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CHE COSA È LA RELIGIONE?

JEPPE SINDING JENSEN

CONCLUSIONE (che è meglio mettere prima)


Il libro è una raccolta sistematica degli elementi, delle funzioni e delle strutture della religione (una
FENOMENOLOGIA DELLA RELIGIONE) sia per la categoria astratta di CONCETTO DI RELIGIONE che
quale ricerca etnografica delle religioni nelle diverse culture nella storia e nella contemporaneità.
La religione (astratta) e le religioni (tradizioni religiose) non sono una cosa sola, ma un insieme di
più cose combinate tra loro in proporzioni variabili ed è necessario comprendere queste “cose” e le
loro combinazioni, secondo la logica di RELIGIONE COMPARATA. C’è un’altra via della ricerca
espressa nel capitolo 4 “L’esperienza religiosa”, anch’esso fenomenologico, che studia tale
esperienza che fa argomento a parte.
Sia la Fenomenologia della religione ce la ricerca comparata sono state screditate negli anni de 900,
sia dai teologi apologeti sia dai filologi in quanto relativi a temi sensibili e con una difficoltà oggettiva
nella loro comparazione.
Gli studi comparativi erano considerati superficiali e non sufficientemente analitici, erano tacciati di
decontestualizzare i fenomeni andando incontro a legami immaginati da studiosi poco distaccati,
generalizzando eccessivamente oppure perdendosi in particolarismi, anche influenzati da posizioni
teologiche degli studiosi stessi.
Ma l’utilizzo della comparazione, pur se difficoltoso, non era impossibile perché applicati ad altri
ambiti ugualmente complicati: il linguaggio e la cultura, ambiti in cui a fatica si cercavano sia
particolarismi che leggi generali.
Le religioni sono costrutti sociali e culturali esattamente come il linguaggio: il linguaggio possiede
strutture, elementi unitari e complessi, regole grammaticali e sintattiche e soprattutto convenzioni
in modo che gli uomini possano comprendersi, relazionarsi. Durkheim era conscio che le religioni
fossero comparabili ed accomunabili sotto leggi più o meno generali, e quindi formate da elementi
in comune. Sono come mattoncini, come fonemi e morfemi per la lingua e come i mitemi per la
costruzione dei miti teorizzata da C. Lévi-Strauss. Approcciare quindi lo studio della religione non sul
solo concetto astratto ma focalizzando gli elementi costitutivi come mattoni da utilizzare per
costruire e comprendere il fenomeno della religione e della spiritualità. Chiamiamo questa
prospettiva “APPROCCIO COMPONENZIALE”. La lista degli universali astratti relativi alle religioni è
la seguente:
1. immaginazione; 8. regolazione 14. istituzioni;
2. esperienza; emozionale; 15. potere;
3. intenzionalità; 9. azione; 16. economia;
4. narrative; 10. comportamento; 17. scambi;
5. discorsi; 11. ruoli; 18. reciprocità;
6. classificazioni; 12. controllo sociale; 19. socialità;
7. governance cognitiva; 13. autorità; 20. creazione di mondi.
La cultura è un caso sociale, ed ogni suo aspetto ha a che vedere con la capacità dell’uomo di
“pensare assieme” ma quando riguardano la religione attengono ad un ambito “SPECIALE” molto
sentito, protetto e rispettato da chiunque faccia parte di un gruppo religioso (consciamente o
inconsciamente, l’apprendimento silente è lì dal mostrarsi). Quindi le religioni riguardano CORPI,
PRATICHE E POSIZIONAMENTO, il tutto dovuto ad una CREAZIONE UMANA ed in quanto tale,
appunto COMPARABILE IN QUANTO TERRENO, di elementi sufficientemente reali, non “aereo nulla”
come definito da Boyer ma insieme di significati e valori estremamente importanti per l’uomo
sociale.
LA religione è QUALCOSA DI ABBASTANZA REALE DA OCCUPARSENE (come la legge, il governo, il
denaro ad altri costrutti umani) sia dal puto di vista antropologico, storico, filosofico, sociologico,
biologico, ed anche religioso, in una prospettiva ulteriore: OLISTICA.

NOTA ALL’EDIZIONE ITALIANA


I termini “lingua” e “religione” al singolare sono paragonabili, pur nella pluralità delle stesse. Così
come la lingua, anche la religione può essere oggetto di studio comparativo. E così come l’analisi
della struttura dei linguaggi può essere utilizzata equipollentemente come analisi della struttura
delle religioni.
La religione copre molteplici aspetti della vita umana e si basa essenzialmente sulla
COMUNICAZIONE, basata a sua volta su strutture logiche (vedi strutturalismo di Claude-Lèvi
Strauss). Se la comunicazione è la base dell’anima religiosa, sicuramente le religioni sono ciò che
appare di un insieme di strutture sociali, psicologiche e culturali molto più profonde.
“Religione” è un CONCETTO GENERALE E ASTRATTO a cui riferire un’ampia gamma di
comportamenti e pratiche umani, così come per Sport, Cucina etc etc. La “Religione” è una
produzione culturale umana e come tale è possibile analizzarla COMPARATIVAMENTE.

PREFAZIONE: CHE COS’È QUESTA COSA CHIAMATA RELIGIONE


La religione è un FATTO UMANO, CULTURALE E SOCIALE (così come inteso da Emile Durkheim e
Marcel Mauss). La religione è un COSTRUTTO CULTURALE DEL PENSIERO E DELL’ATTIVITA’ UMANA
che esiste lungo la storia ed in ogni luogo del mondo (temporalmente e spazialmente). La religione
consiste, come per lo sport, l’arte, il gioco, le razze e le classi sociali in una somma di comportamenti
e creazioni umane tanto varia quanto il numero di religioni esistenti ed esistite e in quanto tale
presenta CARATTERISTICHE in generale comuni: non tutte le religioni hanno le medesime
caratteristiche, ma presentano comunque una o più caratteristiche teorizzate dalla storia delle
religioni che posson essere:
- Agenti sovraumani;
- Medium umani;
- Destino dell’uomo dopo l’evento morte;
- Concezioni relativi ad un altro mondo anche al fine di inquadrare la morte come elemento
non distruttivo ma coesivo della società (vedi lo “Scandalo della Morte” di Robert Hertz,
quello che ha scritto “La preminenza della mano destra” e la relativa teorizzazione della
dicotomia alla base anche dello strutturalismo di Lèvi-Strauss);
- Classificazione della natura e del cosmo e loro generazione (vedi Mary Douglas e la dieta
ebraica);
- Definizione di norme di comportamento e forme di pensiero condivise e accettate entro il
quadro classificatorio culturalmente creato.
Il metodo di studio del fenomeno religioso attinge allo studio della pratica umana, scevro da risvolti
prettamente apologetici o al contrario critici della religione stessa ma mai imparziale (il “pericolo”
nello studio del fenomeno che comunque ci coinvolge, attinge ad un habitus culturale entro cui
siamo cresciuti e ci siamo plasmati silentemente): quindi può essere svolto attingendo ad altre
discipline quali la sociologia, la psicologia, la filosofia, antropologia, archeologia, letteratura, storia,
scienze politiche, teologia. È un fenomeno culturale quindi come la cultura stessa è PUBBLICO ed
OSSERVABILE (Clifford Geertz). La religione, quindi, è un fenomeno SOCIALE e INDIVIDUALE.
- e-religion: aspetto religioso extramentale, oggettivo, sociale, pubblico;
- i-religion: aspetto mentale, intimo, di pensiero, intenzioni, immaginazioni, rappresentazioni,
lettura e credenze, ma comunque interessanti solo se oggettivati e resi pubblici;
La religione è l’insieme di CREDENZE E COMPORTAMENTI e, così come il riferimento ad entità
immaginarie in quanto tali, è ascrivibile alla produzione umana e quindi pubblico ed osservabile
(Immanuel Kant: si può parlare di ciò che ci appare e di come ci appare). Quanto di immaginato,
oggetto di venerazione pratica e rituale, è comunque REALI in quanto importante nel contesto in cui
vien prodotto.

INTRODUZIONE: QUALCHE IDEA SULLA RELIGIONE


Lo studio della religione non prescinde dalla teoria utilizzata e dal contesto storico analizzato, e le
sue componenti e la loro elaborazione sono dipendenti da questi due aspetti.
PRIMA VISIONE DELLA RELIGIONE: ÈMILE DURKHEIM (1912: “Le forme elementari della vita
religiosa”)
Religione come costruzione sociale dell’etica e della morale dei gruppi, un “sistema solidale di
credenze e pratiche relative alle cose sacre, separate e interdette (nessun punto di comunicazione)
a quanto di profano, che uniscono le persone in una unica comunità morale, l’Ekklesia. La religione
è un elemento di COESIONE SOCALE (già anticiato da Auguste Comte). L’innovazione introdotta da
Durkheim è la distinzione non tra Dèi ed Umani, ma tra Sacro e Profano, attorno la cui netta
distinzione si costruiscono le società: in quanto plasmatrici e creatrici, le religioni, per quanto
immaginate, non sono illusorie ma bensì reali perché soddisfano un bisogno dell’uomo - Focus sulla
SOCIETA’.
SECONDA VISIONE DELLA RELIGIONE: SIGMUND FREUD (1913: “Totem e Tabù”)
Decisamente critica - espressione della natura nevrotica dei gruppi sociali, l’individuazione del Dio-
Padre come il complesso edipico basato sull’invidia, l’uccisione, il senso di colpa e la conseguente
adorazione della figura paterna. Il Padre non concede le donne della famiglia, viene ucciso e
mangiato (banchetto rituale) dai figli per ottenere l’accesso alle donne: da qui nasce l’adorazione
del padre sostituito metaforicamente da un simbolo (totemismo), ed il senso di colpa da cui il divieto
di operare contro il totem (tabù) ed il rifiuto di giacere con le donne della famiglia (esogamia). Focus
sull’INDIVIDUO e sull’ASPETTO EMOZIONALE.
TERZA VISIONE DELLA RELIGIONE: Teologo PAUL TILLICH
L’attitudine alla religione nasce dal bisogno generale dell’uomo di spiegare le condizioni della sua
esistenza. Questo INTERESSE SUPREMO dell’uomo trascende la società e l’individuo e la FEDE è lo
strumento per affrontare l’esistenza, è FUNZIONALE al soddisfacimento di un bisogno umano
(Bronislaw Malinovsky ed il funzionalismo). Anche gli atei hanno un INTERESSE ULTIMO. Focus sulla
FEDE, componente della religione che diventa un COLLANTE delle condizioni emotive individuali e
delle condizioni normative sociali entro cui percepire e classificare il mondo, la realtà.
QUARTA VISIONE DELLA RELIGIONE: CLIFFORD GEERTZ
RELIGIONE: insieme culturale tramite il quale, attraverso simboli, l’uomo costruisce la realtà che lo
circonda e conferisce significato alla propria esistenza, e quindi, in quanto tale, REALE. C’è la
sostanza (il significato simbolico) e la funzione (plasmazione della realtà, motivazione nella propria
esistenza). La definizione è talmente generale che potrebbe applicarsi anche ad una ideologia
politica o ad altre forme sociali.
La religione è creata al di fuori dell’individuo, e l’individuo la assimila e interiorizza in quanto
strumento culturale guidandone la percezione e cognizione della realtà, così come per i linguaggi.
PROSPETTIVA RELIGIOSA: percezione di ciò che è reale (ma non oggettivo) attraverso una serie di
simboli autorevoli e persuasivi, creati nell’abito culturale (quindi c’è la componente semantica –
simboli – creato dalle componenti sociologico del gruppo e psicologico dell’individuo). La
prospettiva religiosa si articola su due funzioni (in quanto la religione è anche funzionale):
- la funzione di “modello di”: concezione generale della realtà (mondo, individuo, e loro
relazioni e percezione) - PERCEZIONE;
- la funzione di “modello per”: disposizioni mentali in merito alle norme di comportamento e
relazionali all’interno della realtà per interagire con la stessa -AZIONE.
Focus sulle FORME SIMBOLICHE e sul SIGNIFICATO.
QUINTA VISIONE DELLA RELIGIONE: PASCAL BOYER
Religione: sottoprodotto evolutivo, creato dagli uomini, basato sulla propagazione di
rappresentazioni immaginate AL FINE DI FALSARE la percezione obiettiva della realtà. Una sorta di
attitudine biologica oltre che uno scarto dei complessi processi mentali di plasmazione della realtà
che si traducono in una falsa coscienza. Più la componente culturale ha sostituito quella biologica
nell’uomo, più si sono creati questi modelli ingannevoli. Sono legati ad una immaginazione che va a
completare quelle deduzioni falsamente “logiche” in merito ad aspetti della vita quotidiana quali
l’agentività (agency, quindi capacità di interagire e influenzare la realtà), predazione (e
sopravvivenza), morte (quale evento socialmente disgregante), morale (quale elemento
socialmente ed individualmente accettato e quindi coesivo), scambio (nel senso delle relazioni tra
singoli e/o gruppi).
Si studia il processo cognitivo umano per spiegare il fenomeno religioso, e la propensione biologica
a formare il pensiero religioso. È quindi fondamentale capire, osservare, studiare il modo di porsi
degli umani rispetto ai loro dèi. Focus sull’aspetto NATURALISTICO/BIOLOGICO.
Il concetto di religione NON È DATO MA DIPENDE DALLA TEORIA UTILIZZATA. Il concetto di religione
è la MAPPA, NON IL TERRITORIO. È quindi uno strumento, il concetto di religione, che permette di
orientarsi, interpretare e studiare il fenomeno religioso, che rappresenta il territorio, l’ambito di
studio. Ambito comunque dai confini non perfettamente definiti, che invade altre ATTIVITA’ UMANE
come la MAGIA o l’IDEOLOGIA. L’uso di concetti quali RELIGIONE, MAGIA etc sono strumenti per
permetterci di indagare questi argomenti.
La DEFINIZIONE del concetto di religione sarà quindi necessariamente POLITETICA (che racchiude
,molteplici aspetti), STIPULATIVA (che mette d’accordo più teorie) e SEMANTICA (che inserisce il
significato quale elemento imprescindibile, senza il quale la religione non avrebbe senso di essere).
Da cui:
LA RELIGIONE E’ COMPOSTA DA RETI SEMANTICHE E COGNITIVE CHE COMPRENDONO IDEE,
COMPORTAMENTI E ISTITUZIONI IN RELAZIONE AD AGENTI SOVRAUMANI, OGGETTI E POSTULATI
CONTROINDUTTIVI.
Le religioni comprendono tipici componenti (da cui l’insufficienza di una definizione nomotetica, che
inglobi uno solo di questi aspetti):
- cosmogonia: descrizione della nascita di quanto esistente;
- cosmologia: classificazione della realtà;
- credenze riguardo oggetti sacri (quindi elevati dal rango profano) e agenti sacri (quindi che
hanno negoziabilità rispetto la realtà ma da un punto di vista non-profano, spesso
ultraterreno e non raggiungibile se non con l’utilizzo di medium);
- Credenze riguardanti poteri e conoscenze di appannaggio sacro alle quali è possibile
accedere mediante un medium;
- Credenze riguardanti il destino dell’uomo e l’esistenza dopo la morte;
- Pratiche di vario tipo (dalla preghiera al sacrificio violento) che si offrono quali medium,
insieme alle figure sacerdotali, per colloquiare e scambiare con il mondo del sacro (anche
ultraterreno);
- Istituzioni che stabiliscono i valori, le norme comportamentali e le relazioni sociali conformi
e tali da evitare il pericolo di ciò che è impuro, organizzate gerarchicamente, esotericamente
od essotericamente organizzate nel condividere le credenze di cui ai punti precedenti, ed in
genere discoste/separate, che definiscono quindi ciò che è moralmente ed eticamente
accettato (gestiscono il modello classificatorio e quindi “puro”).
PUNTI DI VISTA: differenze tra INSIDER (apologetici, tutela della veridicità ed unicità della propria
religione) ed OUTSIDER (curiosi, scettici, critici, non necessariamente “esterni alla religione”). Anche
tra gli insider ci posson esser molte sfaccettature, si pensi all’islam o al cristianesimo con la loro
molteplicità di confessioni.
I CONFINI di una TRADIZIONE RELIGIOSA rappresentano lo SPAZIO SEMANTICO ENTRO IL QUALE GLI
INTERLOCUTORI POSSANO CONFRONTARSI SIGNIFICATIVAMENTE. Dipende ovviamente dal livello
del confronto: così sull’unicità della divinità ebrei, musulmani e cristiani si trovano su una scala di
alto livello e sono concordi, dissentendo ovviamente su quale sia la vera divinità e su altri aspetti
(uno shintoista invece, culto degli antenati, imperatore, spiriti, non ha uno spazio significante di
confronto in questo caso). Più basso nella scala ci sono i confronti tra confessioni e quindi diverse
tradizioni relative ad una stessa “religione” ma diverse per ortodossia, che quindi definisce il nuovo
spazio semantico). Il “DISACCORDO SIGNIFICATIVO” (politeiste e monoteiste, per esempio) è uno
strumento per delimitare i confini dello spazio semantico.
Lo studio delle religioni va al di là del giudizio personale (importante la consapevolezza del proprio
POSIZIONAMENTO) e su quanto è condiviso con la religione studiata: a noi interessa studiare il
pensiero umano e il comportamento umano rispetto alla religione studiata (le religioni sono tante):
lo studio della religione non è teologia, ma studio del comportamento umano. Lo studioso non è
apologeta ma critico, quindi con la necessità di essere autocritico (IMPERATIVO ERETICO di Peter
Berger). La comparabilità stessa non si addice ad un atteggiamento apologetico della religione, così
come la generalizzazione, la ricerca di “regole universali”, altrimenti non si arriverebbe a nulla se no
a definire false le religioni altrui (o parte di esse).
Tra religioni gli aspetti comparabili sono limitati. Il complesso che chiamiamo “religione” è la summa
di elementi (visioni del mondo, credenze, pratiche, oggetti, agenti) che possono esistere in ogni
religione in tutto o in parte. E questi elementi sono MAPPE che ci permettono di descrivere il
territorio studiato fino ai suoi indistinti confini, sono MODELLI entro i quali comprendere tali
elementi, sempre utilizzando la comparazione ed anche ove necessario la generalizzazione, facendo
molta attenzione perché definire un “termine” già porta alla generalizzazione (per es. SACRIFICIO)
e quindi una DEFINIZIONE, da cui l’idea di C.Lèvi-Strauss di INTERPRETAZIONE GENERALIZZATA per
MODELLI (variabili) e non per DEFINZIONI (statiche), in modo che possano essere facilmente validati,
rivisti, criticati, rifiutati.

