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Esistenzialismo

Più che essere una filosofia dogmatica è un’atmosfera e un movimento culturale prima che un movimento filosofico. Non si chieda una
definizione dell’esistenzialismo: sarebbe del tutto contraddittorio voler definire l’essenza di una filosofia che nega le essenze. Collochiamo
storicamente le filosofie dell’esistenza: si sviluppa nel periodo tra le due guerre. Vale la pena ricordare a tal proposito alcune significative date:

 1919, anno in cui vengono pubblicati gli scritti di Karl Barth (Lettera ai Romani) e Jasper (Psicologia delle visioni del mondo);
 1927, anno in cui vengono pubblicato il Diario metafisico di Gabriel Marcel e l’opera Essere e tempo di Martin Heidegger;
 1932, anno in cui viene pubblicata la Filosofia in tre volumi di Karl Jaspers. In questi stessi anni spica la figura di Jean-Paul Sartre con
la sua produzione teatrale e narrativa (La nausea pubblicato nel 1938) e filosofica (Essere e nulla pubblicato nel 1943 e
L’esistenzialismo è un umanesimo pubblicato nel 1946).

SØREN KIERKEGAARD

Cenni biografici = Søren Kierkegaard nasce a Copenaghen nel 1813 in una agiata famiglia borghese. Educato ad una rigida etica protestante,
nel 1830 si iscrive alla facoltà di teologia, dove apprende i dettami della filosofia hegeliana. Nel 1840 si fidanza con Regina Olsen e subito dopo
porta a termine gli studi universitari. Nell’arco di pochi mesi rompe però il fidanzamento e si reca a Berlino dove rimarrà fino al 1842 per
continuare gli studi filosofici. In seguito, vivrà attraverso la rendita dell’eredità paterna dedicandosi ad un’attività letteraria. Durante gli anni
che seguono pubblicherà infatti una serie di opere sotto diversi pseudonimi. In questi anni, l’Europa è attraversata da grandi fermenti
rivoluzionari, come i moti del 1848, ma in una serie di scritti polemici, Kierkegaard intende rendere manifesta la sua posizione contraria a
questo tipo di fermenti. Allo stesso tempo, molti attacchi sono rivolti alla Chiesa luterana danese, che secondo Kierkegaard presenta un modello
di fede basato sull’apparenza esteriore e non su un vissuto interiore. Muore infine molto giovane nel 1855. La sua vita appare dunque nel
complesso povera di episodi particolarmente eclatanti, ma dal suo diario appaiono un’opera di introspezione e un’analisi di una vita
particolarmente sofferta, legata ad un senso molto intenso di concetti come il peccato, il senso del dovere e la necessità di isolamento dal
mondo.

La crisi della vita scandita in quattro sezioni, la prima concernente se stesso e poi tre rapporti:

a. con il padre = Il padre lo educa in una visione cristiana molto rigorosa e severa. Kierkegaard da un lato è grato al padre per questa
educazione impartitagli, dall’altro ha sofferto quest’eccessiva costruzione severa e rigida dell’educazione familiare.
b. con Regina Olsen = il rapporto con Regina Olsen, la sua fidanzata, è da interpretare come un suo inclinare a fare una scelta di tipo etico-
religioso; dopo aver iniziato questo percorso di fidanzamento lo rompe e Kierkegaard cerca di disamorarla, sebbene il rapporto tra i due
sarà continuativo per tutta la loro esistenza. Salto tra una vita etica e la sua vocazione più autentica: quella di diventare un cavaliere della
fede (difendere la radicalità della fede anche se non soprattutto criticando tutte le sue forme edulcorate, criticando quell’annacquamento
borghese che lui vedeva essere un tratto caratteristico della Chiesa del suo tempo).
c. con il vescovo Mynster

Che cosa Kierkegaard oppone a Hegel = Kierkegaard in gioventù ha letto Hegel per diventarne poi uno dei suoi più convinti avversari. Si
discute brevemente di seguito del nucleo del pensiero hegeliano e di contro di come Kierkegaard reagisca:

