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INTRODUZIONE ALLA SOCIOLOGIA DELLE RELIGIONI - ENZO PACE

CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
Oggi, la sociologia della religione è considerata una disciplina autonoma; questo, per opera di un processo di
specializzazione che ha interessato anche altri ambiti della ricerca sociologica. Il tema della religione è un sempreverde
della sociologia, fin dalle sue origini nell'Ottocento.
La sociologia nasce in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, interrogandosi se e come sia possibile un ordine sociale
senza religione. La domanda che ci poniamo in questo primo momento introduttivo è: può essere pensata una società
senza religione? Apriamo in questo senso a una questione che ha attanagliato un po' tutte le menti pensanti, in modo
particolare già quelle dei padri della sociologia. Comte, in tal senso, parlava di sociologia intendendola "fisica sociale",
mentre de Tracy si riferiva alla sociologia definendola ideologia, quindi una sorta di fisica sociale delle idee (era intesa come
una scienza chiamata a investigare l'origine sociale delle idee e il loro funzionamento nel reale). Ad ogni modo, in questo
primo momento (siamo nell'Ottocento e ricordiamo in questo periodo appunto il trionfo della scienza) la religione appariva
in Europa e fuori come un retaggio del passato o ancora come il riflesso della mentalità primitiva.
Qui (nelle società primitive) infatti la religione svolgeva un ruolo impiegante, decisivo. A tal proposito, in Inghilterra uno dei
padri fondatori dell'antropologia, Edward Tylor, scrisse un libro ("Primitive Culture", 1871) in cui analizzava due tipi di
società umane rimaste ferme ad uno stadio inferiore: le tribù dei selvaggi e quelle dei barbari. La differenza tra le società
civilizzate e queste due, diceva Tylor, stava nella diversa capacità da parte dell'uomo di dominare la natura (bassa tra i
selvaggi, media fra i barbari, elevata tra i civilizzati. Si nota, una vera e propria "legge dell'evoluzione" che passava da livelli
più semplici a più complessi.
Ad ogni modo, la sociologia della religione vede la nascita contemporaneamente alla nascita della sociologia generale, salvo
poi attestarsi come campo specifico. Tale operazione, prefigurata da Durkheim e Weber, viene avviata negli Stati Uniti negli
anni cinquanta del secolo scorso; questo grazie all'impulso di Talcott Parsons e di altri sociologi americani. Attenzione però,
che in questo processo di specializzazione, il rischio di confinare lo studio religioso a un ambito ristretto e minoritario, in
particolare al livello accademico.

Religione, ordine sociale e sacro (Van Gennep, Durkheim, Rudolf Otto)


Riflettere sulla religione, per i primi sociologi significava riflettere su come fosse possibile l'ordine sociale. La religione,
infatti, è il tentativo più ambizioso di mettere ordine nella società. ...Dove si ricorda che per "ordine sociale" si intende la
possibilità di avere una continuità; continuità che, in termini religiosi, era garantita da una divinità o un'eterna e misteriosa
forza cosmica o ancora una volontà sovrumana: insomma, da un "motore immobile". Di questo ordine, poi, si può avere
conoscenza e scienza, ma non lo si può determinare né cambiare a piacimento.
Tra i vari contributi a tal proposito, citiamo quello di Van Gennep. Questi approdò alla "teoria dei riti di passaggio", secondo
cui le religioni risultavano essere grandi sistemi di classificazione attraverso cui era possibile internamente ed esternamente
ad ogni società differenziare ruoli, funzioni, poteri di chi le viveva, questo garantendo ordine sociale da un lato e
prosecuzione della società dall'altro. Ecco il perché, secondo Van Gennep, dei riti di passaggio (nascita, matrimonio, morte):
essi definivano ritualmente e istituzionalmente queste differenze, garantendo ordine e prosecuzione sociale.
Al contributo di Van Gennep, Durkheim aggiunge un tassello. Secondo lui questo ordine sociale non era attribuibile soltanto
alla funzione della religione, ma bisognava andare oltre. Sì, la religione aiutava a classificare eventi interni ed esterni alla
società, permettendo di darsi una rappresentazione ordinata  di si stessa, ma vivere in società non poteva essere solo il
risultato di questo freddo calcolo razionale (che ogni volta sfociava in un rito di passaggio). Lo stare insieme in società
presupponeva invece una passione più calda e forte di questo puro calcolo. Ecco quindi che per Durkheim l'ordine sociale
era garantito, sì, dall'esperienza della religione, ma soprattutto dall'esperienza del sacro. Il sacro in sociologia è il nome che
designa, dunque, il fondamento a-razionale dell'ordine sociale. Per Durkheim è un fenomeno sociale e, di più, è l'epicentro
emotivo (quindi un sentimento caldo) del sentirsi in società. Banalmente, è il lato irrazionale del definirsi i ruoli, le funzioni,
i poteri, -cioè di darsi un ordine- nella società.
Diversa è, per Rudolf Otto, la definizione del sacro rispetto a Durkheim. Otto, in "Il sacro" -appunto- non è un fenomeno
sociale, o un epicentro emotivo, ma è un qualcosa di indicibile, di radicalmente altro che non può essere afferrato
completamente dalla ragione umana (né può essere completamente contenuto dalle religioni).
A partire da Durkheim dunque il sacro è quell'oggetto su cui si esercita quel particolare sistema di credenze e pratiche che
chiamiamo "religione". ...e dunque la religione è una costruzione razionale che si sforza di rendere sistematico ciò che
invece non lo è (il sacro).
Definire la religione
La definizione minima più esaustiva di cosa sia la religione deriva da un contributo di Durkheim. Nella sua celebre opera "Le
forme elementari della vita religiosa" si recita che la religione è un sistema di credenze e pratiche relative a cose sacre, cioè
separate, interdette, le quali uniscono in un'unica comunità morale, chiamata Chiesa, tutti quelli che vi aderiscono. Dunque
una religione, banalmente, consiste nel sommarsi di questi elementi:
- un sistema di credenze e pratiche;
- il sacro inteso come interdetto e separato;
- il sentimento di unione tra coloro che si riconoscono in questo sistema, sistema che si esprime in una forma organizzativa
chiamata chiesa.
Evidenziamo  alcuni elementi interessanti di questa definizione:
- Il legame stretto tra credenza e pratica, l'idea quindi per cui il credere ha delle conseguenze concrete. Nota: Pace usa un
concetto complesso, quello di "sistema": la religione, secondo lui, fa' sistema di credenze e pratiche e quindi relaziona le
credenze, ciò in cui si crede, alle pratiche, ciò che si fa.
- Il sacro. Durkheim non trova modo migliore per definire il sacro che contrapporlo al profano. Quindi, definisce il sacro per
via negativa: "cos'è il sacro? Ciò che non è profano"...e questo per dire di come sia difficile definirlo. Il sacro, per Durkheim,
è ciò che è "interdetto e separato". La parola "tempio" significa proprio questo: "tempio" deriva dal greco ("temno") e vuol
dire "tagliare", per cui il tempio è tagliato fuori, o meglio è lo spazio tagliato fuori. Ecco quindi che ci sono spazi sacri e spazi
profani, ma anche tempi sacri e tempi profani. Queste cose sono così ovvie per noi che ci sembrano scontate, banalità.
Altrove, però, non è così. Noi postmoderni siamo strutturati per pensare secondo questa separazione. Per cui sappiamo
distinguere cosa significa spazio sacro e cosa vuol dire spazio profano; ma altrove, questa separazione sacro-profano non
rientra proprio nelle categorie, nel senso che non esiste proprio. Attenti però, che il nostro procedere per categorie chiare e
distinte (noi sappiamo cos'è il sacro e mai metteremmo insieme sacro e profano) è semplicemente un modo di dire, perché
alla fine siamo più materiali che altri, con la differenza però che non lo dichiariamo.
- il sentimento di unione tra coloro che si riconoscono. Su questo elemento ci ritorneremo in lungo e in largo, perché il
senso/sentimento di identità è fondamentale per ogni religione, in quanto il senso di identità è molto diverso a seconda dei
contesti in cui la religione si colloca. Ciò che è capitato nei Balcani, ex-Jugoslavia, dice proprio di come l'identità religiosa
può risorgere nel momento in cui il contesto da' degli input che strumentalizzano la religione. L'identità religiosa è
fondamentale, talmente che un paio di anni fa si è anche discusso sulla possibilità o meno di appendere il crocefisso nelle
aule scolastiche.
- la Chiesa. La Chiesa è un'istituzione, un modello organizzativo cioè molto specifico.

Preferiamo parlare di sociologia delle religioni piuttosto che di sociologia della religione. Questo, per due ragioni:
1. Il plurale allude alla necessità di dare una profondità storica allo studio sociologico della religione. Cioè, l'ambiente
storico contiene più significati di religione, che dunque prende ad essere un fenomeno complesso e multiforme da
analizzare (trattasi di un insieme di sistemi) e da analizzare, quindi, nella sua pluralità.
2. Solo dal confronto tra questi vari sistemi di credenza è possibile delineare una tipologia utile all'interpretazione
sociologica della realtà.
Diversamente, la sociologia della religione, al singolare, può evocare piuttosto la pretesa di una disciplina che intenda
fissare una volta per tutte la definizione sostantiva ed astratta di religione D cui muovere, come se si fosse in possesso di un
metro universale, per riconoscere nella realtà presente è passata ciò che è religione da ciò che non lo è.

CAPITOLO 2 - LA RIFLESSIONE SOCIOLOGICA SULLA RELIGIONE. UN QUADRO STORICO-CRITICO


1. INTRODUZIONE
Fin dal suo sorgere, la sociologia ha mostrato grande interesse nei confronti della religione. I suoi principali teorici furono
quattro: Comte, Durkheim, Weber e Simmel.  Tutti e quattro, in un ristretto arco temporale di 100-120 anni (1800-1920), si
sono posti il problema di come sia possibile che una società com'è quella moderna (quella post rivoluzione industriale
prima e rivoluzione francese poi), cioè basata sui valori dell'individualismo, riesca a stare assieme. Banalmente, la domanda
che ci si pone è "com'è possibile l'ordine sociale una società che si fonda sul principio di espansione degli interessi
individuali stia insieme e non si disgreghi?"
Ad ogni modo, non va dimenticato che tale interesse e riflessione sociologico/a è affiancato e supportato da contributi
provenienti da altre scienze umane che si stavano espandendo in quegli anni (antropologia, etnologia e psicologia su tutte).
2. COMTE E IL POSITIVISMO
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI…
AUGUSTE COMTE
Lo studio della religione dal punto di vista sociologico nasce con Auguste Comte. A lui, infatti, noi riconosciamo l'aver
coniato il lemma "sociologia". Questo, all'interno della sua opera "Corso di filosofia positiva" (dove per "filosofia positiva" si
intendeva, appunto, "sociologia").

LA LEGGE DEI TRE STADI


Studiando la società, Comte distingue tre momenti, tre stadi della conoscenza dell'uomo. Ovviamente, poi, codifica questi
tre stadi secondo il modo di studiare la società tipico di quegli anni, modo mutuato dalle scienze biologiche: studia cioè la
società, così come gli scienziati dell'epoca studiavano il mondo biologico, nonché in termini evoluzionistici. A partire da
questa concezione, -abbiamo detto- Comte conia una legge, la cosiddetta LEGGE DEI TRE STADI (o legge del progresso
umano). Soffermiamoci, circa questa legge, solo su ciò che riguarda la religione. Secondo Comte, questa legge prevede un
primo stadio denominato "teologico o fittizio", un secondo stadio denominato "metafisico o astratto" e un terzo stadio
denominato "scientifico o positivo".

[NOTA: COSA VUOL DIRE "POSITIVO"?