UNA BREVISSIMA STORIA DEL CONCETTO DI RELIGIONE


La dimensione storica è essenziale per definire l’approccio intellettuale. La percezione di ciò che è
stato e la sua analisi serve a rapportarsi alla dimensione teorica e di studio.
RELIGIO (termine romano che deriva da due radici):
- Religare: legare, allacciare
- Relegere: raccogliere, rileggere
Il significato era chiaramente l’osservanza di tutti quei precetti necessari per rapportarsi alle divinità.
Il rapporto con gli agenti ultraterreni è presente in tutte le religioni dell’antichità, così come il loro
interagire fattivo nella realtà. Lo studio del comportamento e del rapportarsi alle divnità è quanto
interessa.
ARGOMENTI DI INTERESSE NELLO STUDIO DELLA RELIGIONE
A. VERITÀ NELLA RELIGIONE CONTRO STUDIO CRITICO DELLA RELIGIONE
Le “verità” nascono al ritmo della religione, così come l’interpretazione dei dogmi e l’ortodossia,
l’importanza delle figure soprannaturali e la concezione di “verità” è varia al ritmo delle scissioni,
delle riforme, dei movimenti critici, su linee di tipi istituzionale, rituale ed intellettuale. Questa è la
prova, al di là delle difese elevate a scudo della verità, che il concetto di religione e verità è relativo
e che ogni sfumatura è possibile e reale. Da cui un crescente biasimo del concetto di “verità rivelata”
finché Cartesio nel XVII secolo definisce, attraverso un dubbio sistematico ed un approccio critico, il
passaggio da Dio alla mente umana, al comportamento umano ed alla capacità di relazione tra gli
uomini e con il mondo (dal Divino al Sociale).
Il filosofo David Hume (XVIII sec.) propone una visione miracolistica della capacità dell’uomo di
soggiogarsi ad una immaginazione fervida tanto da dare credito e prestare fede a quanto sia
totalmente contrario alla propria esperienza reale ed al proprio pensiero razionale
(CONTROINTUITIVITA’).
Francoise Voltaire ed altri illuministi (XVIII sec.) proposero feroci critiche alla religione
(essenzialmente quella cristiana, dominante in occidente), sulla falsità delle verità proposte e sulla
condanna del fanatismo religioso. Da qui si passa ad una concezione di religione data dal divino ad
una religione creata dall’uomo (spiegazione NATURALISTICA).
Insomma, Dio è l’UOMO e la SOCIETA’.
DEISMO: un movimento teologico cristiano con cui la figura reale di Dio trova un equilibrato
connubio con le leggi naturali, di cui è creatore ed attraverso lo studio delle quali l’uomo può
raggiungere il disegno divino; che l’anima umana sia immortale e che praticare un codice morale di
pietà ed umane virtù avrebbe portato a ricompense, altrimenti a punizioni. Non è anche queta una
“verità”? Il RELATIVISMO è già nell’aria, e si vede nelle continue scissioni e nascite religiose.
B. ROMANTICISMO E RELIGIONE EMOZIONALE
Il romanticismo comincia nel XVIII secolo ed imperversa per tutto il secolo successivo. Riscoperta di
antiche radici e tradizioni per creare una cultura comune ed affermare la propria identità di popolo
e nazione, a maggior pregio per le società dominanti, a fine dell’indipendenza e dell’affrancamento
per le dominate. Fascino per l’esotismo e le culture (e religioni) dei popoli colonizzati. L’attenzione
si sposta sulla religiosità personale, la i-religion, sulla capacità dell’individuo di avere un rapporto
personale e diretto con il sacro, basato sulla propria intuizione mistica e sulla propria
sensibilità/sentimento (Friedrick Schleiermacher - quasi contemporanei, prevedono i movimenti di
spiritualità individuale odierni) e che la RELIGIONE, quindi, non fosse altro che una raccolta di
riflessioni su queste personalissime interpretazioni. LA VERITA’ risiede quindi nell’esperienza
SOGGETTIVA e, pur non confutando la realtà stressa dei dogmi religiosi, ha portato ad una
concezione antropocentrica della religione (si torna quindi sull’UOMO).
C. IL SAPERE POSITIVO: LA SCIENZA E LO STUDIO CRITICO DELLA RELIGIONE.
La filosofia positivista sottolinea maggiormente la dimensione “umana” del fatto religioso. Auguste
Comte divise la storia della religione da un punto di vista intellettuale in tre fasi: FASE TEOLOGICA O
FITTIZIA (in cui la maggiore autorità anche scientifica era dell’élite sacerdotale, divisa a sua volta in
tre fasi feticista, politeista e monoteista), FASE METAFISICA O ASTRATTA in cui gli strumenti per
analizzare il mondo erano in mano ai filosofi, FASE SCIENTIFICA O POSITIVISTA in cui le regole del
mondo sono in mano alla scienza.
La Religione si confronta con la scienza sulla CAPACITA’ DI SPIEGARE IL MONDO.
Charles Darwin, con la sua “Origine della Specie” ed il suo evoluzionismo biologico diede man forte
all’affossare la veridicità di dogmi e testi sacri non più assunti come fonte scientifica, UNICA FONTE
SCIENTIFICA DOTTRINALE, oltre la quale non c’era altro ed era sufficiente: beh, non più!
Ludvig Feuerbach (1 di 3 filosofi positivisti): religione falsa, delirante e vincolante per il destino
dell’uomo, delegante le proprie possibilità a figure immaginarie che potessero proteggerlo
dall’ostilità del mondo, un “entusiasmo mal riposto”.
Karl Marx (2 di 3): religione falsa coscienza, sovrastruttura creata dalla classe dominante per
sottomettere e controllare il proletariato, così come lo Stato. Oppio dei popoli che toglie ogni spirito
immaginativo agli oppressi.
Friedrich Nietzsche (3 di 3): Religione falsa e disonesta, bugia consapevole, uno strumento per
esercitare potere, insieme di figure, concetti, cause, effetti, protagonisti immaginati con relazioni
immaginate fra loro fino a creare una cosmologia incoerente e dogmatica. Un mondo di pure finzioni
(che è vero, la religione, in quanto parte della cultura, è una finzione, un costrutto umano utilizzato
per dare significato alla propria esperienza di realtà). Si oppone, la finta religione, alla vera natura,
in quanto solo chi odia la natura in quanto non soddisfatto nei suoi desideri vi si oppone
trasfigurandola secondo il proprio piacimento, creando una mal finzione che porterà alla decadenza.
Scetticismo e dubbio alla base dell’approccio intellettuale alla religione che porta alla
SECOLARIZZAZZIONE e cioè (Peter Berger) “il processo attraverso il quale settori della società e della
cultura vengono sottratti al domini delle istituzioni e dei simboli religiosi”, quindi dal potere
istituzionalizzato, dal potere dogmatico e dalla loro univoca interpretazione simbolica.
D. ESSENZA DELLA RELIGIONE CONTRO-FUNZIONE DELLA RELIGIONE
L’essenza della religione è quindi la verità. Ma la verità unica ed universale è comparabile tra
religioni? E tutte le religioni hanno una verità univoca?
Max Muller (1800): chi conosce una sola religione, non ne conosce nessuna (relativismo,
comparativismo)
Adolf Von Harnack (1900): chi conosce a fondo il cristianesimo non ha necessità di conoscere altre
religioni (esattamente il contrario).
Ma la veridicità di una religione, posto che venga intesa come costrutto umano, e quindi costruzione
sociale di un gruppo omogeneo e che condivida concezione e valori, passa la palla alla vera
FUNZIONE SOCIALE della stessa.
Immanuel Kant (fine XVIII sec.) riteneva che la FUNZIONE della religione fosse prettamente etica:
Dio, dogmi, santità e norme simboli per indicare la perfezione morale e la retta via all’uomo contro
le cattive tendenze, anch’esse espresse mediante simboli (peccato, Diavolo, etc.)
Si ritorna sulla dimensione umana e non divina, sulla creazione sociale della realtà e non sulla
rivelazione ultraterrena, il cui mezzo è l’etica ed il cui fine è l’ordine della società creata.
Ludvig Feuerbach: la costruzione di una realtà parallela che giustifichi e spieghi gli eventi della vita
naturale, materiale. Non è importante studiare la religione per quello che “è” ma per quello che “fa”
(Approccio FUNZIONALISTA).
E. INTELLETTUALISMO: LA RELIGIONE COME SPIEGAZIONE
Funzione della Religione, quindi, è anche quella di interpretare la realtà, di dare spiegazioni del
cosmo, di fornire ORDINATE VISIONI DEL MONDO OLTRE LE QUALI C’È IN AGGUATO IL PERICOLO E
L’IMPURITÀ.
Edward B. Taylor (1800-1900): Religione è l’insieme delle credenze in esseri spirituali”. L’ANIMISMO
è fondante la religione, si ritrova comunque come sentire condiviso dalle civiltà primitive a quelle
moderna, entro una UNITA’ PSICHICA del genere umano, uguale per tutti gli esseri umani
(cognitivamente) ma espressa in modi diversi da gruppo a gruppo (culturalmente). L’animismo è
quindi un pensiero razionale di spiegazione del mondo e dell’esperienza (come nel caso del sogno e
della doppia identità, quindi dell’anima) ed il primitivo possedeva un pensiero razionale per spiegare
la vita, la morte, il sogno e gli eventi inspiegabili.
James. G. Frazer (“Il Ramo d’Oro”): parte dalla magia come strumento per spiegare la cosmogonia
e per manipolare la natura altrimenti terribile e violenta. Ma la magia non soddisfa per risultati il
primitivo, che capisce di non poter manipolarla nella regola della causa-effetto e si passa alla
religione, nata per ingraziarsi quindi questa natura tiranna. Ma non è forse un modo per manipolare
la natura, cosa che è possibile solo attraverso la scienza? Nel percorso evolutivo la scienza è l’ultimo
stadio a cui si affida l’uomo.
F. LA STORIA DELLE RELIGIONI: ORIGINI, SVILUPPI, TESTI.
I primi approcci allo studio delle religioni si sono limitati ai testi ed alla dottrina cristiana. Robertson
Smith fu tra i primi a confutare la Bibbia (pur essendo credente, quindi un insider) quale libro di
verità ed evidenziarne il carattere prettamente storico e la redazione e modifica della stessa nel
tempo, per mano umana e attraverso culture diverse.
Anche David Strauss (1800) considerava i riferimenti ai miracoli ed eventi soprannaturali strumentali
a sostenere la veridicità della religione stessa, valida però per idee e ragionamenti sempre nell’ottica
funzionalista, sottolineando il carattere filologico che avrebbe dovuto avere lo studio delle religioni.
In effetti lo studio dei testi sacri anche di religioni lontane ed esotiche divenne presto un punto di
forza degli studiosi che si versavano nelle più disparate lingue a fine di leggere direttamente ed
interpretare i sacri testi. La linguistica diviene quindi fonte di studio della religione e implicitamente
anche delle culture e tradizioni differenti. E qui, nell’approccio caratterizzato dalla sospensione del
giudizio inizia ad affermarsi la prospettiva relativistica.
G. RELIGIONE E INDIVIDUO
Fu il primo approccio allo studio della religione: l’individuo diventa l’oggetto di studio, così come il
suo rapportarsi a ciò in cui crede (la i-religion). Come si conciliava il credo con l’introspezione umana
e soprattutto individuale? Parte degli studi si concentrarono sulle credenze, altri invece, più
prettamente psicologici (poi scientifici) sull’introspezione dell’individuo.
Wilhelm Wundt (1800-1900) primi approcci psicologici alla religione. Inventore dei metodi
sperimentali in psicologia e dello studio del rapporto tra cultura e mente, analizzando il contesto
culturale (e religioso) per capire come lavorava la mente umana.
William James (1800-1900): oggetti di studio primario nella religione sono il credente e lo specialista
religioso, non le istituzioni da questi ultimi organizzate (distinzione tra religione istituzionale e
personale). Inoltre, diede grande peso alla varietà delle religioni ed alle esperienze mistiche
(religiose estreme), da lui definite reali per chi le esperisce e per nessun’altro, ottimi oggetti di studio
per giungere alla comprensione del funzionamento della mente umana.
Sigmund Freud: Religione viene stigmatizzata ed utilizzata per lo studio delle nevrosi umane, al fine
di liberare l’uomo dalla necessità della religione (stiamo parlando comunque di i-religion). La
religione incide sulla formazione dell’uomo dall’infanzia, in vari campi socioculturali come l’autorità,
la sessualità, la repressione, il tabù.
Gustav Jung: le tradizioni religiose rispecchiano la psiche umana. I fattori e gli attori religiosi
(pratiche, dèi, credenze, mitologia) sono codici attraverso cui studiare gli archetipi che stanno alla
base più profonda della psicologia.
La religione influisce quindi sullo sviluppo identitario della persona, su parecchi ambiti della vita e
della relazione (autorità, suggestionabilità, l’attaccamento nell’infanzia, le caratteristiche del
periodo adolescenziale e il passaggio all’adulto). Ma la relazione tra psiche e religione in quale senso
va? I tratti personali portano ad un orientamento religioso oppure la religione influisce sulla
modellazione individuale? Secondo me entrambi: come il linguaggio è espressione del pensiero e
retroagisce sullo sesso modellandolo, come la cultura è una costruzione simbolica immaginata della
realtà, che in quanto tale arbitraria e suscettibile a sua volta di essere plasmata dalla stessa
esperienza della stessa.
H. RELIGIONE COLLETTIVA E SOCIALE
Focus sulla “e-religion” e non più sulla i-religion, sulla dimensione sociale e pubblica della religione.
Emile Durkheim: esiste una COSCIENZA COLLETTIVA che è “l’insieme delle credenze e dei sentimenti
comuni alla media dei membri di una stessa società” entro cui quindi i membri si identificano e per
i quali creano uno spirito di corpo. La solidarietà meccanica esiste quando la coscienza collettiva
permea ogni aspetto della vita sociale, e annulla la personalità dell’individuo e la necessità di una
negoziazione, mentre la solidarietà organica si manifesta laddove una coscienza collettiva unica non
ha abbastanza forza da rendere coesa la società, che si basa su sotto coscienze valoriali,
permettendo anche al singolo di differenziarsi in quanto “organo” del complesso meccanismo con
una propria funzione al fine di collaborare per recuperare quella diminuzione della coesione sociale
implicita (meccanica).
“I gruppi agiscono in base a quello che credono” e crescere in un habitus (Pierre Bourdieu)
fortemente caratterizzato da condizioni e norme religiose porta l’individuo a far parte del gruppo.
Si diventa religiosi se si appartiene ad un gruppo religioso. Le norme e le azioni della società tali da
influenzare la società stessa sono FATTI SOCIALI. La religione è un fatto sociale e anche la lingua lo
è (Ferdinand de Saussure inizia a studiare la lingua secondo teorie generali non legate all’ambiente
o alla storia). Un insieme di regole, relazioni e vincoli denotano sicuramente un fatto sociale, e la
società può essere studiata come un sistema di fatti sociali vincolati all’interno di una rete di
relazioni, significati e regole.
La religione quindi si può studiar parallelamente su più fronti: IL FRONTE ESTERNO, e quindi relativo
alla società ed ai risvolti politici, economici, funzionali, ed IL FRONTE INTERNO relativamente
all’influenza sull’individuo, sulla formazione, funzionamento mentale e quindi percezione.
Lo studio della religione tramite la funzione sociale esperita (Durkheim), sulla creazione di una
visione del mondo collettiva condivisa tramite simboli (Evans-Pritchard), sulle funzioni cognitive ed
emozionali (Malinovsky) è stata centrale nel XIX secolo, in generale comunque evidenziando l’ordine
costruito, la struttura, la funzione e le regole che danno luogo a griglie mentali e sistemi di
classificazione collettivi (Mary Douglas).
Il folklore e la linguistica hanno avuto maggiore spazio negli studi nordamericani, la cui “svolta
interpretativa” dei simboli e dei significati portò all’individuazione della concezione della realtà
(Clifford Geertz ed il simbolismo).
La linguistica la fece da padrona anche in Europa con Claude Lèvi-Strauss nel suo strutturalismo,
culture (ed i loro aspetti) come strutture di idee, codici entro i quali spiegare la cultura umana.
Edmund Leach: le culture sono composte da sistemi e articolazioni di sistemi a valore/priorità
variabile da cultura a cultura (un po’ ricorda la coscienza collettiva di E.D.). è comunque una
generalizzazione che non si può tradurre ESATTAMENTE in PRATICA (non tutti i “religiosi” sono
ugualmente religiosi, così come non lo sono neppure i gruppi). Entra Margareth Mead con i suoi
PATTERN o MODELLI che posson essere appunto rivisti, avallati, respinti a differenza dei SISTEMI
che possono risultare troppo statici. Sempre però regolati da relazioni e vincoli/norme. Il pensiero
umano è organizzato, la società è organizzata, la società potrebbe essere espressione del pensiero
umano e degli schemi interpretativi che la psiche umana utilizza per interpretare la propria
esperienza della vita, schemi che si riflettono poi a livello sociale e che a loro volta retroagiscono sul
pensiero umano (caratteristica dinamica).
I. RELIGIONE ED EVOLUZIONE E RELIGIONE NELL’EVOLUZIONE
Psicologi evoluzionisti e scienziati cognitivisti si uniscono nello spiegare la nascita e l'evoluzione
anche riferite alla religione. Pascal Boyer (2010): la religione è un prodotto esatto dell'evoluzione
del modo in cui funziona la cognizione umana cioè la religione è ciò che appare di un fenomeno
cognitivo profondo, in cui un aumento delle capacità cerebrali provoca un aumento
dell'immaginatività, del pensiero astratto e della capacità proiettiva che prescinde la reale
esperienza della vita.
la religione è quindi controintuitiva (non ha attinenza all'esperienza reale) e attira attenzione
(l'immaginatività dona una dimensione più accettabile della realtà). Questa immaginazione si
PROPAGA (Dan Sperber) nel senso in cui una volta che le rappresentazioni immaginifiche della realtà
si sono sufficientemente diffuse e radicate in una popolazione questa diventa cultura: ogni
popolazione quindi si ritroverà ad apprezzare e proporre idee diverse ed invece essere resistente ad
altre tipologie di rappresentazione (EPIDEMIOLOGIA ED IMMUNOLOGIA DELLE
RAPPRESENTAZIONI).
Verrebbe da pensare alla religione come sottoprodotto “deviante” dell’evoluzione nato appunto
dalla maggiore capacità immaginativa (Walter Capps), ma la religione è un fenomeno troppo
complesso per essere ridotto ad un mero sottoprodotto: (Powell e Clarke) la religione è un insieme
a livello sociale di impegni costosi (sacrifici, offerte, energia impiegata) nei confronti di agenti e
mondi controintuitivi che governano l'ansia esistenziale dell'uomo rispetto agli accadimenti della
vita (morte, dolore, epidemie, carestia, guerre, solitudine, ingiustizie etc.). Focus in questo caso è
sull’ADATTIVITA’ del sottoprodotto cultural-cognitivo.
Componente morale della religione è oggetto di studio tanto da proporre che non sia tanto la
religione che si evolve e propone una morale ma che l'uomo stesso evolvendosi propone una morale
raccolta dal fenomeno religioso (Haidt 2013): infatti alcuni precetti morali si possono ritrovare in
tutte le religioni (la religione non crea la morale, l’uomo la crea e la sistema ed accetta all’interno
dell’ambito religioso).
Darwin dal canto suo dava una lettura funzionale della religione connessa alla capacità cognitiva e
sua evoluzione nell’uomo: effettivamente la religione si prenda come uno strumento di attività che
aiuti la coesione sociale e la creazione di regole e la competizione con altri gruppi: i gruppi con
maggiore evoluzione di principi morali (solidarietà, abnegazione, coraggio, patriottismo, fedeltà)
secondo Darwin sarebbero stati superiori agli altri gruppi, tesi ripresa dal biologo David S. Wilson. Si
ritorna quindi al funzionalismo, supportato dall'eccezionale inclinazione dell'uomo a rispondere al
proprio ambiente secondo i propri modelli culturali. I modelli culturali sono quindi reti cognitive
collettive che racchiudono il pensiero, le idee e soprattutto l'esperienza diretta degli individui
(Merlin Donald). La mente individuale è sottoposta a una inculturazione (di cui fa parte la religione)
diversa da gruppo a gruppo. La domanda che cos'è la religione ha una risposta che dipende dal
gruppo a cui si chiede.

