protocolli strutturati di training cognitivo per la schizofrenia, che si possono distinguere per le modalità di
applicazione o per il fatto che prevalga l’esercizio ripetuto di una specifica abilità o un approccio più
complesso basato sullo sviluppo e apprendimento di strategie. Le diverse tecniche si distinguono anche per
la possibilità di essere più o meno adattabili alle esigenze individuali del paziente, personalizzando
l’intervento anche in base al profilo specifico di disabilità cognitiva.
Programmi computerizzati di training cognitivo. Tra i programmi di training cognitivo computerizzati, il
metodo Cogpack è uno dei più studiati. Gli esercizi del Cogpack si raggruppano a seconda del dominio
cognitivo esercitato: abilità visuomotorie, vigilanza, linguaggio, memoria, logica e calcoli matematici, abilità
quotidiane, cultura e orientamento.
La Cognitive Enhancement Therapy (CET). È un intervento di rimedio cognitivo integrato, durante il quale i
pazienti partecipano ad un training cognitivo computerizzato, specificamente volto all’attenzione, alla
memoria e al problem solving. Contestualmente, vengono eseguite sessioni di gruppo volte al
miglioramento della social cognition.
Terapia Psicologica Integrata (IPT). Il programma IPT è stato sviluppato in modo tale da favorire
inizialmente il miglioramento delle funzioni cognitive di base e in un secondo momento l’acquisizione di
abilità sociali più complesse.
Il Cognitive Adaptation Training (CAT). Viene definito come un programma strutturato di supporto
ambientale, volto a bypassare i deficit cognitivi. Il metodo utilizza strategie di tipo compensatorio, si basa
su principi della neuropsicologia, della terapia comportamentale e occupazionale e si avvale di una serie di
supporti ambientali quali segnali, allarmi, etichette e suggerimenti, volti a indurre nel paziente
comportamenti adattativi nell’ambito domestico e lavorativo.

Il Training of Affect Recognition (TAR). È un intervento strutturato basato sull’utilizzo del computer, che si
focalizza primariamente sui deficit di riconoscimento delle espressioni facciali. I principi sui quali si basa il
TAR sono l’apprendimento senza errori, l’over-learning, il feedback positivo e l’astrazione.
Il Social Cognition and Interaction Training (SCIT). Oltre ad esercizi sulla percezione delle emozioni, include
esercizi specifici per la sospettosità, per i meccanismi del tipo jumping to conclusion, per l’attributional
style, e per la capacità di distinguere i fatti dalle supposizioni.

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Social Cognitive Skills Training (SCST). È un programma di intervento sulla social cognition ottenuto
integrando esercizi tratti dal metodo TAR e dal metodo SCIT. Composto da quattro moduli di crescente
complessità: elaborazione delle emozioni, percezione sociale, attributional bias, mentalizzazione.
Metacognitve Training (MCT). È un programma di training metacognitivo per persone affette da
schizofrenia. Il metodo ha lo scopo di rendere i pazienti consapevoli dei propri deficit così da poterli
correggere ed evitare la formazione e il mantenimento di credenze patologiche. È composto da moduli
incentrati sui comuni errori cognitivi e sulle tendenze anomale nella risoluzione dei problemi. Le sessioni
sono volte a sensibilizzare il paziente su tali distorsioni, indurlo a riflettere criticamente, oltre ad integrare e
cambiare il suo attuale repertorio di risoluzione dei problemi. Ciascun modulo comincia con elementi
psicoeducazionali e normativi, in cui i pazienti familiarizzano con un dominio.

CAPITOLO 52: PROGNOSI ED EFFICACIA DELLA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA


