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Domande su Jensen esame Storia delle religioni (12cfu) – Francesca Sbardella

Che cos’è la religione per Jensen?


Jensen adotta una definizione stipulativa e specifica di religione che riflette una visione inclusiva e condivisa. La
religione è un insieme di reti semantiche e cognitive che comprendono idee, comportamenti e istituzioni in
relazione ad agenti sovraumani, oggetti e postulati controintuitivi.
Questa definizione è politetica nel senso che mette insieme un certo numero di elementi attingendo a cinque
visioni della religione che provengono da varie prospettive presentate da Jensen in ordine cronologico:
- Durkheim: Le forme elementari della vita religiosa (1912) → “una religione è un sistema solidale di
credenze e pratiche relative alle cose sacre, cioè separate, interdette, le quali uniscono in un’unica
comunità morale, chiamata Chiesa, tutti quelli che vi aderiscono”. Durkheim si focalizza sulla religione
come costruzione sociale dell’etica e della morale dei gruppi, sforzandosi di offrire una descrizione
neutra e analitica. Introduce la distinzione tra sacro e profano e il concetto di comunità morale per
indicare quanto la religione sia un fatto eminentemente sociale che consiste di credenze e pratiche che
uniscono una comunità.
- Freud: vede la religione come una forma di comportamento immaturo connesso a un pensiero illusorio;
la religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità. La visione di Freud porta l’attenzione
sui complicati processi psicologici ed emozionali, introducendo una visione critica della religione, dalla
quale l’umanità deve liberarsi rinunciando al desiderio del padre (Dio), il quale è la radice del bisogno
religioso
- Tillich: focalizza l’attenzione sulla fede, piuttosto che sulla religione in generale, sostenendo come
l’essenza della religione si nasconda nella fede, intesa come ultimate concern, ovvero un interesse ultimo
alle condizioni della propria esistenza; la fede come interesse supremo è l’atto centrale per eccellenza
dello spirito umano; non si oppone all’emozione o alla ragione ma trascende entrambi, aiutando gli
esseri umani ad affrontare l’esistenza; la visione di Tillich è di tipo funzionale.
- C. Geertz: presenta la religione come sistema culturale consistente di simboli attraverso i quali gli esseri
umani conferiscono significato alla propria esistenza. Secondo Geertz la religione è un sistema di simboli
che opera stabilendo profondi e durevoli stati d’animo e motivazioni negli uomini attraverso la
formulazione di concetti riguardanti un ordine generale dell’esistenza; questi concetti sono rivestiti da
un’aura di concretezza tale che stati d’animo e motivazioni sembrano assolutamente realistici. Questa
definizione è sostanziale e funzionale perché spiega il significato simboli della religione e le sue funzioni
psicologiche (cognitive ed emozionali). Nella definizione non vengono menzionati né dei o altri agenti
sovraumani; pertanto, essa può essere applicata a ideologie o altre formazioni sociali dotate di autorità.
Geertz enfatizza il fatto che le esperienze fenomenologiche degli esseri umani siano state
considerevolmente modellate dalla religione come parte integrante della cultura umana. Di
conseguenza, la religione come sistema culturale, quando viene interiorizzata, guida la percezione e la
cognizione. La prospettiva religiosa di Geertz si fonda sulla percezione del reale elaborata attraverso un
complesso specifico di simboli
- Boyer: prospettiva cognitivista della religione come un sottoprodotto evolutivo derivato dalla
propagazione di rappresentazioni del mondo psicologicamente controintuitive ad opera di una coscienza
ingannevole: l’evoluzione ha dotato gli esseri umani di grandi cervelli e di immaginazione, cosicché essi
hanno finito per immaginare un certo genere di cose che non sono reali. Lo studio cognitivo della
religione focalizza l’attenzione sui processi mentali umani, guardando alla propensione degli esseri
umani a concepire pensieri religiosi. Le religioni dipendono allora dalla natura della mente umana.
Il vantaggio di questa definizione politetica è che espone il concetto di somiglianze di famiglia elaborato da
Wittgenstein. Le religioni sono complessi di elementi generalmente condivisibili e comparabili:
- Cosmogonia (spiegazione delle origini del mondo)
- Cosmologia (classificazioni costitutive del mondo)
- Credenze riguardo a oggetti sacri ed agenti spirituali sovraumani, a poteri e conoscenze speciali
possedute dagli agenti sovraumani ai quali gli esseri umani possono accedere, al destino dell’uomo e alla
vita dopo la morte,
- Pratiche rituali, dalla preghiera silenziosa al sacrificio, che garantiscono la comunicazione con il sacro
- Istituzioni che stabiliscono limiti e condizioni per tale comunicazione e contengono regole per la
condotta umana attraverso sistemi di purità, gerarchia e relazioni di gruppo, etica e morale.
Sacro e profano
Uno dei primi elementi di distinzione utilizzato nel campo dello studio della religione è quella tra sacro e profano.
Il termine sacro deriva dal latino sacer, ossia sancire un’alterità, un essere altro e diverso rispetto all’ordinario,
al comune e al profano. Quando la storia delle religioni ha i suoi primi sviluppi, il sacro diventa lo strumento
centrale dello studio delle religioni.
La prima distinzione analitica fu formulata con chiarezza nel 1912 da Durkheim, il quale afferma che tutte le
credenze religiose conosciute presuppongono una classificazione delle cose in due domini opposti definiti dai
concetti di sacro e profano, i quali assumono il carattere distintivo del pensiero religioso. Nella sua definizione di
religione, Durkheim spiega come il sacro sia un elemento separato e interdetto rispetto al profano, qualcosa di
speciale che presuppone una differenza con l’ordinario.
La fenomenologia tedesca di Rudolf Otto intende il sacro, misterioso e ineffabile, come realtà totalmente altra
rispetto alle nostre esperienze di vita, nella quale risiede l’essenza della religione. Eliade riprende la teoria di Otto
e la tematizza con due concetti: ierofania e Homo religiosus. Con ierofania si intende letteralmente la
manifestazione del sacro: le ierofanie sono simboli attraverso i quali il sacro si manifesta agli uomini. Attraverso
il concetto dell’Homo religiosus, Eliade avvicina il sacro a una struttura della coscienza umana per cui l’essere
umano, a causa della sua finitudine, tende ad aspirare a qualcosa di trascendente per determinare il senso di
infinità che lo circonda. L'uomo non può non essere religioso e non può sfuggire dalla sua propensione a
categorizzare il mondo secondo questa dicotomia.
Sorensen ha osservato come la costruzione del dominio del sacro violi gli ordinari assunti ontologici, portando
con sé speciali modalità discorsive e di interazione. Da buon cognitivista, Jensen afferma come sia del tutto logico
iniziare a cercare l’essenza della religione nelle strutture mentali degli esseri umani e nel loro apparato cognitivo,
similmente a quanto affermato da Eliade.
E-religion e i-religion
Tra gli studiosi della religione esiste un grande divario tra i domini della e-religion (religione esterna) e quelli
della i-religion (religione interna). Questa distinzione trae origine dalla linguistica, cioè dalla divisione tra e-
language, la lingua parlata, udibile e pubblica, e la i-religion, la lingua interna al cervello. Allo stesso modo del
linguaggio e della cultura, la religione è un fatto sociale che viene appreso da tutti i membri di una comunità. Se
un fatto sociale (e-religion) è interiorizzato, allora si trasforma in fatto mentale (i-religion); al contrario, quando
un fatto mentale (i-religion) è oggettivato, si trasforma in fatto sociale (e-religion). Fatti sociali e fatti mentali
esistono uno grazie all’esistenza dell’altro. I fatti sociali di una religione racchiudono tutto ciò che gli storici delle
religioni hanno indagato fino a oggi e rientrano nel dominio della e-religion: testi, pratiche sociali come i rituali,
sistemi, cultura materiale. La i-religion è sempre stata confinata al solo studio della psicologia delle religioni.
Molti psicologi condividono un’avversione per lo studio della religione e non se ne interessano, al punto da
ridurla a qualcosa di irrazionale o a una nevrosi.
Modelli culturali
Il modello è un’oggetto di interpretazione ma anche uno strumento di analisi in quanto costruttore dell’oggetto
stesso. Il modello è una finzione sistemica, cioè una finzione relativa a un sistema o a un fenomeno che viene
sottoposto a indagine da parte dello studioso, del ricercatore; il modello è una costruzione fatta dallo stesso
studioso. Rappresenta uno schema interpretativo che aiuta il ricercatore a vedere meglio la realtà alla quale
partecipa, a comprendere meglio come un qualcosa funzioni, andando a riconoscere la logica interna del
fenomeno studiato.