TIPOLOGIE ED ELEMENTI DELLA RELIGIONE


UNA DEFINIZIONE TAUTOLOGICA: SACRO E PROFANO (banale…)
Religione è un concetto quindi astratto, che indica una classe a cui appartengono molteplici
fenomeni religiosi anche moto diversi fra loro ma che, appunto perché si riesce a raggrupparli in una
classe, hanno vari punti in comune.
Prima distinzione che potrebbe essere alla base dell'individuazione del fenomeno religioso e di
quella tra sacro e profano: gli uomini pensano e rappresentano la realtà secondo una regola
dicotomica suddividendola in due categorie, il sacro ed il profano, concetti ben distinti fra loro
(Durkheim, secondo il quale questa dicotomia era alla base del pensiero religioso, Lèvi-Strauss
secondo il quale la dicotomia in generale è alla base del pensiero umano): è possibile che oggetti
persone e azioni possano elevarsi attraverso riti di passaggio dalla sfera profana a quella sacra. Qui
la distinzione non è tra ciò che è reale e naturale e ciò che è soprannaturale ma tra ciò che è
ORDINARIO è ciò che è SPECIALE. Questa distinzione è osservabile, è un fatto psicologico,
antropologico, sociologico, e storico e quindi studiabile.
Mircea Eliade ((1900) Sosteneva che il sacro è una struttura della coscienza umana, ma mentre
quanto di osservabile avviene culturalmente e socialmente è molto difficile indagare la coscienza
umana, laddove, secondo Mircea, provengono i concetti di religione, sacro e profano. La religione
quindi si indaga studiando la mente umana e l’apparato cognitivo che la contraddistingue. Ma è vero
anche che le menti umane sono ibride, e quindi sono in grado di apprendere (l’apprendimento
esplicito è chiaramente l’eccezione, in genere è silente) la dimensione religiosa: è la dimensione
religiosa che spinge la mente umana a figurarsi il sacro oppure è l’immaginazione umana a creare la
dimensione religiosa?
La distinzione tra e-religion e i-religion potrebbe venire in aiuto. Hegel sottolineava la differenza tra
spirito umano “soggettivo” e spirito “oggettivo”: ciò che nasceva soggettivamente, una volta
oggettivato e condiviso diveniva un fatto sociale, e come ogni fatto sociale viene appreso
silentemente per potersi conformare e adattarsi/sopravvivere nella cultura in cui si nasce (così come
per la lingua, evidenziando in particolare la capacità polisemica, e cioè di adattabilità del linguaggio
alle varie situazioni sociali). Quindi i FATTI SOCIALI si compongono di FATTI MENTALI, e
RETROAGISCONO sui FATTI MENTALI STESSI: sono interdipendenti, e la capacità di modellare
l’interpretazione della realtà, la quale rimodella il pensiero umano è la maggiore caratteristica che
sovrintende alla produzione culturale, linguistica ed anche religiosa (tutti fatti sociali).
La religione quindi si può definire come UN FATTO SOCIALE TRASVERSALE TRA LE MENTI IBRIDE
UMANE, e sempre maggiormente si indaga la i-religion (dapprima bistrattata) parallelamente alla e-
religion.
Peter Berger (1967) e il COSTRUZIONISMO SOCIALE: il prodotto della dialettica tra individuo e
società, uno scambio reciproco e interdipendente di costruzione e revisione.
Jhon R. Searle (2000) e l’INVENZIONE SOCIALE: Come si crea una invenzione sociale? Prima
condizione è l’INTENZIONALITA’ COLLETTIVA con la quale il gruppo decide di assegnare un valore o
meglio uno STATUS ad un dato elemento (azione, oggetto, persona) dell’IMMAGINAZIONE
COLLETTIVA. Seconda condizione è L’ISTITUZIONALIZZAZIONE di tale decisione sopportata da regole
costitutive di tale STATUS: così si formano gli elementi precipui della religione, come ad esempio la
cosmogonia e la cosmologia. Ma possiamo anche riferirci ad altre “produzioni immaginifiche” più
concrete come il denaro: dare un valore che non esiste ad un pensiero che invece si produce e
diviene reale nella mente collettiva. L'esempio dei bambini che immaginano una situazione e
pongono le regole per poter interagire all'interno di una dimensione assolutamente reale. Vedi
anche più avanti la FUNZIONE DI STATO e L‘ATTRIBUZIONE.
L’IMMAGINAZIONE E’ ALLA BASE DELLA RELIGIONE, COSI’ COME DELLA CULTURA IN GENERALE. Il
LINGUAGGIO CREATIVO genera il MITO che permette appunto di immaginare una dimensione tanto
reale quanto le regole che la governano. Il mito, quindi, creato dalla mente umana, retroagisce sulla
stessa e la governa quale interpretazione della realtà.
Abbiamo quindi 3 costruzioni culturali che collegano la religione interiore a quella esteriore e
pubblica: il linguaggio creativo (il linguaggio a tutto tondo), il mito e le istituzioni, quindi di fatto la
capacità di comunicare (la religione è COMUNICAZIONE) e di apprendere, la capacità di organizzare
il pensiero astratto e la capacità di concretizzare delle regole.
Il pensiero astratto si concretizza nell'utilizzo di simboli per l'interpretazione della realtà che
circonda l'uomo. Il linguaggio (e soprattutto il linguaggio scritto) conservano queste interpretazioni
così come gli artefatti, i costrutti umani, permettendo allo studioso di analizzarli in modo
significativo perché in grado di “PARLARE”, di “COMUNICARE LA PROPRIA ESPERIENZA”, non solo
allo studioso ma anche all'intero gruppo entro i quali vengono prodotti (COGNIZIONE DISTRIBUITA:
si impara attraverso questi costrutti la realtà in cui si è immersi). vedi l'esempio delle abilità di
navigazione, della capacità di reiterare i rituali o i giochi tipici delle culture che non sono aspetti
banali della costruzione sociale, anzi in quanto appresi silentemente sono spesso scontati.
Michael Tommasello: ORIGINI CULTURALI DELLA COGNIZIONE UMANA: Il retroagire della cultura
sullo sviluppo biologico dell'uomo che crea la cultura, aumento delle capacità culturali a discapito
di quelle biologiche: l'utilizzo di strumenti quali l'alfabeto, i numeri, l'utilizzo di strumenti ed
invenzioni così come di ritualità o costrutti morali portati all'accrescimento culturale che amplia le
capacità di produrre cultura, che diventa quindi una costruzione di menti estese, una
COLLETTIVIZZAZIONE DELL'IMMAGINAZIONE.
Antonio Damasio: COSCIENZA ESTESA: La costruzione di sé attraverso la cultura del proprio habitus
come attori attivi e non passivi, sia dell'interpretazione della realtà sia della costruzione della società
(un po’ come l’UNITA’ PSICHICA teorizzata da Edward Taylor: gli esseri umani hanno cervelli
biologicamente simili e li utilizzano nello stesso modo). Essendo la religione parte di un più ampio
discorso culturale si pensi alla religione come caratterizzata da funzioni psicologiche, culturali e
sociali.
TIPOLOGIE DI MODI ED ELEMENTI DELLA RELIGIONE
La religione è un prodotto della mente umana. Ma tali prodotti presentano delle regolarità
osservabili? Le culture umane (e quindi le religioni) presentano certamente similitudini nelle
funzioni, nei simboli, nelle strutture. Come teorizzato da Taylor e Damasio, cervelli biologicamente
simili funzionano similarmente, anche nella costruzione collettiva e nell’interpretazione collettiva
della realtà. Quindi devono esserci degli universalismi, in ragione delle similitudini profonde e anche
delle differenze osservabili. Non tutte le universalità appartengono al solo imperativo biologico
(anzi, la biologia può comportarsi comunque diversamente in base all’habitus ed alle necessità
adattive), così come le differenze non sono solo a livello culturale (che nel profondo dei significati e
delle funzioni posson invece assomigliarsi molto). Ma LE UNIFORMITA’ RISCONTRABILI SIA A LIVELLO
NATURALE CHE CULTURALE DIMOSTRANO LA BONTA’ DEL METODO COMPARATIVO PER LO STUDIO
DELLE RELIGIONI, PERCHE’ LE RELIGIONI ED I LORO ELEMENTI COSTITUTIVI SONO PRODOTTI DELLA
MENTE UMANA E QUINDI DEVON ESSERE RICONOSCIBILI DA ALTRE MENTI UMANI PER FAVORNE IL
RICONOSCIMENTO ALL’INTERNO DI UNA COSCIENZA ESTESA (deve essere permessa una
codificazione tale da definire una comunicazione universale, biologica e culturale). Lo stesso
discorso può essere fatto per le lingue, che posson avere profonde somiglianze, od altri fatti sociali
di diverse culture.
COMPARAZIONE GENEALOGICA (e storica): applicato in primis sul linguaggio: dal protosemitico
all’arabo, dal latino alle lingue europee del mediterraneo, e le lingue, pur lontane ma aventi lo stesso
ceppo ci permettono di confrontare diverse religioni (ceppo indoeuropeo delle lingue, religioni
vedica e norrena).
PROSSIMITÀ CULTURALE: Laddove invece vi siano profonde differenze linguistiche subentra invece
la prossimità culturale che offre altri spunti di comparazione (nativi americani, popoli africani).
La comparazione genealogica delle religioni e la prossimità culturale dei gruppi permettono un
confronto a livello linguistico, tecnologico, artistico, insomma culturale, col rischio però di cadere
nella “FALLACIA GENETICA” prendendo delle apparenti somiglianze come punti di contatto: a quel
punto l’approccio solamente storico non basta più.
PRINCIPALI TIPOLOGIE DI RELIGIONE
Le classificazioni vengono create dagli studiosi ad hoc rispetto ai loro interessi e sono pregne di
giudizi, alla faccia della consapevolezza del proprio posizionamento. Infatti, le varie discipline
coinvolte nello studio delle religioni possiedono diverse priorità: così potremmo individuare già dei
criteri:
- Approccio tecnologico: Dèi venerati in base alle necessità del gruppo (culture basate sulla
pastorizia e sul nomadismo difficilmente erigono grandi templi, o sulla caccia avranno dèi
relativi al mondo animale suddiviso tra prede e predatori);
- Approccio sociologico: ampie società burocratiche avranno grandi gerarchie e personale di
culto gerarchizzato e normato, ristrette culture paritarie invece prediligeranno ristrette
cerchie di pari;
- Approccio psicologico: si posson avere religioni basate sul controllo emozionale ed altre
sull’estasi incontrollata, oppure con parti dell’uno e dell’altra, il cui scopo è confortare
nell’ansia dell’affrontare la morte;
- Approccio valoriale: importanza all’etica terrena e quindi al “qui e ora”, ma anche alla
promessa ultraterrena.
Etc etc…
Come già indicato sopra vi posson essere anche posizioni sfumate tra gli estremi (religioni
emotivamente controllate che prevedono in certi ambiti la ricerca dell’estasi – cristiana). Si devono
quindi individuare dei criteri il più imparziali possibili, fattuali e non generati dal giudizio. Le
classificazioni osservabili e sufficientemente oggettive sono individuabili secondo le seguenti
caratteristiche:
1. Uno contro molti: Monoteismo contro politeismo, differenziate da un unico agente
sovraumano sacralizzato contro una molteplicità di attori (spiriti, dèi, numi tutelari). Esistono
anche sfumature: religioni monoteiste con presenza di molteplicità di agenti sacralizzati
(cristianità con trinità e santi) o anche non agenti ma entità sacralizzate come il buddismo.
Laddove élite padroneggianti la verità teologica si affiancano a componenti laiche più aperte
a contaminazioni e differenti visioni della religiosità si posson trovare ulteriori sfumature tra
i due poli di questa caratteristica.
2. Locativo contro u-topico: religioni indigene, legate al “locus” e cioè al territorio ed alla
popolazione contro religioni non legate al Topos (luogo) ma di più ampio respiro geografico.
Le religioni indigene sono per lo più locative, mentre le religioni monoteistiche del mondo
odierno sono u-topiche (con le opportune sfumature: l’anglicanesimo, per esempio, è parte
di una religione utopica ma radicato all’interno del mondo britannico, così come religioni
locative possono distribuirsi, in special modo a seguito di flussi migratori, e radicarsi in
territori più vasti (induismo). Da cui il seguente distinguo:
3. Etnica contro globale: legata quindi ad una cultura particolare oppure trasversale tre le
culture (basti pensare al messianismo irochese di matrice cristiana).
4. Tradizione orale contro tradizione letteraria: la maggiora parte delle religioni odierne
monoteistiche sono caratterizzate da testi e liturgie scritte, ma non sempre tali testi sono
compresi da credenti analfabeti (a differenza della trasmissione orale che prevede che gli
interlocutori sappiano interpretare e tramandare il messaggio religioso). In ogni caso con la
maggiore alfabetizzazione e la diffusione della cultura mainstream a livello mondiale la
maggior parte della popolazione può accedere e capire i testi scritti (a differenza di un tempo
in cui la religione era caratterizzata dall’esoterismo e cioè la condivisione della cultura
religiosa solo tra le élite) aumentando l’approccio critico alle religioni stesse, da cui il
successivo distinguo:
5. Elitaria contro popolare: già si definisce così;
6. Chiesa contro setta: Max Weber indica la differenza con la possibilità di aderire
volontariamente ed eventualmente attraverso riti iniziatici alla setta e aderire
implicitamente ad una chiesa per nascita nel contesto culturale. Con tutte le sfumature tra
questi due estremi. Definizione idealtipica, cioè spunto di riflessione e non assoluta.
7. Questo mondo /benedicente contro altro mondo /salvifica: le prime concentrate
sull’ottenere sulla vita terrena dei benefit elargiti dalle divinità/antenati come fertilità,
protezione etc (la maggior parte delle religioni antiche), altre invece orientate ad una
salvazione nella vita dopo la morte, nell’abbandonare un mondo disforico per raggiungere
un’euforia non altrimenti raggiungibile nella vita terrena – mi sa tanto da strumento per
soggiogare le masse di poveri e miserabili… (prime evidenze di questo tipo di religioni verso
la metà del primo millennio in un periodo denominato ETA’ ASSIALE, rintracciate
simultaneamente in Cina, India, Grecia e Medio Oriente).
8. Karmica contro non-Karmica: le religioni karmiche sono incentrate su concetti quali etica e
morale, trattamento degli altri appartenenti o non appartenenti al gruppo, secondo una
forte relazione causa (pensiero) effetto (risultato del pensiero sul mondo circostante).
Nell’induismo il raggiungimento di un elevato livello karmico propone una rinascita positiva,
quindi la promessa di una vita successiva migliore, proporzionata all’impegno profuso, a
differenza delle religioni salvifiche in cui il destino è già segnato, individuato dagli agenti
sovraumani (infatti c’è molto utilizzo di pratiche divinatorie per conoscere il proprio futuro /
destino). Il destino è fissato, così come deve essere conosciuto ciò che si deve fare per
compierlo: ciò dà adito ad un’ansia da prestazione molto pervasiva e totalizzante per
conoscere se si è eletti oppure dannati (si veda l’approccio Cristiano durante le Crociate). La
dicotomia predestinazione/non predestinazione è un buon elemento analitico per
classificare le religioni.
9. Immaginifica contro dottrinale: basate su spettacolari eventi e rituali religiosi, sfarzosi, in
genere con passaggio orale del messaggio religioso e poco frequenti (focus SULL’EMOZIONE
UMANA), contro una reiterazione frequente di una dottrina (generalmente scritta) per
rafforzare il messaggio religioso), in genere nelle culture alfabetizzate (focus sul DOGMA -
Harvey Whitehouse). Nelle sfumature di questa dicotomia si esamina il passaggio da quella
che è la i-religion, cioè i processi psicologici interiori che partecipano al fatto religioso e il
relativo ponte verso la e-religion, cioè l’espressione pubblica, collettiva, osservabile del fatto
religioso.
10. Ortodossa contro ortopratica: le religioni prevedono tutte un insieme di elementi atti a
definire un altro mondo, un'altra dimensione separata dal mondo reale, non raggiungibile
se non con l'aiuto appunto di medium che per il solo fatto di comunicare col sacro diventano
essi stessi sacri ed inviolabili (il sacro contamina, Mary Douglas). Possono essere gli antenati,
Dèi, spiriti, ma anche entità sacre non antropomorfe e non riconducibili al piano materiale
umano, come nel caso del buddismo. In ogni caso questi “agenti” diversamente assortiti
propongono una visione del mondo ordinata, propongono una stabilità nella classificazione
della realtà ed una inviolabilità rispetto la dicotomia sacro profano. Gli elementi costitutivi
delle religioni operano in modo da garantire questa solidità, e stiamo parlando di credenze
miti e pratiche, PERCHE’ L’UOMO HA NECESSITA’ DI UN ORDINE DELLE COSE E SE NON CE
L’HA LO CREA (soddisfacimento di un bisogno, ricordi i bisogni primari e secondari di
Malinowsky?). Questo ordine cosmico desiderato dall’uomo e proiettato sulla realtà che lo
circonda (Peter Berger) è garantito da questi agenti sovrannaturali (ma in realtà fortemente
voluto e creato dalla mente degli uomini), agenti pronti ad intervenire qualora vi siano motivi
di disordine per tramite dell’uomo stesso, ed è chiaramente organizzato su NORME E
VALORI, esplicitati attraverso le credenze e le pratiche. Se la maggiore enfasi viene posta
sulle pratiche le religioni vengono definite ORTOPRATICHE (come nel caso delle religioni
politeiste) l'ordine desiderato dall'uomo viene esplicitato maggiormente attraverso la
pratica che deve essere svolta correttamente, mentre dove l'enfasi è maggiore sulla
credenza si parla di religioni ORTODOSSE, dov'è la credenza e il mito sono poste a esempio
dell'ordine costituito e spauracchio per i sovvertitori di tale ordine. Violare la prassi o la
credenza porta all'ERESIA.
L’eresia però è una presenza fissa ingombrante in quanto gli esseri umani sono propensi alla
scorrettezza teologica, in quanto il costrutto immaginario è sicuramente ben ordinato e
concepito ma nella vita reale spesso i bisogni primari hanno la precedenza (bisogni che non
hanno soddisfazione della costruzione religiosa, ricordando che una caratteristica della
religione è proprio la contro-intuitività (va contro la logica umana)).
CAMBIAMENTI NELLE TIPOLOGIE DI RELIGIONE
Abbiamo quindi visto che esistono varie tipologie di religione, ma dove nascono queste tipologie,
dove si formano i criteri osservabili che le differenziano? Eppure, i fattori sono gli stessi.
APPROCCIO METAFISICO: è stato il primo approccio nel tentativo di dare una risposta a questa
domanda: popoli diversi hanno religioni diverse perché gli agenti sovrannaturali di quei popoli
hanno rivelato la sola verità a questi ultimi. L'utilizzo della verità può essere stato corretto o
scorretto ed in questo caso è semplice individuarlo come retrocausa di guerre, carestie, epidemie
(punizioni divine).
APPROCCIO ILLUMINISTICO: secondo approccio nato dall'affermarsi della scienza moderna, della
teoria evoluzionista, dove spesso si sono collegate le necessità degli uomini e dei popoli quale
origine delle religioni (popoli cacciatori adoravano dèi della selvaggina, popoli di agricoltori dèi della
fertilità, popoli guerrieri dèi della guerra), teoria che viene riproposta all’interno di società meno
primitive secondo i nuovi pensieri dell’ottocento (Marx intendeva la religione come una
sovrastruttura rispetto ai mezzi di produzione e di sussistenza che diventano la vera struttura).
APPROCCIO ANTROPOLOGICO: TEORIA DELLA CORRISPONDENZA (mutuata dal pensiero di
Durkheim) che trova spazio nell’analizzare anche società complesse: al modello economico ed alle
condizioni materiali si aggiungono quali variabili per la definizione della religione la STRUTTURA
SOCIALE E LA FORMAZIONE DELLA STESSA (così nel mondo antico il modo di rivolgersi agli dèi
cambio nel passaggio dalle città-stato alle ampie organizzazioni politiche, per esempio). LA
MUTAZIONE SOCIALE PORTA AD UNA MUTAZIONE LINGUISTICA ADATTIVA E DI CONSEGUENZA AD
UNA MUTAZIONE RITUALE: infatti l'importazione di nuove lingue, basti pensare all'opera di
colonizzazione, porta di cambiamenti nelle religioni locali (cristianesimo in Scandinavia) perché
LINGUE STRANIERE ED ESPERIENZE DIVERSE, TRADOTTE ATTRAVERSO QUESTE LINGUE,
COMPORTANO UN PENSIERO DIVERSO E QUNDI UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE DELLA REALTA’.
Si verificano cambiamenti cognitivi. E non solo…
APPROCCIO PSICOLOGICO: Anche l’aspetto psicologico è importante: le CONFIGURAZIONI
PSICOLOGICHE possono trasformare delle regole biologiche e culturali (tratti della personalità o
norme comportamentali). Se consideriamo le religioni come “entità” dotate di propria personalità,
e abbiamo delle modalità di pensiero che creano le religioni, se queste modalità di pensiero
cambiano allora cambiano anche le religioni, cambiano le rappresentazioni della realtà ottenute
tramite la religione e il modo di pensare “diversamente” può essere attribuito a fattori esterni
(sociali, ambientali, biologici, storici). Le rappresentazioni sono collettive e quando la collettività
viene a essere modificata chiaramente cambiano anche le rappresentazioni: tra gli abitanti del
deserto dell'africa portati in Sudamerica come schiavi nascono religioni sincretiche perché non
vengono abbandonate le vecchie visioni del mondo ma devono comunque fare i conti col nuovo
ambiente, creando religioni atte definire un'identità del popolo nuovo, perché è un popolo nuovo!
Quindi si può parlare di PSICOLOGIA COLLETTIVA, atta a dare risposte, in base agli UNIVERSI
COGNITIVI CONDIVISI risposte secondo cambiamenti culturali (così la visione delle religioni puritana
e protestante hanno risposto all’avvento del capitalismo, provocando cambiamenti culturali, la
religione può provocare cambiamenti culturali e sociali – uomini industriosi e produttivi,
accumulando capitale, avrebbero raggiunto la salvazione)
Ed infinte l’aspetto della CONTAMINAZIONE TRA RELIGIONI così come influiscono i contatti tra
culture che non sono bolle stagne ma fenomeni entro una continuità dialettica.
TIPOLOGIE DI RELIGIONE DETEMINATE TEORETICAMENTE
È possibile classificare teoreticamente le religioni secondo 4 classi principali, a seconda della teoria
che le analizza (ci sono tanti concetti di ”religione” quante le teorie utilizzate):
- INTELLETTUALISTA: religione vista come visione del mondo entro condizioni culturali e
sociali;
- SIMBOLISTA/DELLA CORRISPONDENZA: religione come espressione di strutture sociali e di
forze politiche ed economiche;
- ESISTENZIALISTA: religione come strumento per affrontare i grandi temi della vita e della
morte;
- COGNITIVISTA: religione emersa dai meccanismi mentali atti all'adattività biologica ma
anche culturale.

