Sei sulla pagina 1di 15

HEGEL

Nasce a Wittemberg nel 1770. Nasce da una famiglia protestante e notabile, il


padre era capo della cancelleria. Studierà teologia. Frequenta gente di alto
rango, anche perché frequento un collegio che ospitava i rampolli delle famiglie
nobili. Divenne amico di Schelling con cui condivise l’entusiasmo per i fatti che
accadevano in Francia. Studia con attenzione Aristotele, Platone e Rousseau.
Dal punto di vista culturale si lascia prendere la mano proprio dalla filosofia di
questi ultimi. Per evitare la carriera ecclesiastica di trasferisce a Berna e questa
sua formazione teologica va a caratterizzare la sua produzione (“La vita di
Gesù”, riferimento al pensiero kantiano). Si occupa della religione cristiana
come dottrina e scrive a proposito di essa. Si trasferisce a Francoforte , e
stringe l’amicizia con Schelling, col quale pubblicherà il “Programma di
sistema”, manifesto dell’idealismo tedesco. Quando muore il padre ritorna a
Stoccarda e si trasferisce a Jena, centro importantissimo propulsore
dell’idealismo e del romanticismo. Anche lì lavorerà con Schelling. Volle
appoggiare l’ideologia di Schelling pubblicamente analizzando le differenze col
pensiero di Fichte in uno scritto. In questa occasione conoscerà Goethe, con
cui stringerà un’amicizia trentennale. Si occupa di critica filosofica lavorando
per un giornale. In questi anni di inizio ‘800 verrà indirizzato dagli accadimenti e
dalle amicizie verso la stesura del suo capolavoro, “Fenomenologia dello
spirito”. Intanto viene nominato professore ordinario nel 1805. Nell’ottobre del
1806 l’esercito napoleonico entra in città. Nel 1807 pubblica la “fenomenologia
dello spirito”, che gli costa il sodalizio con Schelling. Rimane folgorato da
Napoleone e dirà di avere visto lo spirito del mondo. Diventa rettore, si
trasferisce a Norimberga e lì ci sarà un ciclo di lezioni straordinario pubblicato
postumo, “Propedeutica filosofica”. Si sposa, pubblica la “scienza della logica”,
il suo primo scritto sistematico. Una data importante nella produzione di Hegel
è il 1817, in cui scrive un’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
ampliata negli anni successivi, eredità che lascerà ai suoi allievi. Va a Berlino,
capitale del regno di Prussia. Viene chiamato dal ministero dell’istruzione. I suoi
corsi spaziavano su tutte le discipline della filosofia (diritto, estetica, logica,
religione). Il suo è un sapere enciclopedico. Ha saputo gestire ogni ambito del
sapere filosofico e farne il vero sistema. Verrà accusato di appoggiare la
restaurazione e lo stato prussiano. Continuerà la sua vita viaggiando (Praga,
Vienna, parigi). Scrive gli annali berlinesi, che saranno la vera pubblicità della
sua filosofia. In essi, rivista divulgativa, scriverà la sua filosofia. Diventa rettore
dell’Università di Berlino e muore nel 1831, prima vittima illustre del colera. Le
opere giovanili sono di argomento teologico, e la loro caratteristica è quella di
essere state pubblicate postume. Sono S tate considerate fondamentali per
capire l’Hegel maturo. Sono molte anche le opere di argomento politico, sarà
interessante individuare la sua capacità argomentativa. Scriverà una
costituzione della Germania, di cui è rimasto un piccolo frammento. Scrive un
sistema dell’etica. Le opere più importanti sono quelle rivolte allo studio del
cristianesimo. Nelle prime opere di stampo teologico Hegel va a sondare tute le
religioni rivelate, e a un certo punto le confronta con il razionalismo illuminista.
Ciò lo porterà a riflettere circa le dinamiche del cristianesimo e di tutte le
religioni rivelate. Nella “vita di Gesù” sostiene la superiorità del razionalismo
illuminista sulle considerazioni religiose. Supera il pregiudizio nei confronti del
cristianesimo e ne farà religione della ragione. Nella “vita di Gesù” di fine ‘700 è
consapevole dello sviluppo del razionalismo e affronta il cristianesimo con
spirito illuminista. Alla base dell’opera vi è l’idea che la religione è religione di
popolo, morale, perché è il popolo ad essere portatore dei valori etici.
Assistiamo quindi al passaggio da illuminismo a romanticismo. Religione morale
perché c’è questa modalità della religione di assumere l’aspetto del costume. È
portatrice di valore morale grazie al popolo. La ragione sarà però sempre la
prima vera amante di Hegel. Il suo è un romanticismo illuministico. È il
pensatore che riesce a portare gli ideali dell’illuminismo nel mondo romantico
facendone fondamento del suo romanticismo. È interessante vere come delinei
la figura di Cristo, che si colloca in un momento di tenebre, ma in questo
momento Hegel è in grado di individuare le luci che indirizzano verso la strada
giusta. Una luce è rappresentata da Giovanni Battista. Rappresenta colui che è
richiamato a rintracciare la verità prima ancora dell’avvento di Cristo. Il
cristianesimo più del giudaismo si dimostra molto vicino al principio divino, e
identifica la fede in dio con la fede nella stessa ragione. È come se in Hegel
Cristo annunciasse la ragione morale kantiana. È come se Kant avesse derivato
da Cristo il messaggio morale. Negli anni in cui elabora il suo pensiero questi
presupposti vanno ad ancorarsi nella considerazione che Hegel elabora in
merito alla ragione. Cristo arriva in un momento di buio morale, e accende la
luce della ragione, approfittando di quelle luci che trova accanto a lui. Giovanni
Battista conosce il ruolo che avrà Cristo, ovvero il ruolo che Kant aveva
attribuito alla ragione, che elabora la morale. Cristo è la verità che coincide con
la razionalità. La fede in Dio coincide con la fede nella ragione. Gesù è il
profeta della vera ragione, la verità stessa. Kant da ad Hegel la possibilità di
enunciare la vera definizione di razionalità morale. Gesù è stato il più grande
profeta, tanto da avere profetizzato la stessa morale Kantiana. In un primo
momento hegel aveva quasi assimilato il cristianesimo all’ebraismo, perché
entrambe erano incapaci di risolvere il rapporto uomo-io. Quando scriverà la
vita di Gesù il cristianesimo sarà delineato come una sintesi di ellenismo e
giudaismo. Il cristianesimo pare prospettare un rapporto armonico tra Dio e
uomo, tanto che Dio si incarnerà. Anche nella filosofia greca troviamo questa
relazione armonica tra la divinità e l’umanità. Ecco la prima sintesi tra ellenismo
e cristianesimo. Riprendendo i temi del giudaismo, dice che l’amore è
l’elemento che va a riconciliare ellenismo ed ebraismo. Tutto questo avviene
perché che Hegel ha una solida base kantiana, e giudica il cristianesimo
religione della libertà, negandogli il ruolo di religione positiva, che ha le sue
norme. Nella fase successiva di assiste al Travaglio interiore che porta Hegel
alla stesura della fenomenologia. In questa fase la religione è strumento di
liberazione dei popoli. Lo “spirito del cristianesimo” è l’opera che conclude il
‘700, che non verrà conosciuta subito, perché verrà pubblicata nel ‘900. In
quest’opera modifica la sua interpretazione della religione, superando la
prospettiva kantiana. La comprensione di Dio per il filosofo è il tentativo di
capire il senso del mondo. Comprendere le religioni è il modo per capire la
storia dell’uomo e delle civiltà. Il rapporto uomo-Dio deve essere inquadrato in
riferimento all’evoluzione della civiltà umana. Nella fenomenologia dello spirito
Hegel studia la modalità attraverso la quale lo spirito di manifesta nella storia. Il
cristianesimo non è più soltanto una religione razionale alla maniera kantiana,
non è più morale, ma è lo strumento della libertà del popolo. Morale e religione
non sono coincidenti. Dirà Hegel che le religioni realizzano una corrispondenza
tra spiritualità soggettiva e rappresentazione oggettiva. Ma hanno un difetto:
non riescono ad esprimere un messaggio di libertà realizzabile. La dimensione
