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INDICE
VITA E OPERE
ESTETICA ED ERMENEUTICA
STORIA E TRADIZIONE
PARMENIDE: LA LETTURA DI GADAMER
VITA E OPERE
Gadamer ha viaggiato molto anche per l'Italia (era cittadino onorario di Napoli, città
di cui era innamorato); egli rievoca il suo primo impatto con Napoli scrivendo: " in
uno dei quartieri popolari dove arrivai bighellonando vidi la seguente scena: da una
stanza all'ultimo piano di un palazzo, si aprì una finestra e una vecchia signora calò
una lunga fune con un cesto dal quale alcuni bambini che giocavano presero dei
pupazzi ritagliati dalla carta colorata, con una gioia che mi commosse fino alle
lacrime. Imparai che la povertà non esclude la gioia ".
Convinto che " l'intesa tra gli uomini avviene sulla base di un orizzonte comune che
vive nella lingua che parliamo, e nei testi eminenti che costituiscono il patrimonio di
questa lingua " e che " l'esperienza di verità si dà solo nel dialogo, in quella dialettica
di domanda e risposta che alimenta il movimento circolare della comprensione " ,
Gadamer intitolò il suo primo scritto l' Etica dialettica di Platone. Interpretazioni
fenomenologiche del Filebo (1931).
Altri scritti, che illustrano e approfondiscono i temi della sua opera maggiore sono: Il
problema della coscienza storica (1963, in francese); La ragione nell'età della scienza
(1976); L'idea del bene in Platone e Aristotele (1978). A partire dal 1985 è in corso di
pubblicazione l'edizione completa delle sue opere. A conferma del fatto che Gadamer
fosse un ottimista, si può ricordare quanto egli affermò in un'intervista: " lei dice che
sono troppo ottimista. Ma l'ottimismo non è una pecca. E neppure una virtù. E' un
bisogno connaturato alla natura dell'uomo. Il pessimismo, invece, quello sì che è un
lusso. Soltanto due 'borghesi' come Schopenhauer e Leopardi se lo potevano
permettere... ".
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ESTETICA ED ERMENEUTICA
Contro queste forme di oggettivismo, che sono alla base dell'impostazione tipica delle
scienze umane, non soltanto di quelle naturali, Gadamer intende sottolineare che ci
sono ambiti in cui accadono esperienza di verità, le quali si collocano fuori dai
metodi propri delle varie scienze: se ci si attiene esclusivamente a questi metodi, tali
esperienze non sarebbero possibili. Per esperienza si deve pertanto intendere non un
rispecchiamento oggettivo e distaccato dell'oggetto, ma un essere toccati e modificati.
Nella sua opera maggiore Gadamer studia tre ambiti nei quali avviene un'esperienza
di verità di questo tipo: l'arte, la storia, il linguaggio, L'esperienza dell' arte è
abitualmente dominata, soprattutto a partire da Kant, da quella che Gadamer chiama
differenza estetica . Si tratta di un'operazione, di astrazione, con la quale si prescinde
da tutto quel che radica un'opera d'arte nel suo contesto vitale originario e, quindi, da
tutte le funzioni religiose o profane che essa vi assolveva e dalle quali traeva il suo
significato, per rendere visibile l'opera come pura opera d'arte, nella sua autonoma
sussistenza.
Un' espressione concreta di questa operazione è data dal museo, in cui l'opera d'arte è
per definizione strappata al suo mondo originario di appartenenza, per appartenere
soltanto alla coscienza estetica. In tal modo l'opera d'arte è colta esteticamente come
qualcosa di semplicemente presente, oggetto di un puro vedere o di un puro udire, ma
questo non costituisce per Gadamer la vera e propria esperienza estetica.
