Il libro è una raccolta sistematica degli elementi, delle funzioni e delle strutture della religione (una FENOMENOLOGIA DELLA RELIGIONE) sia per la categoria astratta di CONCETTO DI RELIGIONE che quale ricerca etnografica delle religioni nelle diverse culture nella storia e nella contemporaneità. La religione (astratta) e le religioni (tradizioni religiose) non sono una cosa sola, ma un insieme di più cose combinate tra loro in proporzioni variabili ed è necessario comprendere queste “cose” e le loro combinazioni, secondo la logica di RELIGIONE COMPARATA. C’è un’altra via della ricerca espressa nel capitolo 4 “L’esperienza religiosa”, anch’esso fenomenologico, che studia tale esperienza che fa argomento a parte. Sia la Fenomenologia della religione ce la ricerca comparata sono state screditate negli anni de 900, sia dai teologi apologeti sia dai filologi in quanto relativi a temi sensibili e con una difficoltà oggettiva nella loro comparazione. Gli studi comparativi erano considerati superficiali e non sufficientemente analitici, erano tacciati di decontestualizzare i fenomeni andando incontro a legami immaginati da studiosi poco distaccati, generalizzando eccessivamente oppure perdendosi in particolarismi, anche influenzati da posizioni teologiche degli studiosi stessi. Ma l’utilizzo della comparazione, pur se difficoltoso, non era impossibile perché applicati ad altri ambiti ugualmente complicati: il linguaggio e la cultura, ambiti in cui a fatica si cercavano sia particolarismi che leggi generali. Le religioni sono costrutti sociali e culturali esattamente come il linguaggio: il linguaggio possiede strutture, elementi unitari e complessi, regole grammaticali e sintattiche e soprattutto convenzioni in modo che gli uomini possano comprendersi, relazionarsi. Durkheim era conscio che le religioni fossero comparabili ed accomunabili sotto leggi più o meno generali, e quindi formate da elementi in comune. Sono come mattoncini, come fonemi e morfemi per la lingua e come i mitemi per la costruzione dei miti teorizzata da C. Lévi-Strauss. Approcciare quindi lo studio della religione non sul solo concetto astratto ma focalizzando gli elementi costitutivi come mattoni da utilizzare per costruire e comprendere il fenomeno della religione e della spiritualità. Chiamiamo questa prospettiva “APPROCCIO COMPONENZIALE”. La lista degli universali astratti relativi alle religioni è la seguente: 1. immaginazione; 8. regolazione 14. istituzioni; 2. esperienza; emozionale; 15. potere; 3. intenzionalità; 9. azione; 16. economia; 4. narrative; 10. comportamento; 17. scambi; 5. discorsi; 11. ruoli; 18. reciprocità; 6. classificazioni; 12. controllo sociale; 19. socialità; 7. governance cognitiva; 13. autorità; 20. creazione di mondi. La cultura è un caso sociale, ed ogni suo aspetto ha a che vedere con la capacità dell’uomo di “pensare assieme” ma quando riguardano la religione attengono ad un ambito “SPECIALE” molto sentito, protetto e rispettato da chiunque faccia parte di un gruppo religioso (consciamente o inconsciamente, l’apprendimento silente è lì dal mostrarsi). Quindi le religioni riguardano CORPI, PRATICHE E POSIZIONAMENTO, il tutto dovuto ad una CREAZIONE UMANA ed in quanto tale, appunto COMPARABILE IN QUANTO TERRENO, di elementi sufficientemente reali, non “aereo nulla” come definito da Boyer ma insieme di significati e valori estremamente importanti per l’uomo sociale. LA religione è QUALCOSA DI ABBASTANZA REALE DA OCCUPARSENE (come la legge, il governo, il denaro ad altri costrutti umani) sia dal puto di vista antropologico, storico, filosofico, sociologico, biologico, ed anche religioso, in una prospettiva ulteriore: OLISTICA.
NOTA ALL’EDIZIONE ITALIANA
I termini “lingua” e “religione” al singolare sono paragonabili, pur nella pluralità delle stesse. Così come la lingua, anche la religione può essere oggetto di studio comparativo. E così come l’analisi della struttura dei linguaggi può essere utilizzata equipollentemente come analisi della struttura delle religioni. La religione copre molteplici aspetti della vita umana e si basa essenzialmente sulla COMUNICAZIONE, basata a sua volta su strutture logiche (vedi strutturalismo di Claude-Lèvi Strauss). Se la comunicazione è la base dell’anima religiosa, sicuramente le religioni sono ciò che appare di un insieme di strutture sociali, psicologiche e culturali molto più profonde. “Religione” è un CONCETTO GENERALE E ASTRATTO a cui riferire un’ampia gamma di comportamenti e pratiche umani, così come per Sport, Cucina etc etc. La “Religione” è una produzione culturale umana e come tale è possibile analizzarla COMPARATIVAMENTE.
PREFAZIONE: CHE COS’È QUESTA COSA CHIAMATA RELIGIONE
La religione è un FATTO UMANO, CULTURALE E SOCIALE (così come inteso da Emile Durkheim e Marcel Mauss). La religione è un COSTRUTTO CULTURALE DEL PENSIERO E DELL’ATTIVITA’ UMANA che esiste lungo la storia ed in ogni luogo del mondo (temporalmente e spazialmente). La religione consiste, come per lo sport, l’arte, il gioco, le razze e le classi sociali in una somma di comportamenti e creazioni umane tanto varia quanto il numero di religioni esistenti ed esistite e in quanto tale presenta CARATTERISTICHE in generale comuni: non tutte le religioni hanno le medesime caratteristiche, ma presentano comunque una o più caratteristiche teorizzate dalla storia delle religioni che posson essere: - Agenti sovraumani; - Medium umani; - Destino dell’uomo dopo l’evento morte; - Concezioni relativi ad un altro mondo anche al fine di inquadrare la morte come elemento non distruttivo ma coesivo della società (vedi lo “Scandalo della Morte” di Robert Hertz, quello che ha scritto “La preminenza della mano destra” e la relativa teorizzazione della dicotomia alla base anche dello strutturalismo di Lèvi-Strauss); - Classificazione della natura e del cosmo e loro generazione (vedi Mary Douglas e la dieta ebraica); - Definizione di norme di comportamento e forme di pensiero condivise e accettate entro il quadro classificatorio culturalmente creato. Il metodo di studio del fenomeno religioso attinge allo studio della pratica umana, scevro da risvolti prettamente apologetici o al contrario critici della religione stessa ma mai imparziale (il “pericolo” nello studio del fenomeno che comunque ci coinvolge, attinge ad un habitus culturale entro cui siamo cresciuti e ci siamo plasmati silentemente): quindi può essere svolto attingendo ad altre discipline quali la sociologia, la psicologia, la filosofia, antropologia, archeologia, letteratura, storia, scienze politiche, teologia. È un fenomeno culturale quindi come la cultura stessa è PUBBLICO ed OSSERVABILE (Clifford Geertz). La religione, quindi, è un fenomeno SOCIALE e INDIVIDUALE. - e-religion: aspetto religioso extramentale, oggettivo, sociale, pubblico; - i-religion: aspetto mentale, intimo, di pensiero, intenzioni, immaginazioni, rappresentazioni, lettura e credenze, ma comunque interessanti solo se oggettivati e resi pubblici; La religione è l’insieme di CREDENZE E COMPORTAMENTI e, così come il riferimento ad entità immaginarie in quanto tali, è ascrivibile alla produzione umana e quindi pubblico ed osservabile (Immanuel Kant: si può parlare di ciò che ci appare e di come ci appare). Quanto di immaginato, oggetto di venerazione pratica e rituale, è comunque REALI in quanto importante nel contesto in cui vien prodotto.
INTRODUZIONE: QUALCHE IDEA SULLA RELIGIONE
Lo studio della religione non prescinde dalla teoria utilizzata e dal contesto storico analizzato, e le sue componenti e la loro elaborazione sono dipendenti da questi due aspetti. PRIMA VISIONE DELLA RELIGIONE: ÈMILE DURKHEIM (1912: “Le forme elementari della vita religiosa”) Religione come costruzione sociale dell’etica e della morale dei gruppi, un “sistema solidale di credenze e pratiche relative alle cose sacre, separate e interdette (nessun punto di comunicazione) a quanto di profano, che uniscono le persone in una unica comunità morale, l’Ekklesia. La religione è un elemento di COESIONE SOCALE (già anticiato da Auguste Comte). L’innovazione introdotta da Durkheim è la distinzione non tra Dèi ed Umani, ma tra Sacro e Profano, attorno la cui netta distinzione si costruiscono le società: in quanto plasmatrici e creatrici, le religioni, per quanto immaginate, non sono illusorie ma bensì reali perché soddisfano un bisogno dell’uomo - Focus sulla SOCIETA’. SECONDA VISIONE DELLA RELIGIONE: SIGMUND FREUD (1913: “Totem e Tabù”) Decisamente critica - espressione della natura nevrotica dei gruppi sociali, l’individuazione del Dio- Padre come il complesso edipico basato sull’invidia, l’uccisione, il senso di colpa e la conseguente adorazione della figura paterna. Il Padre non concede le donne della famiglia, viene ucciso e mangiato (banchetto rituale) dai figli per ottenere l’accesso alle donne: da qui nasce l’adorazione del padre sostituito metaforicamente da un simbolo (totemismo), ed il senso di colpa da cui il divieto di operare contro il totem (tabù) ed il rifiuto di giacere con le donne della famiglia (esogamia). Focus sull’INDIVIDUO e sull’ASPETTO EMOZIONALE. TERZA VISIONE DELLA RELIGIONE: Teologo PAUL TILLICH L’attitudine alla religione nasce dal bisogno generale dell’uomo di spiegare le condizioni della sua esistenza. Questo INTERESSE SUPREMO dell’uomo trascende la società e l’individuo e la FEDE è lo strumento per affrontare l’esistenza, è FUNZIONALE al soddisfacimento di un bisogno umano (Bronislaw Malinovsky ed il funzionalismo). Anche gli atei hanno un INTERESSE ULTIMO. Focus sulla FEDE, componente della religione che diventa un COLLANTE delle condizioni emotive individuali e delle condizioni normative sociali entro cui percepire e classificare il mondo, la realtà. QUARTA VISIONE DELLA RELIGIONE: CLIFFORD GEERTZ RELIGIONE: insieme culturale tramite il quale, attraverso simboli, l’uomo costruisce la realtà che lo circonda e conferisce significato alla propria esistenza, e quindi, in quanto tale, REALE. C’è la sostanza (il significato simbolico) e la funzione (plasmazione della realtà, motivazione nella propria esistenza). La definizione è talmente generale che potrebbe applicarsi anche ad una ideologia politica o ad altre forme sociali. La religione è creata al di fuori dell’individuo, e l’individuo la assimila e interiorizza in quanto strumento culturale guidandone la percezione e cognizione della realtà, così come per i linguaggi. PROSPETTIVA RELIGIOSA: percezione di ciò che è reale (ma non oggettivo) attraverso una serie di simboli autorevoli e persuasivi, creati nell’abito culturale (quindi c’è la componente semantica – simboli – creato dalle componenti sociologico del gruppo e psicologico dell’individuo). La prospettiva religiosa si articola su due funzioni (in quanto la religione è anche funzionale): - la funzione di “modello di”: concezione generale della realtà (mondo, individuo, e loro relazioni e percezione) - PERCEZIONE; - la funzione di “modello per”: disposizioni mentali in merito alle norme di comportamento e relazionali all’interno della realtà per interagire con la stessa -AZIONE. Focus sulle FORME SIMBOLICHE e sul SIGNIFICATO. QUINTA VISIONE DELLA RELIGIONE: PASCAL BOYER Religione: sottoprodotto evolutivo, creato dagli uomini, basato sulla propagazione di rappresentazioni immaginate AL FINE DI FALSARE la percezione obiettiva della realtà. Una sorta di attitudine biologica oltre che uno scarto dei complessi processi mentali di plasmazione della realtà che si traducono in una falsa coscienza. Più la componente culturale ha sostituito quella biologica nell’uomo, più si sono creati questi modelli ingannevoli. Sono legati ad una immaginazione che va a completare quelle deduzioni falsamente “logiche” in merito ad aspetti della vita quotidiana quali l’agentività (agency, quindi capacità di interagire e influenzare la realtà), predazione (e sopravvivenza), morte (quale evento socialmente disgregante), morale (quale elemento socialmente ed individualmente accettato e quindi coesivo), scambio (nel senso delle relazioni tra singoli e/o gruppi). Si studia il processo cognitivo umano per spiegare il fenomeno religioso, e la propensione biologica a formare il pensiero religioso. È quindi fondamentale capire, osservare, studiare il modo di porsi degli umani rispetto ai loro dèi. Focus sull’aspetto NATURALISTICO/BIOLOGICO. Il concetto di religione NON È DATO MA DIPENDE DALLA TEORIA UTILIZZATA. Il concetto di religione è la MAPPA, NON IL TERRITORIO. È quindi uno strumento, il concetto di religione, che permette di orientarsi, interpretare e studiare il fenomeno religioso, che rappresenta il territorio, l’ambito di studio. Ambito comunque dai confini non perfettamente definiti, che invade altre ATTIVITA’ UMANE come la MAGIA o l’IDEOLOGIA. L’uso di concetti quali RELIGIONE, MAGIA etc sono strumenti per permetterci di indagare questi argomenti. La DEFINIZIONE del concetto di religione sarà quindi necessariamente POLITETICA (che racchiude ,molteplici aspetti), STIPULATIVA (che mette d’accordo più teorie) e SEMANTICA (che inserisce il significato quale elemento imprescindibile, senza il quale la religione non avrebbe senso di essere). Da cui: LA RELIGIONE E’ COMPOSTA DA RETI SEMANTICHE E COGNITIVE CHE COMPRENDONO IDEE, COMPORTAMENTI E ISTITUZIONI IN RELAZIONE AD AGENTI SOVRAUMANI, OGGETTI E POSTULATI CONTROINDUTTIVI. Le religioni comprendono tipici componenti (da cui l’insufficienza di una definizione nomotetica, che inglobi uno solo di questi aspetti): - cosmogonia: descrizione della nascita di quanto esistente; - cosmologia: classificazione della realtà; - credenze riguardo oggetti sacri (quindi elevati dal rango profano) e agenti sacri (quindi che hanno negoziabilità rispetto la realtà ma da un punto di vista non-profano, spesso ultraterreno e non raggiungibile se non con l’utilizzo di medium); - Credenze riguardanti poteri e conoscenze di appannaggio sacro alle quali è possibile accedere mediante un medium; - Credenze riguardanti il destino dell’uomo e l’esistenza dopo la morte; - Pratiche di vario tipo (dalla preghiera al sacrificio violento) che si offrono quali medium, insieme alle figure sacerdotali, per colloquiare e scambiare con il mondo del sacro (anche ultraterreno); - Istituzioni che stabiliscono i valori, le norme comportamentali e le relazioni sociali conformi e tali da evitare il pericolo di ciò che è impuro, organizzate gerarchicamente, esotericamente od essotericamente organizzate nel condividere le credenze di cui ai punti precedenti, ed in genere discoste/separate, che definiscono quindi ciò che è moralmente ed eticamente accettato (gestiscono il modello classificatorio e quindi “puro”). PUNTI DI VISTA: differenze tra INSIDER (apologetici, tutela della veridicità ed unicità della propria religione) ed OUTSIDER (curiosi, scettici, critici, non necessariamente “esterni alla religione”). Anche tra gli insider ci posson esser molte sfaccettature, si pensi all’islam o al cristianesimo con la loro molteplicità di confessioni. I CONFINI di una TRADIZIONE RELIGIOSA rappresentano lo SPAZIO SEMANTICO ENTRO IL QUALE GLI INTERLOCUTORI POSSANO CONFRONTARSI SIGNIFICATIVAMENTE. Dipende ovviamente dal livello del confronto: così sull’unicità della divinità ebrei, musulmani e cristiani si trovano su una scala di alto livello e sono concordi, dissentendo ovviamente su quale sia la vera divinità e su altri aspetti (uno shintoista invece, culto degli antenati, imperatore, spiriti, non ha uno spazio significante di confronto in questo caso). Più basso nella scala ci sono i confronti tra confessioni e quindi diverse tradizioni relative ad una stessa “religione” ma diverse per ortodossia, che quindi definisce il nuovo spazio semantico). Il “DISACCORDO SIGNIFICATIVO” (politeiste e monoteiste, per esempio) è uno strumento per delimitare i confini dello spazio semantico. Lo studio delle religioni va al di là del giudizio personale (importante la consapevolezza del proprio POSIZIONAMENTO) e su quanto è condiviso con la religione studiata: a noi interessa studiare il pensiero umano e il comportamento umano rispetto alla religione studiata (le religioni sono tante): lo studio della religione non è teologia, ma studio del comportamento umano. Lo studioso non è apologeta ma critico, quindi con la necessità di essere autocritico (IMPERATIVO ERETICO di Peter Berger). La comparabilità stessa non si addice ad un atteggiamento apologetico della religione, così come la generalizzazione, la ricerca di “regole universali”, altrimenti non si arriverebbe a nulla se no a definire false le religioni altrui (o parte di esse). Tra religioni gli aspetti comparabili sono limitati. Il complesso che chiamiamo “religione” è la summa di elementi (visioni del mondo, credenze, pratiche, oggetti, agenti) che possono esistere in ogni religione in tutto o in parte. E questi elementi sono MAPPE che ci permettono di descrivere il territorio studiato fino ai suoi indistinti confini, sono MODELLI entro i quali comprendere tali elementi, sempre utilizzando la comparazione ed anche ove necessario la generalizzazione, facendo molta attenzione perché definire un “termine” già porta alla generalizzazione (per es. SACRIFICIO) e quindi una DEFINIZIONE, da cui l’idea di C.Lèvi-Strauss di INTERPRETAZIONE GENERALIZZATA per MODELLI (variabili) e non per DEFINZIONI (statiche), in modo che possano essere facilmente validati, rivisti, criticati, rifiutati.
