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HANS GEORG GADAMER

A cura di

L'esperienza di verità si dà solo nel dialogo, in quella dialettica di domanda e risposta


che alimenta il movimento circolare della comprensione.

INDICE
VITA E OPERE
ESTETICA ED ERMENEUTICA
STORIA E TRADIZIONE
PARMENIDE: LA LETTURA DI GADAMER

VITA E OPERE

Hans Georg Gadamer (1900-2002), allievo di Heidegger a Marburgo, ha sviluppato


alcuni aspetti del suo pensiero elaborando un'ermeneutica filosofica.
Tradizionalmente, con ermeneutica ( dal greco hermeneus , che vuol dire colui che fa
da interprete e media fra chi enuncia un messaggio e chi lo riceve ) s'intende la
tecnica dell'interpretazione, elaborata e impiegata in discipline come la teologia, la
filologia classica e la giurisprudenza, allo scopo di comprendere il significato di testi
sacri o profani o delle leggi. Nell'Ottocento l'ermeneutica si era posta l'obiettivo di
capire un autore meglio di quanto si fosse egli stesso compreso (caso tipico era stato
quello di Schleiermacher con Platone).

Per far questo si riteneva necessario riprodurre il passato in modo da riviverlo. La


comprensione di un testo era vista come condizionata da un circolo fra la totalità del
testo e le sue singole parti: il senso del tutto è ricostruibile a partire da quello delle
parti, ma quest'ultimo, a sua volta, presuppone che sia conferito un significato
preliminare al tutto. In queste prospettive il problema dell'interpretazione era
concepito come proprio delle cosiddette scienze dello spirito, in primis della
storiografia.

In Essere e tempo Heidegger aveva, invece, mostrato che la comprensione è


costitutiva della struttura dell'esistenza: l'esserci ha la prerogativa di comprendere se
stesso e l'interpretazione è l'articolazione di questa comprensione, consistente
nell'appropriarsi di quel che si è compreso. In tal modo, l'interpretazione cessava di
essere soltanto un problema metodico e gnoseologico delle cosiddette scienze dello
spirito, ma si trasformava in un più generale problema ontologico.

Anche nella prospettiva di Heidegger essa appariva caratterizzata da un circolo: la


comprensione, infatti, è sempre condizionata da una pre-comprensione, che si è
venuta costruendo storicamente e nella quale l'esserci che comprende si trova situato,
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ma a sua volta la pre-comprensione è anche sempre messa in gioco e modificata
attraverso la comprensione. Questo è il punto di partenza, che determina l'obbiettivo
dell'ermeneutica filosofica di Gadamer: mettere in chiaro le strutture della
comprensione e dell'interpretazione come strutture proprie dell'esistenza storica
dell'uomo. Nato l'11 febbraio 1900 a Marburgo, Gadamer, la cui vita ricopre tutto il
Novecento, ha studiato nell'università della città natale, dove nel 1922 ha conseguito
il dottorato in filosofia con Natorp e nel 1929 la libera docenza con Heidegger. A
Margurgo egli ha studiato anche filologia classica soprattutto con Paul Friedlander,
che avrebbe poi scritto un ampio studio su Platone, e inoltre ha seguito le lezioni di
storia delle religioni e di teologia tenute rispettivamente da Walter Otto e Rudolf
Bultmann.

Gadamer ha viaggiato molto anche per l'Italia (era cittadino onorario di Napoli, città
di cui era innamorato); egli rievoca il suo primo impatto con Napoli scrivendo: " in
uno dei quartieri popolari dove arrivai bighellonando vidi la seguente scena: da una
stanza all'ultimo piano di un palazzo, si aprì una finestra e una vecchia signora calò
una lunga fune con un cesto dal quale alcuni bambini che giocavano presero dei
pupazzi ritagliati dalla carta colorata, con una gioia che mi commosse fino alle
lacrime. Imparai che la povertà non esclude la gioia ".

Convinto che " l'intesa tra gli uomini avviene sulla base di un orizzonte comune che
vive nella lingua che parliamo, e nei testi eminenti che costituiscono il patrimonio di
questa lingua " e che " l'esperienza di verità si dà solo nel dialogo, in quella dialettica
di domanda e risposta che alimenta il movimento circolare della comprensione " ,
Gadamer intitolò il suo primo scritto l' Etica dialettica di Platone. Interpretazioni
fenomenologiche del Filebo (1931).

