Oggi si assiste a una specializzazione della ricerca che pare smarrire il senso della globalità.
Accade anche con lo studio delle religioni, con nuovi metodi di ricerca che rischiano la
miopia specialistica, perdendo l’unità dell’oggetto d’indagine. Certo, un singolo studioso
non può orientarsi in tutti i campi di indagine, ma oggi si sente l’esigenza di recuperare un
senso di globalità. Così è stato pensato questo libro, come una bussola per orientarsi tra i
diversi settori di ricerca.
Lo statuto scientifico delle scienze delle religioni. Nel XIX secolo, sotto l’influsso della
rivoluzione industriale, delle conquiste coloniali e dello sviluppo delle scienze umane, si
avverte il bisogno di un confronto critico tra la tradizione cristiana e le diverse religioni ora
accessibili tramite missionari e traduzioni degli scritti fondamentali. Nasce così, a metà
Ottocento, lo studio comparato delle religioni. Per riunificare poi i diversi contributi di
storia, antropologia culturale, sociologia, etc. nasce la scienza della religione, la quale
risulta però prigioniera di due ipoteche: una apologetica (voler dimostrare la superiorità del
cristianesimo sulle altre religioni) e l’altra scientista (mostrarne l’inessenzialità e predirne
la scomparsa).
Sullo sfondo sta il problema epistemologico dell’alternativa tra spiegare o comprendere la
religione, tra scienze della natura (positiviste) e scienze dello spirito (post-positiviste).
Per il metodo della spiegazione, la premessa è che la religione va distinta dall’oggetto di
fede, è manifestazione antropologica che va assoggettata all’indagine storico-critica,
“riducendola” agli elementi psico/socio/antropologici soggiacenti. Lo studioso è
avalutativo, come uno scienziato neutrale.
Il metodo della comprensione è invece una tecnica psicologica che mira a cogliere
l’esperienza germinale che sta alla base delle produzioni spirituali e culturali dell’uomo. La
premessa è l’autonomia assoluta della religione che “comincia da se stessa” (R. Otto).
L’interprete dell’esperienza religiosa non può esser neutrale in quanto coinvolto in prima
persona per cogliere il nucleo dell’esperienza religiosa archetipica, rivivendolo.
Oggi si cercano di integrare le due prospettive, rinunciando alla chimera di un solo
paradigma scientifico e valorizzando coinvolgimento e intuizione del ricercatore,
sintetizzando scientificità della ricerca e soggettività del ricercatore.
Scienza della religione o scienze delle religioni? Se dico “scienza della religione”, intendo
un metodo scientifico e un oggetto di indagine; all’opposto, “scienze delle religioni” indica
pluralità di metodo e di oggetto; nel mezzo, le due alternative della “scienza delle religioni”
(un metodo per un oggetto molteplice) e delle “scienze della religione” (pluralità di metodi
per un oggetto unitario). Il presente testo, riconoscendo pluralità metodologica e la
diversità delle religioni nel loro divenire storico, preferisce scienze delle religioni (SR).
Bisogna guardarsi dal rischio della sterile giustapposizione di metodi diversi; così pure
dalla riduzione storica a mera “filologia”, perdendo l’ampio orizzonte di usi e costumi
rivelato dalle “Annales” francesi, unendo storia e scienze umane. Parimenti, occorre
integrare studio sincronico (differenze) e diacronico (permanenze e strutture).
Oggetto delle SR: la religione e la sua autonomia relativa. Occorre definire l’oggetto di
indagine delle SR. Durkheim lo definisce in via ipotetica all’inizio della ricerca, mentre
Max Weber lo definisce al termine della ricerca. Comunque, occorre circoscrivere il campo
di indagine. Bisogna guardarsi però dal rischio di presupporre ciò che ancor si ricerca,
puntando su un concetto di religione che integri aspetti funzionali (a che cosa serve?) e
aspetti individuanti (che cos’è?).
Per far questo, bisogna notare che, accanto al variare delle religioni, permangono strutture e
comportamenti che rivelano come la credenza religiosa possegga una propria logica, un
volto permanente sotto l’evoluzione delle tradizioni, un volto definito da riti e simboli
capaci di una autonomia relativa, in quanto regolati da leggi proprie (generate dall’interno,
non da fattori esterni). È un problema di mediazione: non esiste una religione come mero
prodotto della società e della storia, ma neppure esiste una religione allo stato puro, bensì
un intreccio concreto e storicamente dato (appunto, con autonomia relativa: leggi proprie
+ incidenza del contesto storico-culturale esterno).