Il modello ha due caratteristiche fondamentali: serve a sintetizzare qualcosa della realtà che abbiamo davanti ma
serve anche a farne un’astrazione. Il modello rappresenta ciò che stiamo osservando in modo sintetico e astratto;
esso cerca di mettere in evidenza le relazioni che ci sono nella vita concreta e nella situazione che si sta studiando.
Per Geertz i modelli possono essere divisi in “modelli di” e “modelli per”, definiti da Caws come modelli
rappresentazionali:
- I “modelli di” sono dei modelli rappresentativi e operazionali della realtà che servono per provare a
rappresentare la realtà stessa attraverso una mappatura di essa. Sono i modelli tramite cui l’attore sociale
interpreta il mondo e dà senso ad esso, è il modo attraverso il quale l’individuo rappresenta la realtà. I
“modelli di” sono schemi concettuali che implicano una data visione del mondo, della realtà, e che
forniscono all’individuo e a un gruppo sociale una determinata lente attraverso la quale mettere a fuoco
la realtà.
- Il “modello per”, invece, agisce direttamente sulla costruzione della realtà poiché esso viene messo in
atto nel momento in cui si vuole raggiungere un fine, uno scopo, c’è una volontarietà di azione, c’è una
volontà di modificare la realtà, ha una funzione plasmativa della realtà stessa. I “modelli per” riguardano
le azioni, sono concetti operativi che indirizzano ed orientano l’agire dell’individuo e della collettività,
sono modelli che aiutano l’attore sociale ad agire nel mondo. Essi si differenziano da persona a persona
poiché offrono all’attore sociale una vasta gamma di comportamento che l’individuo può scegliere per
agire sul e nel mondo. Possiamo dire che i “modelli per” indirizzano l’agency dell’attore sociale. Sono
come una mappa che ci aiuta a muoverci all’interno di un territorio.
Questi due modelli spesso non combaciano, anzi molto spesso entrano in contrasto tra loro, per esempio quando,
come “modello di”, ci si racconta la parabola del buon samaritano ma nel momento in cui vediamo una persona
che chiede l’elemosina operiamo nella realtà, ossia come “modello per”, non aiutandola.
Credenze
Le credenze sono, insieme alle pratiche il fondamento assoluto di una religione. Il termine credenza si riferisce
all’attitudine proposizionale degli esseri umani, ossia una predisposizione nell’avere una qualche attitudine,
posizione, od opinione riguardo a una proposizione considerata vera. Le credenze religiose sono profondamente
normative e influenzano i modi in cui gli esseri umani percepiscono i propri mondi di riferimento, così da
risultare fondamentali per la visione del mondo e il comportamento degli individui. Solo gli uomini possono
avere attitudini proposizionali perché dotati di linguaggio, percezioni ed emozioni. Tutti gli umani in tutte le
società possiedono credenze ma per avere delle credenze non è necessario sapere consciamente di possederne.
Infatti, credenza non equivale a fede: significa semplicemente avere attitudini proposizionali verso i contenuti
del proprio mondo. La base per le credenze è la mente umana. Armin Geertz ha individuato quattro fattori chiave
dell’essere umano come prerequisiti del comportamento religioso:
- Una cognizione sociale raffinata
- Un impulso a comunicare e cooperare
- Un cervello auto-ingannante
- Un cervello superstizioso, propenso a esperienze mentali e emozionali insolite
Questa linea di pensiero si basa sulle riflessioni assunte dagli neuropsicologi nell’elaborazione della Teoria della
mente, per cui esiste un’espressione del comportamento umano che nessun’altra specie riesce a realizzare
coscientemente, ovvero la mimesi (o imitazione), intesa come quella capacità di imitare gli altri e se stessi in
relazione a un ideale immaginato, capacità che richiede l’abilità di richiamare una forma ideale alla memoria.
L’immaginazione e alla base delle credenze poiché costituisce supporto alla narrazione religiosa.
Le credenze sono prodotti cerebrali e culturali che gli esseri umani sintetizzano e interpretano attraverso il
supporto di segni, metafore e significazioni religiose. È possibile suddividere la varietà di segni in tre categorie:
- Icona: segno che imita o appare come il suo referente
- Indice: segno che indica o punta qualcosa
- Simbolo: segno a cui viene attribuito un significato per convenzione. I simboli sono oggetto di metafore
in quanto dipendono da accordi provenienti da diversi contesti (uccelli/pace; serpenti/male).
Un segno può rappresentare icona, indice e simbolo insieme (la croce cristiana è un’icona della crocifissione, può
essere un indice di una chiesa e il simbolo di tutta la cristianità). I segni possono essere materiali e concettuali,
linguistici e grafici. Il simbolismo è fondamentale nelle operazioni cognitive ed emozionale della mente umana:
Leach afferma che con il simbolismo ci serviamo dell’immaginazione umana per associare insieme due o più
entità, sia concrete che astratte, che comunemente appartengono a contesti differenti, ad esempio il non-umano
e l’umano.
Le credenze si fondano su metafore, le quali rappresentano una parte fondamentale per l’attribuzione di
significato religioso. La competenza metaforica dipende da un disaccoppiamento cognitivo, ovvero l’abilità
umana di pensare cose al di fuori del loro contesto. Questo avviene ad esempio quando ci si riferisce a un Dio
come Madre o Padre. Il mescolamento metaforico concettuale è onnipresente nel pensiero, nelle azioni e nelle
istituzioni di tutte le religioni; pertanto, le idee che stanno alla base di ogni pensiero religioso abbondano di
mescolanze di umano e sovrumano. L’abilità del disaccoppiamento cognitivo è importante tanto nella formazione
di credenza quanto nel rituale.
Le credenze sono caratterizzate fondamentalmente dalla distinzione tra sacro e profano e dalla forte autorità
legata ai postulati sacri biblici. I due mondi sono legati tra loro attraverso dispositivi linguistici e semiotici
(simboli, metafore e combinazioni), senza i quali non sarebbe possibile per l’uomo immaginare un altro mondo
e comunicare con esso.
Le credenze religiose si basano su:
- Antropomorfismo: le credenze religiose presumono l’esistenza di esseri divini simili agli umani sotto
diversi aspetti. L’antropomorfismo è una condizione fondamentale della proiezione umana
- Dualismo: le credenze religiose si sono formate all’interno di un dualismo naturale tra anima e corpo
(animismo di Tylor). Tutte le culture conosciute sono dualiste: animismo e dualismo si legano
strettamente all’universale religioso della vita dopo la morte. La credenza delle persone in una vita dopo
la morte, così come molte delle domande esistenzialiste, apre una porta alla comprensione
dell’evoluzione della cognizione sociale umana.
Le credenze religiose coinvolgono anche l’immaginazione morale e le pressioni del mondo sociale. Le forze
culturali e sociali che conducono alla religiosità sono molto forti e determinano se è come gli individui diventano
religiosi. Gli esseri umani sono propensi a credere a ciò a cui gli altri credono e a credere ciò che apprendono
dagli altri. Molti sociologi e antropologi sono concordi nell’affermare che le credenze religiose possono essere
contagiose e diffondersi. Esistono due tipi ideali di credenze:
- Intuitive: quelle credenze che gli umani basano sulle proprie esperienze e che derivano da meccanismi
percettivi e inferenziali innati
- Riflessive: le credenze che acquisiamo dagli altri e dalla tradizione, assunte quando esiste una base solida
e razionale per dare fiducia alla fonte della credenza
Le credenze e le rappresentazioni religiose sono spesso caratterizzate dalla violazione delle aspettative fisiche,
biologiche e psicologiche rispetto alle rappresentazioni del mondo reale. Boyer ha stilato un catalogo delle
tipologie di credenze religiose e di rappresentazioni di possibili agenti sovrumani (es. persone/spiriti invisibili,
animali che leggono la mente, oggetti naturali o artefatti viventi).
Le credenze sono sia fatti psicologici in quanto rientrano nel dominio della i-religion, sia fatti sociali nel momento
in cui esse sono sostenute da individui che le distribuiscono nella società. Le credenze sono idee, concetti, modelli
e schemi che esistono nella cultura, possono essere oggetto di appropriazione, possono essere coltivate, criticate
o ridefinite nella loro trasmissione per poi essere interiorizzate nella comprensione. Esse divengono gli elementi
costitutivi del comportamento e sono in grado di circolare in continuazione. Per questa ragione, le credenze nella
i-religion sono anche parte integrante della e-religion.
Geertz afferma come l’esperienza umana sia modellata dalla religione come autorità cognitiva e pervasiva che
fornisce convinzioni in merito a cosa sia reale, attraverso l’impiego di un certo complesso specifico di simboli. Le
credenze possono essere suddivise nella misura in cui la religiosità (dedizione a una prospettiva religiosa) agisce
come autorità cognitiva nell’esistenza umana, variando dal minimo di spiritualità alla completa immersione.