Cosa vuol dire "positivo"? Vuol dire "non negativo"/è contrapposto a "negativo? Cosa vuol dire "stadio scientifico o
positivo"? Il termine "positivo" deriva dal termine "positivismo" e "positivismo" deriva da "positum", participio passato del
verbo "ponere" (in latino "ciò che è posto"). "Positivo", dunque, significa "ciò che è posto". Da qui, il positivismo è una
corrente di pensiero che poggia sul "positum"/"ponere", cioè sui fatti che esistono oggettivamente. Positivismo, dunque, è
una corrente di pensiero che richiama l'attenzione sul "positum" (su ciò che è posto), per cui non è frutto di una deduzione,
ma è frutto di una induzione: è l'idea per cui la scienza si fa partendo da esempi concreti, da ciò che è posto. Per cui, lo
"stadio scientifico o positivo" a cui fa riferimento Comte nella legge dei tre stadi significa lo stadio scientifico perché poggia
sui fatti, non sulle idee.
Lasciamo stare lo stadio "teologico o fittizio", sul quale ci concentreremo tra poco, ma lo stadio "filosofico o metafisico" è lo
stadio nel quale noi ci costruiamo il nostro mondo dentro la nostra testa, quindi è l'idea per cui noi deduciamo dalle idee.
Ad esempio, "a partire dai testi biblici abbiamo capito che tutto gira intorno alla Terra in maniera fissa, da sempre...ma io
vedo, con il cannocchiale, che non è del tutto così...". Nel sistema tradizionale, quando la realtà non combacia con la teoria,
nel sistema tradizionale, ne segue che la realtà è sbagliata.
Oggi invece, il processo di costruzione delle idee avviene in maniera completamente diversa, rovesciata. Noi oggi siamo
persone coerenti, intelligenti, che si costruiscono la visione del reale in base a conoscenze scientifiche.
Cioè, quando nel mondo tradizionale, la realtà non combaciava con i principi, si cancellava. Nel mondo contemporaneo (io
mondo figlio dell'Illuminismo), quando la realtà non combacia con i principi, si cambiano i principi. E per noi, questo è
scontato.
Notiamo bene: questo capovolgimento è enorme e dentro le religioni questo sconvolgimento non è ancora stato recepito.
Di più, non potrà mai essere pienamente recepito ("dovremmo riuscire a dimostrare l'esistenza di Dio"). Però attenti, è
importante capire la logica. Perché noi, oggi, consapevoli o meno, ragioniamo con criteri scientifici; noi, oggi, diciamo senza
se e senza ma, che se un principio teorico non funziona quel principio deve essere cambiato: in questo senso, per noi, oggi,
la scienza non procede per dogmi ma per tentativi, tentativi che sono falsificabili: l'idea di base oggi, è che ciò che non è
falsificabile non è scientifico.
Proviamo a pensare questo stesso ragionamento nelle religioni, le quali, invece  procedono per dogmi. Il pensiero
tradizionale nel quale le religioni stavano così bene, nel quale le religioni dettavano il sistema di pensiero, era un pensiero
per cui si procedeva in maniera deduttiva (dai principi alla realtà), ed era, altresì, un sistema nel quale contestare le verità
era estremamente pericoloso. Vedi, ad esempio, Galileo Galilei.
Oggi, invece, il processo è completamente diverso: lo stadio scientifico positivo parte dai fatti (dal "positum"). Questa è la
scienza: noi ragioniamo a partire dai fatti, quindi induciamo, astraiamo. Nel primo procedimento (lo stadio teologico o
fittizio e quello metafisico o astratto), un procedimento top-down, si passa dall'universale astratto al particolare concreto,
mentre nel secondo procedimento (lo stadio scientifico o positivo), un procedimento bottom-up, si parte dal particolare
concreto e si arriva all'universale astratto.
Noi oggi siamo un po' increduli nei confronti delle astrazioni/induzioni. Siamo così increduli che Jean-Francois Lyotard ha
parlato di 'incredulità nei confronti delle meta-narrazioni". Jean Francois Lyotard fu chiamato dal governo canadese a
scrivere un rapporto sulla scienza ai fini degli anni '70...e scrisse "sull'incredulità delle meta-narrazioni". La sua idea era che
sistema top down rappresentato dai primi due stadi comtiani del progresso, c'erano delle grandi narrazioni e la narrazione
religiosa copriva tutte le altre narrazioni. "Quello che io facevo aveva un senso perché dietro di me c'era uno scenario (di
valori, di norme, di punti di riferimento, di costumi, di tradizioni...) che dava senso al mio agire. La religione, in molte
società, legittimava questo scenario. Con l'affermarsi dell'epoca scientifica tecnica contemporanea, si sta sviluppando una
grande incredulità nei confronti delle meta-narrazioni, in particolare in quelle meta-narrazioni di carattere filosofico e
politico (non in quelle di carattere religioso, che abbiamo già accantonato con il passaggio dal primo al secondo stadio
comtiano). Quindi, noi oggi siamo coscienti che tutto si costruisce storicamente, cioè che tutto è frutto di costruzione
sociale. Possiamo ben notare il fatto che siamo diametralmente all'opposto del mondo governato dalle meta-narrazioni.
Per chi studia le religioni, questo cambiamento non cambia il campo da gioco, non cambia neanche i giocatori, ma cambia
le regole del gioco e noi sappiamo che i giochi si definiscono in base alle loro regole. Stiamo quindi cambiando
gioco/paradigma per quanto riguarda le religioni. "Se io devo decidere se ammettere o meno l'eutanasia assistita o meno,
nel mondo delle meta-narrazioni questa discussione non si poteva fare perché c'era una meta-narrazione che governava
tutto, dalla nascita alla morte: la meta-narrazione religiosa. Nel momento in cui io cambio paradigma, io parto dai fatti e
cioè parto dalle esigenze della realtà, al fine di costruire delle norme, non che consentano di giustificare l'eterno/il
trascendente, ma la convivenza civile (perché non posso lasciare chiunque libero di fare quello che vuole, ma devo regolare
quando questo può intervenire). Ecco, questo processo, abbiamo appena detto che parte dai fatti, dal "positum"...e il
"positum" cambia i principi. Li cambia a tal punto che perfino le religioni cominciano a scricchiolare/ad essere
flessibili/tolleranti".]

LO STADIO TEOLOGICO O FITTIZIO. È il primo stadio. La sfida è quella di fare un parallelo tra quanto dice Comte e quanto
succede oggi. Comte dice che in questo primo stadio la realtà è spiegata in termini teologici, cioè ricorrendo a forme di
pensiero che trascendono il mondo dei fenomeni e, dal di fuori, regolano la realtà. In questa fase, quindi, la realtà è
regolata da forze esterne. Ad esempio, "oggi, primo giorno di primavera, la congiunzione di non so cosa con la congiunzione
di un altro non so cosa, ha fatto sì che venissimo a scuola". Ecco, il termine "congiunzione di non so cosa" sta per una
spiegazione trascendente. Il senso di queste è che, dal di fuori, una forza non nota (spiegazione trascendente) regola la
realtà.
Adesso viene il punto interessante di Comte. Questa prima fase prevede tre momenti di sviluppo:
- LA FASE FETICISTA. Fase in cui si crede a degli oggetti e gli si attribuiscono poteri. Riprendendo il rapporto introdotto
tempo fa tra "relegere" e "religare" in termini di derivazione di significato della parola "religione", notiamo come nella fase
feticista siamo in una assunzione di tipo "relegere". La derivazione "relegere" prevedeva una religione fatta solo di ritualità;
ritualità che implicavano, sì, credenze, ma non come fondamentali per il credere. Questa è l'idea di fondo del feticismo,
della fase feticista. Ci limitiamo a dire, quindi, che questa è una fase dove il feticcio è al centro della religione, non del
credere.
- LA FASE POLITEISTA. C'è poi un'altra fase, che ovviamente per Comte corrisponde a un'evoluzione, che è la fase del
politeismo: politeismo vuol dire "molti dei".
- LA FASE MONOTEISTA. C'è un'ultima fase, quella monoteista, che prevede un unico dio. È la fase di più alta espressione
della finzione, per Comte.

[RIFLESSIONE SULLO STATO ATTUALE DELLA RELIGIONE. Oggi siamo in fase regressiva? Le tre grandi religioni monoteistiche
sono l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam. Con una versione dell'ebraismo molto rigida che non prevede nemmeno la
credenza, ma semplicemente l'esecuzione di riti. Proprio per questa sua estrema rigidità, lasciamo stare l'ebraismo e,
invece, parliamo di islam e di cattolicesimo.
Per i musulmani ci sono Allah e Maometto, il suo profeta: diade. Per i cristiani, invece, Dio è uno e trino: triade. Capiamo
bene che queste tensioni tra uno e trino e uno e diade, problematizzano le assunzioni di "monoteismo" come cifra per
interpretare queste religioni. L'idea, infatti, è che oggi sia difficilissimo pensare queste religioni come monoteistiche.
Teniamo il caso del cristianesimo. Ci sono voluti secoli, in questo senso, per definire cosa si intenda per "unità e trinità" allo
stesso tempo: è difficile credere nell'uno, pur essendo che in quell'uno siano racchiuse tre entità diverse. Trinità sta per
trinità delle persone. Unità, invece, sta per unità di natura. Hanno dibattuto per 300 anni su questo punto. Ecco, alla luce di
tutto questo, l'ipotesi è che stiamo regredendo molto velocemente, e non alla fase del politeismo, quanto invece a quella
del feticismo.
Quindi, oggi, questa tripartizione di Comte ci intriga, nel senso che ci costringe a pensare su come sta cambiando la
religione. Se per religione intendiamo pratica costante domenicale, la religione sta scomparendo; se invece intendiamo il
rapportarsi al sacro/al mistero/al trascendente/al significato attraverso delle pratiche, la religione continua a esistere come
è sempre esistita. Dipende molto, cioè,  da come definiamo la religione.
Quindi, se ci attacchiamo al "religare", la religione paradossalmente ha un ruolo nella sfera pubblica, ma a sulla sfera
personale pecca. Se invece interpretiamo la religione come universo di senso, al sacro, che va al di là di specifiche
determinazioni, questa religione sopravvive e, di più, prospera benissimo. Fine riflessione.]

LO STADIO METAFISICO O ASTRATTO. È il secondo stadio. Secondo questo stadio, i principi ordinatori del reale non
vengono più da fuori, ma vengono dalla mente, vengono cioè dalle costruzioni che noi, pensando, elaboriamo. Noi,
pensando, elaboriamo delle categorie (dei costrutti mentali) con le quali interpretiamo il reale. Non sono più categorie
rivelate dall'alto, come per il primo stadio; ma sono sono categorie inventate dalla nostra mente. Quindi, in questo
passaggio noi portiamo i principi ordinatori dall'aldilà all'aldiquà e, di più, dentro la testa.
LO STADIO SCIENTIFICO O POSITIVO. È il terzo stadio. Mentre nello stadio intermedio (quello metafisico o astratto) c'era
posto per un pensare che non escludesse l'impostazione teologica ("filosofia ancilla teologiae"), per ciò c'era uno spazio che
giustificava per alcuni e per altri non rendeva implausibile il pensiero teologico; nella terza fase non c'è spazio per il
pensiero di carattere teologico. Cioè, le narrazioni di carattere religioso vengono messe da parte nello stadio scientifico o
positivo. Attenzione, non vengono cancellate, ma vengono messe solo da parte. ...e questo perché c'è chi ritiene che siano
frutto di ignoranza, o di superstizione, o ancora di malafede (vedi Marx e la religione come "oppio dei popoli"). Noi
postmoderni ci muoviamo all'interno di questa terza fase.
RIFLESSIONE SUL TERZO STADIO. Questo terzo stadio ci da' lo spunto per ricordare qual è funzione della
religione...Durkheim, usi questo, ci costruisce la sua fortuna. La religione, secondo lui, ci insegna a obbedire. Tuttavia, nel
frame scientifico-positivo, la religione perde questa valenza; questo, perché noi, oggi, legittimiamo l'azione in base a
un'autorità politica eletta di solito attraverso il metodo democratico e motiviamo l'agire in base a scoperte scientifiche. La
politica non fa altro che riportare la legittimazione del potere dall'Altro e dall'alto, ad altezza d'uomo. Questo vuol dire che
oggi prendiamo decisioni guardandoci in faccia e alzando la mano: eleggiamo, votiamo. Non c'è più, quindi, un potere
esterno e coercitivo. Oggi, su tutto, votiamo.

LA STATICA E LA DINAMICA SOCIALE (L'ORDINE E IL PROGRESSO)


A noi interessa, di Comte, capire come funziona la statica e la dinamica sociale o, se vogliamo, l'ordine e il progresso. Ogni
società ha bisogno, per sopravvivere, di mantenere al contempo un equilibrio tra statica (che vuol dire ordine, stabilità) e
dinamica (che vuol dire cambiamento, progresso) sociale. Quindi, una società vive solo se si muove. Una società che si
ferma, scompare. Però, questo trasformarsi non deve essere così veloce e così radicale da cancellare l'ordine. Questo
succede raramente, e cioè quando ci sono le rivoluzioni, le quali cancellano l'ordine precedente per affermarne uno nuovo;
pur tuttavia, normalmente, non si procede per rivoluzioni.
Alla luce di quanto detto, la sociologia, per Comte studia questo: come si trasforma una società mantenendo degli elementi
fermi che garantiscono la continuità e, al contempo, ammettendo degli elementi di innovazione.
Quali sono gli elementi che, secondo Comte, garantiscono continuità in una costruzione sociale? Teniamo presente il fatto
che Comte non è un nostro contemporaneo, non è un postmoderno.
1. Il primo elemento che, per Comte, garantisce continuità a un sistema sociale è LA FAMIGLIA. Di più: per Comte, la
famiglia ci dice proprio come il sociale abbia la priorità, la superiorità, rispetto all'individuo. Nota: eppure, oggi, sul campo
della famiglia, si gioca giusto l'opposto. Nel senso, la crisi della famiglia oggi è perché tutti vogliono farsi riconoscere come
famiglia, per cui una crisi per eccesso, non per difetto. La crisi del concetto di famiglia non risponde a una crisi di
appetibilità di questa formula, ma corrisponde all'impossibilità (che varia all'interno dei diversi contesti socio-culturali) di
accogliere all'interno di questa tutte le richieste di riconoscimento. Tornando a noi, per Comte, la famiglia è l'unità
fondamentale.
2. Poi, Comte parla di altre realtà, vedi lo STATO ad esempio. Una serie di entità, potremmo dire, concrete.
3. Comte, adesso, ci sfida: ci dice che la religione stessa (ma non solo, in termini di enti immateriali) ha un ruolo nella
società. Attenzione, che nel dire questo non si contraddice con quello che diceva prima (lo stadio teologico o fittizio), ma
anzi è perfettamente conseguente. Vediamo: secondo lui, ogni sistema sociale aveva bisogno di un qualcosa di immateriale
che tenesse insieme tutte le realtà materiali che caratterizzano ogni sistema sociale. Per Comte, ogni società sta insieme
non solo se ha uno stato, un'economia, un'educazione...ma una società sta insieme se ha dei legami -che lui definisce-
"spirituali". Questi legami spirituali sono, per Comte, IL LINGUAGGIO e LA RELIGIONE, legami spirituali che garantiscono
continuità a una costruzione sociale.

