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Il problema di definire la religione

 Ipotesi di partenza: il termine «religione» è condizionato dal punto di vista culturale.


 «Religione» viene dal termine latino religio. Secondo l’etimologia di Cicerone deriva da
religare, che significa «trattare con cura» ed esprime il modo tipico della religione romana di
compiere scrupolosamente le pratiche cultuali pubblicamente nel tempio.
 Con l’affermarsi del cristianesimo religio viene fatta derivare dal verbo relegere , che secondo
Lattanzio e poi Agostino significa «congiungere» e indica il rapporto personale dell’uomo con
Dio.
 Quando il cristianesimo diviene religione di stato (313 d.C.) si afferma come vera religio e per
tutto il Medioevo si considera in modo esclusivo condannando le altre religioni come false.
 La rottura dell’unità cattolica nel XVI secolo ha come conseguenza la nascita della modernità,
rappresentata da un uomo che giudica il mondo non più con la fede (capace solo di fomentare
guerre) ma con la ragione.
 I grandi viaggi commerciali mettono l’uomo europeo a contatto con altre culture considerare
selvagge e primitive. Si comincia a studiarle come «religioni naturali».
 Con il XIX secolo inizia lo studio scientifico del fenomeno religioso e ci si rende conto che
l’approccio alle altre religioni risente della cultura occidentale, intrisa di cristianesimo.
 Sono pertanto necessari strumenti conoscitivi più idonei per determinare che cosa sia la
religione.
 Oggi ci si rende conto che non si può avere una definizione stretta di religione, ma bisogna
avere una concezione piuttosto elastica, che tenga conto di elementi continuamente in divenire.

il senso attuale del termine religione


Oggi si possono distinguere 5 aspetti principali del termine religione:
1. storico: la religione è un sistema di credenze e di pratiche organizzate in modo collettivo,
inserito in un determinato tempo e spazio (es. religione cristiana, religione musulmana, ecc.)
2. religioso-militante: la religione è ciò che i fedeli praticano ed è considerata la «vera religione».
Dall’interno di tale religione si giudicano le altre, spesso in modo negativo.
3. sociologico: la religione è il complesso di tutte le attività umane informate da un riferimento
trascendente. In questo modo l’uomo si sente collegato con il mondo e la società nel suo vivere
quotidiano.
4. personale: la religione è una determinato atteggiamento personale verso la vita con un
riferimento al Trascendente.
5. esistenziale: «la religione è ciò che l’individuo fa della propria solitudine» (Whitehead); è ciò
per cui l’uomo vive (soldi, sesso, carriera, ecc.)

Educazione e scienze della religione Le scienze della religione


La Storia delle religioni
 Si tratta della disciplina fondamentale tra le scienze della religione. La ragione è evidente: per
interpretare un fenomeno religioso da qualsiasi punto di vista lo si consideri, bisogna collocarlo
nel suo orizzonte storico.
 Ha come obiettivo quello di raccogliere dati sulle diverse religioni (fondatore, testi sacri,
principali vicende storiche) attraverso il metodo storico critico che analizza le fonti e si basa
sulla neutralità scientifica dello studioso di fronte all’oggetto della sua ricerca.
Fenomenologia delle religioni
Si tratta di una disciplina che studia il fenomeno religioso con l’analisi di elementi comuni e ricorrenti
nelle diverse religioni (esempio: il tempo sacro, lo spazio sacro, il libro sacro, la preghiera, il monaco).
Il metodo di indagine è tipicamente fenomenologico, cercando di cogliere l’essenza specifica di un
determinato aspetto religioso, visto come esperienza vissuta, prescindendo dal divenire storico.
Questa disciplina si fa cominciare con R. Otto e la sua opera Il Sacro (1917).

Sociologia delle religioni


Si tratta di un ramo della sociologia che studia il rapporto reciproco di dipendenza tra società e
religione.
La religione si organizza come un sistema di strutture sociali e pratiche che influenzano l’economia, la
politica, i valori sociali.
L’iniziatore di tale disciplina è E. Durkheim con la sua opera Le forme elementari della vita
religiosa(1912).

La psicologia delle religioni


Si tratta di un ramo della psicologia che studia gli effetti della religione sulla psiche umana, a livello di
vissuto emotivo-affettivo, di motivazioni, di orientamenti.
La disciplina si fa iniziare con S. Freud che interpreta la religione come un prodotto di conflitti
ancestrali e dunque frutto di una nevrosi ossessiva. Mentre C. G. Jung vede la religione in modo
positivo, come originata dall’inconscio collettivo, in cui si sedimentano le esperienze dell’umanità
primitiva e si esprimono negli archetipi, che sono la fonte e i modelli dei sogni e dei miti religiosi.