- Costitutive: derivate direttamente dai postulati sacri basilari
- Regolative: coinvolte nel controllo del comportamento, del pensiero e dell’emozione (le prescrizioni sui
cibi impuri hanno un effetto regolativo sulle esperienze e i comportamenti dei seguaci di quella
tradizione)
In quanto organismi bioculturali, la cognizione biologica degli esseri umani funziona in relazione a valori e norme
sociali, culturali e religiose; queste ultime sono strettamente connesse con i rituali e le istituzioni religiose.
Pratiche
Lo studio delle credenze e delle pratiche come elementi del fenomeno religioso ha acceso un dibattito tra:
- Teologi, storici delle religioni e filosofi che tendono a vedere il rituale subordinato alla credenza, la quale
diventa elemento primario e necessario per conferire significato al rito.
- Sociologi e antropologi che hanno, al contrario, enfatizzato la natura coesiva e le funzioni del rituale,
individuando una priorità del rituale sulla credenza
Il posizionamento di chi conduce l’indagine è importante perché determina la selezione dei dati, la direzione
dell’analisi e i fondamenti per interpretazione, spiegazione e comprensione.
Lo studio dei rituali è stato spesso oggetto di un pregiudizio cristiano proveniente dalla concezione teologica
protestante per il quale gli esseri umani non possono salvare sé stessi mediante le opere perché solo Dio può
amministrare la grazia. In realtà il rituale investe un’importanza elevata.
Le pratiche rituali possono presentare prospettive teoriche estremamente differenti: alcune si focalizzano sulla
pietà come strumento per i credenti che intendono connettersi al loro Dio, dall’altro alcune si focalizzano sul
rituale come meccanismo di controllo sociale e di esercizio del potere. Tuttavia, Durkheim osserva come tutti i
rituali rappresentino le varie modalità della pratica umana relativa a cose sacre, sia durante il passaggio rituale
tra profano e sacro, sia nel mantenimento della sacralità (autorità) stabilita da una tradizione religiosa e del
legame con l’altro mondo.
Tra i vari teorici del rituale troviamo:

- Tylor e Frazer: interpretarono i rituali come resti delle prime fasi della religione primitiva. La loro
interpretazione si fondava sulla teoria dell’animismo, per cui animali, piante e oggetti inanimati
sarebbero dotati di un’anima. Per questi evoluzionisti, il rituale dimostrava l’esistenza di antiche e
primitive sopravvivenze nei successivi stadi della cultura e persino nella religione contemporanea. Le
loro interpretazioni sono intellettualiste, nel senso che i rituali riflettevano una visione di comprensione
del mondo, e letteraliste, perché i rituali erano considerati capaci di operare effettivamente sul mondo.
- Myth and ritual school: la presenza delle forme rituali era utilizzata come tentativo per risolvere l’enigma
rappresentato ai miti. Se si poteva rintracciare indietro nel tempo un rituale corrispondente, poteva
essere scoperto il significato originale del mito. Questo approcciò fu molto influente, ma non contribuì
alla soluzione del problema rituale. Si scoprì che era difficile trovare i rituali corrispondenti ai miti.
- Robertson Smith: rituali come strumenti per incrementare la coesione sociale nei gruppi religiosi.
Indagò le forme antiche del sacrificio e scoprì che il loro scopo non era solamente quello di offrire doni
agli dèi, giacché il sacrificio rappresenta anche una comunione tra dio e i suoi adoratori, attraverso una
partecipazione congiunta nella carne e nel sangue di una vittima sacra.
- Durkheim: riprese le teorie di Robertson Smith, mettendo in evidenza come i rituali funzionano
sanzionando i doveri del gruppo e che esercitano una forza sociale poiché si riferiscono ad agenti
sovrannaturali e tengono insieme le comunità per mezzo di disposizioni comuni. Ancora una volta, i
rituali non riguardavano tanto gli dèi, quanto gli esseri umani. Questo approccio presentava un nuovo
modo di concepire il rituale che sembrava avere senso.
- Mauss: diffuse le idee sulla natura sociale del rituale, considerandole una modalità di comunicazione,
una forma di scambio simbolico per mezzo del quale esseri umani e sovraumani potevano essere tenuti
insieme per garantire il sostentamento del mondo. Il suo modello considerava importante l’ambito
sovraumano. Ad uno sguardo più ravvicinato si può notare che tutte le religioni operano sulla base dello
stesso principio, sia che gli esseri umani sacrifichino bestiame, fiori o che rappresentano loro stessi o
che mormorino preghiere. La condizione necessaria è che gli esseri umani vivano in accordo con le regole
legate ai postulati sacri basilari.
- Malinowski: egli si concentrò sulle funzioni e sugli aspetti psicologici dei rituali nel suo lavoro sul campo
tra gli abitanti delle Isole Trobriand in Melanesia. Sperando di mostrare come le pratiche rituali fossero
una speciale modalità di comportamento, un’attitudine pragmatica costruita allo stesso modo sulla
ragione, sul sentimento e sulla volontà. I rituali erano infatti pragmatici, esercitavano funzioni e
producevano effetti, tanto nella magia che nella religione. Questa visione interpreta i rituali e la religione
come modi di operare nel mondo. I partecipanti al rituale credono che questi abbiano effetti causali sullo
stato del mondo a vari livelli: non solo su quello materiale, ma anche quello mentale, sociale e
sovrannaturale. Questi effetti multi-livello del rituale sono comunemente chiamati efficacia.
- Arnold Van Gennep: riconobbe che i rituali possiedono forme e strutture distintive; egli scoprì che i
rituali, specialmente i riti di passaggio, possiedono una struttura sequenziale tripartita comune,
caratterizzata da una fase di separazione, di transizione e di reintegrazione. Questo modello può essere
ulteriormente perfezionato giungendo a cinque fasi, nel quale la transizione è chiamata liminale (soglia).
Il significato del rituale è un tema complesso e dibattuto. Sebbene sia possibile trovare rituali apparentemente
privi di significato, la maggior parte di questi sono significativi e possiedono scopi.

- I rituali possono avere una ragione in sé stessi


- Gli individui possono avere una ragione per eseguire i rituali
- Le alterità possono avere una ragione nel far eseguire rituali agli individui
- Le società possono avere ragioni per far eseguire alle persone certe azioni al fine di ottemperare a norme
e pratiche stabilite.
Il significato rituale si presenta in molte forme e sfumature. Ci si riferisce alla ricerca del suo significato come a
una descrizione densa, termine che indica la descrizione di una gamma di interpretazioni relative alle intenzioni
coinvolte nell'azione e nella comunicazione umana.
Spesso gli autori dei rituali sono nascosti e gli studiosi non sono in grado di svelare chi siano i loro costruttori.
La maggior parte delle tradizioni religiose afferma che all’origine dei rituali ci sono gli dèi, gli antenati o altri
agenti sovraumani noti alla tradizione. L'agente responsabile è dunque in genere immaginato come appartenente
all’antichità, dotato di autorità e potere.
I rituali non sono costruiti in maniera casuale ma esistono schemi e principi; il significato dei rituali sta nel fatto
che essi contengono un programma che ha lo scopo di rendere possibile uno specifico risultato mediante una
sequenza di azioni. I rituali operano, hanno efficacia, solo se sono eseguiti nel modo corretto. I cambiamenti nella
performance rituale spesso portano alla creazione di nuovi gruppi religiosi. Le modalità prescritte di performance
rituale non sono codificate dai partecipanti stessi, ma fornite da agenti sacri dotati di autorità. Le intenzioni di un
rituale sono parte del programma e chiunque voglia beneficiare dell’efficacia del rituale deve sottostare a ruoli e
obblighi, indipendentemente dagli stati mentali dei suoi partecipanti. Di conseguenza, i rituali sono
manifestazioni di intenzionalità collettive da parte del gruppo perché esprimono il modo in cui il gruppo desidera
collettivamente gestire una specifica situazione. Per i partecipanti, l’atteggiamento rituale significa delegare la
fonte delle proprie azioni alla prescrizione rituale.
I rituali sono azioni archetipe, ovvero rappresentano un modello. I singoli rituali non sono autonomi poiché, in
quanto prodotti socioculturali umani, fanno parte di cicli rituali più ampi. Molte società hanno complesse
composizioni ritualistiche che si sviluppano anche su lunghi archi temporali e aree geografiche.