Se Hegel privilegia il riferimento all’essenza razionale, rispetto alla Kierkegaard valorizza invece l’esistenza, che sta fuori (“ex sistere”) dal
quale l’esistenza risulta presa in se stessa solo un caso particolare, concetto, non ne risulta determinata.
accidentalità

Hegel si occupa delle essenze, quindi dell’universale, il genere, Kierkegaard tematizza


“l’umanità”, con il conseguente misconoscimento del singolo, irreale
nella sua astrattezza* (separatezza) e comunque dissolto in un l’individuale, il “singolo” concreto**
processo impersonale, nella manifestazione dell’Idea, dello Spirito;
"solo nel genere umano l'individuo è più alto del genere"
lo stesso finire del finito per Hegel non è che un errore del pensiero
intellettuale, che astrae, separa

e non comprende che nel “finire del finito” finisce solo la sua finitezza
ed esso viene ricompreso come parte dell’assoluto, della totalità
** per Kierkegaard astratta è la nozione universale, e concreto il
singolo esistente (il τόδε τί (tode tì) = “questo qui”, la sostanza prima
*Se per Hegel astratto era il finito considerato a sé, separato, astratto
che Aristotele distingueva dalle sostanze seconde, appunto i generi e le
appunto (tractus ab) dal suo appartenere all’infinito, allo svolgimento
specie, rovesciando la posizione ontologico-gnoseologica del
della totalità concreta
platonismo, che dava il primato alle idee, i “modelli” di cui i singoli enti
erano “copie”)

Hegel concepisce il cristianesimo come “religione vera” perché ha Kierkegaard ritiene la filosofia di Hegel anticristiana perché ha
compreso Dio, (sia pure nelle forme immature delle rappresentazioni misconosciuto il fatto che il cristianesimo si rivolge a ciascun
religiose, destinate a essere superate dalla filosofia) come spirito e singolo uomo, con il suo rapporto personale e particolare con
come divenire storico (il logos che si fa carne, la dimensione trinitaria Dio, e chiama ad un possibile atto di fede che non si può
che Hegel riconduce alla razionalità del processo dialettico e della storia logicizzare (dimensione paradossale della fede) e resta un salto,
umana) un rischio

Per Hegel Dio è immanente, spirito assoluto che si realizza Kierkegaard ripristina "l'abisso immenso della differenza
dialetticamente nella storia (del mondo, dell’arte, della religione, della qualitativa tra uomo e Dio" Diario 1847, tra tempo ed eternità,
filosofia…) tra finito ed infinito; la trascendenza di Dio... cfr. K. Barth...

La necessità, legata alla stessa struttura razionale della realtà: “ciò che La possibilità, legata all’indeterminatezza dell’esistenza umana
è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”

La dialettica dell’et- et, della conciliazione logica degli opposti La dialettica dell’aut - aut, della alternativa esistenziale, di una scelta
irriducibile ad ogni mediazione logica

La filosofia deve perseguire la verità oggettiva, il necessario dispiegarsi La filosofia deve condurci a far esperienza della verità; una verità
dell’Assoluto inteso come uni-totalità (il “vero è l’intero”), soggetto (e soggettiva, non in senso banalmente relativistico, ma come adesione
non sostanza statica) in divenire (“la verità è il movimento della verità personale, impegno esistenziale
in se stessa”)

La filosofia è pertanto sapere sistematico della totalità: “Enciclopedia Rifiuto della filosofia come sistema scientifico: alcuni titoli sono ironici
delle scienze filosofiche in compendio” 1817 rispetto alle pretese hegeliane: Briciole filosofiche, Postilla conclusiva
non scientifica; rivendicato piuttosto il suo carattere personale: il
Diario…; la scelta di pubblicare molti dei suoi scritti sotto pseudonimi…