Occorre poi una sorta di agnosticismo metodologico: non si può andare oltre quella
simpatia terenziana per tutto ciò che è umano, senza porsi il problema della verità
dell’oggetto della religione.
Definendo il proprio campo in maniera empirica e segnandone i confini in modo induttivo,
le SR si pongono oltre la teologia e la filosofia della religione, puntando sullo studio sul
campo e diversi metodi di “osservazione partecipante”.
I limiti della FR comprendente emergono con l’olandese Bleeker (nato 1899), il quale non
è coerente con le proprie pretese di avalutatività, disseminando la propria ricerca di giudizi
di valore sulle diverse religioni, come forse non può evitare di fare una FR non vuole essere
puramente descrittiva ma comprendente e partecipativa.
La FR storica nasce dalla relazione tra FR e storia, come accade in R. Petazzoni, il quale,
sulla base di una accurata formazione storica, cercherà di unire la ricerca della genesi con
l’individuazione delle “permanenze” della religione, giungendo però a confondere i due
momenti nei suoi lavori comparati.
Per superare tale limite, lo svedese Widengren rifiuta la definizione a priori della religione
come “incontro col sacro” propria della FR comprendente e punta sulla costruzione di
“tipi” non ideali o filosofici bensì sorti da humus storico. Il modello di fondo è la fede nel
Dio supremo, da cui scaturiscono panteismo, politeismo, monoteismo.
Alla FR si riconduce pure lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade e il suo “Trattato
di storia delle religioni”, un’opera di morfologia religiosa che dipende però dalla FR
comprendente. Evita definizioni a priori della religione, ma rifiuta pure una FR puramente
descrittiva: il fenomeno religioso “puro” non esiste, va colto nella sua dimensione storica,
ma senza dimenticarne gli elementi irriducibili e originari, cioè il sacro inteso come “un
elemento della struttura della coscienza e non uno stadio della storia di questa coscienza”.
La storia delle religioni come disciplina autonoma è una conquista e una liberazione da
ipoteche di tipo teologiche che nasce col deismo inglese del Seicento e in particolare con
David Hume e la sua “Storia naturale della religione” (1757). Hume non nega che esista un
“autore intelligente” dell’universo, bensì che questa esistenza razionalmente accessibile
implichi una dimensione religiosa connaturata all’uomo, affermando piuttosto che la
religione è un’emergenza storica, e dunque non esiste una religione naturale e universale,
bensì sentimenti di speranza e paura che, nei selvaggi, hanno originato le prime tracce di
“divinità”. Come molti sono i sentimenti, così pure gli dei (politeismo primitivo).
Da Hume, passando per la riduzione illuministica della religione, fino a Kant (la religione
nei limiti della sola ragione) si arriva alla nascita della Storia delle religioni a metà
Ottocento come disciplina autonoma. Si raccolgono documenti, li si colloca nei contesti
storici relativi, si ricercano leggi di sviluppo, con il metodo comparativo espresso dalla
monumentale “Mitologia comparata” (1856) di M. Mueller che teorizza un approccio
scientifico privo di giudizi di valore e a priori filosofici.
La Sociologia della Religione (SR) studia il fatto religioso come “prodotto sociale” o
frutto di ideazione collettiva, indagandone il ruolo all’interno dei meccanismi sociali.
Scopo della SR è lo studio delle funzioni sociali della religione, individuando (1) i
contenuti sociali impliciti in un sistema religioso, (2) il “reticolato” religioso come
connettivo di una data struttura sociale, (3) le modalità sociologiche in cui si articolano le
strutture religiose.
La SR nasce con la sociologia stessa.
La sociologia delle origini in Francia guarda alla società come “dover essere”. Saint-
Simon (1760-1825) auspica un Nuovo cristianesimo che, superando le diverse confessioni
cristiane, torni al modello originario fondato sul “sentimento filantropico originario” che ne
costituirebbe la vera base. Il nuovo cristianesimo sarebbe dunque filantropia: amarsi a
vicenda, considerandosi fratelli. È un interesse strumentale per un cristianesimo de-
teoologicizzato in funzione di equilibrio sociale e riforma della società.
Auguste Comte (1789-1857) sviluppa la legge dei tre stadi (teologico, metafisico, positivo-
scientifico) in cui include anche l’evoluzione della religione: feticismo, politeismo,
monoteismo. La fisica sociale/positivismo sarà la nuova religione dell’umanità.