RIFLESSIONE SU LINGUAGGIO E RELIGIONE. Il problema è capire, oggi, quali sono gli elementi in grado di preservare
un'identità/continuità. A tal proposito, se la lingua tiene, la religione apparentemente non tiene più. Comte diceva, con
un'immagine tipica di un positivista, che "la religione svolge del corpo sociale la funzione che la pelle svolge del corpo
biologico. La pelle, cioè, tiene insieme i vari organi". Così come la pelle tiene insieme i vari organi del corpo biologico, così
ancora la lingua tiene insieme gli organi del corpo sociale. Certo, però gioca questo "tenere insieme" su altri registri rispetto
a quelli usati dalla lingua. Ad esempio, se la lingua si può apprendere, la religione tendenzialmente non si può apprendere
(o meglio, è molto più difficile che venga appresa).

LA RELIGIONE UNIVERSALE
Comte, negli ultimi anni della sua vita, finisce con l'appellarsi a una nuova idea di religione, approdando al concetto di
"religione dell'amore universale". L'idea di fondo di questa nuova religione consisteva nel fatto che si sanciva che ad avere il
potere nella nuova società sarebbero state le guide spirituali, ovvero dei particolari sacerdoti. Tali sacerdoti, Comte li
individua nei sociologi e questo perché, secondo la sua impostazione, la sociologia si collocava al culmine delle scienze, in
quanto, essendo arrivata per ultima, la sociologia doveva avere il livello più alto di conoscenza; da cui il fatto che i sociologi
fossero le persone più competenti in termini di guida della società.
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DAL LIBRO...
Siamo nella Francia post rivoluzione e post Napoleone. Comte, formatosi nell'Ècole Poluytechnique presso Saint-Simon, è
l'iniziatore del pensiero sociologico (definisce la sociologia come "fisica sociale"), dunque suggerisce una nuova scienza,
questa capace di trovare in tutte le forme di organizzazione sociale una stessa legge di sviluppo e di funzionamento.

La legge dei tre stadi


Al centro del suo pensiero, l'idea che la società sia un organismo complesso composto da cellule e tessuti sociali, organismo
che cresce secondo leggi empiricamente rilevabili (parla di "scienza biosociale"). Tale legge universale che spiegherebbe
sviluppo e funzionamento di tutti i fenomeni sociali, Comte la definisce "legge dei tre stadi".
Secondo la legge, ogni forma sociale evolve da un primitivo stadio teologico o fittizio a un intermedio stadio metafisico o
astratto e a un terzo stadio finale, quest'ultimo di pieno dispiegamento della razionalità scientifica, lo stadio appunto
positivo o scientifico. C'è dunque una legge universalmente valida di sviluppo progressivo delle società.
Al primo stadio le società si rappresentano prevalentemente ricorrendo a visioni teologiche, ovvero si fondano su un ordine
che viene da un essere superiore, divino. Per Comte in questo tipo di società la religione o le religioni offrono agli uomini
una spiegazione razionale che soddisfa l'esigenza di avere una visione ordinata delle cose. In questa visione, il limite è il
fatto che gli uomini tendano a vedere la presenza della divinità in ogni manifestazione naturale e sociale; da qui, l'attributo
di stadio teologico o, per l'appunto, fittizio.
Il secondo stadio, quello metafisico, è caratterizzato dalla tendenza a smontare la complessità del reale in vie appunto
metafisiche, ovvero ricorrendo a principi filosofici, cioè sempre astratti, ma non più riferibili a qualche essere supremo o
divino. Ecco, in questo senso gli uomini cercano sempre una spiegazione unitaria di ordine, ma questa volta non lo fanno
fuori dal mondo, bensì al suo interno e nello specifico a partire da elementi semplici presenti in natura (acqua, fuoco,
atomo...).
L'ultima fase dell'evoluzione sociale è dominata dall'avvento del sapere scientifico che scopre, attraverso l'osservazione dei
fatti (il positivismo: da positum, "porre...per poi osservare"), le leggi di funzionamento della natura e della società. Tutto è
acclarato, quindi, in termini di razionalità scientifica.
Notiamo che in questo processo di costante e inevitabile evoluzione per Comte la religione così come è "alle origini"
sparisce, salvo però poi reincarnarsi in altre forme anche queste più evolute, cioè la scienza. In effetti, negli ultimi periodi
della sua produzione scientifica, Comte elabora l'idea della cosiddetta "religione dell'umanità". Qui intende la scienza coma
una nuova religione laica; in questo particolare frangente il grande sacerdote dell'umanità è lo scienziato e dunque anche il
sociologo.

DURKHEIM
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DURKHEIM E LA QUESTIONE MORALE
Emile Durkheim parte nella sua riflessione ponendosi LA QUESTIONE MORALE. Attiviamo la nostra attenzione su questo
concetto... La religione ha garantito l'ordine per secoli se non millenni; nel momento in cui questa perde di plausibilità,
cos'è in grado di garantire l'ordine e questo pur preservando le dinamiche tipiche del credere (cioè io devo credere che ci
sia qualcuno che sia in grado di garantire l'ordine)? Quindi, scompare la religione, ma non possono scomparire quelle
funzioni che la religione garantiva. Ecco, questa è la cosiddetta "questione morale" che pone Durkheim. È una questione
importante, perché quando ragioneremo sul ruolo della religione nel mondo contemporaneo, dovremmo chiederci se oggi
c'è ancora un'esigenza morale.

I FATTI SOCIALI
Li saltiamo, dovremmo già saperli.

SOLIDARIETÀ MECCANICA E SOLIDARIETÀ ORGANICA


Nei due tipi di solidarietà che Durkheim illustra, la religione legittima "la coscienza collettiva che copre completamente la
coscienza individuale" tipica della solidarietà meccanica. La religione, cioè, svolge un ruolo fondamentale nella società
meccanica: è quell'elemento che legittima la coscienza collettiva a "coprire completamente" la coscienza individuale. Detto
diversamente, nel mondo tradizionale la religione serviva a omologare, a rendere uguali.

IL SUICIDIO
Durkheim spiega il ruolo regolatore della religione nel libro intitolato "il suicidio" pubblicato nel 1912. Ne "il suicidio",
Durkheim mostra come la religione continui a essere un fatto/elemento regolatore della società, e questo fino ad arrivare a
controllare i significati più reconditi.
Qual è il ragionamento di Durk nel suicidio? Intanto lui pone in relazione il fatto del suicidio non con una scelta individuale,
quindi deve smarcare la psicologia dalla sociologia, cioè a dire, dice che il suicidio non è spiegabile con elementi solamente
di carattere psicologico. Di più, ne "Il suicidio", l'elemento cuore/cardine di Durkheim è che c'è una proporzionalità inversa
tra integrazione e suicidio (più uno è integrato, meno si espone al suicidio).
Cosa c'entra la religione, alla luce di tutto questo, con tutto questo ragionamento? La religione, appunto, spiega questo
fatto perché è un elemento di coesione sociale incredibile, ovviamente al differenziarsi delle diverse religioni. Per cui,
rapportando il cattolicesimo con il protestantesimo, nota che il tasso di suicidio è più alto tra i protestanti che tra i cattolici;
questo, perché nella religione cattolica c'è un istituzione ferrea che "ti dice esattamente quello devi fare" (per cui non c'è
spazio per dire "cosa faccio io della mia vita?") da quando ti svegli alla mattina a quando ti addormenti la sera". La religione
prescrive tutto e non lascia scoperto nulla. Per il protestantesimo, invece, è diverso. Il protestante si confronta con la
scrittura e con Dio (quasi) senza mediazioni, cosa che lo espone all'individualismo, per cui incertezze radicali (si chiede
molto spesso "qual è il senso della mia vita?").
Ricapitolando, il cattolicesimo funziona perfettamente perché ha le risposte a tutto, mentre il protestantesimo lascia spazio
alla libertà del soggetto -e gestire la libertà non è sempre facilissimo-. Quindi, vediamo come già qui l'idea di carattere
teologico abbia un peso enorme per comprendere la funzione sociale di una religione.
Alla luce di questo ragionamento, questa volta con maggiore consapevolezza -anche religiosa-, riusciamo a capire cosa
voglia dire che la frequenza al suicidio è inversamente proporzionale all'integrazione in un sistema sociale dato.
L'integrazione in un sistema sociale dato è non garantita, ma facilitata, dalla religione presente in quel determinato
contesto. Questo è il ragionamento di Durkheim.
RIFLESSIONE SUL SUICIDIO. Adesso, la domanda che ci facciamo è: "quelli che non credono in nulla sono davvero più
esposti al suicidio di chi crede in qualcosa? O anche su questo punto si è registrato un cambiamento radicale per cui
l'essere persone religiose oggi implica un tasso di riflessività così alto che uno si espone realmente al suicidio, mentre
essere persone non religiose potrebbe portare a tassi di alcolemia più alti nel sangue, ma esporrebbe di meno al suicidio?
Chi oggi è religioso è più riflessivo di altri che non sono religiosi? E questo espone di più i religiosi al tasso di suicidio, per
rapporto a quelli che non sono religiosi? Abbiamo, in pratica, capovolto la questione di Durkheim. Questione affascinante
da studiare. È plausibile che funzioni così o no? In effetti, il tempo in cui hanno scritto Comte e Durkheim era certamente
diverso da oggi; quindi, può darsi che la realtà, oggi, ci porti a riconsiderare quelle teorie...e magari scoprire che spiegano
ancora qualcosa, ma lo spiegano al contrario. Può darsi. Nel frattempo poniamo la questione.

RICAPITOLIAMO...
Abbiamo visto che per Durkheim è importante la quesitone morale. Ci siamo poi soffermati sulla questione della solidarietà
meccanica e della società organica, laddove la religione gioca un ruolo fondamentale all'interno della società meccanica
perché è l'elemento coagulante della coscienza collettiva che si sovrappone completamente alla coscienza individuale. La
questione irrisolta che, poi, abbiamo posto è: qual è il ruolo della religione in una società caratterizzata dalla solidarietà
organica? In una società, come sappiamo, caratterizzata da un alto tasso di differenziazione nel lavoro e dall'alto tasso di
interdipendenza, la religione ha finito il suo ruolo (sia a livello individuale che collettivo)?
Ancora, ci siamo soffermati sul suicidio, liddove abbiamo evidenziato il ruolo della religione nell'essere elemento
facilitatore della coesione sociale (capiamo bene, in quel particolare contesto cattolico, protestante e ebraico). Abbiamo
poi dato un punto di partenza, oggi, per le ricerche sul suicidio: l'idea è che secondo il suo approccio, la religione è
elemento di coesione sociale e quindi, quando si parla di suicidio, se è vero che questo è direttamente proporzionale al
livello di coesione (e inversamente proporzionale alla mancanza di questa coesione), le religioni giocano un ruolo
importante e fondamentale per Durkheim. "Il suicidio" (1897).