Dalle suggestioni fin qui delineate, emerge come il pensiero di Kierkegaard si presenti anzitutto come opposto a quello hegeliano, che nel
primo Ottocento rappresenta la corrente filosofica dominante. L’anti-hegelismo di Kierkegaard si manifesta nella critica ai pilastri stessi del
sistema del filosofo tedesco, in particolare:

 Collettività = Kierkegaard critica l’accento che Hegel pone sulle collettività, incentrando invece la sua riflessione sulla centralità del
singolo;
 Storia = La visione logica della Storia di Hegel, secondo cui il razionale è reale, viene smontata alla base da Kierkegaard. La razionalità della
Storia è infatti centrata sulla necessità degli eventi, ed esclude l’orizzonte delle possibilità, che è invece un elemento portante del
pensiero di Kierkegaard;
 Movimento dialettico = Altro elemento oggetto della critica del filosofo danese è il movimento dialettico della Storia teorizzato da Hegel,
quel movimento che conduce a conciliare gli opposti nella sintesi. Questa posizione è rifiutata da Kierkegaard, il quale sostiene piuttosto
che l’angoscia e la disperazione dell’uomo nascono proprio dall’inconciliabilità delle diverse possibilità che gli si aprono davanti
(dall’impossibilità dunque di ricucire questa scissione). Alla dialettica dell’et-et hegeliana (per cui si hanno rispettivamente: posizione,
negazione, superamento) si contrappone la dialettica dell’aut-aut hegeliana.

Premessa del pensiero kierkegaardiano e critiche all’idealismo hegeliano = Il percorso filosofico che Kierkegaard percorre ha inizio con un
confronto molto serrato con l’idealismo hegeliano (filosofia che dava un grande pesa al tutto, che più vale delle singole parti che lo pongono;
l’unità è dunque sempre superiore alla parte, che ha significato proprio in quanto porzione di un qualche cosa di più grande, l’intiero).
Kierkegaard rifiuta questa impostazione, ritenendo che un’impostazione di questo genere dia rilevanza ad una filosofia estremamente astratta
e poco adatta a rispondere ai problemi dell’uomo. L’uomo singolo affronta la vita sempre e solo da uomo singolo, almeno in prima istanza (e
dunque il generale eventualmente giunge dopo il particolare, e non prima). L’errore dell’idealismo, secondo Kierkegaard è aver sempre
ragionato nei termini del tutto e non mai del singolo. La vita del singolo, nota Kierkegaard, è contrassegnata da qualche cosa che gli idealisti
hanno sempre trascurato: scelte e possibilità. Ciascun individuo si trova infatti quotidianamente dinanzi ad uno spettro di possibilità piuttosto
ampio che costringe il singolo a compiere delle scelte. Ogni possibilità implica infatti anche una scelta, ed ogni scelta implica anche paura; ogni
scelta responsabilizza chi la compie, scegliendo una strada da percorrere conseguentemente si annullano infatti tutte le altre. Queste scelte
spesso sono angoscianti e spesso anche paralizzanti: consci del fatto che intraprendere una strada significa annullare le altre, non si sceglie, e si
rimane inermi (segno che la scelta non è mai certa, lascia sempre perplessi sull’esito). L’uomo davanti ad una scelta può agire in alcuni
determinati modi. Kierkegaard ne individua tre principali: vita estetica, vita etica e vita religiosa. Di questi tre diversi tipi di vita, i primi due non
sono soddisfacenti, non riescono cioè ad eliminare autenticamente l’angoscia e la disperazione. Solo la vita religiosa è in grado di fare il salto.
Importante sottolineare come quella che Kierkegaard presenta non sia una triade dialettica: il filoso danese non propone un percorso da
compiere, ma tra uno stadio e l’altro esiste un vero e proprio salto, i tre stadi sono agli antipodi.