UNA BREVISSIMA STORIA DEL CONCETTO DI RELIGIONE
La dimensione storica è essenziale per definire l’approccio intellettuale. La percezione di ciò che è stato e la sua analisi serve a rapportarsi alla dimensione teorica e di studio. RELIGIO (termine romano che deriva da due radici): - Religare: legare, allacciare - Relegere: raccogliere, rileggere Il significato era chiaramente l’osservanza di tutti quei precetti necessari per rapportarsi alle divinità. Il rapporto con gli agenti ultraterreni è presente in tutte le religioni dell’antichità, così come il loro interagire fattivo nella realtà. Lo studio del comportamento e del rapportarsi alle divnità è quanto interessa. ARGOMENTI DI INTERESSE NELLO STUDIO DELLA RELIGIONE A. VERITÀ NELLA RELIGIONE CONTRO STUDIO CRITICO DELLA RELIGIONE Le “verità” nascono al ritmo della religione, così come l’interpretazione dei dogmi e l’ortodossia, l’importanza delle figure soprannaturali e la concezione di “verità” è varia al ritmo delle scissioni, delle riforme, dei movimenti critici, su linee di tipi istituzionale, rituale ed intellettuale. Questa è la prova, al di là delle difese elevate a scudo della verità, che il concetto di religione e verità è relativo e che ogni sfumatura è possibile e reale. Da cui un crescente biasimo del concetto di “verità rivelata” finché Cartesio nel XVII secolo definisce, attraverso un dubbio sistematico ed un approccio critico, il passaggio da Dio alla mente umana, al comportamento umano ed alla capacità di relazione tra gli uomini e con il mondo (dal Divino al Sociale). Il filosofo David Hume (XVIII sec.) propone una visione miracolistica della capacità dell’uomo di soggiogarsi ad una immaginazione fervida tanto da dare credito e prestare fede a quanto sia totalmente contrario alla propria esperienza reale ed al proprio pensiero razionale (CONTROINTUITIVITA’). Francoise Voltaire ed altri illuministi (XVIII sec.) proposero feroci critiche alla religione (essenzialmente quella cristiana, dominante in occidente), sulla falsità delle verità proposte e sulla condanna del fanatismo religioso. Da qui si passa ad una concezione di religione data dal divino ad una religione creata dall’uomo (spiegazione NATURALISTICA). Insomma, Dio è l’UOMO e la SOCIETA’. DEISMO: un movimento teologico cristiano con cui la figura reale di Dio trova un equilibrato connubio con le leggi naturali, di cui è creatore ed attraverso lo studio delle quali l’uomo può raggiungere il disegno divino; che l’anima umana sia immortale e che praticare un codice morale di pietà ed umane virtù avrebbe portato a ricompense, altrimenti a punizioni. Non è anche queta una “verità”? Il RELATIVISMO è già nell’aria, e si vede nelle continue scissioni e nascite religiose. B. ROMANTICISMO E RELIGIONE EMOZIONALE Il romanticismo comincia nel XVIII secolo ed imperversa per tutto il secolo successivo. Riscoperta di antiche radici e tradizioni per creare una cultura comune ed affermare la propria identità di popolo e nazione, a maggior pregio per le società dominanti, a fine dell’indipendenza e dell’affrancamento per le dominate. Fascino per l’esotismo e le culture (e religioni) dei popoli colonizzati. L’attenzione si sposta sulla religiosità personale, la i-religion, sulla capacità dell’individuo di avere un rapporto personale e diretto con il sacro, basato sulla propria intuizione mistica e sulla propria sensibilità/sentimento (Friedrick Schleiermacher - quasi contemporanei, prevedono i movimenti di spiritualità individuale odierni) e che la RELIGIONE, quindi, non fosse altro che una raccolta di riflessioni su queste personalissime interpretazioni. LA VERITA’ risiede quindi nell’esperienza SOGGETTIVA e, pur non confutando la realtà stressa dei dogmi religiosi, ha portato ad una concezione antropocentrica della religione (si torna quindi sull’UOMO). C. IL SAPERE POSITIVO: LA SCIENZA E LO STUDIO CRITICO DELLA RELIGIONE. La filosofia positivista sottolinea maggiormente la dimensione “umana” del fatto religioso. Auguste Comte divise la storia della religione da un punto di vista intellettuale in tre fasi: FASE TEOLOGICA O FITTIZIA (in cui la maggiore autorità anche scientifica era dell’élite sacerdotale, divisa a sua volta in tre fasi feticista, politeista e monoteista), FASE METAFISICA O ASTRATTA in cui gli strumenti per analizzare il mondo erano in mano ai filosofi, FASE SCIENTIFICA O POSITIVISTA in cui le regole del mondo sono in mano alla scienza. La Religione si confronta con la scienza sulla CAPACITA’ DI SPIEGARE IL MONDO. Charles Darwin, con la sua “Origine della Specie” ed il suo evoluzionismo biologico diede man forte all’affossare la veridicità di dogmi e testi sacri non più assunti come fonte scientifica, UNICA FONTE SCIENTIFICA DOTTRINALE, oltre la quale non c’era altro ed era sufficiente: beh, non più! Ludvig Feuerbach (1 di 3 filosofi positivisti): religione falsa, delirante e vincolante per il destino dell’uomo, delegante le proprie possibilità a figure immaginarie che potessero proteggerlo dall’ostilità del mondo, un “entusiasmo mal riposto”. Karl Marx (2 di 3): religione falsa coscienza, sovrastruttura creata dalla classe dominante per sottomettere e controllare il proletariato, così come lo Stato. Oppio dei popoli che toglie ogni spirito immaginativo agli oppressi. Friedrich Nietzsche (3 di 3): Religione falsa e disonesta, bugia consapevole, uno strumento per esercitare potere, insieme di figure, concetti, cause, effetti, protagonisti immaginati con relazioni immaginate fra loro fino a creare una cosmologia incoerente e dogmatica. Un mondo di pure finzioni (che è vero, la religione, in quanto parte della cultura, è una finzione, un costrutto umano utilizzato per dare significato alla propria esperienza di realtà). Si oppone, la finta religione, alla vera natura, in quanto solo chi odia la natura in quanto non soddisfatto nei suoi desideri vi si oppone trasfigurandola secondo il proprio piacimento, creando una mal finzione che porterà alla decadenza. Scetticismo e dubbio alla base dell’approccio intellettuale alla religione che porta alla SECOLARIZZAZZIONE e cioè (Peter Berger) “il processo attraverso il quale settori della società e della cultura vengono sottratti al domini delle istituzioni e dei simboli religiosi”, quindi dal potere istituzionalizzato, dal potere dogmatico e dalla loro univoca interpretazione simbolica. D. ESSENZA DELLA RELIGIONE CONTRO-FUNZIONE DELLA RELIGIONE L’essenza della religione è quindi la verità. Ma la verità unica ed universale è comparabile tra religioni? E tutte le religioni hanno una verità univoca? Max Muller (1800): chi conosce una sola religione, non ne conosce nessuna (relativismo, comparativismo) Adolf Von Harnack (1900): chi conosce a fondo il cristianesimo non ha necessità di conoscere altre religioni (esattamente il contrario). Ma la veridicità di una religione, posto che venga intesa come costrutto umano, e quindi costruzione sociale di un gruppo omogeneo e che condivida concezione e valori, passa la palla alla vera FUNZIONE SOCIALE della stessa. Immanuel Kant (fine XVIII sec.) riteneva che la FUNZIONE della religione fosse prettamente etica: Dio, dogmi, santità e norme simboli per indicare la perfezione morale e la retta via all’uomo contro le cattive tendenze, anch’esse espresse mediante simboli (peccato, Diavolo, etc.) Si ritorna sulla dimensione umana e non divina, sulla creazione sociale della realtà e non sulla rivelazione ultraterrena, il cui mezzo è l’etica ed il cui fine è l’ordine della società creata. Ludvig Feuerbach: la costruzione di una realtà parallela che giustifichi e spieghi gli eventi della vita naturale, materiale. Non è importante studiare la religione per quello che “è” ma per quello che “fa” (Approccio FUNZIONALISTA). E. INTELLETTUALISMO: LA RELIGIONE COME SPIEGAZIONE Funzione della Religione, quindi, è anche quella di interpretare la realtà, di dare spiegazioni del cosmo, di fornire ORDINATE VISIONI DEL MONDO OLTRE LE QUALI C’È IN AGGUATO IL PERICOLO E L’IMPURITÀ. Edward B. Taylor (1800-1900): Religione è l’insieme delle credenze in esseri spirituali”. L’ANIMISMO è fondante la religione, si ritrova comunque come sentire condiviso dalle civiltà primitive a quelle moderna, entro una UNITA’ PSICHICA del genere umano, uguale per tutti gli esseri umani (cognitivamente) ma espressa in modi diversi da gruppo a gruppo (culturalmente). L’animismo è quindi un pensiero razionale di spiegazione del mondo e dell’esperienza (come nel caso del sogno e della doppia identità, quindi dell’anima) ed il primitivo possedeva un pensiero razionale per spiegare la vita, la morte, il sogno e gli eventi inspiegabili. James. G. Frazer (“Il Ramo d’Oro”): parte dalla magia come strumento per spiegare la cosmogonia e per manipolare la natura altrimenti terribile e violenta. Ma la magia non soddisfa per risultati il primitivo, che capisce di non poter manipolarla nella regola della causa-effetto e si passa alla religione, nata per ingraziarsi quindi questa natura tiranna. Ma non è forse un modo per manipolare la natura, cosa che è possibile solo attraverso la scienza? Nel percorso evolutivo la scienza è l’ultimo stadio a cui si affida l’uomo. F. LA STORIA DELLE RELIGIONI: ORIGINI, SVILUPPI, TESTI. I primi approcci allo studio delle religioni si sono limitati ai testi ed alla dottrina cristiana. Robertson Smith fu tra i primi a confutare la Bibbia (pur essendo credente, quindi un insider) quale libro di verità ed evidenziarne il carattere prettamente storico e la redazione e modifica della stessa nel tempo, per mano umana e attraverso culture diverse. Anche David Strauss (1800) considerava i riferimenti ai miracoli ed eventi soprannaturali strumentali a sostenere la veridicità della religione stessa, valida però per idee e ragionamenti sempre nell’ottica funzionalista, sottolineando il carattere filologico che avrebbe dovuto avere lo studio delle religioni. In effetti lo studio dei testi sacri anche di religioni lontane ed esotiche divenne presto un punto di forza degli studiosi che si versavano nelle più disparate lingue a fine di leggere direttamente ed interpretare i sacri testi. La linguistica diviene quindi fonte di studio della religione e implicitamente anche delle culture e tradizioni differenti. E qui, nell’approccio caratterizzato dalla sospensione del giudizio inizia ad affermarsi la prospettiva relativistica. G. RELIGIONE E INDIVIDUO Fu il primo approccio allo studio della religione: l’individuo diventa l’oggetto di studio, così come il suo rapportarsi a ciò in cui crede (la i-religion). Come si conciliava il credo con l’introspezione umana e soprattutto individuale? Parte degli studi si concentrarono sulle credenze, altri invece, più prettamente psicologici (poi scientifici) sull’introspezione dell’individuo. Wilhelm Wundt (1800-1900) primi approcci psicologici alla religione. Inventore dei metodi sperimentali in psicologia e dello studio del rapporto tra cultura e mente, analizzando il contesto culturale (e religioso) per capire come lavorava la mente umana. William James (1800-1900): oggetti di studio primario nella religione sono il credente e lo specialista religioso, non le istituzioni da questi ultimi organizzate (distinzione tra religione istituzionale e personale). Inoltre, diede grande peso alla varietà delle religioni ed alle esperienze mistiche (religiose estreme), da lui definite reali per chi le esperisce e per nessun’altro, ottimi oggetti di studio per giungere alla comprensione del funzionamento della mente umana. Sigmund Freud: Religione viene stigmatizzata ed utilizzata per lo studio delle nevrosi umane, al fine di liberare l’uomo dalla necessità della religione (stiamo parlando comunque di i-religion). La religione incide sulla formazione dell’uomo dall’infanzia, in vari campi socioculturali come l’autorità, la sessualità, la repressione, il tabù. Gustav Jung: le tradizioni religiose rispecchiano la psiche umana. I fattori e gli attori religiosi (pratiche, dèi, credenze, mitologia) sono codici attraverso cui studiare gli archetipi che stanno alla base più profonda della psicologia. La religione influisce quindi sullo sviluppo identitario della persona, su parecchi ambiti della vita e della relazione (autorità, suggestionabilità, l’attaccamento nell’infanzia, le caratteristiche del periodo adolescenziale e il passaggio all’adulto). Ma la relazione tra psiche e religione in quale senso va? I tratti personali portano ad un orientamento religioso oppure la religione influisce sulla modellazione individuale? Secondo me entrambi: come il linguaggio è espressione del pensiero e retroagisce sullo sesso modellandolo, come la cultura è una costruzione simbolica immaginata della realtà, che in quanto tale arbitraria e suscettibile a sua volta di essere plasmata dalla stessa esperienza della stessa. H. RELIGIONE COLLETTIVA E SOCIALE Focus sulla “e-religion” e non più sulla i-religion, sulla dimensione sociale e pubblica della religione. Emile Durkheim: esiste una COSCIENZA COLLETTIVA che è “l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società” entro cui quindi i membri si identificano e per i quali creano uno spirito di corpo. La solidarietà meccanica esiste quando la coscienza collettiva permea ogni aspetto della vita sociale, e annulla la personalità dell’individuo e la necessità di una negoziazione, mentre la solidarietà organica si manifesta laddove una coscienza collettiva unica non ha abbastanza forza da rendere coesa la società, che si basa su sotto coscienze valoriali, permettendo anche al singolo di differenziarsi in quanto “organo” del complesso meccanismo con una propria funzione al fine di collaborare per recuperare quella diminuzione della coesione sociale implicita (meccanica). “I gruppi agiscono in base a quello che credono” e crescere in un habitus (Pierre Bourdieu) fortemente caratterizzato da condizioni e norme religiose porta l’individuo a far parte del gruppo. Si diventa religiosi se si appartiene ad un gruppo religioso. Le norme e le azioni della società tali da influenzare la società stessa sono FATTI SOCIALI. La religione è un fatto sociale e anche la lingua lo è (Ferdinand de Saussure inizia a studiare la lingua secondo teorie generali non legate all’ambiente o alla storia). Un insieme di regole, relazioni e vincoli denotano sicuramente un fatto sociale, e la società può essere studiata come un sistema di fatti sociali vincolati all’interno di una rete di relazioni, significati e regole. La religione quindi si può studiar parallelamente su più fronti: IL FRONTE ESTERNO, e quindi relativo alla società ed ai risvolti politici, economici, funzionali, ed IL FRONTE INTERNO relativamente all’influenza sull’individuo, sulla formazione, funzionamento mentale e quindi percezione. Lo studio della religione tramite la funzione sociale esperita (Durkheim), sulla creazione di una visione del mondo collettiva condivisa tramite simboli (Evans-Pritchard), sulle funzioni cognitive ed emozionali (Malinovsky) è stata centrale nel XIX secolo, in generale comunque evidenziando l’ordine costruito, la struttura, la funzione e le regole che danno luogo a griglie mentali e sistemi di classificazione collettivi (Mary Douglas). Il folklore e la linguistica hanno avuto maggiore spazio negli studi nordamericani, la cui “svolta interpretativa” dei simboli e dei significati portò all’individuazione della concezione della realtà (Clifford Geertz ed il simbolismo). La linguistica la fece da padrona anche in Europa con Claude Lèvi-Strauss nel suo strutturalismo, culture (ed i loro aspetti) come strutture di idee, codici entro i quali spiegare la cultura umana. Edmund Leach: le culture sono composte da sistemi e articolazioni di sistemi a valore/priorità variabile da cultura a cultura (un po’ ricorda la coscienza collettiva di E.D.). è comunque una generalizzazione che non si può tradurre ESATTAMENTE in PRATICA (non tutti i “religiosi” sono ugualmente religiosi, così come non lo sono neppure i gruppi). Entra Margareth Mead con i suoi PATTERN o MODELLI che posson essere appunto rivisti, avallati, respinti a differenza dei SISTEMI che possono risultare troppo statici. Sempre però regolati da relazioni e vincoli/norme. Il pensiero umano è organizzato, la società è organizzata, la società potrebbe essere espressione del pensiero umano e degli schemi interpretativi che la psiche umana utilizza per interpretare la propria esperienza della vita, schemi che si riflettono poi a livello sociale e che a loro volta retroagiscono sul pensiero umano (caratteristica dinamica). I. RELIGIONE ED EVOLUZIONE E RELIGIONE NELL’EVOLUZIONE Psicologi evoluzionisti e scienziati cognitivisti si uniscono nello spiegare la nascita e l'evoluzione anche riferite alla religione. Pascal Boyer (2010): la religione è un prodotto esatto dell'evoluzione del modo in cui funziona la cognizione umana cioè la religione è ciò che appare di un fenomeno cognitivo profondo, in cui un aumento delle capacità cerebrali provoca un aumento dell'immaginatività, del pensiero astratto e della capacità proiettiva che prescinde la reale esperienza della vita. la religione è quindi controintuitiva (non ha attinenza all'esperienza reale) e attira attenzione (l'immaginatività dona una dimensione più accettabile della realtà). Questa immaginazione si PROPAGA (Dan Sperber) nel senso in cui una volta che le rappresentazioni immaginifiche della realtà si sono sufficientemente diffuse e radicate in una popolazione questa diventa cultura: ogni popolazione quindi si ritroverà ad apprezzare e proporre idee diverse ed invece essere resistente ad altre tipologie di rappresentazione (EPIDEMIOLOGIA ED IMMUNOLOGIA DELLE RAPPRESENTAZIONI). Verrebbe da pensare alla religione come sottoprodotto “deviante” dell’evoluzione nato appunto dalla maggiore capacità immaginativa (Walter Capps), ma la religione è un fenomeno troppo complesso per essere ridotto ad un mero sottoprodotto: (Powell e Clarke) la religione è un insieme a livello sociale di impegni costosi (sacrifici, offerte, energia impiegata) nei confronti di agenti e mondi controintuitivi che governano l'ansia esistenziale dell'uomo rispetto agli accadimenti della vita (morte, dolore, epidemie, carestia, guerre, solitudine, ingiustizie etc.). Focus in questo caso è sull’ADATTIVITA’ del sottoprodotto cultural-cognitivo. Componente morale della religione è oggetto di studio tanto da proporre che non sia tanto la religione che si evolve e propone una morale ma che l'uomo stesso evolvendosi propone una morale raccolta dal fenomeno religioso (Haidt 2013): infatti alcuni precetti morali si possono ritrovare in tutte le religioni (la religione non crea la morale, l’uomo la crea e la sistema ed accetta all’interno dell’ambito religioso). Darwin dal canto suo dava una lettura funzionale della religione connessa alla capacità cognitiva e sua evoluzione nell’uomo: effettivamente la religione si prenda come uno strumento di attività che aiuti la coesione sociale e la creazione di regole e la competizione con altri gruppi: i gruppi con maggiore evoluzione di principi morali (solidarietà, abnegazione, coraggio, patriottismo, fedeltà) secondo Darwin sarebbero stati superiori agli altri gruppi, tesi ripresa dal biologo David S. Wilson. Si ritorna quindi al funzionalismo, supportato dall'eccezionale inclinazione dell'uomo a rispondere al proprio ambiente secondo i propri modelli culturali. I modelli culturali sono quindi reti cognitive collettive che racchiudono il pensiero, le idee e soprattutto l'esperienza diretta degli individui (Merlin Donald). La mente individuale è sottoposta a una inculturazione (di cui fa parte la religione) diversa da gruppo a gruppo. La domanda che cos'è la religione ha una risposta che dipende dal gruppo a cui si chiede.