Antropologia delle religioni


Si tratta di un settore dell’antropologia culturale che si occupa delle religioni come sistemi che
agiscono e funzionano all’interno delle società arcaiche: dai rituali, alla magia, alla trance, ai sacrifici.
La disciplina inizia in particolare quando gli antropologi culturali iniziano a fare osservazioni sul
campo e cogliendo i complessi rituali tramandati oralmente all’interno delle società tradizionali.
Filosofia delle religioni
Si tratta di un approccio filosofico razionale alle religioni per cogliere il senso e la verità di ciascuna.
La disciplina si fa nascere con B. Spinoza e il Trattato teologico-politico, in cui la religione giudaico-
cristiana, viene passata al vaglio della ragione per cogliere gli elementi di superstizione e quelli di
verità.
Teologia delle religioni
Si tratta di una disciplina nata all’interno della teologia cristiana in cui si riflette sulle altre religioni a
partire dalla fede.Come disciplina nasce dopo il Concilio Vaticano II, quando per la prima volta la
Chiesa Cattolica valuta positivamente le altre religioni e dunque nasce la questione di come conciliare
la verità cristiana con la presenza di altre religioni.
Premessa
Le teorie sull’origine della religione sono apparse nella seconda metà del XIX secolo.
Hanno un presupposto di tipo evoluzionistico: per cui la religione ha avuto origine come una
struttura semplice, elementare, «primitiva» che progressivamente si è resa sempre più
complessa, originando forme diverse di credenze e di pratiche (politeismi, monoteismi).
Scopo di queste teorie era quello di risalire all’origine della religione per dimostrare che è una
realtà dipendente da bisogni psicologici (paura, rassicurazione), sociologici (creare un ordine
sociale). Tali teorie oggi sono per lo più accantonate.

Teoria dell’animismo di E. B. Taylor (1832-1917)


La sua teoria si basa su tre punti
Idea di anima sta alla base della religione. Tale idea non è balenata alla mente del primitivo,
ma si è andata sviluppando lentamente in seguito ad una riflessione si fatti osservati: eco,
ombra, sogno. Questo avrebbe creato l’idea che esiste un «doppio» di se stesso e della realtà
che sarebbe diventata l’anima.
Idea di spirito: un mondo parallelo abitato dalle anime dei defunti e hanno il potere di
influenzare la vita dei viventi.
Idea di divinità: il mondo dello spirito sarebbe un mondo organizzato in modo complesso e
gerarchico (Pantheon), abitato dagli dei, con a capo un essere supremo.

Teoria del magismo originario di J. G. Frazer (1854-1941)


Il Ramo d’0ro (1911-1915) è una raccolta di materiale etnologico e religioso di tutto il mondo.
La religione ha origine dalla magia, da intendere come una forma di scienza infantile che
intende agire sulla realtà sulla base di due principi falsi:
- «il simile produce il simile»: principio da cui deriva la magia analogica, che instaura una
similitudine tra gesto e realtà (es.: danza della pioggia)
- «le cose che sono venute a contatto continuano ad agire tra loro a distanza»: principio
da cui deriva la magia contagiosa (es.: fattucchiera)
Magia (azione diretta dell’uomo > Religione (uomo agisce mediante gli dei) > Scienza (uomo
scopre le vere leggi della natura)

Teoria sociologica di E. Durkheim (1859-1917)


Le forme elementari della vita religiosa (1912), opera fondamentale per la nascita della
sociologia della religione.
D. Fa derivare la religione da una particolare forma religiosa primitiva: il totemismo.
Totemismo: legame di parentela che esiste tra un gruppo sociale (clan) e una classe di animali
(pappagallo in Brasile, coyote tra in nativi americani). L’animale totemico è ritenuto l’antenato
da cui discende il clan.
Il totem è il simbolo del clan, nel quale il clan si riconosce. Perciò il totem è il clan stesso
personificato e compreso nella sua forma ideale.
Perciò la religione non è altro che la struttura idealizzata in cui la società riconosce se stessa.
La fenomenologia del sacro di R. Otto (1869-1937)
Le teorie precedenti sono fondate tutte su un presupposto di tipo evoluzionistico e positivista
che tende a semplificare e ridurre la religione ad un fenomeno spiegabile in funzione di un
altro (animismo, magismo, totemismo).
R. Otto insiste sulla assoluta autonomia del fenomeno religioso.
I presupposti del suo pensiero:
la tradizione luterana che predilige la visione del Deus absconditus: il divino è del tutto
inaccessibile.
Kant: la ragione è del tutto inadeguata alla comprensione delle questioni di natura religiosa.
Schleiermacher: la religione è inerente al fondo dello spirito umano
Husserl: bisogna indagare il fenomeno a partire da se stesso
Viaggio in India (1911): entusiasmo per la religione hindu