CREDENZE, IDEE E RAPPRESENTAZIONI


Le credenze e le convinzioni sono profondamente normative, pongono dei paletti sicuri
nell’ordinare la propria VISIONE DEL MONDO. Le credenze/convinzioni sono quindi legate alla
necessità di ordine dell’uomo, e variano da persona a persona, da gruppo a gruppo, secondo quanto
sperato/voluto (ATTITUDINE PROPOSIZIONALE, cioè la spinta naturale dell’uomo ad avere delle
OPINIONI riguardo temi della vita). Mettere in dubbio convinzioni o credenze in genere suscita
rigidità o sgomento nelle persone interpellate.
Come si formalizzano le credenze, e cioè le opinioni sulla visione della realtà, propria e condivisa?
Tramite il linguaggio che permette di esprimere l’esperienza della vita stessa. Le credenze e le
convinzioni non sono necessariamente consapevoli, ma si evolvono silentemente per
inculturazione, per MIMESI, durante la formazione del sé. Tali credenze sono reali nella misura in
cui sono credute reali: spesso le religioni mostrano convinzioni controintuitive, immaginarie, ma ciò
non toglie che per gli appartenenti a tali religioni tali convinzioni siano assolutamente reali, poi ve
ne posson essere di più solide o più vaghe, ma comunque reali.
DA DOVE VENGON LE CREDENZE
Vengono dalla capacità della mente umana, unica nel mondo animale, di produrre un pensiero
astratto, immaginifico.
CLIFFORD GEERTS: individua 4 fattori chiave dell’”ESSERE UMANO”:
- Raffinata cognizione sociale;
- Propensione a comunicare e cooperare;
- Cervello auto ingannante;
- Cervello superstizioso, suscettibile di profonde emozioni e di realtà virtuali;
Tramite il pensiero astratto e l’utilizzo di simboli l’uomo, nella propria esperienza della vita
all’interno di reti di relazioni culturali e sociali, rappresenta la propria visione del mondo colmando
i vuoti sia grazie all’immaginazione (mente) sia grazie alla cultura (ambiente). Da qui nascono le
credenze ed il pensiero religioso, così come il comportamento adattivo e tali “conquiste” arrivano
per “accumulo”: il nostro habitus è pregno di tutte le conquiste cognitive passate, rielaborate, sin
da prima della comparsa degli ominidi, propri perché l’uomo è attore attivo della sua realtà, la
assimila silentemente, la rielabora, la plasma.
Merlin Donald: le capacità principali della mente e del comportamento umano sono la MIMESI, la
capacità di imitazione, e la MEMORIA, la capacità di ricordare, entrambe utili allo sviluppo
dell’immaginazione, senza la quale l’esperienza del mondo perderebbe di significato.
L’IMMAGINAZIONE è alla base di tutto, delle credenze, dei comportamenti, della cultura e quindi
del linguaggio e della religione.
Karl Marx: è l’IDEA il concetto fondamentale per spiegare la cultura umana: il PROGETTO. La
progettualità permette di vivere il futuro utilizzando lo strumento della mimesi per rielaborare la
propria esperienza della realtà.
L’IMMAGINAZIONE è alla base della comprensione, del gioco e della competenza sociale, è alla base
della NARRATIVA e dell’ARTE VISIVA.
DI COSA SONO FATTE LE CREDENZE
Sono fatte di stati mentali e sono create appunto mediante il pensiero astratto utilizzando simboli
e metafore per rappresentare e sintetizzare concetti e referenti. Tali credenze chiaramente hanno
la necessità di essere create ed espresse utilizzando significati e strutture comunicative condivise
(se è vero che le strutture psichiche sono uguali per tutti gli uomini è anche vero che ogni uomo sia
in grado di interpretare le credenze degli altri in contesti diversi). I diversi tipi di SEGNI utilizzati nella
rappresentazione del pensiero si dividono in tre categorie (Edmund Leach):
- ICONA: che raffigura il referente, assomiglia a ciò che rappresenta (croce cristiana per cristo)
secondo una logica di similarità;
- INDICE: un artefatto che indica e punta a qualcosa (la croce su un cartello stradale indica una
chiesa – relazione metonimica (contenitore-contenuto, agente-azione) tra indice e
referente, l’indice è il referente);
- SIMBOLO: segno a cui viene attribuito un significato metaforico per convenzione;
la relazione tra segno e referente è detta METAFORICA in quanto traferisce il significato sul segno.
Qualsiasi cosa può essere quindi intrisa di significato “trasportato” dal pensiero creatore, un
animale, una pianta, un simbolo visivo, grafico, una parola, una frase, una struttura architettonica,
un pianeta, qualsiasi cosa può accogliere la metafora del pensiero astratto: praticamente l’uomo è
l’unico animale che, attraverso la metafora e l’uso di simbologia, può concretizzare il suo pensiero
astratto (Edmund Leach) associandogli quanto esperito nell’esperienza reale (il leone è un animale,
l’uomo è un animale, il leone è il re della foresta, il re è la figura più potente dello stato, i re può
essere raffigurato come leone (Robin Hood di Walt Disney). ASSOCIAZIONE DI IDEE.
LA METAFORA è alla base del pensiero umano, gli uomini vivono di metafore, non è solo un esercizio
immaginativo. La metafora, quindi, rappresenta la chiave della creazione ed interpretazione del
pensiero religioso. Anche perché la METAFORA è in grado di rappresentare qualcosa utilizzando
oggetti anche al di fuori del loro contesto, quindi L’UOMO PUO’ USARE QUALSIASI OGGETTO
CONCRETO O ASTRATTO PER RAPPRESENTARE UN PROPRIO PENSIERO.
I RITUALI SONO AZIONI METAFORICHE, simili alle azioni ordinarie ma delle quali conservano la
“gestualità” mentre il significato cambia (DISACCOPPIAMENTO COGNITIVO, la coppia azione-
effetto, oggetto-significato, vengono scissi a beneficio della rappresentazione del pensiero astratto).
Edmund Leach: CONDENSAZIONE – rappresentazione simbolica di quanto appartenente alla sfera
sacra, ottenuta per “fusione” sillogistica di affermazioni del contesto astratto e del contesto
materiale (Shiva è fonte di potenza divina, il pene è fonte di potenza animale, una pietra è fatta a
forma di pene QUINDI la pierta è il dio Shiva).
LA COMBINAZIONE COGNITIVA è alla base sia della magia che della religione, quindi la commistione
tra umano e sovrumano, altamente controintuitiva,
LA formazione di credenze e di funzioni religiose son caratterizzate:
- Dalla distinzione tra Sacro e Profano;
- Dall’utilizzo di simboli, metafore e combinazioni per IMMAGINARE, all’interno di una
cosmologia anche complessa, le due sfere distinte e per poterne permettere la
COMUNICAZIONE.
ANTROPOMORFISMO E DUALISMO
L’antropomorfismo è alla base della capacità dell’uomo di proiettare il pensiero astratto all’interno
di un “altro mondo”: tale universo irraggiungibile, sede del sacro, è popolato da esseri antropomorfi
secondo il dualismo corpo (tangibile)-anima (esperienza del sogno). L’anima è raffigurata come il
corpo, un esatto DOPPIO (da cui l’ANIMISMO). È una propensione umana, un DUALISMO NATURALE.
BLOOM: la religione nasce dalla necessità di riferirsi a mondi ultraterreni ed a costruzioni
immaginifiche della mente umana per completare l’esperienza della realtà e della vita, così come è
necessario dare un nome alle “mani” non per sollazzo ma perché risulta necessario riferirsi alle
“mani” (Funzionalismo). Quindi la religione è un costrutto culturale universale, si trova ovunque
(come la cultura nella definizione di Taylor di “ampio senso etnografico”).
La religione è composta quindi sia dal DUALISMO che dall’ANIMISMO, che sono CARATTERISTICHE
INNATE DELLA MENTE UMANA che si legano alla esperienza della MORTE e della vita dopo di essa.
L’immaginazione della “vita dopo la morte”, in stretta relazione con il dualismo è molto importante
ed ha una forte connotazione anche sociale. La questione sociale si articola secondo molteplici
aspetti:
- Attribuzione di causalità e giudizio morale (il comportamento in vita riflette sulla condizione
post morte);
- Comunicazione con l’aldilà (messaggi tra i più e i viventi, anche in collegamento con gli
effetti del “giudizio morale“– ira degli antenati/spiriti/dei));
- Conservazione e definizione della coscienza dopo la morte (come si pensa da “morti”?);
- Pensiero escatologico (definizione di uno scopo della propria vita, di un destino, scritto o
meno, con ripercussioni anche nell’altra vita);
La religione è composta anche dall’AMBIENTE e dall’APPRENDIMENTO perché gli uomini sono
propensi a completare la propria esperienza di vita con credenze, con la propria immaginazione, per
ricondurre tale esperienza ad una esperienza ordinata (è un BISOGNO), da cui “se vivi in un ambiente
religioso, ordinato secondo quella visione del mondo, probabilmente sarai religioso”. Da cui LE
FORZE SOCIALI SONO MOLTO INFLUENTI NELLA DEFINIZIONE DI UNA RELIGIONE.
CREDENZE: INTUITIVE E RIFLESSIVE
Gli uomini sono propensi a condividere le credenze, a formare una sorta di immaginario collettivo
che diventa una vera e propria forza sociale, e ad apprendere le credenze del proprio habitus. Le
religioni possono differenziarsi in:
- INTUITIVE: basate sulla propria esperienza, dalla propria percezione oppure dall’esperienza
della dimensione del sogno che è assolutamente personale.
- RIFLESSIVE: acquisite dagli altri, e dalla tradizione culturale.
Entrambe raggiungono la dimensione del RAZIONALE perché sufficientemente sostenute
(percezione, tradizione) da assurgere a REALI, non quindi per il loro contenuto ma per LA FONTE
AUTOREVOLE (sé/la collettività).
CREDENZE COME RAPPRESENTAZIONE
C’è la possibilità di stilare un catalogo delle credenze in base alla loro uniforme variabilità rispetto
all’esperienza intuitiva (come succede per i supereroi, anche gli agenti sovrannaturali posso essere
catalogati per “violazione della natura intuitiva della realtà e quindi di ASPETTATIVE FISICHE
(incorporeità degli spiriti), BIOLOGICHE (immortalità) PSICOLOGICHE (animali che leggono i pensieri,
oggetti dotati di una prioria intelligenza). Cioè secondo le loro CARATTERISTICHE SPECIALI, NON
ORDINARIE.
CREDENZE E RAPPRESENTAZIONI sono mattoncini per la costruzione di cosmogonie, cosmologie,
ritualità, sistemi etici e morali e quindi di formulazione dell’ETHOS RELIGIOSO, che può essere anche
ESOTERICO, oltre che ESSOTERICO. Ma non sono STATICHE ma costantemente riprodotte e
reinterpretate, tanto da mettere in discussione anche le fonti scritte delle maggiori religioni
dogmatiche ed alfabetizzate (basti pensare agli scismi che hanno caratterizzato la religione
cristiana). L’uomo ed il collettivo sono attori attivi e non passivi, dopotutto sono i creatori della
propria cultura. Da cui la formazione di comunità diverse su basi condivise di credenze e
rappresentazioni uguali (nascita dei nuovi gruppi religiosi).
RELIGIOSITA’: POSSEDERE CREDENZE E AGIRE DI CONSEGUENZA
La RELIGIOSITÀ è il punto di vista individuale rispetto alle credenze ed all’interpretazione delle stesse
quindi si POSSIEDE (appartiene quindi anche all’aspetto della i-religion), a differenza delle credenze
proprie che sono un FATTO SOCIALE condiviso e circolante nella comunità (società e cultura – questa
invece è la e-religion). Diciamo che le credenze collettive, sociali e culturali, vengono interiorizzate
sia da individui che da gruppi, cioè assumono un preciso significato per quelle persone/gruppi (come
la parola “red” – rosso – per gli anglofoni). Inoltre, le credenze, essendo fatti sociali e quindi cultura,
posson essere rese proprie, rielaborate e trasmette dai gruppi e tra i gruppi. Quindi la cultura (e
quindi le idee e le rappresentazioni religiose) non sono statiche e isolate ma soggette a SCAMBIO.
La religiosità (quindi la i-religion) fa parte della e-religion nella misura in cui viene appresa e
rielaborata l’oggettivizzazione del pensiero religioso, è un insieme di comportamenti regolati
dall’accettazione del pensiero religioso. La religione offre una visione del mondo creata attraverso
simboli e pervasa di una AUTORITÀ COGNITIVA PERSUASIVA (influenza il modo di pensare e quindi
di agire dell’individuo/gruppo) e tale visione del mondo può essere condivisa in minima parte o
completamente.
CREDENZE CHE MODULANO CREDENZE: AGIRE CONSCIO E INCONSCIO
Le credenze sono processi mentali immaginativi creati secondo propria esperienza (intuitive) e per
apprendimento culturale (riflessive), MA non sono processi mentali isolati, sono imbrigliati in una
rete di molteplici e differenti processi mentali.
Pascal Boyer afferma che esistono processi mentali propri dell’uomo che fanno di tutto per
mantenere alto il livello immaginativo a discapito di credenze fondate e non ambigue. Elencandoli:
- Effetto consenso: quando il pensiero si adatta a quello del gruppo di appartenenza;
- Effetto falso consenso: quando si crede che gli altri pensino come noi;
- Effetto generazione: quando la produzione di credenze diviene più “vera” delle altrui
credenze;
- Effetto illusorio della memoria: falsi ricordi, immaginare che un’azione o un evento si sia
verificato più e più volte lo rende reale;
- Difetto nel monitoraggio delle fonti: quando la credenza passando di bocca in bocca perde
di veridicità;
- Pregiudizio di conferma: quando le proprie credenze vengono facilmente confermate dagli
aspetti che si riteneva veritieri rispetto ad altri confutanti, che vengono quindi
ignorati/scartati;
- Effetto riduzione della dissonanza cognitiva: quando le persone aggiustano le proprie
credenze sulla scorta delle proprie esperienze, confermandole ed anche andando contro ad
un precedente pregiudizio, che viene negato.
Spesso i credenti tendono a “DELEGARE” le proprie capacità cognitive ad un LEADER RELIGIOSO
carismatico secondo un principio di FIDUCIA ASSOLUTA.
Tutti questi processi mentali tendono ad utilizzare le credenze per interpretare la realtà, sia
attraverso la propria esperienza (intuitive) che tramite l’ambiente e l’apprendimento (riflessive) e
tale interpretazione GUIDA ATTRAVERSO NORME COMPORTAMENTALI CONSCIE O INCONSCE
L’AGIRE DEGLI INDIVIDUI/GRUPPI da cui la classificazione:
- CREDENZE COSTITUTIVE: che confermano gli assunti sacri di base della religione;
- CREDENZE REGOLATIVE: che influenzano il pensiero e l’azione dei credenti (se il maiale è
ritenuto impuro, il maiale non verrà mangiato, influenzando quindi pensiero, azione ed
ESPERIENZA, che è la base delle credenze intuitive, ed AMBIENTE, che è alla base dele
credenze riflessive.
La cognizione umana è sia BIOLOGICA (intuitiva) che CULTURALE (riflessiva) da cui le rispettive
credenze si armonizzano e si fondono in modo strettamente connesso ai RITUALI e alle ISTITUZIONI
RELIGIOSE.
L’ESPERIENZA RELIGIOSA
L’esperienza religiosa inizialmente era riferita alla sola i-religion (la capacità dell’individuo di
comprendere la propria personale relazione con il divino) e in genere riferita alla teologia cristiana
protestante (in quanto più incentrata sul rapporto individuale con la divinità), e sempre
autoreferenziale in quanto si partiva dall’assunto che “l’esperienza del divino esiste perché esiste il
divino”, ma così facendo chi compie l’esperienza PRETENDE di compierla, e tale visione
dell’esperienza religiosa quale essenza della religione è stata appunto molto criticata in quanto
sosteneva che fossero privilegiati i punti di vista dei credenti senza utilizzare approcci sociologici,
biologici o psicologici per evitare di ridurre tale esperienza nel suo significato (eccesso di sensibilità
religiosa).
Cosa è osservabile dell’esperienza religiosa? Esite una fenomenologia dell’esperienza religiosa? O
dell’esperienza mistica in generale, trasversale le fedi?
Per FENOMENOLOGIA si intende l’esperienza soggettiva oggettivizzata e quindi osservabile. Ma non
c’è modo di osservare concetti confusi, anche a livello biologico-neurologico. Quindi, abbracciando
la tesi di RIDUCIBILITA’ (e quindi evitando l’autoreferenzialità) si può definire la fenomenologia
dell’esperienza religiosa “qualsiasi esperienza osservabile a cui venga consciamente o
inconsciamente attribuito il valore di religiosa” quindi esplorare la vasta gamma di esperienze a cui
sia stato così attribuito tale valore, in modo CONSCIO o INCONSCIO, associando loro i termini di
religioso, mistico, magico, spirituale... nella PRATICA, quindi! Da cui la necessità di osservare e
studiare approfonditamente le correlate PRATICHE RELIGIOSE.
COSA CREDERE E COME PENSARE: IL SAPERE SPECIALE – ORACOLI E DIVINAZIONI
Oracoli e divinazioni sono strettamente collegati a rituali e istituzioni religiose, in quanto sono
attività assolutamente CONSCIE ed INTENZIONALI, atte ad ottenere INFORMAZIONI al fine di
completare quanto non è conosciuto dall’uomo ed, in quanto tale, produttore di
ANSIA/PAURA/RABBIA: gli agenti sovrumani (o in genere le forze naturali intese come interlocutrici)
sono onniscienti e quindi sanno ciò che l’uomo non sa. L’utilizzo di pratiche divinatorie permette di
stringere relazioni con “l’altro mondo” che interagisce fattivamente con il “primo mondo” (gli esseri
umani sono inclini ad attribuire INTENZIONALITA’ all’ambiente circostante, e nel caso in cui il sacro
diventi evidente e si riveli, tali segni vengon chiamati IEROFANIE), di “conoscere” quanto necessario
al fine di completare in modo coerente la propria esperienza della realtà evitando la spaventosa
“ASSENZA DI SIGNIFICATO”. È quindi chiara la funzione psicologica e sociologica degli oracoli.
La CONOSCENZA STRATEGICA propria dell’altro mondo è necessaria per evitare l’empasse, la
staticità dell’uomo/gruppo e la sua demotivazione di fronte a insormontabili prove della vita reale
(De Martino definisce la magia non irrazionale ma come ricerca di sicurezza e strumento efficace
per fronteggiare le difficoltà della contingenza) e quindi ridurre l’ansia e a motivare sulla riuscita
dell’uomo/gruppo nelle sue azioni, nei suoi progetti individuali e collettivo (forte impronta sociale
della divinazione). Oltretutto sono pratiche arginatrici della frustrazione e della conseguente
violenza/rabbia per gli insuccessi, la cui colpa può essere attribuita alle condizioni sfavorevoli del
rituale o a influssi al di sopra della negoziabilità dell’uomo (gli Dèi, altri agenti o forze sovrumane
avverse): anzi, chi si ostina a porsi in opposizione agli oracoli in genere è oggetto di anatemi e di
emarginazione sociale, in quanto inconsci disturbatori dell’ordine dovuto alla visione condivisa del
mondo (queste “marginalità” infatti possono essere fonte di pericolo e di contaminazione in quanto
al di fuori dello schema classificatorio culturale).
Caratteristiche della divinazione sono la SEMIOSI (la creazione di segni, di rivelazioni del sacro su
misura per i casi di specie, convertendo la casualità in una volontà superiore) e SEMIOTICA
(interpretazione di tali segni in ragione della volontà superiore). Intercettare la volontà e quindi il
destino che hanno in serbo gli agenti superni costituisce il SAPERE, ed il sapere conforta gli animi
che hanno necessità di credere e sapere. Il tutto avvallato dalla predilezione umana alla predizione
degli eventi, a voler anticipare i tempi di quel che sarà. Si predice (eventi passati, contingenze
presenti e ovviamente attese future) mediante PRESAGI (dovuti all’interpretazione di accadimenti
strani) ed AUSPICI (che operano tra le possibilità future). Nell’antichità molte decisioni politiche ed
economiche, non ultime le discese in guerra, furono affidate a pratiche divinatorie. Le ISTITUZIONI
E LE PRATICHE DIVINATORIE sono quindi UNA RETE DI RELAZIONI TRA IL MONDO MATERIALE E IL
MONDO SOVRANNATURALE LE CUI EVIDENZE CAUSA-EFFETTO SPIEGANO IN QUESTO MONDO LE
NECESSITA’ E LE VOLONTA’ DELL’ALTRO.
LINGUAGGIO E DISCORSI RELIGIOSI
Il discorso religioso si esprime mediante un linguaggio tipico, dedicato, il LINGUAGGIO RELIGIOSO:
il linguaggio religioso utilizza pienamente metafore e significati di carattere normativo e prescrittivo
(al fine appunto di sostenere la visione del mondo proposta, con un agire conscio e inconscio sulla
comunità credente). Il linguaggio è, come già visto, polisemico e si adatta alle necessità
immaginative del caso di specie: così esiste un linguaggio scientifico, un linguaggio per la poesia e la
narrazione etc etc. al fine di SERVIRE A SCOPI DIVERSI.
Il linguaggio religioso è caratterizzato di AUTORITÀ a lui conferita dal suo nascere dagli assunti sacri
di base e dalla sua capacità di rivelare il sacro (ierofanie) su cui si basa l’intera produzione scritta o
orale; è caratterizzato inoltre dalla AUTOREFERENZIALITÀ, “è vero in quanto tale”
indipendentemente dall’evidenza logica (contro intuitività) anche se coerente al suo interno; è
caratterizzato da un profondo radicamento nel SOCIALE, in quanto propone una visione del mondo
collettiva e condivisa, che lo rende vero nel suo modo speciale e non-ordinario di descrivere e
interpretare realtà ed esperienza, e quindi è NORMATIVO (pone obblighi/vincoli/divieti atti a
preservare il necessario ordine cosmico) e FONDATIVO (perché crea la realtà, interpreta
l’esperienza, crea il cosmo stesso). Il discorso ordinario (narrazione, poesie) diventa, utilizzando il
LINGUAGGIO SPECIALE, religioso (miti, preghiere).
DISCORSO, AMBIGUITA’ e DOGMA
L’affermazione della propria originalità e purezza è la base nella ricerca dell’autorità del discorso
religioso. La maggior parte delle religioni conosciute sono SINCRETICHE, cioè derivanti dai contatti
tra culture e dall’influenza di molteplici fonti (vedi Durkheim e la ricerca della religione primitiva,
con confutazione di naturalismo e animismo fino ad arrivare al totemismo), ma nessuna ammette
tale derivazione.
Un’arma a doppio taglio per il discorso religioso è il passaggio da orale a scritturale: l’utilizzo di una
memoria esterna la mente umana certamente aiuta a tramandare dogmi e convinzioni, ma d’altro
canto permette una più facile accessibilità e quindi una maggiore suscettibilità alla critica ed alla
rielaborazione. La tradizione scritta però spesso viene fatta risalire ad un intervento divino che cala
dall’alto la scrittura stessa, scrittura divina che viene nel tempo dagli uomini selezionata e proposta
quale “autentica”, chiamata TESTO RICEVUTO, nel quale gli aggiustamenti vengono abilmente
camuffati (e già qui ti rendi conto, parti cancellate, sostituite, aggiunte… sia nella Bibbia che nel
Corano…). La versione approvata, più corretta ed ispirata, viene definita CANONE, modello: il TESTO
CANONICO può essere CHIUSO una volta che confermato essere d’afflato divino e quindi
immodificabile (contenente quindi la massima autorità). Scritture dello statuto non confermato
vengono definite APOCRIFE, e da dubbiose possono diventare eretiche (vedi il Vangelo di Tommaso
e la sua raccolta di detti di Cristo, con le parti gnostiche ed esoteriche (di CONOSCENZA ma solo per
INIZIATI), di origine divina di tutti gli uomini che mettevano in discussione tutte le altre scritture).
Ma ad oggi chiunque può accedere a scritture apocrife ed avvicinarsi allo gnosticismo… La riduzione
dei testi sacri, la conferma dell’autorevolezza degli stessi è dovuta a forti pressioni politiche interne
ed esterne le élite religiose detentrici dell’autorità e quindi all’ESERCIZIO DEL POTERE e quindi a
questioni molto terrene.
Il discorso religioso si articola su tre livelli: TRASCENDENTE (riferito agli assunti sacri di base, dèi,
spiriti, ciò che non serve ribadire perché, pur invisibile, esiste), INTERPRETATIVO (ogni utilizzo del
discorso da parte di oracoli, sacerdoti, élite in genere) e PARTECIPATIVO (quando coinvolge intere
comunità) ed in tutti e tre i livelli fornisce il SAPERE, che nelle religioni che prevedono la
predestinazione si trasforma in attese escatologiche (ammonimenti presenti sul destino) e
apocalittiche (rivelazioni): tale sapere viene interiorizzato e va a influenzare il pensiero e l’agire
sociale/culturale della collettività e il pensiero e l’agire psicologico/emozionale dell’individuo.
IL MITO (MITICO!)
I MITI non sono altro che storie meravigliose intrinsecamente legate all’esperienza del mondo degli
uomini. Sono storie indirette sugli uomini narrate dagli uomini. Servono a COMPRENDERE come si
pongono gli uomini all’interno di una data tradizione (sono in genere narrazioni legate alla nascita
ed all’organizzazione del cosmo e della realtà, materiale e immateriale), senza distinzione tra
religioni orali o scritte, secondo i sistemi di classificazione che tale tradizione propone alla comunità
che accetta e condivide: Ferdinand de Saussure paragona i sistemi classificatori mitici a quelli
linguistici, e Lèvi-Strauss paragona gli elementi costituitivi, MITEMI, alle unità linguistiche
(MORFEMI).
Il mito è una narrazione di quanto successo in tempi antichi ma sempre attuale, in quanto la funzione
del mito è di descrivere ed istruire rispetto all’ordine cosmico, e quindi all’ordine sociale che viene
ritenuto sacro (ed ogni devianza luogo di contaminazione e di impurità). I tipi di miti secondo il
CONTENUTO/REFERENTI:
- COSMOGONICI che trattano della creazione del cosmo;
- ANTROPOGONICI della creazione dell’uomo;
- TEOGONICI della nascita degli dèi.
Più tutta una serie di miti relativi alla sessualità, alle tradizioni economiche e culturali della comunità
(agricoltura, caccia, pesca, professioni), la gerarchia sociale e i ruoli sociali (clan dominanti nati dalla
terra), eventi da spiegare (inondazioni, siccità, epidemie), la vita e la morte e gli accadimenti umani
(demoni, spiriti, antenati) e comunque TUTTO QUANTO SIA STATO O È DI IMPORTANZA PER IL
GRUPPO.
I MITI SONO NARRATIVE TRADIZIONALI AUTOREVOLI CHE FONDONO IL MONDO VISSUTO CON IL
MONDO PENSATO, IN MODO CHE IL MONDO PRESENTE SIA L’UNICA VERSIONE PLAUSIBILE, E
QUINDI GIUSTIFICATIVA DELL’ESISTENZA.
Il mito non solo sostiene l’ordine delle cose e la visione del mondo ma, nella sua veste immaginifica,
LI CREA.
Il MITO è creato per spiegare una condizione presente del gruppo, e la sua origine “umana” viene
NASCOSTA/NEGATA. Il mito ed il linguaggio religioso (che è lo strumento per conoscere ed
interpretare la nostra esperienza del mondo) pongono quindi le fondamenta della realtà (relativa)
ed assolutamente coerenti e razionali all’interno della loro relatività.
Le interpretazioni dei miti dell’antichità possono essere grossomodo le seguenti.
- Mitografiche: relative alla filologia, all’origine dei miti;
- Filosofico-razionali: relative al rifiuto del mito;
- Pre-scientifiche: ove il mito spiega in tempi remoti ciò che la scienza spiega ora;
- Allegoriche: relative alla natura (dèi del fuoco, dell’acqua) o allo spirito (dèi della saggezza,
del desiderio);
- Etimologiche: e quindi riferite all’origine delle parole per spiegarne il segreto;
- Storiche: legate ad avvenimenti reali;
- Evemeristiche: dell’origine umana degli dèi;
- Sociologiche: relative quindi alla influenza degli dèi sull’ordine sociale;
- Psicologiche: quali risultato di paura, ansia, emotività.

