Sei sulla pagina 1di 4

Feuerbach

All’indomani della morte di Hegel la schiera dei suoi allievi si divise tra i «vecchi hegeliani»
(la generazione più anziana) ed i «giovani hegeliani» (composta da coloro che erano nati
dopo il 1800). La spaccatura della scuola fu dovuta al diverso atteggiamento assunto dai suoi
esponenti di fronte alla religione e alla politica

La questione della religione

Il cristianesimo è compatibile con la filosofia hegeliana?

I più significativi esponenti della destra (K.F. Göschel, K. Conradi, G.A. Gabler) utilizzarono i
filosofemi di Hegel al fine di una giustificazione razionale dei dogmi centrali del
cristianesimo.

Gli esponenti della sinistra (D.F. Strauß, B. Bauer, M. Stirner, A. Ruge, L. Feuerbach)
sostenevano invece che la differenza di forma fra religione e filosofia implicasse
necessariamente la fine della religione. Conseguentemente essi svilupparono una critica
radicale della coscienza religiosa – in particolare di quella sua configurazione storica che è il
cristianesimo – il cui esisto finale è un rigoroso ateismo filosofico.

La questione della politica

Legittimazione o critica dell’esistente?

Se la questione della religione s’incentrava sul problema di come intendere concretamente,


nella prassi, il superamento (Aufhebung) della religione, quella della politica riguardava
invece il problema dell’interpretazione di quella centrale tesi hegeliana che afferma
l’identità di realtà e razionalità. Gli esponenti della destra la interpretano in senso
conservatore, considerando lo Stato prussiano in tutte le sue interne articolazioni quale
punto di approdo della storia del mondo, come la massima incarnazione dello spirito.

La sinistra, invece, interpreta la suddetta identità in un senso dinamico, affermando che il


reale, in quanto incessante processo di autosuperamento dell’esistente, è chiamato ad
elevarsi ed inverarsi in una più alta formazione razionale: essa dunque ritiene che le
istituzioni politiche esistenti debbano essere oggetto di una trasformazione rivoluzionaria.

La critica della filosofia hegeliana

Punto di partenza della filosofia di Feuerbach è la critica della posizione dell’idealismo e


della filosofia hegeliana in particolare, la quale salta a pie pari, per così dire, l’individuo
umano concreto. L’hegelismo si configura come una teologia mascherata, una sorta di
secolarizzazione di tutta la tradizione teologica occidentale. Attribuendo all’uomo i caratteri
tradizionali di Dio, ossia pensando l’essenza umana come pura autocoscienza, puro pensiero
separato dalla sensibilità, dalla corporeità, dalla materia, dallo spazio e dal tempo,
l’idealismo snatura l’uomo e lo estrania da se stesso: invece l’uomo è un essere “di carne e
di sangue” e la “vera umanità” dell’uomo include l’uomo “dalla testa al calcagno”. Dunque,
occorre innanzitutto rimettere al centro dell’indagine filosofica l’uomo nella sua finitezza.

Feuerbach sostiene che l’inizio della filosofia non è Dio, non è l’Assoluto, non è l’essere
come predicato dell’assoluto o dell’idea: l’inizio della filosofia è il finito, il determinato, il
reale.

Il senso di queste affermazioni è quello di un vero e proprio capovolgimento della posizione


hegeliana: solo un’essenza che, come quella dell’uomo, “si svolge e si dispiega nel tempo è
un’essenza assoluta, cioè vera, reale”. Solo l’essenza che, come quella umana, è nei limiti del
tempo, del bisogno, dell’indigenza, della sofferenza, del dolore, è l’essenza assolutamente
libera e totale.

La posizione di Feuerbach

“Il segreto della teologia è l’antropologia, ma la teologia è il segreto della filosofia


speculativa, e s’intende la teologia speculativa, vale a dire quella che si distingue dalla
teologia comune per il fatto che colloca nell’al di qua, rendendolo presente e determinato e
attuale, quell’essere divino che appunto la teologia comune ha per paura e per
incomprensione relegato, lontano, nell’al di là.

La nuova filosofia è la risoluzione completa, assoluta, coerente, della teologia nella


antropologia, perché è la risoluzione della teologia non soltanto nella ragione, come aveva
fatto la vecchia filosofia, ma anche nel cuore, in breve nell’essere reale e totale dell’uomo.
La nuova filosofia fa dell’antropologia, con inclusione della fisiologia, la scienza universale.”