Gli esseri umani hanno l’abilità di immaginare il mondo come lo vorrebbero e come potrebbero effettivamente
essere in grado di controllarlo per i propri scopi; secondo il filosofo Ludwig Feuerbach questa brama si manifesta
nella religione. Una delle funzioni caratteristiche e fondamentali dei rituali è trasformare (mantenere, controllare
o modificare) tutte quelle cose che sono in relazione con l’altro mondo in modo tale che appaiano alla portata
pratica e strumentale degli esseri umani, affinché questi ultimi siano in grado di gestire e manipolare determinate
situazioni. L’estrema fluidità cognitiva offerta dall’evoluzione ha convinto gli esseri umani che è il mondo a
cambiare e non il loro apparato mentale (fluidità ontologica: riguardo alla conoscenza della realtà). Durante un
rituale, le ordinarie categorie di tempo, spazio, azioni, agenti, oggetti, status e significato vengono ricreate come
sacre e impiegate allo scopo di rendere gli esseri umani in grado di riorganizzare le proprie percezioni e
concettualizzazioni sul mondo pensato e operare così in un mondo tangibile.
Una tipologia rituale è caratterizzata da elementi che fanno emergere questa fluidità ontologica che permette agli
esseri umani di operare sul mondo, attraverso quelle capacità umane di immaginazione e proiezione
estremamente flessibili:
- Linguaggio: in molte tradizioni religiose il linguaggio utilizzato nel rituale appare totalmente diverso dal
linguaggio ordinario. Spesso viene utilizzata una lingua completamente differente, una forma differente
della stessa lingua, o un linguaggio degli spiriti, completamente privo di senso (formule magiche). Il
linguaggio rituale è utilizzato con differenti intonazioni o prosodia (tono e voce) per segnalare ai
partecipanti che sta accadendo qualcosa di speciale. Nelle forme del linguaggio rituale vengono inclusi
termini di adorazione, cortesia e rispetto, che vanno a regolare per certi versi anche il comportamento
sociale umano (pregare in luoghi solenni). Con il linguaggio la distinzione tra sacro-profano può essere
espressa in modi diversi
- Segni e significato: per l’analisi delle forme e delle funzioni rituali è importante la distinzione tra icona,
indice e simbolo (guarda su ↑). In un rituale, queste tre tipologie di segni hanno una natura multi-vocale
e possono convertirsi in segnali, ovvero segni caratterizzati non da un referente ma da una funzione, i
quali innescano delle reazioni: azioni collettive, emozioni o passaggi di status (nel rituale di abluzione
islamico wudu il lavaggio di parti del corpo trasforma l’attore da impuro a puro; nella tradizione cristiana
la transustanziazione converte l’ostia consacrata nel corpo di Cristo).
- Reciprocità: tutte le tradizioni religiose hanno elaborato regole per mantenere e rafforzare accordi con
gli dèi affinché i contatti e i benefici con l’altro mondo possano continuare a scorrere. Questo accordo
viene chiamato reciprocità rituale (o scambio simbolico): gli agenti sovraumani donano beni di ogni
genere agli esseri umani, i quali devono fare qualcosa in cambio per onorare il contratto (oggetti, doni,
preghiere, manifestazioni di condotta. I doni portano con sé obblighi, sia per il donatore che per il
ricevente. Queste forme di comportamento simbolico sono comunicative e fanno da mediatori tra due
mondi.
- Performance: la comunicazione rituale possiede una dimensione performativa, ovvero fa qualcosa. Le
tipologie di comportamento rituale impiegate sono spesso spettacolari, ricche di simbolismo e si
manifestano come rappresentazioni che hanno un valore sociale e culturale. Vengono messi in
circolazione idee, valori, codici e pratiche importanti per la cooperazione e la solidarietà del gruppo ma
soprattutto per dimostrare la propria fedeltà e appartenenza alla comunità
Più nello specifico, lo spazio rituale in cui questi elementi si intrecciano deve essere delimitato rispetto al resto
del mondo. I rituali sono azioni speciali eseguiti in occasioni speciali, pertanto è necessario osservare delle
caratteristiche che contribuiscono a demarcare i rituali in contrasto con le azioni ordinarie:
- Violazione dell’ordinario
- Efficacia (effetto immaginato e metafisico del rituale)
- intenzionalità invertita (intenzione sul mondo desiderato rispetto all’accettazione del mondo così com’è)
- Modulazione crescente e decrescente (dissoluzione del tempo e dello spazio; in un rituale passato e
presente sono paralleli)
- Controllo rituale (rituale monitorato ed eseguito rigorosamente attraverso schemi, sequenze, e ruoli)
- Grammatica inversa (per garantire una comunicazione non usuale)
- Sostituzione di struttura (effetto di prossimità con l’altro mondo: ciò che succede nel mondo ordinario
ha effetto anche nell’altro).
Anche le categorie di agenti rituali sono estremamente variabili: possono essere persone, gruppi, istituzioni,
oggetti, artefatti, agenti defunti, agenti immaginari. Gli agenti rituali possiedono poteri che superano l’ordinario;
possono essere:
- Umani: soggetti attivi che hanno speciali, contro intuitive, percezioni e cognizioni in modo che possono
vedere cose altrimenti nascoste. Essi possono avere una diretta esperienza del e una comunicazione con
‘altro mondo; ciò fornisce loro anche status, autorità o poteri speciali, nonché legittimazione per ruoli e
compiti speciali nella gerarchia sociale
- Strumenti: oggetti o artefatti con capacità speciali e tipicamente contro intuitive; differenti artefatti
rituali e oggetti rituali possono essere soggetti attivi, e possiedono dunque una percezione e una
cognizione del pensiero e della volontà umani, e possono agire intenzionalmente, per esempio portando
benedizioni o producendo disastri. Ovviamente il ruolo, lo status, l’autorità e il potere, l’efficacia di tali
oggetti deriva dalla loro stretta relazione con l’altro mondo
- Soggetti passivi: spesso nella forma di un paziente di un rituale di guarigione o un iniziando. La passività
non deve essere sottovalutata, poiché la trasformazione di tali oggetti può essere lo scopo dell’intero
ordine culturale e rituale. I soggetti passivi sono l’elemento più importante: trasformare lo status
ontologico o sociale di qualcuno, trattando il soggetto come oggetto.
I rituali sono cognitivamente significativi perché vanno al di là dalle azioni ordinarie. Tuttavia, le funzioni
cognitive e le emozioni coinvolte funzionano sempre allo stesso modo, benché vengano regolati dalle
performance rituali attraverso il simbolismo con cui l’essenza delle cose viene violata, sostituita o trasformata.
Emile Durkheim si riferisce all’intensificazione delle emozioni nel rituale con l’effervescenza rituale nei riti
comunitari che muta le condizioni dell’attività psichica della collettività: gli uomini percepiscono le passioni più
vive, le sensazioni più forti, non si riconoscono più, si sentono trasformati. Trovarsi nello stesso luogo venendo
esposti agli stessi eventi può creare un’esperienza di condivisione e di costruzione identitaria. I rituali sono
profondamente coinvolti nella gestione dell’interazione e della sincronizzazione umana. Il mondo in cui il rituale
opera sulle menti e sui corpi degli individui dipende dall’informazione e dall’apprendimento culturali della
tradizione
La segnalazione rituale permette alle rappresentazioni collettive e istituzioni sociali di unirsi alla cognizione e
all’emozione individuali, evidentemente collegando e-religion con i-religion. Un'altra funzione del rituale è,
infatti, quella di regolare le relazioni umane con l’ambiente. Sembra che l’evoluzione culturale umana sia
fortemente dipesa dalla religione e dal rituale, in quanto entrambi forniscono reti condivise di pratiche e forme
coordinate di cognizione e motivazione. In base al rapporto che le religioni instaurano tra individuo e collettività,
le funzioni del rituale possono essere:
- Sociali positive: quando i partecipanti beneficiano delle espressioni di identità collettiva e morale
comune: integrazione, adattamento, supporto ma operano principalmente per un gruppo.
- Assortativi: quando separano i gruppi e dunque sono causa di conflitti o effetto dei conflitti stessi.