La Fenomenologia del sacro di Otto (II)


Il Sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale (1917).
Con questo testo sferra un decisivo attacco contro qualsiasi concezione razionalista del
religioso.
Il Sacro: aggettivo sostantivato che sta a indicare una realtà propria, assolutamente ineffabile e
inaccessibile che non può essere compreso con la ragione.
Il Sacro si dà nella coscienza umana attraverso 4 momenti:
- sentimento di creaturalità: esperienza di sentirsi sovrastato da qualcuno/qualcosa di
superiore
- mysterium: è una realtà incomprensibile, straordinaria e inconsueta, che abbraccia la
realtà delle cose e l’esistenza dell’uomo.
- tremendum: è la manifestazione del sacro che suscita terrore e si esprime forme
diverse: convulsione, spasmi, danze sfrenate, ecc.
- fascinans: è la manifestazione del sacro che suscita una attrattiva irresistibile e si
esprime in pace, quiete, estasi, ecc.

La fenomenologia del sacro di R. Otto (III)


Il Sacro si manifesta come una realtà composita, ambivalente nella coscienza umana.
Il sacro è una categoria «a priori»: espressione ripresa da Kant per dire che come la nostra
conoscenza ha inizio dall’esperienza ma non deriva tutta dall’esperienza, perché vi sono le
forme a priori nel soggetto conoscente (spazio, tempo, categorie), così il sacro viene stimolato
da esperienze esterne, ma emerge dal profondo della coscienza umana come un impulso
conoscitivo superiore.
La religione per Otto è un rapporto con il Sacro, come realtà incomprensibile (mysterium),
ambivalente (tremendum e fascinans) e soprattutto una disposizione originaria (a priori) della
coscienza umana.

L’ermeneutica del sacro di M. Eliade (1907-1986)


- Opere fondamentali:
- Trattato di storia delle religioni (1949);
- Enciclopedia delle religioni;
- Storia delle idee e delle credenze religiose.
L’oggetto della religione è l’uomo nella sua specifica relazione col sacro.
Sacro è ciò che si oppone al profano. Il sacro si manifesta come ierofania (= manifestastione
del sacro) dentro al profano: qualcosa (quid) si manifesta come una rottura di livello nella
realtà profana, aprendo un varco verso una realtà trascendente (supra) e verso una realtà
primordiale (prius).

L’ermeneutica del sacro di M. Eliade


La dimensione profana è la realtà caotica, oscura, impermanente della realtà. L’uomo ha
bisogno di trasformare il caos in cosmos (ordine), l’oscurità in comprensione, l’impermanenza
in consitenza.
La dimensione religiosa vuole dare senso al mondo e alla vita umana attraverso quattro aspetti
fondamentali:
- Temporalità: tempo profano è il tempo che passa, è il tempo del quotidiano con i suoi
ritmi: casa, lavoro, impegni, casa; è un tempo alienante fatto di passato, presente,
futuro. Il tempo sacro è il tempo qualitativamente presente, tempo irreversibile, tempo
intimo, profondo, carico di ricordi che si rendono presenti. La dimensione del tempo
sacro è la festa. L’uomo ha bisogno di tuffarsi nel tempo della festa per ritrovare l’esatta
dimensione del vivere e sperimentare che la vita gli appartiene. Vivere il tempo sacro è
tornare alla propria origine.
- Spazialità: lo spazio profano è sempre uno spazio omogeneo, neutro, anonimo, sempre
uguale a se stesso. Lo spazio sacro è lo spazio che si caratterizza per un centro, in
quanto è un luogo significativo, importante, unico. Le religioni qualificano lo spazio
come elemento di identità e riconoscimento.
- Natura: può essere il luogo di manifestazione del sacro: cielo (aria), terra, acqua, il
fuoco sono gli elementi primordiali a cui l’uomo si è riferito.
- Vita umana: può essere una espressione della sacralità attraverso quattro momenti
presenti in tutte le culture: la nascita, il passaggio alla vita adulta, il matrimonio, la
morte.
Tempo, spazio, natura, vita umana sono aspetti che caratterizzano il sacro di Eliade, non più sul
piano della coscienza (livello soggettivo) come in Otto, ma anche sul piano della realtà (livello
oggettivo).

Religione e neuroscienze
Introduzione
Abbiamo visto come la fenomenologia della religione (Otto e Eliade) ha messo in evidenza che
il sacro è una esperienza conoscitiva che si situa nella coscienza umana, PRIMA di ogni forma
istituzionale di religione.
Si ha prima di tutto una struttura religiosa nel nostro modo di rapportarsi al mondo e soltanto
dopo si è cristiani, hindu, buddhisti ecc.
Oggi le neuroscienze ci mostrano come l’uomo nella sua struttura cognitiva tende a formarsi
idee di tipo religioso (esperienza religiosa si situa a livello del lobo parietale destro del
cervello).