spirituale dei soggetti non trova corrispondenza nella rappresentazione
oggettiva di Dio, propria delle religione è che si manifesta nelle immagini sacre,
a cui il fedele rivolge la sua devozione. L’errore della religione positiva è
regolamentare il rapporto con la divinità. La nascita della chiesa come
istituzione va a spezzare il legame tra sociale e individuale. Il cristianesimo
nasce con la morte di Cristo. Gesù morendo lascia il suo messaggio di libertà,
perché muore per liberarci dal peccato (cristianesimo storico). Il cristianesimo è
il culto del Cristo risorto. Man mano che il tempo passa il cristianesimo si
allontana dalla predicazione originaria di Gesù, perché è impossibile coniugare
la religione della libertà e dell’amore con un assetto istituzionale come quello
della chiesa, che nei fatti è in perenne oscillazione tra Dio e il mondo. Quello
della chiesa è un potere che usa, a differenza del potere dell’imperatore, il
vincolo religioso, la minaccia sottintesa degno di Dio. È impossibile coniugare
Dio e mondo, spiritualità e mondanità. La soluzione potrebbe essere il
misticismo, il vivere appartati, ma Hegel si rifiuta di intravedere in ciò una
soluzione. Quando il cristianesimo si traduce nella chiesa cattolica si frantuma il
nesso tra individuale e sociale. L’energia spirituale dell’individuo viene inserita
in una struttura gerarchica che non le consente di mantener lo slancio
originario. Gli scritti su Fichte è Schelling possono essere catalogati come
scritti del periodo di jena. L’opera in cui si coccola pienamente di entrambi è del
1801, la “differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling. La
riflessione verte sulle differenze tra idealismo oggettivo di Schelling e quello
soggettivo di Fichte. Hegel è vicino a Schelling, di lui ammira la novità,
l’autonomia. Di Fichte non gradisce il suo essere caduto nel dogmatismo del
soggetto. Compito della filosofia per Hegel è superare le contraddizioni. Tutta
la filosofia di Hegel vira verso l’unità. La filosofia deve lottare contro ogni forma
di disgregazione, perché in realtà lo spirito umano per realizzarsi deve lottare
contro tutto ciò che gli si frappone davanti, ovvero le forze disgregatrici, che
cercano di rompere l’unità originaria dello spirito. La filosofia deve ricomporre la
frattura tra uomo e mondo, ragione e realtà, condizione naturale e condizione
civile. L’errore di Fichte e degli idealisti soggettivi è distinguere soggetto e
oggetto dopo aver posto la natura assoluta dell’io. Per Hegel l’elaborazione di
infinito di Fichte è la cattiva infinita, perché è una tendenza irraggiungibile. La
coincidenza tra finito e infinito è stata solo postulata, ma mai risolta. Invece
Schelling è il filosofo dell’identità, dell’unità, perché nella sua teoria essere e
pensare si fondono nell’assoluto. A Kant rimprovera un idealismo incompiuto.
Hegel pensa che Kant abbia frainteso il compito della filosofia. Dice che per
Kant la conoscenza è possibile solo nella prospettiva dell’io, ma l’io di Kant è
formale, non sostanziale. Il mondo quindi resta distinto dall’io kantiano. Kant è
accusato da Hegel di non aver compiuto nessun progresso rispetto a Cartesio.
La teoria di Kant conserva le stesse contraddizione insolubili del dualismo
cartesiano. Nella critica della ragion pura paragona la ragione umana a un’isola
circondata da unire in tempesta, e suggerisce che la filosofa, in quanto critica,
si esaurisce nell’esplorazione dei limiti della ragione. La filosofia secondo Hegel
non può limitarsi allo studio del limiti della ragione, deve andare a caccia
dell’assoluto. Hegel critica anche il romanticismo, ed esprime a proposito di
esso una posizione molto dura. La filosofia romantica è priva di sistematicità,
dominata da un sentimentalismo irrazionalistico. Non è una vera filosofia.
L’aspetto spirituale o sentimentale deve avere un ruolo nell’ambito della
filosofia, ma non può esserne la dimensione fondamentale, perché il privilegiare
l’aspetto sentimentale genera preferenze per forme non logiche, pre-logiche
del sapere, come la religione e l’arte, andando a sacrificare la ragione stessa.
Fichte ha descritto la cattiva infinità, e anche Schelling ha descritto l’identità tra
soggetto e oggetto in maniera vuota e ingenua, e si va a perdere l’opposizione
dialettica. Tutto diventa uguale e indistinto. La filosofia di Hegel si propone
come un sistema che ripercorre lo sviluppo dialettico dell’assoluto. Hegel
elabora una prospettiva filosofia che ha lo scopo di rendere conto del percorso
dell’assoluto. Tenta di elaborare lo sviluppo dell’assoluto evitando gli errori di
Fichte e Schelling. La filosofia di Hegel ha come oggetto la verità assoluta, che
si identifica con il tutto. “Il vero è l’intero”, dirà Hegel. Quest’affermazione sarà
la pietra miliare dei totalitarismi. La verità si identifica col tutto, che è lo
sviluppo pieno e articolato dell’assoluto. La filosofia non è esterna allo sviluppo
dell’assoluto, ma rappresenta l’aspetto più saliente dell’assoluto stesso. Hegel
raccoglie l’eredità del giuspositivismo di Hobbes, che mette in evidenza
l’importanza dello stato, insieme di sudditi, e del diritto positivo. La realtà è
l’espressione dell’assoluto. Dio, spirito, fenomenologia dello spirito. Questo
essere assoluto non è immobile alla maniera parmenidea, ma un essere
Eracliteo, perché la condizione dell’essere dell’assoluto è il divenire. Hegel dirà
che il divenire è il passaggio dall’essere al nulla. L’assoluto è soggetto e non è
oggetto, che invece è posto e immobile. L’assoluto si determina attraverso la
dialettica, che è l’insieme di tre strutture razionali: tesi, antitesi e sintesi. La
dialettica è la struttura attraverso cui si determina l’assoluto. Poiché la
dialettica è razionale, anche il mondo, la realtà è razionale. Ciò che è reale è
razionale. La verità è lo sviluppo dell’assoluto. Viene colta solo alla fine
dell’assoluto. Viene colta come comprensione della totalità. Per affrontare il
tema della verità serve una speculazione sistematica. Hegel sente la necessità
di organizzare un sistema dialettico delle scienze a partire dall’idea di assoluto.
Il sistema dialettico delle scienze ha come presupposto fondamentale l’idea di
assoluto. Sistema è un insieme costituito da parti, tra le quali vige una relazione
basata su una regola. Si parla di sistema organizzativo. Se il sistema ha uno
scopo è un sistema funzionale, perché le unità che lo compongono possono
essere metodo (sistema metodico Hegeliano). Il metodo è l’insieme delle regole
che determina un’unità. Quello hegeliano è anche un sistema filosofico. La
filosofia organizza l’intero sistema del sapere. La filosofia hegeliana si fonda
sulla natura soggettiva dell’assoluto, sul metodo dialettico, che ha il ruolo di
descrivere la realtà e di essere strumento del pensiero. Dice che in principio vi è
il movimento, perché l’assoluto si manifesta come divenire razionale. Il
movimento è una legge razionale. Con Hegel la filosofia compie un passo
rivoluzionario, abbandona la teoria aristotelica dell’essere, oggetto della
riflessione di Fichte, secondo cui la sostanza era il fondamento originario di
ogni realtà, ma anche di ogni discorso filosofico. Per Hegel il movimento
originario appartiene alla dimensione stessa dell’essere, e non è provocato
dall’esterno come in Fichte, ma appartiene all’essere stesso. La realtà ha un
andamento dialettico in tre parti di tesi, antitesi e sintesi. La realtà è movimento
razionale, perché il vero è l’intero e il reale è razionale. Nella tesi abbiamo il
momento astratto intellettivo, che pone la condizione dell’essere in sé.
Nell’antitesi abbiamo il primo momento dialettico negativamente razionale, che
pone la condizione dell’essere fuori di sé. La sintesi è il momento speculativo,
positivamente razionale, perché risolve la contraddizione tra tesi e antitesi. È la