Le funzioni del rituale beneficiano sia il dominio della e-religion che quello della i-religion: se da una parte
possono emergere fenomeni di inclusione e appartenenza a livello individuale e sociale, dall’altra c’è la crescita e
la riproduzione delle istituzioni e delle organizzazioni a livello istituzionale, politico ed economico. Più i membri
si dedicano al rituale, meglio sarà per l’istituzione o per l’organizzazione
I riti di passaggio
L’antropologo Arnold van Gennep coniò l’espressione riti di passaggio nel 1909 enfatizzando i rituali nei quali
l’elemento del passaggio era chiaramente visibile. Questi movimenti sono presenti in tutti i rituali e la maggior
parte di essi rimarca qualche tipo di transizione soggettiva e oggettiva attraverso dei confini (per esempio, dal
profano al sacro). Questa intenzione di cambiamento di stato rappresenta l’interesse rituale della pratica, ovvero
il programma strutturale soggiacente alle varie tipologie di rituale. L'interesse rituale si presenta in molte e
complesse raffigurazioni, spesso attraverso l’attribuzione di emblemi o status. Possiamo notarlo, ad esempio, nei
riti di iniziazione: essi sono trasformativi e integrativi quando modificano lo status degli individui e li configurano
come membri della collettività, ma nel fare questo confermano anche il permanere e il valore della collettività
stessa. Similmente, i rituali interessati nel mantenimento dello status quo e nella conservazione tendono a
evidenziare la transizione enfatizzando che le cose non sono cambiate. I riti di passaggio possono manifestare
con regolarità una zona di liminalità, una sorta di ambiguità del disorientamento che si verifica nella fase
intermedia di un passaggio, quando i partecipanti non mantengono più il loro stato pre-rituale ma non hanno
ancora iniziato la transizione allo stato che terranno quando il rito è completo, laddove la possibilità della
manipolazione rituale e dell’operare sul mondo implica pericoli in caso le cose vadano male. Tali situazioni
richiedono un “controllo rituale”: più controllo esiste, più esso si rivela importante per i partecipanti e per gli
scopi in esso implicati. È possibile che l’esecuzione dei rituali venga richiesta da esperti rituali specificatamente
deputati all’incarico.
Magia
Magia è un termine comunemente contestato all’interno dello studio delle religioni; per molto tempo è stato
usato per distinguere la vera religione da una forma degenerata di religione o dalla falsa superstizione. Molti
teorici della magia hanno sostenuto una distinzione tra religione e magia:
- Frazer: la religione come credenza in esseri soprannaturali che governano il mondo, implica una natura
soggetta a cambiamento attraverso la conquista della benevolenza degli dèi; al contrario, la magia, come
la scienza, parte dal presupposto che la natura sia rigida e invariabile
- Durkheim: il mago è uno specialista rituale che non è responsabile di una congregazione (Chiesa) ma ha
una clientela di individui paganti con cui non esistono vincoli durevoli.
Nonostante Frazer sostenne la distinzione tra religione e magia, egli individuò due principi fondamentali del
pensiero magico, principio metaforico (associazione mentale basata sulla somiglianza) e principio metonimico
(associazione mentale basata sulla contiguità). Questi due sistemi non valgono solamente per il pensiero magico,
ma rappresentano le operazioni cognitive di base soggiacenti a tutto il pensiero religioso.
Difatti, ci sono molte caratteristiche comuni tra religione e magia, essendo entrambe concetti astratti attraverso
i quali cogliamo aspetti del comportamento umano: magia e religione utilizzano operazioni mentali e forme delle
pratiche rituali che sono simili
- Sorensen: teoria della metafora e della combinazione cognitiva secondo cui la magia prevede l’intenzione
di voler cambiare qualcosa nel mondo secondo i propri desideri, attraverso azioni che normalmente, al
di fuori dell’ambiente magico-rituale, non sarebbero considerati ovvi perché rappresentano un tipo di
mediazione di causalità opaca. Magia e religione non sono due sistemi che si oppongono; la magia è un
modo particolare di comportamento rituale che si manifesta al di fuori dei rituali religiosi stabiliti,
sollecitando la creazione di nuovi sistemi di credenze e istituzioni religiose oppure provocando la
rivalutazione e il cambiamento di strutture rituali già stabilite.
Istituzioni
Credenze e pratiche convengono e si consolidano nelle istituzioni sociali e culturali che governano etica, morale
e norme nel pensiero e nel comportamento nelle tradizioni religiose. Un'istituzione può essere definita come una
“rete di norme, regole e valori” con potere deontico (prescrittivo). Nelle società tradizionali, le istituzioni
normative religiosamente fondate sono state strumentali al governo e alla regolazione dei sistemi sociali. La legge
era vista come istituita dagli dèi e dunque anche le regole della gerarchia sociale e del potere politico, così come
quelle etiche e morali: giusto e sbagliato, bene e male erano dati da e attraverso l’ambito sovraumano del mondo
altro. Una società post-tradizionale, o moderna, esiste quando la legittimità, l’autorità della religione scompare,
declina o emerge come una sfera separata dalla società, acquisendo valore specifico. Nelle società
tradizionalmente governate, non ci sarà un termine specifico equivalente a religione: quello che potrebbe essere
definito come tale indica solamente come stanno le cose nella società tradizionale. La mente degli esseri umani
possiede una funzione sociale che produce intenzionalità collettiva, per la quale gli individui sono in grado di
trovare un accordo intorno a idee, progetti, valori e status delle cose. Questa è una condizione che permette la
costruzione dei mondi e delle strutture sociali umane. Quindi, tutto quello che viene inteso come status lo è
perché le persone concordano sulle regole di queste (ex. pezzi di carta possono valere come denaro se gli esseri
umani trovano un accordo su questo, la sua esistenza dipende dalla nostra attitudine intenzionale collettiva nei
suoi confronti). Possiamo operare una distinzione tra:

- Regole costitutive poiché rappresentano le condizioni di esistenza di qualcosa: esistono, quindi, regole
costitutive per tutti gli aspetti del nostro mondo sociale.
- Regole regolanti dicono invece cosa fare. Tutto questo rientra all’interno delle religioni, sebbene nessun
filosofo se ne sia occupato molto.
Tutte le tradizioni religiose abbondano di regole, alcune più di altre, ma la funzione sociale di base delle regole e
della religione è strutturare la vita umana: ovunque un individuo diventa una persona perché è stato incorporato
nel mondo sociale degli altri. Le regole possiedono potere deontico: ci fanno o non ci fanno fare cose. La religione
è una realtà istituzionale creata attraverso la rappresentazione linguistica ovvero attraverso il linguaggio come
mezzo creativo. Le istituzioni dei mondi sociali sono costruire attraverso un meccanismo di proiezione, attraverso
cui i fenomeni soggettivi raggiungono lo status di realtà collettive, sociali e reali quando vengono largamente
accettate. Le istituzioni formano una sorta di linguaggio o “grammatica” di norme sociali relative a ciò che è
considerato, per esempio, legale, etico, impuro, blasfemo. Le istituzioni richiedono agli esseri umani un certo
grado di ordine e di struttura.
In contrasto con le istituzioni, vi sono le organizzazioni, le quali consistono in una cooperazione formalizzata tra
individui e gruppi che facilita certe tipologie di azione. Un gruppo religioso funziona come un’istituzione quando
istruisce i suoi membri su visione del mondo ed ethos adeguati e come organizzazione quando alcuni membri del
gruppo sono leader mentre altri sono semplici laici e vengono definite delle regole per stabilire in che modo si
possa divenire un membro di quel dato gruppo. La Chiesa cattolica è sia un’istituzione sia un’organizzazione con
una sede, una gerarchia e delle regole di appartenenza.
Le istituzioni possono anche essere di tipo rituale, essere continuative e durature, o invisibili finché non vengono
messe in atto. I rituali rappresentano il versante espressivo delle istituzioni sociali. Questo significa che molte
istituzioni sociali possono restare invisibili per lungo tempo, per poi essere attivate e divenire visibili quando
rilevanti o essere così comuni da passare inosservate.
Le istituzioni, quindi, regolano e governano le vite degli esseri umani, che sia individualmente e collettivamente,
consciamente e inconsciamente. Secondo Durkheim, le istituzioni e i corrispondenti sistemi di classificazione
sono fatti sociali che possiedono una forza coercitiva sugli esseri umani in società. Le istituzioni sociali risiedono
negli esseri umani senza che essi ne siano consapevoli, perché sono ciò che sono, sono date per scontate e il loro
potere deontico non è messo in discussione. Le istituzioni operano all’interno dei sistemi classificatori degli esseri
umani, fornendo norme, regole e valori di una certa visione del mondo., attraverso narrazioni mitiche e fondative,
messe in pratica nei rituali. Le cosmologie religiose sono costruite, ad esempio, attorno alla distinzione tra sacro
e profano, che implica l’istituzione e il mantenimento dei confini attraverso norme e regole. Esempi di istituzioni
religiose omnicomprensive, complesse e resilienti possono essere trovate nelle norme e nei sistemi inerenti la
purità e l’impurità: come afferma Mary Douglas la definizione di sporcizia sia una faccenda fuori posto, qualcosa
che necessita di un’ordinazione culturale e di una classificazione sistematica. In quanto soggetti percipienti noi
selezioniamo gli stimoli e tendiamo a creare modelli e schemi. Douglas afferma che con il passare del tempo e
con l’accumularsi dell’esperienza, noi facciamo sempre affidamento maggiore a quello che il nostro sistema di
schedatura, costruendoci una tendenza stabile che dà fiducia. Dunque, le istituzioni sociali e culturali servono da
memoria collettiva e da appigli cognitivi utili per organizzare l’esperienza. Le istituzioni diventano fondamentali
perché contengono gli schemi per l’azione.