Come funziona la mente nell’atto della conoscenza secondo la teoria cognitivista


- Nella corrente cognitivista la conoscenza si comprende come una struttura in grado di
calcolare e di manipolare informazioni attraverso regole.
- La tesi fondamentale sta nell’affermare che le conoscenze sono semplici computazioni
operate dalla mente attraverso regole inconsce. La mente/cervello riceve degli stimoli
in entrata (input) e risponde con calcoli e ed elaborazioni in uscita (output).
- Dennet e il modello delle molteplici versioni: il cervello elabora le informazioni che
provengono dai sensi. Queste entrano in competizione tra loro all’interno di una
struttura detta pandemonio. La versione che risulta più propagata sarà oggetto della
nostra mente.

La naturalità delle immagini e delle idee religiose


- Per il cognitivismo la religione è un insieme di immagini religiose che si sono fissate
nella nostra mente/cervello.
- Secondo la teoria cognitivista la domanda da porre non è più: «che cos’è la religione?»,
o «qual è l’origine della religione?», ma: «come si formano nella mente/cervello le
immagini religiose?»
- R. McCauley: confronta la naturalità della religione e la innaturalità propria della
scienza. Rispetto alla religione il pensiero scientifico dipende dalle impalcature culturali:
La scienza è storicamente rara;
La scienza è un fenomeno progressivo: procede per tappe, per tentativi ed errori;
La scienza è un sapere laborioso e difficile.
- Diverso è il discorso sulla religione:
La religione è diffusa a livello storico dappertutto;
La religione si presenta non soggetta a un vero progresso conoscitivo;
La religione sembra un fenomeno che non fa presa su nessuna base culturale.
Per spiegare questo fenomeno che è presente in tutte le culture Mc Cauley afferma che la
religione si impara fin dall’infanzia, in modo semplice e spontaneo.
Per i cognitivisti la religione è un fenomeno che ha un sottofondo naturale e questo deve
essere il punto di partenza per spiegare i fenomeni religiosi.

La diffusione delle idee religiose: D. Sperber e P. Boyer


D. Sperber riflette sulla diffusione delle rappresentazioni religiose. Come mai sono così
diffuse?
Le idee religiose sono accettate perché non hanno fondamenti espliciti razionali. La scarsa
razionalità dipende dalle emozioni che entrano in gioco.
Teoria del contagio: le idee religiose sono contagiose per il fatto di essere poco razionali e
dunque comprese solo in parte, mantenendo un alone di mistero
La religione sarebbe fondata su un potenziale particolare che suscita emozioni potenti. Questo
potenziale si basa su meccanismi della nostra mente.

Boyer: abbiamo idee intuitive che nascono direttamente dalla nostra esperienza e idee contro-
intuitive che vanno contro l’esperienza ordinaria.
La religione vive di idee contro-intuitive che nell’esperienza comune non si verificano mai
(spiriti, divinità, angeli violano di solito le regole generali dell’esperienza).
Queste idee contro-intuitive sono più facili da propagare, perché fanno più presa a livello
psicologico.
Tali immagini religiose hanno una particolare forza di sopravvivenza in termini di trasmissione
culturale (creazione, miracolo hanno più forza delle rappresentazioni scientifiche).

Teoria della mente e il concetto di Agency


La TM è quel meccanismo spontaneo e inconscio per cui sappiamo formarci nella nostra
mente un’immagine della mente degli altri, per cui riusciamo a prevenire, a indovinare, a
ipotizzare ciò che gli altri pensano e come gli altri si comportano.
Tutto questo si sviluppa a partire dai lobi frontali del nostro cervello (neo-corteccia), adibiti
alle funzioni della comunicazione, della progettazione, dell’imitazione.
Attraverso i neuroni-specchio la coscienza di noi stessi si è sviluppata tramite la coscienza degli
altri, in modo da consentire una capacità di adattamento alla vita sociale. Abbiamo una
struttura mentale che ci consente di entrare in empatia con gli altri.
La tendenza congenita a capire la mente degli altri ci porta a scoprire dappertutto delle
intenzionalità: nella nostra mente è come se si formasse un quadro del mondo che si organizza
secondo determinate intenzioni.
Dalla TM nasce il concetto di Agency (agente), cioè di qualcuno che è capace di agire secondo
determinati propositi (intenzionali).
Il concetto di Agency significa che noi siamo portati quasi geneticamente ad attribuire una
intenzionalità (causalità) a tutto e rispetto ad ogni possibile evento.
Agency assume una connotazione religiosa: noi con la nostra mente siamo portati a creare
disegni di significato dappertutto. Il senso religioso ce lo abbiamo nei nostri lobi frontali.