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Questa è data, invece, dall'incontro con l'opera d'arte e con il mondo contenuto in
essa, che non ci resta estraneo: nel rapporto con l'opera d'arte, infatti, si impara anche
a comprendere se stessi. L'esperienza estetica è, dunque, un modo dell'
autocomprensione. Questo è possibile in quanto l'arte è conoscenza, secondo
Gadamer, e l'esperienza dell'opera d'arte fa partecipi della conoscenza. Per cogliere
questo punto, bisogna dunque fare riferimento a un concetto di esperienza più ampio
dei concetti di conoscenza e di realtà, propri delle scienza della natura. L'esperienza
dell'opera d'arte, infatti, instaura un rapporto non con un oggetto semplicemente
presente, ma con un evento che non è concluso e di cui si entra a far parte. Per
chiarire che cosa sia questo evento, Gadamer parte dal concetto di gioco , ma
spogliato da ogni arbitrarietà e soggettività.
Il gioco, infatti, ha un' essenza propria, indipendente dalla coscienza dei giocatori,
che lo avvertono come una realtà che li trascende: esso si produce attraverso i
giocatori, che partecipano del gioco, sicché ogni giocare è al tempo stesso un esser-
giocato. Anche l'opera d'arte, secondo Gadamer, è gioco e, quindi, un evento che non
è separabile dalla sua rappresentazione: il modo di essere dell'opera d'arte è gioco,
che si compie solo temporalmente con la fruizione e comprensione degli spettatori. Il
problema è come sia possibile l'identità dell'opera d'arte, che si presenta diversa nel
cambiare dei tempi a quelli che, di volta in volta, cercano di comprenderla. Per
illustrare questo punto, Gadamer ricorre ad un'altra analogia, con la festa: anche la
festa è sempre identica, ma al tempo stesso esiste soltanto in quanto è celebrata ogni
volta nel mutare delle circostanze storiche.
STORIA E TRADIZIONE
Tali considerazioni valgono anche per l'esperienza d verità che ha luogo nella storia:
anche in questo caso compito dell'ermeneutica è la mediazione del passato con il
presente. L'eremeneutica di Schleiermacher riponeva questa mediazione in una
ricostruzione della fisionomia originaria del passato, in base al presupposto che il
vero significato di esso può essere compreso soltanto in riferimento al suo modo
originario. A questa impostazione Gadamer muove l'obiezione, già avanzata da
Hegel, che il passato restaurato non è più quello originario e bisogna, invece,
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percorrere la via dell'integrazione del passato nella vita del presente. L'ermeneutica
tradizionale era condizionata dal miraggio dell'oggettività e, quindi, non riconosceva
pienamente il carattere storico del comprendere, che si costituisce, come aveva
mostrato Heidegger, a partire da una pre-comprensione che anticipa il senso di quel
che dev'essere interpretato. L'interpretazione consiste allora nel mettere alla prova la
legittimità della propria pre-comprensione nel rapporto che di volta in volta si
istituisce con il passato, rendendosi disponibili a lasciarsi dire qualcosa da esso e
mettendosi, quindi, in ascolto di esso. In questo consiste il cosiddetto circolo
ermeneutico , che include, dunque, come costitutivo e dotato di funzione positiva, il
pre-giudizio.
In quanto essere finiti, gli uomini sono sempre inseriti in un orizzonte di pregiudizi e,
quindi, entro una tradizione. Ma pregiudizi e tradizioni non sono sempre entità
negative, delle quali sia possibile e necessario liberarsi totalmente: essi possono,
invece, rappresentare possibilità positive. L'ideale di una ragione assoluta non rientra
tra le possibilità degli uomini, i quali sono sempre legati a un momento storico,
cosicché la ragione non è mai totalmente padrona di sé, ma sempre subordinata a
situazioni entro la quali agisce. L'illuminismo aveva escluso che l'autorità potesse
anche essere fonte di verità, ma l'autorità, secondo Gadamer, si fonda su un
riconoscimento e, quindi, richiede un'azione della ragione stessa, la quale non si
sottomette ad essa ciecamente, ma, " consapevole dei suoi limiti, concede fiducia al
miglior giudizio di altri ".
Il rapporto col passato, per Gadamer, non è definito in primo luogo dall'esigenza di
staccarsi e liberarsi da esso: noi siamo costantemente dentro tradizioni e anche le
rivoluzioni conservano molto del passato. Il che non significa che si debba ripetere
l'errore inverso, compiuto dai Romantici, i quali, nel difendere la tradizione, la
concepirono come un dato oggettivo e immodificabile, alla pari delle entità naturali.