condizione dell’in sé e per sé. Queste formule sono espresse da Hegel con
l’esempio di dio, perché la tesi è dio prima della creazione. L’antitesi è la
creazione. L’essere in sé e per sé è la figura di Cristo, che morendo ritorna al
padre. Nel momento della sintesi si riuniscono i contrari e si elabora una nuova
unità. La fenomenologia dello spirito è l’opera più importante che ha una genesi
e un significato impegnativi. Il primo passo è la necessità di comprendere il
ruolo della coscienza. La fenomenologia dello spirito si intitola così perché
vuole spiegare la maniera attraverso al quale lo spirito si manifesta. Siamo di
fronte al sistema Hegeliano e comprendere Hegel significa comprendere le
premesse del suo sistema filosofico. La fenomenologia dello spirito è del 1807,
ed è apoteosi del razionalismo, seppur si collochi in ambito romantico. Nelle
intenzioni iniziali di Hegel l’opera doveva essere l’emendazione dell’intelletto,
una purificazione grazie alla quale la coscienza avrebbe conseguito la piena
consapevolezza di se. La coscienza deve sentirsi come momento propedeutico
della filosofia. La fenomenologia però prenderà un’altra piega. Se nei
presupposti la coscienza sembra essere protagonista, in realtà giungerà ad
altre considerazioni. È pur vero che per parte della fenomenologia la coscienza
viene indagata, sembra essere in viaggio verso la maturità. Sembra essere la
storia della coscienza. L’opera di Hegel è un romanzo di formazione in cui il
protagonista è la coscienza. È un percorso di consapevolezza. La
fenomenologia è anche un viaggio iniziatico, perché deve condurre verso la
verità. L’obiettivo è individuare la verità. Hegel individua questo percorso nella
via crucis, che mostra come in varie tappe la sofferenza sia finalizzata
all’ascensione verso il padre. La via crucis è vista come mezzo per giungere a
Dio, perché Dio che si fa uomo ritorna in sé. Cristo è Dio che si manifesta. La
coscienza deve entrare in relazione con le altre coscienze per conoscersi.
Hegel sta intimidendo una prima innovazione rispetto alla tradizione, rispetto al
dogmatismo. La coscienza non può essere bastevole a se stessa, non può
essere compiuta in sé. Per conoscere se stessa ha bisogno dell’altro. La
coscienza per Hegel è desiderio. L’uomo è essere desiderante. Fichte e Hegel
sono stati utilizzati dal nazismo per giustificare alcuni presupposti, così come
Darwin. I presupposti utilizzati dal nazismo sono: il vero è l’intero (il singolo ha
un ruolo solo all’interno della totalità); ciò che è reale è razionale. La
fenomenologia è la manifestazione dello spirito nei vari momenti in cui si
definisce. Il primo passo è la coscienza, desiderio di altro da sé. Inizialmente
Hegel pensava all’emendazione dell’intelletto, ma poi si rende conto che è il
caso di partire dalla coscienza, inizio del viaggio iniziatico, poiché inizia alla
conoscenza della verità, che consiste nella manifestazione dell’assoluto. La
coscienza deve entrare in relazione con altre coscienze, e ogni coscienza
matura nella stessa maniera. Lo sviluppo individuale e dell’umanità sono
complementari. La storia del singolo è la proiezione individuale dic io che
l’umanità vive in una dimensione complessiva.a l’umanità segue le stesse fasi di
sviluppo dell’individuale. Si assume consapevolezza di ciò che rappresenta il
progresso. Nel momento in cui Hegel mette in atto la fenomenologia scrive la
coscienza dell’altro di cui si ha coscienza. I poli della contrapposizione sono l’io
è l’altro, la coscienza e il fenomeno. Io e altro sono saldamente vincolati, perché
non esiste alcun altro senza la coscienza che lo consideri tale. Per Hegel
coscienza è coscienza d’altro. Il fenomeno non può essere tale se non per lo
spirito che se lo rappresenta. Questa dialettica passa attraverso fasi
contrastanti. La coscienza prepara se stessa alla conoscenza della verità. Il
momento della contraddizione va superato. Le tappe del vaiggio che bisogna
sperimentare per arrivare alla fase finale sono: coscienza, autocoscienza,
ragione, spirito, religione e sapere assoluto. Lo spirito per compiere la sua
fenomenologia passa attraverso questi momenti. La dialettica è un processo
continuo, che non ha fine, in cui l’inizio coincide con la fine e viceversa. Ogni
inizio ha maggiore consapevolezza. Queste tappe coincidono con periodi
storici, che Hegel chiama figure storiche. Si giunge all’assoluto quando si ha a
disposizione la consapevolezza, l’uso della religione, il distacco dalla religione.
Lo spirito è assoluto quando riesce ad emanciparsi dalla religione. La religione a
sua volta precede lo spirito assoluto. L’ultima tappa mi deve dare la possibilità
di tornare indietro con una consapevolezza maggiore. La coscienza porta l’altro
a se e si sviluppano le varie figure della coscienza. Il primo momento della
coscienza è la certezza sensibile. Descrive la conoscenza che Parmenide aveva
criticato, ovvero quella dell’apparenza, legata ai sensi. È la certezza che deriva
dal modo poliedrico di percepire le cose dei sensi che ci da una certezza
fallace. Il soggetto che crede di conoscere non conosce la cosa nella sua verità,
ma conosce il suo fenomeno. Il soggetto nel primo momento non coglie l’essere
della cosa. Si sottrae alla conoscenza di stampo universale. Il secondo
momento è la percezione, il percepire l’uno, che è inevitabilmente la
molteplicità. È un’apertura verso l’universale. La percezione ha come principio
un approccio verso l’universale. La percezione considera tutto dal punto di vista
dell’universale. È il momento dello coscienza che organizza i dati sensibili in
forma unitaria. Il momento della percezione rispetto a quello della certezza
sensibile è un momento di sviluppo. Il principio della percezione non è il qui e
ora, ma l’universale. Durante la percezione io percepisco la molteplicità come
unità. Un albero è insieme di elementi che danno vita ad un’unità. Il terzo ed
ultimo momento della coscienza è l’intelletto, ovvero lo sviluppo più alto della
coscienza. Nell’intelletto le contraddizioni si risolvono. È quindi la sintesi.
L’intelletto concepisce l’oggetto, che dipende dal soggetto ed è distinto dalla
sua essenza. In Hegel è il primo momento, per Kant era l’ultimo. Nella figura
dell’intelletto l’oggetto è ricondotto alla coscienza, ed è costruito dal soggetto.
La sua essenza resta irraggiungibile. In questa prospettiva dell’intelletto il
fenomeno è ricondotto all’interiorità. L’altro è solo nella coscienza, e questa per
conoscere deve diventare autocoscienza, cioè coscienza di coscienza. La
coscienza per conoscere davvero non si può riferire a ciò che è fuori di se, ma
deve diventare autocoscienza. La seconda figura della fenomenologia dello
spirito è l’autocoscienza. La dialettica del servo e del padrone la troviamo nel
momento in cui le coscienze entrano in conflitto tra di loro. La consapevolezza
di sé come consapevolezza della verità è una sorta di ritorno. Il viaggio che
compie la coscienza nell’autocoscienza, ovvero il momento in cui la coscienza
capisce che il vero è dentro di se, termina perché là coscienza ha piacere di
ritornare. Il ritorno non è figurato, ma interiore. È il ritorno nella propria intimità.
La coscienza capisce che tutto ciò che ha conosciuto è la proiezione di se fuori
di se. Questo ritorno è nello stesso tempo molto confortante ma altrettanto
terribile, perché la coscienza deve ammettere che l’altro da se dell’io è un altro
io, che conosciuta l’abbondanza non può più farne a meno. La domanda che si
pone Hegel è come si rapportino tra di loro le autocoscienza. La coscienza è
tale nel momento in cui desidera l’altro da se. Il desiderio si può appagar
soltanto riducendo l’altro a se, facendolo proprio, soffocando l’alterità dell’altro.
La dinamica del desiderio per essere risolta si deve esplicare
nell’appropriazione.