La riabilitazione neuropsicologica ha lo scopo di risolvere, per quanto possibile, la disabilità del paziente
rispetto al suo ambiente di vita.
I fattori predittivi del recupero funzionale dei disturbi neuropsicologici sono:
 Grado di motivazione e livello attentivo: un paziente motivato e con un buon livello di attenzione
ha maggiori possibilità di miglioramento di un paziente scarsamente motivato e con un basso livello
di attenzione.
 Età: soggetti più giovani hanno relativamente maggiori possibilità di recupero.
 Grado di scolarità: il livello di scolarità potrebbe essere un fattore importante. Esso potrebbe
rappresentare un insieme di comportamenti e di attributi cognitivi che si sommano alle capacità di
partecipare e di trarre vantaggio dalla riabilitazione.
 Livello intellettivo: numerosi lavori hanno dimostrato che i pazienti con una migliore prestazione
pretraumatica ai test di intelligenza possono ottenere valutazioni più positive ai test neurologici e
psicometrici 5-8 anni dopo aver subito un trauma cranico aperto.
 Fattori clinici: gravità del quadro clinico.
 Fattori neurologici: sede ed entità di una lesione, tempo trascorso dall’esordio della cerebro-
lesione oppure gravità della patologia e tempo trascorso dall’esordio della stessa.
 Grado di consapevolezza: i pazienti con maggiore consapevolezza partecipano più attivamente alla
riabilitazione.
 Controllo interno: i pazienti che hanno un controllo interno, cioè che pensano di controllare ciò che
accade loro, presentano un tasso migliore di ripresa del lavoro e di adattamento psicosociale,
rispetto a quelli che hanno un controllo esterno, cioè che credono che siano soprattutto il destino o
la fortuna gli aspetti determinanti.
 Modalità relazionali.
 Alleanza terapeutica.
Fattori non predittivi del recupero funzionale dei disturbi neuropsicologici sono costituiti invece da:
 sesso: nella maggior parte dei lavori non si è trovata differenza di miglioramento tra i due sessi;
 dominanza manuale: non si è trovata differenza tra i due gruppi.
Studi di casi singoli. Il sistema per distinguere gli effetti specifici di un trattamento da quelli aspecifici é
proprio quello di ricorrere al disegno "A B incrociato". Questo modo di procedere prevede semplicemente
che si divida il materiale su cui si intende riabilitare il paziente in due porzioni, A e B, per le quali la
prestazione si é dimostrata inficiata in modo equivalente al momento della partenza dello studio. Si
procede poi a riabilitare la sola porzione A per un determinato periodo di tempo. Alla fine di questo periodo
si potrà constatare se la prestazione alla porzione A è migliorata. In caso affermativo, probabilmente, il
trattamento è stato efficace. Se non è migliorata quanto la prestazione alla porzione A, la differenza é

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dovuta al trattamento specifico. L’eventuale miglioramento in B rispetto al momento di partenza é la
misura dell’efficacia generica. Si procederà poi a riabilitare la porzione B, lasciando stare la porzione A, per
un certo tempo. Se il trattamento é efficace e duraturo, alla fine le prestazioni in A e B dovrebbero essere
equivalenti e a un livello superiore rispetto all’inizio del trattamento.
Studi di gruppo. In questo modo di procedere si assegnano in modo random pazienti aventi stesse
caratteristiche di età, scolarità, quadro cognitivo e patologia responsabile dello stesso, in due gruppi, A e B.
Si procede poi ad effettuare due differenti tipi di riabilitazione nei due gruppi o a riabilitare solo il gruppo A
per un determinato periodo di tempo. Alla fine di questo periodo si potrà constatare se la prestazione del
gruppo A è migliorata in modo significativo rispetto al gruppo B. In caso affermativo, probabilmente, il
trattamento cognitivo è stato più efficace rispetto al trattamento riabilitativo effettuato nel gruppo B.

Efficacia di un trattamento di riabilitazione cognitiva nella demenza di Alzheimer: caso clinico.


Il soggetto è un imprenditore in pensione con la licenza elementare che lamenta principalmente problemi
di disorientamento, memoria e attenzione che interferiscono negativamente nello svolgimento delle sue
attività quotidiane e che hanno portato anche ad un ritiro dalle nomali attività sociali.
Disegno sperimentale. È stato utilizzato per lo studio un disegno di analisi sul caso singolo con inversione di
fase A-B-A-B, in cui la fase A corrisponde alla valutazione nella condizione di pre-intervento mentre la fase B
alla valutazione nella condizione di post-intervento.
Procedura. L’intervento è consistito in due cicli terapeutici bisettimanali di un’ora per tre mesi l’uno,
separati da un periodo di riposo di tre mesi, raggiungendo una durata complessiva di trattamento di nove
mesi. Nei momenti iniziali e finali di ogni ciclo è stata effettuata una valutazione neuropsicologica.
Programma riabilitativo. Lo schema terapeutico prevedeva un’applicazione della ROT nella fase iniziale e
finale della seduta per stimolare gli orientamenti spaziotemporali.
ROT: (Reality Orientation Therapy). Si tratta di un intervento guidato attraverso compiti standardizzati,
orientati a specifici domini cognitivi per stimolare le funzioni cognitive principalmente inficiate in questo
ambito.
Poi nella parte centrale si effettuava il training cognitivo centrato sulla attenzione, sulla memoria e sul
linguaggio.
Nel training dell’attenzione si proponevano esercizi di barrage semplici e multipli per stimolare l’attenzione
selettiva, esercizi con il paradigma del doppio compito per l’attenzione divisa e compiti finalizzati alla
focalizzazione su determinati stimoli per l’attenzione sostenuta.
Per il training della memoria sono state utilizzate le seguenti metodiche: effettuare elaborazioni
sull’informazione che deve essere ricordata creando legami semantici nell’ambito dell’informazione da
ricordare; recupero differito dell’informazione precedentemente data ad intervalli di tempo crescenti.
Per il training del linguaggio ci si è concentrati sulla stimolazione della fluenza verbale attraverso esercizi di
produzione secondo un criterio fonologico e semantico, produzioni di parole usando tabelle alfabetiche e
generazione di sinonimi e contrari di vari vocaboli. La valutazione è stata condotta utilizzando dei test
neuropsicologici somministrati prima e dopo l’intervento riabilitativo in entrambi i due cicli terapeutici.