PRATICHE E COMPORTAMENTI RELIGIOSI: RITUALI


È difficile definire cosa sia subordinato tra rituale e credenza, il punto di vista cambia seconda dello
studioso: è difficile avere un'interpretazione obiettiva, influisce molto la formazione religiosa: le
religioni basate sull’ortoprassi vedranno la credenza subordinata al rituale, diversamente
nell'ortodossia il rituale è subordinato alla credenza (religioni monoteiste). I sociologi invece, visto
il rituale come elemento coesivo della società, lo vedono come precedente alla credenza (così come
per gli antropologi evoluzionisti, che vedono il rito come necessità più antica e quindi formante la
credenza). La consapevolezza del posizionamento dello studioso è importante.
Alla fine del 600 all’interno della cultura protestante il rituale veniva declassato rispetto alla
credenza, in quanto la ricerca di una vera fede andava al di là della prassi che spesso era considerata
idolatria, addirittura fino a vietarla, come nel caso del Natale. Rito, quello natalizio, probabilmente
nato all’interno della cultura germanica in corrispondenza del solstizio di inverno, adattato e
rielaborato all’interno dell’ampia azione di cristianizzazione dei popoli nordici. Oggi il Natale è
ritornato, sia come evento commerciale, sia come rito inerente la famiglia. Ma non sono gli stessi
riti (il Natale vietato, il Samhain germanico, il Natale odierno) anche se corrispondenti per periodi
dell’anno: i rituali sono simili ma la forma rituale non è sufficiente a dare prova del significato (che
in questi tre casi è differente), quindi appoggiarsi all’IPOTESI DELLA CONTINUITÀ RITUALE è
pericoloso, fonte di pregiudizio e va costantemente monitorata.
CONCEZIONI DEL RITUALE
Le teorie che hanno esaminato il rituale vanno dalla interpretazione dello stesso come STRUMENTO
MISTICO a STRUMENTO COERCITIVO E DI CONTROLLO SOCIALE. In ogni caso il rituale ha a che fare
col SACRO (Durkheim: i rituali sono pratiche relative a cose sacre) e quindi anche con il passaggio
dalla sfera profana a quella SACRA (oggetti, situazioni, status – vedi pure Van Gennep) o di
conservazione della SACRALITA’ di quanto è già asceso (ivi compresa l’autorità nel confermare
quanto definito dallo schema classificatorio e cioè l’ordine).
Ma molti rituali non sono facilmente ascrivibili a “funzioni” o non sono semplicemente evidenti. Da
cui una pletora di teorie in merito:
EVOLUZIONISTI: Edward B. Taylor e James Frazer considerarono i rituali quali SOPRAVVIVENZE nate
dall’abitudine di azioni ormai decontestualizzate ma che avevano senso nel loro tempo (in quanto
davano spiegazione del mondo e producevano effetti nel reale) nella fase della religione “primitiva”:
se è vero che le prime religioni erano animismo e naturalismo, nell’evoluzione verso nuove forme
religiose si sono mantenuti questi rituali, sopravvivenze che possono reiterarsi fino al periodo
contemporaneo. Ma se il rituale è una sopravvivenza a prescindere perché decontestualizzato, nel
suo contesto cos’è?
STUDIO DEI MITI: si è tentato di collegare il rituale ai miti, cercando tramite il rituale il significato del
mito. Ma questa ipotesi naufragò presto, per la laboriosa ed insoddisfacente attività di collegare
rituali e miti.
SOCIOLOGI: il rituale con funzione di coesione sociale. William Robertson Smith, studioso del
vecchio testamento (di cui era il primo critico quale libro di “verità”, declassandolo a libro storico)
scoprì la funzione del SACRIFICIO RITUALE quale comunione collettiva tra credenti e divinità (ove la
divinità non era altro che la collettività stessa che si rafforzava in questo modo tramite un’OFFERTA
condivisa): la cosa venne ripresa da Durkheim che sottolineò le caratteristiche di coesione (perché
coinvolge l’intera collettività, che risponde alla chiamata a partecipare) e di normativa del gruppo.
Il focus di Durkheim e di R. Smith è chiaramente la comunità e quindi l’UOMO.
Marcel Mauss invece fece attenzione al sacrificio quale SCAMBIO tra comunità terrena e comunità
ultraterrena (SACRA) atto a rafforzare l’ordine stabilito delle cose, il mondo stesso, la realtà, e quindi
con un focus invece sul SOVRUMANO.
Che sia UMANO o SOVRUMANO in realtà il focus corretto è il rispetto ed il rafforzamento delle
REGOLE e dell’ORDINE (che fanno riferimento a ciò di più SACRO, e quindi agli assunti sacri basilari)
senza distinzione di religione o tipo di rituale. Vedi un po’ chi arriva infatti adesso…
FUNZIONALISTI: La FUNZIONE del rituale è quindi di sottolineare e sostenere la creazione culturale
della realtà. Bronislaw Malinowsky con i suoi studi alle isole Trobriand evidenziò che magia e
religione erano assolutamente razionali e coerenti nel loro contesto (nella loro “visione del
mondo”), quindi non false dottrine oppure buffe ed irrazionali pratiche, ma azioni pragmatiche e
producenti effetti, specialmente per dare la forza al gruppo/individuo contro le avversità inarrivabili
(tra cui la morte) della vita, per evitare quell’empasse statico in cui si troverebbe l’uomo se si
trovasse di fronte alla impossibilità assoluta di agire (era un po’ anche la posizione di James Frazer
in merito).
Per poter agire su tali situazioni gli uomini si dotano di simboli per spiegare, accettare e riportare
entro il sistema di classificazione queste situazioni inaccettabili ed inspiegabili: i rituali, e le
suggestioni proposte dall’ambito semantico ad esso collegato, per poter raggiungere questo scopo
devono poter agire su più livelli: quello MATERIALE, quello IMMATERIALE (mentale e sociale) e
anche quello SOVRANNATURALE.
STRUTTURE DEL RITO: la prima individuazione della struttura generalista del rito è di Arnold Van
Gennep, analizzando i RITUALI DI PASSAGGIO: STRUTTURA TRIPARTITA (fase separativa, fase di
transizione, fase reintegrativa). La fase di transizione, cioè di superamento di una SOGLIA (Limen) è
detta LIMINALE. A seguire gli studiosi successivi divisero i rituali di transizione in 5 fasi (INIZIALE,
SEPARATIVA, LIMINALE, INTEGRATIVA, FINALE) e nelle seguenti categorie per FINALITA’ (individuate
anche da Van Gennep che affianca la più generale struttura del rito di passaggio alle specificità di
tutti gli altri):
- RITUALI DI CRISI/GUARIGIONE/SUPPLICA (superamento di una situazione negativa relativa
ad accadimenti esterni);
- RITUALI DI INIZIAZIONE (superamento di uno status inferiore per accedere ad uno status
superiore migliorativo)
- RITUALI CALENDARIALI/CELEBRATIVI: (conservazione, traguardo e conferma di uno status
positivo per evitare che si generi una negatività)
Tutti i riti mirano comunque MIRANO AD UNA SITUAZIONE MIGLIORATIVA di quella iniziale. A
questo serve il rituale?
SIGNIFICATO NEL/DEL RITUALE
Facilmente il significato di un rituale dipende da cosa cerca lo studioso, ma in ogni caso un rituale
ha uno scopo. La ricerca del significato (che può avere molteplici matrici, da quella sociale, ad
un’intenzione mentale dell’uomo o anche dell’agente sovrannaturale) viene definita da Clifford
Geertz “DESCRIZIONE DENSA”: esiste una gamma di INTERPRETAZIONI ed un’altra ancora più vasta
gamma di INTENZIONI che in sinergia producono una molteplicità di possibilità in merito al
significato del rituale, perché il RITUALE rappresenta la visione del mondo e quindi tutto un insieme
di IDEE, VALORI ed ESPERIENZE.
Chi crea il rituale? Il rituale non è sceso dalla volta celeste. Ma pochi rituali si sono riusciti a riportare
a sacerdoti creatori, la maggior parte dei rituali viene ascritta al potere degli dèi/spiriti/antenati e
così facendo tali pratiche guadagnano di originalità e purezza, autorità e sacralità.
I rituali sono quindi CONSERVATIVI delle religioni a cui appartengono in quanto sostengono una
determinata visione del mondo ed una determinata normativa di comportamento: i rituali
funzionano solo se operati nel giusto modo; laddove i rituali vengano RIELABORATI nascono nuovi
gruppi religiosi.
Il SACRO tramite la sua AUTORITA’ detta le NORME DI COMPORTAMENTO RELIGIOSO (e anche più
in generale) ed il rituale contiene un PROGRAMMA che ha lo scopo di ottenere un EFFETTO
indipendente dall’individuo, e questo EFFETTO (con i suoi risvolti psicologici e sociali: Il RITUALE
CREA MODIFICAZIONI FISICHE E PSICOLOGICHE NEI PARTECIPANTI) è il SIGNIFICATO DEL RITUALE:
RITUALE: UNA SEQUENZA DI AZIONI CHE ESPRIME SCOPI E CONSEGUE UN EFFETTO/UNO STATO DI
COSE PREFISSATO
Gli scopi, le intenzioni espresse sono di valenza comunitaria, proprio perché non individuali, sono
MANFESTAZIONI DI INTENZIONALITA’ COLLETTIVA (e torniamo a Durkheim) atte a GESTIRE
COLLETTIVAMENTE UNA SITUAZIONE, collettivamente perché il singolo delega la propria azione in
merito al rituale e quindi alla collettività (gli egizi volevano che il sole sorgesse tutti i giorni, ma non
tutti gli egizi partecipavano a un rituale: c’era una parte di iniziati che aiutava tutti i giorni il sole a
sorgere E CI RIUSCIVA – ottenendo di sconfiggere l’ansia e la paura dell’oscurità perenne e della fine
dell’universo).
I rituali rappresentano “AZIONI ARCHETIPE” che fanno parte di più ampi e complessi cicli rituali di
durata variabile (per lunghi periodi per le società o anche per tutta la vita per gli individui) e di
ampiezza spaziale diversa (diversi territori o ambiti). Le azioni, mediante la RITUALIZZAZINE, passano
da una valenza ORDINARIA ad una valenza SPECIALE acquisendo differenti QUALITA’ ed
IMPORTANZA.
LA MAGIA
Nei primi tempi di studio della magia si pensava a questa come uno stadio precedente la religione
(evoluzionisti), separata da questa con valenza di falsa superstizione, oppure intendendola come
una “sorella bastarda della scienza” (James Frazer), in ogni caso con connotazione NEGATIVA.
James Frazer: la religione implica una credenza in agenti sovrannaturali e la possibilità di ottenerne
favori e potere in una concezione della natura elastica, a differenza di scienza e magia che
ritenevano le leggi naturali immodificabili (aspetto scientifico);
Emile Durkheim: la magia possiede credenze e rituali, ma non una ekklesia ed in questo si differenzia
dalla religione (aspetto sociologico): non esiste nella magia un profondo legame collettivo ma
semplicemente un rapporto individuale tra mago e “credente” al fine dell’ottenimento di
soddisfazione per quest’ultimo.
Ma religione e magia sono costruzioni culturali e in quanto tali utilizzano processi mentali e rituali
simili tra loro: azioni ordinarie che ascendono tramite la ritualizzazione ad azioni speciali con uno
scopo prefissato (legare fili, accendere candele etc etc).
Jesper Sorensen: utilizza la teoria della METAFORA e della COMBINAZIONE COGNITIVA: tramite la
magia si concretizza la possibilità di cambiare lo stato delle cose secondo i propri desideri, attraverso
azioni rituali scollegate da una logica causa-effetto (detta CAUSALITA’ OPACA - gli spilli su una
bambolina? È chiaramente l’uso di una metafora e di una combinazione cognitiva tra desiderato e
oggetto del rituale)
“LA MAGIA RIGUARDA IL CAMBIAMENTO DI STATO O DI ESSENZA DELLE PERSONE/OGGETTI/ATTI
ATTRAVERSO SPECIALI (E NON BANALI) AZIONI CARATTERIZZATE DA CAUSALITA’ OPACA”.
James Frazer individuò i DUE PRINCIPI FONDAMENTALI DEL PENSIERO MAGICO:
- PRINCIPIO DI SIMILARITA’ (principio metaforico, il simile genera il simile, l’effetto somiglia
alla causa: pianto uno spillo su una bambola ed è come piantare uno spillo nella carne)
- PRINCIPIO DI CONTIGUITA’ (di contatto o di contagio, principio metonimico (il contenuto per
il contenitore) o di associazione mentale, in cui si sovrappongono causa ed effetto, lo spillo
produce dolore nella persona raffigurata, meglio se la bambola contiene una parte del corpo
della persona come unghie o capelli).
La PANCIA DEL MIO CAMPO (Malinowsky) utilizza le metafore che collegano la fertilità e le azioni
agricole alla pancia della donna e quindi alla gestazione ed alla nascita: da qui nasce il rituale magico
YOWOTA che estende la combinazione cognitiva anche all’origine dei clan dominanti legata al
terreno dei territori controllati.
La ritualità di MAGIA e RELIGIONE è dinamica ed ha a che fare con l’ ”OPERARE SUL MONDO” ed alle
necessità nascoste dietro questa esigenza di operare, e le leggi di Frazer si applicano anche alla
religione.
OPERARE SUL MONDO DESIDERATO
Gli esseri umani hanno la capacità del pensiero astratto e l’abilità di immaginare ciò che non possono
raggiungere percettivamente. Claude Lèvi-Strauss distingue il mondo tra Monde Vecu (mondo
vissuto) e Monde Conçu (mondo pensato). Solo gli uomini si astraggono ed immaginano come
operare sul mondo materiale per i propri scopi, riducendo quanto non percepito o invisibile a
qualcosa alla portata dell’uomo stesso (dimensioni medie cit.) in modo da poterlo plasmare. IL
RITUALE È UN LABORATORIO PER PLASMARE CIO’ CHE E’ AL DI FUORI DELLA PORTATA PRATICA
DELL’UOMO – TUTTO DEVE ESSERE RIDOTTO ALLA SCALA UMANA PER POTERLO CONTROLLARE (il
sorgere del sole per gli egizi, per esempio, controllabile attraverso un rituali fatto di azioni molto
umane e del cui effetto l’uomo diventa partecipe). La FLUIDITA’ COGNITIVA, cioè la capacità di
immaginare ed adattare per simboli la realtà, permette all’uomo di non rendersi conto che è il suo
stato mentale a cambiare e non la realtà oggettiva. Con il rituale è possibile sacralizzare qualcosa di
ordinario e tramite questo (oggetti, agenti, azioni) ottenere l’impossibile. Le categorie ordinarie di
TEMPO, SPAZIO, AZIONI, PERSONE, OGGETTI, STRUMENTI, SIGNIFICATI E STATUS (quest’ultimo
“istituzionale”, creato dalla cultura) possono essere sacralizzate ed impiegate per TRASFORMARE
MONDI VIRTUALI IN MONDI TANGIBILI A MISURA D’UOMO.
UNA TIPOLOGIA ELEMENTARE DEL RITUALE
Le trasformazioni di queste categorie ordinarie in speciali son alla base del pensiero (idea),
simbolismo (significati) e pratica (azione) rituali e il simbolismo metaforico e la capacità di
combinazione cognitiva permettono di TRASFORMARE il materiale appartenente a categorie
ordinarie in SACRE; l’uomo poi utilizza quanto trasformato per creare/sostenere/conservare la
propria visione del mondo.
Definizione di tipologie di forme/funzioni/strutture/significati rituali, elementi (formativi del rituale)
del pensiero e del comportamento magico e religioso che si combinano nello scambio simbolico tra
profano e sacro.
A. Il rituale come comunicazione e significato
A volte la lingua utilizzata nei rituali è quella ordinaria, a volte no (latino per gli italiani, ebraico per
gli USA, arabo per i turchi). Nel caso non vi sia la conoscenza della lingua rituale, l’attenzione dei
credenti si focalizza su altri aspetti del rituale che non dipendono dalla comprensione verbale (come
per esempio compiti, scambi), elementi formativi che possono comunque permettere di utilizzarla
(avere un determinato status, essere iniziati, essere addestrati). Spesso la lingua è volutamente
differente per permettere quella distinzione tra sacro e profano, oppure può essere priva di senso
(come nelle formule magiche). Il linguaggio quindi può:
- Essere diverso dall’ordinario, volutamente, ed incamerare particolari parole, oppure può
essere privo di senso;
- Essere collegato a status dei credenti per il suo utilizzo;
- Avere una dimensione teatrale, con cambi di intonazione o di timbro;
- Essere espresso solamente in determinati luoghi;
Il tutto per sottolineare la dimensione SPECIALE del linguaggio stesso e la demarcazione sacro-
profano.
Il linguaggio non è il solo produttore di significato: esistono segni e modi di significazione e di
interpretazione (il dio rappresentato da una colonna di fuoco) nelle credenze e nei rituali, oltre che
nelle istituzioni religiose. È attraverso la rivelazione di questi segni che la religione prende
significato, segni che si trovano all’interno di un contesto SPECIALE.
I tre tipi di segni sono ICONA, INDICE e SIMBOLO: il simbolo, che collega un segno ad un significato
è chiaramente arbitrario, ed in genere legato ad una metafora.
Ma esiste un diverso tipo di segno: il SEGNALE, caratterizzato non dal referente (come nei primi tre
casi, l’icona sta per, l’indice porta a e il simbolo significa del REFERENTE) ma dalla FUNZIONE, che ha
uno SCOPO e ottiene REAZIONI. I tre tipi di segni possono trasformarsi in segnali. Il SEGNALE
appartiene alla dimensione RITUALE e tutto questo avviene all’interno dello SPAZIO RITUALE che
porta questi segni in una dimensione speciale: così l’alzare l’ostia al cielo consacra il pane per
permettere ai credenti di comunicare con dio, così l’abluzione permette ai musulmani di pulirsi e
purificarsi al fine di poter pregare rispettosamente, o semplici foglie posson divenire potenti
medicine guaritrici.
Il rituale VUOLE i suoi ELEMENTI FORMATIVI e solo allora FUNZIONA, e tali elementi sono collegati
tra loro secondo REGOLE e NORME derivanti dalla tradizione culturale e più in generale dalla visione
del mondo accettata collettivamente.
NATURA MULTI VOCALE DEI SIMBOLI RITUALI: ogni simbolo può avere più di un significato e quindi
collegare più ambiti del pensiero religioso (trasversalità), e questa “natura” permette di combinare
simboli al fine di “OPERARE SUL MONDO” (Victor Turner).
Lévi-Strauss e il BRICOLAGE: modo di costruzione della pratica rituale assimilata alla capacità del
tuttofare di creare artefatti speciali usando qualsiasi tipo di pezzo/elemento ordinario: tutto, quindi,
dipende dall’IMMAGINAZIONE e dalla capacità di PROIEZIONE/PROGETTUALITA FUTURA dell’uomo.
Il processo di costruzione e di accettazione può essere assolutamente inconscio ma seguire
determinate REGOLE DEL MONDO PENSATO. Quindi elementi ordinari possono essere utilizzati
estremamente ELASTICAMENTE attribuendo molteplici significati al fine di operare sul mondo
PENSATO/DESIDERATO e garantire attraverso la MALLEABILITÀ dei PROCESSI DI SIGNIFICAZIONE lo
SCAMBIO tra i due mondi, quello VISSUTO e l’ALTRO MONDO (sono malleabili in quanto arbitrari).
RECIPROCITA’ RITUALE: quando individui/gruppi scambiano simbolicamente beni ed azioni con i
propri agenti sovraumani al fine rinforzare il proprio legame con questi ultimi (che vanno a
completare e dare significato alla realtà, creati dagli uomini pe le loro necessità di colmare e spiegare
la propria esperienza della realtà). Il commercio con gli agenti ultraterreni è chiamato RECIPROCITA’
o SCAMBIO SIMBOLICO (che è lo SCOPO del rituale religioso): oggetti/azioni in cambio di benefici
entro un flusso normato da vere e propri regole CONTRATTUALI (le regole del rituale stesso): i doni
così scambiati hanno obblighi sia per il donante che per il ricevente (Marcel Mauss). Il RITUALE è un
MEDIUM tra il mondo ALTRO ed il mondo degli uomini.
Una caratteristica della comunicazione rituale: la PERFORMATIVITA’: OTTENERE UN EFFETTO! (tipo
il matrimonio, la guarigione, il cambiamento di status sociale…) e quindi una TRANSUSTANZIAZIONE:
il rituale può più semplicemente descrivere e constatare dati di fatto già conosciuti alla pletora di
credenti, ma ottenere comunque un effetto, quello di sottolineare idee, valori, significati e codici
alla collettività, ottenendo quindi l’EFFETTO di una coesione sociale, senso di appartenenze, fedeltà
al gruppo attraverso il COMPORTAMENTO RITUALE: laddove i corretti comportamenti rituali siano
molto complessi, scomodi, costosi vengono intesi caratterizzati da SEGNALAZIONE COSTOSA.
B. Il rituale come azione speciale
L’azione rituale produce intriganti combinazioni di azioni speciali atte a catturare l’attenzione,
tramite:
- la malleabilità dell’ontologia (le cose posson avere molteplici nature, diverse dall’ordinario);
- la fluidità della cognizione (capacità immaginativa di rendere reali nozioni contro-intuitive);
- sostituibilità dei segni (la caratteristica polisemica di segni e simboli tali da collegare più
ambiti del pensiero religioso);
I rituali vengono eseguiti:
- TEMPORALEMNTE: in peridi speciali, contingenti (crisi) o calendarizzati (celebrazioni);
- SPAZIALMENTE: in determinati luoghi, intesi come un elemento formativo del rituale;
Lo spazio rituale può avere qualsiasi forma ma deve essere DELIMITATO rispetto al resto del mondo,
per demarcare ulteriormente i confini tra sacro e profano, ed in tal senso accogliere rituali di
SACRALIZZAZONE. Le azioni rituali hanno un certo numero di caratteristiche frequenti, salienti che
li separano dalle azioni ordinarie (dopotutto la preghiera è parlare, una processione non è altro che
una camminata etc):
1. prima caratteristica: violazione dell’ordinario – Gli agenti speciali nel rituale
Gli agenti rituali che vengono coinvolti in un rituale possono appartenere a molteplici categorie,
collegati alle categorie di comunicazione, significato e azione di cui sopra (oggetti, persone, esseri
defunti o immaginati, luoghi, gruppi, istituzioni, canti, linguaggi e parole, medium di qualsiasi tipo)