TIPOLOGIE ED ELEMENTI DELLA RELIGIONE
UNA DEFINIZIONE TAUTOLOGICA: SACRO E PROFANO (banale…) Religione è un concetto quindi astratto, che indica una classe a cui appartengono molteplici fenomeni religiosi anche moto diversi fra loro ma che, appunto perché si riesce a raggrupparli in una classe, hanno vari punti in comune. Prima distinzione che potrebbe essere alla base dell'individuazione del fenomeno religioso e di quella tra sacro e profano: gli uomini pensano e rappresentano la realtà secondo una regola dicotomica suddividendola in due categorie, il sacro ed il profano, concetti ben distinti fra loro (Durkheim, secondo il quale questa dicotomia era alla base del pensiero religioso, Lèvi-Strauss secondo il quale la dicotomia in generale è alla base del pensiero umano): è possibile che oggetti persone e azioni possano elevarsi attraverso riti di passaggio dalla sfera profana a quella sacra. Qui la distinzione non è tra ciò che è reale e naturale e ciò che è soprannaturale ma tra ciò che è ORDINARIO è ciò che è SPECIALE. Questa distinzione è osservabile, è un fatto psicologico, antropologico, sociologico, e storico e quindi studiabile. Mircea Eliade ((1900) Sosteneva che il sacro è una struttura della coscienza umana, ma mentre quanto di osservabile avviene culturalmente e socialmente è molto difficile indagare la coscienza umana, laddove, secondo Mircea, provengono i concetti di religione, sacro e profano. La religione quindi si indaga studiando la mente umana e l’apparato cognitivo che la contraddistingue. Ma è vero anche che le menti umane sono ibride, e quindi sono in grado di apprendere (l’apprendimento esplicito è chiaramente l’eccezione, in genere è silente) la dimensione religiosa: è la dimensione religiosa che spinge la mente umana a figurarsi il sacro oppure è l’immaginazione umana a creare la dimensione religiosa? La distinzione tra e-religion e i-religion potrebbe venire in aiuto. Hegel sottolineava la differenza tra spirito umano “soggettivo” e spirito “oggettivo”: ciò che nasceva soggettivamente, una volta oggettivato e condiviso diveniva un fatto sociale, e come ogni fatto sociale viene appreso silentemente per potersi conformare e adattarsi/sopravvivere nella cultura in cui si nasce (così come per la lingua, evidenziando in particolare la capacità polisemica, e cioè di adattabilità del linguaggio alle varie situazioni sociali). Quindi i FATTI SOCIALI si compongono di FATTI MENTALI, e RETROAGISCONO sui FATTI MENTALI STESSI: sono interdipendenti, e la capacità di modellare l’interpretazione della realtà, la quale rimodella il pensiero umano è la maggiore caratteristica che sovrintende alla produzione culturale, linguistica ed anche religiosa (tutti fatti sociali). La religione quindi si può definire come UN FATTO SOCIALE TRASVERSALE TRA LE MENTI IBRIDE UMANE, e sempre maggiormente si indaga la i-religion (dapprima bistrattata) parallelamente alla e- religion. Peter Berger (1967) e il COSTRUZIONISMO SOCIALE: il prodotto della dialettica tra individuo e società, uno scambio reciproco e interdipendente di costruzione e revisione. Jhon R. Searle (2000) e l’INVENZIONE SOCIALE: Come si crea una invenzione sociale? Prima condizione è l’INTENZIONALITA’ COLLETTIVA con la quale il gruppo decide di assegnare un valore o meglio uno STATUS ad un dato elemento (azione, oggetto, persona) dell’IMMAGINAZIONE COLLETTIVA. Seconda condizione è L’ISTITUZIONALIZZAZIONE di tale decisione sopportata da regole costitutive di tale STATUS: così si formano gli elementi precipui della religione, come ad esempio la cosmogonia e la cosmologia. Ma possiamo anche riferirci ad altre “produzioni immaginifiche” più concrete come il denaro: dare un valore che non esiste ad un pensiero che invece si produce e diviene reale nella mente collettiva. L'esempio dei bambini che immaginano una situazione e pongono le regole per poter interagire all'interno di una dimensione assolutamente reale. Vedi anche più avanti la FUNZIONE DI STATO e L‘ATTRIBUZIONE. L’IMMAGINAZIONE E’ ALLA BASE DELLA RELIGIONE, COSI’ COME DELLA CULTURA IN GENERALE. Il LINGUAGGIO CREATIVO genera il MITO che permette appunto di immaginare una dimensione tanto reale quanto le regole che la governano. Il mito, quindi, creato dalla mente umana, retroagisce sulla stessa e la governa quale interpretazione della realtà. Abbiamo quindi 3 costruzioni culturali che collegano la religione interiore a quella esteriore e pubblica: il linguaggio creativo (il linguaggio a tutto tondo), il mito e le istituzioni, quindi di fatto la capacità di comunicare (la religione è COMUNICAZIONE) e di apprendere, la capacità di organizzare il pensiero astratto e la capacità di concretizzare delle regole. Il pensiero astratto si concretizza nell'utilizzo di simboli per l'interpretazione della realtà che circonda l'uomo. Il linguaggio (e soprattutto il linguaggio scritto) conservano queste interpretazioni così come gli artefatti, i costrutti umani, permettendo allo studioso di analizzarli in modo significativo perché in grado di “PARLARE”, di “COMUNICARE LA PROPRIA ESPERIENZA”, non solo allo studioso ma anche all'intero gruppo entro i quali vengono prodotti (COGNIZIONE DISTRIBUITA: si impara attraverso questi costrutti la realtà in cui si è immersi). vedi l'esempio delle abilità di navigazione, della capacità di reiterare i rituali o i giochi tipici delle culture che non sono aspetti banali della costruzione sociale, anzi in quanto appresi silentemente sono spesso scontati. Michael Tommasello: ORIGINI CULTURALI DELLA COGNIZIONE UMANA: Il retroagire della cultura sullo sviluppo biologico dell'uomo che crea la cultura, aumento delle capacità culturali a discapito di quelle biologiche: l'utilizzo di strumenti quali l'alfabeto, i numeri, l'utilizzo di strumenti ed invenzioni così come di ritualità o costrutti morali portati all'accrescimento culturale che amplia le capacità di produrre cultura, che diventa quindi una costruzione di menti estese, una COLLETTIVIZZAZIONE DELL'IMMAGINAZIONE. Antonio Damasio: COSCIENZA ESTESA: La costruzione di sé attraverso la cultura del proprio habitus come attori attivi e non passivi, sia dell'interpretazione della realtà sia della costruzione della società (un po’ come l’UNITA’ PSICHICA teorizzata da Edward Taylor: gli esseri umani hanno cervelli biologicamente simili e li utilizzano nello stesso modo). Essendo la religione parte di un più ampio discorso culturale si pensi alla religione come caratterizzata da funzioni psicologiche, culturali e sociali. TIPOLOGIE DI MODI ED ELEMENTI DELLA RELIGIONE La religione è un prodotto della mente umana. Ma tali prodotti presentano delle regolarità osservabili? Le culture umane (e quindi le religioni) presentano certamente similitudini nelle funzioni, nei simboli, nelle strutture. Come teorizzato da Taylor e Damasio, cervelli biologicamente simili funzionano similarmente, anche nella costruzione collettiva e nell’interpretazione collettiva della realtà. Quindi devono esserci degli universalismi, in ragione delle similitudini profonde e anche delle differenze osservabili. Non tutte le universalità appartengono al solo imperativo biologico (anzi, la biologia può comportarsi comunque diversamente in base all’habitus ed alle necessità adattive), così come le differenze non sono solo a livello culturale (che nel profondo dei significati e delle funzioni posson invece assomigliarsi molto). Ma LE UNIFORMITA’ RISCONTRABILI SIA A LIVELLO NATURALE CHE CULTURALE DIMOSTRANO LA BONTA’ DEL METODO COMPARATIVO PER LO STUDIO DELLE RELIGIONI, PERCHE’ LE RELIGIONI ED I LORO ELEMENTI COSTITUTIVI SONO PRODOTTI DELLA MENTE UMANA E QUINDI DEVON ESSERE RICONOSCIBILI DA ALTRE MENTI UMANI PER FAVORNE IL RICONOSCIMENTO ALL’INTERNO DI UNA COSCIENZA ESTESA (deve essere permessa una codificazione tale da definire una comunicazione universale, biologica e culturale). Lo stesso discorso può essere fatto per le lingue, che posson avere profonde somiglianze, od altri fatti sociali di diverse culture. COMPARAZIONE GENEALOGICA (e storica): applicato in primis sul linguaggio: dal protosemitico all’arabo, dal latino alle lingue europee del mediterraneo, e le lingue, pur lontane ma aventi lo stesso ceppo ci permettono di confrontare diverse religioni (ceppo indoeuropeo delle lingue, religioni vedica e norrena). PROSSIMITÀ CULTURALE: Laddove invece vi siano profonde differenze linguistiche subentra invece la prossimità culturale che offre altri spunti di comparazione (nativi americani, popoli africani). La comparazione genealogica delle religioni e la prossimità culturale dei gruppi permettono un confronto a livello linguistico, tecnologico, artistico, insomma culturale, col rischio però di cadere nella “FALLACIA GENETICA” prendendo delle apparenti somiglianze come punti di contatto: a quel punto l’approccio solamente storico non basta più. PRINCIPALI TIPOLOGIE DI RELIGIONE Le classificazioni vengono create dagli studiosi ad hoc rispetto ai loro interessi e sono pregne di giudizi, alla faccia della consapevolezza del proprio posizionamento. Infatti, le varie discipline coinvolte nello studio delle religioni possiedono diverse priorità: così potremmo individuare già dei criteri: - Approccio tecnologico: Dèi venerati in base alle necessità del gruppo (culture basate sulla pastorizia e sul nomadismo difficilmente erigono grandi templi, o sulla caccia avranno dèi relativi al mondo animale suddiviso tra prede e predatori); - Approccio sociologico: ampie società burocratiche avranno grandi gerarchie e personale di culto gerarchizzato e normato, ristrette culture paritarie invece prediligeranno ristrette cerchie di pari; - Approccio psicologico: si posson avere religioni basate sul controllo emozionale ed altre sull’estasi incontrollata, oppure con parti dell’uno e dell’altra, il cui scopo è confortare nell’ansia dell’affrontare la morte; - Approccio valoriale: importanza all’etica terrena e quindi al “qui e ora”, ma anche alla promessa ultraterrena. Etc etc… Come già indicato sopra vi posson essere anche posizioni sfumate tra gli estremi (religioni emotivamente controllate che prevedono in certi ambiti la ricerca dell’estasi – cristiana). Si devono quindi individuare dei criteri il più imparziali possibili, fattuali e non generati dal giudizio. Le classificazioni osservabili e sufficientemente oggettive sono individuabili secondo le seguenti caratteristiche: 1. Uno contro molti: Monoteismo contro politeismo, differenziate da un unico agente sovraumano sacralizzato contro una molteplicità di attori (spiriti, dèi, numi tutelari). Esistono anche sfumature: religioni monoteiste con presenza di molteplicità di agenti sacralizzati (cristianità con trinità e santi) o anche non agenti ma entità sacralizzate come il buddismo. Laddove élite padroneggianti la verità teologica si affiancano a componenti laiche più aperte a contaminazioni e differenti visioni della religiosità si posson trovare ulteriori sfumature tra i due poli di questa caratteristica. 2. Locativo contro u-topico: religioni indigene, legate al “locus” e cioè al territorio ed alla popolazione contro religioni non legate al Topos (luogo) ma di più ampio respiro geografico. Le religioni indigene sono per lo più locative, mentre le religioni monoteistiche del mondo odierno sono u-topiche (con le opportune sfumature: l’anglicanesimo, per esempio, è parte di una religione utopica ma radicato all’interno del mondo britannico, così come religioni locative possono distribuirsi, in special modo a seguito di flussi migratori, e radicarsi in territori più vasti (induismo). Da cui il seguente distinguo: 3. Etnica contro globale: legata quindi ad una cultura particolare oppure trasversale tre le culture (basti pensare al messianismo irochese di matrice cristiana). 4. Tradizione orale contro tradizione letteraria: la maggiora parte delle religioni odierne monoteistiche sono caratterizzate da testi e liturgie scritte, ma non sempre tali testi sono compresi da credenti analfabeti (a differenza della trasmissione orale che prevede che gli interlocutori sappiano interpretare e tramandare il messaggio religioso). In ogni caso con la maggiore alfabetizzazione e la diffusione della cultura mainstream a livello mondiale la maggior parte della popolazione può accedere e capire i testi scritti (a differenza di un tempo in cui la religione era caratterizzata dall’esoterismo e cioè la condivisione della cultura religiosa solo tra le élite) aumentando l’approccio critico alle religioni stesse, da cui il successivo distinguo: 5. Elitaria contro popolare: già si definisce così; 6. Chiesa contro setta: Max Weber indica la differenza con la possibilità di aderire volontariamente ed eventualmente attraverso riti iniziatici alla setta e aderire implicitamente ad una chiesa per nascita nel contesto culturale. Con tutte le sfumature tra questi due estremi. Definizione idealtipica, cioè spunto di riflessione e non assoluta. 7. Questo mondo /benedicente contro altro mondo /salvifica: le prime concentrate sull’ottenere sulla vita terrena dei benefit elargiti dalle divinità/antenati come fertilità, protezione etc (la maggior parte delle religioni antiche), altre invece orientate ad una salvazione nella vita dopo la morte, nell’abbandonare un mondo disforico per raggiungere un’euforia non altrimenti raggiungibile nella vita terrena – mi sa tanto da strumento per soggiogare le masse di poveri e miserabili… (prime evidenze di questo tipo di religioni verso la metà del primo millennio in un periodo denominato ETA’ ASSIALE, rintracciate simultaneamente in Cina, India, Grecia e Medio Oriente). 8. Karmica contro non-Karmica: le religioni karmiche sono incentrate su concetti quali etica e morale, trattamento degli altri appartenenti o non appartenenti al gruppo, secondo una forte relazione causa (pensiero) effetto (risultato del pensiero sul mondo circostante). Nell’induismo il raggiungimento di un elevato livello karmico propone una rinascita positiva, quindi la promessa di una vita successiva migliore, proporzionata all’impegno profuso, a differenza delle religioni salvifiche in cui il destino è già segnato, individuato dagli agenti sovraumani (infatti c’è molto utilizzo di pratiche divinatorie per conoscere il proprio futuro / destino). Il destino è fissato, così come deve essere conosciuto ciò che si deve fare per compierlo: ciò dà adito ad un’ansia da prestazione molto pervasiva e totalizzante per conoscere se si è eletti oppure dannati (si veda l’approccio Cristiano durante le Crociate). La dicotomia predestinazione/non predestinazione è un buon elemento analitico per classificare le religioni. 9. Immaginifica contro dottrinale: basate su spettacolari eventi e rituali religiosi, sfarzosi, in genere con passaggio orale del messaggio religioso e poco frequenti (focus SULL’EMOZIONE UMANA), contro una reiterazione frequente di una dottrina (generalmente scritta) per rafforzare il messaggio religioso), in genere nelle culture alfabetizzate (focus sul DOGMA - Harvey Whitehouse). Nelle sfumature di questa dicotomia si esamina il passaggio da quella che è la i-religion, cioè i processi psicologici interiori che partecipano al fatto religioso e il relativo ponte verso la e-religion, cioè l’espressione pubblica, collettiva, osservabile del fatto religioso. 10. Ortodossa contro ortopratica: le religioni prevedono tutte un insieme di elementi atti a definire un altro mondo, un'altra dimensione separata dal mondo reale, non raggiungibile se non con l'aiuto appunto di medium che per il solo fatto di comunicare col sacro diventano essi stessi sacri ed inviolabili (il sacro contamina, Mary Douglas). Possono essere gli antenati, Dèi, spiriti, ma anche entità sacre non antropomorfe e non riconducibili al piano materiale umano, come nel caso del buddismo. In ogni caso questi “agenti” diversamente assortiti propongono una visione del mondo ordinata, propongono una stabilità nella classificazione della realtà ed una inviolabilità rispetto la dicotomia sacro profano. Gli elementi costitutivi delle religioni operano in modo da garantire questa solidità, e stiamo parlando di credenze miti e pratiche, PERCHE’ L’UOMO HA NECESSITA’ DI UN ORDINE DELLE COSE E SE NON CE L’HA LO CREA (soddisfacimento di un bisogno, ricordi i bisogni primari e secondari di Malinowsky?). Questo ordine cosmico desiderato dall’uomo e proiettato sulla realtà che lo circonda (Peter Berger) è garantito da questi agenti sovrannaturali (ma in realtà fortemente voluto e creato dalla mente degli uomini), agenti pronti ad intervenire qualora vi siano motivi di disordine per tramite dell’uomo stesso, ed è chiaramente organizzato su NORME E VALORI, esplicitati attraverso le credenze e le pratiche. Se la maggiore enfasi viene posta sulle pratiche le religioni vengono definite ORTOPRATICHE (come nel caso delle religioni politeiste) l'ordine desiderato dall'uomo viene esplicitato maggiormente attraverso la pratica che deve essere svolta correttamente, mentre dove l'enfasi è maggiore sulla credenza si parla di religioni ORTODOSSE, dov'è la credenza e il mito sono poste a esempio dell'ordine costituito e spauracchio per i sovvertitori di tale ordine. Violare la prassi o la credenza porta all'ERESIA. L’eresia però è una presenza fissa ingombrante in quanto gli esseri umani sono propensi alla scorrettezza teologica, in quanto il costrutto immaginario è sicuramente ben ordinato e concepito ma nella vita reale spesso i bisogni primari hanno la precedenza (bisogni che non hanno soddisfazione della costruzione religiosa, ricordando che una caratteristica della religione è proprio la contro-intuitività (va contro la logica umana)). CAMBIAMENTI NELLE TIPOLOGIE DI RELIGIONE Abbiamo quindi visto che esistono varie tipologie di religione, ma dove nascono queste tipologie, dove si formano i criteri osservabili che le differenziano? Eppure, i fattori sono gli stessi. APPROCCIO METAFISICO: è stato il primo approccio nel tentativo di dare una risposta a questa domanda: popoli diversi hanno religioni diverse perché gli agenti sovrannaturali di quei popoli hanno rivelato la sola verità a questi ultimi. L'utilizzo della verità può essere stato corretto o scorretto ed in questo caso è semplice individuarlo come retrocausa di guerre, carestie, epidemie (punizioni divine). APPROCCIO ILLUMINISTICO: secondo approccio nato dall'affermarsi della scienza moderna, della teoria evoluzionista, dove spesso si sono collegate le necessità degli uomini e dei popoli quale origine delle religioni (popoli cacciatori adoravano dèi della selvaggina, popoli di agricoltori dèi della fertilità, popoli guerrieri dèi della guerra), teoria che viene riproposta all’interno di società meno primitive secondo i nuovi pensieri dell’ottocento (Marx intendeva la religione come una sovrastruttura rispetto ai mezzi di produzione e di sussistenza che diventano la vera struttura). APPROCCIO ANTROPOLOGICO: TEORIA DELLA CORRISPONDENZA (mutuata dal pensiero di Durkheim) che trova spazio nell’analizzare anche società complesse: al modello economico ed alle condizioni materiali si aggiungono quali variabili per la definizione della religione la STRUTTURA SOCIALE E LA FORMAZIONE DELLA STESSA (così nel mondo antico il modo di rivolgersi agli dèi cambio nel passaggio dalle città-stato alle ampie organizzazioni politiche, per esempio). LA MUTAZIONE SOCIALE PORTA AD UNA MUTAZIONE LINGUISTICA ADATTIVA E DI CONSEGUENZA AD UNA MUTAZIONE RITUALE: infatti l'importazione di nuove lingue, basti pensare all'opera di colonizzazione, porta di cambiamenti nelle religioni locali (cristianesimo in Scandinavia) perché LINGUE STRANIERE ED ESPERIENZE DIVERSE, TRADOTTE ATTRAVERSO QUESTE LINGUE, COMPORTANO UN PENSIERO DIVERSO E QUNDI UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE DELLA REALTA’. Si verificano cambiamenti cognitivi. E non solo… APPROCCIO PSICOLOGICO: Anche l’aspetto psicologico è importante: le CONFIGURAZIONI PSICOLOGICHE possono trasformare delle regole biologiche e culturali (tratti della personalità o norme comportamentali). Se consideriamo le religioni come “entità” dotate di propria personalità, e abbiamo delle modalità di pensiero che creano le religioni, se queste modalità di pensiero cambiano allora cambiano anche le religioni, cambiano le rappresentazioni della realtà ottenute tramite la religione e il modo di pensare “diversamente” può essere attribuito a fattori esterni (sociali, ambientali, biologici, storici). Le rappresentazioni sono collettive e quando la collettività viene a essere modificata chiaramente cambiano anche le rappresentazioni: tra gli abitanti del deserto dell'africa portati in Sudamerica come schiavi nascono religioni sincretiche perché non vengono abbandonate le vecchie visioni del mondo ma devono comunque fare i conti col nuovo ambiente, creando religioni atte definire un'identità del popolo nuovo, perché è un popolo nuovo! Quindi si può parlare di PSICOLOGIA COLLETTIVA, atta a dare risposte, in base agli UNIVERSI COGNITIVI CONDIVISI risposte secondo cambiamenti culturali (così la visione delle religioni puritana e protestante hanno risposto all’avvento del capitalismo, provocando cambiamenti culturali, la religione può provocare cambiamenti culturali e sociali – uomini industriosi e produttivi, accumulando capitale, avrebbero raggiunto la salvazione) Ed infinte l’aspetto della CONTAMINAZIONE TRA RELIGIONI così come influiscono i contatti tra culture che non sono bolle stagne ma fenomeni entro una continuità dialettica. TIPOLOGIE DI RELIGIONE DETEMINATE TEORETICAMENTE È possibile classificare teoreticamente le religioni secondo 4 classi principali, a seconda della teoria che le analizza (ci sono tanti concetti di ”religione” quante le teorie utilizzate): - INTELLETTUALISTA: religione vista come visione del mondo entro condizioni culturali e sociali; - SIMBOLISTA/DELLA CORRISPONDENZA: religione come espressione di strutture sociali e di forze politiche ed economiche; - ESISTENZIALISTA: religione come strumento per affrontare i grandi temi della vita e della morte; - COGNITIVISTA: religione emersa dai meccanismi mentali atti all'adattività biologica ma anche culturale.