La dottrina dei cosiddetti stadi della vita = Ciascuno di noi è un singolo il quale deve scegliere la sua esistenza confrontandosi con diverse
possibilità. Nello scritto Stadi nel cammino della vita, Kierkegaard individua tre diversi stadi, che rispettivamente sono: lo stadio estetico, quello
etico, quello religioso. Tutte le nostre vite si giocano in questi tre stadi. Il fatto che gli stadi siano tre non faccia pensare a uno sviluppo
dialettico alla stregua di come questo era inteso da Hegel (in definitiva, o si predilige uno stadio o se ne predilige un altro; tutt’al più vi può
essere un salto da uno stadio a un altro). In estrema sintesi: il tema di fondo della filosofia di Kierkegaard è quello del concetto di possibilità:
l’uomo in quanto tale, nella sua esistenza, si trova di fronte a possibilità e dunque a scelte da compiere. A partire da questa premessa,
Kierkegaard distingue tre stadi esistenziali, ovvero tre modi diversi di vivere la vita (tre modi tra loro diversi e soprattutto non conciliabili):

1. Il primo stadio è quello della vita estetica , ovvero il vivere pensando che la vita sia un succedere di atti irripetibili che vanno colti e vissuti
nella massima intensità. Lo stadio estetico è dunque la ricerca del piacere costante, figura simbolica di questa esistenza è quella del
mozartiano Don Giovanni, l’ideale del seduttore. L’esteta è totalmente consegnato allo stato d’animo; egli coglie e gode solo dell’attimo
presente, è la personificazione dell’oraziano carpe diem. Don Giovanni realizza una vita fondata sull’appagamento del desiderio, ma la sua
esistenza finisce per essere caratterizzata dalla noia, in quanto conquistata una donna subentra subito l’insoddisfazione, e la ricerca di un
nuovo piacere, in una routine costante. La noia si traduce così in disperazione (che è l’esito ultimo della vita estetica, ovvero di una vita
che si realizza in una dimensione non morale, centrata sul disimpegno e che rende l’esistenza priva di senso). Alla figura del seduttore
molte sono le opere che Kierkegaard dedica: In vino veritas e Diario di un seduttore ne sono solo due esempi.
2. Contrapposta alla vita estetica c’è la vita etica , e dunque il secondo stadio dell’esistenza. Qui emerge una situazione esistenziale fondata
sulla stabilità e sulla continuità. Figura simbolica di questo stadio è l’assessore Guglielmo, ovvero colui che si sottomette al dovere e
compie ogni giorno una scelta di fedeltà, innanzitutto a se stesso, mantenendosi stabile nell’impegno matrimoniale (egli è marito fedele) e
nel lavoro per provvedere alla famiglia. Chi sceglie la vita etica non si disperde nella molteplicità delle maschere, destino riservato a chi
predilige la vita estetica (della quale, in definitiva, non si può nemmeno dire che sia una vera e propria scelta; scrive in modo
esemplificativo a questo proposito Kierkegaard in Aut-Aut: “Una scelta estetica non è una scelta. Scegliere è soprattutto una espressione
rigorosa ed effettiva dell'etica. Sempre, quando nel senso più rigido si parla di un aut-aut, si può esser certi che è in gioco anche l'etica.
L'unico aut-aut assoluto che esista è la scelta tra il bene ed il male, ma anche questo è assolutamente etico. La scelta estetica o è
completamente spontanea, e perciò non è una scelta, o si sperde nella molteplicità. Così quando una giovanetta segue la scelta del suo
cuore, questa scelta, per quanto bella possa essere, in senso rigoroso non è una scelta, perché è completamente spontanea”). La vita
etica è dunque una vita centrata sull’assunzione di responsabilità. Differentemente dall’esteta, il quale vive nello stadio etico non cede al
presente dello stato d’animo poiché egli sa essere fedele al passato e ha una progettualità per il futuro. La vita di un’esteta è quello di uno
spettatore che guarda se stesso vivere, mentre l’uomo etico vuole soprattutto realizzare la sua personalità. Questa vita non conduce però
alla felicità e alla serenità: l’uomo vive in ogni caso nella dimensione del peccato, che rende impossibile l’equilibrio fra la serenità della
famiglia e una vita pienamente virtuosa. Per questo, la cifra esistenziale della vita etica è la stessa del pentimento. La dimensione del
pentimento permette però di passare dalla vita etica al terzo stadio dell’esistenza. Lo stadio etico, giunto alla coscienza del proprio limite