ma che hanno una caratteristica peculiare: possono essere sostituiti e quindi violare l’ordinaria
azione, divenendo “SPECIALI” nel loro modo di connettersi all’ALTRO mondo. Le azioni rituali in
genere sono stilizzazioni o caricature delle azioni ordinarie, non hanno una funzione ordinaria ma
celano o evidenziano una relazione causa/effetto speciale e contro-intuitiva (causalità opaca).
2. Seconda caratteristica: efficacia
L’effetto chiaramente è differente da quello di una azione ordinaria in quanto è un EFFETTO
IMMAGINATO e in quanto tale capace di modificare e plasmare la vera natura di agenti ordinari in
agenti speciali, combinandoli tra loro. Gli effetti rituali sono effetti immaginati e quindi con
ripercussioni sociali e psicologiche;
3. Terza caratteristica: intenzionalità invertita
Relativa al mondo immaginato e non a quello ordinario, quindi diversa dall’intenzionalità ordinaria:
l’azione quindi intende avere efficacia, secondo regole precise, nello scambio tra i due mondi. Il
rituale, quindi, possiede PROGRAMMI DI INTENZIONALITA’ nel suo volere operare sia nel mondo
pensato che nel mondo vissuto.
4. Quarta caratteristica: modulazione crescente e decrescente
Il tempo e lo spazio collassano in modo da rendersi tangibili all’uomo: ciò che è invisibile o intangibile
viene immaginato all’interno di un rituale, passato/presente e futuro, così come ciò che è
vicino/distanze cosmiche, divengono ugualmente accessibili durante il rituale
5. Quinta caratteristica: controllo rituale
Il rituale ha uno scopo che può essere raggiunto tramite una ben precisa serie di norme, che
dipendono appunto dallo scopo prefissato, l’effetto voluto, non dai partecipanti: viene codificato
nella reiterazione delle norme culturali.
6. Sesta caratteristica: grammatica inversa
Una contraria organizzazione di significati e relazioni dall’intuitivo ordinario capaci di una
comunicazione speciale con l’alterità e di effetti tangibili: gli oggetti diventano soggetti (oggetti
rituali capaci di meraviglie) e i soggetti divengono oggetti (uomini da curare, da esorcizzare etc)
7. Settima caratteristica: sostituzione di struttura
Strutture vicine al gruppo/individuo o fondamentali vengono sostituite o invertite: vedi l’inversione
dei ruoli nella società dinonmiricordo, in cui l’effetto del rituale era sfogare le frustrazioni di ruoli
troppo rigidi ed evitare che l’eccessiva rigidità portasse al conflitto e quindi alla disgregazione
sociale…. Ha valore di coesione sociale e contenimento della crisi.
Parlando di AGENTI SPECIALI coinvolti nelle azioni rituali, possiamo avere:
- UMANI: SOGGETTI ATTIVI DOTATI (PER SACRALIZZAZIONE) DI POTERI SPECIALI, medium in
grado di mettere in comunicazione i due mondi secondo le loro controintuitive cognizioni e
percezioni. Possono ottenere STATUS particolari, AUTORITA’ particolari o essere ritenuti
CAPACI di realizzare lo SCAMBIO con l’altro mondo. Lo status in genere è ottenuto mediante
riti di iniziazione.
- STRUMENTI: oggetti o artefatti con capacità speciali e chiaramente contro-intuitive: dal più
piccolo osso alla più alta montagna questi oggetti hanno CAPACITÀ COGNITIVE (è una
peculiarità dell’uomo dotare di cognizione gli oggetti in modo da potersi porre al centro
dell’universo ed essere capace di interloquire con questi) e possono AGIRE REALMENTE ed
influenzare il destino di gruppi/individui attraverso benefici/disastri.
- SOGGETTI PASSIVI: coloro che sono oggetto del rituale, e quindi sono soggetti passivi, sono
importanti quanto i soggetti attivi e gli strumenti: senza di essi, senza la capacità del rituale
di essere efficace e produrre effetto (una guarigione, un cambiamento di status, una
benedizione) non esisterebbe il rituale. L’oggetto del rituale in realtà non è il vero
beneficiario dell’effetto del rituale: certamente su di lui si focalizzano le aspettative, ma le
aspettative sono quelle di un gruppo sociale ben delineato (basti pensare alle caste hindu)
che trae conferma di sé, coesione e senso di appartenenza dalla partecipazione e riuscita del
rituale.
- GRUPPI RITUALI potrebbero essere per esempio ordini monastici o confraternite, ordini
templari o iniziatici facenti parte di COMUNITÀ INTERPRETATIVE operanti in UNIVERSI
SEMANTICI propri delineanti SPAZI DI SIGNIFICATO.
COGNIZIONE SPECIALE ED EMOZIONE
I rituali, specialmente se molto complessi, faticosi, onerosi e quindi “costosi”, appaiono
estremamente eccezionali e significativi da un punto di vista cognitivo ed emozionale: afferrano i
partecipanti e sono memorabili e quindi molto diversi dalle azioni ordinarie cui posson anche
riferirsi. Sono certamente speciali, succedono situazioni speciali in quanto “violano” l’ordinarietà
ma fanno leva sulle percezioni e sulle emozioni ordinarie dell’uomo. La cognizione percettiva e la
cognizione concettuale, nella cognizione rituale, sono separate (e non sovrapposte come si pensava
per le popolazioni primitive, credute incapaci di pensiero astratto e quindi di operare per metafore)
e collegate dallo scopo “sacralizzante” del rituale: così il pezzo di pane (cognizione percettiva)
diviene il Corpo del Signore (cognizione concettuale) ma solo in determinate condizioni “speciali”
coinvolgenti gli agenti speciali sopradescritti. Le die sfere percettiva e concettuale si collegano
tramite i segni: così l’icona (percepita) rappresenta, o meglio, è l’agente speciale (un’icona di S.
Francesco è S. Francesco ed ha poteri beneficali), così gli indici rappresentano la presenza e l’essenza
dell’agente e così l’impianto metaforico la capacità dell’agente di interagire con il mondo vissuto.
La polisemanticità dei simboli, che riescono così a collegare più domini semantici appartenenti alla
cultura indagata, unisce la dimensione culturale con la dimensione cognitiva, sia individuale che
collettiva: ma unisce anche la dimensione emozionale individuale e collettiva.
Victor Turner: i simboli e le loro relazioni all’interno dell’universo semantico osservato creano e
sostengono la classificazione del mondo e l’esperienza di esso secondo un ordine necessario
all’uomo per completare la propria consapevolezza del mondo vissuto attraverso il mondo
immaginato, ma servono anche a suscitare, regimare o incanalare le forti emozioni che sono proprie
sia dell’individuo che del gruppo (odio, amore, rabbia, euforia, disforia). L’intera persona, individuo
o collettività, è coinvolta a livello esistenziale, nei problemi inerenti le emozioni collegate alla vita
ed alla morte (livello esistenziale che è già coinvolto per necessità nella creazione di un ordine).
LE PERFORMACE RITUALI SONO PROFONDE REGOLATRICI SIA DELL’ORDINE SOCIALE CHE
EMOZIONALE ATTRAVERSO LE IDEE, I VALORI E LE NORME CHE RAPPRESENTANO.
EFFERVESCENZA RITUALE (Durkheim): c’è una forte dipendenza del pensiero religioso dall’intensità
di partecipazione alla vita collettiva, al cui intensificarsi si modificano le condizioni mentali dei
partecipanti: passioni vive, forti sensazioni fanno sentire l’uomo TRASFORMATO e in virtù di questa
trasformazione l’uomo plasma il mondo attorno a lui, attraverso le forme simboliche proposte dalla
ritualità (ovviamente a modificarsi è la condizione mentale e soggettiva e non quella reale ed
oggettiva).
Di sicuro partecipare a determinati riti in determinati luoghi a determinate condizioni crea una forte
condivisione collettiva dell’emotività (la fila per entrare a toccare il pisello di Shiva ordinata,
all’interno del tempio il delirio).
Si va quindi a spiegare la SINCRONIZZAZIONE SOCIALE nel vivere i rituali, ove l’intensità partecipativa
permette ai partecipanti anche di trascendere simbolicamente lo spazio, il tempo e anche la propria
identità/intenzionalità a favore di un senso di appartenenza (SOVRAIMITAZIONE, l’individuo assume
un ruolo speciale ed attivo).
Anche la difficoltà cognitiva nel “segmentare”, cioè analizzare, un rito apparentemente non-
funzionale opera nel senso di una possibile trascendenza del partecipante, perché l’affaticamento
cognitivo che si genera in questa difficoltà crea dapprima un sovraccarico emozionale, poi uno
svuotamento cognitivo, una “resa” colmata dall’informazione culturale proposta dal rito stesso,
“delegata” quindi a completare le “mancanze” non colte nella percezione del rito stesso. Questo
completamento è culturale e quindi l’INFORMAZIONE CULTURALE, tipica del rito, è propria quindi
della cultura: un rito non può essere esaminato a prescindere della cultura entro cui il rito è stato
creato.
COLLEGAMENTO TRA E-RELIGION (PARTE SOCIALE, SCHEMA CLASSIFICATORIO) CON LA I-RELIGION
(PARTE INDIVIDUALE, COGNITIVA ED EMOZIONALE)
L’universo semantico entro cui si opera il rituale condiviso dagli insider partecipanti è in grado di
unire il collettivo all’individuale. La SEGNALAZIONE RITUALE permette di connettere il mondo
pensato (l’altro mondo) con il mondo vissuto e contemporaneamente di collegare rappresentazioni
collettive alla cognizione ed emozione individuali. Infatti, i SIMBOLI RITUALI:
1. Sono presi dal mondo vissuto, sociale (strumenti);
2. Per rappresentare significati relativi all’altro mondo, quello pensato (o desiderato);
3. Secondo determinate regole e norma collettivamente condivise;
4. Al fine di interiorizzarli tramite il pensiero (cognizione) e lo stato d’animo (emozione)
nell’individuo.
RITUALI ASSORTATIVI
Ma essendo coinvolto l’individuo, potrebbe esservi una interpretazione personale, o comunque
deviante del rituale? Sì, in effetti i rituali svolgono funzioni sociali positive per le comunità anche se
in realtà li svolgono per una cerchia ristretta della comunità: questa “esclusività” può provocare
maggiore armonia nella cerchia ristretta e conflitto nella cerchia esclusa (Sciiti e sunniti, le varie
confessioni protestanti etc).
I rituali, quindi, possono essere assortativi se producono conflitto e divisioni (ed eventualmente
modificazione del rituale e nascita di nuovi gruppi religiosi), oppure possono rappresentare l’effetto
di una divisione (dove un nuovo sistema di classificazione, una nuova visione del mondo sostituisce
quella vecchia in quanto i nuovi gruppi religiosi modellano i propri riti).
L’inclusività o l’esclusività in certi casi sono parte costituente del rito, soprattutto nei riti di passaggio
analizzati da Von Gennep nel 1909: così il passaggio attraverso le tre fasi permette ad un uomo di
raggiungere uno status tale da poter accedere ad ambiti sociali prima a lui preclusi, cioè
l’inclusività/esclusività – separazione/riaggregazione fa parte del PROGRAMMA STRUTTURALE,
dell’INTENZIONALITA’ del rito stesso.
RELAZIONI STRUTTURALI DI INTERESSE RITUALE
I movimenti relativi alle tre fasi di Van Gennep si possono trovare in tutti i riti osservati, perché ogni
rito, attraverso la sua intenzionalità/capacità di operare sul mondo, permette una transizione di
qualche tipo, sia nella forma più evidente (riti di passaggio) sia meno evidente (rimarcazione dello
status quo attraverso un rinnovamento, come per esempio le festività del nuovo anno, non
cambiano nulla nel loro rinascere). Le RELAZIONI STRUTTURALI INTENZIONALITÀ/EFFETTO che
interessano il rituale sono le seguenti, che possono essere TUTTE presenti all’interno del
PROGRAMMA STRUTTURALE:
- CONFERMA: mantenimento dello status quo, l’ordine esistente e stabilito;
- TRASFORMAZIONE: cambiamenti di status di soggetti/oggetti (passaggio alla pubertà,
trasformazione del pane in carne);
- ATTRIBUZIONE: conferimento di status a soggetti/oggetti (nomina di
sacerdoti/sacralizzazioni di oggetti);
- RIMOZIONE: distruzione di oggetti sacrificali/malevoli (rituali di guarigione,
esorcismi)
- INCLUSIONE: permettere l’appartenenza ad una cerchia conferendo uno status
/voto monacale, entrare in una società segreta religiosa);
- ESCLUSIONE: escludere da una cerchia (scomunica, esorcismo)
E se definiamo l’INTERESSE RITUALE quale lo SCOPO da ottenere nell’ ”operare sul mondo” allora
tutte queste relazioni ridotte (elementari) combinandosi creano i presupposti per l’ottenimento
dello stesso anche complesso, che come detto prima può coinvolgerne più di una (Incoronazione di
una nobile a regina: conferma dello status quo della famiglia regnante, passaggio da titolo di
principe a re, con attribuzione di annessi e connessi, inclusione ella famiglia reale
In particolare, nei rituali inerenti la guarigione sono ben chiare le zone di “liminalità” entro cui il
“pericolo” che il rituale non funzioni, che non si riesca a “operare sul mondo” è molto presente.
PROBLEMI DI TASSONOMIA RITUALE: IL SACRIFICIO
Il rituale sacrificale è chiaramente una tipologia di rituale, già presente nella tradizione cristiana (per
estensione di quella ebraica), cultura dominante l’occidente e quindi influenzante gli studi relativi
le religioni. La classificazione dei rituali sacrificali è molto complessa e per lo meno dipende dalla
teoria utilizzata nell’approccio alle religioni, e quindi DA COME O PERCHE’ SI RILEVANO PRATICHE
RITUALI COME “SACRIFICALI”. Sacrificio significa “rendere sacro” attraverso azioni dirette con agenti
e poteri “altri” al fine di permettere lo scambio, la comunicazione, che è alla base del concetto di
religione, così come offerta può essere intesa come “dono” oppure “rinuncia”. I sacrifici sono quindi
SCAMBI SIMBOLICI con l’altro mondo. Così come il DONO, analizzato da Marcel Mauss, atto a creare
alleanze durature, anche il SACRIFICIO vuole creare alleanze durature con… la società stessa,
rappresentata dalle credenze culturali. L’importante quindi nel sacrificio, essendo uno scambio, è
che si TRASFERISCA QUALCOSA RITENUTO IMPORTANTE SECONDO UNA MODALITA’ BEN PRECISA
(dalla distruzione dei beni (fiori, cibo) alla autoflagellazione/martirio) togliendolo dalle disponibilità
del sacrificante (anche la vita, nel caso).
Altra funzione dei riti sacrificali è quella di INOLTRARE UN MESSAGGIO tra attori coinvolti nel rito
sacrificale (scambio/comunicazione): così l’affermazione di appartenere ad una determinata divinità
tutelare a seguito dell’offerta, è un messaggio che coinvolge l’intera platea dei credenti partecipanti
il rituale (AUTOCOMUNICAZIONE), senza che questo debba essere altrimenti ribadito.
Tipologie di offerta sacrificale:
- Dono primiziale: il dono crea appunto uno scambio, il dono per l’attenzione e i benefici
inerenti la divinità;
- Votivo/di ringraziamento: in questo caso il dono è una promessa, sempre però all’interno di
uno scambio con richiesta di benefici;
- Conviviale: il legame si conferma nell’invito per l’agente soprannaturale a partecipare al rito
del pasto comunitario;
- Comunione: la sostanza sacrificale viene identificata con la divinità, si offre la propria
venerazione ed in cambio mangiandola si ottiene “potere”;
- Unzione e sostituzione: l scopo è la redenzione di una colpa precisa in cambio dell’offerta;
- Catartico o espiatorio: lo scopo è la purificazione in cambio dell’offerta;
- Libagione: offerta di cibi o bevande da consumare
RITUALI DI COMUNIONE
La maggior parte dei rituali è svolta pubblicamente e caratterizzata da esecutori e spettatori. Questi
rituali sono detti di COMUNIONE perché vogliono ottenere idealmente SCOPI COMUNI, impiegando
mezzi comunemente accettati. Si possono distinguere per PROGRAMMA STRUTTURALE:
a) Processi di conservazione o trasformazione;
b) Segnalazione di identità, status o competenza.
Il programma sottintende sempre l’intenzionalità del rituale, palese o celata. L’intento può anche
essere una somma di obiettivi stratificati (come, per esempio, ottenere una conferma
dell’istituzione religiosa includendo attori meritevoli per iniziazione di farne parte ed attribuendo
loro nuove conoscenze). Quindi più RELAZIONI STRUTTURALI DI INTERESSE RITUALE possono
entrare in gioco.
Questi riti comunitari seguono azioni prescritte e stereotipate al fine di mantenere una
sincronizzazione tra gli innumerevoli partecipanti, sincronizzazione che aumenta l’intensità del
coinvolgimento emotivo, aiuta a “vendere bene” il “prodotto” (per esempio marciare a tempo,
pregare in coro, muoversi in sincrono). Ovviamente la parte economica, politica e sociale hanno
grande influenza sui grandi riti comunitari (grandi culture, come egizi e babilonesi, introdussero per
esempio il rito della processione: una società gerarchizzata ed organizzata darà luogo a riti
ugualmente gerarchizzati e strutturati, dopotutto Dio è la società, così come le celebrazioni a Dio
per una vittoria sono in realtà le celebrazioni della vittoria della società).
IL MISTICISMO
Il MISTICISMO È L’ESPERIENZA DIRETTA DEL SACRO: sembra appartenere alla i-religion anche se in
realtà ha caratteristiche di processo rituale riferibile a specifiche tradizioni. L’autonomia ontologica
del sacro, cioè la sua autoreferenzialità, è stata un ostacolo per lo studio del misticismo, in quanto
solo chi ha avuto esperienza diretta del sacro può parlare di queste cose e solo attraverso un
linguaggio specifico. L’esperienza diretta diviene quindi inopinabile.
Uno sguardo approfondito nota che i mistici seguono schemi cognitivi/emotivi/comportamentali in
linea con schemi ordinari culturalmente tradizionali. Così come esperienze inerenti il sacro
assolutamente ricorrenti (di tipo percettivo, cognitivo, emozionale, somatico ecc) si ripetono
UGUALMENTE nel misticismo, solo associate ad un INTERVENTO DIRETTO di FORZE /ESSERI
dell’ALTRO MONDO. Tale intervento comincia con un INNESCO ESTATICO con conseguente
esperienza cognitiva/percettiva/emozionale/somatica etc. di unità con il sacro. Ma il misticismo è
anche una esperienza sociale legata culturalmente ad una tradizione. I mistici, quindi, possono
rappresentare una determinata istituzione ed utilizzare le loro tecniche per scopi funzionali ad una
determinata dottrina, operando come profeti, guaritori, maghi o addirittura uomini santi. IL
MISTICISMO È INCERNIERATO ALLA TRADIZIONE CULTURALE E QUINDI ALLA E-RELIGION.
Il primo passo nello studio del misticismo fu l’accettazione che i devoti, in quanto tali, potessero
comunicare direttamente con la sfera sacra, e delle loro descrizioni estatiche di questa esperienza
relativo all’unione con la divinità in modo acritico. Ignorando i contesti sociali del comportamento
estatico, si è provveduto a cercare un nocciolo filosofico del misticismo: la realtà trascendente esiste
e il misticismo è un aspetto di rivelazione della sfera sacra, aspetto ricorrente in tutte le (maggiori)
religioni del mondo.
Viene confutato da Armin Geertz il diretto e privilegiato accesso alla divinità:
1. I rituali e le tecniche mistiche sono legati alla tradizione culturale ed in quanto tali posson
essere solo sociali e non individuali;
2. Biologicamente non abbiamo accesso a nulla di trascendente, se non all’illusione di questi
per produzione mentale; La stessa immaginazione che ci permette di sopravvivere ed
evolverci.
Esistono 4 meccanismi che ostacolano la produzione illusoria/immaginativa tale da fare credere di
un’esperienza diretta con la divinità:
1. Primo meccanismo: Comandato dal cervello, che ha percezione oggettiva dell’ambiente
circostante (neurobiologico);
2. Secondo meccanismo: Comandato dal corpo, che è l’estensione sensoriale a contatto con
l’ambiente circostante (somatico);
3. Terzo meccanismo: Comandato da pensieri ed emozioni (psicologico);
4. Quarto meccanismo: Comandato dalla società (sociale);
L’unica esperienza estatica è quella prodotta quindi o dal cervello/corpo o dalla società. È possibile
manipolare questi aspetti per potere accedere a questi mondi illusori: tecniche di deprivazione
sensoriale e di marginalizzazione sociale posson guidare verso una qualsiasi esperienza
caratterizzata da una FORTE ASPETTATIVA, a sua volta generata dall’AMBITO SOCIALE E CULTURALE:
i sistemi culturali e religiosi possono influenzare praticamente sotto ogni aspetto la nostra
dimensione mentale/emozionale.
MODELLO DI RICERCA SUL MISTICISMO (ASSUNTI DI BASE)
a) Aspettative religiosamente informate dirigono, modulano ed alterano le percezioni in
situazioni specifiche
b) Informazioni ed interazioni sociali sono fondamentali nella costruzione di queste aspettative;
c) Tecniche culturali specifiche e specialmente (ma non solamente) quelle rituali modulano
efficacemente sia le predizioni automatiche (inconsce) che le aspettative (consce) di eventi;
d) La modulazione delle aspettative tramite queste tecniche culturali forniscono modelli
religiosi condivisi, sistemi classificatori cognitivamente utilizzati per interpretare eventi ed
azioni per arrivare
e) Al completamento della conoscenza e dell’esperienza del mondo secondo la visione
proposta da tali modelli ed
f) Alla costruzione dell’autorità religiosa riferibile a tali tecniche e modelli.
Il ricondurre il misticismo alle istituzioni religiose ed all’autorità religiosa porta al seguente
argomento.