Dopo un periodo di insegnamento a Marburgo, Gadamer passa all'università di


Lipsia, dove, con l'approvazione dell'autorità sovietiche di occupazione, è nominato
rettore nel 1946-47. Successivamente passa a insegnare e Francoforte e poi, nel 1949,
a Heidelberg, sulla cattedra tenuta da Jaspers; dal 1953 è direttore della
"Philosophische Rundschau" e nel 1960 pubblica la sua opera più importante, Verità
e medoto. Lineamenti di un'ermeneutica filosofica.

Altri scritti, che illustrano e approfondiscono i temi della sua opera maggiore sono: Il
problema della coscienza storica (1963, in francese); La ragione nell'età della scienza
(1976); L'idea del bene in Platone e Aristotele (1978). A partire dal 1985 è in corso di
pubblicazione l'edizione completa delle sue opere. A conferma del fatto che Gadamer
fosse un ottimista, si può ricordare quanto egli affermò in un'intervista: " lei dice che
sono troppo ottimista. Ma l'ottimismo non è una pecca. E neppure una virtù. E' un
bisogno connaturato alla natura dell'uomo. Il pessimismo, invece, quello sì che è un
lusso. Soltanto due 'borghesi' come Schopenhauer e Leopardi se lo potevano
permettere... ".

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ESTETICA ED ERMENEUTICA

Intento di Gadamer non è di costruire un metodo, concepito come insieme di regole


da applicare nel dominio delle scienze dello spirito, ma di portare alla luce
l'esperienza di verità, che avviene nella comprensione e nell'interpretazione, " di là
dal nostro volere e dal nostro fare ". Riprendendo Heidegger, Gadamer ritiene che il
comprendere non sia uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, limitato soltanto ad
ambiti particolari della sua esperienza: esso invece caratterizza " il modo di essere
dell'esistente stesso come tale ".

L'ermeneutica, dunque, non è una semplice tecnica interpretativa, ma il " movimento


fondamentale dell'esistenza ", nella sua finitezza e nella sua storicità, il quale
abbraccia l'intero campo dell'esperienza umana del mondo. Per questo aspetto si può
dunque parlare di universalità dell'ermeneutica . Essendo costitutivo dell'esistenza
stessa, il comprendere non è mai atteggiamento meramente teoretico, coma già aveva
mostrato Heidegger, e dunque non si realizza sulla base di una distinzione tra
soggetto che comprende e oggetto che viene compreso.

Contro queste forme di oggettivismo, che sono alla base dell'impostazione tipica delle
scienze umane, non soltanto di quelle naturali, Gadamer intende sottolineare che ci
sono ambiti in cui accadono esperienza di verità, le quali si collocano fuori dai
metodi propri delle varie scienze: se ci si attiene esclusivamente a questi metodi, tali
esperienze non sarebbero possibili. Per esperienza si deve pertanto intendere non un
rispecchiamento oggettivo e distaccato dell'oggetto, ma un essere toccati e modificati.

Nella sua opera maggiore Gadamer studia tre ambiti nei quali avviene un'esperienza
di verità di questo tipo: l'arte, la storia, il linguaggio, L'esperienza dell' arte è
abitualmente dominata, soprattutto a partire da Kant, da quella che Gadamer chiama
differenza estetica . Si tratta di un'operazione, di astrazione, con la quale si prescinde
da tutto quel che radica un'opera d'arte nel suo contesto vitale originario e, quindi, da
tutte le funzioni religiose o profane che essa vi assolveva e dalle quali traeva il suo
significato, per rendere visibile l'opera come pura opera d'arte, nella sua autonoma
sussistenza.

Un' espressione concreta di questa operazione è data dal museo, in cui l'opera d'arte è
per definizione strappata al suo mondo originario di appartenenza, per appartenere
soltanto alla coscienza estetica. In tal modo l'opera d'arte è colta esteticamente come
qualcosa di semplicemente presente, oggetto di un puro vedere o di un puro udire, ma
questo non costituisce per Gadamer la vera e propria esperienza estetica.

