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KIERKEGAARD

1. LE VICENDE BIOGRAFICHE E LE OPERE


Kierkegaard nacque in Danimarca, a Copenhagen, il 5 maggio 1813. Educato dal padre
nel clima di una severa religiosità, si iscrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen, presso
la quale dominava l'ispirazione hegeliana. Nel 1840, circa dieci anni dopo il suo ingresso in
università, si laureò con una dissertazione Sul concetto dell'ironia con particolare riguardo
a Socrate, che pubblicò l'anno seguente. Ma non intraprese la carriera di pastore alla
quale la sua laurea lo abilitava.
Nel 1841-1842 fu a Berlino e ascoltò le lezioni di Schelling, che v'insegnava la propria
filosofia, fondata sulla distinzione radicale tra realtà e ragione. Dapprima entusiasta del
pensiero di Schelling, Kierkegaard ne fu presto deluso. Dopo di allora, visse a
Copenhagen grazie a un capitale lasciatogli dal padre, assorto nella composizione dei suoi
libri.
Morì 1'11 novembre 1855.
Scrisse:
-Aut-aut, di cui fa parte il Diario di un seduttore (1843);
-Timore e tremore;
Queste 3 opere sono importanti perché condizioneranno tutta la filosofia
contemporanea.
Tutti i filosofi si rifaranno a queste opere.

-Briciole di filosofia;
-Il concetto dell’angoscia;
-Postilla conclusiva non scientifica;
-La malattia mortale.

L'opera di Kierkegaard non è solo polemica contro l'idealismo romantico, molti suoi temi si
pongono in contrasto con esso:
- difende la singolarità dell'uomo contro l'universalità dello Spirito,
- rivaluta l'esistenza concreta contro la ragione astratta,
- la libertà come possibilità contro la libertà come necessaria
2. L’ESISTENZA COME POSSIBILITÀ E FEDE

CARATTERISTICHE DEL PENSIERO DI KIERKEGAARD


1)La prima caratteristica del pensiero filosofico di Kierkegaard è quella di concepire l’esistenza
umana come un insieme di possibilità che pongono l’uomo di fronte ad una scelta. Il dramma
umano è fare delle scelte, essere indecisi.
Il carattere paralizzante e negativo della possibilità è dato dal fatto che l’uomo, avendo la
possibilità di scegliere, la direzione in cui andare, ne deve scegliere una senza sapere però, se questa
è giusta o sbagliata. Qualunque possibilità, oltre che “possibilità-che-sì”, è sempre anche
“possibilità-che-non”, ovvero che ciò che è possibile e ciò che non è possibile: ogni
possibilità implica la minaccia del nulla.
Quindi la possibilità , imponendo una scelta e implicando un rischio, provocano
nell’individuo uno stato perenne di indecisione e di angoscia.
Egli stesso incarna il “discepolo dell’angoscia" che sente gravare su di sé il peso di
queste scelte possibili. Infatti doveva sposarsi, ma decise di non farlo scegliendo così la
possibilità del NON, rispetto alla possibilità del SI. L’essere umano ha una possibilità, ma
ha anche una non possibilità:
ciò determina una condizione di indecisione di PARALISI ( concetto che sarà
interpretato in Italia da Italo Svevo e in Inghilterra da James Joyce. Infatti nell’Ulisse
di Joyce, notiamo che sono aboliti i segni di punteggiatura, tantissimi concetti, un
marasma, tante possibilità che vengono valutate tutte insieme. – esco di casa, piove, mi
bagno, la gente urla, cammino ecc) e quindi di angoscia.
Quindi l’essere umano è angosciato rispetto alla propria natura e alla propria esistenza.
Con K. Nasce un nuovo orientamento filosofico. Non abbiamo più l’IDEALISMO ,non c’è
più una sicurezza per l’essere umano, infatti K. Viene considerato il fondatore
dell’ESISTENZIALISMO, filosofia rivolta allo studio dell’esistenza umana.
Il “punto zero” è l'indecisione permanente, l'equilibrio instabile tra le opposte
alternative che si aprono di fronte a ogni possibilità. L’uomo è tendenzialmente
INSTABILE e INDECISO, può andare in un verso, in una direzione o in un’altra. IL
CENTRO DEL SUO IO E’ NON AVERE UN CENTRO. Esempio il paradosso dell’ “ASINO
DI BURIDANO” secondo il quale un asino, trovatosi di fronte a due mucchi : uno di fieno e l’altro
di avena, non riuscendo ad indirizzare la sua scelta verso l'uno o verso l'altro, si lasciò morire di
fame.
Il punto zero coincide con il “forse” con la “possibilità”.
L’essere umano crea il punto ZERO: l’uomo può evolversi in un modo o in un altro, non c’è
una sicurezza ma c’è una possibilità e c’è anche una NON possibilità. Nel mezzo tra
possibilità e non possibilità c’è l’angoscia che è una paralisi. Praticamente secondo K.
l’uomo si trova al PUNTO ZERO e deve decidere deve fare una scelta. L’uomo qualsiasi
cosa fa si trova sempre al punto Zero cioè a dover fare sempre una scelta. Ogni giorno
l’essere umano si trova a dover effettuare delle scelte(es. fare la guerra o la pace? Ecc. e
qualsiasi cosa sceglie, si rede conto di aver fatto una scelta che comunque gli condiziona
l’ esistenza )

