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Vita

Friedrich Hegel nacque il 27 agosto 1770 a Stoccarda. Seguì i corsi di filosofia e di teologia
all'Università di Tubinga. Gli avvenimenti della Rivoluzione francese suscitarono in lui un
grande entusiasmo. Hegel fece il precettore in case private e fu per qualche tempo a Berna.
A questo periodo risalgono i primi scritti: “La vita di Gesù” e “La positività della religione
cristiana”. Nel 1805 divenne professore a Jena e fu redattore capo di un giornale bavarese
ispirato alla politica napoleonica. Nel 1808 divenne direttore del ginnasio di Norimberga; nel
1816 fu nominato professore di filosofia a Heidelberg; nel 1818 fu chiamato all'Università di
Berlino. Morì a Berlino, forse di colera, il 14 novembre 1831.

Il Giovane Hegel
Nelle opere giovanili l’argomento dominante è teologico, legato con quello politico. Il poeta
vede la rigenerazione morale e religiosa dell’uomo come fondamento della rigenerazione
politica. Per realizzare una rivoluzione politica è necessaria una rigenerazione della persona
nella sua vita interiore e del popolo nella sua cultura. Pensava ciò in quanto si era fatto
influenzare da alcuni scritti di Rousseau e da alcune opere di Spinoza. Inoltre, nei paesi
tedeschi, con la Riforma protestante, religione e politica erano strettamente connesse.
Aspira a questa rigenerazione per far sì che si possa realizzare una vita migliore e di libertà,
grazie a progetti di riforma che spazzino via l’impianto sociale fondato sulla stabilità delle
classi e sul potere nobiliare. Per fare ciò è necessaria una rivoluzione nelle istituzioni, che
avviene come conseguenza esteriore di una maturazione della coscienza del popolo.
Occorre, dunque, una nuova forma di religione che permetta agli uomini di partecipare con
la propria vita interiore alla vita dello spirito di Dio che si incarna nella storia attraverso la
stessa vita degli uomini. Può nascere un ordine politico egualitario quando i cittadini
impareranno a riconoscere nella via interiore del loro vicino il riflesso dell’unica vita di Dio.
Hegel critica Kant perché nella sua morale, intesa come lotta tra dovere e inclinazione, vede
un pericoloso dualismo tra ragione e natura che finisce per trasformare la morale in un
legalismo che opprime e lacera l’uomo. Continua la sua critica verso le chiese che hanno
smarrito il vero significato del messaggio di Cristo, il quale aveva predicato il superamento
della vecchia legge esteriore, a cui si deve sottostare, in favore di una nuova legge
dell’amore, della fratellanza e della comunanza dei cuori. Al contrario la Chiesa avrebbe
creato una religione ‘positiva’ fatta di dogmi, di leggi morali e, dunque, di comandi.
Analizzando, poi, la Bibbia si rende conto di una scissione tra natura e ebraismo: gli ebrei,
sentendosi minacciati, hanno assunto un atteggiamento innaturale di allontanamento,
anche verso Dio, vedendolo come Signore trascendente rispetto alla realtà naturale che gli è
estranea → separazione tra Dio e uomo. Così facendo decidono di vivere in ostilità con la
natura, ma anche con gli altri uomini, in quanto il loro Dio non permette rapporti di amicizia
con altri popoli. Nel caso in cui fosse accaduto si sarebbe trattato di ‘tradimento’ ↔ sono
vittime di un destino provocato da loro. La mentalità greca è ben diversa: vivono il loro
rapporto con la natura in totale armonia. La loro morale rispetta i naturali desideri umani e i
loro dei sono la personificazione delle forze della natura. La grecità incarna, dunque il
momento di armonia tra uomo e Dio e uomo e natura, ma anche tra gli stessi uomini. Nella
grecità, inoltre, si può leggere un rifiuto per l’astratto a favore del concreto. Però, sia i greci
sia Gesù sono stati ‘sconfitti’: l’armonia e lo spirito di amicizia sono stati superati dalle
esperienze della civiltà moderna. Quindi Hegel polemizza contro la ragione illuministica
kantiana che si fonda sulla lacerazione tra uomo e Dio, tra intelletto umano finito e un
infinito concepito come qualcosa di inconoscibile. Associa la morale kantiana alla religione
degli ebrei: essendo quest’ultima una religione di infelicità in cui gli uomini vedono Dio
straniero, così l’uomo kantiano è lacerato tra una ragione che spera nell’infinito e un infinito
che non può raggiungere, tra una ragione che impone il dovere e tra un’inclinazione che
spinge al piacere. Hegel vuole una religione che si basi su una conciliazione che può avvenire
attraverso il recupero della figura di Gesù, forza unificante tra uomo e dio, tra uomo e
uomo, tra dovere razionale e natura sensibile. Questo compito è dato alla filosofia, per
intendere l’Assoluto come la totalità vivente in cui tutto è compreso. la rivoluzione dello
spirito dell’uomo e dei popoli non nasca dalla religione, ma dall’oggettiva evoluzione storica
e dalla ricerca filosofica.