ISTITUZIONI: ETICA, MORALE E NORME DELLA RELIGIONE


L’ISTITUZIONE È UNA RETE DI NORME, REGOLE E VALORI ed ha quindi potere DEONTICO e cioè di
obbligo, permesso o divieto. Esempi di istituzioni sono la famiglia, la proprietà privata, il matrimonio,
il gioco strutturato in generale: in quanto relativo a famiglia, gioco ed in generale a costrutti culturali,
è evidente che l’ISTITUZIONE DIPENDE COMPLETAMENTE DAL CONTESTO SOCIOCULTURALE.
Nell’antichità ogni aspetto della vita era legato alla religione, la cupola religiosa abbracciava ogni
aspetto della vita e lo normava (non c’era un concetto di religione o una necessità di definirla, era
“cio che è”) ed aveva chiaramente ampi risvolti sociali, culturali, politici, economici nonché
psicologici, etici, morali. Era il MONDO ALTRO che DAVA le regole, ed essendo date dall’ambito sacro
non erano discusse.
Si dice di passaggio da società tradizionale a società moderna quando la religione emerge come una
sfera specifica, e quindi come uno dei tanti ambiti, con necessità di una definizione in quanto tale e
demarcazione di limiti. Altro aspetto passaggio è la creazione di istituzioni attraverso la politica,
l’economia e la giurisprudenza, togliendo di fatto autorità alla religione che appunto diventa “uno
degli ambiti”.
La religione non è creata dagli Dèi, ma dagli umani, che però negano questa intenzionalità umana.
La creazione, operata dal pensiero astratto, si concretizza attraverso il linguaggio (essa stessa
un’istituzione culturalmente informata) ed attraverso il linguaggio è possibile, oltre che creare,
tramandare l’intero “mondo sociale”, cioè tutto un insieme di istituzioni che permettono alla società
stessa di esistere: valori, norme e regole che ordinano quanto pensato dall’uomo. Ora, il delegare
la creazione di queste norme ad un agente sovrannaturale serve a giustificare l’esistenza di tali
norme che per lo più sono creazioni inconsce collettivamente accettate e quindi senza un
riferimento preciso: l’agente sovrannaturale viene quindi a colmare questa lacuna nella visione
esperienziale del mondo.
La FUNZIONE SOCIALE delle menti umane è quella di avere una “INTENZIONALITÀ COLLETTIVA”
(sociale perché non si limita al singolo ma “vede” la comunità) cioè di trovare accordi su idee comuni
e progetti comuni, valori e status delle cose. La definizione del valore collettivamente accettata la
possiamo chiamare DICHIARAZIONE DI STATUS che è appunto un’attribuzione del valore, e ciò che
lega la cosa al suo valore FUNZIONE DI STATUS.
Le REGOLE UMANE si dividono in COSTITUTIVE, quando pongono le condizioni per la creazione di
una istituzione, e REGOLATIVE quando invece pongono i vincoli entro i quali l’istituzione “funziona”.
E il valore attribuito a queste istituzioni (si pensi al denaro) dipende dalla ATTITUDINE
INTENZIONALE COLLETTIVA UMANA a conferire status/valore ad OGGETTI SOCIALI. Un po’ come
creare delle macchine utilizzando determinati materiali disponibili alla collettività, e definendo
collettivamente valore e funzioni di quelle macchine, per poi inserirle all’interno di un progetto
costitutivo più grande nel quale, attribuendone valori a diversi livelli (DICHIARAZIONI DI STATUS),
farle lavorare in sincrono.
Dichiarazioni in merito a funzioni di status (cioè la definizione di cosa vale quanto) coinvolgenti
esseri di respiro universale con poteri illimitati capaci di normare la vita umana sono estremamente
potenti, ed è tipico delle tradizioni religiose omettere, all’interno delle regole costitutive le
istituzioni religiose, CHI definisce il valore delle cose, chi attua la DEFINIZIONE DELLA FUNZIONE DI
STATUS (e grazie al pippolo, sono gli uomini stessi neganti): è l’agente sovrannaturale, quindi calata
dall’alto.
In ogni modo scopo della religione è NORMARE LA VITA UMANA ATTRAVERSO LE PROPRIE
ISTITUZIONI (d’altronde qualcosa bisogna pure INVENTARSI per stare assieme): laddove altre forze
più umane e riconoscibili normano la vita umana, la religione perde autorità.
Le istituzioni sono quindi create attraverso il potere semantico del linguaggio (dietro cui c’è la
capacità dell’uomo di pensare immaginativamente e di condividere con i suoi simili idee, progetti e
valori) e, nel caso religioso, in genere sono PROIEZIONI INCONSCE DI INTERPRETAZIONI SOGGETTIVE
che, una volta collettivamente accettate, divengono conoscenza, REALTA’ (anche con lunghi
tempi…)
LE ISTITUZIONI RELIGIOSE SONO QUINDI UN EFFETTO NON PIANIFICATO (inconscio) E QUINDI
INATTESO DEI COMPORTAMENTI DI GRUPPO.
Le istituzioni stesse formano un linguaggio tecnico, specifico per il loro ambito di influenza, capace
di permettere agli uomini del gruppo sociale di interpretare idee, valori e norme nel loro significato
di puro, impuro, sacro, profano etc.al fine di inquadrare l’ordine entro cui incasellare l’intera visione
del mondo proposta dalla religione (la struttura cognitiva degli uomini è similare, così è possibile
interpretare, più o meno a fatica, diversi sistemi di classificazione, vi comprese le istituzioni collegate
(norme, regole, valori).
Le ORGANIZZAZIONI, differentemente dalle istituzioni, sono una cooperazione consapevole e
formale tra individui: così la Chiesa è sia un’istituzione (istruisce sulle norme necessarie alla vita) sia
un’organizzazione (con regole, gerarchia).
Le istituzioni sociali rituali non sono il rituale: anzi, il rituale è l’espressione evidente dell’istituzione
rituale, spesso celata, così come la parola lo è del linguaggio (Ferdinand de Saussure). Mentre
l’istituzione rituale è una struttura fondante del pensiero religioso sempre presente, il rituale viene
attivato nel momento in cui è necessario richiamare tale istituzione (l’istituzione della comunione
cristiana esiste a prescindere dal rito, è fondante della chiesa cattolica, e viene richiamata alla
memoria, all’emotività ed alla partecipazione durante il rituale domenicale della messa).
Chiaramente non è l’unica istituzione ma viene chiamata nel momento in cui diviene rilevante.
Alcune istituzioni divengono VISIBILI quando rilevanti e richiamate da un rituale, altre invece
rimangono comune CELATE nell’ordinarietà o nella mancanza di conoscenza dell’impianto
socioculturale studiato (un veloce segno della croce per ringraziare prima del pasto, per esempio,
svela un’istituzione, il ringraziamento per il cibo, che spesso passa inosservata).
LE ISTITUZIONI NEI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE E NELLE COSMOLOGIE
Le istituzioni, queste reti DEONTICHE di norme e valori, creano un sistema di classificazione
condiviso ed organizzato entro il quale l’individuo ed i gruppi vivono secondo tali norme,
consciamente ed inconsciamente.
Per Durkheim le istituzioni sono FATTI SOCIALI che hanno potere coercitivo (deontico) sugli
uomini/gruppi. Per Claude Lévi-Strauss le istituzioni sociali sono insite inconsciamente nell’uomo,
perché “sono ciò che sono senza bisogno di ulteriori spiegazioni” in quanto appartenenti ad un
contesto culturale silentemente appreso e quindi non necessario di ulteriori conferme: le istituzioni
e l’intero sistema classificatorio viene interiorizzato per apprendimento e diviene la dimensione
percepita del REALE.
Le istituzioni sono i mattoni che rappresentano norme, regole e valori che vanno a formare il sistema
classificatorio e quindi la realtà. Così la realtà è completata nell’inconoscibile tramite i miti,
narrazioni metaforiche che “spiegano” la realtà, e le istituzioni che si creano per regolare tale realtà
sono legate al pensiero religioso sotteso dal mito.
Le istituzioni religiose si inseriscono quindi all’interno della visione del mondo, son culturalmente
informate, e sono collegate, per il loro potere deontico, alle norme di comportamento degli esseri
umani.
Essendo le istituzioni reti di norme e regole, possono essere trasversali su più ambiti della vita, ed
una stessa istituzione può non essere presente in tutti tali ambiti: per esempio Halloween è un
complesso di norme e ruoli che coinvolge la sfera emotiva, sociale ed economica, accettato e
condiviso limitato nello spazio e nel tempo, mentre il matrimonio è un’istituzione che impatta su
numerosi ambiti, geograficamente e temporalmente più efficace.
Come avviene ANCHE per le credenze, nella mitologia e nei rituali, le istituzioni hanno la peculiarità
di UNIRE più ambiti della vita umana. Le cosmologie non sono forse la “spiegazione” della realtà,
realtà che risponde a determinate regole, norme, valori? Allora laddove ci sono cosmologie ci sono
istituzioni, e viceversa.
LA COGNIZIONE NELLE ISTITUZIONI
Un esempio di istituzione onnicomprensiva e trasversale è quella della differenza tra PURO e
IMPURO. Mary Douglas epura la nostra concezione di impuro, di sporco, dalle concezioni scientifiche
piuttosto recenti, individuando quindi nelle religioni più primitive l’impurità come uno scarto, nata
essa stessa per rimozione dal sistema di classificazione di ciò invece che è pulito, un sottoprodotto
dell’ordine creato dalla visione del mondo proposta ed accettata.
Ovviamente l’individuazione di ciò che è “fuori” e di ciò che è “dentro” è dovuta ad una selezione di
quanto percepito e ricordato a livello conscio ed inconscio, incasellato in schemi e modelli
culturalmente informati. A mano a mano che si arricchisce e si tramanda il sistema di schedatura di
queste suggestioni/percezioni/stimoli tale schema si organizza, si rafforza e si solidifica, dando
all’uomo ciò di cui ha bisogno: la FIDUCIA. E con tale fiducia è possibile la PROIETTIVITA’ UMANA,
nata dal ricordo dell’esperienza e dall’apprendimento culturale, capace di permettere all’uomo di
ORGANIZZARE IL FUTURO e di plasmare la propria esperienza di vita, andando anche a plasmare
coerentemente il sistema classificatorio che ne è la fonte. La cultura crea l’uomo che crea la cultura.
Le istituzioni sociali e culturali sono quindi una banca dati di memoria (basti pensare ai riti/credenze
delle religioni orali, che si affidano a riti e credenze intuitive e controintuitive legate tra oro da una
ferrea logica al fine di essere facilmente introiettabili e tramandabili) ed un insieme di regole per
ORGANIZZARE L’ESPERIENZA. Le ISTITUZIONI RELIGIOSE SONO FORMULE PRECONFEZIONATE PER
PENSIERO (pensi), EMOZIONE (senti) ED AZIONE (ti muovi) TRAMANDABILI.
TRADIZIONE RELIGIOSA, quindi, è la consegna nelle mani delle generazioni future di tutta una serie
di istituzioni religiose STRUTTURATE E COMPENETRATE TRA LORO (una vera a propria RETE) che
costituiscono la visione del mondo proposta dal pensiero religioso in modo che questa concezione
della vita e della realtà venga nuovamente tramandata. LE ISTITUZIONI SONO AUTOGENERANTESI,
così come la cultura: pongono le basi per il mantenimento, la plasmazione e, perché no, la nascita,
conscia o inconscia ma sempre collettivamente accettata, delle istituzioni stesse entro un
MOVIMENTO DINAMICO NELLO SPAZIO E NEL TEMPO.
LE FUNZIONI SOCIALI DELLE ISTITUZIONI: AUTORITÀ, ECONOMIA E POTERE.
Le istituzioni sono REGOLANTI (hanno regole regolanti) e CODIFICANO (hanno regole costitutive) i
RUOLI dei credenti rispetto ad una moltitudine di fattori: li incasellano all’interno dello schema di
rappresentazione della realtà (sesso, genere, clan e tribù, ricchezza, livello sociale). Le istituzioni
religiose sono quindi fonte di POTERE per chi le gestisce. Così gli ambiti religioso, politico ed
economico si intrecciano al fine della GESTIONE SOCIALE. Come abbiamo già detto nelle società
tradizionali non esiste una definizione di religione perché permea tutti gli ambiti della vita, mentre
in quelle moderne è un ambito dei tanti e quindi meno coinvolta nella politica e nell’economia, da
cui la SECOLARIZZAZZIONE e cioè (Peter Berger) “il processo attraverso il quale settori della società
e della cultura vengono sottratti al domini delle istituzioni e dei simboli religiosi”.
Max Weber (sociologo/economista inizi 900) individua nella relazione tra religione e autorità tre
tipologie di autorità: TRADIZIONALE (legata alle cose per come sono sempre state e quindi
inopinabili ma accettate inconsciamente), LEGALE (affidata ad un insieme di norme e leggi) e
CARISMATICA (secondo una attribuzione arbitraria da parte dei credenti al leader di speciali qualità
e quindi né per legge né per tradizione). Errore pensare che queste qualità siano insite nel leader,
sono invece conferite dai seguaci. Alla scomparsa del leader carismatico si passa immediatamente
al leader legale, in quanto non avendo la stessa autorità si definisce per regole e norme (il Califfo
deve essere diretto discendente di Maometto (sciiti) oppure per competenza religiosa
(sunniti/fatimidi)).
Valutata l’influenza politica dell’autorità religiosa, ora esaminiamo quella economica: nelle antiche
tradizioni alle norme religiose era delegata la distribuzione delle risorse (prede, territori di caccia o
di pesca, raccolto etc) ed oltretutto, spesso, c’era molta attenzione ad ingraziarsi gli dèi tramite
l’autorità religiosa, preventivamente, per garantire raccolti, fertilità, figli maschi, salute etc. Il
risvolto economico, rappresentato dallo SCAMBIO rituale con l’altro mondo è segno di un profondo
legame tra religione ed economia (e se ci fosse la legge di mercato alla base del pensiero religioso,
e non il totemismo? Nel 313 d.c. Costantino ha deciso che la religione cristiana era conveniente
rispetto al politeismo romano, dopotutto ogni scelta umana è orientata alla sopravvivenza della
specie, e quindi ogni scelta è la più vantaggiosa economicamente, inteso nel senso più ampio).
Infine, il legame tra autorità e religione è storicamente e sociologicamente accertato, in quanto
essendo gli agenti “altri” legati direttamente alle comunità in questa relazione dialettica offerta-
benefici, chiaramente chi deteneva l’autorità doveva comunque avere un ruolo all’interno di questo
legame. Ma non sempre però era un ruolo esclusivamente vantaggioso: spesso il governante
rappresentava il regno ed il suo benessere, e i momenti di crisi per la popolazione potevano essergli
fatali. Classifichiamo i governanti come DIVINI (il governante È una divinità) o SACRI (il governante
è infuso di poteri dall’altro mondo).
Due teorie di correlazione tra Economia/Politica e Religione:
- Teoria della corrispondenza: la religione è un prodotto di condizioni politiche ed
economiche;
- Teoria idealista: la religione è produttrice di effetti politici ed economici.
È difficile definire una linea direzionale causa-effetto se non a seguito di analisi complesse. In realtà
sembra che alcuni aspetti della religione siano causali ed altri causati (teoria della CAUSALITA’
BIDIREZIONALE – Biologia). Non si deve confondere la mappa col territorio, e quindi pensare se la
religione è causata o è causale entro leggi generali sarebbe come concentrarsi sulla mappa
tralasciando il territorio, che invece rappresenta.
ISTITUZIONI ED IDENTITA’ SOCIALE
Le religioni tramite le istituzioni definiscono come devono pensare ed agire gli uomini e quindi sono
veicoli di gestione sociale (TECNOLOGIE SOCIALI). Il solo fatto che credenze e rituali confermino
l’identità del gruppo, indipendentemente che il gruppo capisca i significati intrinseci di tali
dispositivi, è sufficiente a renderli titolati a creare norme di vita, in quanto ANCHE SE NON
SIGNIFICANTI, COMUNQUE SIGNIFICATIVE PER IL GRUPPO: le istituzioni sono stabilizzatori cognitivi
per il gruppo, aiutano a pensare l’intero gruppo secondo direttrici definite (gestione sociale del
gruppo).
Gli esseri umani sono capaci di cooperare per raggiungere obiettivi secondo regole definite. Le
istituzioni religiose stabilizzano e fanno crescere cognitivamente il gruppo, le regole vengono
collettivamente interiorizzate ed anche migliorate al fine dell’adattabilità dello stesso (norme
abbiam detto che possono influire su tutti gli ambiti – tradizionali – o su meno ambiti – moderne)
infatti le istituzioni religiose sono in realtà anche TECNOLOGIE MENTALI (oltre che sociali) che
posson essere usate per governare pensieri ed emozioni, codici e comportamenti (gestione
cognitiva del gruppo).
Le istituzioni che REGOLANO l’APPARTENENZA AD UN GRUPPO RELIGIOSO E, DI CONSEGUENZA, LA
DIFFERENZA CON ALTRI GRUPPI, NONCHE’ LE POLITCHE DI ALLEANZA sono le più importanti dal
punto di vista sociale. Le REGOLE DI INCLUSIONE nei gruppi possono essere molto gravose, così
come le regole che definiscono quali atteggiamenti/provvedimenti prendere per chi lascia il gruppo
(nuove conversioni). Le relazioni dei gruppi passano da aperta ostilità a fattiva collaborazione, con
tutte le sfumature del caso. In genere segni identitari applicati dai gruppi religiosi sono fondamentali
nella affermazione di identità del gruppo e di appartenenza ad esso, e contemporaneamente
segnano un confine di sfiducia rispetto ad altri gruppi: è comunque sull’ALTERITA’ che si costruisce
l’IDENTITA’. È così che venne spiegata da Claude Lévi-Strauss l’origine del totemismo, la dicotomia
alla quale si appoggiavano i selvaggi (e sulla quale funziona il pensiero umano moderno, senza
differenze): perché io sia io, bisogna essere in due in modo che ci sia un lui che mi evidenzi. Radcliffe
Brown migliorò la sua prima idea di origine del totemismo prettamente funzionale (gli
animali/piante rappresentavano risorse importanti per il sostentamento del gruppo), aggiungendo
particolari anche al lavoro di Durkheim, che aveva considerato il pensiero dicotomico senza definire
come veniva scelta la DISTINZIONE tra i gruppi: il CRITERIO OPPOSITIVO, la scelta degli animali viene
fatta secondo le stesse regole che normano le relazioni fra i gruppi, opponendoli al fine di
differenziarli.
Comunque, in vite regolate dalle istituzioni il pensarsi in un determinato posto e con un determinato
ruolo è molto più semplice, ed anche semplice è la condivisione di un universo semantico ed una
visione del mondo. LE ISTITUZIONI RELIGIOSE GOVERNANO QUINDI SIA IL COMPORTAMENTO
UMANO (l’AGIRE) CHE IL PENSIEROO UMANO (il PENSARE), come precedenza su ogni altra struttura
cognitiva che ne viene quindi influenzata.
INTENZIONALITA’ NELLA TRADIZIONE E NELLA COGNIZIONE
LA TERZA ENTITA: gli uomini interagiscono tra loro, interagendo al contempo con una terza entità
che stabilizza il loro modo di intendersi: è lo SPAZIO SEMANTICO CONDIVISO nel quale gli uomini
interagiscono, l’insieme di assunti/credenze/valori appartenenti al contesto culturale. Nel caso in
cui gli uomini interagiscono all’interno dello spazio semantico religioso, di cui fa parte la TRADIZIONE
si trovano a confrontarsi sul mondo materiale/percettivo, sul mondo mentale/cognitivo e
sociale/culturale e sul mondo pensato/desiderato. In ogni caso la parte biologica perde terreno
rispetto a quella culturale entro la quale nascono le necessarie istituzioni sociali: SOLO ATTRAVERSO
LA CULTURA un CERVELLO DIVIENE UNA MENTE. E come si apprende la cultura, tramite il
LINGUAGGIO. In effetti Noam Chomsky poneva l’accento sulle competenze linguistiche dei bambini,
mentre l’accento esatto dovrebbe porsi sulle capacità interattive con l‘ambiente culturale.
L’ISTITUZIONE FONDAMENTALE: IL LINGUAGGIO
Il linguaggio è un’istituzione basilare, che esprime il pensiero umano, permette il confronto e crea
lo spazio culturale. È convenzionale, carico di valori e governato da regole: ha profonda influenza in
tutti gli ambiti religiosi, e soprattutto quello religioso se ne giova nella costruzione della sua visione
del mondo attraverso rituali, credenze e miti, nonché istituzioni dedicate: il linguaggio stesso diviene
caratteristico del pensiero religioso, così come in comunità “tradizionali” in cui la religione abbraccia
ogni ambito, il linguaggio diviene tipicamente “religioso”, il vocabolario stesso diviene denso di
riferimenti religiosi.
Edmund Leach (metà del 900) individua ciò che diceva anche Durkheim: il linguaggio retroagisce sul
pensiero, pur essendone l’espressione: l‘utilizzo di un determinato linguaggio influenza e modifica
il modo di pensare, crescere in un ambiente religioso fa di te un religioso (Moretti Nanni: chi pensa
male, parla male, vive male). Basti pensare alle categorie mentali utilizzate nell’imparare altre lingue
di altre culture: decisamente diverse!!!
CULTURALISTI: il linguaggio da solo influenza il pensiero – INNATISTI: il pensiero è solo
cognitivo/biologico, non è influenzato dl linguaggio. La via di mezzo è la migliore: capacità innata di
apprendere linguaggi nella loro diversità culturale: le parole, i simboli, i significati fanno parte di
enormi reti di significazioni con una vasta rete di relazioni tra categorie, definite dalla cultura.
RELIGIONE – ETICA – MORALE
Il primo interesse delle tradizioni religiose è il destino umano e le modalità di comportamento e di
condotta necessarie a concretizzarlo: le religioni sono costituite di regole. Seguire i dettami religiosi
è il modo di trovare il proprio posto ed il compimento del proprio destino all’interno della visione
del mondo condivisa.
A. PSICOLOGIA MORALE: ponte tra innatismo e acculturazione
La religione si intende sovente quale depositaria dell’etica e della morale umana in quanto distingue
il giusto dallo sbagliato. Ma anche la filosofia si pone tale problema. Ma negli ultimi anni si fa strada
la psicologia morale che ha individuato 5 pilastri fondamentali (di natura sia biologica che
socioculturale) per la formazione delle disposizioni morali ed etiche (J. Haidt e J. Craig). La religione
è un prodotto della psicologia morale che individua nella gestione emozionale una delle funzioni
della religione. L’uomo ha molte più reazioni emozionali delle altre specie rispetto alle cose ed agli
eventi del “mondo”: la religione offre una gestione di tali emozioni attraverso i suoi elementi
costitutivi: Credenze, Miti, Rituali, istituzioni.
I fondamenti psicologici morali sono due: 1) l’aver cura (il prendersi cura di sé e del proprio gruppo)
2) equità e giustizia (idem, prendersi cura di sé evitando le sperequazioni). Questi due fondamenti
universali riguardano ovviamente solo l’individuo (2 FONDAMENTI INDIVIDUALIZZANTI), ma c’è ben
di più che il solo individuo in gioco: 3 FONDAMENTI VINCOLANTI e cioè 3) la lealtà interna al gruppo
(psicologia della coalizione) 4) L’autorità ed il rispetto che derivano dalla GERARCHIA 5) La purità e
la santità derivanti dall’emozione umana del disgusto (vedi Mary Douglas…) son i CINQUE
FONDAMENTI DI ETICA INTUITIVA (intuizioni innate morali) che si unisce alla parte socioculturale
dell’ETICA RIFLESSIVA (riflessioni morali). Ma come si legano tra loro questi due ambiti?
La mente è formata dalla cultura, ma è anche formante la cultura; quindi, il pensiero innato e
l’ambiente culturale hanno un rapporto dialettico: giocano molto l’imitazione (innata dell’uomo), i
ruoli (culturalmente definiti), l linguaggio (idem) in una interazione MENTE-CULTURA-LINGUAGGIO-
SOCIETA’. LE RELIGIONI SONO I SISTEMI SOCIALI SIMBOLICI ESTERNI L’INDIVIDUO CREATI SECONDO
COMPETENZE COGNITIVE E NORMATIVE AI QUALI LO STESSO SI APPOGGIA PER VIVERE
B. La SORVEGLIANZA
Il comportamento umano è sotto l’occhio degli agenti esterni: da sempre Dèi/antenati/spiriti
osservano e giudicano l’operato umano dalla loro posizione onnisciente. Questa concezione
dell’esistenza di CONTROLLORI MORALI serve per permettere un ordine della società e del mondo
vissuto favorevole alla vita dell’uomo, così come l’esistenza di medium umani e rituali in grado di
svelare la rottura di un tabù o il mancato rispetto di una norma: ciò riporta il tutto all’interno del
sistema classificatorio dell’esistenza e dona nuovo lustro all’ordine ed alla disciplina sociale.
C. I SISTEMI DI PURITA’
Sono istituzioni religiose: vedi Mary Douglas – non ci si limita a sistemi creati per ottimizzare risorse,
evitare comportamenti igienicamente pericolosi e germi ma sono sistemi di classificazione dove a
sua volta diviene “NATURALE” L’ordine proposto: andare contro l’ordine è andare contro natura
(che in realtà ha origine arbitraria – L’ARBITRARIETA’ DELLA NATURALIZZAZIONE). Quindi questi
sistemi di norme, permessi, divieti e obblighi hanno comunque la funzione di regolare la società.
Vedi la definizione di CIBO come fatto sociale di Arjun Appadurai, ove il cibo stesso, le tipologie di
produzione e distribuzione divengono rappresentative della collettività: così anche la preparazione
culinaria dello stesso dice tanto sulla cultura della comunità, come suggerisce Lévi-Strauss “ogni
piccola preparazione culinaria rappresenta e codifica sottili proposizioni/intenti cosmologici”.
Il cibo ha stretti legami con le pratiche sociali, culturali e quindi religiose, è legato alle pratiche
quotidiane ma rappresenta anche l’intero sistema di classificazione collettivo, e quindi lo status
sociale, ruoli e marginalità, è molto di più che semplice nutrizione (classista – solo alcune caste
posson preparare - , di genere – solo le donne posson preparare - , sacro, impuro e chi più ne ha…)
La parte biologica del corpo umano (peli, secrezioni, sangue, sessualità) da sempre è oggetto di
attribuzione significante, di rappresentazione simbolica (le distinzioni di genere pare siano molto
antiche) ed in quanto tale necessitante di regolazione: entra in campo la religione con la sua rete di
istituzioni che regolano, così come nelle tradizionali, così come nelle moderne, la gestione del corpo
umano ed i suoi significati metaforici.
Ma è vero anche che esiste, derivante dall’esperienza del sogno, il doppio, l’anima, strettamente
connessa con il corpo: in alcune religioni la mortificazione del corpo, la sua negazione, fa pendere
l’ago della bilancia sulla parte spirituale (ascetismo hindù, monaci, suore etc ma anche l’ermetismo
antico che vede il corpo come una prigione, un sepolcro da portarsi dietro, una punizione divina che
impedisce la riunione con il Dio, il Tutto di cui l’uomo è consustanziale), volgendo quindi le spalle al
materialismo “impuro” per dedicarsi allo spiritualismo “puro”. La PRATICA ASCETICA nasce quindi
da una interiorizzazione molto radicale della tradizione religiosa, nella sua forma per lo più “pura”
e quindi facilmente trasmissibile quale esempio alle generazioni future. L’ascetismo diviene quindi
memoria della tradizione culturale nella sua espressione più snella. Diviene un incredibile controllo
sia del contesto culturale (il mondo) che del contesto naturale (il corpo dell’asceta). Da qui si evince
che le religioni stesse sono in grado di collegare cultura e natura secondo un equilibrio coerente di
credenze, rituali ed istituzioni, legando la percezione di sé alla definizione di universo (creazione di
sé e del mondo collegati).