CREDENZE, IDEE E RAPPRESENTAZIONI
Le credenze e le convinzioni sono profondamente normative, pongono dei paletti sicuri nell’ordinare la propria VISIONE DEL MONDO. Le credenze/convinzioni sono quindi legate alla necessità di ordine dell’uomo, e variano da persona a persona, da gruppo a gruppo, secondo quanto sperato/voluto (ATTITUDINE PROPOSIZIONALE, cioè la spinta naturale dell’uomo ad avere delle OPINIONI riguardo temi della vita). Mettere in dubbio convinzioni o credenze in genere suscita rigidità o sgomento nelle persone interpellate. Come si formalizzano le credenze, e cioè le opinioni sulla visione della realtà, propria e condivisa? Tramite il linguaggio che permette di esprimere l’esperienza della vita stessa. Le credenze e le convinzioni non sono necessariamente consapevoli, ma si evolvono silentemente per inculturazione, per MIMESI, durante la formazione del sé. Tali credenze sono reali nella misura in cui sono credute reali: spesso le religioni mostrano convinzioni controintuitive, immaginarie, ma ciò non toglie che per gli appartenenti a tali religioni tali convinzioni siano assolutamente reali, poi ve ne posson essere di più solide o più vaghe, ma comunque reali. DA DOVE VENGON LE CREDENZE Vengono dalla capacità della mente umana, unica nel mondo animale, di produrre un pensiero astratto, immaginifico. CLIFFORD GEERTS: individua 4 fattori chiave dell’”ESSERE UMANO”: - Raffinata cognizione sociale; - Propensione a comunicare e cooperare; - Cervello auto ingannante; - Cervello superstizioso, suscettibile di profonde emozioni e di realtà virtuali; Tramite il pensiero astratto e l’utilizzo di simboli l’uomo, nella propria esperienza della vita all’interno di reti di relazioni culturali e sociali, rappresenta la propria visione del mondo colmando i vuoti sia grazie all’immaginazione (mente) sia grazie alla cultura (ambiente). Da qui nascono le credenze ed il pensiero religioso, così come il comportamento adattivo e tali “conquiste” arrivano per “accumulo”: il nostro habitus è pregno di tutte le conquiste cognitive passate, rielaborate, sin da prima della comparsa degli ominidi, propri perché l’uomo è attore attivo della sua realtà, la assimila silentemente, la rielabora, la plasma. Merlin Donald: le capacità principali della mente e del comportamento umano sono la MIMESI, la capacità di imitazione, e la MEMORIA, la capacità di ricordare, entrambe utili allo sviluppo dell’immaginazione, senza la quale l’esperienza del mondo perderebbe di significato. L’IMMAGINAZIONE è alla base di tutto, delle credenze, dei comportamenti, della cultura e quindi del linguaggio e della religione. Karl Marx: è l’IDEA il concetto fondamentale per spiegare la cultura umana: il PROGETTO. La progettualità permette di vivere il futuro utilizzando lo strumento della mimesi per rielaborare la propria esperienza della realtà. L’IMMAGINAZIONE è alla base della comprensione, del gioco e della competenza sociale, è alla base della NARRATIVA e dell’ARTE VISIVA. DI COSA SONO FATTE LE CREDENZE Sono fatte di stati mentali e sono create appunto mediante il pensiero astratto utilizzando simboli e metafore per rappresentare e sintetizzare concetti e referenti. Tali credenze chiaramente hanno la necessità di essere create ed espresse utilizzando significati e strutture comunicative condivise (se è vero che le strutture psichiche sono uguali per tutti gli uomini è anche vero che ogni uomo sia in grado di interpretare le credenze degli altri in contesti diversi). I diversi tipi di SEGNI utilizzati nella rappresentazione del pensiero si dividono in tre categorie (Edmund Leach): - ICONA: che raffigura il referente, assomiglia a ciò che rappresenta (croce cristiana per cristo) secondo una logica di similarità; - INDICE: un artefatto che indica e punta a qualcosa (la croce su un cartello stradale indica una chiesa – relazione metonimica (contenitore-contenuto, agente-azione) tra indice e referente, l’indice è il referente); - SIMBOLO: segno a cui viene attribuito un significato metaforico per convenzione; la relazione tra segno e referente è detta METAFORICA in quanto traferisce il significato sul segno. Qualsiasi cosa può essere quindi intrisa di significato “trasportato” dal pensiero creatore, un animale, una pianta, un simbolo visivo, grafico, una parola, una frase, una struttura architettonica, un pianeta, qualsiasi cosa può accogliere la metafora del pensiero astratto: praticamente l’uomo è l’unico animale che, attraverso la metafora e l’uso di simbologia, può concretizzare il suo pensiero astratto (Edmund Leach) associandogli quanto esperito nell’esperienza reale (il leone è un animale, l’uomo è un animale, il leone è il re della foresta, il re è la figura più potente dello stato, i re può essere raffigurato come leone (Robin Hood di Walt Disney). ASSOCIAZIONE DI IDEE. LA METAFORA è alla base del pensiero umano, gli uomini vivono di metafore, non è solo un esercizio immaginativo. La metafora, quindi, rappresenta la chiave della creazione ed interpretazione del pensiero religioso. Anche perché la METAFORA è in grado di rappresentare qualcosa utilizzando oggetti anche al di fuori del loro contesto, quindi L’UOMO PUO’ USARE QUALSIASI OGGETTO CONCRETO O ASTRATTO PER RAPPRESENTARE UN PROPRIO PENSIERO. I RITUALI SONO AZIONI METAFORICHE, simili alle azioni ordinarie ma delle quali conservano la “gestualità” mentre il significato cambia (DISACCOPPIAMENTO COGNITIVO, la coppia azione- effetto, oggetto-significato, vengono scissi a beneficio della rappresentazione del pensiero astratto). Edmund Leach: CONDENSAZIONE – rappresentazione simbolica di quanto appartenente alla sfera sacra, ottenuta per “fusione” sillogistica di affermazioni del contesto astratto e del contesto materiale (Shiva è fonte di potenza divina, il pene è fonte di potenza animale, una pietra è fatta a forma di pene QUINDI la pierta è il dio Shiva). LA COMBINAZIONE COGNITIVA è alla base sia della magia che della religione, quindi la commistione tra umano e sovrumano, altamente controintuitiva, LA formazione di credenze e di funzioni religiose son caratterizzate: - Dalla distinzione tra Sacro e Profano; - Dall’utilizzo di simboli, metafore e combinazioni per IMMAGINARE, all’interno di una cosmologia anche complessa, le due sfere distinte e per poterne permettere la COMUNICAZIONE. ANTROPOMORFISMO E DUALISMO L’antropomorfismo è alla base della capacità dell’uomo di proiettare il pensiero astratto all’interno di un “altro mondo”: tale universo irraggiungibile, sede del sacro, è popolato da esseri antropomorfi secondo il dualismo corpo (tangibile)-anima (esperienza del sogno). L’anima è raffigurata come il corpo, un esatto DOPPIO (da cui l’ANIMISMO). È una propensione umana, un DUALISMO NATURALE. BLOOM: la religione nasce dalla necessità di riferirsi a mondi ultraterreni ed a costruzioni immaginifiche della mente umana per completare l’esperienza della realtà e della vita, così come è necessario dare un nome alle “mani” non per sollazzo ma perché risulta necessario riferirsi alle “mani” (Funzionalismo). Quindi la religione è un costrutto culturale universale, si trova ovunque (come la cultura nella definizione di Taylor di “ampio senso etnografico”). La religione è composta quindi sia dal DUALISMO che dall’ANIMISMO, che sono CARATTERISTICHE INNATE DELLA MENTE UMANA che si legano alla esperienza della MORTE e della vita dopo di essa. L’immaginazione della “vita dopo la morte”, in stretta relazione con il dualismo è molto importante ed ha una forte connotazione anche sociale. La questione sociale si articola secondo molteplici aspetti: - Attribuzione di causalità e giudizio morale (il comportamento in vita riflette sulla condizione post morte); - Comunicazione con l’aldilà (messaggi tra i più e i viventi, anche in collegamento con gli effetti del “giudizio morale“– ira degli antenati/spiriti/dei)); - Conservazione e definizione della coscienza dopo la morte (come si pensa da “morti”?); - Pensiero escatologico (definizione di uno scopo della propria vita, di un destino, scritto o meno, con ripercussioni anche nell’altra vita); La religione è composta anche dall’AMBIENTE e dall’APPRENDIMENTO perché gli uomini sono propensi a completare la propria esperienza di vita con credenze, con la propria immaginazione, per ricondurre tale esperienza ad una esperienza ordinata (è un BISOGNO), da cui “se vivi in un ambiente religioso, ordinato secondo quella visione del mondo, probabilmente sarai religioso”. Da cui LE FORZE SOCIALI SONO MOLTO INFLUENTI NELLA DEFINIZIONE DI UNA RELIGIONE. CREDENZE: INTUITIVE E RIFLESSIVE Gli uomini sono propensi a condividere le credenze, a formare una sorta di immaginario collettivo che diventa una vera e propria forza sociale, e ad apprendere le credenze del proprio habitus. Le religioni possono differenziarsi in: - INTUITIVE: basate sulla propria esperienza, dalla propria percezione oppure dall’esperienza della dimensione del sogno che è assolutamente personale. - RIFLESSIVE: acquisite dagli altri, e dalla tradizione culturale. Entrambe raggiungono la dimensione del RAZIONALE perché sufficientemente sostenute (percezione, tradizione) da assurgere a REALI, non quindi per il loro contenuto ma per LA FONTE AUTOREVOLE (sé/la collettività). CREDENZE COME RAPPRESENTAZIONE C’è la possibilità di stilare un catalogo delle credenze in base alla loro uniforme variabilità rispetto all’esperienza intuitiva (come succede per i supereroi, anche gli agenti sovrannaturali posso essere catalogati per “violazione della natura intuitiva della realtà e quindi di ASPETTATIVE FISICHE (incorporeità degli spiriti), BIOLOGICHE (immortalità) PSICOLOGICHE (animali che leggono i pensieri, oggetti dotati di una prioria intelligenza). Cioè secondo le loro CARATTERISTICHE SPECIALI, NON ORDINARIE. CREDENZE E RAPPRESENTAZIONI sono mattoncini per la costruzione di cosmogonie, cosmologie, ritualità, sistemi etici e morali e quindi di formulazione dell’ETHOS RELIGIOSO, che può essere anche ESOTERICO, oltre che ESSOTERICO. Ma non sono STATICHE ma costantemente riprodotte e reinterpretate, tanto da mettere in discussione anche le fonti scritte delle maggiori religioni dogmatiche ed alfabetizzate (basti pensare agli scismi che hanno caratterizzato la religione cristiana). L’uomo ed il collettivo sono attori attivi e non passivi, dopotutto sono i creatori della propria cultura. Da cui la formazione di comunità diverse su basi condivise di credenze e rappresentazioni uguali (nascita dei nuovi gruppi religiosi). RELIGIOSITA’: POSSEDERE CREDENZE E AGIRE DI CONSEGUENZA La RELIGIOSITÀ è il punto di vista individuale rispetto alle credenze ed all’interpretazione delle stesse quindi si POSSIEDE (appartiene quindi anche all’aspetto della i-religion), a differenza delle credenze proprie che sono un FATTO SOCIALE condiviso e circolante nella comunità (società e cultura – questa invece è la e-religion). Diciamo che le credenze collettive, sociali e culturali, vengono interiorizzate sia da individui che da gruppi, cioè assumono un preciso significato per quelle persone/gruppi (come la parola “red” – rosso – per gli anglofoni). Inoltre, le credenze, essendo fatti sociali e quindi cultura, posson essere rese proprie, rielaborate e trasmette dai gruppi e tra i gruppi. Quindi la cultura (e quindi le idee e le rappresentazioni religiose) non sono statiche e isolate ma soggette a SCAMBIO. La religiosità (quindi la i-religion) fa parte della e-religion nella misura in cui viene appresa e rielaborata l’oggettivizzazione del pensiero religioso, è un insieme di comportamenti regolati dall’accettazione del pensiero religioso. La religione offre una visione del mondo creata attraverso simboli e pervasa di una AUTORITÀ COGNITIVA PERSUASIVA (influenza il modo di pensare e quindi di agire dell’individuo/gruppo) e tale visione del mondo può essere condivisa in minima parte o completamente. CREDENZE CHE MODULANO CREDENZE: AGIRE CONSCIO E INCONSCIO Le credenze sono processi mentali immaginativi creati secondo propria esperienza (intuitive) e per apprendimento culturale (riflessive), MA non sono processi mentali isolati, sono imbrigliati in una rete di molteplici e differenti processi mentali. Pascal Boyer afferma che esistono processi mentali propri dell’uomo che fanno di tutto per mantenere alto il livello immaginativo a discapito di credenze fondate e non ambigue. Elencandoli: - Effetto consenso: quando il pensiero si adatta a quello del gruppo di appartenenza; - Effetto falso consenso: quando si crede che gli altri pensino come noi; - Effetto generazione: quando la produzione di credenze diviene più “vera” delle altrui credenze; - Effetto illusorio della memoria: falsi ricordi, immaginare che un’azione o un evento si sia verificato più e più volte lo rende reale; - Difetto nel monitoraggio delle fonti: quando la credenza passando di bocca in bocca perde di veridicità; - Pregiudizio di conferma: quando le proprie credenze vengono facilmente confermate dagli aspetti che si riteneva veritieri rispetto ad altri confutanti, che vengono quindi ignorati/scartati; - Effetto riduzione della dissonanza cognitiva: quando le persone aggiustano le proprie credenze sulla scorta delle proprie esperienze, confermandole ed anche andando contro ad un precedente pregiudizio, che viene negato. Spesso i credenti tendono a “DELEGARE” le proprie capacità cognitive ad un LEADER RELIGIOSO carismatico secondo un principio di FIDUCIA ASSOLUTA. Tutti questi processi mentali tendono ad utilizzare le credenze per interpretare la realtà, sia attraverso la propria esperienza (intuitive) che tramite l’ambiente e l’apprendimento (riflessive) e tale interpretazione GUIDA ATTRAVERSO NORME COMPORTAMENTALI CONSCIE O INCONSCE L’AGIRE DEGLI INDIVIDUI/GRUPPI da cui la classificazione: - CREDENZE COSTITUTIVE: che confermano gli assunti sacri di base della religione; - CREDENZE REGOLATIVE: che influenzano il pensiero e l’azione dei credenti (se il maiale è ritenuto impuro, il maiale non verrà mangiato, influenzando quindi pensiero, azione ed ESPERIENZA, che è la base delle credenze intuitive, ed AMBIENTE, che è alla base dele credenze riflessive. La cognizione umana è sia BIOLOGICA (intuitiva) che CULTURALE (riflessiva) da cui le rispettive credenze si armonizzano e si fondono in modo strettamente connesso ai RITUALI e alle ISTITUZIONI RELIGIOSE. L’ESPERIENZA RELIGIOSA L’esperienza religiosa inizialmente era riferita alla sola i-religion (la capacità dell’individuo di comprendere la propria personale relazione con il divino) e in genere riferita alla teologia cristiana protestante (in quanto più incentrata sul rapporto individuale con la divinità), e sempre autoreferenziale in quanto si partiva dall’assunto che “l’esperienza del divino esiste perché esiste il divino”, ma così facendo chi compie l’esperienza PRETENDE di compierla, e tale visione dell’esperienza religiosa quale essenza della religione è stata appunto molto criticata in quanto sosteneva che fossero privilegiati i punti di vista dei credenti senza utilizzare approcci sociologici, biologici o psicologici per evitare di ridurre tale esperienza nel suo significato (eccesso di sensibilità religiosa). Cosa è osservabile dell’esperienza religiosa? Esite una fenomenologia dell’esperienza religiosa? O dell’esperienza mistica in generale, trasversale le fedi? Per FENOMENOLOGIA si intende l’esperienza soggettiva oggettivizzata e quindi osservabile. Ma non c’è modo di osservare concetti confusi, anche a livello biologico-neurologico. Quindi, abbracciando la tesi di RIDUCIBILITA’ (e quindi evitando l’autoreferenzialità) si può definire la fenomenologia dell’esperienza religiosa “qualsiasi esperienza osservabile a cui venga consciamente o inconsciamente attribuito il valore di religiosa” quindi esplorare la vasta gamma di esperienze a cui sia stato così attribuito tale valore, in modo CONSCIO o INCONSCIO, associando loro i termini di religioso, mistico, magico, spirituale... nella PRATICA, quindi! Da cui la necessità di osservare e studiare approfonditamente le correlate PRATICHE RELIGIOSE. COSA CREDERE E COME PENSARE: IL SAPERE SPECIALE – ORACOLI E DIVINAZIONI Oracoli e divinazioni sono strettamente collegati a rituali e istituzioni religiose, in quanto sono attività assolutamente CONSCIE ed INTENZIONALI, atte ad ottenere INFORMAZIONI al fine di completare quanto non è conosciuto dall’uomo ed, in quanto tale, produttore di ANSIA/PAURA/RABBIA: gli agenti sovrumani (o in genere le forze naturali intese come interlocutrici) sono onniscienti e quindi sanno ciò che l’uomo non sa. L’utilizzo di pratiche divinatorie permette di stringere relazioni con “l’altro mondo” che interagisce fattivamente con il “primo mondo” (gli esseri umani sono inclini ad attribuire INTENZIONALITA’ all’ambiente circostante, e nel caso in cui il sacro diventi evidente e si riveli, tali segni vengon chiamati IEROFANIE), di “conoscere” quanto necessario al fine di completare in modo coerente la propria esperienza della realtà evitando la spaventosa “ASSENZA DI SIGNIFICATO”. È quindi chiara la funzione psicologica e sociologica degli oracoli. La CONOSCENZA STRATEGICA propria dell’altro mondo è necessaria per evitare l’empasse, la staticità dell’uomo/gruppo e la sua demotivazione di fronte a insormontabili prove della vita reale (De Martino definisce la magia non irrazionale ma come ricerca di sicurezza e strumento efficace per fronteggiare le difficoltà della contingenza) e quindi ridurre l’ansia e a motivare sulla riuscita dell’uomo/gruppo nelle sue azioni, nei suoi progetti individuali e collettivo (forte impronta sociale della divinazione). Oltretutto sono pratiche arginatrici della frustrazione e della conseguente violenza/rabbia per gli insuccessi, la cui colpa può essere attribuita alle condizioni sfavorevoli del rituale o a influssi al di sopra della negoziabilità dell’uomo (gli Dèi, altri agenti o forze sovrumane avverse): anzi, chi si ostina a porsi in opposizione agli oracoli in genere è oggetto di anatemi e di emarginazione sociale, in quanto inconsci disturbatori dell’ordine dovuto alla visione condivisa del mondo (queste “marginalità” infatti possono essere fonte di pericolo e di contaminazione in quanto al di fuori dello schema classificatorio culturale). Caratteristiche della divinazione sono la SEMIOSI (la creazione di segni, di rivelazioni del sacro su misura per i casi di specie, convertendo la casualità in una volontà superiore) e SEMIOTICA (interpretazione di tali segni in ragione della volontà superiore). Intercettare la volontà e quindi il destino che hanno in serbo gli agenti superni costituisce il SAPERE, ed il sapere conforta gli animi che hanno necessità di credere e sapere. Il tutto avvallato dalla predilezione umana alla predizione degli eventi, a voler anticipare i tempi di quel che sarà. Si predice (eventi passati, contingenze presenti e ovviamente attese future) mediante PRESAGI (dovuti all’interpretazione di accadimenti strani) ed AUSPICI (che operano tra le possibilità future). Nell’antichità molte decisioni politiche ed economiche, non ultime le discese in guerra, furono affidate a pratiche divinatorie. Le ISTITUZIONI E LE PRATICHE DIVINATORIE sono quindi UNA RETE DI RELAZIONI TRA IL MONDO MATERIALE E IL MONDO SOVRANNATURALE LE CUI EVIDENZE CAUSA-EFFETTO SPIEGANO IN QUESTO MONDO LE NECESSITA’ E LE VOLONTA’ DELL’ALTRO. LINGUAGGIO E DISCORSI RELIGIOSI Il discorso religioso si esprime mediante un linguaggio tipico, dedicato, il LINGUAGGIO RELIGIOSO: il linguaggio religioso utilizza pienamente metafore e significati di carattere normativo e prescrittivo (al fine appunto di sostenere la visione del mondo proposta, con un agire conscio e inconscio sulla comunità credente). Il linguaggio è, come già visto, polisemico e si adatta alle necessità immaginative del caso di specie: così esiste un linguaggio scientifico, un linguaggio per la poesia e la narrazione etc etc. al fine di SERVIRE A SCOPI DIVERSI. Il linguaggio religioso è caratterizzato di AUTORITÀ a lui conferita dal suo nascere dagli assunti sacri di base e dalla sua capacità di rivelare il sacro (ierofanie) su cui si basa l’intera produzione scritta o orale; è caratterizzato inoltre dalla AUTOREFERENZIALITÀ, “è vero in quanto tale” indipendentemente dall’evidenza logica (contro intuitività) anche se coerente al suo interno; è caratterizzato da un profondo radicamento nel SOCIALE, in quanto propone una visione del mondo collettiva e condivisa, che lo rende vero nel suo modo speciale e non-ordinario di descrivere e interpretare realtà ed esperienza, e quindi è NORMATIVO (pone obblighi/vincoli/divieti atti a preservare il necessario ordine cosmico) e FONDATIVO (perché crea la realtà, interpreta l’esperienza, crea il cosmo stesso). Il discorso ordinario (narrazione, poesie) diventa, utilizzando il LINGUAGGIO SPECIALE, religioso (miti, preghiere). DISCORSO, AMBIGUITA’ e DOGMA L’affermazione della propria originalità e purezza è la base nella ricerca dell’autorità del discorso religioso. La maggior parte delle religioni conosciute sono SINCRETICHE, cioè derivanti dai contatti tra culture e dall’influenza di molteplici fonti (vedi Durkheim e la ricerca della religione primitiva, con confutazione di naturalismo e animismo fino ad arrivare al totemismo), ma nessuna ammette tale derivazione. Un’arma a doppio taglio per il discorso religioso è il passaggio da orale a scritturale: l’utilizzo di una memoria esterna la mente umana certamente aiuta a tramandare dogmi e convinzioni, ma d’altro canto permette una più facile accessibilità e quindi una maggiore suscettibilità alla critica ed alla rielaborazione. La tradizione scritta però spesso viene fatta risalire ad un intervento divino che cala dall’alto la scrittura stessa, scrittura divina che viene nel tempo dagli uomini selezionata e proposta quale “autentica”, chiamata TESTO RICEVUTO, nel quale gli aggiustamenti vengono abilmente camuffati (e già qui ti rendi conto, parti cancellate, sostituite, aggiunte… sia nella Bibbia che nel Corano…). La versione approvata, più corretta ed ispirata, viene definita CANONE, modello: il TESTO CANONICO può essere CHIUSO una volta che confermato essere d’afflato divino e quindi immodificabile (contenente quindi la massima autorità). Scritture dello statuto non confermato vengono definite APOCRIFE, e da dubbiose possono diventare eretiche (vedi il Vangelo di Tommaso e la sua raccolta di detti di Cristo, con le parti gnostiche ed esoteriche (di CONOSCENZA ma solo per INIZIATI), di origine divina di tutti gli uomini che mettevano in discussione tutte le altre scritture). Ma ad oggi chiunque può accedere a scritture apocrife ed avvicinarsi allo gnosticismo… La riduzione dei testi sacri, la conferma dell’autorevolezza degli stessi è dovuta a forti pressioni politiche interne ed esterne le élite religiose detentrici dell’autorità e quindi all’ESERCIZIO DEL POTERE e quindi a questioni molto terrene. Il discorso religioso si articola su tre livelli: TRASCENDENTE (riferito agli assunti sacri di base, dèi, spiriti, ciò che non serve ribadire perché, pur invisibile, esiste), INTERPRETATIVO (ogni utilizzo del discorso da parte di oracoli, sacerdoti, élite in genere) e PARTECIPATIVO (quando coinvolge intere comunità) ed in tutti e tre i livelli fornisce il SAPERE, che nelle religioni che prevedono la predestinazione si trasforma in attese escatologiche (ammonimenti presenti sul destino) e apocalittiche (rivelazioni): tale sapere viene interiorizzato e va a influenzare il pensiero e l’agire sociale/culturale della collettività e il pensiero e l’agire psicologico/emozionale dell’individuo. IL MITO (MITICO!) I MITI non sono altro che storie meravigliose intrinsecamente legate all’esperienza del mondo degli uomini. Sono storie indirette sugli uomini narrate dagli uomini. Servono a COMPRENDERE come si pongono gli uomini all’interno di una data tradizione (sono in genere narrazioni legate alla nascita ed all’organizzazione del cosmo e della realtà, materiale e immateriale), senza distinzione tra religioni orali o scritte, secondo i sistemi di classificazione che tale tradizione propone alla comunità che accetta e condivide: Ferdinand de Saussure paragona i sistemi classificatori mitici a quelli linguistici, e Lèvi-Strauss paragona gli elementi costituitivi, MITEMI, alle unità linguistiche (MORFEMI). Il mito è una narrazione di quanto successo in tempi antichi ma sempre attuale, in quanto la funzione del mito è di descrivere ed istruire rispetto all’ordine cosmico, e quindi all’ordine sociale che viene ritenuto sacro (ed ogni devianza luogo di contaminazione e di impurità). I tipi di miti secondo il CONTENUTO/REFERENTI: - COSMOGONICI che trattano della creazione del cosmo; - ANTROPOGONICI della creazione dell’uomo; - TEOGONICI della nascita degli dèi. Più tutta una serie di miti relativi alla sessualità, alle tradizioni economiche e culturali della comunità (agricoltura, caccia, pesca, professioni), la gerarchia sociale e i ruoli sociali (clan dominanti nati dalla terra), eventi da spiegare (inondazioni, siccità, epidemie), la vita e la morte e gli accadimenti umani (demoni, spiriti, antenati) e comunque TUTTO QUANTO SIA STATO O È DI IMPORTANZA PER IL GRUPPO. I MITI SONO NARRATIVE TRADIZIONALI AUTOREVOLI CHE FONDONO IL MONDO VISSUTO CON IL MONDO PENSATO, IN MODO CHE IL MONDO PRESENTE SIA L’UNICA VERSIONE PLAUSIBILE, E QUINDI GIUSTIFICATIVA DELL’ESISTENZA. Il mito non solo sostiene l’ordine delle cose e la visione del mondo ma, nella sua veste immaginifica, LI CREA. Il MITO è creato per spiegare una condizione presente del gruppo, e la sua origine “umana” viene NASCOSTA/NEGATA. Il mito ed il linguaggio religioso (che è lo strumento per conoscere ed interpretare la nostra esperienza del mondo) pongono quindi le fondamenta della realtà (relativa) ed assolutamente coerenti e razionali all’interno della loro relatività. Le interpretazioni dei miti dell’antichità possono essere grossomodo le seguenti. - Mitografiche: relative alla filologia, all’origine dei miti; - Filosofico-razionali: relative al rifiuto del mito; - Pre-scientifiche: ove il mito spiega in tempi remoti ciò che la scienza spiega ora; - Allegoriche: relative alla natura (dèi del fuoco, dell’acqua) o allo spirito (dèi della saggezza, del desiderio); - Etimologiche: e quindi riferite all’origine delle parole per spiegarne il segreto; - Storiche: legate ad avvenimenti reali; - Evemeristiche: dell’origine umana degli dèi; - Sociologiche: relative quindi alla influenza degli dèi sull’ordine sociale; - Psicologiche: quali risultato di paura, ansia, emotività.