Le Tesi di fondo del Sistema


Le tesi di fondo dell’idealismo (ossia la teoria di Hegel dell’idealità del finito) sono: la
risoluzione del finito nell’infinito; l’identità tra ragione e realtà; la funzione giustificatrice
della filosofia. Per Hegel, la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo
unitario di cui tutto ciò che esiste è manifestazione. Tale organismo, non avendo nulla al di
fuori di sé, coincide con l’assoluto, con lo spirito, con Dio e con l’infinito, mentre i vari enti
del mondo coincidono con il finito. Il finito pertanto non esiste, poiché esso è
un’espressione dell’infinito. Come la parte esiste solo se in connessione con il tutto, così
finito esiste nell’infinito L’idealismo è quindi una forma di monismo panteistico (panteismo
idealistico), che vede nel mondo la manifestazione di Dio. Tuttavia, Hegel non si assimila a
Spinoza, per il quale l’assoluto è una sostanza statica che coincide con la natura: per il
filosofo essa è un soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò che esiste è tappa di un
processo di realizzazione. La realtà è soggetto, cioè un processo di auto-produzione, che
solo con l’uomo e le sue attività più alte giunge a rivelarsi per ciò che è veramente. Il
soggetto spirituale infinito alla base della realtà è nominato da Hegel idea o ragione;
ricordiamo l’aforisma contenuto nei lineamenti di filosofia del diritto: “ciò che è razionale è
reale; e ciò che è reale è razionale “. La prima parte intende dire che la razionalità non è
astrazione o schema, ma forma di ciò che esiste, perché governa e costituisce il mondo. La
seconda parte afferma che la realtà non è una materia caotica, ma una struttura razionale.
Hegel esprime quindi la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e razionalità. La sua
dottrina si configura perciò come una forma di panlogismo. Tale identità implica anche che
ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere. Hegel ritiene in sintesi che la
realtà costituisca una totalità processuale necessaria, formata da una serie ascendente di
gradi o momenti, ciascuno dei quali è il risultato di quelli precedenti e il presupposto di quali
seguenti. L’idea o ragione è quindi identità totale e necessaria di ragione e realtà; di essere e
dover essere. Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della
realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono. La filosofia esprime il
mondo quando la realtà ha già compiuto il suo processo di formazione. Il filosofo attua un
paragone con la nottola di Minerva, che inizia il suo volo al crepuscolo, quando la realtà è
già formata. La filosofia deve dunque rinunciare alla pretesa di determinare la realtà,
limitandosi a elaborare in concetti il contenuto reale che l’esperienza offre. L’atletico
compito che Hegel attribuisce alla filosofia è la giustificazione razionale della realtà.