2) Atteggiamento contemplativo.
Kierkegaard cerca di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all'uomo, cioè quei
momenti, quegli stadi della vita dove l’uomo è indotto a scegliere → Quella del filosofo è
dunque una attività contemplativa → osserva senza intervenire . Non a caso si crede
poeta e moltiplica la propria personalità con vari pseudonimi, proprio per accentuare il
distacco tra se
stesso e ciò che andava descrivendo.

3)Tema della fede → cristianesimo, unica religione in cui Kierkegaard intravede un'ancora
di salvezza.

3. LA CRITICA ALL'HEGELISMO
La filosofia di Hegel sembra essere opposta al pensiero di Kierkegaard.
- In Hegel era importante il Tutto in cui le parti si riconoscevano, per Kierkegaard è il contrario
poiché egli esalta ogni singolo elemento, esalta la singolarità dell’individuo, esempio: se dovesse
morire un individuo, non ce ne sarà mai un altro uguale, ogni individuo è irripetibile.
E’ il singolo che si trova difronte ad una scelta , che genera sempre angoscia perché noi non
sappiamo come andrà a finire, cosa sarà
Kierkegaard critica Hegel per aver trasformato il genere dell'uomo in un genere animale
poiché negli animali il genere è superiore al singolo, mentre nel genere umano il singolo è
superiore al genere.
Mentre per Hegel la verità è oggettiva, per Kierkegaard la verità non è
oggettiva, ma egli dice che la verità è tale solo quando è una verità per me,
solo quando l'uomo se ne appropria → l'appropriazione della verità è la verità. E’ una
riflessione soggettiva opposta a quella oggettiva di Hegel.
La chiave del pensiero di K è che il SOGGETTO è PIU’ IMPORTANTE
DELL’OGGETTO. Il soggetto non si disperde nell’oggetto, nella storia.
Praticamente Hegel dicendo che “tutto ciò che è reale è razionale”, si pone in maniera
opposta a K, perché se noi diciamo che tutta la ragione tende a farsi, a realizzarsi nella
realtà, tendiamo a non considerare la singolarità. Invece con K. è la persona umana,
l’individuo che sceglie, che decide anche se la sua decisione è difficile e genera angoscia.
Fa scrivere sulla sua tomba non il suo nome ma solo “quel
singolo”: è contro il panteismo idealistico, cioè la pretesa di identificare l'uomo e Dio →
sostenendo che c'è un’ infinita differenza qualitativa tra l'infinito e il finito.