PROSEGUIAMO...
LE FORME ELEMENTARI DELLA VITA RELIGIOSA (1912)
Ci concentriamo, adesso, su un'altra opera di Durkheim: "Le forme elementari della vita religiosa" (1912). 1900, quindi una
riflessione, questa, fatta nel cuore della modernità.
L'IDEA DI PARTENZA. Durkheim fa un lavoro di biblioteca, cioè si legge i rapporti dei primi esploratori dell''800. L''800 è
un'epoca incredibile perché la gente va in giro a esplorare il mondo: ricordiamo gli esploratori della famosa corsa oro
all'ovest negli Stati Uniti, i missionari in Africa, lo studio degli aborigeni dell'Australia. Insomma, Durkheim studia tutti i
rapporti e lo fa notando che non a margine, ma nel cuore di molte se non tutte le relazioni, emerge l'elemento religioso.
Cioè, quando tutti questi esploratori (per i missionari era comunque comprensibile) scrivono i rapporti, raccontano come
sono queste società, nonché i popoli primitivi/le tribù primitive. Durkheim, volendo vedere quali sono gli elementi
fondamentali della società e pensando ancora un po' in maniera evoluzionistica che più si andava indietro nel tempo, più si
sarebbero trovati i modelli essenziali della società (più le persone sono primitive, più lo sono anche i loro bisogni), notava
che l'elemento religioso era un elemento presente praticamente in tutti i popoli primitivi (ci sono delle eccezioni di cui non
parliamo adesso). Lui, su questo, fa alcune considerazioni, considerazioni che ci danno la possibilità di comprendere in
primis le divisioni tra sacro e profano e, in secondo luogo, le funzioni che gli oggetti (i totem) hanno all'interno delle
religioni.
UN PRIMO RAPPORTO TRA SACRO E PROFANO. Per Durkheim "la società si distingue dall'individuo come il sacro si distingue
dal profano". Cioè, per lui c'è una realtà sacra e quindi un 'autorità spirituale che trascende l'individuo e al quale l'individuo
non può non sottomettersi; l'individuo deve sottomettersi a questa realtà trascendente. Ogni religione, secondo Durkheim,
coglie un elemento fondamentale: l'elemento fondamentale è che esiste una realtà che trascende l'individuo e alla quale
l'individuo si sottomette.
IL FALLIMENTO DELL RELIGIONI. Però, per Durkheim, le religioni falliscono nell'identificare questa realtà trascendente: le
religioni, questa realtà la etichettano come "Dio". Diversamente, lo scienziato sociale, sempre per Durkheim, identifica
correttamente questa forza trascendente, la quale, come sappiamo benissimo è la società stessa.
UNA RIFLESSIONE SU QUESTO FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Ma spingiamo un po' oltre la riflessione. Durkheim dice che le
religioni hanno fatto una cosa fondamentale, hanno insegnato cioè a obbedire a un essere trascendente. Insegnare a
obbedire e far capire che è meglio obbedire che disobbedire è una roba incredibile, difficilissima. È dura convincere
qualcuno. In Italia siamo arrivati in un brevissimo periodo, una decina di anni solo, a sostenere che i furbi possono
trasgredire la legge, magari le leggi fiscali, denigrando tutti quelli che non riescono farlo. Quindi capiamo che un'etica
pubblica si regge proprio su questo principio, sul dare cioè per scontato che è meglio obbedire alla legge che è trasgredirla.
Allora, per Durkheim, la religione ha svolto questo ruolo fondamentale: insegnare a obbedire. Cosa non facile. Non solo, ma
ha anche insegnato a connotare come bene il rispetto della legge e male la sua trasgressione (cosa che noi oggi diamo per
scontato, ma ci son voluti secoli se non millenni di socializzazione per arrivare a questo). Ciò detto, Durkheim traspone la
funzione "obbedire al trascendente" dalla religione alla società, per cui noi diamo per scontato che le regole sociali
debbano essere rispettate. Sempre meno, con dispositivi sempre diversi...ma rispettati. La cosa è complessa, però al di là di
come ci mettiamo d'accordo su cosa vuole la società, abbiamo capito che non obbediamo più a un "Dio", ma obbediamo a
qualcun altro.
CONSEGUENZE DEL FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Ora, per Durk, le istituzioni sono fatti sociali esterni e coercitivi. Per cui,
ad esempio, la famiglia è voluta da Dio. Ma qual è la famiglia voluta da Dio? Quella dove un maschio e una femmina si
mettono insieme e copulano, procreando. Durkheim ci ha detto che però, tenendo l'esempio della famiglia, molto
semplicemente, attraverso un lungo cambiamento nel tempo, la famiglia si è cristallizzata in quanto fatto sociale/istituzione
sociale che si impone alle volontà del soggetto. Stiamo cioè dicendo che, per Durkheim, le religioni hanno da sempre svolto
la funzione di regolare le interazioni. Di più, le religioni hanno da sempre svolto la funzione di legittimare le altre istituzioni.
Sempre. Ora, se è vero il discorso di Durkheim, cioè che "la società è Dio", chi è in grado di legittimare la società nel
momento in cui ci rendiamo conto che siamo noi a costruirla?
Alan Tourin sostiene che viviamo nel post-sociale: noi oggi non siamo più increduli nei confronti della religione,
probabilmente anzi ci stiamo reincantando nei confronti delle religioni; noi siamo increduli invece nei confronti delle
costruzioni sociali. Tornando all'esempio della famiglia, noi abbiamo capito che questa, così come ce là siamo costruita, non
funziona più. E pur tuttavia, ci rendiamo conto che senza un modello di famiglia non possiamo costruire una società.
Questo è un paradosso.
Non sappiamo se funzionava meglio un mondo fondato sulla religione o un mondo fondato sulla libertà del soggetto.
Sappiamo invece che son cose profondamente diverse. Sappiamo che alcuni dispositivi di un tempo, oggi non funzionano
più. Pensiamo al dispositivo democratico, nel senso che la democrazia può essere ridotta a una procedura, a un mero
strumento/a una procedura, ma se è ridotta a mero strumento perde quella funzione di riconoscimento, per esempio, delle
minoranze. "Se votiamo a maggioranza...". È una questione, questa, molto spinosa e molto legata alla religione. Durkheim
aveva ragione. ...e alcune funzioni della religione, oggi, sono portate avanti benissimo dallo stato: le scuole, gli ospedali, il
tempo libero, l'economia, eccetera. Il problema è vedere se queste funzioni non legittimate da un trascendente riescono a
sostenersi... E come riescono a farlo. La questione più rilevante a tal proposito è la questione della democrazia, perché la
democrazia è l'unico strumento che noi oggi abbiamo per regolare il vivere insieme. ...e la democrazia non è un mero
strumento, ma fa riferimento a una cultura democratica.
LA SOLUZIONE PROPOSTA DA DURKHEIM AL FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Detto questo, torniamo a bomba e diciamo
qual è l'effetto della cultura democratica sulle religioni. Una volta che Durkheim ci ha spiegato che la funzione che una volta
era svolta dalla religione adesso è svolta dalla società e noi siamo convinti che ci sia un trascendente che identifichiamo
adesso in una una decisione presa democraticamente, in quanto questa ci trascende e siamo tenuti a obbedirla (una
trascendenza molto immanente, ma pur sempre una trascendenza)...nel momento in cui noi abbiamo capito il trucco, si
pone allora il problema del fondamento. Diciamo questo per capire se una società si può reggere senza un riferimento al
trascendente. Questione radicale, notevole. Cioè, erano più saggi gli illuministi i quali dicevano chiaro che la religione del
popolo non era la vera religione, ma guai a far capire al popolo che non c'era una vera religione...chi lo controlla più il
popolo? Per Durkheim, cioè, bisognava disincantare. Questo, trasponendo le funzioni della religione nella società. Per cui,
adesso, secondo Durkheim, la religione non gestisce più tutte le sfere della vita sociale, ma ne gestisce una sola: il rapporto
col sacro. Cosa che, evidentemente, ha delle conseguenze, nella sfera pubblica tutta.
Quindi, le religioni, oggi, si devono confrontare con un ambiente che da' per scontato che ilù soggetto sia libero di scegliere.
Questo, riscrive il modo di intendersi delle religioni. Citando i due modelli a cui facciamo riferimento, stiamo parlando dal
passaggio dai "valori non negoziabili" al "chi sono io per giudicare". Quindi, le religioni devono pensarsi in base a questa
nuova cornice socio-culturale, cornice descritta da Durkheim, in cui tutti danno per scontato che il soggetto sia libero di
decidere. È quindi un elemento imprescindibile, oggi, per comprendere la vita sociale, il riconoscimento che siamo liberi di
scegliere. Pur tuttavia, ci poniamo la questione del fondamento, cioè se un dispositivo sia in grado di legittimare una
cultura.
NOTA A PIÉ PAGINA. Nel mondo tradizionale, le religioni offrivano dei pacchetti a scatola chiusa. Noi postmoderni, invece,
decidiamo in modo democratico di legiferare su tutto ciò che ho vogliamo (notiamo una perdita di presa da parte della
religione, uno spostamento del baricentro del potere appunto dalla religione al nostro arbitrio). Non si può dire che uno dei
due paradigmi appena nu chiari sia meglio o peggio dell'altro, ma si può certo dire che si sta parlando di due cose
radicalmente diverse.

LE FORME ELEMENTARI DELLA VITA RELIGIOSA - SACRO E PROFANO


La distinzione fondamentale che fa Durkheim fa è la distinzione tra la sfera del sacro e la sfera del profano. Su questo
abbiamo già riflettuto. Un oggetto, di per sé, non è né sacro né profano. Ma quando un oggetto cade sotto il controllo della
religione, quell'oggetto diventa sacro. Durkheim non riesce a definire ciò che è sacro, se non per via negativa: cioè,
definisce ciò che è sacro come ciò che non è profano.
Le religioni regolano questa distinzione e più una religione è forte più controlla tutto e sacralizza tutto: matrimonio, morte,
vita, mangiare, digiuno... Più la religione perde il potere di controllo, più la realtà diventa profana. Ma non funziona proprio
così. Perché noi risacralizziamo in maniera non religiosa (perché il sacro non è completamente controllato dalle religioni).
Però, ripetiamo, per Durkheim questa distinzione tra sacro e profano è fondamentale.

LE FORME ELEMENTARI DELLA VITA RELIGIOSA - LA QUESTIONE DEL TOTEM


Studiando le società primitive e le religioni primitive al loro interno, Durkheim riflette sulla funzione ordinatrice che hanno
le religioni. Funzione ordinatrice non solo perché controlla, ma anche perché crea distinzioni e gerarchie. A tal proposito,
Durkheim introduce l'elemento del totem.
Il totem nient'altro è che un feticcio, ma a seconda del fatto che c'è chi vi si può avvicinare di più o di meno, la società si
struttura. Quindi, il totem, seppur nella sua materialità/fisicità, struttura la società secondo una gerarchia di potere. ...E non
la struttura solamente all'interno dell'ambito religioso (cosa magari plausibile, perché il totem è feticcio appunto religioso)
ma struttura anche l'esterno. Per cui, "quando il 13 giugno la statua di Sant'Antonio esce dalla Basilica omonima, c'è una
gerarchia precisa che struttura l'ambito religioso (dai chirichetti fino al priore provinciale) nel seguito della statua del santo.
Ma si struttura anche ciò che sta intorno al mondo religioso: prima le confraternite, poi assessore, poi sindaco e così via...".
Quindi, il totem struttura differenziando e creando gerarchie. ...E questo è un elemento molto importante secondo
Durkheim.
Riassumendo, la religione struttura i rapporti di potere non solo al suo interno, ma anche all'esterno. ...e non è
sottovalutare, anche oggi, questa capacità che ha la religione. Tutto questo, comunque, a partire dalla prossimità al totem,
dove ogni religione ha il suo totem. @"A seconda di quanto mi posso avvicinare al totem, ho dei poteri particolari".

UNA CORNICE DI SENSO: I CLASSICI DELLA SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE


Uno degli obiettivi del corso universitario di sociologia della religione è offrire agli studenti delle categorie attraverso cui
interpretare il mondo circostante, gli strumenti per interpretare la società che lo circonda. Circa invece la possibilità di
cambiare la società che ci circonda c'è un grande dibattito per quanto riguarda i sociologi. La sociologia della religione
dovrebbe fornire degli strumenti per capire qual è, se c'è, il ruolo della religione nel mondo contemporaneo. ...e il grande
obiettivo che ci siamo prefissati è riuscire a interpretare il rapporto tra religione e società. Ciò che noi ci prefiggiamo di fare
è mettere a punto delle categorie che ci consentano di interpretare il rapporto tra religione e contesto sociale circostante.
Per fare questo, ci serviamo dei classici che ci danno degli strumenti; però, per fare questo, ci potremmo anche servire di
ciò che effettivamente sta succedendo adesso nel mondo. Perché è proprio questo che vogliamo interpretare. Comte,
Durkheim, Weber, Simmel, Marx, Parsons... hanno interpretato al loro tempo il rapporto tra religione e società e hanno
elaborato delle categorie che ancora oggi ci sono utili o per capire direttamente, o per capire che non sono più utili e quindi
capire indirettamente questo rapporto.

IL RAPPORTO RELIGIONE-SOCIETÀ COME RAPPORTO COMPLESSO - TRE ESEMPI CONCRETI


Ciò che adesso diciamo dovrebbe aiutarci a cogliere come il rapporto religione-società sia estremamente complesso. Per la
nostra riflessione, partiamo da fatti che sono successi da venerdì scorso a ieri sera, cose "live" per così dire. Si tratta di
notizie che sono state affrontare sulle prime pagine dei giornali italiani. La domanda che ci poniamo preliminarmente è
"come possiamo interpretarli?" Per chi studia i fatti religiosi nel mondo contemporaneo, questi fatti che adesso
introduciamo costringono un po' a elaborare delle categorie non scontate; non è che abbiamo appreso molte categorie
finora, ma qualcosa, qualche piccolo strumento, già ce lo abbiamo. Questi sono i fatti...

...PRIMO ESEMPIO
Venerdì e sabato si sono radunati a Roma i 27 capi di Governo per commemorare e rinnovare il 60º della firma del trattato
di Roma, l'inizio di quel progetto di Europa unita che oggi sembra essere in crisi. Non prendiamo il fatto della crisi, ma
cogliamo nello specifico un fatto che si colloca all'inizio di questa ricorrenza: un capo di una religione, papa Francesco, ha
ricevuto tutti e 27 i capi di Stato e di Governo e ha fatto loro un discorso. Ecco. Non è scontato che 27 capi di Stato e di
Governo vadano da un leader religioso. I giornali hanno intitolato la ricorrenza nelle maniere più diversi: c'è chi ha scritto
"schiaffi del papa ai leader", ad esempio... In sostanza ciò che è successo in questa circostanza è che il papa ha parlato a
questi 27 capi di Stato e di Governo dei temi più vari senza dimenticare il bisogno di solidarietà e altro.
Prendiamo questo fatto come esempio di studio perché un papa, leader religioso, che parla a dei capi di Stato e di Governo,
leader politici, è un qualcosa di incredibilmente pregnante per noi sociologi della religione. Il papa non ha invitato i capi di
Governo a convertirsi, non li ha richiamati alla conversione, gli ha fatto anzi un discorso politico.
Colleghiamo questo fatto con un altro fatto. Il protagonista è Trump. Trump, da quando è stato eletto come presidente
degli Stati Uniti d'America, ha cercato di entrare in contatto con papa Francesco. Fra tutte le telefonate ufficiali registrate, i
due leader però non si sono mai incrociati. Poniamo la questione su questo primo grumo di riflessione: perché i capi di
Stato e di Governo devono andare dal papa e, se è vero quello che dicono i quotidiani, sono stati anche "presi a ceffoni"?
Perché Trump dovrebbe andare in visita dal papa e non va da un altro grande leader religioso? Collaborare con il papa (?),
mettersi d'accordo (?)...
Diamo un altro spunto: quando Trump era ancora in campagna elettorale, il papa tuonò contro la possibilità di costruzione
di un muro tra Messico e Stati Uniti e a tal proposito disse che "non è da persone cristiane pensare a costruire muri". Per
questo, Trump apostrofò il papa in maniera indecorosa.
Ma quindi, perché Trump vuole andare dal papa? Per immagine (?). Noi sappiamo che più della metà dei cattolici americani
hanno votato Trump. Quindi, la posizione di Trump, che non ha esattamente inanellato una vittoria dopo l'altra in questi
suoi primi mesi di mandato, forse ha bisogno di rispolverare l'immagine. Questa è un'ipotesi che lasciamo lì. Un'ipotesi che
spiegherebbe il rapporto religione società.
Diciamo poi che un leader religioso che riceve 27 leader politici e gli fa "il discorsetto" è una notizia non da poco, certo. 27
leader politici, sì, ma escluso Trump. Quest'ultimo, leader di una potenza mondiale, sta invece trattando/studiando se e
come gli convenga portare questa sua linea di "scissione" col papa o meno.
Questo è un primo nodo, un case study sul quale siamo invitati a riflettere.