Idea, Natura e Spirito


Hegel ritiene che la dinamicità dell’assoluto passi attraverso i tre momenti dell’idea:
➢ L’idea in sé e per sé (tesi) o idea pura è l’idea considerata in sé stessa, a prescindere
dalla sua realizzazione del mondo. Essa è assimilabile addio “prima della creazione
della natura e di uno spirito finito”, oppure alla base logico-razionale della realtà;
➢ L’idea fuori di sé (antitesi) o idea nel suo essere altro è la natura, ossia l’espressione
dell’idea nella realtà;
➢ L’idea che ritorna in sé (sintesi) è lo spirito, cioè l’idea che, dopo essersi fatta natura,
torna presso di sé, nell’uomo.
Questa triade va intesa non in senso cronologico, ma in senso ideale. Infatti, ciò che
concretamente esiste nella realtà è lo spirito (sintesi), il quale ha come condizione la natura
(antitesi) e come suo presupposto il programma logico che l’idea pura (tesi). A questi tre
momenti strutturali dell’assoluto è che fa corrispondere le tre sezioni in cui si divide il
sapere filosofico:
➢ La logica, “la scienza dell’idea in sé e per sé”, cioè dell’idea in sé e del suo graduale
esplicarsi. Essa si divide in dottrina dell’essere, dottrina dell’essenza e dottrina del
concetto;
➢ La filosofia della natura, “la scienza dell’idea nel suo alienarsi da sé“. Essa è suddivisa
in meccanica, fisica e fisica organica.
➢ La filosofia dello spirito, “la scienza dell’idea che ritorna in sé”. Lo spirito può essere
soggettivo (studiare antropologia, fenomenologia e psicologia), oggettivo (che studia
diritto, moralità ed eticità) o assoluto (diviso in arte e, che si avvale del sentimento
artistico, religione, che si avvale della fede e della rappresentazione, e filosofia,
ragione dialettica grado più alto della perfezione). La filosofia hegeliana è il culmine
del sapere secondo il filosofo, poiché racchiude la storia della filosofia da quando è
nata a quel momento, considerato il più alto.

La Dialettica
L’assoluto per Hegel è fondamentalmente “divenire”. La legge che regola il divenire è la
dialettica (di cui Hegel non fornisce una teoria sistematica), la quale rappresenta la legge
ontologica di sviluppo della realtà e la legge logica di comprensione della stessa realtà. Nell’
enciclopedia Hegel distingue tre momenti o aspetti del pensiero:
➢ Il momento astratto o intellettuale (tesi). Il momento astratto consiste nel concepire
l’esistente sotto forma di una molteplicità di determinazioni statiche e separate; con
esso il pensiero si ferma alle determinazioni rigide della realtà e alle loro differenze
reciproche secondo i principi di identità e di non contraddizione;
➢ Il momento dialettico o negativo-razionale (antitesi). Il momento dialettico consiste
nel dimostrare come le determinazioni del momento astratto necessitino di essere
relazionate con altre determinazioni, infatti, poiché ogni affermazione sottintende
una negazione, è opportuno mettere in rapporto le varie determinazioni con le
determinazioni opposte;
➢ Il momento speculativo o positivo-razionale (sintesi). Il momento speculativo
consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto
che tali determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più alta, che li sintetizza.
Dalla distinzione dei tre momenti del pensiero e diciamo la contrapposizione di Heigl tra
intelletto e ragione: l’intelletto è un modo di pensare “statico”, che considera i singoli
elementi; la ragione è invece un modo di pensare “dinamico”, capace di individuare la
concretezza del reale. La ragione, in quanto dialettica, mette in relazione le determinazioni
con quelli opposte; in quanto speculativa, coglie l’unità e realizza la sintesi. Se l’intelletto è
dunque l’organo del finito, la ragione è l’organo dell’infinito. Tuttavia, intelletto, ragione
negativa e ragione positiva fanno parte della stessa ragione in differenti fasi. La dialettica
consiste quindi:
➢ Nell’affermazione di un concetto astratto (tesi);
➢ Nella negazione di un concetto opposto (antitesi);
➢ Nell’unificazione in una sintesi positiva, che è dunque una riaffermazione
dell’affermazione iniziale grazie alla negazione intermedia. L’affermazione è definita
come AUFHEBUNG, ossia il superamento dell’opposizione tra tesi e antitesi e la
conservazione della verità.
Hegel fu accusato di giustificazionismo da Marx e dalla sinistra hegeliana, poiché giustificava
tutte le realtà attraverso la filosofia. Per Marx, la politica era la filosofia atta a criticare la
realtà, non a giustificarla (il conflitto si risolve con la praxis). Per Hegel la realtà era un
processo dialettico in cui tutto si risolve in positivo, per Marx invece le parti opposte
dovevano scontrarsi cosicché una soccombesse all'altra.

