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“Verità e Metodo” di H.-G.

Gadamer

Fr. Raphael Ballestrem, L.C.

1. La dialettica di domanda e risposta


Il punto di partenza è l’esperienza. L’esperienza presuppone la domanda che appre l’essere
dell’oggetto. Gadamer spiega qualche caratteristiche della domanda. In primo luogo deve avere un
senso, quindi da una direzione, una prospettiva a ciò che si domanda. In secondo luogo ha una priorità
(inanzitutto linguistica, ma anche logica) sulla risposta, perchè senza domanda non c’è risposta e
perchè il soggetto ha bisogno di rendersi conto di non saper niente (“saper di non sapere”). In terzo
luogo, per essere una domanda autentica, deve cercare di penetrare l’essenza dell’oggetto e non
soltanto di aver ragione. In quarto luogo, per essere veramente posta, la domanda esige un’apertura:
l’oggetto è così o così? A lo stesso tempo, la domanda ha bisogno di una delimitazione e di una
spiegazione dei presupposti appartire dei quali si mostra ciò che si domanda.
L’esperienza, per essere vera, ci porta sempre a correggere le proprie convinzioni. Questa dialettica di
domanda e risposta è la storia.

2. Il contributo di Dilthey alla storia dell’ermeneutica: aspetti positivi e negativi


In primo luogo, Gadamer spiega il contesto del pensiero di Dilthey analizando brevemente alcuni
autori precedenti: Il punto di partenza è Kant e la sua Critica della Ragione Pura, nella quale intende
fondare la certezza delle conoscenze delle scienze della natura. C’è una contrapposizione tra scienze
della natura e scienze dello spirito. Per quest’ultima manca ancora una fondazione. Hegel dice, que la
storia (scienza dello spirito) fa parte della autospiegazione della ragione. Scienze dello spirito e
scienze della natura sono entrambi prodotti dello spirito. Schleiermacher non accetta la proposta di
Hegel. Lui vuole fondare la scienza dello spirito così come Kant aveva fondata la scienza della natura.
La coordinatrice delle scienze dello spirito dev’essere l’ermeneutica, non tanto in chiave
grammaticale, ma in chiave psicologica per arrivare così alla vera comprensione. In questo contesto,
Dilthey si trova a “metà strada”. Intenta unire le due chiavi. Cerca le possibilità di una scienza della
storia e le categorie del mondo storico. Come lo fa? In primo luogo afferma che il mondo storico è
parte dello spirito dell’uomo. C’è quindi una congenereità di soggetto e oggetto. In secondo luogo
bisogna sapere quale sia il presupposto ultimo della conoscenza del mondo storico. Questo è
l’esperienza vissuta (Erlebnis), elemento del mondo spirituale immediatamente certo e universale.

3. Il fenomeno dell’interpretazione, come Gadamer lo apprese da Heidegger


Gadamer spiega, in questa parte il processo di comprensione. Questa avviene sempre in un contesto
storico. Nel processo di comprensione, il soggetto aspetta un certo risultato in modo vago. Deve
rivisitare questo progetto preliminare per avvicinarsi al significato. Si comincia con certi concetti che
poi sono sostituiti da altri concetti migliori. L’interprete deve provare le sue presupposizioni. La
“scientificità” di questo processo proviene della successiva conferma data dal testo alle
presupposizioni del soggetto. L’interprete deve riflettere in questo processo su diversi aspetti: In primo
luogo sull’uso del linguaggio proprio e quello di un testo. In secondo luogo deve riflettere sul
contenuto e la sua prima opinione, le sue presupposizioni. Quest’apertura non presuppone una
neutralità obiettiva o l’oblio di se stesso, piuttosto è parte del processo di comprensione partendo dei
propri pregiudizi.