La religione svolge una funzione di coesione sociale. La religione non è solo fatto
intellettuale, bensì etico e affettivo. Le norme religiose offrono coesione alla comunità
sociale. Ma la religione ha una funzione transeunte, poiché lascerà lo spazio alla Umanità
e alla società positiva fondata su Amore, Ordine e Progresso.
Emile Durkheim (1853-1917) pubblica “Le forme elementari di vita religiosa” (1912) in
cui indaga la reciprocità tra religione e società, definendo la caratteristica comune alle
diverse credenze religiose ovvero al distinzione tra sacro (interdetto/separato) e profano
(di cui si può parlare).
All’origine delle diverse forme religiose sta lo stesso stupore dinanzi al mistero, tuttavia la
dinamica religiosa si rivela solo sociologicamente, poiché il religioso è anzitutto un fatto
collettivo: “un sentimento proiettato fuori dalle coscienze e oggettivato”, dove la religiosità
individuale viene gradualmente plasmata dai rapporti interpersonali e sociali e si codifica
in riti riconosciuti.
L’anima di ogni società sarebbe religiosa e, sulla scia di Comte, anche Durkheim pensa che
le credenze religiose possiedano anzitutto forza morale e funzione di stabilità e coesione,
ma dovranno dissolversi nel pensiero scientifico, la “forma più perfetta del pensiero
religioso”.
La religione è quindi ridotta a sublimazione della società; individua un universo simbolico
persistente, che lascia spazio per una relativa autonomia del fenomeno religioso in virtù
della distinzione tra sacro e profano. La religione è un fatto sociale ma non sopprime
l’individualità.
Nell’area tedesca, la sociologia nasce nel dibattito tra scienze dello spirito e scienze
naturali. Max Weber (1864-1920) indaga l’etica economica delle grandi religioni
universali. Non accoglie l’equazione marxiana “religione = alienazione”, pur intendendo
la religione non come fatto trascendente bensì prodotto storico.
Studia anche la nozione di carisma: “una qualità straordinaria attribuita a una persona
considerata come dotata di forze e proprietà soprannaturali”. Il carisma segna la personalità
dei grandi fondatori delle religioni.
Studia l’etica economica delle religioni: il rapporto tra induismo e stratificazione sociale
(non ci si propone l’uscita dalle caste né la rivoluzione) e, soprattutto, “L’etica protestante
e lo spirito del capitalismo” mettendo in rilievo il rapporto tra sviluppo dell’economia
borghese ed etica calvinistico-puritana. Il lavoro professionale indefesso e vincente è segno
della fede sincera e indizio di predestinazione alla salvezza. Questo legame non significa
però che l’economia sia determinata esclusivamente da fattori religiosi. Si deve invece
riconoscere che una diversa velocità di sviluppo economico delle diverse popolazioni ha
anche risentito dell’influsso religioso. Superando, dunque, la tesi marxiana della semplice
alienazione. Specificità funzionale della religione (nella società e nell’economia) e relativa
autonomia del fatto religioso.
Le scuole sociologiche classiche, abbiamo visto, seguono tre filoni di ricerca: (1)
l’orizzonte utopistico e riformista, (2) l’ottica funzionalista e sociale, (3) il rapporto tra
credenze religiose e istituzioni economico-politiche.
La svolta viene segnata dal francese Gabriel Le Bras (1891-1970), privilegiando l’ambito
cristiano-occidentale e la storia moderna/contemporanea. Negli anni Trenta sviluppa una
metodologia volta a misurare la pratica religiosa entro le dinamiche istituzionali. “La chiesa
e il villaggio”: ricerca condotta sul campo, con preparazione storica, scoprendo – ad
esempio – che le croci rurali in pietra tipiche della Normandia sono la riplasmazione di
antichi culti celtici.
Le Bras ha acuta sensibilità storica e non si ferma mai ai puri dati statistici, preferendo la
dimensione diacronica a quella sincronica, pur presente. Unisce statistica e approccio
storico.
Continuatore della sua ricerca è Jean Seguy che indaga il significato sociologico di alcuni
movimenti “tipo-setta” sorti dal basso a matrice pentecostale e carismatica.
Individua il carisma come fondamento della leadership, collocando tali movimenti nel
weberiano “disincanto del mondo”; in cui le istituzioni hanno perso sacralità. Esplora la
protesta anti-istituzionale dei movimenti e gruppi religiosi, approfondendo la distinzione tra
chiesa e setta ma aggiungendo una analisi storica della formazione delle sette: se nel
primo medioevo sono più confraternite abbastanza ortodosse, la rottura si ha colla Riforma,
in cui il proliferare delle sette è visto come il tentativo della società religiosa di ripensare se
stessa.