Stato
Mentre la famiglia è una comunità etica fondata sull’amore e sulla condivisione, la società
civile è il luogo dell’affermazione personale e della competizione (in essa ciascuno persegue
soltanto per i propri interessi). Tuttavia, tutto ciò che non può avvenire nella società civile,
dove non esistono né scopi né azioni comuni, avviene in una nuova istituzione fondata su un
fine comune (universale), tale istituzione è lo Stato. Secondo Hegel lo Stato “è la realtà
dell’idea etica”, lo spirito etico giunto alla consapevolezza di sé. All’interno dello Stato ci
sono organi e istituzioni preposti a un fine universale, che è la conservazione e il benessere
della comunità stessa. Affinché l’integrazione dei singoli nella comunità sia possibile devono
esserci i giusti presupposti come la condivisione della lingua, delle usanze e delle tradizioni.
Secondo Hegel, lo Stato autentico è uno Stato Nazionale e ciò implica che non può esistere
una forma di Stato Ideale, valido per tutti i popoli e tutti i tempi. Lo Stato realizza l’idea etica
in due modi: tramite il consenso dei suoi cittadini (che si esprime nel rispetto delle leggi), e
tramite l’ordinamento costituzionale. Hegel rifiuta la teoria della separazione dei poteri.
Inoltre, lo Stato include tre poteri connessi tra di loro:
➢ Il potere legislativo;
➢ Il potere governativo/esecutivo;
➢ Il potere del principe/monarca.
Come si vede Hegel rifiuta la divisione del potere in legislativo, esecutivo e giudiziario. Lo
Stato, tuttavia, non è proprietà del re: egli è tenuto a restare nei limiti della costituzione, di
cui è il rappresentante. Il potere legislativo spetta a due camere: l’organo della nobiltà e
un’altra camera formata dai delegati degli altri ceti sociali. Hegel è contrario all’elezione dei
rappresentanti da parte del popolo, e quindi al suffragio universale. La sua teoria sullo Stato
è meritocratica e organicistica e non democratica: ossia non privilegia l’individuo ma
l’organismo statale nel suo insieme. Secondo Hegel lo Stato dimostra la propria forza etica in
caso di guerra quando chiede ai cittadini di sacrificarsi per difenderlo (era convinto che la
guerra svolgesse una funzione necessaria). Inoltre, secondo il filosofo, non esiste un potere
al di sopra degli Stati, per cui la possibilità del conflitto rimane sempre aperta.

La Filosofia della Storia


Il principale motore della rivolta tra gli Stati è il progresso storico. Secondo Hegel ogni
popolo cerca di darsi una costituzione adeguata ai suoi costumi e alle sue tradizioni, ma nel
farlo è influenzato dai risultati raggiunti dagli altri popoli. La storia, secondo Hegel, è il
processo di formazione degli stati, che ha avuto luogo in tempi e modalità diverse da popolo
a popolo. Per Hegel sono gli Stati a “fare” la storia. La storia non ha senso se è intesa come
successione di avvenimenti, per cui deve essere intesa come realizzazione progressiva della
libertà (fine ultimo della storia). Hegel suddivide la storia del mondo in quattro grandi
epoche e sostiene che attraverso queste epoche essa si sia sviluppata:
➢ Regno Orientale, uno solo è libero (il re);
➢ Regno Greco & Romano, alcuni sono liberi;
➢ Regno Cristiano – Germanico, tutti sono liberi.
Secondo Hegel, la storia è finita, poiché lo Spirito è giunto a conoscere se stesso come verità
assoluto e principio di libertà, per cui la storia non può più produrre mutamenti rispetto a
tale concetto. La storia ha significato solo se la si intende come il progresso compiuto dello
Spirito, nel corso del tempo, per arrivare alla piena conoscenza della propria essenza. Lo
Spirito, per diventare pienamente libero, cioè per prendere consapevolezza della propria
libertà, sono state necessarie tutte le tappe storiche, dall’antichità al Medioevo, fino all’età
moderna. La storia è l’itinerario compiuto dallo Spirito per prendere consapevolezza della
propria essenza, che è la libertà, caratteristica essenziale dello Spirito.