PRATICHE E COMPORTAMENTI RELIGIOSI: RITUALI
È difficile definire cosa sia subordinato tra rituale e credenza, il punto di vista cambia seconda dello studioso: è difficile avere un'interpretazione obiettiva, influisce molto la formazione religiosa: le religioni basate sull’ortoprassi vedranno la credenza subordinata al rituale, diversamente nell'ortodossia il rituale è subordinato alla credenza (religioni monoteiste). I sociologi invece, visto il rituale come elemento coesivo della società, lo vedono come precedente alla credenza (così come per gli antropologi evoluzionisti, che vedono il rito come necessità più antica e quindi formante la credenza). La consapevolezza del posizionamento dello studioso è importante. Alla fine del 600 all’interno della cultura protestante il rituale veniva declassato rispetto alla credenza, in quanto la ricerca di una vera fede andava al di là della prassi che spesso era considerata idolatria, addirittura fino a vietarla, come nel caso del Natale. Rito, quello natalizio, probabilmente nato all’interno della cultura germanica in corrispondenza del solstizio di inverno, adattato e rielaborato all’interno dell’ampia azione di cristianizzazione dei popoli nordici. Oggi il Natale è ritornato, sia come evento commerciale, sia come rito inerente la famiglia. Ma non sono gli stessi riti (il Natale vietato, il Samhain germanico, il Natale odierno) anche se corrispondenti per periodi dell’anno: i rituali sono simili ma la forma rituale non è sufficiente a dare prova del significato (che in questi tre casi è differente), quindi appoggiarsi all’IPOTESI DELLA CONTINUITÀ RITUALE è pericoloso, fonte di pregiudizio e va costantemente monitorata. CONCEZIONI DEL RITUALE Le teorie che hanno esaminato il rituale vanno dalla interpretazione dello stesso come STRUMENTO MISTICO a STRUMENTO COERCITIVO E DI CONTROLLO SOCIALE. In ogni caso il rituale ha a che fare col SACRO (Durkheim: i rituali sono pratiche relative a cose sacre) e quindi anche con il passaggio dalla sfera profana a quella SACRA (oggetti, situazioni, status – vedi pure Van Gennep) o di conservazione della SACRALITA’ di quanto è già asceso (ivi compresa l’autorità nel confermare quanto definito dallo schema classificatorio e cioè l’ordine). Ma molti rituali non sono facilmente ascrivibili a “funzioni” o non sono semplicemente evidenti. Da cui una pletora di teorie in merito: EVOLUZIONISTI: Edward B. Taylor e James Frazer considerarono i rituali quali SOPRAVVIVENZE nate dall’abitudine di azioni ormai decontestualizzate ma che avevano senso nel loro tempo (in quanto davano spiegazione del mondo e producevano effetti nel reale) nella fase della religione “primitiva”: se è vero che le prime religioni erano animismo e naturalismo, nell’evoluzione verso nuove forme religiose si sono mantenuti questi rituali, sopravvivenze che possono reiterarsi fino al periodo contemporaneo. Ma se il rituale è una sopravvivenza a prescindere perché decontestualizzato, nel suo contesto cos’è? STUDIO DEI MITI: si è tentato di collegare il rituale ai miti, cercando tramite il rituale il significato del mito. Ma questa ipotesi naufragò presto, per la laboriosa ed insoddisfacente attività di collegare rituali e miti. SOCIOLOGI: il rituale con funzione di coesione sociale. William Robertson Smith, studioso del vecchio testamento (di cui era il primo critico quale libro di “verità”, declassandolo a libro storico) scoprì la funzione del SACRIFICIO RITUALE quale comunione collettiva tra credenti e divinità (ove la divinità non era altro che la collettività stessa che si rafforzava in questo modo tramite un’OFFERTA condivisa): la cosa venne ripresa da Durkheim che sottolineò le caratteristiche di coesione (perché coinvolge l’intera collettività, che risponde alla chiamata a partecipare) e di normativa del gruppo. Il focus di Durkheim e di R. Smith è chiaramente la comunità e quindi l’UOMO. Marcel Mauss invece fece attenzione al sacrificio quale SCAMBIO tra comunità terrena e comunità ultraterrena (SACRA) atto a rafforzare l’ordine stabilito delle cose, il mondo stesso, la realtà, e quindi con un focus invece sul SOVRUMANO. Che sia UMANO o SOVRUMANO in realtà il focus corretto è il rispetto ed il rafforzamento delle REGOLE e dell’ORDINE (che fanno riferimento a ciò di più SACRO, e quindi agli assunti sacri basilari) senza distinzione di religione o tipo di rituale. Vedi un po’ chi arriva infatti adesso… FUNZIONALISTI: La FUNZIONE del rituale è quindi di sottolineare e sostenere la creazione culturale della realtà. Bronislaw Malinowsky con i suoi studi alle isole Trobriand evidenziò che magia e religione erano assolutamente razionali e coerenti nel loro contesto (nella loro “visione del mondo”), quindi non false dottrine oppure buffe ed irrazionali pratiche, ma azioni pragmatiche e producenti effetti, specialmente per dare la forza al gruppo/individuo contro le avversità inarrivabili (tra cui la morte) della vita, per evitare quell’empasse statico in cui si troverebbe l’uomo se si trovasse di fronte alla impossibilità assoluta di agire (era un po’ anche la posizione di James Frazer in merito). Per poter agire su tali situazioni gli uomini si dotano di simboli per spiegare, accettare e riportare entro il sistema di classificazione queste situazioni inaccettabili ed inspiegabili: i rituali, e le suggestioni proposte dall’ambito semantico ad esso collegato, per poter raggiungere questo scopo devono poter agire su più livelli: quello MATERIALE, quello IMMATERIALE (mentale e sociale) e anche quello SOVRANNATURALE. STRUTTURE DEL RITO: la prima individuazione della struttura generalista del rito è di Arnold Van Gennep, analizzando i RITUALI DI PASSAGGIO: STRUTTURA TRIPARTITA (fase separativa, fase di transizione, fase reintegrativa). La fase di transizione, cioè di superamento di una SOGLIA (Limen) è detta LIMINALE. A seguire gli studiosi successivi divisero i rituali di transizione in 5 fasi (INIZIALE, SEPARATIVA, LIMINALE, INTEGRATIVA, FINALE) e nelle seguenti categorie per FINALITA’ (individuate anche da Van Gennep che affianca la più generale struttura del rito di passaggio alle specificità di tutti gli altri): - RITUALI DI CRISI/GUARIGIONE/SUPPLICA (superamento di una situazione negativa relativa ad accadimenti esterni); - RITUALI DI INIZIAZIONE (superamento di uno status inferiore per accedere ad uno status superiore migliorativo) - RITUALI CALENDARIALI/CELEBRATIVI: (conservazione, traguardo e conferma di uno status positivo per evitare che si generi una negatività) Tutti i riti mirano comunque MIRANO AD UNA SITUAZIONE MIGLIORATIVA di quella iniziale. A questo serve il rituale? SIGNIFICATO NEL/DEL RITUALE Facilmente il significato di un rituale dipende da cosa cerca lo studioso, ma in ogni caso un rituale ha uno scopo. La ricerca del significato (che può avere molteplici matrici, da quella sociale, ad un’intenzione mentale dell’uomo o anche dell’agente sovrannaturale) viene definita da Clifford Geertz “DESCRIZIONE DENSA”: esiste una gamma di INTERPRETAZIONI ed un’altra ancora più vasta gamma di INTENZIONI che in sinergia producono una molteplicità di possibilità in merito al significato del rituale, perché il RITUALE rappresenta la visione del mondo e quindi tutto un insieme di IDEE, VALORI ed ESPERIENZE. Chi crea il rituale? Il rituale non è sceso dalla volta celeste. Ma pochi rituali si sono riusciti a riportare a sacerdoti creatori, la maggior parte dei rituali viene ascritta al potere degli dèi/spiriti/antenati e così facendo tali pratiche guadagnano di originalità e purezza, autorità e sacralità. I rituali sono quindi CONSERVATIVI delle religioni a cui appartengono in quanto sostengono una determinata visione del mondo ed una determinata normativa di comportamento: i rituali funzionano solo se operati nel giusto modo; laddove i rituali vengano RIELABORATI nascono nuovi gruppi religiosi. Il SACRO tramite la sua AUTORITA’ detta le NORME DI COMPORTAMENTO RELIGIOSO (e anche più in generale) ed il rituale contiene un PROGRAMMA che ha lo scopo di ottenere un EFFETTO indipendente dall’individuo, e questo EFFETTO (con i suoi risvolti psicologici e sociali: Il RITUALE CREA MODIFICAZIONI FISICHE E PSICOLOGICHE NEI PARTECIPANTI) è il SIGNIFICATO DEL RITUALE: RITUALE: UNA SEQUENZA DI AZIONI CHE ESPRIME SCOPI E CONSEGUE UN EFFETTO/UNO STATO DI COSE PREFISSATO Gli scopi, le intenzioni espresse sono di valenza comunitaria, proprio perché non individuali, sono MANFESTAZIONI DI INTENZIONALITA’ COLLETTIVA (e torniamo a Durkheim) atte a GESTIRE COLLETTIVAMENTE UNA SITUAZIONE, collettivamente perché il singolo delega la propria azione in merito al rituale e quindi alla collettività (gli egizi volevano che il sole sorgesse tutti i giorni, ma non tutti gli egizi partecipavano a un rituale: c’era una parte di iniziati che aiutava tutti i giorni il sole a sorgere E CI RIUSCIVA – ottenendo di sconfiggere l’ansia e la paura dell’oscurità perenne e della fine dell’universo). I rituali rappresentano “AZIONI ARCHETIPE” che fanno parte di più ampi e complessi cicli rituali di durata variabile (per lunghi periodi per le società o anche per tutta la vita per gli individui) e di ampiezza spaziale diversa (diversi territori o ambiti). Le azioni, mediante la RITUALIZZAZINE, passano da una valenza ORDINARIA ad una valenza SPECIALE acquisendo differenti QUALITA’ ed IMPORTANZA. LA MAGIA Nei primi tempi di studio della magia si pensava a questa come uno stadio precedente la religione (evoluzionisti), separata da questa con valenza di falsa superstizione, oppure intendendola come una “sorella bastarda della scienza” (James Frazer), in ogni caso con connotazione NEGATIVA. James Frazer: la religione implica una credenza in agenti sovrannaturali e la possibilità di ottenerne favori e potere in una concezione della natura elastica, a differenza di scienza e magia che ritenevano le leggi naturali immodificabili (aspetto scientifico); Emile Durkheim: la magia possiede credenze e rituali, ma non una ekklesia ed in questo si differenzia dalla religione (aspetto sociologico): non esiste nella magia un profondo legame collettivo ma semplicemente un rapporto individuale tra mago e “credente” al fine dell’ottenimento di soddisfazione per quest’ultimo. Ma religione e magia sono costruzioni culturali e in quanto tali utilizzano processi mentali e rituali simili tra loro: azioni ordinarie che ascendono tramite la ritualizzazione ad azioni speciali con uno scopo prefissato (legare fili, accendere candele etc etc). Jesper Sorensen: utilizza la teoria della METAFORA e della COMBINAZIONE COGNITIVA: tramite la magia si concretizza la possibilità di cambiare lo stato delle cose secondo i propri desideri, attraverso azioni rituali scollegate da una logica causa-effetto (detta CAUSALITA’ OPACA - gli spilli su una bambolina? È chiaramente l’uso di una metafora e di una combinazione cognitiva tra desiderato e oggetto del rituale) “LA MAGIA RIGUARDA IL CAMBIAMENTO DI STATO O DI ESSENZA DELLE PERSONE/OGGETTI/ATTI ATTRAVERSO SPECIALI (E NON BANALI) AZIONI CARATTERIZZATE DA CAUSALITA’ OPACA”. James Frazer individuò i DUE PRINCIPI FONDAMENTALI DEL PENSIERO MAGICO: - PRINCIPIO DI SIMILARITA’ (principio metaforico, il simile genera il simile, l’effetto somiglia alla causa: pianto uno spillo su una bambola ed è come piantare uno spillo nella carne) - PRINCIPIO DI CONTIGUITA’ (di contatto o di contagio, principio metonimico (il contenuto per il contenitore) o di associazione mentale, in cui si sovrappongono causa ed effetto, lo spillo produce dolore nella persona raffigurata, meglio se la bambola contiene una parte del corpo della persona come unghie o capelli). La PANCIA DEL MIO CAMPO (Malinowsky) utilizza le metafore che collegano la fertilità e le azioni agricole alla pancia della donna e quindi alla gestazione ed alla nascita: da qui nasce il rituale magico YOWOTA che estende la combinazione cognitiva anche all’origine dei clan dominanti legata al terreno dei territori controllati. La ritualità di MAGIA e RELIGIONE è dinamica ed ha a che fare con l’ ”OPERARE SUL MONDO” ed alle necessità nascoste dietro questa esigenza di operare, e le leggi di Frazer si applicano anche alla religione. OPERARE SUL MONDO DESIDERATO Gli esseri umani hanno la capacità del pensiero astratto e l’abilità di immaginare ciò che non possono raggiungere percettivamente. Claude Lèvi-Strauss distingue il mondo tra Monde Vecu (mondo vissuto) e Monde Conçu (mondo pensato). Solo gli uomini si astraggono ed immaginano come operare sul mondo materiale per i propri scopi, riducendo quanto non percepito o invisibile a qualcosa alla portata dell’uomo stesso (dimensioni medie cit.) in modo da poterlo plasmare. IL RITUALE È UN LABORATORIO PER PLASMARE CIO’ CHE E’ AL DI FUORI DELLA PORTATA PRATICA DELL’UOMO – TUTTO DEVE ESSERE RIDOTTO ALLA SCALA UMANA PER POTERLO CONTROLLARE (il sorgere del sole per gli egizi, per esempio, controllabile attraverso un rituali fatto di azioni molto umane e del cui effetto l’uomo diventa partecipe). La FLUIDITA’ COGNITIVA, cioè la capacità di immaginare ed adattare per simboli la realtà, permette all’uomo di non rendersi conto che è il suo stato mentale a cambiare e non la realtà oggettiva. Con il rituale è possibile sacralizzare qualcosa di ordinario e tramite questo (oggetti, agenti, azioni) ottenere l’impossibile. Le categorie ordinarie di TEMPO, SPAZIO, AZIONI, PERSONE, OGGETTI, STRUMENTI, SIGNIFICATI E STATUS (quest’ultimo “istituzionale”, creato dalla cultura) possono essere sacralizzate ed impiegate per TRASFORMARE MONDI VIRTUALI IN MONDI TANGIBILI A MISURA D’UOMO. UNA TIPOLOGIA ELEMENTARE DEL RITUALE Le trasformazioni di queste categorie ordinarie in speciali son alla base del pensiero (idea), simbolismo (significati) e pratica (azione) rituali e il simbolismo metaforico e la capacità di combinazione cognitiva permettono di TRASFORMARE il materiale appartenente a categorie ordinarie in SACRE; l’uomo poi utilizza quanto trasformato per creare/sostenere/conservare la propria visione del mondo. Definizione di tipologie di forme/funzioni/strutture/significati rituali, elementi (formativi del rituale) del pensiero e del comportamento magico e religioso che si combinano nello scambio simbolico tra profano e sacro. A. Il rituale come comunicazione e significato A volte la lingua utilizzata nei rituali è quella ordinaria, a volte no (latino per gli italiani, ebraico per gli USA, arabo per i turchi). Nel caso non vi sia la conoscenza della lingua rituale, l’attenzione dei credenti si focalizza su altri aspetti del rituale che non dipendono dalla comprensione verbale (come per esempio compiti, scambi), elementi formativi che possono comunque permettere di utilizzarla (avere un determinato status, essere iniziati, essere addestrati). Spesso la lingua è volutamente differente per permettere quella distinzione tra sacro e profano, oppure può essere priva di senso (come nelle formule magiche). Il linguaggio quindi può: - Essere diverso dall’ordinario, volutamente, ed incamerare particolari parole, oppure può essere privo di senso; - Essere collegato a status dei credenti per il suo utilizzo; - Avere una dimensione teatrale, con cambi di intonazione o di timbro; - Essere espresso solamente in determinati luoghi; Il tutto per sottolineare la dimensione SPECIALE del linguaggio stesso e la demarcazione sacro- profano. Il linguaggio non è il solo produttore di significato: esistono segni e modi di significazione e di interpretazione (il dio rappresentato da una colonna di fuoco) nelle credenze e nei rituali, oltre che nelle istituzioni religiose. È attraverso la rivelazione di questi segni che la religione prende significato, segni che si trovano all’interno di un contesto SPECIALE. I tre tipi di segni sono ICONA, INDICE e SIMBOLO: il simbolo, che collega un segno ad un significato è chiaramente arbitrario, ed in genere legato ad una metafora. Ma esiste un diverso tipo di segno: il SEGNALE, caratterizzato non dal referente (come nei primi tre casi, l’icona sta per, l’indice porta a e il simbolo significa del REFERENTE) ma dalla FUNZIONE, che ha uno SCOPO e ottiene REAZIONI. I tre tipi di segni possono trasformarsi in segnali. Il SEGNALE appartiene alla dimensione RITUALE e tutto questo avviene all’interno dello SPAZIO RITUALE che porta questi segni in una dimensione speciale: così l’alzare l’ostia al cielo consacra il pane per permettere ai credenti di comunicare con dio, così l’abluzione permette ai musulmani di pulirsi e purificarsi al fine di poter pregare rispettosamente, o semplici foglie posson divenire potenti medicine guaritrici. Il rituale VUOLE i suoi ELEMENTI FORMATIVI e solo allora FUNZIONA, e tali elementi sono collegati tra loro secondo REGOLE e NORME derivanti dalla tradizione culturale e più in generale dalla visione del mondo accettata collettivamente. NATURA MULTI VOCALE DEI SIMBOLI RITUALI: ogni simbolo può avere più di un significato e quindi collegare più ambiti del pensiero religioso (trasversalità), e questa “natura” permette di combinare simboli al fine di “OPERARE SUL MONDO” (Victor Turner). Lévi-Strauss e il BRICOLAGE: modo di costruzione della pratica rituale assimilata alla capacità del tuttofare di creare artefatti speciali usando qualsiasi tipo di pezzo/elemento ordinario: tutto, quindi, dipende dall’IMMAGINAZIONE e dalla capacità di PROIEZIONE/PROGETTUALITA FUTURA dell’uomo. Il processo di costruzione e di accettazione può essere assolutamente inconscio ma seguire determinate REGOLE DEL MONDO PENSATO. Quindi elementi ordinari possono essere utilizzati estremamente ELASTICAMENTE attribuendo molteplici significati al fine di operare sul mondo PENSATO/DESIDERATO e garantire attraverso la MALLEABILITÀ dei PROCESSI DI SIGNIFICAZIONE lo SCAMBIO tra i due mondi, quello VISSUTO e l’ALTRO MONDO (sono malleabili in quanto arbitrari). RECIPROCITA’ RITUALE: quando individui/gruppi scambiano simbolicamente beni ed azioni con i propri agenti sovraumani al fine rinforzare il proprio legame con questi ultimi (che vanno a completare e dare significato alla realtà, creati dagli uomini pe le loro necessità di colmare e spiegare la propria esperienza della realtà). Il commercio con gli agenti ultraterreni è chiamato RECIPROCITA’ o SCAMBIO SIMBOLICO (che è lo SCOPO del rituale religioso): oggetti/azioni in cambio di benefici entro un flusso normato da vere e propri regole CONTRATTUALI (le regole del rituale stesso): i doni così scambiati hanno obblighi sia per il donante che per il ricevente (Marcel Mauss). Il RITUALE è un MEDIUM tra il mondo ALTRO ed il mondo degli uomini. Una caratteristica della comunicazione rituale: la PERFORMATIVITA’: OTTENERE UN EFFETTO! (tipo il matrimonio, la guarigione, il cambiamento di status sociale…) e quindi una TRANSUSTANZIAZIONE: il rituale può più semplicemente descrivere e constatare dati di fatto già conosciuti alla pletora di credenti, ma ottenere comunque un effetto, quello di sottolineare idee, valori, significati e codici alla collettività, ottenendo quindi l’EFFETTO di una coesione sociale, senso di appartenenze, fedeltà al gruppo attraverso il COMPORTAMENTO RITUALE: laddove i corretti comportamenti rituali siano molto complessi, scomodi, costosi vengono intesi caratterizzati da SEGNALAZIONE COSTOSA. B. Il rituale come azione speciale L’azione rituale produce intriganti combinazioni di azioni speciali atte a catturare l’attenzione, tramite: - la malleabilità dell’ontologia (le cose posson avere molteplici nature, diverse dall’ordinario); - la fluidità della cognizione (capacità immaginativa di rendere reali nozioni contro-intuitive); - sostituibilità dei segni (la caratteristica polisemica di segni e simboli tali da collegare più ambiti del pensiero religioso); I rituali vengono eseguiti: - TEMPORALEMNTE: in peridi speciali, contingenti (crisi) o calendarizzati (celebrazioni); - SPAZIALMENTE: in determinati luoghi, intesi come un elemento formativo del rituale; Lo spazio rituale può avere qualsiasi forma ma deve essere DELIMITATO rispetto al resto del mondo, per demarcare ulteriormente i confini tra sacro e profano, ed in tal senso accogliere rituali di SACRALIZZAZONE. Le azioni rituali hanno un certo numero di caratteristiche frequenti, salienti che li separano dalle azioni ordinarie (dopotutto la preghiera è parlare, una processione non è altro che una camminata etc): 1. prima caratteristica: violazione dell’ordinario – Gli agenti speciali nel rituale Gli agenti rituali che vengono coinvolti in un rituale possono appartenere a molteplici categorie, collegati alle categorie di comunicazione, significato e azione di cui sopra (oggetti, persone, esseri defunti o immaginati, luoghi, gruppi, istituzioni, canti, linguaggi e parole, medium di qualsiasi tipo) ma che hanno una caratteristica peculiare: possono essere sostituiti e quindi violare l’ordinaria azione, divenendo “SPECIALI” nel loro modo di connettersi all’ALTRO mondo. Le azioni rituali in genere sono stilizzazioni o caricature delle azioni ordinarie, non hanno una funzione ordinaria ma celano o evidenziano una relazione causa/effetto speciale e contro-intuitiva (causalità opaca). 