Il rito come ambito di consolidamento delle rappresentazioni religiose


I neuroscienziati hanno compiuto esperimenti su credenti in atto di compiere riti o pratiche
meditative.
Attraverso la PET sono state individuate le zone del cervello attive nell’azione rituale.
Sembra che ci sia un interrelazione tra il rito che influisce sugli stati mentali e nell’azione del
rito si sente presente anche l’elemento soprannaturale come una presenza spontanea.
Il rito ha un’azione diretta sul cervello attraverso il ritmo, la musica, le luci, i colori, la
ripetizione.
Tali studi sono importanti per capire la dinamica biologica del senso religioso, ma non possono
dire niente sulla verità o falsità dell’esperienza religiosa in quanto tale.

Analisi dell’esperienza religiosa

L’esperienza religiosa in quanto esperienza umana


Esperienza religiosa (ER) va considerata come un’esperienza umana, propria dell’essere
umano, condizionata dal suo modo di essere e dal suo contesto storico e culturale.
L’esperienza umana è un’esperienza relazionale diversificata su vari livelli:
- con se stesso: è la dimensione individuale fatta di desideri, progetti, realizzazioni e
frustrazioni. Ognuno porta impresso un progetto di vita che cerca di mettere in pratica
(lavoro).
- con il mondo: la natura, la realtà (le cose), la vita;
- con l’altro: il singolo come egli (terza persona), come tu (seconda persona).
- con il gruppo umano: famiglia, amici, quartiere, associazione, chiesa, partito.

L’esistenza umana oscilla costantemente tra una dimensione soggettiva e relazionale.


L’essere umano in questa oscillazione manifesta che tutto ciò che desidera e compie non è un
essere pienamente compiuto: deve crescere biologicamente, apprendere intellettualmente,
prepararsi a tutto, perseguire obbiettivi, migliorare la salute, aspirare ad una vita migliore,
intraprendere a più riprese nuovi percorsi. Anche sul punto di morte, l’essere umano si affaccia
su una soglia che lo interroga. Dunque è un essere permanentemente in ricerca.
Homo viator (G. Marcel): questa è la caratteristica fondamentale dell’essere umano.

Questa dimensione di ricerca mostra che l’essere umano è in una condizione di carenza.
Ci sono bisogni specifici per la vita:
- a livello fisico (cibo, vestito, casa, salute);
- a livello psichico (amicizia, creatività, sessualità);
- a livello socio-culturale (lavoro, divertimento, sport, arte).
Attraverso tali livelli di bisogni si mette in rilievo la condizione relazionale dell’essere umano.
Per ricevere o per dare si ha sempre bisogno degli altri.

I bisogni mettono in evidenza anche l’aspetto limitativo di tutto ciò che è umano e che si
esprime come:
- Frammentazione: riposo, felicità, salute ecc. si danno per frammenti, mai in una totalità
compiuta.
- Finitezza: tutto si situa dentro un arco temporale che genera angoscia.
- Assurdità: ci sono esperienze che mettono in luce questa dimensione: un lavoro
alienante, solitudine, sofferenza, male, situazioni tragiche, morte.
Il bisogno e il limite hanno in sé il superamento. L’uomo è un essere che costantemente cerca
di rompere il limite.
Si ha una tensione dialettica tra il desiderio e la sua realizzazione, che non essendo mai colma,
genera un nuovo desiderio e una nuova tensione. L’essere umano è nella realtà un «meno» di
quanto desidera essere, ma è sempre, almeno nel desiderio, un «più» che non riesce a
concretizzarsi.
Questa tensione dialettica così descritta si esprime attraverso:
la parola nella letteratura e nella poesia
la prassi nella cultura, nell’arte
la contemplazione nella dimensione religiosa.

Nelle considerazioni sull’esperienza umana si coglie quanto sia centrale la dimensione del Sé. Il
Sé è la dimensione ontologica in cui si compie l’esperienza.
Il Sé è un universo che racchiude non solo un mondo ma tutti i mondi possibili. Il Sé ha
un’ampiezza tale da poter comprendere tutte le esperienze possibili, sia quelle reali, già
compiute, sia quelle potenziali, che si potrebbero compiere in futuro.
Il Sé è l’unità della vita nella molteplicità delle sue forme ed espressioni, con il suo colore e la
sua ritmica. Per quanto complessa e disarticolata, il Sé è il punto di unità che mi consente di
riconoscere un’esperienza come «mia» esperienza.