Esigenze di riforma e rinnovamento – anche collettivo – che, d’altra parte, erano già emerse
con gli ordini monastici del medioevo che avevano espresso tali tendenze innovatrici e di
richiamo alla purezza originaria con obbedienza e silenzio (una utopia obbediente, non
rivoluzionaria). Lo studioso individua i caratteri del monachesimo: rottura psicologica,
isolamento geografico, scelta ascetica di un gruppo di virtuosi. A volte si può anche
protestare contro la Chiesa (i domenicani rivendicano il diritto alla predicazione) oppure
contro la società (razionalista).
Esaminati nella loro valenza sociologica, i fatti religiosi conservano però una specificità
irriducibile.
Brian Wilson indaga i movimenti messianici del terzo mondo alla luce del rapporto tra
secolarizzazione e nuovi movimenti religiosi. Essi sono geograficamente estesi,
valorizzano un aspetto del cristianesimo pur presentandolo come unico ed esclusivo. Fanno
presa sugli strati sociali più poveri ed emarginati, ma anche sui ceti medi emergenti. Sono
radicali (rottura con la chiesa madre o istituzionale) e conservatrici (riaffermare i valori
originari).
Le sette sono un fenomeno che mette in crisi l’equivalenza “secolarizzazione = mancanza
di religiosità”. Se anche il progresso scientifico porta al “disincanto” del mondo, tuttavia
questo conosce battute di arresto, addirittura dei “ritorni”. La secolarizzazione sarebbe una
tendenza dominante, ma al tempo stesso causa della (ri)nascita (per reazione) di
movimenti religiosi.
Indaga anche i movimenti religiosi di liberazione anticolonialista a carattere profetico-
messianico, rilevandone le caratteristiche taumaturgico-rivoluzionarie.
La sociologia americana risente delle forte influenza funzionalista che viene criticata da
J. Milton Yinger il quale studia il rapporto tra religione e mutamento sociale: le
religioni sovente hanno la funzione di rassicurare e confortare in tempo di crisi, ma
favoriscono altresì cambiamenti sociali e risoluzione di problemi. Si parla di “influenza
indipendente” delle religioni sul mutamento sociale, rivedendo criticamente l’approccio
weberiano (che presumeva una influenza più stringente tra religione ed economia).
Sempre negli USA, aldilà del funzionalismo Peter Berger indaga la connessione tra
pluralismo religioso e secolarizzazione: la secolarizzazione nasce dalla messa in crisi del
monopolio religioso della chiesa istituzionale, crisi in cui trovano terreno fertile per
svilupparsi diverse sette e movimenti che, reagendo alla mancanza di un controllo forte e
istituzionalizzato, proliferano sul mercato ponendosi come modelli di valore religioso
alternativo e in concorrenza tra loro.
Berger esamina in particolare le forme profetico-escatologiche che rilanciano la teodicea
come risposta a una situazione di sofferenza.
Teorizza l’ateismo metodologico: lo studioso deve essere laico, cioè imparziale.
In Italia la SR nasce negli anni Cinquanta. Nel 1957 esce il primo numero di Sociologia
Religiosa, rivista curata da Sabino Acquaviva con “rigorosa analisi dei dati di fatto, in
parte notevole di carattere statistico”.
Il suo “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale” (1961) è un classico della ricerca
sociologica italiana (con prefazione di Le Bras).
Coglie la parabola evolutiva delle credenze religiose in rapporto ai popoli primitivi, al
Medioevo e all’età moderna e contemporanea, in parallelo allo sviluppo dell’economia da
agricola a industriale e urbana. Questo sviluppo sarebbe la causa determinante della eclissi
del sacro (secolarizzazione). Tuttavia, pur decaduto in quanto a manifestazione sociale, il
sacro rimane come archetipo nella mente individuale.
Critiche ad Acquaviva: si muove da un’ottica etnocentrica (società industriale
dell’Ottocento) e con tono apologetico funzionale agli interessi della Chiesa Cattolica.
Silvano Burgalassi scrive “Il comportamento religioso degli Italiani”, “Italiani in chiesa”,
“Le cristianità nascoste” studiando – senza giudizi di valore – il rapporto tra religione e le
diverse variabili sociali.
Gustavo Guizzardi elabora una sociologia politica della religione in cui la religione è un
prodotto verso il quale esiste un consenso in parte imposto, in parte autonomo, in ogni caso
elaborato dalla istituzione ecclesiastica.