...SECONDO ESEMPIO
Procediamo cambiando completamente scenario. La religione, talvolta, cozza con quella che viene definita "libertà di
espressione". Prendiamo spunto adesso dal ricorso, fatto da un famoso avvocato di Stra (VE), intransigente come cattolico,
che è stato bocciato. Circa 10 anni fa c'è stata una rappresentazione alla biennale di Venezia dove hanno rappresentato la
passione di Cristo con corpi nudi che si atteggiava o a comportamenti sadomaso. Questo avvocato ha quindi fatto ricorso
perché secondo lui questo era vilipendio alla religione. La Corte, a due livelli, ha rigettato il ricorso. La religione è, ecco, una
materia molto complicata. Abbiamo studiato, infatti, come funziona la censura e sappiamo di come ci siano dei film vietati,
ma non per legge, ai minori di 18 anni. Tuttavia, quando si tratta di religione la cosa diventa diversa perché esiste il reato di
vilipendio alla religione. ...e mostrare la Passione in chiave sadomaso è vilipendio alla religione. Sono cose che fanno
riflettere sulla libertà artistica. ...e ci sono altri casi ancora di questa fattispecie. Ad ogni modo, ecco la sentenza con cui non
è stato accettato il ricorso fatto dal nostro avvocato di Stra: "la programmazione di una manifestazione artistica vuole che il
corpo nudo, a seconda di dove lo si collochi, assume significati diversi". Quindi l'ambiente ha una sua ritualità; nell'arte c'è
una ritualità: la libertà di espressione artistica. "La programmazione di una manifestazione artistica è espressione di una
libertà garantita dalla Costituzione e dato che siamo in uno stato laico, nessuno può chiedere a un ente come la biennale di
non accogliere delle rappresentazioni solo perché sospettate di offendere il sentimento religioso". Il rapporto religione
società solca anche il confine del rapporto tra libertà di espressione artistica e il vilipendio di una religione (offesa del senso
religioso di qualcuno). I giudici dicono "è da escludere che l'organizzazione di uno spettacolo artistico possa di per sé, sola,
possa costituire violazione del personale sentimento religioso di un singolo cittadino". Apriamo una questione: la libertà di
espressione artistica, o se vogliamo la libertà di espressione e basta, deve essere limitata in generale e nello specifico per
quanto si parla di religione? Oppure, quando si parla di libertà artistica, ognuno può fare esattamente quello che vuole?
Pensiamoci, non c'è una risposta facile. Il confine non lo sa nessuno, anche se ci sono dei limiti invalicabili oltre i quali il
"consense" suggerisce di non andare.

...TERZO ESEMPIO
Altri casi... Un'altra cosa che merita una tesina che riguarda gli alpini. Gli alpini, quando muore un loro commilitone, vanno
in chiesa addobbati di alpini e dicono la "preghiera dell'alpino". Questa preghiera, tuttavia, è stata cambiata. Ed è stata
cambiata perché all'interno del suo testo c'era una parte dove si faceva riferimento alle "truppe in armi" e si pregava Dio
che le aiutasse. La nostra sensibilità, oggi, è evidentemente cambiata rispetto a quella che magari potevano avere
all'altezza della. Prima e della Seconda Guerra Mondiale: noi oggi preghiamo Dio perché ci dia la pace, piuttosto che ci dia
aiuto in guerra. E quindi, apriamo una discussione: gli alpini si sono dichiarati non contrari, ma comunque hanno
manifestato il loro disagio, nel cambiare una preghiera che datava decenni e questo ci fa capire come il mood postmoderno
ridefinisce perfino le preghiere che noi recitiamo. Nella Prima Guerra Mondiale, a Cortina dal Pezzo, città austro-ungarica,
c'era una chiesetta; chiesetta che era presente e viva anche in un altro paese da tutt'altra parte del fronte (sul fronte
italiano, non più quello austro-ungarico), cioè a San Vito di Catone. Le rispettive popolazioni andavano a pregare lo stesso
Dio perché entrambe cattoliche perché li facesse vincere la guerra. Ora, capiamo bene che in quel contesto era credibile
pregare Dio perché sostenesse le truppe in guerra; per noi, oggi, pregare Dio perché ci sostenga nella guerra è davvero
molto difficile. Il linguaggio è completamente cambiato. È un tema sul quale varrebbe la pena costruire una polemica,
questo perché il rapporto religione-cultura scritto all'interno della postmodernità va a cambiare persino i testi della
preghiera.

NOTE A PIÉ PAGINA RISPETTO AI TRE ESEMPI CONCRETI CIRCA IL RAPPORTO RELIGIONE-SOCIETÀ
Ultimo elemento sul quale poniamo l'attenzione. È uscito un volume di 544 pagine che costa circa 50€ intitolato "Storia del
limbo". A noi la parola "limbo" poco, troppo poco. Analizziamolo. Il limbo è stato inventato nel XII secolo; stiamo parlando
della vita oltre la morte, tema di un fascino incredibile. Sì, perché ci sono degli ambiti del sapere che regolano la vita dopo
la morte.
Le religioni strutturano l'aldilà. ...e per secoli, gli attori sociali (Weber) si sono regolati nel gestire l'aldiquà pensando a ciò
che sarebbe successo nell'aldilà. Cioè hanno la capacità di far credere che la vita non sia questa dell'aldiquà, ma quella che
ci aspetta dopo la morte; capacità frutto indubbiamente di una operazione elaboratissima.
Ora, nel mondo cristiano, il mondo dell'aldilà è stato strutturato in maniera tripartita: inferno, purgatorio e paradiso.
Questo stato di cose, guardiamo bene, è per l'eternità (eccetto il purgatorio, che è "a tempo").
Nel XII secolo, 1100, ci si inizia a chiedere che fine facciano nell'aldilà le persone giuste ma non battezzate. La questione si
complessifica molto con la scoperta dell'America, XV-XVI secolo... Tutte le persone giuste non battezzate che fine facevano?
I teologi, all'inizio del XII secolo iniziano a pensare che ci sia uno spazio di felicità puramente naturale (dove non si vede Dio)
riservato a coloro che non si sono battezzati, ma che si sono comportati bene: il limbo. Dal XII secolo in poi, tutti i cristiani in
giro per il mondo hanno strutturato la loro immagine dell'aldilà pensando al limbo. Pensiamo a Tommaso D'Aquino, a
Lutero, allo stesso Dante che raffigura l'inferno.
Nel 2007, Ratzinger, con un documento ufficiale sancisce che il limbo non è mai esistito. Il motivo per il quale Ratzinger
prese in mano la quesitone fu che il limbo era utilizzato da parte delle basi cattoliche fondamentaliste cattoliche in giro per
gli Stati Uniti (ma non solo lì) per difendere dei bambini morti in seguito all'aborto. Per cui, detto della valenza sociale del
limbo, l'interesse adesso non era più verso le persone giuste che morivano senza aver ricevuto battesimo, ma era verso dei
bambini che venivano ammazzati a causa di aborto. Quindi, il limbo iniziava a essere strumentalizzato da parte delle
correnti fondamentaliste in giro per il mondo, tante negli Stati Uniti, 3 o 4 in Italia. ...e notiamo come anche qui,
inesorabilmente, cade tutto il rapporto tra religione e società.
Ratzinger, nel 2007, firma un documento che pone fine a questa ipotesi teologica. Il limbo non è mi esistito. Ora, la
domanda che ci facciamo è perché dopo mille anni (mille anni che hanno strutturato l'immaginario, i campi santi -e il limbo
strutturalmente vi era di poco fuori-) si arriva dire che il limbo non esiste più? Come è possibile, dopo mille anni, cambiare
idea su una questione così grave? Perché la religione tocca questioni universali che hanno strutturato da sempre
praticamente la vita di infinità di persone. L'intenzionalità di Weber era strutturata da questa paura del giudizio.
Riflettiamoci su...

TORNIAMO A NOI...
Abbiamo visto Comte; abbiamo visto Durkheim; vediamo Weber..
]]]]]]]]]]

DAL LIBRO...
DURKHEIM E IL FUNZIONALISMO
Durkheim rappresenta nel panorama dei classici della sociologia della religione una figura di grande rilievo. Figlio di un
rabbino, si stacca da questa originaria matrice socioreligiosa e diviene un intellettuale agnostico.
La prospettiva generale da cui prende le mosse la teoria di Durkheim sulla religione è chiaramente enunciata in "La
divisione del lavoro sociale". L'idea di base è che l'ordine nelle società democratiche moderne e industriali si fondi sul
principio della solidarietà. Per Durkheim, infatti, la società si regge in equilibrio grazie a regole, valori e norme capaci di
imporsi sulla trama vitale e disordinata degli individui. La coesione sociale, allora, è più facile da raggiungere nelle società in
cui vige la cosiddetta solidarietà meccanica: qui gli individui sono assimilati in corpi sociali ben strutturati che tendono a
omogeneizzare i comportamenti e a far condivide imperativamente una stessa tavola di valori. Nelle società a solidarietà
organica (le società differenziate socialmente), invece, la coesione sociale è molto più difficile: ogni individui apprende che
ha un ruolo specifico da svolgere nella società, ruolo che svolge per il raggiungimento del bene collettivo. Da qui ne deriva
che nel riconoscimento di questo codice normativo, a partire dallo svolgere il proprio ruolo per il bene sociale, si evinca il
primato della coscienza collettiva su quella individuale.
Per coscienza collettiva si intende una sovrastruttura sociale che non coincide con le singole coscienze individuali, ma che
anzi le determina, le orienta, le plasma. Essa consiste in un sistema di credenze che storicamente muta, ma che condiziona
intere generazioni di individui e che tende a volte  a perpetuarsi nonostante il fatto che essa venga meno nell'intimo
convincimento dei singoli.
Questa idea riflette e potenzia l'ipotesi organicistica di Comte: si passa così da organicismo a funzionalismo. Di base, in
questo modus pensandi, l'intendimento della società come un tutto composto da parti, le quali hanno in valore tanto in
quanto anto si riportano alla logica del tutto: le parti sono funzione del tutto.
Si comprende allora come la prospettiva generale di Durkheim conduca la sociologia a interessarsi dell'integrazione delle
parti con il tutto...e l'integrazione sociale così diviene il problema centrale della spiegazione sociologica.
Seguendo questa linea si arriva allo studio dei conflitti, delle devianze, delle marginalità sociali, tutti letti come momenti in
cui il dispositivo della coscienza collettiva di cui sopra non funziona. Lo studio dei suicidi, in particolare, per Durkheim
sottende a questa logica:
1. Il suicidio è la prova che le norme sociali non sono in grado di imporsi in modo convincente a un individuo.
2. Il togliersi la vita dunque rivela l'esistenza di una smagliatura nel tessuto sociale.
3. Una società ha bisogno, per raggiungere una coesione sociale che le consenta di funzionare bene e quindi senza fratture
sociali (suicidi), di un complesso di norme e valori che devono essere percepiti dagli individui con impegni e doveri di natura
collettiva.
Collezionando dati statistici, Durkheim nota come il numero dei suicidi è più alto nei paesi di origine protestante rispetto
che quelli di origine cattolica o ebraica. La ragione, per lui, è molto semplice: la religione protestante espone gli individui a
un senso di responsabilità e rischi effettivi, quella cattolica e quella ebraica invece offrono alle persone una comunità che si
mostra capace di imporre a esse un codice di valori e di comportamento di tipo collettivo.
Quindi il senso di appartenenza a una comunità, nonché a un gruppo religioso, rinnova il senso di integrazione con il resto
della società. Tutto ciò è invece meno garantito dalle società che sono state plasmate dall'etica religiosa protestante.
[Nota sul suicidio anomico. Il suicidio anomico, quello cioè il cui sintomo è l'assenza di norme, è un fenomeno che ha le sue
radici nell'organizzazione della società. Cioè a dire che quando una società non riesce più a mettere in campi risorse
simboliche o norme capaci di far integrare gli individui a un insieme di valori collettivi, di far sentire loro che esiste una
coscienza collettiva superiore alle singole coscienze soggettive, allora ci si imbatte nel suicidio anomico.
La religione, in definitiva, già in questa opera (Il suicidio) viene vista come fattore di integrazione.