Fenomenologia dell’esperienza religiosa


Nelle fibre profonde dell’esperienza umana si inserisce l’ER. I due aspetti possono essere
distinti, ma non separati.
Esperienza religiosa è un’esperienza relazionale con il Sacro. L’esperienza umana viene a
focalizzarsi su una dimensione assolutamente propria, che mi riguarda intimamente (il
teologo protestante P. Tillich parla di ultimate concerns).
Nell’ER trovano collocazione i bisogni umani:
fisici: dare un senso alla debolezza, deterioramento (morte) del corpo, attraverso pratiche
ascetiche, guarigioni, rinascita, risurrezione;
psichici: raggiungimento della pace, beatitudine, amore;
socio-culturali: nuovo ordine sociale, mondo nuovo.

Nella ER trovano collocazione anche i limiti:


frammentazione si apre ad una dimensione totale di pienezza;
finitezza trova un compimento definitivo;
assurdità si apre alla speranza di una liberazione, salvezza, giudizio che coinvolge tutto il
cosmo.
La dimensione del Sacro viene sperimentata come:
ESSERE: Realtà stabile - NIENTE
VITA: Realtà dinamica - MORTE
FORZA: Realtà potente - IMPOTENZA
ORDINE: Realtà intellegibile - CAOS
CONOSCENZA: Realtà sapiente – IGNORANZA

Frattura epistemologica dell’ER


L’oggetto dell’ER si caratterizza per la sua dimensione di REALTÀ stabile, costante permanente,
ciò che esiste di più reale. Fino al Rinascimento l’ER è stata sperimentata con questa intensità.
Tutte le esperienze umane (estetiche, sociali, politiche) erano integrate dentro l’orizzonte
religioso.
Intorno alla metà del Cinquecento in occidente avviene una frattura epistemologica. Questa
unità si è rotta e le varie tendenze vitali si sono rese autonome e l’ER è diventata una tra le
tante esperienze.
L’asse si è spostato dalla realtà al soggetto, che è diventato il centro dell’ER. Non è più la realtà
ad essere religiosa, ma il soggetto.

ER e Modernità
L’ER assume sempre più una dimensione intima e privata. A ciò contribuisce la Riforma
protestante (sola scriptura, sola fide, sola gratia).
Le Guerre di religione del Seicento portano alla conclusione che la religione è motivo di
violenza e di divisione (Spinoza).
Nel Settecento si sviluppa una visione religiosa fondata sulla ragione (deismo) e la religione
viene ridotta ad esperienza etica (Kant).
Con la Rivoluzione francese la società europea tende a instaurare una separazione tra la sfera
religiosa e quella civile.

Critica della religione e ateismo sistematico


Ambito della sinistra hegeliana si sviluppa la Critica della religione: Feuerbach con L’essenza
del cristianesimo (1841) afferma che la teologia non è altro che una antropologia mascherata.
Tutti gli attributi di Dio sono proiezioni degli attributi che l’uomo desidera possedere. «Bisogna
passare da uomini che credono a uomini che pensano, da candidati dell’aldilà in studiosi
dell’aldiquà».
- Marx afferma che la causa vera della religione è l’alienazione, che costringe gli uomini
oppressi a proiettare i loro sogni desideri in un Dio immaginario (la religione come
oppio del popolo). Una volta rimosse le cause dell’ingiustizia sociale (rivoluzione
comunista) la religione verrà abbandonata.
- Nietzsche (1844-1900) annuncia la morte di Dio (fr. 125 de La Gaia scienza) come un
evento catastrofico di cui non si è in grado di misurare la portata. Si è ucciso Dio, ma
non si riesce a godere della libertà acquistata. Inoltre, N. prende di mira il cristianesimo
(L’Anticristo) che ha esaltato i valori della debolezza, guastando la vitalità dell’uomo e
auspica la trasvalutazione di tutti i valori.
- Comte (1798-1857) è il padre del positivismo francese. Nel suo Corso di filosofia
positiva (1830-1842) enuncia la legge dei tre stadi: lo stadio teologico primitivo (l’uomo
fa appello alle divinità); lo stadio metafisico (l’uomo fa appello alla ragione e ai principi
filosofici); lo stadio positivo (l’uomo fa appello alla scienza).
- Freud ne Il futuro di un’illusione (1927) afferma che la religione è puramente illusoria e
non merita che l’uomo riponga in essa le proprie energie. Le illusioni aiutano a vivere,
danno speranza, ma non hanno mail la possibilità di diventare concrete. Bisogna
guardare in faccia la realtà così com’è, senza farsi tante illusioni.
- Il Novecento si caratterizza per una profonda crisi della razionalità, che produce due
guerre mondiali e i peggiori totalitarismi (Horkheimer-Adorno, Dialettica
dell’illuminismo).
- Auschwitz è il «caso serio» che interpella ogni ER. Di fronte a tale evento si dà
l’atteggiamento di chi rifiuta l’ER (P. Levi, Se questo è un uomo) oppure quello che rivela
un’ER (E. Wiesel, La Notte).