Hegel ha il bisogno di superare il binomio storico rappresentato da logica e


metafisica.
La Fenomenologia è la logica del fenomeno; nel titolo dell’opera appare chiaro
che la metafisica lascia il posto alla logica.
La Fenomenologia ha il compito di realizzare le condizioni di questo
superamento; sarà un’introduzione alla logica: Hegel scriverà La scienza della
logica.

La Fenomenologia è un viaggio, le cui tappe sono: coscienza, autocoscienza,


ragione, spirito, religione e sapere assoluto.
Dall’atto in cui la coscienza porta l’altro a sé, lo riduce a sé, si sviluppano le
varie figure storiche, come quella del servo e del padrone.
Le tappe sono i modi attraverso i quali l’assoluto si manifesta nella storia: i vari
periodi storici sono le tappe di questo viaggio, della manifestazione
dell’assoluto.

La certezza sensibile è la certezza delle coscienze comuni (Socrate: il vero


sapere è sapere di non sapere), è una forma fallace della conoscenza, è la
certezza dei sensi, troppo soggettivi, è la conoscenza dell’apparenza. Questo
tipo di conoscenza è un tranello, è la conoscenza più astratta, è la conoscenza
di questa cosa qui e ora, non è la conoscenza dell’universale, è la capacità
immediata che ci fa cogliere l’oggetto qui e ora, l’immediatezza, ci fa cogliere
l’altro da sé collocato nello spazio e nel tempo.

Alla certezza sensibile segue la percezione; l’oggetto è percepito uno o


molteplice, la percezione considera l’oggetto dal punto di vista dell’universale;
la percezione è un atto della coscienza, che organizza i dati sensibili, è un atto
più maturo, permette di organizzare i dati sensibili in forme più unitarie.
Nè certezza sensibile nè percezione sono in grado di cogliere il vero, non sono
forme di conoscenza adeguate a cogliere il vero, siamo ancora immersi nella
molteplicità.
Hegel fa un esame esplicito della controversia tra razionalismo ed empirismo.

L’intelletto in Aristotele era un principio di ordine, tabula rasa; l’intelletto


concepisce qualcosa come oggetto costruito dal soggetto, distingue soggetto
da oggetto e mette in evidenza come l’oggetto dipenda dal soggetto.
Il fenomeno è ricondotto ad un momento dell’interiorità del soggetto.
Poiché l’altro è altro solo quando la coscienza lo fa proprio, quando è ricondotto
all’interno del soggetto; la coscienza per conoscere deve diventare
autocoscienza, coscienza di se stessa, coscienza di coscienza.