Le istituzioni non solo regolano, ma sono fatte di codificazioni di ruoli. Pertanto, sono connesse con questioni di
potere e autorità. Religione, economia e politica sono spesso collegate. Solo con l’avvento della società moderna
sono emerse separazioni. Weber si è occupato delle questioni connesse a religione, autorità e potere,
distinguendo tre tipologie di autorità e leadership:
- Il leader tradizionale: trae la propria autorità dalla tradizione
- L’autorità legale: si basa sui sistemi di leggi e regole e le persone a cui è affidato un incarico sono
nominate o elette secondo procedure legali
- L’autorità carismatica: sorge dal carisma personale che viene attribuito dai seguaci ai leader. Il carisma
è considerato intrinseco alla personalità del leader, ma ad un’indagine più ravvicinata risulta evidente
che lo status carismatico è una funzione della venerazione dei seguaci. Nel momento in cui il leader
muore, i successivi guadagnano la propria autorità attraverso una posizione o incarico di autorità.
Poiché le tradizioni e le istituzioni religione funzionano nella società, sono invischiate nell’economia e nella
politica. Le funzioni economiche delle istituzioni religiose possono essere numerose e diverse: dalle decisioni sul
tipo di cibo che viene prodotto e consumato, fino alla distribuzione delle elemosine ai poveri, delle risorse, quali
i terreni di caccia e le zone di pesca, così come nella distribuzione di prede, raccolti o coltivazioni. Molte tradizioni
religiose del mondo antico possono essere viste come istituzioni assicurative, sia individuali che collettive.
Nella situazione contemporanea, in cui la religione e la politica sono facili da distinguere, le scienze sociali e
politiche hanno elaborato due differenti tipi di relazione tra religione, politica ed economia:
- Secondo la teoria della corrispondenza o del simbolismo, la religione sarebbe dipendente da cause
politiche ed economiche.
- Secondo una visione idealista sarebbe la religione a causare effetti politici ed economici, in quanto
considera le idee rappresenterebbero la forza guida della vita umana.
Come dimostra la storia, si sono osservate molte pressioni economiche e politiche sulla tradizione religiosa;
quindi, sembra in realtà che molti elementi relativi alla religione siano sia causali che causati.
Le tradizioni religiose, dunque, costituite da istituzioni, possono essere viste come veicoli di gestione sociale: il
fatto sorprendente è che, sebbene molti rituali e credenze non siano intellegibili ai partecipanti (nel senso che
essi sanno quali sono le ragioni che vi soggiacciono), questi sono significativi per i partecipanti per la questione
identitaria. Le istituzioni funzionano come stabilizzatori collettivi che permettono la costruzione di codici, norme
e istituzioni sociali abituali. Gli esseri umani condividono la capacità unica di avere obiettivi e di cooperare
secondo piani e nel rispetto di norme e regole. Le istituzioni sociali sono strumenti cognitivi dotati di forza perché
conservano impegni normativi e regolanti quando queste sono interiorizzate collettivamente dai membri di una
società collettivamente quando le regole costitutive e regolanti sono interiorizzate dai partecipanti. Sono tipi di
tecnologie mentali e sociali che possono essere utilizzati per governare pensieri ed emozioni.
In particolare, le istituzioni religiose regolano l’appartenenza al gruppo religioso e le relazioni con gli altri gruppi.
Le relazioni tra individui e gruppi possono assumere qualsiasi forma, ma sono sempre regolate, ad esempio, da
atti di inclusione che potrebbero dover passare attraverso lunghi rituali o prove dogmatiche. L’identità di gruppo
è importante nella maggior parte delle comunità religiose; questa viene affermata attraverso segni e simboli
religiosi. In molti casi le istituzioni del gruppo forniscono anche identità etnica. La segnalazione di aderenza al
gruppo sottolinea una differenza cruciale. In antropologia, il totemismo è stato per qualche tempo considerato
un caso speciale e importante di identità di gruppo grazie al celebre simbolismo animale utilizzato per pensare ai
processi di differenziazione sociale.
Le istituzioni religiose che forniscono identità sociale hanno importanti funzioni anche nell’ideologia dei
partecipanti. In vite regolate dalle istituzioni e dai rituali associati, gli esseri umani sono in grado di cogliere il
proprio posto e il proprio destino nella vita. Tutto questo ha luogo all’interno della cornice delle istituzioni che
governano la vita sociale. Le istituzioni governano, dunque, come “pensiamo”. Quando gli esseri umani sono
religiosi, le cornici interpretative religiose hanno la precedenza, e governano le funzioni cognitive normative.
Linguaggio e dogma
Il linguaggio è un’istituzione fondamentale e rappresenta lo strumento primario che gli esseri umani utilizzano
quando creano agiscono all’interno di altrettante istituzioni sociali. Il linguaggio stesso è convenzionale, carico
di valore e governato da regole. La religione è stata profondamente coinvolta nel linguaggio e nel modo in cui il
esso viene utilizzato, in quanto influenza il modo in cui gli esseri umani pensano attraverso la cultura. L’influenza
del linguaggio sul pensiero e sulla cognizione ha rappresentato un tema controverso per linguisti, antropologi e
filosofi. I culturalisti hanno suggerito che la lingua determini interamente il proprio mondo; gli innatisti hanno
negato qualsiasi influenza del linguaggio sul pensiero. Entrambe le affermazioni sono reali in quanto i bambini
hanno disposizioni innate a comprendere le lingue, ma queste sono diverse, in quanto comprendono e danno
vita a specifiche reti culturali e di norme e visioni del mondo.
La maggior parte dell’apprendimento linguistico prevede l’acquisizione di convenzioni e nondimeno di
convenzioni religiose. Tradizionalmente linguaggio e religione si muovono insieme nell’acquisizione di quella
che è la cultura. Tomasiello osserva come imparando una lingua venga fuori molto più che solo il linguaggio, in
quanto esso è ricco di metafore e simbolismo. I discorsi religiosi costituiscono un esempio emblematico. Essi
presentano alcune particolarità in contrapposizione con il linguaggio ordinario. Il linguaggio religioso è permeato
di autorità trascendente e incontestabile che deriva dalla relazione con i postulati sacri basilari. I discorsi religiosi
dipendono da ierofanie (manifestazioni, rivelazioni del sacro) che proclamano il loro contenuto veritativo
secondo il modello “ciò che è scritto in questa scrittura è vero perché questa scrittura è vera”. Il linguaggio
religioso è quindi un tipo di linguaggio circolare che si autentica da sé. Il discorso mitico non può essere misurato
con parametri di verità razionali poiché esso stesso diventa l’unico vero parametro per misurare tutto ciò che è
reale. Sebbene utilizzi le basi del linguaggio quotidiano ordinario (grammatica e sintassi), il linguaggio religioso
è connesso alla fondazione della visione del mondo a cui si riferisce; assume carattere fondativo, normativo e
sociale.
Quando le tradizioni religiose si trasformano da orali a scritte, emergono nuove possibilità per conservare le
narrazioni e i discorsi come strumenti per la salvaguardia di una memoria collettiva esterna. Le stesse possibilità
e le varie modalità di conservazione di una memoria collettiva esterna hanno generano anche strumenti di
riflessioni, analisi, critica, diniego, dibattito, dissenso. Nei casi più impressionanti di variazioni e combinazioni
di tradizioni differenti e dei loro elementi, la nuova tradizione che ne deriva è chiamata sincretismo. Molte
religioni sono sincretistiche poiché si compongono di ingredienti e influenze provenienti da forme differenti.