(ovverosia l’impossibilità di essere veramente come si vorrebbe), offre il salto verso la vita religiosa.
3. Vita religiosa. Il tema di questo terzo possibile stadio della vita è sviscerato da Kierkegaard all’interno in Timore e Tremore. Qui
Kierkegaard presenta la scelta religiosa presentando la figura di Abramo. Abramo è colui che per fede in Dio prende la decisione di
uccidere il figlio, Isacco, ponendosi così al di là dell’umana morale, del buon senso comune, per una totale adesione a Dio. Attraverso
Abramo, Kierkegaard presenta la vita religiosa non come un aspetto esteriore o formale (ovvero come la maggior parte delle persone vive
la religione secondo il filosofo). Per Kierkegaard, la vita religiosa è infatti scandalosa: pone il singolo fuori dalla comunità, lo getta nella
solitudine perché la sua scelta deve compiersi in isolamento, fuori dalle regole comuni. Questa solitudine deriva dalla radicalità stessa
della fede, che pone di fronte ad un bivio, quello di credere o non credere, senza dare un appiglio razionale alla fede. Allo stesso tempo
però, la vita religiosa è quella che può risolvere il problema umano della scelta: rifugiarsi in un Dio significa infatti rifugiarsi nell’assoluto.
Alla luce delle suggestioni fin qui delineate, emerge come la fede sia un rapporto assoluto e personale con Dio. Questo rapporto va oltre
l’etica, la quale viene sospesa di fronte alle richieste di Dio. La fede è un paradosso poiché il singolo è chiamato a una scelta che non passa
al vaglio della comune legge morale. Il sacrificio di Isacco richiesto ad Abramo è paragonato da Kierkegaard all’episodio del sacrificio di
Ifigenia compiuto da Agamennone. La differenza tra i due episodi è però radicale: se l’eroe tragico rimane ancora nei confini della morale,
Abramo invece ha varcato i confini di tutta la sfera morale (il suo fine è più in alto, al di sopra dell’etica). Abramo non agisce per salvare un
popolo (questo il motivo che spinge Agamennone ad agire), né per salvare l’idea di uno Stato, né per placare gli dei irati; egli agisce per
soddisfare una richiesta divina. La differenza si riflette sul diverso rapporto con la divinità che coinvolge e Agamennone e Abramo: l’eroe
tragico non entra in relazione privata con la divinità, per lui la morale è il divino; Abramo si rifiuta invece alla mediazione che è
espressione del generale e rinnega se stesso sacrificandosi al dovere, rinunciando così al finito per afferrare l’infinito.
a. La dimensione del tempo in Kierkegaard: fede intima e nell’istante = Adamo viveva inizialmente in un non-tempo (il Giardino
dell’Eden), ma dopo aver compiuto la scelta egli comincia a vivere nella temporalità. Dio, dice Kierkegaard, si vive nell’istante.
L’incontro con Dio è sempre un incontro momentaneo e interiore. Non è nella prospettiva futura che si può incontrare Dio (non c’è
dunque una strada che conduce a Dio da percorrere; in tal senso Kierkegaard manifesta una voce di dissenso nei confronti
dell’hegelismo, secondo cui l’Assoluto si mostra nel mondo tramite un percorso).
b. La fede come paradosso = La fede (che per Kierkegaard è fede cristiana) è la risposta più adeguata davanti all’idealismo (infatti, al
singolo esautorato dall’hegelismo, divenuto ormai solo parte del tutto, Kierkegaard preferisce recuperare la trascendenza che è
propria di Dio). Dio è paradosso e scandalo (non risponde cioè alle regole umane, non si adegua ai criteri e alle morali razionali
umane). Ci sono delle evidenti collisioni tra la personale umana visione morale e quelle che sono invece le richieste di Dio. Questo
concetto è sufficientemente ben esemplificato dal rapporto di Abramo con il figlio Isacco. Sotto il più immediato profilo etico, la
storia dei due sottolinea come semplicemente il padre debba amare il figlio più di se stesso. La richiesta che però Dio fa ad Abramo
(la richiesta cioè di uccidere il figlio Isacco) va oltre l’etica che impone ad Abramo di vivere e di difendere Isacco contro ogni male. Si
va dunque prepotentemente al di là dell’umana etica, etica che non può aiutare l’uomo a comprendere le richieste di Dio. Fu una
cosa che Abramo lasciò, la sua ragione terrestre, e un’altra ne prese: la fede. Come la scelta religiosa non segue ragione, allo stesso
modo la fede è da questo punto di vista paradossale.