4. La riabilitazione dell’autorità e della tradizione come pregiudizi legittimi


La domanda principale di questa parte è: cosa fonda l’eventuale legittimità dei pregiudizi?
L’illuminismo afferma che l’uso metodico della ragione ci salva di ogni errore, mentre i pregiudizi
dell’autorità portano a lasciare di usare la propria ragione e i pregiudizi di precipitazione sono origine
di errori. La Popularphilosophie tedesca cercava una via di mezzo tra i dui tipi di pregiudizio. La
conseguenza dell’illuminismo è la sottomissione di ogni autorità alla ragione. Gadamer spiega che non
si deve dimenticare che ci possono essere anche pregiudizi veri. Non tutti i pregiudizi sono
automaticamente ingiustificati. Amitte che c’è una contrapposizione tra fede nell’autorità e uso della
propria ragione. Ma l’autorità può essere ancora fonte di verità. L’autorità implica un riconoscimento
dell’altro come qualcuno che ha un giudizio superiore. Il fondamento di questo è un atto della libertà e

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della ragione. Il riconoscimento dell’autorità è sempre connesso alla convinzione che in linea di
principio il contenuto può essere compreso.
La tradizione è una forma di autorità. L’autorità di ciò che ci è tramandato ha un influsso sui nostri
comportamenti. Questo si vede nell’educazione. Mai siamo liberi da ogni tradizione. Gadamer spiega
che non c’è un contraste assoluto tra tradizione e ragione. Ogni tradizione deve essere accettata,
adottata, coltivata. La conservazione è un atto della ragione e della libertà. In questo senso l’autorità e
la tradizione non sono un pericolo per la ragione. È più: c’è sempre un legame con la tradizione
(questo è negato dell’illuminismo).

5. La tradizione nelle scienze dello spirito: applicazione e conseguenze che ne derivano


In primo luogo, Gadamer spiega in questa parte alcune differenze fra Scienza dello Spirito e Scienza
della Natura che si trova principalmente nel loro oggetto. Nelle Scienze della Natura, il criterio sono
l’oggetto che è sempre lo stesso e il progresso nell’investigazione. L’importante è sempre lo stato
attuale della ricerca. Nelle Scienze dello Spirito c’è anche progresso, ma non interessa. Non c’è un
oggetto “in sé e per sé” (Kant). L’oggetto viene “costituito” (Kant…) da ogni persona e così viene a
mancare all’oggetto ogni oggettività. Interessa il significato degli eventi storici per il presente e quello
è trovato sempre in modo nuovo. Le riuscite nel campo delle Scienze dello Spirito non perdono mai la
sua importanza. La tradizione è presente nelle due scienze e noi stiamo dentro della tradizione. Non
c’è un’alterità. Non si può oggettivare la storia.
Gadamer spiega che non c’è un abisso tra presente e passato. C’è la continuità della tradizione.
Gadamer anche spiega come distinguere i pregiudizi veri da quelli falsi. È possibile grazie alla
distanza temporale. L’incontro con la tradizione esige a ripensare i propri pregiudizi. Gadamer
adopera una riduzione: Riduce i pregiudizi veri a quelli utili e i pregiudizi falsi a quelli nocivi. Lui da
più valore ai pregiudizi della tradizione, che hanno universalità e sono conformi a quelli veri, di quelli
personali e particolari. Per comprendere i pregiudizi veri si deve lasciare da parte i propri pregiudizi
particolari e universali. In Gadamer non c’è il campo della verità come ambito di ricerca. Solo c’è un
orizzonte storico, ma non veritativo.

6. La “storia degli effetti” e la “fusione di orizzonti”


Gadamer spiega che la comprensione della storia fa parte della storia, non si deve dimenticare la
storicità della comprensione. Per capire il significato di un dato storico bisogna prendere in
considerazione la sua Wirkungsgeschichte. La coscienza della determinazione storica
(wirkungsgeschichtliches Bewusstsein) è un momento del processo di comprensione, è presente nella
corretta impostazione del problema e implica coscienza della situazione ermeneutica. Essere storico
significa non poter mai risolversi totalmente in auto trasparenza. Il compito dell’ermeneutica è risalire
l’itinerario della Fenomenologia dello Spirito.
Come si può comprendere un dato storico con un orizzonte storico diverso di quello proprio? Non è un
trasporsi di un orizzonte ad altro, questo implicherebbe orizzonti chiusi. Per Gadamer non c’è un
vuoto tra gli orizzonti, c’è sempre una connessione con il passato. L’orizzonte più grande per Gadamer
è quello mobile della tradizione, questo è un orizzonte posthegeliano. A base del grande orizzonte
della tradizione si può fare la fusione di orizzonti. Si tratta di un innalzamento alla tradizione che fa
possibile l’incontro di orizzonti. Ancora porto con me il mio orizzonte, non lo lascio, benché debba
anche in parte prescindere da me stesso. La comprensione è quindi secondo Gadamer il processo di
fusione di questi orizzonti che si ritengono indipendente tra di loro.