La Fenomenologia dello Spirito


Il termine fenomenologia indica la descrizione o la scienza di ciò che appare. Poiché nel
sistema hegeliano l'intera realtà è spirito, la fenomenologia consisterà nell'apparire dello
spirito a sé stesso, cioè nel pervenire dello spirito alla consapevolezza di essere tutta la
realtà, cioè l'«Assoluto» quale identità di finito e infinito, reale e razionale. Le vicende dello
spirito narrate nella Fenomenologia corrispondono infatti alle vicende del principio
hegeliano dell'infinito nelle sue prime apparizioni. Nella Fenomenologia Hegel descrive
dunque il progressivo affermarsi e "conoscersi" dello spirito, e lo fa attraverso una serie di
"figure", cioè di tappe ideali che hanno trovato, ciascuna, un'esemplificazione tipica nel
corso della storia e che esprimono i settori della vita umana (conoscenza, società, religione,
politica ecc.). In questo senso le figure possono essere considerate come momenti della
progressiva conquista della verità da parte dell'uomo. Si comprende dunque in che senso la
fenomenologia sia la storia romanzata della coscienza, la quale, attraverso, contrasti,
scissioni, e quindi infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiunge l'universalità e si
riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. L'intero ciclo della
fenomenologia si può riassumere nella «coscienza infelice». La coscienza infelice è quella
che non sa di essere tutta la realtà; perciò, si ritrova divisa in opposizioni o conflitti dai quali
esce solo arrivando alla coscienza di essere tutto. La fenomenologia, come divenire della
filosofia, prepara e introduce il singolo alla filosofia: cioè tende a far sì che egli si riconosca e
si risolva nello spirito universale. La Fenomenologia si divide in due parti:
➢ La prima parte comprende i tre momenti della coscienza (tesi), dell'autocoscienza
(antitesi) e della ragione (sintesi);
➢ La seconda comprende le tre sezioni dello spirito, della religione e del sapere
assoluto.

Nella fase della coscienza predomini l'attenzione verso l'oggetto; nella fase
dell'autocoscienza l'attenzione verso il soggetto, e nella fase della ragione si arrivi a
riconoscere l'unità profonda di soggetto e oggetto. La fenomenologia è una storia
romanzata attraverso le “figure”, ossia tappe ideali e storiche che la coscienza compie per
prendere consapevolezza di sé.
La Coscienza
La prima tappa della fenomenologia dello spirito è la coscienza, intesa come ciò che si
rapporta a un oggetto, ossia qualcosa di percepito come esterno e altro da sé. La coscienza
si articola in tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto. La certezza sensibile
appare la forma di conoscenza più ricca e sicura, ma si tratta in realtà della più povera,
poiché rende certi di una cosa singola. Di conseguenza quella che appare come la massima
certezza possibile è in realtà la conoscenza più astratta e indeterminata. Hegel critica quindi
tutte le forme di sapere immediato. La certezza sensibile, infatti, non può pensare il proprio
oggetto, ma si limita a sentirlo nella sua immediatezza. La pretesa di massima
determinazione e concretezza mostra quindi in realtà un nulla di determinato. Da questo
punto di vista l’analisi della certezza sensibile riproduce l’inizio della logica hegeliana, in cui
l’essere in quanto indeterminato si scopre identico al nulla. La certezza sensibile si confuta
da sola: poiché il “questo” dipende non dà una cosa, ma da chi la considera, ciò che è qui
ora per me è una certa cosa, per un altro soggetto o in un altro tempo e luogo potrebbe
essere un’altra cosa. La certezza sensibile è la certezza di un io generico e rivela una forma
di relazione dialettica tra soggetto e oggetto. Il passaggio dal sapere immediato al sapere
mediato si ha con la percezione, che esplicita la distinzione tra soggetto che percepisce e
oggetto percepito presente implicitamente nella certezza sensibile. Nella percezione il
“questo” precedente diventa la “cosa” percepita come sostrato o sostanza con diverse
proprietà. Rifacendosi alla concezione di sostanza dell’empirismo, Hegel intende dire che
l’oggetto non può essere percepito come uno, nelle molteplicità delle sue qualità, se l’io non
riconosce che l’unità dell’oggetto è stabilita dallo stesso. Quindi l’oggetto certo si risolve
interamente nel soggetto. L’intelletto per Hegel consiste nella capacità di cogliere gli oggetti
non come tali ma come “fenomeni“, cioè risultati di una forza che agisce sul soggetto
secondo la legge determinata. Egli ritiene che l’essenza vera dell’oggetto, ultrasensibile, non
si può cogliere mediante l’intelletto. Perciò, poiché il fenomeno è soltanto nella coscienza e
ciò che è aldilà del fenomeno è un nulla o qualcosa per la coscienza, la coscienza risolve
l’intero oggetto in sé stessa e diventa coscienza di sé, autocoscienza.