2. Seconda caratteristica: efficacia L’effetto chiaramente è differente da quello di una azione ordinaria in quanto è un EFFETTO IMMAGINATO e in quanto tale capace di modificare e plasmare la vera natura di agenti ordinari in agenti speciali, combinandoli tra loro. Gli effetti rituali sono effetti immaginati e quindi con ripercussioni sociali e psicologiche; 3. Terza caratteristica: intenzionalità invertita Relativa al mondo immaginato e non a quello ordinario, quindi diversa dall’intenzionalità ordinaria: l’azione quindi intende avere efficacia, secondo regole precise, nello scambio tra i due mondi. Il rituale, quindi, possiede PROGRAMMI DI INTENZIONALITA’ nel suo volere operare sia nel mondo pensato che nel mondo vissuto. 4. Quarta caratteristica: modulazione crescente e decrescente Il tempo e lo spazio collassano in modo da rendersi tangibili all’uomo: ciò che è invisibile o intangibile viene immaginato all’interno di un rituale, passato/presente e futuro, così come ciò che è vicino/distanze cosmiche, divengono ugualmente accessibili durante il rituale 5. Quinta caratteristica: controllo rituale Il rituale ha uno scopo che può essere raggiunto tramite una ben precisa serie di norme, che dipendono appunto dallo scopo prefissato, l’effetto voluto, non dai partecipanti: viene codificato nella reiterazione delle norme culturali. 6. Sesta caratteristica: grammatica inversa Una contraria organizzazione di significati e relazioni dall’intuitivo ordinario capaci di una comunicazione speciale con l’alterità e di effetti tangibili: gli oggetti diventano soggetti (oggetti rituali capaci di meraviglie) e i soggetti divengono oggetti (uomini da curare, da esorcizzare etc) 7. Settima caratteristica: sostituzione di struttura Strutture vicine al gruppo/individuo o fondamentali vengono sostituite o invertite: vedi l’inversione dei ruoli nella società dinonmiricordo, in cui l’effetto del rituale era sfogare le frustrazioni di ruoli troppo rigidi ed evitare che l’eccessiva rigidità portasse al conflitto e quindi alla disgregazione sociale…. Ha valore di coesione sociale e contenimento della crisi. Parlando di AGENTI SPECIALI coinvolti nelle azioni rituali, possiamo avere: - UMANI: SOGGETTI ATTIVI DOTATI (PER SACRALIZZAZIONE) DI POTERI SPECIALI, medium in grado di mettere in comunicazione i due mondi secondo le loro controintuitive cognizioni e percezioni. Possono ottenere STATUS particolari, AUTORITA’ particolari o essere ritenuti CAPACI di realizzare lo SCAMBIO con l’altro mondo. Lo status in genere è ottenuto mediante riti di iniziazione. - STRUMENTI: oggetti o artefatti con capacità speciali e chiaramente contro-intuitive: dal più piccolo osso alla più alta montagna questi oggetti hanno CAPACITÀ COGNITIVE (è una peculiarità dell’uomo dotare di cognizione gli oggetti in modo da potersi porre al centro dell’universo ed essere capace di interloquire con questi) e possono AGIRE REALMENTE ed influenzare il destino di gruppi/individui attraverso benefici/disastri. - SOGGETTI PASSIVI: coloro che sono oggetto del rituale, e quindi sono soggetti passivi, sono importanti quanto i soggetti attivi e gli strumenti: senza di essi, senza la capacità del rituale di essere efficace e produrre effetto (una guarigione, un cambiamento di status, una benedizione) non esisterebbe il rituale. L’oggetto del rituale in realtà non è il vero beneficiario dell’effetto del rituale: certamente su di lui si focalizzano le aspettative, ma le aspettative sono quelle di un gruppo sociale ben delineato (basti pensare alle caste hindu) che trae conferma di sé, coesione e senso di appartenenza dalla partecipazione e riuscita del rituale. - GRUPPI RITUALI potrebbero essere per esempio ordini monastici o confraternite, ordini templari o iniziatici facenti parte di COMUNITÀ INTERPRETATIVE operanti in UNIVERSI SEMANTICI propri delineanti SPAZI DI SIGNIFICATO. COGNIZIONE SPECIALE ED EMOZIONE I rituali, specialmente se molto complessi, faticosi, onerosi e quindi “costosi”, appaiono estremamente eccezionali e significativi da un punto di vista cognitivo ed emozionale: afferrano i partecipanti e sono memorabili e quindi molto diversi dalle azioni ordinarie cui posson anche riferirsi. Sono certamente speciali, succedono situazioni speciali in quanto “violano” l’ordinarietà ma fanno leva sulle percezioni e sulle emozioni ordinarie dell’uomo. La cognizione percettiva e la cognizione concettuale, nella cognizione rituale, sono separate (e non sovrapposte come si pensava per le popolazioni primitive, credute incapaci di pensiero astratto e quindi di operare per metafore) e collegate dallo scopo “sacralizzante” del rituale: così il pezzo di pane (cognizione percettiva) diviene il Corpo del Signore (cognizione concettuale) ma solo in determinate condizioni “speciali” coinvolgenti gli agenti speciali sopradescritti. Le die sfere percettiva e concettuale si collegano tramite i segni: così l’icona (percepita) rappresenta, o meglio, è l’agente speciale (un’icona di S. Francesco è S. Francesco ed ha poteri beneficali), così gli indici rappresentano la presenza e l’essenza dell’agente e così l’impianto metaforico la capacità dell’agente di interagire con il mondo vissuto. La polisemanticità dei simboli, che riescono così a collegare più domini semantici appartenenti alla cultura indagata, unisce la dimensione culturale con la dimensione cognitiva, sia individuale che collettiva: ma unisce anche la dimensione emozionale individuale e collettiva. Victor Turner: i simboli e le loro relazioni all’interno dell’universo semantico osservato creano e sostengono la classificazione del mondo e l’esperienza di esso secondo un ordine necessario all’uomo per completare la propria consapevolezza del mondo vissuto attraverso il mondo immaginato, ma servono anche a suscitare, regimare o incanalare le forti emozioni che sono proprie sia dell’individuo che del gruppo (odio, amore, rabbia, euforia, disforia). L’intera persona, individuo o collettività, è coinvolta a livello esistenziale, nei problemi inerenti le emozioni collegate alla vita ed alla morte (livello esistenziale che è già coinvolto per necessità nella creazione di un ordine). LE PERFORMACE RITUALI SONO PROFONDE REGOLATRICI SIA DELL’ORDINE SOCIALE CHE EMOZIONALE ATTRAVERSO LE IDEE, I VALORI E LE NORME CHE RAPPRESENTANO. EFFERVESCENZA RITUALE (Durkheim): c’è una forte dipendenza del pensiero religioso dall’intensità di partecipazione alla vita collettiva, al cui intensificarsi si modificano le condizioni mentali dei partecipanti: passioni vive, forti sensazioni fanno sentire l’uomo TRASFORMATO e in virtù di questa trasformazione l’uomo plasma il mondo attorno a lui, attraverso le forme simboliche proposte dalla ritualità (ovviamente a modificarsi è la condizione mentale e soggettiva e non quella reale ed oggettiva). Di sicuro partecipare a determinati riti in determinati luoghi a determinate condizioni crea una forte condivisione collettiva dell’emotività (la fila per entrare a toccare il pisello di Shiva ordinata, all’interno del tempio il delirio). Si va quindi a spiegare la SINCRONIZZAZIONE SOCIALE nel vivere i rituali, ove l’intensità partecipativa permette ai partecipanti anche di trascendere simbolicamente lo spazio, il tempo e anche la propria identità/intenzionalità a favore di un senso di appartenenza (SOVRAIMITAZIONE, l’individuo assume un ruolo speciale ed attivo). Anche la difficoltà cognitiva nel “segmentare”, cioè analizzare, un rito apparentemente non- funzionale opera nel senso di una possibile trascendenza del partecipante, perché l’affaticamento cognitivo che si genera in questa difficoltà crea dapprima un sovraccarico emozionale, poi uno svuotamento cognitivo, una “resa” colmata dall’informazione culturale proposta dal rito stesso, “delegata” quindi a completare le “mancanze” non colte nella percezione del rito stesso. Questo completamento è culturale e quindi l’INFORMAZIONE CULTURALE, tipica del rito, è propria quindi della cultura: un rito non può essere esaminato a prescindere della cultura entro cui il rito è stato creato. COLLEGAMENTO TRA E-RELIGION (PARTE SOCIALE, SCHEMA CLASSIFICATORIO) CON LA I-RELIGION (PARTE INDIVIDUALE, COGNITIVA ED EMOZIONALE) L’universo semantico entro cui si opera il rituale condiviso dagli insider partecipanti è in grado di unire il collettivo all’individuale. La SEGNALAZIONE RITUALE permette di connettere il mondo pensato (l’altro mondo) con il mondo vissuto e contemporaneamente di collegare rappresentazioni collettive alla cognizione ed emozione individuali. Infatti, i SIMBOLI RITUALI: 1. Sono presi dal mondo vissuto, sociale (strumenti); 2. Per rappresentare significati relativi all’altro mondo, quello pensato (o desiderato); 3. Secondo determinate regole e norma collettivamente condivise; 4. Al fine di interiorizzarli tramite il pensiero (cognizione) e lo stato d’animo (emozione) nell’individuo. RITUALI ASSORTATIVI Ma essendo coinvolto l’individuo, potrebbe esservi una interpretazione personale, o comunque deviante del rituale? Sì, in effetti i rituali svolgono funzioni sociali positive per le comunità anche se in realtà li svolgono per una cerchia ristretta della comunità: questa “esclusività” può provocare maggiore armonia nella cerchia ristretta e conflitto nella cerchia esclusa (Sciiti e sunniti, le varie confessioni protestanti etc). I rituali, quindi, possono essere assortativi se producono conflitto e divisioni (ed eventualmente modificazione del rituale e nascita di nuovi gruppi religiosi), oppure possono rappresentare l’effetto di una divisione (dove un nuovo sistema di classificazione, una nuova visione del mondo sostituisce quella vecchia in quanto i nuovi gruppi religiosi modellano i propri riti). L’inclusività o l’esclusività in certi casi sono parte costituente del rito, soprattutto nei riti di passaggio analizzati da Von Gennep nel 1909: così il passaggio attraverso le tre fasi permette ad un uomo di raggiungere uno status tale da poter accedere ad ambiti sociali prima a lui preclusi, cioè l’inclusività/esclusività – separazione/riaggregazione fa parte del PROGRAMMA STRUTTURALE, dell’INTENZIONALITA’ del rito stesso. RELAZIONI STRUTTURALI DI INTERESSE RITUALE I movimenti relativi alle tre fasi di Van Gennep si possono trovare in tutti i riti osservati, perché ogni rito, attraverso la sua intenzionalità/capacità di operare sul mondo, permette una transizione di qualche tipo, sia nella forma più evidente (riti di passaggio) sia meno evidente (rimarcazione dello status quo attraverso un rinnovamento, come per esempio le festività del nuovo anno, non cambiano nulla nel loro rinascere). Le RELAZIONI STRUTTURALI INTENZIONALITÀ/EFFETTO che interessano il rituale sono le seguenti, che possono essere TUTTE presenti all’interno del PROGRAMMA STRUTTURALE: - CONFERMA: mantenimento dello status quo, l’ordine esistente e stabilito; - TRASFORMAZIONE: cambiamenti di status di soggetti/oggetti (passaggio alla pubertà, trasformazione del pane in carne); - ATTRIBUZIONE: conferimento di status a soggetti/oggetti (nomina di sacerdoti/sacralizzazioni di oggetti); - RIMOZIONE: distruzione di oggetti sacrificali/malevoli (rituali di guarigione, esorcismi) - INCLUSIONE: permettere l’appartenenza ad una cerchia conferendo uno status /voto monacale, entrare in una società segreta religiosa); - ESCLUSIONE: escludere da una cerchia (scomunica, esorcismo) E se definiamo l’INTERESSE RITUALE quale lo SCOPO da ottenere nell’ ”operare sul mondo” allora tutte queste relazioni ridotte (elementari) combinandosi creano i presupposti per l’ottenimento dello stesso anche complesso, che come detto prima può coinvolgerne più di una (Incoronazione di una nobile a regina: conferma dello status quo della famiglia regnante, passaggio da titolo di principe a re, con attribuzione di annessi e connessi, inclusione ella famiglia reale In particolare, nei rituali inerenti la guarigione sono ben chiare le zone di “liminalità” entro cui il “pericolo” che il rituale non funzioni, che non si riesca a “operare sul mondo” è molto presente. PROBLEMI DI TASSONOMIA RITUALE: IL SACRIFICIO Il rituale sacrificale è chiaramente una tipologia di rituale, già presente nella tradizione cristiana (per estensione di quella ebraica), cultura dominante l’occidente e quindi influenzante gli studi relativi le religioni. La classificazione dei rituali sacrificali è molto complessa e per lo meno dipende dalla teoria utilizzata nell’approccio alle religioni, e quindi DA COME O PERCHE’ SI RILEVANO PRATICHE RITUALI COME “SACRIFICALI”. Sacrificio significa “rendere sacro” attraverso azioni dirette con agenti e poteri “altri” al fine di permettere lo scambio, la comunicazione, che è alla base del concetto di religione, così come offerta può essere intesa come “dono” oppure “rinuncia”. I sacrifici sono quindi SCAMBI SIMBOLICI con l’altro mondo. Così come il DONO, analizzato da Marcel Mauss, atto a creare alleanze durature, anche il SACRIFICIO vuole creare alleanze durature con… la società stessa, rappresentata dalle credenze culturali. L’importante quindi nel sacrificio, essendo uno scambio, è che si TRASFERISCA QUALCOSA RITENUTO IMPORTANTE SECONDO UNA MODALITA’ BEN PRECISA (dalla distruzione dei beni (fiori, cibo) alla autoflagellazione/martirio) togliendolo dalle disponibilità del sacrificante (anche la vita, nel caso). Altra funzione dei riti sacrificali è quella di INOLTRARE UN MESSAGGIO tra attori coinvolti nel rito sacrificale (scambio/comunicazione): così l’affermazione di appartenere ad una determinata divinità tutelare a seguito dell’offerta, è un messaggio che coinvolge l’intera platea dei credenti partecipanti il rituale (AUTOCOMUNICAZIONE), senza che questo debba essere altrimenti ribadito. Tipologie di offerta sacrificale: - Dono primiziale: il dono crea appunto uno scambio, il dono per l’attenzione e i benefici inerenti la divinità; - Votivo/di ringraziamento: in questo caso il dono è una promessa, sempre però all’interno di uno scambio con richiesta di benefici; - Conviviale: il legame si conferma nell’invito per l’agente soprannaturale a partecipare al rito del pasto comunitario; - Comunione: la sostanza sacrificale viene identificata con la divinità, si offre la propria venerazione ed in cambio mangiandola si ottiene “potere”; - Unzione e sostituzione: l scopo è la redenzione di una colpa precisa in cambio dell’offerta; - Catartico o espiatorio: lo scopo è la purificazione in cambio dell’offerta; - Libagione: offerta di cibi o bevande da consumare RITUALI DI COMUNIONE La maggior parte dei rituali è svolta pubblicamente e caratterizzata da esecutori e spettatori. Questi rituali sono detti di COMUNIONE perché vogliono ottenere idealmente SCOPI COMUNI, impiegando mezzi comunemente accettati. Si possono distinguere per PROGRAMMA STRUTTURALE: a) Processi di conservazione o trasformazione; b) Segnalazione di identità, status o competenza. Il programma sottintende sempre l’intenzionalità del rituale, palese o celata. L’intento può anche essere una somma di obiettivi stratificati (come, per esempio, ottenere una conferma dell’istituzione religiosa includendo attori meritevoli per iniziazione di farne parte ed attribuendo loro nuove conoscenze). Quindi più RELAZIONI STRUTTURALI DI INTERESSE RITUALE possono entrare in gioco. Questi riti comunitari seguono azioni prescritte e stereotipate al fine di mantenere una sincronizzazione tra gli innumerevoli partecipanti, sincronizzazione che aumenta l’intensità del coinvolgimento emotivo, aiuta a “vendere bene” il “prodotto” (per esempio marciare a tempo, pregare in coro, muoversi in sincrono). Ovviamente la parte economica, politica e sociale hanno grande influenza sui grandi riti comunitari (grandi culture, come egizi e babilonesi, introdussero per esempio il rito della processione: una società gerarchizzata ed organizzata darà luogo a riti ugualmente gerarchizzati e strutturati, dopotutto Dio è la società, così come le celebrazioni a Dio per una vittoria sono in realtà le celebrazioni della vittoria della società). IL MISTICISMO Il MISTICISMO È L’ESPERIENZA DIRETTA DEL SACRO: sembra appartenere alla i-religion anche se in realtà ha caratteristiche di processo rituale riferibile a specifiche tradizioni. L’autonomia ontologica del sacro, cioè la sua autoreferenzialità, è stata un ostacolo per lo studio del misticismo, in quanto solo chi ha avuto esperienza diretta del sacro può parlare di queste cose e solo attraverso un linguaggio specifico. L’esperienza diretta diviene quindi inopinabile. Uno sguardo approfondito nota che i mistici seguono schemi cognitivi/emotivi/comportamentali in linea con schemi ordinari culturalmente tradizionali. Così come esperienze inerenti il sacro assolutamente ricorrenti (di tipo percettivo, cognitivo, emozionale, somatico ecc) si ripetono UGUALMENTE nel misticismo, solo associate ad un INTERVENTO DIRETTO di FORZE /ESSERI dell’ALTRO MONDO. Tale intervento comincia con un INNESCO ESTATICO con conseguente esperienza cognitiva/percettiva/emozionale/somatica etc. di unità con il sacro. Ma il misticismo è anche una esperienza sociale legata culturalmente ad una tradizione. I mistici, quindi, possono rappresentare una determinata istituzione ed utilizzare le loro tecniche per scopi funzionali ad una determinata dottrina, operando come profeti, guaritori, maghi o addirittura uomini santi. IL MISTICISMO È INCERNIERATO ALLA TRADIZIONE CULTURALE E QUINDI ALLA E-RELIGION. Il primo passo nello studio del misticismo fu l’accettazione che i devoti, in quanto tali, potessero comunicare direttamente con la sfera sacra, e delle loro descrizioni estatiche di questa esperienza relativo all’unione con la divinità in modo acritico. Ignorando i contesti sociali del comportamento estatico, si è provveduto a cercare un nocciolo filosofico del misticismo: la realtà trascendente esiste e il misticismo è un aspetto di rivelazione della sfera sacra, aspetto ricorrente in tutte le (maggiori) religioni del mondo. Viene confutato da Armin Geertz il diretto e privilegiato accesso alla divinità: 1. I rituali e le tecniche mistiche sono legati alla tradizione culturale ed in quanto tali posson essere solo sociali e non individuali; 2. Biologicamente non abbiamo accesso a nulla di trascendente, se non all’illusione di questi per produzione mentale; La stessa immaginazione che ci permette di sopravvivere ed evolverci. Esistono 4 meccanismi che ostacolano la produzione illusoria/immaginativa tale da fare credere di un’esperienza diretta con la divinità: 1. Primo meccanismo: Comandato dal cervello, che ha percezione oggettiva dell’ambiente circostante (neurobiologico); 2. Secondo meccanismo: Comandato dal corpo, che è l’estensione sensoriale a contatto con l’ambiente circostante (somatico); 3. Terzo meccanismo: Comandato da pensieri ed emozioni (psicologico); 4. Quarto meccanismo: Comandato dalla società (sociale); L’unica esperienza estatica è quella prodotta quindi o dal cervello/corpo o dalla società. È possibile manipolare questi aspetti per potere accedere a questi mondi illusori: tecniche di deprivazione sensoriale e di marginalizzazione sociale posson guidare verso una qualsiasi esperienza caratterizzata da una FORTE ASPETTATIVA, a sua volta generata dall’AMBITO SOCIALE E CULTURALE: i sistemi culturali e religiosi possono influenzare praticamente sotto ogni aspetto la nostra dimensione mentale/emozionale. MODELLO DI RICERCA SUL MISTICISMO (ASSUNTI DI BASE) a) Aspettative religiosamente informate dirigono, modulano ed alterano le percezioni in situazioni specifiche b) Informazioni ed interazioni sociali sono fondamentali nella costruzione di queste aspettative; c) Tecniche culturali specifiche e specialmente (ma non solamente) quelle rituali modulano efficacemente sia le predizioni automatiche (inconsce) che le aspettative (consce) di eventi; d) La modulazione delle aspettative tramite queste tecniche culturali forniscono modelli religiosi condivisi, sistemi classificatori cognitivamente utilizzati per interpretare eventi ed azioni per arrivare e) Al completamento della conoscenza e dell’esperienza del mondo secondo la visione proposta da tali modelli ed f) Alla costruzione dell’autorità religiosa riferibile a tali tecniche e modelli. Il ricondurre il misticismo alle istituzioni religiose ed all’autorità religiosa porta al seguente argomento.