7. Il concetto di esperienza in ermeneutica


In primo luogo Gadamer esamina l’oggetto in senso empirico: in questo senso l’esperienza perde la
sua storicità. Il suo valore dipende della capacità di essere confermato. L’esperienza è interpretata
teleologicamente: interessa per la conferma di una legge. Gadamer ha un concetto diverso di
esperienza. Lui parla di un’universalità senza principi. Si nota qui la mancanza di una struttura
ontologica della realtà. Spiega l’immagine dell’esercito in fuga. Nella scienza un’esperienza si
conferma, altre se aggruppano in torno di questa. L’esperienza è mai sola esperienza. È sempre
esperienza e interpretazione.
Gadamer parla dell’esperienza nel campo della riflessione. L’esperienza può avvenire secondo ciò che
aspetto (conferma) o può essere contrario a questo. In questo caso l’esperienza ha una negatività
dialettica ed è una “vera” esperienza. L’esperienza è valida finché è contraddetta. La virtù

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fondamentale dell’ermeneutica è lo scetticismo. Tutto può essere cambiato, non c’è niente di solido,
vediamo qui un’affinità di Gadamer al relativismo.
Contro Hegel Gadamer spiega che non si può mai fare lo salto al puro sapere. C’è sempre la
consapevolezza della propria finitezza, della propria condizione storica, nessuno esce della storia. Per
Gadamer “ciò che è” è il fatto che siamo sempre nella storia partire della quale si può fare dei progetti.

8. L’aspetto “dinamico” dell’atto ermeneutico: sintesi tra la comprensione e il linguaggio


Gadamer parte dall’affermazione che la comprensione è già interpretazione (eterogeneità in Gadamer).
Per esprimere un contenuto dobbiamo metterlo al nostro linguaggio. La struttura logica di questo
fenomeno è la domanda. Tradizione e comprensione sono di natura linguistica.
Gadamer critica gli storici che non sono attenti a giustificare i concetti che usano. Ricorda che non si
deve cercare di comprendere un’epoca soltanto in base ai concetti propri e non si deve neanche
leggere/pensare solo secondo i concetti di quell’epoca. Bisogna fare la fusione di orizzonti.
Gadamer spiega che il testo deve parlare attraverso l’interpretazione. L’interpretazione giusta “in sé”
non esiste perché ogni interpretazione deve adattarsi alla situazione ermeneutica alla quale appartiene.
La giustezza dell’interpretazione dipende da aver trovato un linguaggio che arriva all’interlocutore.
L’interpretazione pone il contenuto di un testo, etc. sulla bilancia delle parole, quindi anche nel
confronto con testi “facili” c’è l’interpretazione che porta la comprensione a una giustificazione e
fondazione. Sempre ha una forma linguistica.

9. L’aspetto “gnoseologico” dell’atto ermeneutico: il rapporto tra la ragione e il linguaggio


Ci domandiamo se il linguaggio è capace di esprimere tutto ciò che pensiamo. Gadamer risponde che
ogni comprensione si trova in un essenziale rapporto di equivalenza con la sua possibile
interpretazione. La comprensione non ha limiti. Quindi, anche il linguaggio – per esprimere
l’interpretazione – deve avere capacità di oltrepassare tutti i limiti.
Adesso sorge la domanda: se c’è un’unità tra ragione e linguaggio, come possiamo conoscere una
tradizione estranea? La risposta: attraverso l’esperienza ermeneutica. Gadamer critica al pensiero
linguistico, dicendo che non si può rompere l’unità tra pensiero e linguaggio. Percepisce le lingue
come modi di vedere il mondo.