L'AutoCoscienza
Con l’autocoscienza l’attenzione si sposta dall’oggetto al soggetto, attività concreta dell’io
considerato nei suoi rapporti con gli altri. Di conseguenza l’ambito in cui si muove non è
logico ma sociale, filosofico e religioso. L’autocoscienza postula la presenza di altre
autocoscienze in grado di darle la certezza di essere tale. L’uomo è autocoscienza solo se
riesce a farsi riconoscere da un’altra autocoscienza; pertanto, l’io ha bisogno di altri uomini.
Si potrebbe pensare che il riconoscersi dell’autocoscienza avvenga tramite l’amore, il
miracolo per cui ciò che è due diviene uno, senza implicare l’eliminazione della dualità.
L’amore però non esiste abbastanza sul carattere drammatico della separazione tra le
autocoscienze e sulle peripezie per giungere al loro reciproco riconoscimento. Il
riconoscimento deve quindi passare attraverso un momento di lotta e di sfida per affermare
la propria indipendenza. Il conflitto non si conclude con la morte delle autocoscienze
contendenti, ma con il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto servo-signore. Il signore è
colui che, pur di affermare la propria indipendenza, mette a repentaglio la propria vita,
mentre il servo preferisce la perdita della propria indipendenza, cioè la servitù, pur di avere
salva la vita. La dinamica di questo rapporto è destinata a un’inversione di ruoli, infatti il
signore, indipendente, gode in realtà del lavoro dei servi e finisce per dipendere da loro; il
servo, invece, trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento e si rende
indipendente. Il processo di indipendenza del servo avviene attraverso tre momenti: la
paura della morte, il servizio e il lavoro. Lo schiavo, infatti, è tale perché ha paura della
morte, cioè della perdita della propria essenza; tale paura gli ha permesso di sperimentare il
proprio essere come qualcosa di indipendente, acquistando una propria autocoscienza.
Inoltre, nel servizio, la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i propri impulsi naturali.
Nel lavoro, infine, il servo trattiene il proprio appetito rimandando il momento dell’utilizzo
dell’oggetto che sta producendo, affermando la propria indipendenza. Formando e
coltivando le cose, dunque, il servo forma e coltiva sé stesso ed imprime anche la propria
autocoscienza, giungendo a nutrirsi come essere indipendente. La figura di Hegel non si
conclude con una rivoluzione sociale politica, ma con l’indipendenza del servo e la
dipendenza del signore. Tale figura contiene anche alcuni spunti di tipo esistenzialistico
come il raggiungimento della consapevolezza di sé. Il raggiungimento dell’indipendenza
dell’io nei confronti delle cose trova la sua manifestazione filosofica nello stoicismo che
celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda:
l’autocoscienza riesce a liberarsi almeno a livello astratto dai vincoli della realtà in quanto i
condizionamenti esterni non posso essere affatto negati. Lo scetticismo invece pretende di
non considerare reale, vero quel mondo esterno da cui lo stoicismo si sente indipendente
assumendo così un atteggiamento negativo verso l’alterità: crea così una situazione
contraddittoria che si manifesta nella scissione tra una coscienza che vorrebbe innalzarsi
sulla realtà ma che dipende proprio da essa.
La Coscienza Infelice

