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DALLO STURM UND DRANG AL ROMANTICISMO

Tra il 1770 e il 1780 si produce in Germania un movimento di cultura torbido e impetuoso che,
dal titolo di un dramma di quel tempo, prende il nome di Sturm und Drang (Tempesta e
Assalto) ed ha un carattere filosofico soltanto implicito e mediato, come una ribellione contro
l’Illuminismo allora dominante. I prodromi letterari di tale movimento sono da ricercarsi nella
poesia di Klopstock e di Ossian, nei canti popolari, nella crescente ammirazione per il genio di
Shakespeare e nel corrispondente odio verso l’intellettualizzata tragedia francese di Corneille e
Voltaire.
Questi spontanei e sporadici impulsi acquistano forza e direzione più unitaria in seguito
all’irruzione di Rousseau nella cultura germanica. Qui la formula del “ritorno alla natura” è
presa in tutta la sua serietà, come una sorta di cultura dell’anticultura. Sono per la maggior
parte letterati quelli che reagiscono contro il costume letterario e che vagheggiano forme
primitive di vita, individualità umane potenti che rompono i vincoli delle leggi e delle
convenzioni, genialità creative che travolgono inveterate tradizioni.
I mezzi con cui tale movimento si esprime sono di preferenza il dramma e il romanzo, due
generi letterari che con maggiore aderenza mimetizzano la vita, dando quasi l’illusione di
ritrarla dal vero. I drammi giovanili di Schiller, i romanzi di Jacobi, il Werther e il faust di
Goethe, i drammi di Klinger sono le personificazioni più note dello spirito di ribellione che agita
lo Sturm e che mira a fondare un nuovo dominio della passione, della forza e dell’incorrotta
natura.

Non le regole generali o i precetti di una morale dottrinale possono guidare l’uomo, ma
soltanto il “cuore”, il sentimento e perfino la passione che, in ogni caso, è più vicina alla
natura, sentita ormai in modo vivo, come forza e come animazione infinita. Lo Sturm und
Drang rifiuta infatti la riduzione, operata dagli illuministi, della natura ad un insieme di
fenomeni ed eventi materiali meccanicisticamente connessi, cioè ridotti alle sole leggi della
causalità fisica. La Natura è ora considerata come un organismo vivente, animato, ed è sempre
ritratta nelle sue manifestazioni estreme.
Il poeta, immerso nella natura, può pervenire alla conoscenza di sè, poichè la sua identità è
naturale e non più morale o astratta. Si viene così sviluppando un altro grande tema del
movimento: l’opposizione individuo-società.

L’eroe Sturmer avverte un crescente fastidio per il buon senso e la moralità dell ‘aristocrazia
regnante: egli, per integrarsi ed essere tutt’uno con la natura, chiede la coincidenza tra l’uomo
sociale e l’uomo naturale. La legge, dunque, deve legittimare le pulsioni dell’Io.
La natura, per gli Sturmer, coincide con la Verità, mentre la civiltà è un sistema di false
strutture. Su questo presupposto essi pubblicano antichi poemi epici, studiano le civiltà
primitive, la poesia popolare, la tradizione, gli usi e i costumi dei paesi cronologicamente
lontani, laddove le identità dei popoli non erano ancora state contaminate dalla cultura. Di qui
una nuova concezione di estetica che respinge ogni forma d’arte che sia puro esercizio di
imitazione classicista o di elaborazione di tesi morali e filosofiche per affermare, invece, la
spontaneità e l’immediatezza della poesia. Hamann, nell’opera Crociate di un filologo (1762),
soprattutto nella parte che ha il titolo di Aesthetica in nuce, indica la necessità di un pieno
recupero della fantasia e della spontaneità caratteristiche delle culture primitive.

L’aspetto più innovativo dell’opera è il rovesciamento della concezione illuministica di


linguaggio, secondo la quale la percezione sensibile è antecedente al linguaggio. Per Hamann,
invece, il mondo esiste solo quando il linguaggio lo fa emergere: è dunque la parola che ordina
e struttura la realtà. Il linguaggio è espressione mondana del logos divino, del quale gli
avvenimenti della storia e i fenomeni della natura sono simboli. La poesia, più vicina a quei
simboli e al divino, ha il compito di ripetere il miracolo della Creazione.