La natura della coscienza religiosa

Una volta stabilito il baricentro del discorso filosofico nella finitezza dell’uomo e affinché
questa possa essere riconosciuta e valorizzata come l’unica «realtà assoluta», Feuerbach
sviluppa una critica radicale della religione – radicale perché essa intende andare alla radice
del fenomeno religioso e quindi anche alla radice di quella concezione «teologica» della
realtà che ha trovato nel pensiero hegeliano il suo “ultimo rifugio”. L’essenziale di questa
ricerca è contenuto in due scritti: L’essenza del cristianesimo (1841) e L’essenza della
religione (1845).

La tesi centrale di Feuerbach è che Dio, ogni idea del divino, è nient’altro che una proiezione
illusoria di quelle «perfezioni» caratteristiche della nostra specie (determinazioni essenziali)
che sono la ragione, la volontà e il sentimento. Dunque, non è Dio ad aver creato l’uomo
bensì esattamente il contrario: parafrasando la Bibbia, si può affermare che l’uomo ha fatto
Dio a sua immagine e somiglianza, nel senso che ogni cultura umana produce una
rappresentazione della divinità che riflette una certa comprensione che l’uomo ha di sé.
L’origine della coscienza religiosa

Le spiegazioni principali addotte da Feuerbach per giustificare il prodursi nell’uomo dell’idea


del divino sono due: innanzitutto, il sentimento di dipendenza che l’uomo prova nei
confronti della natura, sentimento che lo ha spinto inizialmente ad adorare quelle cose
senza le quali egli non potrebbe esistere: la luce, l’acqua, la terra, etc.

In secondo luogo, egli vede l’origine della coscienza religiosa nell’opposizione e nella
sproporzione che nell’uomo si riscontra tra volontà e potenza: dal momento che l’individuo
umano è contraddistinto dalla finitezza, la quale implica che la sfera del volere è molto più
ampia di quella del potere, l’uomo si costruisce una divinità in cui tutti i suoi desideri
appaiono realizzati.

L’alienazione della coscienza religiosa

L’aspetto interessante dell’analisi di Feuerbach è che egli, ripensando la figura


fenomenologica della «coscienza infelice», ritiene l’insorgere della coscienza religiosa una
forma di alienazione, ossia una “patologia psichica” per cui l’uomo si scinde da se stesso,
sposta il suo essere al di fuori di sé e si sottomette ad una rappresentazione che gli toglie
quanto gli appartiene. In altri termini, la nascita della religione segna ad un tempo la
perdita, da parte dell’uomo, delle proprie originarie possibilità e, con queste, della propria
felicità – giacché l’uomo tanto più pone in Dio quanto più toglie a se stesso.

L’umanesimo ateo e filantropico

Se è vero che l’antropologia costituisce il “nucleo segreto della teologia”, l’uomo deve
riconoscere che non c’è nessun dio (ateismo) e ciò implica l’impegno attivo per riconquistare
la posizione dalla quale egli è decaduto a causa di se stesso, recuperando tutte le qualità
essenziali cedute a quel fantasma di sé che è dio. Il tramonto del cristianesimo e di ogni
religione segna l’avvento di “una nuova era nella storia del mondo”: l’uomo che ha ripreso il
pieno possesso dei suoi poteri non concepisce più il problema della felicità nell’orizzonte
egoistico della «propria salvezza personale (beatitudine ultraterrena)», bensì in quello
comunitario dell’incivilimento (Bildung).

Uscire dall’alienazione significa elevare l’essenza umana ad oggetto di quell’amore prima


tributato a dio (filantropia). Soltanto se l’uomo riscopre la sua natura “sociale, comunista” –
ossia la relazione col prossimo quale carattere originario e fondante del suo essere – è
possibile la genuina realizzazione di quell’essenza nella prassi:

L’essenza dell’uomo è contenuta soltanto nella comunione, nell’unità dell’uomo con l’uomo
[…] La solitudine è finitezza e limitatezza; la comunione è libertà e infinitudine. L’uomo
considerato per sé stesso è uomo nel senso abituale della parola; l’uomo con l’uomo, ossia
l’unità dell’io e del tu, è dio”

“Lo scopo dei miei scritti, come pure delle mie lezioni, è questo: trasformare gli uomini da
teologi in antropologi, da teofili in filantropi, da candidati dell’al di là in studenti dell’aldiqua,
da camerieri religiosi e politici della monarchia e aristocrazia celeste e terrestre in
autocoscienti cittadini della terra”

Potrebbero piacerti anche