Attraversate la contraddizione tra la negazione della verità e l’affermazione della verità


secondo cui non c’è niente di vero, si arriva alla coscienza infelice, con una separazione
radicale tra uomo e Dio. Lo scetticismo di Hegel è simile a quello religioso di Pascal secondo
cui “tutto è vanità”. Lo scettico che non crede in nulla è religioso, poiché sulla nullità della
creatura basa l’infinità di Dio. L’opposizione tra uomo e Dio, tra finito e infinito, corrisponde
alla collocazione della verità e produce una lacerazione che genera infelicità nella coscienza.
La separazione tra uomo e Dio si manifesta in primo luogo sotto forma di antitesi tra
“intrasmutabile” e “trasmutabile”. Tale situazione è propria dell’ebraismo e fa sì che
l’assoluto assuma le sembianze di un Dio trascendente, padrone della vita e della morte, un
signore inaccessibile. Questo “travaglio del negativo” rappresenta la traduzione religiosa del
rapporto servo-signore. Nel secondo momento il trasmutabile assume la figura di un Dio
incarnato, riprendendo il cristianesimo medievale, che considera Dio una realtà effettuale.
La pretesa di cogliere l’assoluto in una presenza particolare è destinata al fallimento. Cristo
risulta inoltre inaccessibile sia come Dio trascendente che come Dio incarnato. Con il
cristianesimo quindi la coscienza continua essere infelice Dio continua a configurarsi come
un “irraggiungibile al di là che sfugge“, o che è “già sfuggito nel momento in cui si tenta di
afferrarlo”. Manifestazione di questa infelicità sono le sotto-figure della devozione, del fare
della mortificazione di sé. La devozione è un pensiero religioso che ancora non si è elevato al
concetto. Il fare della coscienza è il momento in cui la coscienza rinuncia a un contatto con
Dio e cerca di esprimersi nel desiderio volto non più a Dio ma al mondo e al lavoro. Tuttavia
la coscienza cristiana avverte le proprie capacità e il frutto del proprio lavoro come un dono
di Dio, l’unico che agisce realmente. Tale vicenda si esaspera con la mortificazione di sé, in
cui si ha la negazione dell’io a favore di Dio. Con l’ascetismo e l’umiliazione della carne ci
troviamo di fronte a una personalità infelice e limitata. Il punto più basso toccato dal singolo
è destinato però a trapassare nel punto più alto quando la coscienza si rende conto di essere
lei stessa Dio, ovvero il soggetto assoluto. Sia quindi il passaggio alla ragione, corrispondente
al Rinascimento e all’età moderna.