ERRORE LOGICO ED ETICO DELL'IDEALISMO


L'idealismo di Hegel abolisce l'individuo privandolo della capacità di pensare, perché
quando l’uomo pesa smarrisce la propria identità e diventa egli stesso assoluto, perde
dunque man mano la propria singolarità.
Quindi mentre in Hegel viene meno il soggetto pensante, abolisce l’individuo, per K.
tutto questo è inaccettabile sia per ragioni logiche, che per ragioni etiche.
PER RAGIONI LOGICHE :
possiamo fare riferimento e dire che si applica il principio del “rasoio di OCKHAM =
OCCAM (Occam frate e filosofo) secondo cui “ETIAM NON SUNT MULTIPLICANDA
PRAETER NECESSITATEM”= “Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario”
nel senso che non bisogna arrivare ad identificarsi totalmente con l’assoluto altrimenti
viene meno la singolarità ed abbiamo la scomparsa del soggetto pensante.
PER RAGIONI ETICHE perché:
quella di Hegel può essere considerata anche una posizione anti-cristiana perché
con l’idealismo non viene considerato il singolo soggetto, ma l’Assoluto infatti per
Fitche Dio=Infinito.
Invece l’IO, l’individualità esiste dal punto di vista cristiano.
Secondo il cristianesimo ognuno di noi è stato INDIVIDUALMENTE pensato e voluto
da DIO prima di essere generato.
K. infatti ritiene che attraverso l’ individualità si realizza un'esperienza esistenziale e
religiosa irripetibile.
Quindi
con K. invece abbiamo una rivalutazione dell’individuo e delle sue scelte che sono influenzate da
fattori economici , politici e storici.
Per K. la storia non nega l’individualità. Quando parliamo di storia generalmente parliamo
dell’umanità, Per K. la storia non nega l’individualità ma questo non significa annullare le
singole individualità, perchè la storia si forma attraverso le singole scelte. Quindi per K. la
storia serve per sistemare le NARRAZIONI individuali in una NARRAZIONE universale.

Per Kierkegaard quando l’uomo si trova dinanzi ad una scelta è un dramma. La scelta è un “aut
aut” ovvero, se scelgo una cosa, vuol dire che devo rinunciare ad un’altra. Non esiste una via di
mezzo, ne consegue che l’IO di K. è lacerato
In questo senso la dialettica di K. è qualitativa perché non si risolve in pensieri astratti ma si
risolve nella concretezza della vita.
( mentre in Hegel abbiamo trovato et-et , in K abbiamo aut -aut ).
L’IO di K. è lacerato
L’IO di Fichte è infinito.

Le SCELTE DI NON SCELIERE di K , rinunciò ai due più


importanti progetti della sua vita :
- il matrimonio con Regina Olsen, dopo vari anni la incontrerà ad un
congresso, con la quale non riuscirà neanche a scambiare una parola
- la professione di pastore luterano , pur essendo laureato in teologia
4. GLI STADI DELL'ESISTENZA
LA VITA ESTETICA E LA VITA ETICA

K individua 3 stadi dell’esistenza, ossia 3 fondamentali modi di vivere:


- Stadio estetico
- Stadio etico
- Stadio religioso
Lo stadio estetico e lo stadio etico sono descritte nell’opera AUT AUT, come alternative
(o…o) assolutamente inconciliabili
La vita estetica attiene all’apparenza, al piacere ;
la vita morale attiene al comportamento, alle regole.
Quindi piacere o regole? Vita estetica o vita morale?
Ci troviamo difronte ad un AUT AUT. Tra le due vite alternative , non c'è uno sviluppo,
ma un abisso, un salto, due vite a sé, dove l’una esclude l’altra.
La vita estetica
Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell’attimo, fuggevolissimo e irripetibile.
L’uomo rifiutando ogni vincolo e impegno, cerca l’attimo, la novità, l’avventura.
L’esteta vive costruendo per se stesso un mondo, dal quale esclude tutto ciò che è banale,
insignificante e vive in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale. La vita estetica
non tollera la ripetizione, che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare, ma
l’esteta vive l’attimo per l’attimo.
Il simbolo dell’esteta è Johannes personaggio centrale del “Diario di un seduttore” (opera
di K.) ispirato al protagonista del Don Giovanni di Mozart.
Don Giovanni è un seduttore, il quale sa trarre godimento dalla scelta dei piaceri più
intensi e appaganti. Tuttavia la vita estetica conduce alla noia ( perché il piacere, come
aveva già sostenuto Schopenauer, se fosse ripetuto continuamente, perderebbe senso) e
in ultimo alla disperazione ( disperazione perché non c’è più il piacere che dura un attimo).
Quando don Giovanni capisce che la ricerca continua del piacere non è altro che una sua
incapacità a costruire una relazione stabile, allora passa alla disperazione. Chiunque viva
esteticamente è infatti disperato. Don Giovanni è incapace di trovare quell’infinità di
piacere , perché il piacere è un’illusione (è la “favola bella” che illude come lo ha definito
D’Annunzio nella “Pioggia nel Pineto”). Però dalla disperazione nasce la scelta.
Invece
la vita etica, implica una stabilità e una continuità che la vita estetica esclude.
Lo stadio etico è il dominio della affermazione di sé, del dovere e della fedeltà a se stessi,
ovvero il dominio della libertà.
La vita etica è rappresentata dalla figura del marito: il matrimonio infatti è
espressione dell’eticità. La persona etica vive del proprio lavoro che porta avanti con
piacere, visto che lo mette in relazione con altre persone.
La caratteristica della vita etica è costituita dalla scelta di lealtà che l’uomo fa. E’ la scelta
di vivere insieme, è la scelta di vivere una felicità o un dolore, mentre la vita estetica è uno
stadio falso dell’essere umano.
Un eterno stadio estetico è una condanna, perché è uno stadio superficiale.
Es. Oscar Wilde nel “Ritratto di Dorian Gray”, il protagonista non riesce ad avere una
relazione, l’unica relazione che riesce ad avere è con il Diavolo. Invece il matrimonio
rappresenta uno stadio di lealtà, uno stadio etico.
Praticamente, a prescindere dal matrimonio, K. vuole evidenziare che la vera relazione tra
esseri umani è una relazione unica, di scelta ed anche di sacrificio.
( le due figure che si oppongono sono: il Don Giovanni e il marito fedele)