ER e interrogazione esistenziale
Dopo Auschwitz l’ER deve caratterizzarsi sempre dall’interrogazione sul senso. Come afferma
P. Tillich:
- «l’uomo è l’esistente che pone la domanda dell’essere. La questione che l’uomo pone
sull’essere nasce da una vibrazione, dallo choc ontologico. L’essere è lambito e
minacciato dall’oceano del non-essere. Ed è questo che spinge gli uomini all’angoscia e
all’interrogativo. Afferrato dallo choc del possibile non essere, dalla sua fondamentale
angoscia che il non essere possa trionfare sull’essere, l’uomo si interroga sull’essere
(…) interrogandosi sul fondamento e il senso dell’essere, l’uomo si interroga sulla realtà
ultima, su ciò che è realmente reale, su ciò che lo concerne incondizionatamente
(ultimate concerns)»

L’essere umano come realtà aperta


«La natura ci ha fatto nascere e ci ha dato delle possibilità di porre domande per le quali essa,
la natura stessa, non ha risposte. Con l’essere umano, per la prima volta, è entrato nel mondo
un qualcosa che è in grado di fare ciò che la natura stessa non fa mai e poi mai: programmare,
riflettere in anticipo sulle conseguenze delle azioni, calcolare il risultato che potrebbe prodursi
manipolando determinate condizioni. Creando noi, la natura ha prodotto un essere vivente
che non è solo capace di provare sentimenti di compassione e sensibilità, ma che sviluppa
addirittura una sorta di diritto all’esistenza, pretendendo di essere trattato così e non
altrimenti, e che in questo pone le basi dell’etica. Un simile essere vivente è estremamente
minacciato nello spazio della natura. Io credo che la religione, che il parlare di Dio sia
necessario proprio perché noi, per rispondere a domande assolutamente umane, abbiamo
bisogno di uno sfondo che non è contenuto nella natura (…) che ci consenta di trovare noi
stessi» (E. Drewermann, Religione, perché?, 29-30)

Le costanti del fenomeno religioso: il simbolo Storia delle religioni

1) SIMBOLO struttura di rimando esistenziale


2) MITO ISTITUZIONE
3) RITO
4) NORMA

SIMBOLO
Riferimento a quattro autori che hanno una base comune e sottolineano un aspetto
particolare del simbolo.

JACQUES VIDAL (1925-1987)


Storico delle religioni – Prete e docente all’Institut Catholique di Parigi.
Parte da una concezione filosofica del simbolo ripresa da Lalande:
«il S. è qualsiasi segno concreto che evochi qualcosa di assente o che è impossibile
percepire»(Dizionario critico di filosofia)

Il S. non è un segno qualsiasi ma un segno concreto, quindi una realtà come il cielo, la terra il
sole, la luna, l’albero, l’animale, l’uomo e la donna, ecc., che apre a qualcosa d’altro, che evoca
in un «rapporto naturale», qualcosa che non è percepibile dai sensi ma solo dallo spirito.
L’espressione «rapporto naturale» dice che il S. non è un segno arbitrario, convenzionale e
quindi artificiale. Vi è un legame intrinseco tra significante (es. acqua) e significato (es.
purificare). Il S. contiene, anche in modo limitato e parziale, ciò che indica.

IL S. evoca «qualcosa di assente o che è impossibile percepire». Si può percepire l’assenza solo
di qualcosa di cui si è percepita la presenza (es. l’assenza della persona amata si coglie quanto
più è presente nella vita). L’assenza indica sempre una presenza. Il S. possiede la qualità di
rendere presente ciò che è assente; suscita una nostalgia.

Una definizione più letterale: Il simbolo è un oggetto tagliato in due e diviso tra due partner
alleati che conservano ognuno la propria parte. Una volta che le due parti vengono messe
insieme (syn-ballein = mettere insieme), si ricostituisce la loro alleanza.

Apertura alla dimensione religiosa: il S. è portatore di unità. Mentre la logica razionale si fonda
sul separare, distinguere, la logica simbolica apre alla riconciliazione.

«Il simbolo è l’epifania di un mistero». Vidal dice che il S. contiene un messaggio immanente di
trascendenza (es. dell’orizzonte, in cui si ha l’esperienza, da un lato di abbracciarlo con lo
sguardo, e dall’altro, del suo essere sempre al di là della possibilità di raggiungerlo, perché si
sposta continuamente man mano che ci si avvicina).
«Il S. si offre alla contemplazione»: coglie la realtà nell’orizzonte dell’Uno.

PAUL RICOEUR (1913-2005)


Filosofo francese, docente a Strasburgo,Nanterre, Lovanio e Chicago.
Opere che riguardano il simbolo: Finitudine e colpa (1960); Il conflitto delle interpretazioni
(1960).