A partire da questi temi, è possibile estendere il discorso ed individuare i concetti chiave del pensiero di Kierkegaard:

 Individuo = Il primo è la riflessione sull’individuo come un singolo, sull’unicità della sua esistenza, sul suo trovarsi da solo di fronte ai suoi
problemi esistenziali. Problemi che, secondo Kierkegaard, riguardano soprattutto la dimensione del peccato in cui l’uomo inesorabilmente
vive, una dimensione con cui ogni individuo deve confrontarsi in maniera solitaria. Per questo, al tema del singolo, vi è contrapposto
quello della moltitudine, della folla. La massa annulla il singolo e la sua unicità e quindi rende impossibile all’individuo confrontarsi con le
sue tematiche esistenziali. Lo sfondo storico in cui si svolge la riflessione di Kierkegaard è d’altronde quello dell’avanzare della società
industriale, dell’avanzare della società di massa; un contesto storico che Kierkegaard stigmatizza e critica duramente. Uno dei temi
ricorrenti nell’esistenzialismo è l’opposizione forte tra il singolo e la folla.
 Angoscia = Secondo concetto, è quello relativo alla riflessione sull’angoscia come elemento che caratterizza la situazione esistenziale
dell’uomo. L’angoscia deriva dal problema delle possibilità, in particolare dal fatto che di fronte all’uomo c’è la possibilità del peccato.
Esemplificativa per Kierkegaard è la figura di Adamo, che vive in una possibile situazione di innocenza, ma la sua libertà lo spinge al
peccato. Mentre l’angoscia riguarda la sfera dell’individuo in relazione al mondo, vi è poi la sfera che riguarda l’individuo in relazione a se
stesso, e che secondo Kierkegaard è dominata dal sentimento della disperazione, ed ecco il terzo concetto. A incarnare la dimensione
dell’angoscia è la figura di Adamo (che è al contempo individuo e rappresentante dell’intera umana stirpe). Nel 1844 Kierkegaard pubblica
Il concetto dell’angoscia.
 Disperazione = L’individuo è difronte ad un bivio inesorabile: se non riesce ad accettare la condizione di finitezza della sua esistenza, si
pone sempre alla ricerca d’altro (cf. il seduttore Don Giovanni), ma questa ricerca è un’evasione dal reale, una fuga da se stessi. Se invece
accetta la condizione di finitezza (cf. l’assessore Guglielmo), si chiude in se stesso, rinuncia alle possibilità che l’esistenza gli offre e diventa
soltanto un essere che si adegua a copiare la vita della massa. La disperazione è dunque il sentimento che deriva da questa situazione
paradossale, e che secondo Kierkegaard costituisce una malattia mortale per l’uomo, nel senso che provoca una vita che è una sorta di
morire eternamente a causa del dolore che essa produce. Nel 1849 Kierkegaard pubblica La malattia mortale.
 Fede = Infine, si arriva al quarto tema, quello della fede, che costituisce l’occasione di uscita dalla malattia mortale. Riprendendo le
riflessioni di Blaise Pascal, Kierkegaard sostiene che occorre scommettere sull’esistenza di Dio per arrivare ad una dimensione autentica in
cui l’individuo va al di là della sua finitezza per gettarsi nell’infinito.

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