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Questa è data, invece, dall'incontro con l'opera d'arte e con il mondo contenuto in
essa, che non ci resta estraneo: nel rapporto con l'opera d'arte, infatti, si impara anche
a comprendere se stessi. L'esperienza estetica è, dunque, un modo dell'
autocomprensione. Questo è possibile in quanto l'arte è conoscenza, secondo
Gadamer, e l'esperienza dell'opera d'arte fa partecipi della conoscenza. Per cogliere
questo punto, bisogna dunque fare riferimento a un concetto di esperienza più ampio
dei concetti di conoscenza e di realtà, propri delle scienza della natura. L'esperienza
dell'opera d'arte, infatti, instaura un rapporto non con un oggetto semplicemente
presente, ma con un evento che non è concluso e di cui si entra a far parte. Per
chiarire che cosa sia questo evento, Gadamer parte dal concetto di gioco , ma
spogliato da ogni arbitrarietà e soggettività.

Il gioco, infatti, ha un' essenza propria, indipendente dalla coscienza dei giocatori,
che lo avvertono come una realtà che li trascende: esso si produce attraverso i
giocatori, che partecipano del gioco, sicché ogni giocare è al tempo stesso un esser-
giocato. Anche l'opera d'arte, secondo Gadamer, è gioco e, quindi, un evento che non
è separabile dalla sua rappresentazione: il modo di essere dell'opera d'arte è gioco,
che si compie solo temporalmente con la fruizione e comprensione degli spettatori. Il
problema è come sia possibile l'identità dell'opera d'arte, che si presenta diversa nel
cambiare dei tempi a quelli che, di volta in volta, cercano di comprenderla. Per
illustrare questo punto, Gadamer ricorre ad un'altra analogia, con la festa: anche la
festa è sempre identica, ma al tempo stesso esiste soltanto in quanto è celebrata ogni
volta nel mutare delle circostanze storiche.

In ciascuna di queste circostanze si tratta di mediare quel che è identico con il


presente, che è sempre storicamente mutevole. Alla festa si assiste in quanto si
partecipa: essa ha il carattere delle contemporaneità. Kierkegaard aveva dimostrato
che nell'esperienza religiosa la contemporaneità è il compito che la coscienza deve
realizzare, mediando il proprio presente con l'azione salvifica di Cristo, in modo che
questa non rimanga un fatto storicamente remoto: si tratta dunque di partecipare nel
presente all'evento della salvezza. Così è anche, secondo Gadamer, per l'esperienza
dell'arte: fare in modo che l'opera d'arte non sia un fatto meramente passato, ma sia
mediata con il presente, tornando di volta in volta a rivivere.

STORIA E TRADIZIONE

Tali considerazioni valgono anche per l'esperienza d verità che ha luogo nella storia:
anche in questo caso compito dell'ermeneutica è la mediazione del passato con il
presente. L'eremeneutica di Schleiermacher riponeva questa mediazione in una
ricostruzione della fisionomia originaria del passato, in base al presupposto che il
vero significato di esso può essere compreso soltanto in riferimento al suo modo
originario. A questa impostazione Gadamer muove l'obiezione, già avanzata da
Hegel, che il passato restaurato non è più quello originario e bisogna, invece,
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percorrere la via dell'integrazione del passato nella vita del presente. L'ermeneutica
tradizionale era condizionata dal miraggio dell'oggettività e, quindi, non riconosceva
pienamente il carattere storico del comprendere, che si costituisce, come aveva
mostrato Heidegger, a partire da una pre-comprensione che anticipa il senso di quel
che dev'essere interpretato. L'interpretazione consiste allora nel mettere alla prova la
legittimità della propria pre-comprensione nel rapporto che di volta in volta si
istituisce con il passato, rendendosi disponibili a lasciarsi dire qualcosa da esso e
mettendosi, quindi, in ascolto di esso. In questo consiste il cosiddetto circolo
ermeneutico , che include, dunque, come costitutivo e dotato di funzione positiva, il
pre-giudizio.