CAPITOLO 53: RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA DEI DISTURBI DELLA MEMORIA


(MNEMOTECNICHE)
Le sindromi dismnesiche (o amnesie) sono costituite da tutte quelle forme di disfunzione del sistema della
memoria di lungo termine. La compromissione grave e selettiva della memoria a lungo termine è
indipendente da parametri dello stimolo, come le sue caratteristiche verbali o non-verbali o la modalità
sensoriale di presentazione. I disturbi di memoria che si possono osservare sono in particolare disturbi di
memoria esplicita episodica. In questi pazienti solitamente non risultano danneggiate la memoria a breve

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termine, la memoria implicita, la memoria esplicita semantica ed i processi di analisi percettiva. Il quadro,
caratterizzato dunque da disturbi selettivi di memoria esplicita episodica, viene chiamato amnesia pura.
Caratteristiche del paziente mnesico: Nei pazienti con amnesia pura è possibile osservare un deficit di
memoria episodica anterograda (amnesia anterograda), che si manifesta come difficoltà a memorizzare a
lungo termine e ricordare nuove informazioni di vario tipo, ovvero informazioni che vengono date al
paziente dopo la comparsa dell'amnesia pura.
Tra le metodologie riabilitative per le amnesie distinguiamo:
 Metodi esterni “passivi”: metodi caratterizzati dal fatto che il paziente riceve passivamente
informazioni che sostituiscono la sua insufficiente memorizzazione.
 Metodi esterni “attivi”: metodi basati sul fatto che il paziente viene sollecitato ad utilizzare
autonomamente strategie che gli sono state suggerite o che egli stesso ha imparato a scoprire con
la guida del riabilitatore.
 Metodi interni: metodiche più direttamente finalizzate ad esercitare e migliorare le funzioni
mnesiche del paziente (mnemotecniche o tecniche di memorizzazione).
 Metodi cognitivi: metodiche che cercano più direttamente di migliorare le funzioni mnesiche.

Metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni passivi.


Significato della metodologia: utilizza ausili esterni “passivi” nel cui uso il paziente è coinvolto in modo più
passivo.
Ausili esterni = si basa su segnali forniti dall’ambiente.
Passivi = gli ausili non vengono gestiti dal paziente.
Metodiche riabilitative: addestramento del paziente ad un uso corretto ed abituale degli ausili esterni
passivi nelle attività quotidiane, creando sia situazioni di vita reale, sia situazioni simulate.
Difficoltà per il riabilitatore: nel paziente con grave amnesia è possibile incontrare difficoltà
nell'addestramento ad un uso abituale degli ausili esterni passivi. È spesso necessario sollecitare il paziente
ripetutamente all'uso degli ausili.
Obiettivo: migliorare l'orientamento spaziale e temporale, facilitare il ricordo di appuntamenti ed il ricordo
di varie informazioni utili per il paziente.
Pazienti in cui è opportuno utilizzare gli ausili esterni passivi: pazienti con grave amnesia o con amnesia
associata a deterioramento intellettivo.
I metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni passivi prevedono:
 Adattamento alle condizioni ambientali: modificazioni dell'ambiente in cui il paziente vive,
mediante cartelli, etichette e segnali.
 Terapia di orientamento nella realtà (ROT): consiste nell'informare ripetutamente il paziente su ciò
che sta accadendo o accadrà nel corso della giornata, per migliorare il suo orientamento spaziale e
temporale e la sua comprensione degli eventi che lo riguardano.

Metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di ausili esterni attivi.


Significato della metodologia: si basa sull’uso di ausili esterni "attivi" nel cui uso il paziente è coinvolto in
modo più attivo.
Ausili esterni = si basa su segnali forniti dall’ambiente.
Attivi = gli ausili vengono gestiti in maniera diretta ed attiva dal paziente.
Metodiche riabilitative: addestramento del paziente ad un uso corretto e abituale degli ausili esterni attivi
nelle attività quotidiane, in modo tale che il paziente possa apprezzare i vantaggi che offrono tali ausili.
Difficoltà per il riabilitatore: il paziente può rifiutarsi di usare gli ausili esterni attivi o può usarli in modo
improprio.
Obiettivo: migliorare l'efficienza del paziente nelle attività quotidiane.