ISTITUZIONI: ETICA, MORALE E NORME DELLA RELIGIONE
L’ISTITUZIONE È UNA RETE DI NORME, REGOLE E VALORI ed ha quindi potere DEONTICO e cioè di obbligo, permesso o divieto. Esempi di istituzioni sono la famiglia, la proprietà privata, il matrimonio, il gioco strutturato in generale: in quanto relativo a famiglia, gioco ed in generale a costrutti culturali, è evidente che l’ISTITUZIONE DIPENDE COMPLETAMENTE DAL CONTESTO SOCIOCULTURALE. Nell’antichità ogni aspetto della vita era legato alla religione, la cupola religiosa abbracciava ogni aspetto della vita e lo normava (non c’era un concetto di religione o una necessità di definirla, era “cio che è”) ed aveva chiaramente ampi risvolti sociali, culturali, politici, economici nonché psicologici, etici, morali. Era il MONDO ALTRO che DAVA le regole, ed essendo date dall’ambito sacro non erano discusse. Si dice di passaggio da società tradizionale a società moderna quando la religione emerge come una sfera specifica, e quindi come uno dei tanti ambiti, con necessità di una definizione in quanto tale e demarcazione di limiti. Altro aspetto passaggio è la creazione di istituzioni attraverso la politica, l’economia e la giurisprudenza, togliendo di fatto autorità alla religione che appunto diventa “uno degli ambiti”. La religione non è creata dagli Dèi, ma dagli umani, che però negano questa intenzionalità umana. La creazione, operata dal pensiero astratto, si concretizza attraverso il linguaggio (essa stessa un’istituzione culturalmente informata) ed attraverso il linguaggio è possibile, oltre che creare, tramandare l’intero “mondo sociale”, cioè tutto un insieme di istituzioni che permettono alla società stessa di esistere: valori, norme e regole che ordinano quanto pensato dall’uomo. Ora, il delegare la creazione di queste norme ad un agente sovrannaturale serve a giustificare l’esistenza di tali norme che per lo più sono creazioni inconsce collettivamente accettate e quindi senza un riferimento preciso: l’agente sovrannaturale viene quindi a colmare questa lacuna nella visione esperienziale del mondo. La FUNZIONE SOCIALE delle menti umane è quella di avere una “INTENZIONALITÀ COLLETTIVA” (sociale perché non si limita al singolo ma “vede” la comunità) cioè di trovare accordi su idee comuni e progetti comuni, valori e status delle cose. La definizione del valore collettivamente accettata la possiamo chiamare DICHIARAZIONE DI STATUS che è appunto un’attribuzione del valore, e ciò che lega la cosa al suo valore FUNZIONE DI STATUS. Le REGOLE UMANE si dividono in COSTITUTIVE, quando pongono le condizioni per la creazione di una istituzione, e REGOLATIVE quando invece pongono i vincoli entro i quali l’istituzione “funziona”. E il valore attribuito a queste istituzioni (si pensi al denaro) dipende dalla ATTITUDINE INTENZIONALE COLLETTIVA UMANA a conferire status/valore ad OGGETTI SOCIALI. Un po’ come creare delle macchine utilizzando determinati materiali disponibili alla collettività, e definendo collettivamente valore e funzioni di quelle macchine, per poi inserirle all’interno di un progetto costitutivo più grande nel quale, attribuendone valori a diversi livelli (DICHIARAZIONI DI STATUS), farle lavorare in sincrono. Dichiarazioni in merito a funzioni di status (cioè la definizione di cosa vale quanto) coinvolgenti esseri di respiro universale con poteri illimitati capaci di normare la vita umana sono estremamente potenti, ed è tipico delle tradizioni religiose omettere, all’interno delle regole costitutive le istituzioni religiose, CHI definisce il valore delle cose, chi attua la DEFINIZIONE DELLA FUNZIONE DI STATUS (e grazie al pippolo, sono gli uomini stessi neganti): è l’agente sovrannaturale, quindi calata dall’alto. In ogni modo scopo della religione è NORMARE LA VITA UMANA ATTRAVERSO LE PROPRIE ISTITUZIONI (d’altronde qualcosa bisogna pure INVENTARSI per stare assieme): laddove altre forze più umane e riconoscibili normano la vita umana, la religione perde autorità. Le istituzioni sono quindi create attraverso il potere semantico del linguaggio (dietro cui c’è la capacità dell’uomo di pensare immaginativamente e di condividere con i suoi simili idee, progetti e valori) e, nel caso religioso, in genere sono PROIEZIONI INCONSCE DI INTERPRETAZIONI SOGGETTIVE che, una volta collettivamente accettate, divengono conoscenza, REALTA’ (anche con lunghi tempi…) LE ISTITUZIONI RELIGIOSE SONO QUINDI UN EFFETTO NON PIANIFICATO (inconscio) E QUINDI INATTESO DEI COMPORTAMENTI DI GRUPPO. Le istituzioni stesse formano un linguaggio tecnico, specifico per il loro ambito di influenza, capace di permettere agli uomini del gruppo sociale di interpretare idee, valori e norme nel loro significato di puro, impuro, sacro, profano etc.al fine di inquadrare l’ordine entro cui incasellare l’intera visione del mondo proposta dalla religione (la struttura cognitiva degli uomini è similare, così è possibile interpretare, più o meno a fatica, diversi sistemi di classificazione, vi comprese le istituzioni collegate (norme, regole, valori). Le ORGANIZZAZIONI, differentemente dalle istituzioni, sono una cooperazione consapevole e formale tra individui: così la Chiesa è sia un’istituzione (istruisce sulle norme necessarie alla vita) sia un’organizzazione (con regole, gerarchia). Le istituzioni sociali rituali non sono il rituale: anzi, il rituale è l’espressione evidente dell’istituzione rituale, spesso celata, così come la parola lo è del linguaggio (Ferdinand de Saussure). Mentre l’istituzione rituale è una struttura fondante del pensiero religioso sempre presente, il rituale viene attivato nel momento in cui è necessario richiamare tale istituzione (l’istituzione della comunione cristiana esiste a prescindere dal rito, è fondante della chiesa cattolica, e viene richiamata alla memoria, all’emotività ed alla partecipazione durante il rituale domenicale della messa). Chiaramente non è l’unica istituzione ma viene chiamata nel momento in cui diviene rilevante. Alcune istituzioni divengono VISIBILI quando rilevanti e richiamate da un rituale, altre invece rimangono comune CELATE nell’ordinarietà o nella mancanza di conoscenza dell’impianto socioculturale studiato (un veloce segno della croce per ringraziare prima del pasto, per esempio, svela un’istituzione, il ringraziamento per il cibo, che spesso passa inosservata). LE ISTITUZIONI NEI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE E NELLE COSMOLOGIE Le istituzioni, queste reti DEONTICHE di norme e valori, creano un sistema di classificazione condiviso ed organizzato entro il quale l’individuo ed i gruppi vivono secondo tali norme, consciamente ed inconsciamente. Per Durkheim le istituzioni sono FATTI SOCIALI che hanno potere coercitivo (deontico) sugli uomini/gruppi. Per Claude Lévi-Strauss le istituzioni sociali sono insite inconsciamente nell’uomo, perché “sono ciò che sono senza bisogno di ulteriori spiegazioni” in quanto appartenenti ad un contesto culturale silentemente appreso e quindi non necessario di ulteriori conferme: le istituzioni e l’intero sistema classificatorio viene interiorizzato per apprendimento e diviene la dimensione percepita del REALE. Le istituzioni sono i mattoni che rappresentano norme, regole e valori che vanno a formare il sistema classificatorio e quindi la realtà. Così la realtà è completata nell’inconoscibile tramite i miti, narrazioni metaforiche che “spiegano” la realtà, e le istituzioni che si creano per regolare tale realtà sono legate al pensiero religioso sotteso dal mito. Le istituzioni religiose si inseriscono quindi all’interno della visione del mondo, son culturalmente informate, e sono collegate, per il loro potere deontico, alle norme di comportamento degli esseri umani. Essendo le istituzioni reti di norme e regole, possono essere trasversali su più ambiti della vita, ed una stessa istituzione può non essere presente in tutti tali ambiti: per esempio Halloween è un complesso di norme e ruoli che coinvolge la sfera emotiva, sociale ed economica, accettato e condiviso limitato nello spazio e nel tempo, mentre il matrimonio è un’istituzione che impatta su numerosi ambiti, geograficamente e temporalmente più efficace. Come avviene ANCHE per le credenze, nella mitologia e nei rituali, le istituzioni hanno la peculiarità di UNIRE più ambiti della vita umana. Le cosmologie non sono forse la “spiegazione” della realtà, realtà che risponde a determinate regole, norme, valori? Allora laddove ci sono cosmologie ci sono istituzioni, e viceversa. LA COGNIZIONE NELLE ISTITUZIONI Un esempio di istituzione onnicomprensiva e trasversale è quella della differenza tra PURO e IMPURO. Mary Douglas epura la nostra concezione di impuro, di sporco, dalle concezioni scientifiche piuttosto recenti, individuando quindi nelle religioni più primitive l’impurità come uno scarto, nata essa stessa per rimozione dal sistema di classificazione di ciò invece che è pulito, un sottoprodotto dell’ordine creato dalla visione del mondo proposta ed accettata. Ovviamente l’individuazione di ciò che è “fuori” e di ciò che è “dentro” è dovuta ad una selezione di quanto percepito e ricordato a livello conscio ed inconscio, incasellato in schemi e modelli culturalmente informati. A mano a mano che si arricchisce e si tramanda il sistema di schedatura di queste suggestioni/percezioni/stimoli tale schema si organizza, si rafforza e si solidifica, dando all’uomo ciò di cui ha bisogno: la FIDUCIA. E con tale fiducia è possibile la PROIETTIVITA’ UMANA, nata dal ricordo dell’esperienza e dall’apprendimento culturale, capace di permettere all’uomo di ORGANIZZARE IL FUTURO e di plasmare la propria esperienza di vita, andando anche a plasmare coerentemente il sistema classificatorio che ne è la fonte. La cultura crea l’uomo che crea la cultura. Le istituzioni sociali e culturali sono quindi una banca dati di memoria (basti pensare ai riti/credenze delle religioni orali, che si affidano a riti e credenze intuitive e controintuitive legate tra oro da una ferrea logica al fine di essere facilmente introiettabili e tramandabili) ed un insieme di regole per ORGANIZZARE L’ESPERIENZA. Le ISTITUZIONI RELIGIOSE SONO FORMULE PRECONFEZIONATE PER PENSIERO (pensi), EMOZIONE (senti) ED AZIONE (ti muovi) TRAMANDABILI. TRADIZIONE RELIGIOSA, quindi, è la consegna nelle mani delle generazioni future di tutta una serie di istituzioni religiose STRUTTURATE E COMPENETRATE TRA LORO (una vera a propria RETE) che costituiscono la visione del mondo proposta dal pensiero religioso in modo che questa concezione della vita e della realtà venga nuovamente tramandata. LE ISTITUZIONI SONO AUTOGENERANTESI, così come la cultura: pongono le basi per il mantenimento, la plasmazione e, perché no, la nascita, conscia o inconscia ma sempre collettivamente accettata, delle istituzioni stesse entro un MOVIMENTO DINAMICO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO. LE FUNZIONI SOCIALI DELLE ISTITUZIONI: AUTORITÀ, ECONOMIA E POTERE. Le istituzioni sono REGOLANTI (hanno regole regolanti) e CODIFICANO (hanno regole costitutive) i RUOLI dei credenti rispetto ad una moltitudine di fattori: li incasellano all’interno dello schema di rappresentazione della realtà (sesso, genere, clan e tribù, ricchezza, livello sociale). Le istituzioni religiose sono quindi fonte di POTERE per chi le gestisce. Così gli ambiti religioso, politico ed economico si intrecciano al fine della GESTIONE SOCIALE. Come abbiamo già detto nelle società tradizionali non esiste una definizione di religione perché permea tutti gli ambiti della vita, mentre in quelle moderne è un ambito dei tanti e quindi meno coinvolta nella politica e nell’economia, da cui la SECOLARIZZAZZIONE e cioè (Peter Berger) “il processo attraverso il quale settori della società e della cultura vengono sottratti al domini delle istituzioni e dei simboli religiosi”. Max Weber (sociologo/economista inizi 900) individua nella relazione tra religione e autorità tre tipologie di autorità: TRADIZIONALE (legata alle cose per come sono sempre state e quindi inopinabili ma accettate inconsciamente), LEGALE (affidata ad un insieme di norme e leggi) e CARISMATICA (secondo una attribuzione arbitraria da parte dei credenti al leader di speciali qualità e quindi né per legge né per tradizione). Errore pensare che queste qualità siano insite nel leader, sono invece conferite dai seguaci. Alla scomparsa del leader carismatico si passa immediatamente al leader legale, in quanto non avendo la stessa autorità si definisce per regole e norme (il Califfo deve essere diretto discendente di Maometto (sciiti) oppure per competenza religiosa (sunniti/fatimidi)). Valutata l’influenza politica dell’autorità religiosa, ora esaminiamo quella economica: nelle antiche tradizioni alle norme religiose era delegata la distribuzione delle risorse (prede, territori di caccia o di pesca, raccolto etc) ed oltretutto, spesso, c’era molta attenzione ad ingraziarsi gli dèi tramite l’autorità religiosa, preventivamente, per garantire raccolti, fertilità, figli maschi, salute etc. Il risvolto economico, rappresentato dallo SCAMBIO rituale con l’altro mondo è segno di un profondo legame tra religione ed economia (e se ci fosse la legge di mercato alla base del pensiero religioso, e non il totemismo? Nel 313 d.c. Costantino ha deciso che la religione cristiana era conveniente rispetto al politeismo romano, dopotutto ogni scelta umana è orientata alla sopravvivenza della specie, e quindi ogni scelta è la più vantaggiosa economicamente, inteso nel senso più ampio). Infine, il legame tra autorità e religione è storicamente e sociologicamente accertato, in quanto essendo gli agenti “altri” legati direttamente alle comunità in questa relazione dialettica offerta- benefici, chiaramente chi deteneva l’autorità doveva comunque avere un ruolo all’interno di questo legame. Ma non sempre però era un ruolo esclusivamente vantaggioso: spesso il governante rappresentava il regno ed il suo benessere, e i momenti di crisi per la popolazione potevano essergli fatali. Classifichiamo i governanti come DIVINI (il governante È una divinità) o SACRI (il governante è infuso di poteri dall’altro mondo). Due teorie di correlazione tra Economia/Politica e Religione: - Teoria della corrispondenza: la religione è un prodotto di condizioni politiche ed economiche; - Teoria idealista: la religione è produttrice di effetti politici ed economici. È difficile definire una linea direzionale causa-effetto se non a seguito di analisi complesse. In realtà sembra che alcuni aspetti della religione siano causali ed altri causati (teoria della CAUSALITA’ BIDIREZIONALE – Biologia). Non si deve confondere la mappa col territorio, e quindi pensare se la religione è causata o è causale entro leggi generali sarebbe come concentrarsi sulla mappa tralasciando il territorio, che invece rappresenta. ISTITUZIONI ED IDENTITA’ SOCIALE Le religioni tramite le istituzioni definiscono come devono pensare ed agire gli uomini e quindi sono veicoli di gestione sociale (TECNOLOGIE SOCIALI). Il solo fatto che credenze e rituali confermino l’identità del gruppo, indipendentemente che il gruppo capisca i significati intrinseci di tali dispositivi, è sufficiente a renderli titolati a creare norme di vita, in quanto ANCHE SE NON SIGNIFICANTI, COMUNQUE SIGNIFICATIVE PER IL GRUPPO: le istituzioni sono stabilizzatori cognitivi per il gruppo, aiutano a pensare l’intero gruppo secondo direttrici definite (gestione sociale del gruppo). Gli esseri umani sono capaci di cooperare per raggiungere obiettivi secondo regole definite. Le istituzioni religiose stabilizzano e fanno crescere cognitivamente il gruppo, le regole vengono collettivamente interiorizzate ed anche migliorate al fine dell’adattabilità dello stesso (norme abbiam detto che possono influire su tutti gli ambiti – tradizionali – o su meno ambiti – moderne) infatti le istituzioni religiose sono in realtà anche TECNOLOGIE MENTALI (oltre che sociali) che posson essere usate per governare pensieri ed emozioni, codici e comportamenti (gestione cognitiva del gruppo). Le istituzioni che REGOLANO l’APPARTENENZA AD UN GRUPPO RELIGIOSO E, DI CONSEGUENZA, LA DIFFERENZA CON ALTRI GRUPPI, NONCHE’ LE POLITCHE DI ALLEANZA sono le più importanti dal punto di vista sociale. Le REGOLE DI INCLUSIONE nei gruppi possono essere molto gravose, così come le regole che definiscono quali atteggiamenti/provvedimenti prendere per chi lascia il gruppo (nuove conversioni). Le relazioni dei gruppi passano da aperta ostilità a fattiva collaborazione, con tutte le sfumature del caso. In genere segni identitari applicati dai gruppi religiosi sono fondamentali nella affermazione di identità del gruppo e di appartenenza ad esso, e contemporaneamente segnano un confine di sfiducia rispetto ad altri gruppi: è comunque sull’ALTERITA’ che si costruisce l’IDENTITA’. È così che venne spiegata da Claude Lévi-Strauss l’origine del totemismo, la dicotomia alla quale si appoggiavano i selvaggi (e sulla quale funziona il pensiero umano moderno, senza differenze): perché io sia io, bisogna essere in due in modo che ci sia un lui che mi evidenzi. Radcliffe Brown migliorò la sua prima idea di origine del totemismo prettamente funzionale (gli animali/piante rappresentavano risorse importanti per il sostentamento del gruppo), aggiungendo particolari anche al lavoro di Durkheim, che aveva considerato il pensiero dicotomico senza definire come veniva scelta la DISTINZIONE tra i gruppi: il CRITERIO OPPOSITIVO, la scelta degli animali viene fatta secondo le stesse regole che normano le relazioni fra i gruppi, opponendoli al fine di differenziarli. Comunque, in vite regolate dalle istituzioni il pensarsi in un determinato posto e con un determinato ruolo è molto più semplice, ed anche semplice è la condivisione di un universo semantico ed una visione del mondo. LE ISTITUZIONI RELIGIOSE GOVERNANO QUINDI SIA IL COMPORTAMENTO UMANO (l’AGIRE) CHE IL PENSIEROO UMANO (il PENSARE), come precedenza su ogni altra struttura cognitiva che ne viene quindi influenzata. INTENZIONALITA’ NELLA TRADIZIONE E NELLA COGNIZIONE LA TERZA ENTITA: gli uomini interagiscono tra loro, interagendo al contempo con una terza entità che stabilizza il loro modo di intendersi: è lo SPAZIO SEMANTICO CONDIVISO nel quale gli uomini interagiscono, l’insieme di assunti/credenze/valori appartenenti al contesto culturale. Nel caso in cui gli uomini interagiscono all’interno dello spazio semantico religioso, di cui fa parte la TRADIZIONE si trovano a confrontarsi sul mondo materiale/percettivo, sul mondo mentale/cognitivo e sociale/culturale e sul mondo pensato/desiderato. In ogni caso la parte biologica perde terreno rispetto a quella culturale entro la quale nascono le necessarie istituzioni sociali: SOLO ATTRAVERSO LA CULTURA un CERVELLO DIVIENE UNA MENTE. E come si apprende la cultura, tramite il LINGUAGGIO. In effetti Noam Chomsky poneva l’accento sulle competenze linguistiche dei bambini, mentre l’accento esatto dovrebbe porsi sulle capacità interattive con l‘ambiente culturale. L’ISTITUZIONE FONDAMENTALE: IL LINGUAGGIO Il linguaggio è un’istituzione basilare, che esprime il pensiero umano, permette il confronto e crea lo spazio culturale. È convenzionale, carico di valori e governato da regole: ha profonda influenza in tutti gli ambiti religiosi, e soprattutto quello religioso se ne giova nella costruzione della sua visione del mondo attraverso rituali, credenze e miti, nonché istituzioni dedicate: il linguaggio stesso diviene caratteristico del pensiero religioso, così come in comunità “tradizionali” in cui la religione abbraccia ogni ambito, il linguaggio diviene tipicamente “religioso”, il vocabolario stesso diviene denso di riferimenti religiosi. Edmund Leach (metà del 900) individua ciò che diceva anche Durkheim: il linguaggio retroagisce sul pensiero, pur essendone l’espressione: l‘utilizzo di un determinato linguaggio influenza e modifica il modo di pensare, crescere in un ambiente religioso fa di te un religioso (Moretti Nanni: chi pensa male, parla male, vive male). Basti pensare alle categorie mentali utilizzate nell’imparare altre lingue di altre culture: decisamente diverse!!! CULTURALISTI: il linguaggio da solo influenza il pensiero – INNATISTI: il pensiero è solo cognitivo/biologico, non è influenzato dl linguaggio. La via di mezzo è la migliore: capacità innata di apprendere linguaggi nella loro diversità culturale: le parole, i simboli, i significati fanno parte di enormi reti