DURKHEIM E IL FUNZIONALISMO RELIGIOSO


Ne "Il suicidio" Durkheim già incontra il tema della religione. Tuttavia è solo qualche anno dopo che vi si dedica
approfonditamente, e lo fa ne "Le forme elementari della vita religiosa". In quest'opera il suo intento è quello di, a partire
dalle società primitive (vedi quelle tribali), studiare la religione in quanto esempio significativo di come si forma, si
riproduce nel tempo e sopravvive agli individui la coscienza collettiva, l'immagine che una società ha di sé. Dunque per
Durkheim un primo tassello è il seguente: la religione contribuisce a costruire e mantenere in vita una coscienza collettiva.
L'opera è divisa in tre parti (due teoriche e una analitica): una prima in cui viene definito il concetto di "sacro", una seconda
in cui si rende nota una ricognizione di materiali a stampo religioso sulle società di impianto totemico e una terza volta a
sviluppare una compiuta teoria della funzione della religione.
I tratti distintivi del sacro, per Durkheim, sono:
- il sacro è altro dal mondo profano, ovvero uno sradicamento di cose (il profano) di questo mondo che vengono destinate
a svolgere funzioni non più profane; dunque il sacro è qualcosa di profano che cambia natura, questo per volontà degli
uomini (sono gli uomini che producono il sacro, salvo poi pensare che questo esista indipendentemente da essi);
- tale separazione del profano a diventare sacro è prodotta da un processo sociale, l'effervescenza collettiva. Banalmente,
qui Durkheim sostiene come sono gli individui, collettivamente, che sradicano il profano dal mondo reale e lo fanno
diventare sacro. Fosse un processo individuale, al singolare, parleremmo di ideologie;
- nel momento in cui gli uomini ritagliano nella società uno spazio per il sacro per poter meglio legittimare regole e valori
collettivi (che devono imporsi per il felice raggiungimento della coesione sociale stessa), ecco che si crea ordine sociale.
Da questo ragionamento si comprende come per Durkheim la religione sia una forma organizzata e istituzionalizzata del
sacro, un modo di produzione di norme collettive e di coscienza sociale e, in quanto tale, esplica una funzione integratrice.
La religione perciò è regola, è religare, tenere assieme la società mantenendo alta la credenza che esista una tavola di valori
metasociali sui quali si fonda l'ordine delle cose esistenti. Da qui l'importanza dei riti che hanno il compito di mantenere
desta questa coscienza collettiva originaria.
Per capire tutto questo Durkheim studia il materiale riguardante quello che appariva ai suoi occhi come la forma originaria
ed elementare dell'organizzazione del sacro, questa presente nelle società totemiche, tribali. Egli sostiene che in queste
società il totem è una forma organizzata di rappresentazione del sacro attraverso la quale la società si riconosce comunità,
gruppo. Il totem è, insomma, un nome e un emblema del gruppo, un sistema di segni e di simboli che serve alla società a
mantenersi unita e a fondare la propria identità. Di più, dal punto di vista religioso, il totem delimita il confine tra ciò che è
sacro e ciò che è profano, distinzione da cui deriva una gerarchia sociale, una differenziazione interna al gruppo, cosa che
poi tutte le religioni hanno potentemente sviluppato.
Nota: il totem può rinviare all'esistenza di un dio, ma può anche farne a meno. Del resto, per Durkheim, il vero e unico dio è
la società (e la coscienza collettiva ne è la perfetta rappresentazione).
In definitiva, la religione serve a una società per imporre le regole di funzionamento del sistema agli individui.

MAX WEBER
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
L'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO
Per intenzionalità del soggetto si intende l'intenzione che il soggetto mette in gioco.
PRIMO STEP: WEBER E GLI IDEALTIPI DI AZIONE. Ci soffermiamo sui tipi di azione secondo Weber: l'azione razionale rispetto
allo scopo, l'azione razionale rispetto al valore, l'azione tradizionale e l'azione basata sui sentimenti. Velocemente diciamo
che l'azione razionale rispetto allo scopo è quel tipo di azione che adegua mezzi razionali rispetto a fini razionali, punto.
SECONDO STEP, L'AZIONE RAZIONALE RISPETTO AL VALORE. Concentriamoci, però, sul tipo di azione razionale rispetto al
valore... Qui si apre uno spartiacque. Questo è il problema che pone la religione all'interno dell'azione razionale.
Il valore, rispetto allo scopo, si differenzia nel senso che se lo scopo è qualcosa di immediato che si vuole raggiungere, il
valore è una linea guida rispetto alle azioni che compiamo e che ci motiva in altro senso rispetto allo scopo. I valori ci
possono orientare, però, anche in quello che sia uno scopo da conseguire, ma si scindono per loro natura dagli scopi (scopi
razionali, oggettivi; valori esprimibili in universi di significati soggettivi). Lo scopo è qualcosa di razionalmente dimostrabile;
il valore non cade sotto la razionalità scientifica.
TERZO STEP, IDEALTIPI DI AZIONE E INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO (1). Per Weber è importante capire quale che sia
l'intenzionalità che l'attore sociale mette nelle sue azioni. A tal proposito, quali esempi ci porta? Ci porta un esempio tratto
dalla religione... [Nota: Weber si interessa di religione perché la mamma era calvinista protestante.] Weber dice che
l'intenzionalità fa sì che l'attore passi da motivazioni di tipo affettivo o tradizionale a motivazioni di tipo razionale; e in
effetti questo è vero perché il nostro contesto, frutto della razionalizzazione di cui abbiamo parlato più volte, diventa
moderno quando tanto in quanto si razionalizza. Quindi, l'intenzionalità dell'attore sociale, per Weber, dipende dal
contesto in cui è inserito... e il contesto in cui noi siamo inseriti oggi è un contesto che fa appello alla razionalità, tanto che
per Weber modernizzazione vuol dire razionalizzazione. Prendiamo per buono questo.
QUARTO STEP, IDEALTIPI DI AZIONE E INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO (2). Ora, il livello massimo di razionalizzazione, per
Weber, è l'azione razionale rispetto allo scopo, perché lì abbiamo mezzi e fini razionali. Weber ovviamente si rende anche
conto del fatto che rimane comunque anche l'azione razionale che si fonda sugli affetti (uno non si innamora di un calcolo
trigonometrico, ma lascia spazio agli affetti); c'è spazio, per Weber, anche per la tradizione (i valori tradizionali); ma c'è
spazio anche per il valore. Fermiamoci qui. Il valore, che non è dimostrabile secondo una razionalità tecnico-scientifica, ma
che pur tuttavia può essere raggiunto con metodiche razionali. Dice Weber, "io voglio raggiungere la salvezza (un valore) e
la raggiungo applicando una metodica razionale": metodica razionale che si identifica, ad esempio, nella preghiera e
comunque nella conduzione di una vita giusta. Quindi, c'è un ambito, il valore, che non cade sotto la fredda razionalità, ma
che può essere comunque realizzato attraverso una metodica razionale. Nodo focale. Non ci soffermiamo oltre su questo
aspetto, ma è fondamentale capire che c'è un ambito dell'azione razionale che salvaguarda ciò che non è prettamente
razionale, i valori; e pur tuttavia sono plausibili.
QUINTO STEP, RELIGIONE E AMBITO DELLA RAGIONEVOLEZZA. Attenti, a partire da questo discorso, è possibile aggiungere
un tassello: tra razionalità e irrazionalità c'è lo spazio per il ragionevole (ciò che io ritengo ragionevole fare): l'ambito della
ragionevolezza. La religione, o meglio i valori che si fondano sulla religione, cadono sotto questa fattispecie. La questione
che poniamo è "quanto il significato che da' l'attore sociale dipenda dall'attore sociale". Ricordiamo che Weber (l'attore
sociale da' un significato) didatticamente lo contrapponiamo a Durkheim (tutto dipende dalla struttura).
SESTO STEP, L'ORIGINALITÀ DEL DISCORSO DI WEBER SULL'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO. Spingiamoci adesso a una
riflessione un po' più elaborata e cioè "quanto l'intenzionalità dell'attore rispecchia ciò che l'attore stesso vuole?" Cioè, noi
solitamente intendiamo che Weber intenda dire "l'attore sociale ha un'intenzionalità propria per cui si inventa i significati"?
No, noi scegliamo tra significati dati. Qual è il valore aggiunto del discorso di Weber sull'intenzionalità del soggetto? La
domanda è seria: dov'è il margine di novità del discorso di Weber sull'intenzionalità del soggetto? Abbiamo detto che
Weber si contrappone a Durkheim e dice che gli attori sociali non sono strutture, ma hanno un valore aggiunto che è la
libertà di scegliere. Dov'è l'originalità del discorso di Weber? Perché è qua dentro che, per Weber, si pianta la religione. Il
libro "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo" declina questo e nient'altro. Detto che è chiara la domanda,
procediamo alla risposta...
Radicalizzando, l'opposizione è questa: sposta l'interesse/il baricentro dalla struttura all'individuo. Per Weber, cioè, c'è
spazio per i condizionamenti sociali. Dobbiamo riflettere su questo.
SETTIMO STEP, UN SECONDO ELEMENTO DI ORIGINALITÀ SULL'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO. Ma è solo questa
l'originalità? C'è un "di più" più profondo? Il soggetto da' dei significati all'interno di un mondo dato. C'è un eccezione per
Weber che scardina radicalmente il mondo dato? E Weber ricorre all'ambito religioso per parlare di questa realtà che
scardina il mondo dato. Stiamo parlando di sociologia della religione, non stiamo farneticando... Per Weber, l'avvento che
scardina l'ordine dato, la rivoluzione per intenderci, "è il potere carismatico del profeta". È il profeta: colui che entra nella
storia brandendo il suo sogno. Questa è la rivoluzione per Weber.
Qui spingiamo al limite il concetto di intenzionalità: come dicevamo poc'anzi, noi siano liberi all'interno di condizioni date,
all'interno di una rigidità di offerta; io posso credere ciò che voglio? No, o meglio sì, o meglio no, perché posso, sì, credere
ciò che voglio, ma all'interno di possibilità date. ...e questo è un primo elemento. Però, c'è una situazione nella quale
l'innovatività si spinge fino a rivoluzionare il sistema dato: questa eventualità, per Weber, diventa possibilità reale con il
profeta, il quale entra nella storia brandendo il suo sogno. Confucio, Mosé, Gesù, Maometto, sono i profeti designati da
Weber.
OTTAVO STEP, IL PROFETA NELLO SPECIFICO. Ecco. Dobbiamo riflettere su questo molto attentamente, e dobbiamo
rifletterci perché la religione, da un lato, secondo la prospettiva di Marx -marxiana fino a un certo punto, ma marxista
certamente- ha la funzione di legittimare il potere (legittimare lo status quo); dall'altro lato, secondo la prospettiva di
Weber, la religione ha la capacità straordinaria di innescare processi di mutamento. La religione, per Weber, ha una riserva
di significati capaci di produrre quel tipo sociale etichettato come "profeta"; il quale, ripetiamo, è quel tipo capace di
scardinare l'ordine esistente rivoluzionandolo.
"Il profeta entra nella storia brandendo il suo sogno" e cioè è capace di sovvertire un ordine esistente. Quando il profeta
porta a scardinare l'ordine esistente per prefigurarne uno nuovo, e questo solamente sulla forza del "ma io vi dico...", sul
far credere cioè che lui sia in grado di produrre questo cambiamento (e i grandi leader carismatici fanno questo), siamo in
piena fase di populismi. Il profeta è in grado di mettere in discussione l'ordine esistente introducendo elementi di novità
che apparentemente non sono reperibili in un contesto dato. Ripetiamo e problematizzamo l'"apparentemente". Sì, perché
nessuno si inventa dal nulla; nessuno cioè non reperisce strumenti dal contesto sociale in cui si trova per operare questa
rivoluzione. Però, a noi basta l'idea che il profeta sia in grado di essere motore di cambiamento.
NONO STEP, CONCLUSIONI...LA RELIGIONE VISTA NELL'OTTICA DI MARX E WEBER (INSIEME, NON IN OTTICA DI
ESCLUSIONE). Ecco quindi che, e su questo attiriamo la nostra attenzione, la religione (incarnata dal profeta) può essere
elemento di legittimazione del potere esistente ("instrumentum regnii"), ma la religione al contempo può essere strumento
non di cambiamento, quanto di rivoluzione.
NOTA A PIÉ PAGINA RISPETTO A TUTTO IL RAGIONAMENTO FATTO FINORA. Per conto nostro potremmo applicare questo
modello conservazione-cambiamento per interpretare i fatti su introdotti:
- se i 27 e poi (forse) Trump vanno dal papa per ottenere legittimazione al loro potere;
- se il papa fa un discorso che legittima o no il loro potere;
La religione quindi è elemento di conservazione o di cambiamento? Questa è la provocazione.
Avendo noi il potere di scegliere quali istituzioni mantenere nel nostro regno, manterremmo l'istituzione religiosa? E se sì, o
no, proviamo a pensare il perché.

DUE QUESTIONI/RIFLESSIONI PRIMA DI PROCEDERE CON WEBER...


