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HEIDEGGER POETA, FILOLOGO E FILOSOFO LEGGE IL POETA GEORG TRAKL

di Giuseppe Mirabella (4/XII/2020)

In memoria di Barbara M.

Wo aber Gefahr ist, wächst


Das Rettende auch
(F. Hölderlin)

Il cammino verso il linguaggio poetico intrapreso da Martin Heidegger (1889-1976) è certamente


indicativo dell'inclinazione verso l'intuizione, l'immediatezza del lirismo, del poetare, del verso. Lo
stesso Heidegger non si sottrae dal cimentarsi con la scrittura della poesia, con esiti metafisici – quasi a
marcare l'appartenenza del verso poetico nel mondo delle cose che stanno dopo le cose, gli enti, e di
sosta pensosa e poetica ad un tempo, sul limitare del pensare filosofico proprio. Di più, il verso poetico
è metafisico, o è metafisica tout court, appunto perché esce da quelle contrade del pensiero misurato e
indagatore proprio della filosofia che ha pretese empiriche, quasi come un mettere tra parentesi le regole
del ragionamento filosofico, che pur ci sono, una metafisica così intesa da Heidegger che diventa
scienza dell'essere dell'ente che precede le scienze ontiche. La fruibilità della poesia rimane essa stessa
una operazione perdente in partenza, si potrebbe dire, nel mondo della tecnica dove vigono le leggi
dell'accumulazione, dell'efficienza, dell'operatività, della pretesa e della produttività che non si fermano,
non sostano dinnanzi alla meraviglia dell'“azzurrità (Bläue) sopra il bosco”, come faceva il poeta Georg
Trakl (1887-1914), e non si domanda cosa c'è prima dell'essenza della tecnica di cui siamo prigionieri,
ad esempio la luce in connessione con l'essere a cui spesso si fa riferimento, anche e non soltanto, nella
filosofia (o meglio nel pensare) di Heidegger, da cui si origina il termine chiave della Lichtung, il
portare a chiarore, il disvelare l'essere, il creare una radura tra gli alberi che adombrano il bosco del
concetto. L'opera di Trakl, poeta austriaco, ha interessato molto Heidegger, come pure l'opera di
Friedrich Hölderlin (1770-1843), quest'ultimo presente finanche in un corso di introduzione alla
filosofia, dal suggestivo titolo “Pensare e poetare” del 1943/44, interrotto dall'arrivo degli Alleati a
Friburgo in Brisgovia.
La poesia non si disvela come il nulla dell'essere di uno strumento fine a se stesso ma è il connubio di
una forma con le sue proprie finalità estetiche e di una materia quale può essere la fisicità delle parole di
un verso che viene pronunziato, declamato. Ogni opera d'arte, e tra esse la poesia, è un accadere storico
che rimane come fatto e come progetto, ma anche come oggetto, o concetto, tangibile o intangibile e
diversamente afferrabile, a volte con una forza tale da determinare le decisioni e le azioni umane: si
pensi ai soldati tedeschi sui vari fronti del Primo conflitto mondiale che avevano ognuno con sé una
copia dello Zarathustra, o la strumentalizzazione nazista a fini politici dell'opera di Friedrich Nietzsche
(1844-1900). Ogni singola opera d'arte, e soprattutto la poesia, interpellano l'uomo sulla verità, ma
anche sulla visibilità (con una propria studiositas) di un progetto, dell'opera stessa, provocando un
mutamento dell'essere, e creando una posizione di problema, ermeneutico, estetico, filologico, e
giustappunto filosofico, in definitiva un vacillare dell'essente ovvero del poetante che ha in sé la povertà
in cui dimora l'essere-senza-patria, l'esule, che supera e sostiene, che tralascia e conserva la metafisica,
che rischia. Il nulla va ammesso, allora, ricercato, fintanto che rende la metafisica e il suo contrario
esperienza di verità.
Il poeta come il pensatore non sono personaggi costruiti per delle manifestazioni culturali: essi
devono raggiungere la loro grandezza e la loro nobiltà a prescindere dalla loro “produzione” di
letteratura “unica e mirabile”: ciò pensa Heidegger, come “raziocinio storiografico”, che è un ri-pensare
con Nietzsche e un ri-poetare con Hölderlin, riguardante una sorta di (pre-)destinazione storica della
Germania da custodire gelosamente ed eternamente (“Hölderlin è quel poeta che poeta ciò che è ora.”).
Ma qui non si intende mettere in discussione una certa ambiguità del pensiero heideggeriano, in specie
nell'ambito della politica, documentata in testi ben più circostanziati, sodi e strutturati; qui ci preme
parlare di Heidegger nella sua veste di poeta, filologo di testi poetici e filosofo con una inclinazione
teoretica verso la poesia della sua terra natia.
Heidegger in una sua lirica del 1947, (è dell'anno 1954 la pubblicazione di Aus der Erfahrung des
Denkens che potrebbe suonare come La mia esperienza del pensare) scrive che

[…] L'uomo è la sua poesia,


ma è una poesia già cominciata.