Nell’autocoscienza la coscienza smette di considerare il vero come l’altro da sé,


perché il vero mondo esiste dentro di sé.
La coscienza ritorna a casa, nel regno in cui la verità è a casa, perché la
consapevolezza di sé coincide con la consapevolezza della verità.

La coscienza ha la consapevolezza che esistono altre coscienze che sono


oggetto del proprio desiderio. L’altro da sé dell’io è l’altro io. È la
consapevolezza di avere il desiderio di altro, di essere alle dipendenze di
questa cosa che desidero.
Quando la cosa che desidero è un’altra coscienza ho l’assoluta definizione e
chiarimento che ritornando nella casa della verità capisco che non sono
autosufficiente, ma il desiderio mi lega ad altre coscienze, agli altri io, perché la
coscienza si determina nella misura in cui desidera l’altro da sé.
Il desiderio si placa quando ottengo l’altro, quando lo riduco alla mia
autocoscienza, quando lo faccio proprio. Quindi la caratteristica fondamentale
di ogni desiderio è l’appropriazione.
Il desiderio porta all’appetito e l’appetito all’appropriazione.
Il rapporto tra le coscienze mette in pericolo la vita dell’altro.

Quando l’oggetto del desiderio è un altro soggetto, che ha una sua coscienza e
una sua volontà, noi appropriandocene lo cancelliamo come altro.
Ma anche l’altro vuole fare altrettanto con noi e cancellando l’altro si cancella il
senso dell’io; quindi appropriarsi dell’altro significa cancellare il suo io.
Hegel delinea la lotta per il riconoscimento che sfiora il pericolo della vita.
Per Hobbes “l’uomo è lupo dell’uomo”, vuole il diritto di tutti su tutto.
Con Hegel invece siamo sul piano mitologico, sul piano della conoscenza.

Nella storia il servo è colui che ha perso il suo io, individui ridotti a oggetti,
individui privi di autonomia (la capacità di governarsi, di darsi una regola).
Il padrone è colui che comanda, che è autonomo.
In Hobbes l’uomo aliena i propri diritti e li trasferisce allo Stato, diritti mai più
recuperati.
In Hegel il padrone è colui che, pur di comandare, è disposto a combattere, fa
le guerre, gestisce la sua vita in maniera spavalda, anche a rischio di morire.
Il servo invece è colui che si sottomette alla sovranità del signore per paura di
perdere la propria vita, per conservare integra la propria vita.
La differenza dipende dal fatto che il padrone è disposto a sacrificare la vita pur
di comandare, il servo per conservare la vita è disposto a perdere la propria
indipendenza, la propria autonomia.
Ma il padrone trova la sua definizione di padrone perché ha dei servi su cui
comandare; il servo in questo modo rende padrone il padrone, non esiste un
padrone senza servo.
In Hegel il padrone, non potendo fare a meno del servo, diventa servo del
servo; il lavoro rende il servo, che rende il padrone tale grazie al proprio lavoro,
padrone del padrone: è il lavoro che emancipa il servo dalla sua condizione di
servitù.
Per Marx il lavoro non rende i servi padroni, ma aliena i servi traducendoli in
oggetto del proprio lavoro, il lavoro aliena il lavoratore e lo rende materia.