Prima di proseguire con Max Weber, affrontiamo due questioni:
- QUESTIONE DI CARATTERE FILOSOFICO. Esiste una correlazione tra l'individuo assoluto e il profeta etico di Weber, visto
che entrambi esemplificano l'idea di Cristo come "individuo che irrompe e stravolge l'ordine delle cose"? Weber ha studiato
e nel fare questo ha citato molto; tuttavia, non sappiamo dire se da un punto di vista storiografico è possibile trovare
questo riferimento. Ma c'è un dato interessante: il profeta etico weberiano (parla di Gesù Cristo) ha dei tratti in comune
con l'approccio di Nietzsche, per esempio, o di Feuerbach. Dobbiamo distinguere ciò che per Weber è un "attore sociale
straordinario che innesca un processo che si routinizza"/che diventa normalità (perché ogni rivoluzione viene assorbita),
dall'approccio filosofico di Nietzsche che risolve il Cristo con la morte. Il punto sul quale dobbiamo attirare la nostra
attenzione è il concetto di "superuomo" nietzeschiano. Ciò che noi traduciamo banalmente come "superuomo", in realtà
sarebbe da tradurre con "oltreuomo". In Nietzsche ci sono aspirazioni, quindi, di carattere mistico. Per lui, l'oltreuomo
(questa è la traduzione corretta dal tedesco) è un qualcosa che trascende l'uomo. Il punto a cui vogliamo arrivare è che, se
da una parte, per Nietzsche, l'oltreuomo ha portato alla tradizione etica del cattolicesimo, per Weber invece ha portato
invece a una routinizzazione del carisma. Quindi abbiamo esiti diversi. Certo è che sarebbe da ricostruire meglio cosa viene
citato testualmente da Weber nei suoi scritti.
- QUESTIONE DI CARATTERE PRATICO. Abbiamo affrontato la questione del funerale come uno dei passaggi per una
chiusura di rito. Cosa succede, però, se una persona rifiuta il funerale? Il rito si chiude lo stesso? Allora... Noi abbiamo
affrontato questa tematica dal punto di vista socio-religioso e abbiamo aggiunto anche che su questa ritualità religiosa si
poggiano delle dinamiche di tipo istologico, cioè il fatto che ogni lutto va chiuso. Sia ben chiaro che un lutto può essere
tenuto aperto per tutta l'esistenza, ma poi la condiziona tutta. Il rito ha la funzione, quindi, di rimangiante le ferite laddove
succedono degli strappi (il lutto è uno strappo). Introduciamo adesso una nuova ottica della questione: quella giuridica. Dal
punto di vista giuridico non c'è alcun riferimento al lutto, ma ci sono delle norme che devono essere rispettate lì dove ci si
trova di fronte a un morto: prima di tutto bisogna certificare che il signor Tal dei Tali sia morto (bisogna legittimare che sia
morto (a tal proposito serve un medico legale); dopodiché ci deve essere la sepolture, questa in un tempo limitato (dalle 24
alle 36 ore di tempo). Notiamo, in questo caso, come tutto sia normato, e come non ci sia bisogno di alcuna ritualità. Tra
l'altro, come sappiamo ci può essere la cremazione e le ceneri possono essere disperse...ma poi tutto finisce là. Quindi,
tornando a noi, dal punto di vista giuridico non c'è alcun riferimento a una ritualità religiosa, ma anche ad una ritualità
laica. C'è solo un insieme di norme da rispettare.

PROCEDIAMO CON WEBER...


L'ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO
Weber è un punto di riferimento fondamentale per chi studia sociologia della religione.

...INTRODUZIONE AL DISCORSO "WEBER VS MARX"


Per Marx la religione era uno strumento sovrastrutturale. Se ricordiamo, per lui, ciò che regolava la vita sociale erano i
rapporti di forza tra i mezzi di produzione (terra, lavoro, capitale) dove chi li deteneva regolava i rapporti sociali.
L'economia, procedendo, era invece la struttura della società. E tutto ciò che non era economia era sovrastruttura. Quindi,
per capire il dominio specifico quale è la religione, con Marx dovevamo risalire ai rapporti economici. Weber,
paradossalmente se abbiamo in mente Marx, evidenzia come non una religione, ma una tradizione specifica all'interno di
una religione, quindi il politanesimo calvinista all'interno della tradizione protestante, sia in grado di spiegare l'affermarsi
del capitalismo (il quale, non trascuriamo di rilevare, è un dispositivo economico).
Quindi, se Marx sosteneva che l'economia spiega tutto, anche la religione; Weber sosteneva invece  che la religione
spiegava molto, anche l'economia.
La provocazione più interessante che Weber muove a Marx, è che non fa riferimento alla struttura religiosa: cioè non dice
"una gerarchia che si contrappone ad altre gerarchie o un apparato istituzionale religioso che è si contrappone ad altri
apparati istituzionali"...lui dice "una tradizione teologica", cioè un modo di credere, ha fatto si' che si affermasse il
capitalismo così come lo conosciamo noi in occidente. Tesi dibattitissima, criticatissima, ma a tuttora affascinante e con la
quale ci si deve ancora oggi confrontare.

...L'AVVENTO DEL CAPITALISMO


Certo è che non sappiamo dire come mai il capitalismo si sia affermato prima delle religioni europee di tradizione
protestante e poi sia arrivato anche a quelle di tradizione cattolica; per cui non sappiamo dire se Weber ha ragione Weber:
cioè, non sappiamo dire se i processi di industrializzazione si siano affermati prima nei Paesi di tradizione protestante e poi
in quelli di tradizione cattolica. Non sappiamo dire a cosa faccia riferimento questo "ritardo" (storicamente dimostrato).
Ciò detto, la domanda che dobbiamo rivolgerci è "come mai nei paesi di tradizione cattolica si è più disposti a trasgredire le
norme per quanto riguarda soprattutto l'evasione fiscale, più di quanto non succede nei paesi di tradizione protestante"?
Veniamo, in questo senso, alla predestinazione: Weber dice che una credenza che si radica ovviamente su un sapere
teologico, la dottrina della predestinazione (una credenza di natura teologica), ha fatto si che si affermasse "lo spirito del
capitalismo". Adesso, veniamo passo passo a comprendere qual è la spiegazione che adduce.
Per Weber, il capitalismo è un fenomeno storico che va distinto dalla semplice sopraffazione economica. Il senso è che
questa si può ritrovare in altre epoche storiche, non bisogna aspettare XVII, XIII, XIX secolo perché si affermi. Quindi, il
capitalismo secondo Weber ha in sé qualcosa che lo contraddistingue dalla semplice volontà di sopraffazione economica.
E secondo Weber, la piena espressione del capitalismo si ha solamente nell'Occidente moderno. Cioè nell'Occidente
moderno si realizzano quelle condizioni perché possa affamarsi il capitalismo così come lui lo definisce.

...ELEMENTI DELL'APPROCCIO CAPITALISTICO ALL'ECONOMIA (PARTE 1)


Quali sono gli elementi che stanno alla base dell'approccio capitalistico all'economia?
1. Una organizzazione di impresa che si strutturi in maniera razionale: quindi, la razionalità di tipo organizzativo è una
condizione. Nota: ...ma la razionalità di tipo organizzativo, come i sociologi sanno, si sviluppava già nella Cina del XIV, XV,
XVI secolo.
Ripetiamo: perché si realizzi il capitalismo così come lo conosciamo noi oggi servono una serie di condizioni. Una prima
condizione è che l'attività organizzativa venga strutturata in maniera razionale. Questa razionalità organizzativa è quella che
noi comunemente chiamiamo "burocrazia". Questa burocrazia, torniamo alla nota di cui sopra, era già presente in Cina
molti secoli prima che dell'affermarsi del capitalismo così come lo conosciamo: il sistema "per esami" rispondeva proprio
questa mentalità -dire burocratica è troppo, ma- organizzativa secondo un sistema razionale; tuttavia questa mentalità non
fece partire il capitalismo.
2. C'è un secondo elemento. Questo è la possibilità di sviluppare tecniche. Quindi la razionalità tecnica. Nota: e anche
questa era già presente, sempre in Cina, ma anche in Giappone; la quale, però, da sola, non è stata in grado di far nascere il
capitalismo.
3. Per Weber non sono sufficienti elementi di carattere tecnico-organizzativo perché si affermi questo fenomeno
economico che noi chiamiamo "capitalismo": non è sufficiente un'organizzazione razionale, così come non è sufficiente
capacità tecnica. Per Weber, lo spirito del capitalismo risiede nei presupposti culturali -ecco la rivoluzione di Weber- che
riescono a tenere insieme le istanze organizzative, quelle tecniche, ma i quali rappresentano un valore aggiunto rispetto
alla tecnica e alla razionalità, capace di far nascere il capitalismo. Questi presupposti risiedono nell'etica protestante e,
specificamente, in nell'etica protestante puritana. ...E il nesso/lo svincolo teorico sul quale poggia l'etica protestante è la
dottrina sulla predestinazione.

...SVILUPPO DEL DISCORSO "WEBER VS MARX"


A partire da quanto detto su, vediamo come per gli studiosi questo approccio di Weber possa può suonare una
provocazione. Dopo le spiegazioni di Marx, che avevano detto l'azione sociale in termini di rapporto di forza tra chi detiene
i mezzi di produzione e chi non li detiene, quindi in termini esclusivamente economici; per Weber è la cultura a far nascere
un elemento culturale, di più all'interno della cultura un elemento specificatamente religioso, di più ancora, un elemento
teologico all'interno della religione. Questa prospettiva teorica ha conseguenze inaspettate e imprevedibili. Cioè, l'attore
sociale per Weber, nel costruire un senso per la sua quotidianità, ricorre a risorse che sono imprevedibili. In questo caso,
per spiegare l'attività di tipo economico nella prospettiva capitalistica, Weber ricorre a un elemento culturale, di più, a un
elemento religioso, di più, a un elemento teologico. Questa è una cosa incredibile in quanto ci rende avvertiti anche oggi
sulle narrazioni di senso che l'attore sociale si costruisce: in un'epoca in cui sono finite le metanarrazioni, pur tuttavia
l'attore sociale procede a raccontarsi delle altre narrazioni. Non saranno "meta" (cioè quelle grandi narrazioni di senso che
fungono da sfondo per intere società), ma sono pur sempre narrazioni. E in questo senso Weber ci rende avvertiti che
perfino per spiegare quell'elemento che per Marx era fondamentale/strutturale all'interno di ogni società, si poteva usare
un concetto culturale, di più religioso, di più ancora teologico.
...e le religioni oggi svolgono ancora questo ruolo. Il senso in cui questa cosa va letta è quella per cui oggi abbiamo esaurito
tutte le narrazioni (politica, economica, finanziaria). Tuttavia, per via del tutto residuale, la narrazione religiosa riesce
ancora a tenere insieme frammenti di identità. Cioè a dire che finita la politica, in crisi l'economia, la narrazione di carattere
religioso, per Weber è in grado di essere "una riserva esplicativa di un ordine sociale". Chiaro? La grande lezione e il grande
valore di Weber stanno nel renderci edotti che una narrazione così specifica di natura religiosa sia in grado di stravolgere o
di sostenere una rivoluzione di carattere economico.

...L'IDEA DI PREDESTINAZIONE
Concentriamoci sull'idea della predestinazione. Secondo questa prospettiva, l'attività individuale umana è del tutto inutile,
in quanto, dall'eternità, Dio ha prescelto chi si salverà. Noi, oggi, siamo predestinati alla salvezza? Capiamo bene, in questo
senso, come sia diversa la prospettiva della predestinazione dalla nostra prospettiva cattolica: per il cattolico bisogna
comportarsi bene; per la protestante della predestinazione vale il "pecca fortemente, ma credi ancora più fortemente"
(Lutero): si crede quindi nel fatto che sia la fede stessa a salvare il soggetto. Secondo questa dottrina, dunque, -come
appena detto- l'attività del soggetto è inutile, ma allo stesso tempo, soltanto il suo successo su questa terra può fargli
presagire/intuire/sperare di essere tra il numero degli eletti.
Cosa può fare il soggetto se crede in questa verità della predestinazione? Il soggetto non può far altro che ricercare il
successo con tutte le proprie forze. ...E ricercando il successo con tutte le proprie forze, il soggetto non sperpera ciò che
guadagna con il proprio lavoro, ma lo reinveste nella propria attività; lavora secondo criteri razionali allo scopo di
massimizzare il profitto; lavora non per il proprio prestigio, ma per la maggior gloria di Dio; lavora non per accumulare
danaro (e non per sperperarlo), ma per reinvestirlo. ...questa prospettiva nell'interpretare il proprio lavoro, porta alla
concezione di "beruf" ("lavoro delle professioni" e "vocazione"). "Beruf", per Weber, è interpretare la propria professione
in termini di vocazione da parte di Dio.
...E noi siamo persuasi del valore aggiunto di interpretare la propria professione come volontà di Dio. Il valore aggiunto
motivazionale dell'interpretare il proprio lavoro come risposta a una chiamata rivolta da Dio è un qualcosa di incalcolabile a
livello motivazionale. Infatti, interpretare ciò che io devo fare come volontà di Dio, mi da' una carica motivazionale che
niente altro può darmi. Apporto sociologico di Weber estremamente super/incredibile per capire il ruolo della religione nel
mondo contemporaneo. Certo, non apriamo dibattito se questo sia in chiave consolatoria, o in chiave fondamentalista, o
ancora in chiave funzionale...; diciamo soltanto che l'apporto di Web ci insegna che alla base del capitalismo non ci stanno
solamente elementi di carattere organizzativo-tecnico, i quali comunque sono indispensabili ma non sufficienti; perché si
rendesse possibile l'affermarsi del capitalismo così come lo conosciamo noi oggi serve un elemento di carattere culturale,
specificamente di natura religiosa, precisamente di natura teologica: la predestinazione.

Convince questa ipotesi? Dove sono gli elementi di fragilità? È utile studiare ancora Weber? Poniamo la questione.