L'intenzione del poeta-filosofo è quella di dare voce alla compromissione del pensiero che è già
determinato di fronte all'ispirazione. L'esperienza comune e inautentica non ha forza necessaria per
collocarsi in un cangiante orizzonte che non sia la mèta del “cielo del mondo”, intendendo con ciò un
diverso e nuovo orizzonte di autenticità. La “prima luce del mattino”, come scritto nella introduzione in
prosa alla lirica succitata, è quindi chiarore, è quindi la luce dell'essere, anche se

Noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli dei


e troppo presto per l'essere.

L'uomo non è pronto all'appello dell'essere, non possiede la fatica o meglio nemmeno l'impossibilità del
concetto dell'essere alla-mano, lo ri-pensa senza che ci sia una intro-duzione, e gli dei ( Götter), non
sappiamo se spiriti del bosco, o primitive divinità greche, o la dea filosofia intesa come scienza d ella
noein, sono perduti e l'uomo si ritrova senza trascendenza, non trasceso, in una forma di espressione che
è chiamata alla differenza:

Sono pochi coloro che, con sufficiente esperienza,


sanno distinguere l'oggetto di erudizione dalla cosa pensata,

tra ente ed essere, ontologicamente compresi e semplificati, e distinti, nel nozionismo e nel concetto
duramente conquistato dove il pensiero può sopportare sì una opposizione ma non l'avversione, infatti

allora più propizio sarebbe l'esercizio del pensiero

e ancora

Il coraggio di pensare discende


dall'urgente desiderio di essere,
allora fiorisce il linguaggio del destino

come l'irruenza di un fortunale che viene preannunciato dal cigolio della banderuola mossa e sbattuta
dal vento nei pressi di un rifugio alpino, probabilmente situato nella Foresta Nera tanto cara al filosofo
di Meßkirch. Riecheggiano sui versi germinali di Heidegger ben più esteticamente riuscite liriche, come
quella di Hölderlin, Patmos, dove si scorge la difficoltà di afferrare il dio (il senso dell'essere?), dove vi
è pericolo che accresce la salvezza dei “figli delle Alpi”, dove l'urgenza è la fedeltà al senso, dove il
cammino, o il periglioso navigare, porta a Patmos desiderando di farvi sosta vicino all'oscurità della
grotta, dimora splendida di naufragio e lacrime, l'isola che fu dimora anche del veggente Evangelista
che aveva seguìto il Figlio dell'Altissimo nel mistero della passione vegetale che tutto riconduce alla
zolla, alla terra, al grano e alla vite, e di poi al cielo da cui si origina la bufera dei signori del cielo che
odiano l'ipocrisia. Al verso 128 della prima stesura della lirica holderiniana vi è la presenza del termine
Geist, Spirito – erano gli anni di G.W.F. Hegel (1770-1831), compagno di studi del poeta allo Stift di
Tubinga – riferita alla voce che dal Cielo additava il “Semi-Dio” (intenzionale e meditata svista?) Gesù
come il Salvatore alla folla accorsa a farsi battezzare dal Precursore:

Poiché già lasciare


il volto degli amici cari
e andare lontano oltre i monti
da soli, dove due volte
riconosciuto, una sola voce
ebbe lo Spirito celeste;
anche in Hölderlin, il poeta-eroe del “canto tedesco”, ritorna il tema della patria mai disgiunto dalla
volontà di vedere il volto del Signore, e cosa mai è la patria per uno svevo se non la sua terra natia, dove
l'appeal, per così dire, neo-greco-classico mai fu sopito, fino allo Heidegger delle lezioni del '43 e dei
Quaderni neri? Anche William Blake associava la sua “Albione” (la mitologica Inghilterra) ai temi della
salvezza ultramondana.
Ritorna anche in Trakl in alcune sue liriche con variazioni morfosintattiche della radice del termine
Geist, la parola che a noi suona di primo acchito Spirito, ma dai molteplici significati resi bene nella
traduzione di Gino Zaccaria.
In Trakl risplendono due parole, appunto Spirito, ed Azzurro, in ogni loro declinazione. Da un lato la
sacrigénia indole fiammeggiante del cultore della poesia e dall'altro il contesto azzurro di cielo e
complessivamente bucolico e alpino che si apre alla scoperta dell'esperibile. Georg Trakl ha
rappresentato per la poesia germanofona quello che ha rappresentato Dino Campana per l'Italia: il
destino come progetto ascoso, reciso, dell'internamento psichiatrico, dopo l'espressività del lirismo più
accattivante e avvolgente. Heidegger fa del “dettato d'origine” di Georg Trakl una “puntualizzazione”
con gli strumenti dell'attento filologo e del pensoso filosofo estetico che si avvicina ad una opera d'arte.
Heidegger si propone di ponderare il punto ortivo, da dove sorge, il dettato d'origine del tragico Trakl
dove far convergere un punto non-spazio-temporale ma un luogo di punta accentrato in un unicum che
disdice la parola nel momento che (è) detta nelle singole poesie là dove vi è vero e intimo colloquio.
Come dirà Jacques Derrida sul buon gusto del commiato, ovvero che può divenire per chi rimane la fine
del suo mondo vissuto con il defunto, anche Heidegger si occupa di una struggente poesia dal titolo A
Uno trapassato presto, da cui isoliamo il seguente verso:

Anima cantò la morte, la verde destanziazione della carne.


Ed ecco il fruscio del bosco,
Il fervido lamento della fiera.
Sempre si udì, da torri crepuscolari, il suono delle azzurre campane della sera.

L'anima esala lo spirito in una verde e quindi vivida putrescenza incipiente del corpo come un fruscio
di una foglia in decomposizione nel bosco dove si sentono lamenti di animali lontani e che pare
partecipino al dolore della perdita, ma dove anche si sentono speranzose di cielo ed azzurre campane nei
rintocchi dell'alba. Perché presto questo trapasso?

L'ora venne in cui quello vide le ombre del sole purpureo,


le ombre della destanziazione in una trama di rami spogli...

I rami spogli rappresentano la caducità della vita che si destanzia, si differisce dal tempo alla
“purpurea dolcezza delle stelle”, un luogo ma un non-tempo che si inabissa nell'eternità che, nonostante
“il nero angelo”, non tolse “Un azzurro sorriso sul volto e [ma] stranamente rinchiuso, a crisalide”
dell'estinto, che si accoglie spesso “come un ospite” nella stanza del sacrigénio, dello spirito e
dell'indole fiammeggiante, il Geist che si stanzia nell'indole mite come in quella che si inquieta, ma ogni
uomo o donna ha in se la diadica indole sacrigéna. “Fummo miti compagni di gioco”, e la mente si
abbandona al ricordo del trapassato troppo presto, del trapassato che è Uno, uno tra i tanti e [ma!] unico
ed irripetibile, che si spegne nel primo mattino. E' tempo di un “fiore azzurro”, della “lacrima di fuoco
divenuta notte” e quindi placata in un cammino di intimo colloquio tra il superstite e il trapassato.
L'esilio ha un contratto col poetare e l'esilio è pure ingenuità, ma ferma e silente e quindi consapevole, e
dall'esilio che nasce l'aurora del lirismo. “Ma – scrive Heidegger – l'esilio non è affatto la desolazione
del decesso”.
L'esiliato è su di un sentiero che lo conduce alla salubrità dei suoi sacrigéni e fecondi anni, come
quando declina l'estate quando

Già si prepara
Per il viaggio la rondine nella casa
e il sole tramonta là nella collina;
Già la notte invita al viaggio con le stelle.
Ma è ora di dettare il punto ortivo del poeta e di colui che lo trasla, come Heidegger fa, o lo legge:

[…] Cuore,
Chìnati adesso, e ascolta con più dedizione
La quieta dormiente.

Come al Declino dell'estate necessita inneggiar in questo modo:

Al salubre tono dei suoi sacrigéni anni!

Bibliografia

- MARTIN HEIDEGGER, Che cos'è metafisica?, traduzione, note al testo e una postilla di Horst Künkler,
Arturo Martone, Giulio Fajo, prefazione di Hans Georg Gadamer, Tullio Pironti Editore, Napoli 1982

- IDEM, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, a cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano
2009

- IDEM, La questione della tecnica, traduzione e note di Gianni Vattimo, con un saggio di Federico
Sollazzo, goWare, Firenze 2017

- IDEM, Pensiero e poesia, introduzione, traduzione e commento di Armando Rigobello, Armando


Editore, Roma 2018

- FRIEDRICH HÖLDERLIN, Poesie scelte, traduzione di Susanna Mati, Feltrinelli, Milano 2010

- GEORG TRAKL, Liriche scelte, a cura di Pietro Tripodo, Salerno Editrice, Roma 1991

- IDEM, MARTIN HEIDEGGER, Il canto dell'esule, La parola nella poesia, a cura di Gino Zaccaria con Ivo
De Gennaro, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003

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