Nell’autocoscienza si delinea una parte coraggiosa, che sfida la morte


(padrone) e una parte che tutela invece la propria vita (servo). Si dimostra il
fenomeno della servitù sia stato responsabile della genesi dei vari padroni.
Hegel mette in evidenza l’importanza del lavoro, perché tramite il lavoro il servo
si emancipa dalla propria situazione servile fino ad essere padrone del padrone
(non esiste padrone senza servitù). Per Hegel il lavoro nobilita, mentre per Marx
il lavoro vs a deturpare la stessa natura dell’uomo, perché lo rende materia.
Un’altra concezione del lavoro è che esso renda liberi (come sul cancello di
Auschwitz, concezione del lavoro nell’ambito dei totalitarismi). I totalitarismi
infatti nascono proprio dalla concezione che il vero è l’intero. Il servo è servo
per paura, ma si emancipa grazie al lavoro. Servizio e lavoro sono momenti
dialettici dell’assunzione della coscienza di sé propria del servo. Attraverso il
lavoro ha iniziato a usare la sua potenzialità. Attraverso il lavoro avviene il
processo di liberazione del servo. Il padrone che si credeva invincibile scopre di
non essere autonomo, ma di essere dipendente dal servo. Dentro ciascuno di
noi è presente sia il servo che il padrone. La parte più debole spesso ci
condiziona fortemente, e dunque la nostra apparente forza è in realtà sostenuta
da quella che sembra essere la nostra debolezza. La fenomenologia dello
spirito indica i momenti attraverso i quali lo spirito si è manifestato nei momenti
storici. Dalla dieta letti a servo padrone esce una dialettica tra il debole e il forte
insanabile. Questo conflitto tra le due autocoscienze è un conflitto per la
propria affermazione e per la propria autonomia, perché soltanto quando
conosciamo noi stessi affermiamo noi stessi. L’antichità classica ha riflettuto
molto sul tema della libertà. Io ho consapevolezza di me e dunque comincio a
delineare le mie libertà. Perché l’io si salvi dall’annichilimento, l’altro deve
essere annullato, e tutte le filosofie dell’età ellenistica esprimono il tentativo per
compiere ciò. Hegel in particolare riflette su scetticismo e stoicismo, che
riflettono sulla libertà dell’altro da se. Per liberarsi dal mondo lo stoico si rifugia
nell’astrattezza del pensiero. La liberazione della libertà dell’altro da se si pone
come libertà del mondo. Lo stoico raggiunge l’atarassia per liberarsi dai propri
pensieri, lo scettico pratica l’epoke, cioè la sospensione del giudizio. L’uomo
contiene in sé l’altro perché ne ha bisogno per via della condizione di natura. Il
filosofo stoico afferma se stesso solo ed esclusivamente come pensiero,
liberandosi da ogni impulso. L’atarassia è assenza di passioni, un invito a
rifiutare il mondo come fonte di passioni. Un modo per raggiungere questo
livello è aspirare all’indifferenza dell’altro. Per realizzare se stesso, l’altro deve
essere indifferente. L’uomo per lo stoico deve rompere ogni connessione con
l’altro per affermare se stesso e la propria libertà. Lo stoico compie un errore,
perché se io aspiro all’indifferenza in realtà perdo la mia stessa libertà. Lo
stoico anela alla libertà, ma la vive come pura astrazione, non è ancora
compiuta realizzazione di essa. Lo stoico cerca di sottrassi dal mondo, ma il
mondo continua ad essere presente come una minaccia pericolosa fuori di lui. Il
pensiero si manifesta nella crescita naturale dell’uomo. In Hegel c’è un tentativo
di individuare nella storia gli elementi di sviluppo, che spesso coincidono con gli
errori. Lo scetticismo antico è un tentativo di aprire la porta alla libertà, ma
anche questo è imperfetto. Lo scetticismo nega l’altro da se e il mondo
mettendo tutto in dubbio, e nega dunque se stesso. Negare il mondo significa
negare la percezione del mondo e quindi la validità stessa del pensiero. In
questo periodo storico lo spirito raggiunge una fase di pura contraddizione, e si
rintraccia la figura della coscienza infelice, in particolare nel cristianesimo
medievale. La coscienza infelice è scissa tra uomo e Dio, e avrà un ruolo
importantissimo, perché apre la strada all’unità che si realizzerà nella ragione.
La contraddizione si fa ancora più evidente ed esplicita, e quello che era lo
sdoppiamento della coscienza si propone in quello che è stato il conflitto stoico
medievale tra mutevole e mutabile, tra Dio e uomo. Il mondo che lo scettico e lo
stoico hanno interiorizzato diviene il mondo dell’assolutamente altro
trascendente, diventa oggetto del misticismo cristiano. Dio diventa
l’esplicazione di ciò che è l’assolutamente altro. La ricerca interiore che inizia
nell’autocoscienza si svolge come pura tensione verso Dio. Tale tensione però
non conduce ad alcuna realizzazione, perché l’uomo è finito, mutevole. La
coscienza allora è infelice, orche non riesce a realizzare la propria tensione
verso Dio, il proprio desiderio, e quindi non riesce a raggiungere se stessa. La
coscienza infelice è cosciente della sua incapacità di realizzare se stessa, ed
esprime la drammatica tensione dell’individua verso l’altro da se, verso il divino
che è irraggiungibile. Il superamento della scissione si determina nella
coscienza fra se stessa e l’altro. Bisogna arrivare al massimo dell’infelicità per
trovare la via d’uscita da essa. Se l’infelicita è causata dalla scissione, si apre la
via per il superamento della scissione. L’infelicità è esplicita lotta interiore che
va superata elevandoci verso una superiore unità, verso un’unità che rende
risolvibili i conflitti dell’autocoscienza. Risolviamo questi conflitti raggiungendo
una maturità razionale. Nello stadio della ragione la coscienza acquisisce
consapevolezza, e la coscienza è certa di essere ogni realtà. La ragione si
determina quando la coscienza è certa del fatto che ogni realtà effettiva non è
nulla di diverso da lei. La ragione si afferma quando la coscienza è consapevole
che per essa non esiste altro da se. La ragione è la certezza della coscienza di
essere ogni realtà. La coscienza acquisisce questa consapevolezza nelle forme
sempre più certe di apprendimento e di comprensione della realtà. La ragione
affronta varie tappe. Si esplica in un periodo storico che inizia con l’illuminismo.
La ragione dà alla coscienza la consapevolezza di sé grazie alla apprendimento
della realtà. In un primo momento la ragione si esplica come ragione
osservatrice, la condizione della ragione che osserva la natura, e corrisponde al
periodo della scienza moderna che scopre le leggi matematiche e razionali del
mondo. La natura va esplorata con l’osservazione. Comincio a conoscerla ma
non ancora a definirla quando ne conosco le leggi di svolgimento. Ancora non
sa chi essa sia, perché il processo di conoscenza deve raggiungere il suo
culmine. Si mette in atto la ragione osservativa, momento in cui lo spirito si
manifesta attraverso la ragione. Ha un grande difetto, finisce per ritrovare se
stessa nell’altro, non sviluppa consapevolezza, ma conosce se attraverso una
presa d’atto della razionalità del mondo. La ragione osservativa non ha piena
consapevolezza di sé ma ancora è immersa nel rivedo che le serve per cogliere
la razionalità della natura. Studia le leggi e rimane sconvolta dalla razionalità
che la circonda. Poi anche la ragione acquista consapevolezza di sé, non si
limita ad essere osservativa ma si afferma come ragione attiva, che rinuncia alla
scienza e sviluppa un sistema di relazioni affettiva con atre autocoscienze, e
cerca di elevare la coscienza a universalità. Score il piacere, scopre la follia, la
legge del cuore, scopre che il mondo vive il suo corso. La ragione attiva
rinuncia alla scienza. Il piacere si scontra con la determinazione ad essere
individuo. L’individuazione ha una connotazione della cultura settecentesca,
che troviamo nel romanticismo e nel Faust di Goethe. Faust è uno scienziato, è
determinato ad agire da un furore intellettuale incontenibile. Vende l’anima al
diavolo in cambio della realizzazione dei propri desideri. Sarà salvato
dall’amore, mettendo se stesso al centro di una serie di avventure che
attraversano i secoli. Il suo fallimento è il simbolo del fallimento di coloro che
vivono in funzione del proprio appagamento personale. Cela un senso della
morte molto profondo. La morte è l’unica certezza dalla quale nessuno di noi
potrà mai fuggire. Il piacere porta alla sconfitta. Seguire il piacere ci conduce al
fallimento. Nella legge del cuore si scontrano le leggi universali degli uomini
diversi. È la seconda tappa della ragione attiva. È il momento in cui la coscienza
individuale riconosce in sé l’universale e si pone in una sorta di dimensione