10. A. Il linguaggio come “mezzo”


La domanda principale di questa parte è “Che cosa è il linguaggio?”. Gadamer lo chiama il “mezzo”
(Mitte) da cui si sviluppa l’esperienza del mondo e l’esperienza ermeneutica. È la traccia della nostra
finitezza, perché ogni lingua si sta formando e sviluppando costantemente. La parola non è quindi la
perfezione della species, neanche un rispecchiamento di un ordine ontologico, né uno strumento che
rappresenta qualcosa reale. Il mezzo del linguaggio mette in rapporto l’uomo con se stesso e con il
mondo. Gadamer spiega che ogni parola porta con sé una visione del mondo, una totalità. Il linguaggio
è finito, ma il senso è molteplice (problema dell’uno e molteplice).
Gadamer sottolinea l’appartenenza dell’interprete al testo. C’è una reciproca appartenenza tra soggetto
e oggetto. C’è una interdipendenza: Il soggetto domanda e riceve delle domande. L’oggetto mette in
gioco il contenuto della tradizione. Così può nascere qualcosa nuova che nessuno degli interlocutori
aveva in mente prima.

10. B. L’orizzonte linguistico: il rapporto tra mondo e linguaggio


In primo luogo abbiamo parlato sulla domanda “Dove sta il linguaggio?”. Ferdinand de Saussure fa la
distinzione tra “langue” come sistema di segni e “parole” in quanto uso concreto e puntuale. Humboldt
dice che il linguaggio sta inanzitutto nell’uso, fondato su una energeia (una Geisteskraft). Gadamer
rende questa Geisteskraft l’essenza dell’uomo e anche accetta di Humboldt che il linguaggio è una
visione del mondo. Ma contesta a Humboldt che non si può separare i due ambiti di “parole” e
“langue”.
Non si può separare quella forma linguistica del linguaggio e il suo contenuto. Soltanto così fa senso
parlare del linguaggio come visione del mondo. Gadamer spiega questo a partire dell’esperienza di
uno chi impara un’altra lingua.
Il mondo, dice Gadamer, si costituisce nel linguaggio. Il mondo è mondo in quanto si esprime nel
linguaggio, il linguaggio è linguaggio in quanto esprime il mondo. Il mondo è umano e quindi
linguistico. Non si può pensare un mondo senza linguaggio. Ma sul linguaggio si fonda che gli uomini
abbiano un mondo. Il mondo come (als) mondo se costituisce nel linguaggio.

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Gadamer distingue tra gli viventi che vivono in un ambiente, che è l’insieme delle condizioni da cui la
vita dei viventi dipende, e l’uomo che vive nel mondo, libero dell’ambiente. L’uomo deve alzarsi al
linguaggio per così raggiungere il mondo. Il linguaggio è una libera e variabile possibilità dell’uomo.
Gli animali non hanno questa variabilità nel suo modo di esprimersi. Gli animali si intendono ma non
si intendono su fatti come tale.

11. La dimensione ontologica dell’ermeneutica: l’essere e il linguaggio.


Le cose sono caratterizzate di un venire all’espressione nella quale si trova un senso. È qualcosa che
viene dell’oggetto. Questo porta a dire che “l’essere che può venir compreso è linguaggio” (p. 542r8).
Il soggetto può capire soltanto linguaggio. L’oggetti si aprono al soggetto nel linguaggio.
Il contenuto del linguaggio è diverso della parola. La parola è soltanto attraverso il linguaggio e a sua
volta determina il contenuto.
Gadamer sottolinea che gli oggetti non sono qualcosa diversi della loro apparizione. Il linguaggio è un
mezzo universale di mediazione per ogni rapporto dell’uomo con il mondo. Così l’ermeneutica è un
aspetto fondamentale della filosofia e non soltanto il fondamento metodologico per le scienze dello
spirito.

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