La religione oggi: modernità, postmodernità e secolarizzazione


Nuovi fattori vanno a modificare lo status e le funzioni delle religioni/della religione: maggiore
alfabetizzazione, globalizzazione, scambio di informazioni, media e social, sviluppo tecnologico,
migrazione. La religione comunque NON è sparita, anche se può sembrare, ma è CAMBIATA.
Di sicuro la SECOLARIZZAZIONE, cioè l’estrazione di ambiti politico, economico, sociale dalla volta di
influenza della religione è stata una delle visioni più accreditate dell’evoluzione della religione. I
PROCESSI DI SECOLARIZZAZIONE sono stati forti in alcune parti del mondo in altre meno, toccando
diversamente gli ambiti della società (in Scandinavia la religione non ha grande presa sulla società,
che comunque prospera forte della sostituzione della stessa con altre istituzioni laiche – ma come
fare a sostenere il desiderio di definire ciò che è indefinito, ciò che spaventa l’uomo nella sua
finitezza e precarietà – molti suicidi) e ne passato J.J. Rousseau aveva già pensato di sostituire le
religioni tradizionali con la “religione civile” a cui fosse affidato il compito di educare alla
cittadinanza, all'amor patrio, all'osservanza delle leggi. La religione comunque in generale ancora
influenza la parte prettamente morale, la decenza, gli equilibri di genere, il sesso, il cibo, la purezza
in senso ampio (cioè ciò che non tocca la nuova struttura politica economica ma che resta
culturalmente nell’ambito religioso, il sistema di classificazione ancora nelle mani del clero).
Anche l’educazione è di appannaggio della religione in molte parti del mondo (per contrappasso: la
Danimarca invece è la meno religiosa e la religione a scuola è obbligatoria come materia non
confessionale, studiata da un punto di vista sociale, filosofico ed antropologico). In alcune altre la
religione è ancora molto presente e gestisce l’educazione, in altre più vicine a culture “tradizionali”
non c’è bisogno di definire la religione perché permea ogni ambito della vita sociale ed individuale.
Max Weber chiamò DISINCANTO la SECOLARIZZAZIONE, avvenuta per sostituzione dei racconti
mitici da parte di spiegazioni scientifiche, che lo storico Robert Yelle caratterizza secondo queste
peculiarità:
- Declino ed isolamento di discorsi simbolici (rito, credenza, mito, magia);
- Declino di una visione simbolica del mondo e ascesa di una visione razionale e prosaica del
mondo;
- Declino dell’idea di non-arbitrarietà delle funzioni di stato, di attribuzione di valori e di
significati, di definizione di regole “calati dall’alto” sostituita da una consapevolezza invece
dell’arbitrarietà di origine umana di questi, senza una connessione esatta e provata con ciò
che rappresenta;
- Abbandono del potere del linguaggio religioso in vece di una purificazione letterale e
scientifica dello stesso, secondo una visione “esatta” di termini e rappresentazioni (una
teoria in linguistica vede il linguaggio quale unico creatore del sistema culturale, vengono
studiati tutti i possibili significati di ogni singola parola, esaminando ogni metafora ed ogni
attribuzione di significato).
Ora si può invece osservare un momento storico di REINCANTO, vedi fondamentalismi religiosi ma
anche una ricerca della spiritualità personale scevra il più possibile da condizionamenti culturali
tradizionali.
PROCESSO DI COMPARTIMENTAZIONE: la religione diviene nell’epoca moderna, un sistema tra
tanti, con influenze proprie in alcuni ambiti della vita, dell’esistenza, dell’individualità, della psiche,
dell’emozione e della società (prima erano interamente di appannaggio della religione). La religione
ha perso la sua incredibile potenza creatrice di mondi, i luoghi divini sede degli agenti superni e la
loro capacità di vedere e giudicare il comportamento umano divengono semplicemente strumenti
arbitrari di regolazione sociale, i testi sacri sono sempre meno considerati “libri di verità” quanto
invece “libri di suggestione” e di comprensione delle dinamiche sociali, filosofiche, esistenziali.
Ma nelle parti più povere del globo la situazione si ribalta, definendo quindi una DIPENDENZA DEL
CONTESTO RELIGIOSO E DEL SUO POTERE DAL WELFARE E DALLE CONDIZIONI DI VITA: le più ferventi
popolazioni religiose sono quelle del Sudamerica, dell’Africa… anche le politiche migratorie vedono
intensificarsi la fervenza religiosa delle comunità che si spostano mantenendo intatto il loro
potenziale religioso, con l’effetto non secondario di mettere in contatto popolazioni diverse ed
influenze religiose diverse, autoctone ed importate, con passaggio di credenti dall’una all’altra e
portando ad uno SHOCK CULTURALE. E non solo. Anche la pratica missionaria e di proposta di
egualitarismo sociale e di contatto diretto con la sfera del divino di alcune confessioni (pentecostali,
per esempio) trovano molti ascoltatori entro i popoli più poveri e derelitti, pronti a donare FIDUCIA
ed ottenere SPERANZA.
RELIGIONE E POLITICA
Religione e politica, nel mondo tradizionale ma anche nel mondo moderno secondo diversi criteri,
vanno di pari passo. Esempi: fondamentalismi islamici che vietano di votare in elezioni
democratiche, politiche educative basate sui valori di confucianesimo, protestantesimo,
cattolicesimo…)
La religione, attenendo alle sfere cognitive ed emotive e sociali, può essere utilizzata dalla politica
come RISORSA in molti modi, soprattutto nella definizione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato
(propaganda). In alcuni paesi la religione è la legge (sharia) e il corano è la costituzione (Arabia
saudita).
In altre realtà la COMPARTIMENTAZIONE è il risultato di una lunga battaglia tra scienza, educazione
e religione: la religione si limita ad alcuni ambiti, gestisce il proprio sistema e le proprie funzioni.
Esistono molte sfumature tra la fervenza religiosa di Stato e la separazione Stato – Chiesa: nazioni
laiche che però nella costituzione rimandano a radici religiose, Nazioni che hanno istituzionalizzato
la religione (India) per evitare perturbazioni politiche di gruppi religiosi diversi, altre che hanno
accolto tutte le proposte religiose per meglio controllarne l‘influenza politica (Sudafrica).
La RELIGIONE è strettamente correlata alla POLITICA e questo legame può essere palese o più
sotterraneo, esplicito o implicito. La politica spesso utilizza il linguaggio religioso e l’immaginario
religioso (culturalmente informato) per spiegare le situazioni politiche in modo comprensibile per la
popolazione (i presidenti USA, figurati, ma anche Fidel Castro!).
L’utilizzo della sfera semantica religiosa nella politica venne chiamata da J.J Rousseau RELIGIONE
CIVILE, laddove cercava di sostituire l’istituzione religiosa con istituzioni sociali che potesse
egualmente soddisfare la funzione di collante laico, idea che si è tramandata nella scuola sociologica
francese, con Auguste Comte (il SACRO è il collante della società, ciò che unisce gli uomini in una
collettività) Durkheim (la religione è un sistema di credenze e pratiche, che permettono
l’ordinamento della società a mezzo di fatti sociali) fino a M. Mauss (i FATTI SOCIALI TOTALI).
La religione è un sistema condiviso dalla maggior parte della popolazione e quindi i politici che
rappresentano tale popolazione ne fanno uso a piene mani in quanto linguaggio condiviso e
compreso. Ed infatti la religione nell’età moderna diviene un marcatore di diversità, spesso
coincidente con una discriminazione relativa al concetto di etnicità (da cui violenza, guerre,
segregazione, terrorismi). La religione significa comprensione del mondo secondo un ordine stabile,
e la sua difesa diviene quindi un’esigenza. I gruppi etnici, quindi, caratterizzati per lo più dall’aspetto
religioso, divengono aggrediti o aggressori, a seconda, per la difesa di una visione del mondo a loro
condivisa e inopinabile e quindi pe l’affermazione e conferma della stessa: i fondamentalismi hanno
lo scopo di rendere chiaro ad eventuali disertori ed ai miscredenti cosa succede nel caso in cui si
venga a minare il discorso religioso alla base del fondamentalismo stesso.
NEW AGE, SPIRITUALITA’ E REINVENZIONE DELLE “RELIGIONI SENZA RELIGIONE”… COME CAMBIA
La religione però manda anche segnali positivi: la differenziazione tra tradizione religiosa, religiosità
individuale e spiritualità sono le nuove frontiere per il raggiungimento di una dignitosa esistenza.
L’appartenenza ad una forma di religiosità o spiritualità è molto più libera oggi, facendo più presa
sulla popolazione che può scegliere (una volta la “scelta” era un attimo condannata: in greco scelta
si dice “airesis”, da cui l’evoluzione in ERESIA!). Ovviamente più libertà ha comportato una
proliferazione delle stesse (new age, mindfulness, olismo, meditazione etc.) per far fronte ad una
sempre più ampia platea di clienti.
TENDENZA AL BRICOLAGE SPIRITUALE: creazione dell’individuo di una propria religione personale
utilizzando parti disponibili di altre religioni/filosofie, secondo quanto dettato dalla propria
coscienza quale fonte di verità relativa a sé, spesso caratterizzate da antidogmatismo, anti
moralismo, anti razionalismo, sicuramente soggettività, ma aventi una seria dimensione etica e
umana/umanitaria. Una sorta di SINCRETISMO PERSONALE.
Queste nuove religioni creano una RETE più che un GRUPPO; quindi, hanno connotazioni più
emotive e cognitive che sociali.
Queste nuove religioni, nella corsa all’individualismo ed all’anticonformismo (ivi compresa la
concezione distorta da cui la nascita di congreghe di stregoneria, esoteriche etc) diventano a loro
volta “conformiste” nella lotta all’establishment, al moralismo ed al dogmatismo.
In ogni caso le due peculiarità dell’uomo, la contro intuitività e la capacità di progettare assieme, la
mente collettiva, portano sicuramente gli uomini distaccatisi dalle religioni tradizionali a rifugiarsi in
altre confessioni magiche, druidiche, irrazionali e caotiche, proponenti culti misterici e di accesso ad
una nuova conoscenza.
LA DISPERSIONE DI “QUALCOSA DI RELIGIOSO“ LADDOVE NON C’E’ RELIGIONE: COME SI VIENE AD
APPROPRIARSI DEGLI ELEMENTI RELIGIOSI
Abbiamo già visto l’appropriarsi della politica di elementi religiosi ad essa funzionali. Ma anche
l’industria dell’intrattenimento si appropria di tali elementi: i media, letteratura, cinema e
televisione, videogiochi. Film espliciti da un punto di vista sessuale hanno a che fare con la famiglia,
con la santità e la purezza, in opposizione.
Anche gli sport e le tifoserie si appropriano di quelle strutture tipiche del pensiero religioso, fino
all’idolatria. Le identità si forgiano sul consumismo e sul modello capitalista, i riti iniziatici si riducono
al possedere quel bene che identifica il nostro status, che ha la funzione di stato di definirne il valore
(dell’individuo e del bene). Questa è anche la riproduzione della collettività non più unita da una
comuna visione del mondo ma da una condivisione del merchandise, delle preferenze mediatiche,
del consumo. È vero quindi che il danaro/dispersivo è l‘alternativa al sacro/coesivo nell’equilibrio
sociale? L’iniziazione alla società del consumo non ha sacerdoti, pratiche, rituali o una
visione/punizione divina sull’argomento comportamentale. Ma il condizionamento sociale e
cognitivo, psicologico ed emozionale esiste ancora, anzi è più pervasivo e occulto, nascosto da
pubblicità, brand, narrazioni distorte del benessere, nuovi idoli, così come i valori stanno cambiando
e stanno divenendo più dispersivi che coesivi.
Se è vero che l’immaginazione umana crea, tramite la proiezione del linguaggio, la realtà, è tanto
vero quanto il pensiero astratto è suggestionato, tanto la realtà che si crea, e che con il tempo può
venire accettata collettivamente, diviene la VERA REALTA’.
IL FUTURO (mi interessa poco la sua proiezione)
Definizione di religione di Durkheim (insieme di cose) quale strumento di formazione sociale:
“Quando un certo numero di COSE SACRE presentano tra loro rapporti di coordinamento e
subordinazione (relazioni e gerarchia) in modo da formare un sistema coeso che non venga a
ritrovarsi in altri sistemi già esistenti, allora l’insieme di credenze e riti assieme formano una
religione”.
Le religioni cambiano, dal totemismo primitivo alle religioni monoteiste e fino alla contemporaneità
del consumo, con reciproca influenza sulla creazione e modifica dei miti, dei riti e delle credenze,
oltre che delle norme di comportamento morali ed etiche.
Quindi dal totemismo si passa alla ricerca etica e morale dell’antica Grecia (età assiale 1000 ac.) e
fino alle culture cinesi e indiane, per lo più grazie ad una alfabetizzazione ed a un uso del linguaggio
scritto più ampio. Antiche pratiche diventano tradizioni letterarie. L’età Assiale venne caratterizzata
da una serie di riforme del pensiero religioso con maggiore attenzione all’individuo ed alla rottura
con il regime precedente, più anticonformista, nascono le religioni monoteiste in alternativa
all’establishment delle religioni politeiste.
La successiva rivoluzione nasce con l’avvento della stampa e della chiesa protestante, con la
diffusione dei libri religiosi e dell’utilizzo delle lingue vernacolari al posto del latino nelle pratiche
rituali, oltre alle misure economiche ed alle tensioni per limitare la Chiesa Cattolica in favore delle
nuove confessioni, ed i cambiamenti furono talmente profondi da poter parlare di una seconda età
assiale.
Ora i media, la globalizzazione e le migrazioni sono fonte di profondi cambiamento per i sistemi
religiosi, tanto da dare logo ad una terza età assiale: una indagine multisituata e che tenga conto dei
nuovi canali informativi potrà rendere ragione delle modifiche occorse (un fondamentalista islamico
può acquisire autorità tramite i social, e ormai non esistono paesini sperduti dove non fare arrivare
le notizie e quindi dove comunque affermare proprie idee all’interno di un mondo globale: nulla è
più isolato, tutto è iperconnesso, tanto da creare un vero e proprio inquinamento di informazioni).
Nel tempo le religioni hanno:
- Creato mondi assunti quali reali;
- Assicurato il comportamento pro-società;
- Fornito strumenti di gestione cognitiva e normativa, oltre che emozionale;
Il futuro sarà una modifica negli insiemi di “cose durkeihmiane” ma che implicitamente metteranno
a disposizione i medesimi strumenti, per gruppi eterogenei, con modalità diverse, oppure anche
proponendo funzioni diverse (ma secondo me NO).

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