Ragione
Con la ragione entriamo nell’epoca moderna che è l’età del rinascimento. Anche la ragione
ha tre momenti che sono: ragione osservativa, ragione attiva e individualità in sé e per sé.
Ragione Osservativa
La ragione osservativa è una ragione che ancora è interessata a osservare la natura, a
interrogarsi sulla natura, ma ancora non interviene, non strumentalizza la natura. Però è una
ragione che ha compreso l’importanza, il valore della natura. Tant’è che nel medioevo la
natura non si toccava perché era il dono di dio. La ragione, che ha preso consapevolezza di
sé, studia, osserva la natura e cerca di capirne i meccanismi ed è quello che ha fatto Telesio,
trovando i principi di funzionamento della natura nella natura stessa.
Ragione Attiva
La ragione attiva non è solo la ragione della rivoluzione scientifica. Non esiste solo la scienza
nel modo come tentativo da parte dell’uomo di dominare il mondo. L’uomo ci ha provato
anche in altri modi e attraverso questi modi ha cercato di imporre le proprie leggi. La
ragione osservativa la osserva, la studia e ad un certo punto non le basta più, non le basta
più perché abbiamo detto che la ragione riconosce in sé stessa delle capacità quasi
illimitate, siamo nel rinascimento il periodo dell’ottimismo, il momento in cui si afferma il
primato della ragione su tutto. Alla ragione, quindi, non basta più guardare ma deve
operare, deve cercare di esercitare il proprio dominio sulla natura, sul mondo. Qui la ragione
diventa attiva. Anche qui abbiamo dei momenti. Tra questi momenti possiamo inserire
anche la rivoluzione scientifica, anche se Hegel non la cita, non la cita perché per lui la
scienza ha valore, ma ha valore soprattutto il tentativo che l’uomo ha fatto di imprimere la
propria intelligenza sulla natura attraverso la filosofia. Per lui quello che conta è il pensiero,
che si esprime anche nella forma di scienza. Allora a questo punto fa un altro tentativo,
quello che Hegel chiama la legge del cuore e il delirio della presunzione, ed è sempre il
tentativo che l’uomo ha di imporre le sue regole al mondo. In questo tentativo l’uomo si
rende conto che anche vendendo l’anima al diavolo, questa felicità non la raggiunge. La
ragione è esigente, siccome si è riconosciuta capace pensa che lei sia capace di realizzare
tutto. Così, quindi, l’uomo cerca di imporre al mondo le sue leggi, l’ordine del mondo lo
decide l’uomo, attraverso i suoi principi, le sue idee, ma fallisce perché è ancora una ragione
che è individuale, dei singoli uomini, non è una ragione universale. Il fallimento,
storicamente nell’illuminismo si è avuto con la Rivoluzione francese, che ha concretamente
dimostrato che la ragione è fallita.
Individualità in sé e per sé

Da qui andiamo al terzo momento della ragione che è l’individualità in sé e per sé. Qua
stiamo traghettando storicamente nell’Ottocento. Il fallimento del kantismo fa che la
ragione da che è universale, nel senso che era in grado di determinare una legge morale
universale, si ripiega nuovamente in sé. Siccome ha capito che il suo carattere di universalità
ha dimostrato di essere fallimentare si ripiega di nuovo in sé. Questo rappresenta la
prospettiva tipica del sistema borghese capitalistico, storicamente. Perché nel frattempo
mentre c’è stata la Rivoluzione francese, c’è stata un’altra rivoluzione, quella industriale, che
ha dato vita a un sistema di negazioni sociali, che sono quelli del sistema capitalistico, ma
questo sistema ha inaugurato una forma di individualità. “Agli sforzi della virtù subentra
l’atteggiamento dell’onesta, dedizione ai propri compiti particolari, familiari e professionali
(individualismo borghese). Questo tipo di vita è un inganno in quanto l’individuo tende a
spacciare la propria opera come il dovere stesso mentre esprime solo il proprio interesse”.
Con queste tre figure, cioè coscienza, autocoscienza e ragione si chiude la prima parte della
fenomenologia.

Spirito
Hegel intende l’individuo nei suoi rapporti con la comunità sociale di cui è parte. Questa
sezione comprende tre tappe fenomenologiche:
1. Lo spirito vero, l’eticità: corrisponde alla fase della polis greca caratterizzata da una
fusione armonica tra l’individuo e la comunità in virtù della quale il singolo appare
profondamente immerso nella vita del proprio popolo.
2. Lo spirito che si è reso estraneo a sé, la cultura: corrisponde alla fase della frattura
tra l’io e la società ossia ad una situazione di aliena azione che già iniziato nel mondo
antico e con l’Impero romano trova il proprio culmine nel mondo moderno.
3. Lo spirito certo di sé stesso, la moralità: corrisponde alla riconquistata eticità e
armonia tra individuo e comunità in cui lo spirito si riconosce nella sostanza etica
dello Stato.
Attraverso la religione, ma soprattutto la filosofia, l’individuo acquista la piena, totale ed
esplicita coscienza di sé come spirito. Questo è il punto in cui la fenomenologia si esaurisce
proprio perché lo spirito ha trovato la sua massima espressione e la sua verità nella filosofia.

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