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In memoria di Barbara M.
L'intenzione del poeta-filosofo è quella di dare voce alla compromissione del pensiero che è già
determinato di fronte all'ispirazione. L'esperienza comune e inautentica non ha forza necessaria per
collocarsi in un cangiante orizzonte che non sia la mèta del “cielo del mondo”, intendendo con ciò un
diverso e nuovo orizzonte di autenticità. La “prima luce del mattino”, come scritto nella introduzione in
prosa alla lirica succitata, è quindi chiarore, è quindi la luce dell'essere, anche se
L'uomo non è pronto all'appello dell'essere, non possiede la fatica o meglio nemmeno l'impossibilità del
concetto dell'essere alla-mano, lo ri-pensa senza che ci sia una intro-duzione, e gli dei ( Götter), non
sappiamo se spiriti del bosco, o primitive divinità greche, o la dea filosofia intesa come scienza d ella
noein, sono perduti e l'uomo si ritrova senza trascendenza, non trasceso, in una forma di espressione che
è chiamata alla differenza:
tra ente ed essere, ontologicamente compresi e semplificati, e distinti, nel nozionismo e nel concetto
duramente conquistato dove il pensiero può sopportare sì una opposizione ma non l'avversione, infatti
e ancora
come l'irruenza di un fortunale che viene preannunciato dal cigolio della banderuola mossa e sbattuta
dal vento nei pressi di un rifugio alpino, probabilmente situato nella Foresta Nera tanto cara al filosofo
di Meßkirch. Riecheggiano sui versi germinali di Heidegger ben più esteticamente riuscite liriche, come
quella di Hölderlin, Patmos, dove si scorge la difficoltà di afferrare il dio (il senso dell'essere?), dove vi
è pericolo che accresce la salvezza dei “figli delle Alpi”, dove l'urgenza è la fedeltà al senso, dove il
cammino, o il periglioso navigare, porta a Patmos desiderando di farvi sosta vicino all'oscurità della
grotta, dimora splendida di naufragio e lacrime, l'isola che fu dimora anche del veggente Evangelista
che aveva seguìto il Figlio dell'Altissimo nel mistero della passione vegetale che tutto riconduce alla
zolla, alla terra, al grano e alla vite, e di poi al cielo da cui si origina la bufera dei signori del cielo che
odiano l'ipocrisia. Al verso 128 della prima stesura della lirica holderiniana vi è la presenza del termine
Geist, Spirito – erano gli anni di G.W.F. Hegel (1770-1831), compagno di studi del poeta allo Stift di
Tubinga – riferita alla voce che dal Cielo additava il “Semi-Dio” (intenzionale e meditata svista?) Gesù
come il Salvatore alla folla accorsa a farsi battezzare dal Precursore:
L'anima esala lo spirito in una verde e quindi vivida putrescenza incipiente del corpo come un fruscio
di una foglia in decomposizione nel bosco dove si sentono lamenti di animali lontani e che pare
partecipino al dolore della perdita, ma dove anche si sentono speranzose di cielo ed azzurre campane nei
rintocchi dell'alba. Perché presto questo trapasso?
I rami spogli rappresentano la caducità della vita che si destanzia, si differisce dal tempo alla
“purpurea dolcezza delle stelle”, un luogo ma un non-tempo che si inabissa nell'eternità che, nonostante
“il nero angelo”, non tolse “Un azzurro sorriso sul volto e [ma] stranamente rinchiuso, a crisalide”
dell'estinto, che si accoglie spesso “come un ospite” nella stanza del sacrigénio, dello spirito e
dell'indole fiammeggiante, il Geist che si stanzia nell'indole mite come in quella che si inquieta, ma ogni
uomo o donna ha in se la diadica indole sacrigéna. “Fummo miti compagni di gioco”, e la mente si
abbandona al ricordo del trapassato troppo presto, del trapassato che è Uno, uno tra i tanti e [ma!] unico
ed irripetibile, che si spegne nel primo mattino. E' tempo di un “fiore azzurro”, della “lacrima di fuoco
divenuta notte” e quindi placata in un cammino di intimo colloquio tra il superstite e il trapassato.
L'esilio ha un contratto col poetare e l'esilio è pure ingenuità, ma ferma e silente e quindi consapevole, e
dall'esilio che nasce l'aurora del lirismo. “Ma – scrive Heidegger – l'esilio non è affatto la desolazione
del decesso”.
L'esiliato è su di un sentiero che lo conduce alla salubrità dei suoi sacrigéni e fecondi anni, come
quando declina l'estate quando
Già si prepara
Per il viaggio la rondine nella casa
e il sole tramonta là nella collina;
Già la notte invita al viaggio con le stelle.
Ma è ora di dettare il punto ortivo del poeta e di colui che lo trasla, come Heidegger fa, o lo legge:
[…] Cuore,
Chìnati adesso, e ascolta con più dedizione
La quieta dormiente.
Bibliografia
- MARTIN HEIDEGGER, Che cos'è metafisica?, traduzione, note al testo e una postilla di Horst Künkler,
Arturo Martone, Giulio Fajo, prefazione di Hans Georg Gadamer, Tullio Pironti Editore, Napoli 1982
- IDEM, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, a cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano
2009
- IDEM, La questione della tecnica, traduzione e note di Gianni Vattimo, con un saggio di Federico
Sollazzo, goWare, Firenze 2017
- FRIEDRICH HÖLDERLIN, Poesie scelte, traduzione di Susanna Mati, Feltrinelli, Milano 2010
- GEORG TRAKL, Liriche scelte, a cura di Pietro Tripodo, Salerno Editrice, Roma 1991
- IDEM, MARTIN HEIDEGGER, Il canto dell'esule, La parola nella poesia, a cura di Gino Zaccaria con Ivo
De Gennaro, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003