In queste due opere si hanno quattro differenti declinazioni del simbolo:


1. «Definisco simbolo ogni struttura di significazione in cui un senso diretto, primario,
letterale designa per sovrappiù un altro senso, indiretto, secondario o figurato che può
essere appreso solo attraverso il primo» (CI, 16). Il S. gioca la sua significazione a due
livelli successivi: Il primo evoca il significato letterale (es.: acqua elemento H2O). Il
secondo livello evoca il significato proprio del S. (es.: purificazione), che è raggiungibile
solo attraverso la mediazione del primo (l’acqua prima di tutto lava, pulisce e dunque
purifica in senso simbolico).
2. «Il S. è una donazione di significato in trasparenza» (FC, 83). La parola chiave in questa
definizione è «donazione», che è molto più intensa di indicazione. Il dito indica la luna,
ma non la dà. Il S. dà ciò che designa, apre una strada per comprenderlo. La dimensione
simbolica appare come un dono divino al linguaggio umano, che consente all’uomo di
accedere alla trascendenza.
3. «Il simbolo dà da pensare» (FC) Il linguaggio simbolico non si oppone al linguaggio
razionale, ma lo stimola e lo arricchisce. C’è una circolarità tra i due linguaggi che
consente un approfondimento dell’uno e dell’altro.
4. «Il simbolo è un legame tra l’essere umano e l’essere totale» (FC, 10). L’essere umano
scopre il suo posto nel mondo in solidarietà con tutto l’universo.

CARL GUSTAV JUNG (1875-1961)


Psichiatra, psicanalista e antropologo svizzero. Opera fondamentale per il simbolo: L’uomo e
I suoi simboli (1964).
- «Il simbolo è un termine, un nome o una rappresentazione che può essere familiare
nella vita di tutti i giorni (…) esso implica qualcosa di vago, sconosciuto o di inaccessibile
per noi» (5)
- «Possiede un aspetto inconscio, che non è mai definito con precisione e
compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente
esplora il simbolo viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità
razionali» (idem)

Il simbolo riconnette l’uomo con la parte individuale inconscia della mente, la quale è distinta
dal cervello e contiene i resti della nostra lunga evoluzione umana (inconscio collettivo).
I simboli hanno alcune matrici fondamentali (elaborate da G. Bachelard):
- Matrice cosmica: sono gli elementi ultimi della realtà: fuoco, acqua, terra, aria. Il corpo
stesso permette di entrare nel ritmo profondo del cosmo: giorno-notte, freddo-caldo,
interno-esterno, odio-amore, vita-morte, ecc.
- Matrice onirica: la dimensione del sogno come dimensione notturna, il cui linguaggio
simbolico va interpretato. Questo lo sapevano le culture antiche che mediavano il
sogno con la visione, l’ascolto, la profezia e a noi oggi ce lo ricorda la psicologia del
profondo.
- Matrice poetica: la dimensione diurna, creativa dello spirito umano che si esprime
attraverso linguaggi diversi: linguaggio delle immagini (arti figurative, e plastiche) e
linguaggi metaforici (narrativa, poesia).
MIRCEA ELIADE (1907-1986)
Storico delle religioni, antropologo, scrittore, filosofo, orientalista, mitografo, saggista e
accademico rumeno. Uomo di grande cultura,assiduo viaggiatore, parlava e scriveva
correntemente otto lingue: rumeno, francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e
sanscrito. Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso (1981).

Attraverso i simboli è possibile scendere alle fonti più profonde della vita organica, per
ritrovare le tracce della condizione felice nel paradiso terrestre.
Il linguaggio simbolico ci presenta una condizione umana integra, di pienezza come
aspirazione e desiderio di un futuro che appare possibile.
Il simbolo veicola un’esperienza che si situa al di fuori della storia ed è di carattere universale.

Il simbolo non sopprime i contrasti, gli opposti, ma li rende possibili contemporaneamente.


Accetta che la radice della vita sia nel contrasto e non nell’indifferenziato omogeneo e uguale
in ogni sua parte.
Spazio-tempo non sono una freccia lineare che scorre in una sola direzione, ma tutto è abolito
in una dimensione in cui conta l’istante. Paradiso terrestre: paradiso perduto e/o paradiso
sognato?

Simbolo come traccia dei resti arcaici della mente in cui l’uomo non era separato dalla natura
e allo stesso tempo come ricordo che anticipa il futuro della storia dove l’uomo realizza la
propria libertà.
Simbolo fa coesistere significati e strutture logiche in grado di portare a unità dimensione
biologica e ragione. Nel simbolo l’uomo si riconosce come unità complessa di
inconscio/materia e coscienza/libertà.

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