Tuttavia, la tradizione religiosa tende a negare questo fatto, insistendo sulla propria originalità. Simile negazione
è tipica del discorso religioso ed è una componente integrale nella costruzione delle autorità. Una delle
caratteristiche principali del discorso religioso è, infatti, a dichiarazione della propria infallibilità. Nelle tradizioni
letterarie, ad alcune raccolte di scrittura vengono attribuiti speciale autorità e valore di verità: in alcuni casi
perché il soggetto parlante del testo è considerato la stessa divinità suprema o perché il testo contiene rivelazioni
speciali o altro sapere considerato di grande valore. La maggior parte delle tradizioni letterarie ha operato
attraverso molte fonti e diverse versioni: a seguito di lunghi processi storici, certe versioni sono state scelte o
designate come canone. Il testo canonico viene detto chiuso quando non è più permesso modificarlo. I testi
canonizzati solitamente vengono chiamati textus receptus (testo ricevuto) e in quanto tale possiedono la massima
autorità. Molto spesso, tracce di correzione vengono camuffate o versioni reputate non originali vengono
eliminate. Nel giudaismo, nel cristianesimo e nell’islam, come in altre più recenti tradizioni, ci sono stati
innumerevoli disaccordi tra i diversi gruppi per decretare la versione o l’interpretazione corretta delle sacre
scritture. Ad esempio, nel cristianesimo sono emersi dibattiti in merito a quali scritture dovessero essere incluse
nella Bibbia, tant’è che ancora oggi le versioni principali delle varie chiese cristiane non sono identiche. Le
scritture escluse dalle versioni canoniche vengono chiamate apocrife (dal greco “cose nascoste”). Un esempio ne
sono i testi gnostici dei primi secoli d.C. Gli gnostici, dall’identità incerta, credevano nella gnosi, nella conoscenza
del sé, della natura spirituale del cosmo e dell’illuminazione mistica che conduce alla liberazione dell’esistenza
materiale, promuovendo un'immagine degli umani come esseri divini. Ovviamente, tali idee mettevano in
discussione l’autorità degli insegnamenti cattolici, così come l’istituzione e l’organizzazione della Chiesa
emergente. Allo stesso modo, nella tradizione islamica, sono circolate storie relative alla cancellazione di alcuni
versetti del Corano o di capitoli supplementari aggiunti in alcune versioni. La formazione di canoni approvati
non sembra solo una questione legata alla devozione ma spesso è connessa con questioni politiche. Accordi e
disaccordi sono in genere causati da autorità, gerarchie, controllo e potere.
In ogni caso, i discorsi sacri offrono ottime ragioni cui gli umani dovrebbero prestare attenzione in quanto
forniscono sapere. Sono molte le narrative scritturistiche che svelano informazioni, riguardanti un’apocalisse,
per cui i testi diventano “agenti sovraumani con una piena conoscenza strategica”. Alle conseguenze morali
appartiene il genere escatologico (conoscenza delle cose ultime) perché le concezioni riguardanti il destino dopo
la morte, il giudizio, il paradiso e l’inferno, rappresentano ammonizioni e avvertimenti ai membri della comunità.
Etica e morale
Tutti i sistemi religiosi e tutte le culture hanno regole di condotta. Le modalità di un comportamento prescritto
sono spesso immaginate come una via da seguire; esistono concezioni simili in molte religioni, da quella cristiana
a quella musulmana. La religione è vista comunemente come la fonte principale dell’etica e della morale umana,
poiché riguarda idee e pratiche relative a quello che viene considerato giusto e quello che viene considerato
sbagliato. La recente ricerca in psicologia morale ha dimostrato, invece, come le disposizioni morali siano innate
e come queste, insieme all’etica, vadano considerate come un unico fenomeno biologico e socioculturale. Gli
esseri umani presentano “intuizioni morali” innate così come “riflessioni morali” apprese. Di conseguenza, la
religione è il risultato culturalmente evoluto della morale umana, innata e appresa.
L’emozione è un fattore cruciale all’interno delle priorità intuitive degli esseri umani; essi creano modelli di
reazione emozionale che possono diventare oggetto di riflessione nelle tradizioni religiose, poiché mirano a
fornire una regolazione delle emozioni rispetto agli antenati o alla famiglia, ai sacerdoti, alle scritture.Secondo
La psicologia della morale ha individuato cinque fondamentali psicologici universali della morale:
- Avere cura, gli esseri umani hanno una tendenza a proteggere e prendersi cura di sé stessi
- Equità e giustizia, indole nel contribuire
- Lealtà interna al gruppo
- Autorità e rispetto, derivanti dalla gerarchia dei primati
- Purità e santità, basate sull’emozione umana del disgusto
In accordo con le concezioni durkheimiane, secondo la psicologia della morale il pensiero morale è un fare sociale
perché vincola e costruisce. Le disposizioni morali innate, elaborate dalla cognizione umana, funzionano insieme
ai fattori sociali e culturali. In quanto organismi bioculturali, la cultura è costitutiva della mente. L’evoluzione
della gestione cognitiva è inoltre legata alla creazione di sistemi sociali simbolici a cui gli esseri umani si
appoggiano per vivere. La religione può essere intesa come uno di questi sistemi simbolici. È qui che risiede la
vera importanza della religione.
Religione, etica e morale sono sempre state fortemente intrecciate in quanto le divinità hanno avuto sempre uno
sguardo attento al comportamento umano. La concezione dell’esistenza di controllori morali appare in numerose
tradizioni religiose perché essa aiuta gli esseri umani a vivere nel modo giusto.
Nella maggior parte delle culture e delle religioni, morale ed etica sono strettamente all’istituzione delle regole di
purità e impurità che riguardano il cibo e il corpo umano. Quasi ogni tradizione ha regole e normative in merito
a ciò che è adeguato per gli esseri umani e per gli dèi, ad esempio il sistema islamico della tahara e il sistema
giudaico del kosher. Quando tali sistemi vengono riprodotti divengono tipicamente ciò che è considerato
naturale, persino quando i sistemi contengono regole intricate per il controllo del corpo e delle sue funzioni. I
sistemi di purità sono anche dispositivi semiotici. Appadurai afferma come il cibo, ad esempio, sia strettamente
legato alle pratiche quotidiane, allo status sociale e all’intero sistema di classificazione, così come alla morale e
all’estetica.
La maggior parte dei sistemi di purità religiosi si concentrano sul corpo umano, in particolare sulle sue secrezioni
e, specialmente, su questioni connesse con sesso e genere. In molte tradizioni religiose, meno si obbedisce al
corpo e ai suoi bisogni, più la pratica e l’ideologia appaiono spirituali. Nel mondo moderno molti di coloro che
sono attratti dalla spiritualità e pratiche spirituali adottano pratiche di vita frugali e ascetici. L’ascetismo può
essere meglio compreso come una “interiorizzazione della tradizione” in cui la vita dell’individuo asceta è in
armonia con la narrativa della tradizione religiosa. La performance ascetica è uno sradicamento della volontà
individuale alla volta dell’affermazione di una volontà spirituale, articolata attraverso la regolarizzazione del
comportamento.
Religione e politica
Le relazioni tra religione e politica emergono molto spesso come temi caldi. La religione viene associata a
terrorismo e violenza dai media, ma questa è una rappresentazione di parte prodotta da un pregiudizio rispetto
alle relazioni sensoriali innescate dai meccanismi cognitivi e mentali di “rilevamento delle minacce”. È evidente,
tuttavia, che religione e politica siano strettamente correlati in molti luoghi. Nella storia e in molte parti del
mondo odierno la religione è sempre stata una risorsa politica e/o etnica. Sebbene alcuni paesi abbiano separato
religione e politica, i politici fanno spesso riferimento a convinzioni e valori religiosi.
Il simbolismo religioso può essere usato politicamente in processi di unificazione. Oggi emergono alleanze
apertamente visibili tra poteri, sistemi o leader politici e religiosi. Si possono trovare influenze politiche anche in
ambiti meno ovvi, specialmente dove l’influenza della religione è diminuita. I discorsi politici sono permeati da
narrazioni mitiche che costituisce un modo diffuso e normale di rendere comprensibili gli eventi politici a una
popolazione religiosa. I presidenti degli Usa si riferiscono spesso ad un “Dio”, senza mai specificare quale di
questo. Si potrebbe parlare di “religione civile”, termine coniato da Rousseau per trovare un sostituto laico alle
funzioni della religione ma senza Chiesa. Durkheim si rifà spesso a Rousseau nel suo tentativo di scoprire quali
istituzioni sociali potessero prendere il posto della religione come collante sociale. Nel 1967 Robert Bellah
pubblicò un’analisi del discorso di J.F. Kennedy, osservano le modalità particolari con cui la religione e
l’immaginario collettivo erano utilizzate per incoraggiare l’entusiasmo della nazione. Nonostante la separazione.
rimane nella sfera politica una dimensione religiosa.
La maggior parte delle tradizioni religiose servono come marcatori di identità collettiva e spesso di etnicità. La
costruzione di gruppi attraverso l’affiliazione religiosa e il simbolismo è diffusa, e la religione è molto
probabilmente lo strumento primario di formazione dell’etnicità. Le più recenti ricerche sulla psicologia sociale
ed evolutiva e sulla psicologia della coalizione dimostrano come negli esseri umani operino continui meccanismi
di creazione del gruppo. Inoltre, sembra che gli esseri umani abbiano una propensione naturale alla moralità, ciò
potrebbe generare un senso di urgenza e necessità nel difendere le proprie visioni del mondo che conferiscono
significato, ordine e stabilità. I soggetti che più vengono investiti dalla morale divengono più vendicativi verso gli
oppositori, nemici o i disertori: i gruppi religiosi, dunque, che vivono in contesti di alta tensione e alto rischio
possono avere una propensione a sviluppare pensieri e comportamenti sociali più violenti. Anche la violenza
fondamentalista sembra essere un modo per scoraggiare potenziali disertori. Proprio per questo è spesso
rumoroso: non solo per spaventare il nemico, ma anche per disciplinare i propri stessi ranghi.