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Pazienti con cui utilizzare gli ausili esterni attivi: sia pazienti con amnesia lieve sia pazienti con amnesia
moderata o grave.
Ausili mnemonici esterni ed attivi: devono essere gestiti direttamente dal paziente.
 Ausili adoperati dal paziente: uso di promemoria su cui annotare la sequenza delle cose da fare; ad
esempio agende, timer, elenchi dei numeri telefonici.
 Metodica adoperata dal paziente: chiede informazioni agli altri su quanto sta avvenendo, su
quanto dovrà avvenire.

Metodi di riabilitazione delle amnesie basati sull’uso di mnemotecniche (ausili interni attivi).
Ausili interni = si basano sull’uso di metodi utilizzati dal soggetto, cioè sono delle strategie mentali
elaborate ed applicate dal paziente stesso per facilitare la memorizzazione.
Attivi = gli ausili vengono applicati mentalmente dal paziente, sono, cioè, metodiche di ordine mentale.
Metodiche riabilitative: le mnemotecniche sono degli artifici intesi ad ordinare mentalmente i memoranda
in modo tale da facilitare la ritenzione e potenziare le capacità mnesiche.
 Metodi di tipo verbale:
 Metodo delle iniziali: formazione di parole con le iniziali, formazione di una filastrocca in
rima con le parole o le iniziali delle parole da ricordare;
 Metodo delle parole associate in rima: si accoppiano le parole in modo che l’una aiuti a
rievocare l’altra;
 Metodo delle storie: inserimento delle parole da rievocare nel contesto di un racconto
comico.
 Metodi di tipo visuospaziale:
 Metodo delle immagini assurde: collocazione dell’oggetto in una raffigurazione fantastica.

Metodi cognitivi di riabilitazione delle amnesie.


I metodi di riabilitazione cognitivi sono metodiche che cercano più direttamente di migliorare le funzioni
mnesiche; costituiscono il livello metodologico più elevato. Si applicano soprattutto a pazienti con deficit
mnesici selettivi.
Pazienti con cui utilizzare le metodiche "cognitive": pazienti con amnesia lieve o moderata, in grado di
fornire un’attiva collaborazione.
Strategie: categorizzazioni, schematizzazioni, codifiche semantiche, correlazioni logiche che aiutano il
paziente ad organizzare il materiale verbale o spaziale da apprendere.

Metodi di recupero di un deficit selettivo della memoria verbale con visualizzazione spaziale: si usa in
pazienti con deficit selettivi di memoria verbale, in cui la memoria visuo-spaziale (relativamente integra)
può supplire alle difficoltà nell'apprendere o rievocare informazioni verbali.
 Visual Imagery (Peg System): apprendimento di liste di parole se queste sono connesse a
formare una storia per immagini.
Metodi di recupero di un deficit selettivo della memoria visuo-spaziale con verbalizzazioni: si usa in
pazienti con deficit selettivi di memoria visuo-spaziale, in cui la memoria verbale (relativamente integra)
può supplire alle difficoltà nell'apprendere o rievocare informazioni visive.

CAPITOLO 54: RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA DEI DISTURBI DELL’ATTENZIONE


Il concetto di attenzione si riferisce ad un’ampia classe di processi che sono sottesi da molteplici
meccanismi cognitivi e neurali. Una classificazione operativa dei processi attentivi distingue in primo luogo
due dimensioni fondamentali, intensità e selettività, che si riferiscono rispettivamente alla capacità di
mantenere un’adeguata responsività all’ambiente per tutta la durata delle azioni intraprese (intensità) e

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alla capacità di focalizzare l’attenzione sugli stimoli rilevanti, riducendo l’effetto interferente di stimoli
concomitanti ma irrilevanti per l’attività in corso (selettività). Le componenti attentive correlate alla
dimensione dell’intensità sono:
 lo stato di allerta, che si riferisce alla semplice responsività agli stimoli;
 l’attenzione sostenuta o vigilanza, che si riferisce alla capacità di mantenere attivo uno schema di
risposta per tutto il tempo necessario;
 l’attenzione focalizzata, che si riferisce alla capacità di identificare e isolare gli stimoli rilevanti,
ignorando i distrattori;
 l’attenzione divisa, che si riferisce alla capacità di svolgere in maniera simultanea due compiti
distinti (componente attentiva relativa alla dimensione della selettività);
 l’attenzione alternante, che si riferisce alla capacità di spostare l’attenzione tra diversi compiti.