Si tratta, invece, di vedere il passato come qualcosa di vivo, che continua ancora a
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parlare e interpellare, cosicché comprendere il passato significa inserirsi nel vivo del
processo storico, che lo trasmette sino a noi.
La distanza temporale fra il resto del passato e l'interprete non è un ostacolo che deve
essere superato; anzi essa è la condizione di possibilità dell'esperienza della verità
nell'incontro col passato. Questa distanza non è qualcosa di statico, ma è in
movimento, porta all'eliminazione di alcuni pregiudizi e fa emergere quelli che
aiutano una vera comprensione. Nell'incontro con l'altro, che dal passato avanza una
pretesa di verità, noi, prendendo sul serio questa pretesa, poniamo in questione i
nostri pregiudizi.
Questo incontro non avviene fuori dal tempo, ma si colloca in quella che Gadamer
chiama Wirkungsgeschichte , "storia degli effetti" , la quale non è solo la storia della
fortuna di un testo nei secoli, ma la catena delle interpretazioni passate, le quali
condizionano e mediano la pre-comprensione che l'interprete ha dell'oggetto da
interpretare, senza che egli se ne renda sempre conto. Noi siamo già sempre
sottoposti agli effetti di questa storia, che decide anticipatamente di quel che si
presenta a noi come problematica e come oggetto di ricerca. L'inserimento nel vivo di
questa trasmissione storica è chiamato da Gadamer fusione di orizzonti .
Essa emerge dall'incontro tra due orizzonti storici, quello del testo da interpretare e
quello dell'interprete: quando questo avviene, l'interpretazione si configura come un
intendersi sulla verità della cosa detta nel testo e non nel solo capire le intenzioni
dell'autore. A sua volta, questa nuova interpretazione viene ad inserirsi come un
ulteriore anello nella catena della Wirkungsgeschichte : il comprendere è, dunque, un
processo mai concluso e definitivo, perché nel corso storico si possono aprire, nel
rapporto con ogni nuovo interprete, sempre nuove possibilità di senso di quel che è
tramandato nei testi del passato.
Solo in quanto fra l'interprete e il testo non sussiste già un rapporto armonico, ma il
testo pone un problema e deve essere trasformato da qualcosa di estraneo in qualcosa
di familiare, allora può aver luogo un'esperienza ermeneutica, nella quale la fusione
di orizzonti si articola come struttura dialogica. " Condurre un dialogo significa
mettersi sotto la guida dell'argomento che gli interlocutori hanno di mira ", asserisce
Gadamer, ma all'inizio del dialogo c'è la domanda che il testo pone a noi, che siamo
così chiamati in causa dalla parola del passato.
Di qui scaturisce se la necessità di pensare, come aveva mostrato Heidegger, quel che
per l'autore del testo era rimasto non problematico e pertanto non era stato da lui
pensato: questo vuol dire che l'interpretazione non è soltanto la ricostruzione e
riproduzione dell'opinione altrui, ma è integrazione rispetto a quel che è detto nel
testo. Infatti, un dialogo, quando è autentico, non riesce mai come vogliono gli
interlocutori, i quali, più che guidarlo (cfr. il modello del gioco), sono guidati da esso:
il risultato di un dialogo non può mai essere conosciuto in anticipo. Nel dialogo
viene, dunque, ad espressione qualcosa che non appartiene soltanto ad uno dei due
interlocutori, all'autore del testo o a chi lo interpreta: si tratta, invece, di qualcosa di
comune che li unisce. In tal modo ha luogo la fusione di orizzonti che accade nella
comprensione: essa si dispiega nel l' linguaggio , è sempre un fatto linguistico. Per
questa attenzione particolare rivolta al linguaggio Gadamer si può richiamare ancora
una volta a Heidegger: il linguaggio non è uno strumento di cui si possa disporre
arbitrariamente, ma è il luogo in cui l'essere e le cose si danno all'uomo. L'uomo non
può fare esperienza del mondo se non attraverso il linguaggio, è attraverso il
linguaggio che egli è interpellato dalla tradizione.