Molte delle più recenti nazioni postcoloniali hanno scelto di diventare secolari anche in termini di politica, per
poter fermare le forze perturbatrici che possono sorgere dalle aspirazioni politiche delle tradizioni religiose.
Secolarizzazione e nuove religiosità
Oggi, mentre alcune tradizioni religiose sopravvivono, altre hanno subito transizioni, alcune si sono estinte e se
ne sono formate di nuove a causa dei processi di globalizzazione, migrazione, dello sviluppo dell’alfabetizzazione
e dell’incremento nell’utilizzo della tecnologia. La religione, comunque, non è sparita: in alcuni luoghi può
sembrare che sia più o meno scomparsa, ma ad un'ispezione ravvicinata sembra che essa sia cambiata,
sparpagliando piccoli pezzi e brandelli di religiosità negli ambiti della società. La visione generale del mondo
occidentale moderno sosteneva che la religione si sarebbe affievolita e avrebbe perso influenza in importanti sfere
della vita (economia, diritto, politica) attraverso un processo di secolarizzazione. Effettivamente, i processi di
secolarizzazione sono stati vigorosi in alcune parti del mondo: alcune società sembrano prosperare senza alcun
tipo di tradizione religiosa, dal momento che altre istituzioni e organizzazioni hanno sostituito le funzioni
tradizionali della religione. Tuttavia, alcune sfere della vita sociale, come l’educazione primaria, continuano ad
intrattenere uno stretto rapporto con la religione e la tradizione, così come le visioni di genere, famiglia, bambini,
sesso, cibo, purità e decenza. Difatti, c’è più religione implicita nella cultura e nella società di quanto appaia a
prima vista. In alcuni paesi l’insegnamento non confessionale della religione è una materia obbligatoria nel
sistema di educazione secondaria a causa dell’importanza storica, antropologia e filosofica; in altri paesi,
l’insegnamento della religione è affidato a istituzioni religiose o educative approvate dalla Chiesa; in altri paesi
ancora, i bambini sono immersi nella tradizione.
Max Weber parla di “disincanto” a proposito del declino delle visioni mitiche del mondo e il subentrare di visioni
scientifiche come spiegazioni. Tuttavia, eventi storici più recenti hanno messo in discussione la validità della
secolarizzazione in alcune modalità e in alcuni luoghi, introducendo la nozione di “re-incanto” rispetto al ruolo
della religione nelle sfere più personali dell’esistenza umana, quali la spiritualità.
Il mondo moderno è caratterizzato da un alto grado di differenziazione nelle attività sociali, politiche ed
economiche che si stanno separando sempre più tra di loro, ciascuno con le proprie regole e i propri fondamenti
logici. Anche la religione è divenuta un sistema a sé, dotato di autonomia e immunità in relazione agli altri sistemi
sociali. In tale clima culturale, la religione è significativa per le persone solo quando e dove intendono fare
qualcosa di religioso (battesimo/matrimonio). Pochissimi ora interpretano la Bibbia alla lettera, persino i teologi
negano l’esistenza di paradiso e inferno indicando tali luoghi simbolicamente come condizione del
comportamento umano). Questa modalità di religione coincide la nascita di una “post-religione”.
La caratteristica dominante della religiosità contemporanea nel mondo post-tradizionale è che la credenza e il
comportamento religioso sono scelti molto più liberamente dagli individui. Sono nati numerosi movimenti, tra i
più frequenti: New Age, spiritualità, olismo, guarigione e meditazione mindfulness. Le nuove forme di religiosità
fanno presa su così tanti individui nel mondo moderno che è evidente che le religioni istituzionali e organizzate
stanno cedendo il passo alla spiritualità. Sembra che l’umanità abbia bisogna di continuare a credere e che alcune
delle fonti convenzionali non siano in grado oggi di fornire le risposte che vengono richieste. In numerose società
c’è una marcata tendenza alla religione fai da te: costruire o portare avanti la propria modalità di religione e
spiritualità assembrando visioni del mondo provenienti da pezzi e parti disponibili (bricolage spirituali). Si
registra anche una tendenza ad ascoltare la propria voce interiore come genuina e veritiera autorità. L’idea che
ciò che si percepisce come giusto sia davvero ciò che è giusto è diventata una modalità comune di autenticazione
spirituale. La differenza tra questa e le religioni convenzionali è che questa si esprime in forma di “rete” e non di
“gruppo”. Si tratta dunque di un fenomeno più cognitivo ed emozionale che sociale. Con l’avvento di internet poi
si sono dischiuse ancora più possibilità: molte religioni tradizionali sono su internet e appaiono nuove religioni
che sono solo su internet.
L’individualismo, quindi, sembra essere l’impulso chiave nella maggior parte delle nuove modalità di religione:
tuttavia va ricordato che il fattore determinante perché gli individui diventino religiosi è vivere in ambienti in cui
ci sono altre persone religiose. Lo stesso sembra valere per la spiritualità: si diffonde come un’epistemologia delle
rappresentazioni. Alcuni dei nuovi movimenti moderni sono esempi del fatto che i sistemi religiosi non sono
sempre sistemi continui, ma sono da concepirsi come conglomerati, raggruppamenti di credenze e pratiche
religiose. Dal punto di vista di molti aderenti, tale creatività rappresenta precisamente una grande benedizione,
perché al giorno d’oggi sembra che antiche verità siano tornate in vita. Gli esseri umani possiedono la notevole
abilità di essere “in più di una mente” e questo è dimostrato chiaramente allorché persone altrimenti razionali
vengono attratte da pratiche irrazionali, inusuali e occulte proposte da maghi e streghe moderne.
Teologia
La teologia delle religioni è una branca della teologia cristiana che esplora il rapporto tra il cristianesimo e le altre
religioni del mondo, in particolare per quanto riguarda la soteriologia, o lo studio della salvezza. Una delle
principali preoccupazioni della teologia delle religioni è se gli aderenti di altre religioni possono essere salvati e,
in tal caso, come possono salvarsi. Le tre teologie principali della religione sono esclusivismo, inclusivismo e
pluralismo.
L’esclusivismo è l’opinione sostenuta da molti protestanti conservatori che solo la fede in Cristo può portare alla
salvezza; quindi, i seguaci di altre religioni non possono essere salvati. Questa teologia delle religioni è radicata
nell’affermazione di Gesù che egli è “la via, la verità e la vita”. Gli esclusivisti credono fortemente nell’unicità di
Cristo tra i maestri religiosi, poiché secondo la loro visione i suoi insegnamenti sono gli unici che conducono alla
salvezza eterna. Le persone che si attengono a questo punto di vista generalmente interpretano la Bibbia in modo
più letterale rispetto agli altri cristiani e hanno maggiori probabilità di impegnarsi in un’opera missionaria che si
concentra sulla conversione e sull’insegnamento degli altri.
Anche gli inclusivisti credono che Cristo sia l’unica via per la salvezza, ma affermano che anche i seguaci di altre
religioni sono portati alla salvezza attraverso Cristo. Secondo la teologia inclusivista delle religioni, Dio accetta
qualsiasi pratica religiosa sincera come offerta attraverso Cristo, anche se i suoi seguaci non ne sono consapevoli.
Tali persone sono conosciute nella teologia cattolica come “cristiani anonimi”, un termine coniato dal teologo del
XX secolo Karl Rahner. I critici affermano come una tale visione della salvezza tenti di mantenere l’unicità di
Cristo attraverso giochi di parole, ma la salvezza che non avviene attraverso la fede in Cristo non può essere
chiamata affatto salvezza attraverso Cristo.
I fautori della teologia pluralista della religione credono che tutte le religioni siano mezzi ugualmente validi per
raggiungere Dio e che il cristianesimo non sia migliore o peggiore di qualsiasi altro. Tutte le strade convergono e
portano a Dio. I critici del pluralismo sostengono che le affermazioni fatte da diversi gruppi religiosi sono
intrinsecamente contraddittorie, quindi non possono essere tutte vere. Ad esempio, molte sette islamiche
insegnano che la salvezza viene attraverso le buone opere, mentre la maggior parte dei cristiani crede che la
salvezza venga dalla fede piuttosto che dalle azioni. Altri, invece, vedono il pluralismo come una forza capace di
promuovere la pace tra gli aderenti di tutte le religioni. Molti teologi stanno lavorando per una teologia delle
religioni che equilibri le preoccupazioni sia terrene che celesti; tuttavia, la soteriologia rimane la questione
dominante all’interno di questo ramo di studi.

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