partecipativa. Si preoccupa del bene collettivo. Il difetto dia russa figura è la
pretesa che la propria prospettiva universale coincida con quella degli altri. La
ragione attiva in questa fase rischia di scontrarsi con le altre ragioni attive.
Nell’ultima tappa, la virtù, si compie il superamento dell’individualità. L’uomo
riesce ad andare oltre se stesso. È una virtù ancora lontana dal reale corso del
mondo. Anche questa è destinata al fallimento. È necessario che la virtù superi
il contrasto tra individualità e mondo. L’ultimo momento della ragione, che
considera se stessa reale in sé e per sé, è la sintesi tra ragione osservativa e
ragione attiva. La ragione deve diventare autocoscienza che supera la dialettica
io-mondo, e si rivolge a se stessa come compenetrazione tra individuale e
universale. Deve rivolgersi a se stessa come il nucleo che riesce a compensare
individuale e universale. In questo scenario abbiamo tre figure: la singolarità
dell’arbitrio, secondo cui l’uomo è il fare puro. Unito al fare degli altri, il fare
puro è un’attività quasi fine a se stessa; la ragione legislatrice, che comincia ad
acquisire contenuto e coscienza di se stessa, e si dota di imperativi categorici.
Gli imperativi categorici hanno però un limite, restano astratti universali; la
ragione esaminatrice, secondo cui il formalismo morale di Kant non si esaurisce
nell’attestazione di imperativi, ma compie lo sforzo di essere critica, cioè
esaminare le leggi degli uomini ergendosi a giudice universale. Il limite della
ragione è l’astrattezza, anche quando prova a confrontarsi con il mondo.
Bisogna superare l’astrattezza, perché lo spirito che ha raggiunto la piena
consapevolezza di sé, che si è saputo manifestare e cogliere nell’universale
come ragione deve orientarsi verso l’altro da se. La ragione deve divenire
spirito. La ragione necessità di una metamorfosi. La ragione diviene spirito nella
concretezza storica, in cui si concretizza la consapevolezza. Hegel ha liberato
l’autocoscienza dalla servitù dell’oggetto. La realizzazione avviene quando il
pensiero astratto riesce ad applicarsi alla storia e diventa capace di
realizzazioni e trasformazioni concrete. Con la realizzazione storica della verità
la ragione diventa spirito. Hegel parla della verità del concetto, che si realizza
nella dimensione storica, e rappresenta la cifra del pensiero hegeliano. Si
realizza il pieno collegamento con Fichte e Schelling. Fichte aveva infatti parlato
della missione del dotto nella storia. Con Schelling c’è un collegamento
negativo, dunque per antitesi, perché preferiva la dimensione estetico-teoretica
della filosofia alla dimensione pratica. Il rapporto d’identità tra coscienza e
mondo si eleva a rango di concetto, e questa elevazione può avvenire quando le
istituzioni e la storia di un popolo libero lo consentono. Hegel coglie il
compimento dello spirito nella storia. La ragione diventa spirito attraverso delle
tappe. Eticità (spirito in sé), cultura (fuori di sé), moralità (in sé e per sé) sono i
momenti del percorso dialettico dello spirito. L’etica è la riflessione sul
comportamento. La cultura è l’espressione dello spirito. La morale sono le
norme di comportamento, e sintetizza etica e cultura. L’etica è la norma, la
morale è l’applicazione alla luce della cultura. Il momento dell’eticità è la
classicità, che coincide con la polis. Con la polis il popolo greco ha realizzato la
dimensione del bene pubblico nell’immediatezza della costituzione. In questa
fase c’è un momento discutibile, perché riemerge la condizione individuale, e
Sofocle esprime questo momento di manifestazione dello spirito nell’Antigone
(scontro tra legge divina e legge umana). Antigone esprime il rifiuto della legge
umana (Creonte) quando questa contrasta quella divina. Antigone rappresenta
l’individuale, l’eroina solitaria, impegnata in una missione individuale contro lo
stato, che rappresenta il bene pubblico. Antigone rappresenta l’eticità come
momento incompleto della manifestazione dello spirito, perché ancora a livello
individuale. È la scissione tra individuo e società, e diventa la condizione di
passaggio verso la modernità. Tale condizione raggiunge l’apice nell’Europa
moderna. La fase della cultura contrappone formalismo culturale e fede. La
fase della cultura contrappone il formalismo della cultura e il sentimento di
fede. L’uomo moderno contrappone la ricerca della ricchezza e del bene
dall’etica. Si afferma la ricerca culturale. L’eccesso culturale è rappresentato
dal barocco. La fase della cultura contrappone formalismo culturale e fede.
L’individuo moderno scinde la ricerca del potere e l’etica pubblica. La mera
ricerca cultuale si rivela un inutile vezzo intellettualistico. Il vezzo
intellettualistico è la tipica espressione del rococò, dell’eccesso. Questo
formalismo è senza scopo, dunque non rientra in una dinamica finalistica. A
questa tendenza si contrappone la dimensione della fede. Hegel mette in
evidenza il contrasto tipico dell’epoca barocca, la ricerca di un altro mondo in
sostituzione del nostro, che è vacuo. L’illuminismo ha ancora forte in sé una
contrapposizione, caratterizzata dalla dimensione etico-politica. L’illuminismo
vive la contrapposizione tra etica e politica, mette in moto una libertà vuota. Il
suo esito è il terrore. La figura di riferimento è Robespierre. L’ultima fase è
quella della riconciliazione morale, il ritorno in sé della ragione, che diviene
spirito. La morale di Kant è il superamento di quella cultura astratta, di quella
concezione del libertinaggio dell’illuminismo. È una libertà che perde se stessa
e si rifugia nel terrore. A salvare la patria sarà Kant con la sua morale.
L’illuminismo con Kant assiste all’interiorizzazione della legge. Il tema del
dovere morale è necessità imperativa, è contenuto della coscienza. Grazie a
Kant superiamo la fase astratta e vuota della cultura. Chiaramente si corrono
dei rischi, perché abbiamo una sorta di mania autoreferenziale, ovvero il dovere
per il dovere, dunque c’è un’esasperazione del dovere, l’anima bella, che fin
troppo consapevole della bellezza morale evita l’agire. L’anima bella su pone
come coscienza giudicante piuttosto che agente, si ribadisce il dualismo tra
azione e riflessione. La fine del viaggio si realizza con la formazione della
coscienza, con cui si superano i limiti spirituali dell’anima bella romantica. Si
realizza la religione, che è compimento dello spirito, e che consente allo spirito
stesso di superare il dualismo del romanticismo, i limiti dell’anima bella. La
religione realizza il compimento perché lo spirito prende coscienza di sé e della
sua coincidenza con l’assoluto. L’assoluta si presenta alla coscienza come
immagine di Dio, non come concetto. In ciò si manifesta il limite della religione.
Si parla di legge del cuore nell’ambito della ragione attiva. Si scopre il fallimento
della virtù astratta. La ragione si pone come individualità. È necessario che la
ragione superi l’astrattezza. L’ultima fase è la manifestazione dello spirito, la
ragione che diviene spirito. Nell’ambito della cultura abbiamo formalismo
culturale e fede. Nella religione l’assoluto si manifesta come immagine. La fine
rappresenta un nuovo inizio, perché rappresenta un superamento dei limiti
spirituali dell’anima bella, romantica, che si realizza nella religione e nel sapere
assoluto. La religione è il compimento dello spirito. Questo compimento avviene
perché in essa lo spirito prende coscienza di sé. Lo spirito sente di coincidere
con l’assoluto, anche se quest’ultimo si presenta alla coscienza come immagine
di Dio. Questo è il limite della religione. Hegel sottolinea che nella religione si
distinguono forme diverse di manifestazione dell’assoluto. All’inizio si parla di
una religione naturale. L’assoluto si propone nella forma degli elementi naturali.
Poi la religione in Grecia e a Roma rappresenterà la religione in forma umana.
Nel cristianesimo il divino è spirito attraverso le figure (incarnazione, trinità).
Soltanto nel sapere assoluto la coscienza giunge alla fine del suo percorso e
diventa autocoscienza dell’assoluto. Supera la dimensione rappresentativa
dell’assoluto, propria nella religione. Col sapere assoluto si giunge all’apice del
percorso di formazione della coscienza. È la dimensione a cui tende Hegel sin
dalle origini della fenomenologia. Nella dimensione del sapere assoluto si può
esplicare la scienza dell’essere sul piano concettuale, del reale. Anche lì
troviamo un’esplicazione triadica: logica, filosofia della natura e filosofia dello
spirito. La fenomenologia dello spirito è propedeutica alla scienza della logica.