di significazioni con una vasta rete di relazioni tra categorie, definite dalla cultura. RELIGIONE – ETICA – MORALE Il primo interesse delle tradizioni religiose è il destino umano e le modalità di comportamento e di condotta necessarie a concretizzarlo: le religioni sono costituite di regole. Seguire i dettami religiosi è il modo di trovare il proprio posto ed il compimento del proprio destino all’interno della visione del mondo condivisa. A. PSICOLOGIA MORALE: ponte tra innatismo e acculturazione La religione si intende sovente quale depositaria dell’etica e della morale umana in quanto distingue il giusto dallo sbagliato. Ma anche la filosofia si pone tale problema. Ma negli ultimi anni si fa strada la psicologia morale che ha individuato 5 pilastri fondamentali (di natura sia biologica che socioculturale) per la formazione delle disposizioni morali ed etiche (J. Haidt e J. Craig). La religione è un prodotto della psicologia morale che individua nella gestione emozionale una delle funzioni della religione. L’uomo ha molte più reazioni emozionali delle altre specie rispetto alle cose ed agli eventi del “mondo”: la religione offre una gestione di tali emozioni attraverso i suoi elementi costitutivi: Credenze, Miti, Rituali, istituzioni. I fondamenti psicologici morali sono due: 1) l’aver cura (il prendersi cura di sé e del proprio gruppo) 2) equità e giustizia (idem, prendersi cura di sé evitando le sperequazioni). Questi due fondamenti universali riguardano ovviamente solo l’individuo (2 FONDAMENTI INDIVIDUALIZZANTI), ma c’è ben di più che il solo individuo in gioco: 3 FONDAMENTI VINCOLANTI e cioè 3) la lealtà interna al gruppo (psicologia della coalizione) 4) L’autorità ed il rispetto che derivano dalla GERARCHIA 5) La purità e la santità derivanti dall’emozione umana del disgusto (vedi Mary Douglas…) son i CINQUE FONDAMENTI DI ETICA INTUITIVA (intuizioni innate morali) che si unisce alla parte socioculturale dell’ETICA RIFLESSIVA (riflessioni morali). Ma come si legano tra loro questi due ambiti? La mente è formata dalla cultura, ma è anche formante la cultura; quindi, il pensiero innato e l’ambiente culturale hanno un rapporto dialettico: giocano molto l’imitazione (innata dell’uomo), i ruoli (culturalmente definiti), l linguaggio (idem) in una interazione MENTE-CULTURA-LINGUAGGIO- SOCIETA’. LE RELIGIONI SONO I SISTEMI SOCIALI SIMBOLICI ESTERNI L’INDIVIDUO CREATI SECONDO COMPETENZE COGNITIVE E NORMATIVE AI QUALI LO STESSO SI APPOGGIA PER VIVERE B. La SORVEGLIANZA Il comportamento umano è sotto l’occhio degli agenti esterni: da sempre Dèi/antenati/spiriti osservano e giudicano l’operato umano dalla loro posizione onnisciente. Questa concezione dell’esistenza di CONTROLLORI MORALI serve per permettere un ordine della società e del mondo vissuto favorevole alla vita dell’uomo, così come l’esistenza di medium umani e rituali in grado di svelare la rottura di un tabù o il mancato rispetto di una norma: ciò riporta il tutto all’interno del sistema classificatorio dell’esistenza e dona nuovo lustro all’ordine ed alla disciplina sociale. C. I SISTEMI DI PURITA’ Sono istituzioni religiose: vedi Mary Douglas – non ci si limita a sistemi creati per ottimizzare risorse, evitare comportamenti igienicamente pericolosi e germi ma sono sistemi di classificazione dove a sua volta diviene “NATURALE” L’ordine proposto: andare contro l’ordine è andare contro natura (che in realtà ha origine arbitraria – L’ARBITRARIETA’ DELLA NATURALIZZAZIONE). Quindi questi sistemi di norme, permessi, divieti e obblighi hanno comunque la funzione di regolare la società. Vedi la definizione di CIBO come fatto sociale di Arjun Appadurai, ove il cibo stesso, le tipologie di produzione e distribuzione divengono rappresentative della collettività: così anche la preparazione culinaria dello stesso dice tanto sulla cultura della comunità, come suggerisce Lévi-Strauss “ogni piccola preparazione culinaria rappresenta e codifica sottili proposizioni/intenti cosmologici”. Il cibo ha stretti legami con le pratiche sociali, culturali e quindi religiose, è legato alle pratiche quotidiane ma rappresenta anche l’intero sistema di classificazione collettivo, e quindi lo status sociale, ruoli e marginalità, è molto di più che semplice nutrizione (classista – solo alcune caste posson preparare - , di genere – solo le donne posson preparare - , sacro, impuro e chi più ne ha…) La parte biologica del corpo umano (peli, secrezioni, sangue, sessualità) da sempre è oggetto di attribuzione significante, di rappresentazione simbolica (le distinzioni di genere pare siano molto antiche) ed in quanto tale necessitante di regolazione: entra in campo la religione con la sua rete di istituzioni che regolano, così come nelle tradizionali, così come nelle moderne, la gestione del corpo umano ed i suoi significati metaforici. Ma è vero anche che esiste, derivante dall’esperienza del sogno, il doppio, l’anima, strettamente connessa con il corpo: in alcune religioni la mortificazione del corpo, la sua negazione, fa pendere l’ago della bilancia sulla parte spirituale (ascetismo hindù, monaci, suore etc ma anche l’ermetismo antico che vede il corpo come una prigione, un sepolcro da portarsi dietro, una punizione divina che impedisce la riunione con il Dio, il Tutto di cui l’uomo è consustanziale), volgendo quindi le spalle al materialismo “impuro” per dedicarsi allo spiritualismo “puro”. La PRATICA ASCETICA nasce quindi da una interiorizzazione molto radicale della tradizione religiosa, nella sua forma per lo più “pura” e quindi facilmente trasmissibile quale esempio alle generazioni future. L’ascetismo diviene quindi memoria della tradizione culturale nella sua espressione più snella. Diviene un incredibile controllo sia del contesto culturale (il mondo) che del contesto naturale (il corpo dell’asceta). Da qui si evince che le religioni stesse sono in grado di collegare cultura e natura secondo un equilibrio coerente di credenze, rituali ed istituzioni, legando la percezione di sé alla definizione di universo (creazione di sé e del mondo collegati).
La religione oggi: modernità, postmodernità e secolarizzazione
Nuovi fattori vanno a modificare lo status e le funzioni delle religioni/della religione: maggiore alfabetizzazione, globalizzazione, scambio di informazioni, media e social, sviluppo tecnologico, migrazione. La religione comunque NON è sparita, anche se può sembrare, ma è CAMBIATA. Di sicuro la SECOLARIZZAZIONE, cioè l’estrazione di ambiti politico, economico, sociale dalla volta di influenza della religione è stata una delle visioni più accreditate dell’evoluzione della religione. I PROCESSI DI SECOLARIZZAZIONE sono stati forti in alcune parti del mondo in altre meno, toccando diversamente gli ambiti della società (in Scandinavia la religione non ha grande presa sulla società, che comunque prospera forte della sostituzione della stessa con altre istituzioni laiche – ma come fare a sostenere il desiderio di definire ciò che è indefinito, ciò che spaventa l’uomo nella sua finitezza e precarietà – molti suicidi) e ne passato J.J. Rousseau aveva già pensato di sostituire le religioni tradizionali con la “religione civile” a cui fosse affidato il compito di educare alla cittadinanza, all'amor patrio, all'osservanza delle leggi. La religione comunque in generale ancora influenza la parte prettamente morale, la decenza, gli equilibri di genere, il sesso, il cibo, la purezza in senso ampio (cioè ciò che non tocca la nuova struttura politica economica ma che resta culturalmente nell’ambito religioso, il sistema di classificazione ancora nelle mani del clero). Anche l’educazione è di appannaggio della religione in molte parti del mondo (per contrappasso: la Danimarca invece è la meno religiosa e la religione a scuola è obbligatoria come materia non confessionale, studiata da un punto di vista sociale, filosofico ed antropologico). In alcune altre la religione è ancora molto presente e gestisce l’educazione, in altre più vicine a culture “tradizionali” non c’è bisogno di definire la religione perché permea ogni ambito della vita sociale ed individuale. Max Weber chiamò DISINCANTO la SECOLARIZZAZIONE, avvenuta per sostituzione dei racconti mitici da parte di spiegazioni scientifiche, che lo storico Robert Yelle caratterizza secondo queste peculiarità: - Declino ed isolamento di discorsi simbolici (rito, credenza, mito, magia); - Declino di una visione simbolica del mondo e ascesa di una visione razionale e prosaica del mondo; - Declino dell’idea di non-arbitrarietà delle funzioni di stato, di attribuzione di valori e di significati, di definizione di regole “calati dall’alto” sostituita da una consapevolezza invece dell’arbitrarietà di origine umana di questi, senza una connessione esatta e provata con ciò che rappresenta; - Abbandono del potere del linguaggio religioso in vece di una purificazione letterale e scientifica dello stesso, secondo una visione “esatta” di termini e rappresentazioni (una teoria in linguistica vede il linguaggio quale unico creatore del sistema culturale, vengono studiati tutti i possibili significati di ogni singola parola, esaminando ogni metafora ed ogni attribuzione di significato). Ora si può invece osservare un momento storico di REINCANTO, vedi fondamentalismi religiosi ma anche una ricerca della spiritualità personale scevra il più possibile da condizionamenti culturali tradizionali. PROCESSO DI COMPARTIMENTAZIONE: la religione diviene nell’epoca moderna, un sistema tra tanti, con influenze proprie in alcuni ambiti della vita, dell’esistenza, dell’individualità, della psiche, dell’emozione e della società (prima erano interamente di appannaggio della religione). La religione ha perso la sua incredibile potenza creatrice di mondi, i luoghi divini sede degli agenti superni e la loro capacità di vedere e giudicare il comportamento umano divengono semplicemente strumenti arbitrari di regolazione sociale, i testi sacri sono sempre meno considerati “libri di verità” quanto invece “libri di suggestione” e di comprensione delle dinamiche sociali, filosofiche, esistenziali. Ma nelle parti più povere del globo la situazione si ribalta, definendo quindi una DIPENDENZA DEL CONTESTO RELIGIOSO E DEL SUO POTERE DAL WELFARE E DALLE CONDIZIONI DI VITA: le più ferventi popolazioni religiose sono quelle del Sudamerica, dell’Africa… anche le politiche migratorie vedono intensificarsi la fervenza religiosa delle comunità che si spostano mantenendo intatto il loro potenziale religioso, con l’effetto non secondario di mettere in contatto popolazioni diverse ed influenze religiose diverse, autoctone ed importate, con passaggio di credenti dall’una all’altra e portando ad uno SHOCK CULTURALE. E non solo. Anche la pratica missionaria e di proposta di egualitarismo sociale e di contatto diretto con la sfera del divino di alcune confessioni (pentecostali, per esempio) trovano molti ascoltatori entro i popoli più poveri e derelitti, pronti a donare FIDUCIA ed ottenere SPERANZA. RELIGIONE E POLITICA Religione e politica, nel mondo tradizionale ma anche nel mondo moderno secondo diversi criteri, vanno di pari passo. Esempi: fondamentalismi islamici che vietano di votare in elezioni democratiche, politiche educative basate sui valori di confucianesimo, protestantesimo, cattolicesimo…) La religione, attenendo alle sfere cognitive ed emotive e sociali, può essere utilizzata dalla politica come RISORSA in molti modi, soprattutto nella definizione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (propaganda). In alcuni paesi la religione è la legge (sharia) e il corano è la costituzione (Arabia saudita). In altre realtà la COMPARTIMENTAZIONE è il risultato di una lunga battaglia tra scienza, educazione e religione: la religione si limita ad alcuni ambiti, gestisce il proprio sistema e le proprie funzioni. Esistono molte sfumature tra la fervenza religiosa di Stato e la separazione Stato – Chiesa: nazioni laiche che però nella costituzione rimandano a radici religiose, Nazioni che hanno istituzionalizzato la religione (India) per evitare perturbazioni politiche di gruppi religiosi diversi, altre che hanno accolto tutte le proposte religiose per meglio controllarne l‘influenza politica (Sudafrica). La RELIGIONE è strettamente correlata alla POLITICA e questo legame può essere palese o più sotterraneo, esplicito o implicito. La politica spesso utilizza il linguaggio religioso e l’immaginario religioso (culturalmente informato) per spiegare le situazioni politiche in modo comprensibile per la popolazione (i presidenti USA, figurati, ma anche Fidel Castro!). L’utilizzo della sfera semantica religiosa nella politica venne chiamata da J.J Rousseau RELIGIONE CIVILE, laddove cercava di sostituire l’istituzione religiosa con istituzioni sociali che potesse egualmente soddisfare la funzione di collante laico, idea che si è tramandata nella scuola sociologica francese, con Auguste Comte (il SACRO è il collante della società, ciò che unisce gli uomini in una collettività) Durkheim (la religione è un sistema di credenze e pratiche, che permettono l’ordinamento della società a mezzo di fatti sociali) fino a M. Mauss (i FATTI SOCIALI TOTALI). La religione è un sistema condiviso dalla maggior parte della popolazione e quindi i politici che rappresentano tale popolazione ne fanno uso a piene mani in quanto linguaggio condiviso e compreso. Ed infatti la religione nell’età moderna diviene un marcatore di diversità, spesso coincidente con una discriminazione relativa al concetto di etnicità (da cui violenza, guerre, segregazione, terrorismi). La religione significa comprensione del mondo secondo un ordine stabile, e la sua difesa diviene quindi un’esigenza. I gruppi etnici, quindi, caratterizzati per lo più dall’aspetto religioso, divengono aggrediti o aggressori, a seconda, per la difesa di una visione del mondo a loro condivisa e inopinabile e quindi pe l’affermazione e conferma della stessa: i fondamentalismi hanno lo scopo di rendere chiaro ad eventuali disertori ed ai miscredenti cosa succede nel caso in cui si venga a minare il discorso religioso alla base del fondamentalismo stesso. NEW AGE, SPIRITUALITA’ E REINVENZIONE DELLE “RELIGIONI SENZA RELIGIONE”… COME CAMBIA La religione però manda anche segnali positivi: la differenziazione tra tradizione religiosa, religiosità individuale e spiritualità sono le nuove frontiere per il raggiungimento di una dignitosa esistenza. L’appartenenza ad una forma di religiosità o spiritualità è molto più libera oggi, facendo più presa sulla popolazione che può scegliere (una volta la “scelta” era un attimo condannata: in greco scelta si dice “airesis”, da cui l’evoluzione in ERESIA!). Ovviamente più libertà ha comportato una proliferazione delle stesse (new age, mindfulness, olismo, meditazione etc.) per far fronte ad una sempre più ampia platea di clienti. TENDENZA AL BRICOLAGE SPIRITUALE: creazione dell’individuo di una propria religione personale utilizzando parti disponibili di altre religioni/filosofie, secondo quanto dettato dalla propria coscienza quale fonte di verità relativa a sé, spesso caratterizzate da antidogmatismo, anti moralismo, anti razionalismo, sicuramente soggettività, ma aventi una seria dimensione etica e umana/umanitaria. Una sorta di SINCRETISMO PERSONALE. Queste nuove religioni creano una RETE più che un GRUPPO; quindi, hanno connotazioni più emotive e cognitive che sociali. Queste nuove religioni, nella corsa all’individualismo ed all’anticonformismo (ivi compresa la concezione distorta da cui la nascita di congreghe di stregoneria, esoteriche etc) diventano a loro volta “conformiste” nella lotta all’establishment, al moralismo ed al dogmatismo. In ogni caso le due peculiarità dell’uomo, la contro intuitività e la capacità di progettare assieme, la mente collettiva, portano sicuramente gli uomini distaccatisi dalle religioni tradizionali a rifugiarsi in altre confessioni magiche, druidiche, irrazionali e caotiche, proponenti culti misterici e di accesso ad una nuova conoscenza. LA DISPERSIONE DI “QUALCOSA DI RELIGIOSO“ LADDOVE NON C’E’ RELIGIONE: COME SI VIENE AD APPROPRIARSI DEGLI ELEMENTI RELIGIOSI Abbiamo già visto l’appropriarsi della politica di elementi religiosi ad essa funzionali. Ma anche l’industria dell’intrattenimento si appropria di tali elementi: i media, letteratura, cinema e televisione, videogiochi. Film espliciti da un punto di vista sessuale hanno a che fare con la famiglia, con la santità e la purezza, in opposizione. Anche gli sport e le tifoserie si appropriano di quelle strutture tipiche del pensiero religioso, fino all’idolatria. Le identità si forgiano sul consumismo e sul modello capitalista, i riti iniziatici si riducono al possedere quel bene che identifica il nostro status, che ha la funzione di stato di definirne il valore (dell’individuo e del bene). Questa è anche la riproduzione della collettività non più unita da una comuna visione del mondo ma da una condivisione del merchandise, delle preferenze mediatiche, del consumo. È vero quindi che il danaro/dispersivo è l‘alternativa al sacro/coesivo nell’equilibrio sociale? L’iniziazione alla società del consumo non ha sacerdoti, pratiche, rituali o una visione/punizione divina sull’argomento comportamentale. Ma il condizionamento sociale e cognitivo, psicologico ed emozionale esiste ancora, anzi è più pervasivo e occulto, nascosto da pubblicità, brand, narrazioni distorte del benessere, nuovi idoli, così come i valori stanno cambiando e stanno divenendo più dispersivi che coesivi. Se è vero che l’immaginazione umana crea, tramite la proiezione del linguaggio, la realtà, è tanto vero quanto il pensiero astratto è suggestionato, tanto la realtà che si crea, e che con il tempo può venire accettata collettivamente, diviene la VERA REALTA’. IL FUTURO (mi interessa poco la sua proiezione) Definizione di religione di Durkheim (insieme di cose) quale strumento di formazione sociale: “Quando un certo numero di COSE SACRE presentano tra loro rapporti di coordinamento e subordinazione (relazioni e gerarchia) in modo da formare un sistema coeso che non venga a ritrovarsi in altri sistemi già esistenti, allora l’insieme di credenze e riti assieme formano una religione”. Le religioni cambiano, dal totemismo primitivo alle religioni monoteiste e fino alla contemporaneità del consumo, con reciproca influenza sulla creazione e modifica dei miti, dei riti e delle credenze, oltre che delle norme di comportamento morali ed etiche. Quindi dal totemismo si passa alla ricerca etica e morale dell’antica Grecia (età assiale 1000 ac.) e fino alle culture cinesi e indiane, per lo più grazie ad una alfabetizzazione ed a un uso del linguaggio scritto più ampio. Antiche pratiche diventano tradizioni letterarie. L’età Assiale venne caratterizzata da una serie di riforme del pensiero religioso con maggiore attenzione all’individuo ed alla rottura con il regime precedente, più anticonformista, nascono le religioni monoteiste in alternativa all’establishment delle religioni politeiste. La successiva rivoluzione nasce con l’avvento della stampa e della chiesa protestante, con la diffusione dei libri religiosi e dell’utilizzo delle lingue vernacolari al posto del latino nelle pratiche rituali, oltre alle misure economiche ed alle tensioni per limitare la Chiesa Cattolica in favore delle nuove confessioni, ed i cambiamenti furono talmente profondi da poter parlare di una seconda età assiale. Ora i media, la globalizzazione e le migrazioni sono fonte di profondi cambiamento per i sistemi religiosi, tanto da dare logo ad una terza età assiale: una indagine multisituata e che tenga conto dei nuovi canali informativi potrà rendere ragione delle modifiche occorse (un fondamentalista islamico può acquisire autorità tramite i social, e ormai non esistono paesini sperduti dove non fare arrivare le notizie e quindi dove comunque affermare proprie idee all’interno di un mondo globale: nulla è più isolato, tutto è iperconnesso, tanto da creare un vero e proprio inquinamento di informazioni). Nel tempo le religioni hanno: - Creato mondi assunti quali reali; - Assicurato il comportamento pro-società; - Fornito strumenti di gestione cognitiva e normativa, oltre che emozionale; Il futuro sarà una modifica negli insiemi di “cose durkeihmiane” ma che implicitamente metteranno a disposizione i medesimi strumenti, per gruppi eterogenei, con modalità diverse, oppure anche proponendo funzioni diverse (ma secondo me NO).