LA VITA RELIGIOSA
K. ,così come poneva un abisso tra lo stato estetico e lo stato etico, allo stesso modo pone
un abisso tra lo stato etico e lo stato religioso, non c’è continuità tra la vita etica e quella
religiosa. Aspetti del suo pensiero contenuti nella sua
Opera “TIMORE e TREMORE”.
Nello stadio religioso l’individuo riconosce la piccolezza e l’incompletezza del proprio
essere, comprendendo che per salvarsi è necessario riconoscere la propria colpevolezza
attraverso il pentimento ed abbandonarsi completamente a Dio.
Solo così è possibile vincere la disperazione: accettando la propria “nullità” e affidandosi
totalmente alla fede.
Lo scandalo della religione viene evidenziato da K. ,rifacendosi al personaggio biblico di
Abramo*, che spinto dalla legge divina, riceve da Dio l’ordine di uccidere il proprio figlio.
Abramo obbedisce alla legge divina, ma va contro la legge morale, etica. Il sacrificio è
suggerito ad Abramo da un comando divino, che contrasta con la legge morale.
Infatti secondo Kierkegaard l’affermazione del principio religioso sospende l’azione del
principio morale. Tra i due principi, quello morale e quello religioso, non c’è possibilità di
conciliazione. L’uomo deve scegliere di seguire i comandi divini anche a costo di
infrangere le norme morali, rompendo i rapporti con tutti gli altri uomini.
Da qui , oltre allo scandalo, il paradosso della vita religiosa:
nel momento in cui un uomo crede, nello stesso tempo prova paura, angoscia perché si
trova sempre ad un bivio, si trova sempre difronte ad una scelta: credere o non credere?
La vita religiosa è quindi imprigionata in una contraddizione inesplicabile: da una parte
deve scegliere, dall’altra deve credere in maniera assoluta ai precetti di Dio, quindi da
tutto ciò deriva il carattere incerto della vita religiosa, e la fede
diventa una certezza angosciosa.
Kierkegaard si accorge che la sua idea di cristianesimo è molto lontana da quella delle
religioni ufficiali, difatti polemizza contro il cristianesimo della Chiesa danese . K era un
CALVINISTA
*(storia di Abramo dell’antico testamento: nella Bibbia, Abramo fu il primo dei patriarchi e capostipite del popolo
ebreo e di quello arabo. Nel racconto biblico (Genesi 11-25) Dio strinse un patto con A. promettendogli dalla moglie
Sara un figlio, Isacco, e un'innumerevole discendenza, come le stelle del firmamento ; ma dato che Sara non poteva
avere figli, perché aveva 90 anni, ebbe dalla sua serva Agar un figlio da lei che fu chiamato Ismaele. Ma poco dopo
dalla moglie legittima Sara nacque un figlio chiamato Isacco. Dio però punisce Abramo perché non ha avuto fede nelle
sue parole ed ordina di cacciare Ismaele e Agar , che vengono abbandonate nel deserto – da loro ebbe origine la civiltà
mussulmana-, inoltre Dio volle metterlo alla prova e gli impose di sacrificare il figlio Isacco: A. obbedì, ma al momento
di immolare Isacco fu fermato da un angelo. Nella tradizione religiosa, A. è l'eroe della fede e della cieca obbedienza a

Dio.)