DESTRA E SINISTRA HEGELIANA


Hegel muore nel 1831. Dopo la sua morte si contendono la sua eredità filosofica
i suoi discepoli e non solo. Si parla di disputa tra destra e sinistra hegeliana. Si
parla di destra e sinistra hegeliana in merito ad una fondamentale distinzione
che Hegel avrebbe fatto tra religione e stato. Gli hegeliano della destra
affermano che in Hegel c’è una conciliazione tra religione cristiana e filosofia. I
giovani hegeliani della sinistra sottolineano mio fatto che all’interno dello spirito
assoluto ci sia un’inadeguatezza della rappresentazione religiosa, che verrà
superata soltanto nella fase del concetto. La politica tra destra e sinistra
hegeliana scoppia nel 1835 quando Friedrich Strauss pubblica Vita di Gesù e
nega la verità storica dei vangeli, dicendo che sono mito, prodotto collettivo e
inconsapevole delle prime comunità cristiane. I giovani hegeliani si
schiereranno dalla parte delle istanze democratiche e liberali della borghesia
tedesca progressista. La critica partirà per investire tutto l’assetto storico della
restaurazione. La destra resta ancorata all’affermazione che ciò che è reale è
razionale o deve diventarlo se ancora non lo è. Calando nella sortirà questa
definizione, lo stato prussiano che è arretrato è irrazionale e quindi destinato al
tramonto. Hegel sostiene che la storia rovi compimento nella sua filosofia. A
questo compimento la sinistra oppone il carattere rivoluzionario che trova nel
superamento di ogni condizione storica o sociale determinata in sé. Il primo
autore che spiega ciò è Feuerbach, che propone l’altro critica della religione è
la critica molto cruda della filosofia hegeliana. Avendo appena conosciuto e
metabolizzato il pensiero di Hegel, viene criticato nell’ambito dell’800. Era
esponente della sinistra hegeliana. Feuerbach si lega molto al concetto della
religione, e soprattutto al concetto di alienazione. Parte dagli scritti giovanili e
dagli appunti delle lezioni di Hegel. Parte dalla definizione dell’essere uomo,
che per Feuerbach è l’unico essere naturale in grado di pensare la propria
essenza, che non è l’essenza individuale, ma l’essenza che essa l’uomo è
l’essere del proprio genere, della specie umana. L’uomo per divenire cosciente
di sé ha bisogno di oggettivare la propria essenza. Nella storia dell’umanità
mette in evidenza come questa oggettivazione avvenga nella forma della
rappresentazione religiosa, dove l’uomo proietta la propria migliore essenza in
una dimensione superiore. L’oggettivazione secondo Feuerbach è
inconsapevole. L’uomo si rende inferiore rispetto a Dio. La religione ha giocato il
ruolo di creare questo distacco tra Dio e uomo e oggettivare questo Dio
superiore, rispetto al quale l’uomo è infimo è incomparabile. Dio sovrasta e
domina con la sua trascendenza, che è ciò che determina la vera conoscenza
dell’uomo. Siamo sicuri che Dio abbia creato l’uomo? O forse è stato l’uomo,
che in sé ha la capacità morale e di capire le determinazioni del reale? Per
Feuerbach la coscienza che l’uomo ha di Dio è la coscienza che l’uomo ha di sé.
L’uomo ha volutamente innalzato Dio e umiliato se stesso. Ha espropriato se
stesso del meglio di sé per arricchire Dio. Ciò che l’uomo sottrae a se stesso se
lo gode in Dio in una maniera incomparabilmente maggiore. Proietta in Dio le
essenze che ritiene di non avere, che ha sottratto a se stesso (l’opera di
riferimento è “L’essenza del cristianesimo”). Questa alienazione corrisponde
alla coscienza infelice hegeliana. Il genere umano può superare l’alienazione
religiosa, può riappropriarsi della propria essenza approdando ad una forma di
ateismo. Bisogna superare Hegel perché per capire Dio bisogna andare oltre la
mistica razionale. Ogni forma di idealismo e di pensiero astratto presenta un
carattere religioso. Per Feuerbach il segreto della teologia è l’antropologia. Nel
sistema hegeliano idea e spirito svolgono lo stesso ruolo del Dio nel
cristianesimo. Hegel è autori di un rovesciamento dei veri rapporti tra essere e
pensiero. È arrivato, partendo da questo rovesciamento, all’attrazione
dell’essenza, allo spirito. La sua filosofia produce l’illusione che il pensiero puro,
proiettato al di sopra delle cose e degli uomini, sia fondamento di tutto il reale.
Feuerbach insiste sul concetto hegeliano di spirito e spirito assoluto, che per
Feuerbach è lo spirito finito dell’uomo che si estranea da se stesso. È lo spirito
che si oggettivizza in una astratta entità superiore. Lo spirito è l’uomo stesso, la
sua finitudine estraniata da se, oggettivata in un’entità astratta. È l’uomo che
crea Dio, ma con l’inversione l’uomo identifica in Dio il suo creatore. Ciò che è
originario in realtà è l’essere finito, empirico. L’essere contingente diventa una
semplice manifestazione dell’idea astratta. Feuerbach rifiuta l’idea di
manifestazione dello spirito hegeliano, e gli contrappone la filosofia
dell’avvenire, che deve recitare ogni forma di alienazione. Il suo unico
fondamento dovrà esser l’uomo concreto, che si deve scoprire come essenza
autocosciente della natura, della storia, degli Stati, della religione. L’uomo deve
essere considerato non inferiore, ma nella sua pienezza. L’uomo recupera se
non solo come pensiero, ma come natura. Lo sforzo che compie Feuerbach è
quello di dare unità all’uomo dopo la manifestazione dello spirito. La libertà è la
soddisfazione della volontà che riesce a realizzarsi pienamente.

Potrebbero piacerti anche