Da una tale premessa, Hamann fa derivare la definizione di “genio” artistico: il genio è grande
per l’ignoranza delle leggi razionali, per la freschezza e purezza delle emozioni che,
traducendosi, in parole, avvicinano l’uomo a Dio, riportandolo a quella perfezione da cui aveva
tratto origine. Anche Herder, nell’opera Sull’origine della lingua (1772), sostiene l’origine
assolutamente naturale del linguaggio e ne propone la liberazione da ogni impostazione

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erudita. Egli infatti respinge tanto le ipotesi che considerano il linguaggio come una costruzione
grammaticale e sintattica perfetta e compiuta data come tale da Dio agli uomini, quanto
l’ipotesi opposta secondo la quale il linguaggio deriverebbe dall’imitazione dei suoni animali.
Muovendosi in un universo sonoro, l’uomo seleziona, tra i suoni che gli giungono dalle cose,
quelli che meglio servono a caratterizzarle e distinguerle;egli costituisce così anzitutto un
linguaggio mitologico dove tutto appare animato e personificato.. Successivamente, attraverso
lo sviluppo congiunto del linguaggio e della riflessione, l’uomo giunge a forme di espressione e
di pensiero più astratte e complesse, regolate non più dall’immaginazione, ma da leggi
grammaticali, logiche e sintattiche.
La ragione che caratterizza l’uomo non è dunque una facoltà isolata rispetto alla sensibilità e
all’immaginazione, ma è la capacità di organizzare in forme sempre più complesse e
significative di linguaggio le esperienze del genere umano. Proprio per questo, secondo Herder,
è insostenibile una critica della ragione tipo quella kantiana che si pone come esame di forme a
priori pure, giacché le forme logiche non sono altro che il modo in cui via via vengono
organizzati i contenuti linguistici.
Per lo stesso motivo il linguaggio non è qualcosa di arbitrario o di convenzionale, appunto
perchè esprime e realizza nel suo sviluppo l’uomo, la sua storia, i suoi legami con la natura e
con Dio. A questa critica delle concezioni astratte della ragione corrisponde pure una critica,
spesso assai violenta, contro le concezioni della storia che vogliono giudicarla secondo criteri
astratti di “progresso” stabiliti da una ragione di tipo scientifico e illuministico. Comprendere la
storia significa invece “trasferire” all’interno di ogni singola epoca, una sorta di “simpatia” che
consenta al filosofo della storia di comprendere ciò che ciascuna epoca ha realizzato in maniera
irripetibile e insostituibile per l’umanità.
Questo spiega perchè Herder non si limiti a rivalutare il mondo orientale e patriarcale descritto
dalla Bibbia, ma anche quel Medioevo tanto spesso condannato come epoca barbara e incivile.
Profondamente nuova rispetto a quella illuministica è anche la visione herderiana della storia:
come la natura è un organismo che si sviluppa e progredisce secondo un disegno finalistico,
così anche la storia è uno sviluppo dell’umanità che si dispiega esso pure secondo un disegno
finalistico. Nella prima, così come nella seconda, Dio opera e si rivela.
La storia, quindi, è necessariamente volta all’attuazione dei fini della Provvidenza di Dio,
dunque il progresso non è la semplice opera dell’uomo, ma l’opera di Dio che conduce
l’umanità alla pienezza della realizzazione. Herder, infine, alla concezione illuministica dello
stato contrappone l’idea di “popolo” considerato come vivente unità, quasi come un organismo.