5. L’ANGOSCIA
Se esistere significa scegliere, nel senso che l’individuo è ciò che sceglie di essere, il fatto
di poter scegliere significa che l’uomo è libero ed ha difronte a se infinite possibilità
positive, ma anche negative. Ciò però genera in lui angoscia, una condizione tipicamente
umana descritta nell’ opera ”Il concetto dell’angoscia”.
Con Kierkegaard parliamo di una ANGOSCIA ESISTENZIALE (sarà infatti considerato il
padre dell’esistenzialismo -nuova corrente filosofica-) perchè analizza la situazione di
radicale incertezza, instabilità e dubbio in cui si trova l’uomo per natura. Ciò è appunto
dovuto all’angoscia ( ANGST in tedesco). Dopo aver stabilito che la cifra dell’esistenza

umana risiede nella possibilità, spiega che l’ angoscia è la situazione


generata nell’uomo dal possibile cioè dalla possibilità che ha l’uomo di poter
scegliere in un modo o in un altro modo.
E’ strettamente connessa col peccato ed è a fondamento dello stesso peccato originale.
L’uomo è felice fino a quando non conosce, ma nel momento in cui conosce diventa
peccatore.
Adamo (che mangia il frutto proibito) è innocente finché resta ignorante, cioè finché non
conosce le proprie possibilità.
Quindi il paradosso di K. (che è maestro dei paradossi , possiamo definirlo Zenone
contemporaneo ( Zenone filosofo presocratico noto per i paradossi come -Achille e la
tartaruga-):
l’uomo per essere libero deve conoscere, ma nel momento in cui conosce diventa
peccatore. Abbiamo dunque una visione inconciliabile.
A differenza del timore , della PAURA che si prova davanti a situazioni determinate,
oggettive, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della
possibilità, si identifica con il sentimento della possibilità. )L’uomo posto di fronte alle varie
possibilità di scelta, cade nell’angoscia).
L’angoscia è strettamente connessa con l’avvenire perchè l’angoscia non è legata a ciò
che è, ma a ciò che può essere (perché ciò che è possibile, è ciò che avverrà).
L’angoscia nasce dalla natura umana. Se l’uomo fosse privo di spiritualità, non
conoscerebbe l’angoscia perché manca di quegli aspetti della vita che lo rendono simile
agli animali. Quindi la povertà spirituale sottrae l’uomo all’angoscia.
Kierkegaard collega l’angoscia al principio di infinità del possibile—> “nel possibile, tutto
è possibile”. Dunque ogni possibilità è annullata da un’altra possibilità ,l’uomo ha un
infinito numero di possibilità. E’ l’infinità delle possibilità a rendere l’angoscia
insuperabile.

6. DISPERAZIONE E FEDE
Disperazione e angoscia sono due concetti strettamente legati, ma non identici.
Mentre l’angoscia nasce dal rapporto dell’IO con il MONDO, ossia quando il possibile
pone l’uomo rispetto al mondo, perché l’ uomo rispetto al mondo si sente in una situazione
di in angoscia esistenziale poichè avverte la sua inadeguatezza rispetto a ciò che
potrebbe essere e a ciò che non potrebbe essere.
Invece la disperazione nasce dal rapporto dell’IO con SE STESSI, quando il possibile
pone l’uomo con stesso, difronte alla sua interiorità.
Praticamente il possibile rende l’uomo infelice e genera angoscia. Quando l’uomo difronte
al proprio IO si rende conto di non poter arrivare a raggiungere il proprio desiderio
(=mancanza di qualcosa), si generà l’angoscia che trasportata nella propria interiorità
diventa DISPERAZIONE perché l’Io non può realizzare il proprio desiderio.
La disperazione attiene alla personalità dell’uomo, al rapporto in cui l’io si pone con se
stesso. La disperazione è dunque strettamente legata alla natura dell’IO.
Infatti l’IO può volere essere se stesso, ma anche non volere essere se stesso cioè non
riuscire ad essere se stesso, a non trovare un posto per se stesso.
Se l’ IO non vuole essere se stesso, urta contro un aspetto costitutivo della sua natura
perché se non sto bene con me stesso cado nella disperazione , però anche quando l’IO
vuole essere se stesso non può trovare un equilibrio perché l’io è finito e non è
autosufficiente. Così nell’uno e nell’altro caso ci si imbatte nella disperazione che è una
autentica malattia mortale, perchè è generata dall’inutile tentativo dell’uomo o di evadere
da se, o di rendersi autosufficiente.
È un’autodistruzione impotente. La disperazione di cui parla K. non è una disperazione
che nasce da perdite materiali (perdita di un patrimonio o di una persona cara), ma è la
disperazione INFINITA che nasce dalla consapevolezza della propria insufficienza
esistenziale.
La disperazione nasce quindi dal fatto che l’uomo non accetta la propria condizione
umana.
Poiché , l’io è sintesi di necessità e libertà, per cui la disperazione che nasce in lui ed è
dovuta:

o dalla mancanza di necessità


o dalla mancanza di libertà.

• La mancanza della necessità (= l’IO è necessario se non ci fosse l’IO non ci sarebbero
gli altri)
L’ individuo si trova di fronte alle infinite possibilità che gli si prospettano ma di fatto non
compie una determinata scelta per farle diventare realtà, non sa che fare, non sa compiere
una scelta e cade nella disperazione, ma anche quando compie una scelta cade nella
disperazione perché si è negato la possibilità di compiere altre scelte. Per questo parliamo
di esistenzialismo come sofferenza dell’esistenza (esistere non è semplice): di fronte alle
infinite possibilità è come se tutto fosse possibile e, così, l’esistenza stessa si annulla.
Disperazione è quella che porta all’ evasione cioè il rifugio in possibilità fantastiche,
illimitate. Poiché nella evasione tutto è possibile, ci si può smarrire in essa in due modi
fondamentali: il desiderio (l’iperattivismo, la ricerca del soddisfacimento) o, in un ambito
malinconico-fantastico, la speranza, il timore, l’angoscia, la paralisi.

•La mancanza della libertà (o del possibile) porta alla disperazione perché l’uomo non
può vivere senza possibilità di scelta; la possibilità salva e fa rinvenire l’uomo, così come
l’acqua rianima chi sviene.

Tuttavia, la fantasia umana, che consente di trovare una possibilità, non basta il più delle
volte come rimedio alla disperazione.
L’unico antidoto alla disperazione è la fede in Dio, in quanto a Lui tutto è possibile. Il fatto
che Dio PUO’ tutto, spinge l’uomo a pregare , attraverso la preghiera l’uomo ha una
SPERANZA che lo pone oltre la disperazione (senza la speranza sarebbe come un
animale muto).

DISPERAZIONE infatti vuol dire MANCANZA, ASSENZA DI SPERANZA mentre Dio è


speranza per sua natura. La fede è l’eliminazione della disperazione, ma determina la
dipendenza da Dio. Questo rapporto contraddittorio del singolo con Dio, K. lo definisce
come lo “scandalo del cristianesimo” perché la fede è tuttavia un aiuto che non aiuta,
poiché , secondo Kierkegaard solleva l’uomo dall’onere della scelta.

Per K. la fede è dunque paradosso e assurdità. Tutte le categorie del pensiero religioso,
della teologia , sono impensabili per K. : impensabile è la trascendenza di Dio,
impensabile è l’idea di un Dio che si fa carne e muore per la salvezza dell’uomo,
impensabile è il concetto di eternità di Dio (eternità=che non nasce e non muore). Ma la
fede è credere nonostante tutto. Essa è capovolgimento paradossale dell’esistenza.

7. L’ATTIMO E LA STORIA, L’ETERNO NEL TEMPO


Secondo Kierkegaard la storia non è una teofania (manifestazione di Dio).
Il rapporto tra l’uomo e Dio non si verifica nella storia ma è un momento, un istante
quando nella vita dell’uomo accade qualcosa di giusto, di importante al momento
opportuno. In questo ATTIMO si manifesta la presenza di Dio.
Quindi se da un lato K. nega l’esistenza di Dio come concetto di eternità, dall’altro afferma
la presenza di Dio nel momento dell’attimo.
L’ESSERE UMANO PUO’USCIRE DALLA DISPERAZIONENELL’ISTANTE IN CUI
AVVERTE LA FEDE IN DIO.

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