Era stato l'Illuminismo a svalutare i pregiudizi, considerati frutto di precipitosità o


abdicazione all'autorità, ma a anche l'Illuminismo, secondo Gadamer, aveva finito per
soccombere al pregiudizio contro i pregiudizi e, in generale, contro la tradizione. Di
per sé, invece, il termine pregiudizio significa solo un giudizio pronunciato prima di
aver effettuato un esame completo e definitivo di tutti gli elementi rilevanti, ma
questo non significa che necessariamente questo giudizio sia falso o infondato.

In quanto essere finiti, gli uomini sono sempre inseriti in un orizzonte di pregiudizi e,
quindi, entro una tradizione. Ma pregiudizi e tradizioni non sono sempre entità
negative, delle quali sia possibile e necessario liberarsi totalmente: essi possono,
invece, rappresentare possibilità positive. L'ideale di una ragione assoluta non rientra
tra le possibilità degli uomini, i quali sono sempre legati a un momento storico,
cosicché la ragione non è mai totalmente padrona di sé, ma sempre subordinata a
situazioni entro la quali agisce. L'illuminismo aveva escluso che l'autorità potesse
anche essere fonte di verità, ma l'autorità, secondo Gadamer, si fonda su un
riconoscimento e, quindi, richiede un'azione della ragione stessa, la quale non si
sottomette ad essa ciecamente, ma, " consapevole dei suoi limiti, concede fiducia al
miglior giudizio di altri ".

La rivalutazione del pregiudizio e della tradizione spiegano perché Gadamer non


proceda a quella distruzione e superamento della metafisica, progettati da Heidegger,
e ritenga invece di poter instaurare un proficuo legame di continuità con le filosofie
di Platone e Aristotele, alle quali ha dedicato numerosi saggi. In questo senso la
posizione di Gadamer verso la tradizione filosofica è meno radicale di quella
heideggeriana e anzi si è potuto dire che Gadamer ha " urbanizzato la provincia
heideggeriana " (Habermas).

Il rapporto col passato, per Gadamer, non è definito in primo luogo dall'esigenza di
staccarsi e liberarsi da esso: noi siamo costantemente dentro tradizioni e anche le
rivoluzioni conservano molto del passato. Il che non significa che si debba ripetere
l'errore inverso, compiuto dai Romantici, i quali, nel difendere la tradizione, la
concepirono come un dato oggettivo e immodificabile, alla pari delle entità naturali.
Si tratta, invece, di vedere il passato come qualcosa di vivo, che continua ancora a
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parlare e interpellare, cosicché comprendere il passato significa inserirsi nel vivo del
processo storico, che lo trasmette sino a noi.

Questa trasmissione è caratterizzata dal fatto che, in ciascun momento di essa,


passato e presente continuamente si sintetizzano. L'interpretazione emerge, infatti,
dall'incontro di due movimenti, quello della trasmissione storica e quello
dell'interprete, anch'esso mobile nella sua storicità.

La distanza temporale fra il resto del passato e l'interprete non è un ostacolo che deve
essere superato; anzi essa è la condizione di possibilità dell'esperienza della verità
nell'incontro col passato. Questa distanza non è qualcosa di statico, ma è in
movimento, porta all'eliminazione di alcuni pregiudizi e fa emergere quelli che
aiutano una vera comprensione. Nell'incontro con l'altro, che dal passato avanza una
pretesa di verità, noi, prendendo sul serio questa pretesa, poniamo in questione i
nostri pregiudizi.

Questo incontro non avviene fuori dal tempo, ma si colloca in quella che Gadamer
chiama Wirkungsgeschichte , "storia degli effetti" , la quale non è solo la storia della
fortuna di un testo nei secoli, ma la catena delle interpretazioni passate, le quali
condizionano e mediano la pre-comprensione che l'interprete ha dell'oggetto da
interpretare, senza che egli se ne renda sempre conto. Noi siamo già sempre
sottoposti agli effetti di questa storia, che decide anticipatamente di quel che si
presenta a noi come problematica e come oggetto di ricerca. L'inserimento nel vivo di
questa trasmissione storica è chiamato da Gadamer fusione di orizzonti .