Per quanto scomposto e immaturo, lo Sturm und Drang può essere considerato come un
preludio al Romanticismo e a tale proposito il De Ruggeiero nota: “... l’importanza dello Sturm
non è quella di un episodio isolato e circoscritto, bensì quella di un’espressione spirituale
collettiva di un intero popolo. Non soltanto i Klinger e i Lenz, ma anche gli Herder, gli Schiller, i
Goethe sono passati attraverso lo Sturm: i primi si sono attardati in esso e sono stati perciò
presto oltrepassati, gli altri invece sono riusciti a dar forma all’informe, ordine e disciplina al
contenuto caotico della propria natura ... Non è un modo figurato di dire che lo Sturm
rappresenta la giovinezza disordinata, e il Classicismo la composta e rasserenata maturità
dell’anima tedesca”.
Il De Ruggiero nomina il Classicismo, che ha agito da correttivo alla scompostezza e caoticità
degli Sturmer. In effetti, il Classicismo riveste una grande importanza nella formazione dello
spirito dell’epoca e si impone, a poco a poco, non solo come un antecedente, ma addirittura
come una componente dello stesso Romanticismo o, comunque, come uno dei poli dialettici di
esso. Il culto del classicismo non era certo stato estraneo al Settecento illuminista. Si trattava,
però, di un classicismo di maniera, ossia di un classicismo ripetitivo, privo di anima e di vita.
Già Johann Winckelmann, nei suoi scritti sull’arte antica pubblicati tra il 1755 e il 1767, gettava
le premesse per superare i limiti del Classicismo come mera ripetizione passiva dell’antico.
In realtà, una delle sue massime sembrerebbe di primo acchito affermare il contrario: “per noi
l’unica via per divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi”. Ma questa
“imitazione” che rende “inimitabili” consiste nel “riconquistare l’occhio degli antichi”,
quell’occhio che permise loro di attingere il “buon gusto alla sua sorgente” e di riscoprire la
“regola perfetta dell’arte”. Mentre il mondo della realtà quotidiana è caratterizzato dalle
passioni, dai contrasti e dalle disarmonie, il mondo dell’arte (e quella greca ne è una
dimostrazione) è caratterizzato dalla serenità, dall’imperturbabilità, dall’armonia.

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Ciò non significa che l’artista rifugga dal reale, ma egli solleva temi e stimoli offerti dalla realtà
su un piano di pura e pacata contemplazione. L’arte, perciò, non esclude la gioia e il dolore,
ma l’una e l’altro non sono mai rappresentati nella loro violenza, nelle loro manifestazioni
incontrollate, ma sono contenuti e dominati da un’interiore forza morale, sono decantati e
riscattati in una superiore armonia. La bellezza a cui il Winckelmann fa riferimento non può
essere identificata con nessuna delle cose dicui si abbia una concreta esperienza. É una
“bellezza ideale”, è un “prototipo della mente”.
In Germania la corrente neoclassica si afferma intorno al 1780 ed ha come centro di diffusione
Weimar, piccola capitale culturalmente molto vivace grazie all’attenzione per l’arte manifestata
dal sovrano, il duca Karl August, che seppe fare della propria corte un punto di incontro delle
maggiori personalità del tempo, quali Beethoven, Herder, Schiller e Goethe. Il movimento
vuole dapprima rintracciare nelle opere della classicità non tanto un universo di forme belle da
riprodurre in modo pedissequo, ma il manifestarsi della proposta di un’umanità armonica, di un
individuo ideale: un uomo che tenda all’unità psico-fisica, all’armonizzazione degli opposti e a
censurare tutto ciò che può portare disordine. personaggio positivo diviene in tal modo colui
che sa vincere il ricatto delle passioni, che non cade vittima del proprio genio solitario e della
propria superiorità intellettuale, mentre tema fondamentale della produzione neoclassica
diviene quello della natura fenomenica. Essa assume il ruolo di manifestazione dell’ordine e
dell’armonia che presiedono il cosmo e, contemporaneamente, diviene oggetto di
contemplazione per il poeta che in essa rintraccia un fondamento analogo all’ordine ideale a cui
l’uomo deve tendere.
Il neoclassicismo, dunque, aspira a mutare la natura in forma e la vita in arte, non ripetendo,
ma rinnovando ciò che fecero i Greci. Tra gli esiti che tale movimento ha prodotto, due sono di
particolare rilevanza:
- il tipo di influenza che il Classicismo ha avuto sui migliori rappresentanti dello Sturm, per i
quali costituisce il “limite”, la “misura”, “l’equilibrio”; proprio dall’impatto tra la tempestosità,
l’impetuosità dello Sturm e il limite che è l’elemento caratteristico della classicità, nascerà il
movimento propriamente romantico...
- l’influenza che il Classicismo ha avuto sulla filosofia: Schelling riprenderà concetti
fondamentali di Platone, quali la teoria delle idee e la concezione dell’anima del mondo; Hegel
comporrà un grandioso sistema proprio grazie alla riscoperta dell’antico senso della
“dialettica”, con l’aggiunta della novità dell’elemento che egli chiama “speculativo”.

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