Esempi pratici per il potenziamento dell’attenzione


 Scheda 1: All’interno del quadro magico individua tutte le lettere “A” e tutti i numeri “8“ presenti
nel minor tempo possibile.
In alcuni casi gli esercizi per il potenziamento dell’attenzione prevedono la lettura di brani oppure il
coinvolgimento di diverse componenti cognitive contemporaneamente. La narrazione è una prima base
sicura a cui far riferimento nel proporre le attività. È anche fondamentale che il formatore assuma un ruolo
di accompagnatore e di supporto, ma non di guida troppo rigida. Inoltre, incoraggiare i bambini, se
necessario, fornire spiegazioni solo se e quando richiesto e lodare ogni loro tentativo di risposta risulta un
fattore chiave per la buona riuscita del training.
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, o ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo. Esso
include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Per
delineare un percorso di riabilitazione neuropsicologica che risulti efficace nei casi di bambini con ADHD è
necessario:
 Valutare la possibilità di osservazioni in classe;
 Creare un progetto sistematico e monitoraggi;
 Tener presente l’atteggiamento della famiglia e la possibilità che ci sia un contrasto con la scuola;
 Evitare di mettere l’accento sui soli comportamenti e far considerare gli aspetti cognitivi e quelli
relativi agli apprendimenti scolastici veri e propri.
Nei casi di bambini con diagnosi di ADHD è necessario un intervento riabilitativo sia dell’attenzione che
delle funzioni esecutive. Le funzioni esecutive sono abilità cognitive necessarie per programmare, mettere
in atto e portare a termine con successo un comportamento finalizzato a uno scopo.
Abilità auto regolative. Includono comportamenti di compiacenza, capacità di posticipare una
gratificazione, controllo degli impulsi e degli affetti, controllo dell’attività verbale e motoria, le abilità di
agire seguendo le norme socialmente approvate, senza la necessità di un supervisore esterno.
Tra i programmi di potenziamento per la scuola dell’infanzia e i primi anni della scuola primaria che hanno
dimostrato migliori risultati troviamo: Sviluppare la concentrazione e l’autoregolazione. Si struttura in tre
volumi:
o Volume 1: giochi e attività sul controllo attentivo;
o Volume 2: giochi e attività sul controllo della risposta impulsiva;
o Volume 3: giochi e attività sulla memoria di lavoro.
Attività sul controllo dell’attenzione
Suddivisione delle attività: Filastrocca --> Spiegazione delle attività --> Attività sul controllo attentivo -->
Riflessione metacognitiva --> Filastrocca.

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Punti cardine attorno a cui ruota il potenziamento sono esemplificati nei quattro blocchi di attività su cui si
basa:
 Blocco 1: le unità introduttive: il ruolo dell’attenzione e alcune strategie utili.
 Blocco 2: controllo dell’attenzione focalizzata: insegna a dirigere e focalizzare l’attenzione.
 Blocco 3: controllo dell’attenzione mantenuta: per imparare ad aumentare i tempi di attenzione
al compito.
 Blocco 4: l’attenzione divisa, per ripartire l’attenzione tra due compiti o due aspetti di uno stesso
compito fornendo risposte diverse a ciascuno.
Esempi di attività
Blocco 2: Controllo dell’attenzione focalizzata: vengono posti su un tavolo un insieme di oggetti, fatti
osservare a turno ad ogni bambino e, dopo averne tolto uno, viene chiesto di riconoscere qual è l’oggetto
mancante.
Blocco 3: Controllo dell’attenzione mantenuta: al bambino vengono consegnati dei cartoncini, letta una
storia, e ogni volta che viene udito il suono di un campanellino il bambino deve prendere il cartoncino
corrispondente al momento della storia.
Blocco 4: Attenzione divisa: ha come obiettivo insegnare al bambino lo spostamento dell’attenzione tra
due compiti; sono lette in modo alternato due storie conosciute (cappuccetto rosso e i tre porcellini), il
compito del bambino consiste nell’alzare il cartoncino con raffigurato il personaggio che rappresenta l’una
o l’altra storia.

Attività sul controllo della risposta impulsiva:


Suddivisione delle attività: --> Filastrocca --> Spiegazione delle attività --> Attività sul controllo della
risposta impulsiva --> Riflessione metacognitiva --> Filastrocca.
Inibire la risposta affrettata: prendere tempo per capire la consegna. Sperimentare strategie di controllo e
i vantaggi derivanti dal loro uso.

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