Essa emerge dall'incontro tra due orizzonti storici, quello del testo da interpretare e
quello dell'interprete: quando questo avviene, l'interpretazione si configura come un
intendersi sulla verità della cosa detta nel testo e non nel solo capire le intenzioni
dell'autore. A sua volta, questa nuova interpretazione viene ad inserirsi come un
ulteriore anello nella catena della Wirkungsgeschichte : il comprendere è, dunque, un
processo mai concluso e definitivo, perché nel corso storico si possono aprire, nel
rapporto con ogni nuovo interprete, sempre nuove possibilità di senso di quel che è
tramandato nei testi del passato.

Problema generale di ogni ermeneutica è, secondo Gadamer, l' applicazione ,


consistente nel porsi al servizio del testo sacro o profano e delle leggi, per applicare
al caso particolare ciò che di universale essi contengono. Il modello di questa
procedura è ravvisato fa Gadamer nella fronhsiV descritta da Aristotele nell' Etica
Nicomachea : essa, infatti, non è scienza, ma saggezza pratica legata alle situazioni
particolari.

L'applicazione non è un momento successivo alla comprensione, in quanto nella


comprensione avviene anche sempre un'applicazione del testo da interpretare alla
situazione particolare dell'interprete. Il modello è dato dalla l' struttura dialogica della
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domanda e della risposta , elaborata da Platone. Per comprendere questo punto
bisogna tener presente il fatto che la tradizione, per Gadamer, non è semplicemente
un insieme di oggetti o fatti del passato da conoscere o padroneggiare: la tradizione è,
in primis, un linguaggio che si rivolge a noi come l'interlocutore in un dialogo e con
la quale, pertanto, si può instaurare un rapporto vivente, diventando consapevoli della
propria finitudine e storicità.

Solo in quanto fra l'interprete e il testo non sussiste già un rapporto armonico, ma il
testo pone un problema e deve essere trasformato da qualcosa di estraneo in qualcosa
di familiare, allora può aver luogo un'esperienza ermeneutica, nella quale la fusione
di orizzonti si articola come struttura dialogica. " Condurre un dialogo significa
mettersi sotto la guida dell'argomento che gli interlocutori hanno di mira ", asserisce
Gadamer, ma all'inizio del dialogo c'è la domanda che il testo pone a noi, che siamo
così chiamati in causa dalla parola del passato.

Di qui scaturisce se la necessità di pensare, come aveva mostrato Heidegger, quel che
per l'autore del testo era rimasto non problematico e pertanto non era stato da lui
pensato: questo vuol dire che l'interpretazione non è soltanto la ricostruzione e
riproduzione dell'opinione altrui, ma è integrazione rispetto a quel che è detto nel
testo. Infatti, un dialogo, quando è autentico, non riesce mai come vogliono gli
interlocutori, i quali, più che guidarlo (cfr. il modello del gioco), sono guidati da esso:
il risultato di un dialogo non può mai essere conosciuto in anticipo. Nel dialogo
viene, dunque, ad espressione qualcosa che non appartiene soltanto ad uno dei due
interlocutori, all'autore del testo o a chi lo interpreta: si tratta, invece, di qualcosa di
comune che li unisce. In tal modo ha luogo la fusione di orizzonti che accade nella
comprensione: essa si dispiega nel l' linguaggio , è sempre un fatto linguistico. Per
questa attenzione particolare rivolta al linguaggio Gadamer si può richiamare ancora
una volta a Heidegger: il linguaggio non è uno strumento di cui si possa disporre
arbitrariamente, ma è il luogo in cui l'essere e le cose si danno all'uomo. L'uomo non
può fare esperienza del mondo se non attraverso il linguaggio, è attraverso il
linguaggio che egli è interpellato dalla tradizione.

Ma il linguaggio non è un'entità semplicemente presente e disponibile all'uomo, bensì


ha il carattere dell'evento, attraverso il quale quel che è detto nei testi della tradizione
afferra e trasforma l'interprete. Questa è la struttura fondamentale di tutto quel che in
generale può essere oggetto del comprendere, cosicché Gadamer può concludere che
" l'essere, che può venire compreso, è linguaggio ".

Linguaggio e comprensione sono, dunque, costitutivi di ogni rapporto dell'uomo col


mondo; il linguaggio assume una portata ontologica universale, è il luogo in cui può
avvenire ogni esperienza della verità, cosicché l'ermeneutica, portando alla luce
questa struttura fondamentale del rapporto dell'uomo col mondo, ha anch'essa una
dimensione di universalità.

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