Gli studi più recenti della sociologia italiana riguardano i nuovi movimenti religiosi,
pentecostali e carismatici in particolare, indagando la dialettica tra queste realtà e la chiesa
istituzionale.
Franco Ferrarotti (“Una fede senza dogmi”) ritiene la religione di chiesa destinata
all’eclissi, mentre sopravvive il sacro con funzione utopica/assiologica.
Capitolo settimo. LE SCUOLE ANTROPOLOGICHE
Iniziatore è Edward Tylor (1832-1917) che elabora la teoria dell’animismo. Sia nel sogno
che nella morte l’anima si stacca dalla persona (meglio: dal corpo; NdR) –
temporaneamente o definitivamente – per accedere ad altri mondi o esperienze. Di qui
l’idea che il mondo sia popolato di spiriti che, in seguito, vengono distinti in buoni e cattivi.
Un vero e proprio pantheon politeistico che culminerà nella riunificazione di una sola
entità divina (monoteismo come forma religiosa più alta). Evidenti reminiscenze
dell’evoluzionismo comtiano.
Le scuole simboliche intendono le religioni come sistemi di simboli che agiscono per
instaurare atteggiamenti e motivazioni forti e durevoli mediante l’elaborazione di concetti
relativi a un ordine generale dell’esistenza. La religione è legata al problema del significato.
Il simbolo religioso ha una dinamica propria ma al tempo stesso interagisce col piano dellla
storia (autonomia relativa).
Appendice.
LE RELIGIONI: PROBLEMI DI DEFINIZIONE E DI CLASSIFICAZIONE
Si origina una tensione tra visione essenzialistica (sostantiva – che cos’è?) e visione
funzionale (che cosa fa?) della religione. Lucrezio precorre il secondo filone ricordando
Ifigenia sacrificata dal padre Agamennone per un voto di sacrificio per propiziarsi gli dei.
Per Lucrezio la religione nasce dalla paura, ha la funzione di indurre gli uomini a compiere
persino nefandezze, ma è destinata a estinguersi quando si affermerà la razionalità.
Durkheim definisce la religione come “un sistema solidale di credenze e pratiche relative a
cose sacre, cioè separate e interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale,
chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono” (definizione sostantiva).
Marcel Mauss approfondisce la definizione del maestro, distinguendo la religione in senso
stretto e in senso lato (magia e superstizioni popolari).
Max Weber ricava una definizione alla fine della sua ricerca, definizione funzionale
abbastanza generica: la religione deve assicurare che “tutto vada bene”.
Troeltsch punta su una definizione sostantiva, che contenga il principio normativo e la
necessità della sua graduale realizzazione: “elevazione al Divino realizzantesi in una
specifica forma di vita vissuta”.
Negli Usa ci sono tre correnti: (1) la teoria dell’illusione, per cui la religione sarebbe “la
speranza nelle coscienze umane”; (2) la teoria simbolista, per cui i simboli religiosi
assolvono la funzione di garantire coesione sociale; (3) la teoria cognitiva per cui la
religione permette al pensiero di interpretare il mondo e all’azione di controllarlo.
Milton Yinger afferma una religione con la funzione di contenere l’angoscia umana, dando
conto del male e della sofferenza.
Per Robert Bellah, sociologo a Berkeley, la religione ha la funzione di definire l’identità
collettiva e di difenderla.
Per René Girard, antropologo francese, la religione è anzitutto sacrificio con la funzione di
riassorbire i conflitti, dar sfogo alla violenza e impedire l’autodistruzione della società.
Petazzoni riconduce la religione al “religare” inteso come legare l’uomo a Dio in
condizione di dipendenza assoluta necessaria per conseguire la salvezza.
Nel tentativo di classificare le religioni, senza ridursi alla schematica distinzione tra
politeismo e monoteismo, si potrebbe ricorrere alla distinzione tra religioni etniche e
illetterate, sapendo che tutte quelle illetterate sono etniche ma non viceversa (alcune
religioni etniche hanno un Libro sacro come base). Alle religioni etniche si oppongono
quelle universali (chiamate a travalicare per loro stessa natura missionaria i confini del
luogo d’origine).
Usando degli insiemi, si dovrebbe dire che:
- Le religioni etniche comprendono quelle illetterate e altre letterate
- Le religioni etniche si oppongono a quelle universali
- Le religioni etniche e quelle del Libro si intersecano (nello spazio comune delle
religioni etniche letterate)
- Le religioni del Libro comprendono religioni con fondatore storico (in cui ricadono
quelle universali) e religioni con fondatore mitico.