L'el culturale di W quale è la rel, è in grado di spiegare il fenomeno economico del capitalismo. Una tesi, questa, molto
discussa; la quale ovviamente ha bisogno di essere ricompresa all'interno delle dinamiche tipiche dell'epoca
contemporanea, tautomodernità/postmodernità.
Il punto è questo: nell'impostazione di W l'elemento rel crea le condizioni perché alcuni elementi di carattere
economico/tecnico/culturale si coagulino insieme e facciano nascere quel fenomeno che abbiamo definito capitalismo.
Quindi serve un qualcosa -come dire- un elemento di carattere "spirituale" in grado di fare interagire elementi
economici/tecnologici/razionalizzazione/el culturali di vario tipo, in maniera tale da far nascere quel fenomeno eco che è
diventato caratterizzante l'epoca moderna: il capitalismo.
Prima considerazione: fon vasta che ci ci sia innovazione di carattere tecnologico; fon bastano condizioni di carattere
organizzativo (burocrazia) perché alcuni fenomeni inizino; non basta che ci siano risorse, le più svariate, perché si sviluppi il
capitalismo, modalità specifica di interpretare l'economia. Per W il valore aggiunto è l'etica protestante, e l'etica
protestante è in grado di far interagire quegli elementi in quella direzione.
Detto questo, aggiungiamo un tassello: questo era vero fino a 800 inizio 900. Per molti aspetti l'hp di W è intrigante anche
oggi. Anche oggi elementi di carattere teologico sono in grado di giustificare/influenzare l'intenzionalità dell'attore sociale.
Quindi ciò che io legittimo come giusto da farsi, lo legittimo in base anche a presupposti di carattere teologico. Perché la
persona umana ha una dignità? Da dove viene questa idea di dignità per i cui io devo rispettare chiunque, per cui anche il
criminale io devo rispettare? L'elemento religioso; l'impostazione di carattere teologica. L'idea cristiana di Dio come
persona è un'idea che ha sconvolto non il modo di in repertare gli dei, ma anche il modo di interpretare le persone. Ha dato
una dignità diversa al modo di interpretare le persone. Con tutto il dibattito esploso a metà 500 per il riconoscimento di
dignità ai popoli h che erano stati scoperti nelle Americhe. Li' c'è un dibattito sul riconoscimento di dignità di questi esseri
umani, e pur tuttavia all'inizio si discute se fossero da trattare come animali e Solinas e altri iniziarono a discutere sulla
dignità della persona e sul riconoscimento di diritti della persona. Il tutto si fonda su un aspetto teologico. Questo aspetto
persiste anche oggi.

C'è un altro elemento. Se da una parte la religione spiega l'arma farsi dell'economia, dall'altra parte non è che i
cambiamenti avvenuti fine 20 e 21 secolo, questi specifici cambiamenti, stiano trasformando le religioni a livello globale
(approccio economico finanziario alla realtà)? C'è stato uno spostamento sul economico finanziario a tal punto da far
credere che la economia fosse l'unica narrazione esistente. L'economia detta l'agenda, oggi.
Si discute di accordi di carattere finanziario. La politica in secondo piano. Si discute di questioni di carattere economico-
politico. quindi l'economia detta i vincoli anche delle manovre politiche. L economia detta leggi. Ora, la questione che noi
poniamo a W è non è che questo nuovo linguaggio che a livello globale accomuna tutte le società ha cambiato anche il
modo di intendersi delle religioni? Non è che anche le rel si intendono oggi in termini di domanda e offerta e portano avanti
politiche aggressive di mercato anch'esse? Non è che le religioni tendano a conquistarsi uno spazio in questo mercato di
beni e servizi? Questa è una grande provocazione all'hp di W.
C'è una parte nel manuale dove si parla delle teorie di mercato, o l teoria della libera scelta: cioè le rel vengono trattate
come qualsiasi altra impresa che offre beni e servizi. Le rel spostano infatti enormi quantità di danaro. Non è che quella
narrazione di carattere economico oggi si è presa la rivincita è detta la legge anche per quanto riguarda lo statuto delle
religioni?
Capiamo che W su questo pto specifico oggi sarebbe messo sotto scacco.

W ha torto? Opp questa prospettiva non è in grado di scalzare la sua teoria? Le rel si stanno ricomprendendo all'interno di
questo nuovo frame? Ci sono studiosi che sostengono che l'hp di W è in grossa difficoltà, anzi potrebbe essere rovesciata.
Oggi la teologia, la rel sta cambiando per colpa dell'economia. Un'hp assolutamente da verificare.

Non si tratta del dire che W ha torto; si tratta solo di interpretare il pensiero di W. Si, vero, però per Wa quel l'apporto
aveva un potenziale euristico che andava al di là di quel fenomeno. Però la provocazione di questi autori contemporanei è
che il nuovo contesto ha spade scritto la rel tra economia e rel. quindi c'è un nuovo contesto per cui sono cambiati i termini
del rapporto. Questo è vero.
Ma la questione è: è ancora plausibile l'apporto di W? Non ha più portata euristica a livello di struttura (non si può dire la
rel crea condizioni per...) però a liv di a torre sociale la rel è ancora in grado di essere elemento/risorsa che moriva
l'intenzionalità dell'attore.

anche nelle rel, l'elemento burocratico ha preso il sopravvento. La burocrazia per W è l'espressione organizzativa del
processo di quel processo razionalizzazione che contraddistingue la modernità. Modernità per W significa razionalizzazione
che tocca tutti gli ambiti dell'esistenza.
Ora, le rel quando vengono illuminate dalla razionalità, capiamo bene, vengono messe alla prova. Il processo di
razionalizzazione all'interno dell'ambito religioso corrisponde a un processo di disincantamento. Quella che abbiamo
definito essere la fine delle metanarrazioni. A razionalità spiega stabilendo nessi di causalità fenomeni che prima erano
spiegati ricorrendo alla volontà di Dio.
W descrive questa realtà come un "mondo abbandonato dagli dei dove tutto è spiegabile razionalmente (vuol dire
calcolabile e prevedibile) ciò che nel mondo tradizionale era frutto di impegno, di valori (se vogliamo di passione). Tutto
questo oggi è frutto di calcolo razionale". Tutto è frutto di razionalizzazione e quindi questo porta in un modo abbandonato
dagli dei, al disincantamento.

Però W si rende conto che è difficile vivere senza sognare. È difficilmente non reincantarsi.
La teologia narra razionalmente Dio. Teo logia, discorso su Dio. Capiamo bene cosa succede quando inseriamo il discorso
razionalità dentro un qualcosa che poggiava invece sul sentimento. Nel momento in cui noi spieghiamo razionalmente ciò
che non è spiegabile razionalmente (qui W e Otto ci hanno visto bene) uccidiamo l'immaginazione. E la religione poggia
proprio sull'immaginazione.quindi spiegare tutto razionalmente è un grande rischio per la religione. Le rel sono cadute nel
tranello dell'Illuminismo, adattandosi al fatto che questo spiegava tutto razionalmente. Questo W lo aveva capito, e infatti
parla di processo di disincantamento e reincantamento. La questione però è capire dove ci re incantiamo.
Inserire la razionalità all'interno della rel significa riscrivere lo statuto epistemologico della religione medesima. Cioè la rel
che diventa razionale diventa un'altra cosa. Il cambiamento che la rel ha subito negli ultimi cento anni le ha riconfigurate
secondo uno statuto epistemologico diverso. Il non capire nulla attiva a liv emotivo quella dinamica che noi chiamiamo fede
(dove fede vuol dire "fidarsi"). Passare dall'epoca dei nostri avi, all'epoca in cui si capisce tutto razionalmente, ha portato al
cambiamento dello statuto epistemologico delle religioni.
Ciò detto, l'umanità potrebbe rimanere imprigionata all'interno di questa gabbia d'acciaio drutto di un processo di raz
inarrestabile. La raz ha dei limiti; il processo di raz ha dei limiti. W dice che per un aspetto disincanta e per un altro aspetto
reincanta.
Capiamo che reinventare un processo di reincantamento è un'attività alquanto complessa.

C'è un aspetto, quello sui tipi di potere, che sfugge in ambito propriamente religioso, l'aspetto riguardante il potere
carismatico. Il potere carism sfugge alla logica di razionalizz, ma attenti, al potere carismatico fa seguito quel processo di
routinizzazione del carisma secondo el razionali
]]]]]]]]]]

DAL LIBRO...
LA RELIGIONE COME FATTORE DI CONFLITTO
Come è possibile che a un certo momento dell'evoluzione storica si producano nelle società umane delle modificazioni
profonde di un ordine sociale esistente? Quali sono i fattori che favoriscono l'aversi di questi processi di accelerazione
storica? Se per Marx il fattore dinamico è rappresentato dal conflitto socioeconomico che, opponendo classi sociali,
produce mutamenti economici e politici rivoluzionari, per Weber la risposta viene trovata in un'altra direzione: se la società
muta il suo ordine è perché figure di innovatori sociali o politici che mostrano di saper farsi carico dei bisogni di
cambiamento che la gente esprime in un dato momento storico, leggono dei fattori di crisi da cui la spinta innovatrice.
Per Weber, centrale dunque nei processi di mutamento sociale è la figura del leadership carismatico (specie le figure
religiose di tipo carismatico). Quindi, Weber studia il carisma e in particolare una figura carismatica, quella del profeta.
Il profeta è colui che dice qualcosa di nuovo rispetto alle religioni del suo tempo, è colui che critica l'esistente per proporre
una nuova maniera di vivere una fede religiosa e, si questa base una nuova forma di società. Weber, quando parla di queste
speciali personalità, utilizza il termine "profeta-etico".
Profeti-etici furono Cristo e Muhammad, persone cioè che andarono contro le religioni ritualistiche e vuote del loro tempo,
proposero una società che avrebbe dovuto fondarsi su una scala di valori che rovesciava, in tutto o in parte, quella sulla
quale si edificavano le realtà nelle quali erano nati e cresciuti.
Un profeta etico riesce negli intenti se possiede il carisma. Weber usa questo termine confrontandosi con la tradizione di
Paolo di Tarso e definisce il carisma come dono straordinario posseduto da un individuo -il virtuoso- attorno al quale, in
forza di questo riconoscimento carismatico, si forma un gruppo di seguaci-discepoli.
Ma cosa succede dopo la scomparsa/morte del profeta-etico carismatico? Weber ritiene questo un punto chiave per capire
il passaggio da una situazione sociale dominata dall'eccezionalità (dalla forza creatrice e innovatrice del profeta) a un'altra
nella quale si affermano istituzioni, organizzazioni statali, forme articolate del vivere sociale. È quella che Weber chiama
appunto la routinizzazione del carisma.
Tecnicamente il problema è stato risolto in forma diversa nelle grandi religioni mondiali: trasponendo il carisma in un
delegato istituzionale (la Chiesa cattolica rispetto a Cristo), affermando con il carismatico una discendenza per linea di
sangue (gli sciiti musulmani), postulando la continua morte e rinascita del carisma (buddhismo tibetano).
Nota: accanto alla profezia eticamente Weber parla anche di profezia esemplare, ovvero di un personaggio che sperimenta
su di sé una nuova via di perfezione, rinascita o salvezza, e, così facendo, si propone come modello da seguire. Non c'è in
questo modus vivendi il desiderio di riformare il mondo, nemmeno indirettamente; c'è al contrario una via mistica o
ascetica di superamento del male che individualmente si può percorrere a imitazione del maestro. Non è detto che tutto
questo, poi, possa avere dei riflessi sociali rispetto a un ordine di cose esistenti.
Altro tema che Weber considera importante per capire le religioni mondiali è quello della teodicea, ovvero il modo con cui
una religione spiega la presenza del male nel mondo e come elabora una via per il suo superamento.
In definitiva Weber cerca di rispondere non tanto alla domanda come sia possibile l'ordine sociale, quanto piuttosto come
l'ordine sociale cambi. La religione, perciò, non è vista solo come fattore di coesione, ma anche e soprattutto, come
elemento capace di produrre innovazione e cambiamento sociale.

MARX
RELIGIONE E ALIENAZIONE
La lettura weberiana della religione è molto differente da quella di Marx ed Engels. In prima istanza, l'idea di questi due
filosofi è quella per cui la religione non ha una sua autonomia nel contesto sociale, ma deriva da qualcos'altro e dunque è
sempre a partire da questo qualcos'altro che va interpretata e capita.
Nella logica marxiana e poi marxista, la religione è "l'involucro ideologico" che di volta in volta classi dominanti (o
subalterne) utilizzano per rappresentare a sé stesse la loro condizione o posizione socioeconomica di status o di potere (o
di non potere).
Poi, in una seconda versione, la religione viene considerata come involucro ideologico che nasconde i rapporti di forza reali
presenti nella società, luogo dove il dominio economico si svela in una delle sue forme più complesse. È una sovrastruttura
che si innesta, tra le tante altre, sulla struttura di fondo, quella economica. Ecco che la religione può essere vista come un
modo attraverso cui i conflitti si pongono e si esprimono in una data società e in un determinato momento storico.
In tempi recenti è stato fatto un tentativo, ad opera di Pierre Bourdieu, di collegare il punto di vista di Weber con quello di
Marx sul tema della religione, tentativo che si è concretizzato nella nozione di campo religioso. Il campo religioso implica i
seguenti elementi concettuali:
- la religione è un insieme di beni simbolici che riguardano la sfera del sacro;
- su questi beni simbolici si esercita un potere di definizione, produzione e riproduzione da padre di un gruppo di specialisti
del sacro;
- questo potere dà luogo, all'interno del campo, a una gerarchia fondata sul potere definitorio di ciò che è bene e ciò che
non è bene credere (specialisti vs non specialisti del sacro -o laici-);
- i laici sono i destinatari primi di un processo di imposizione di habitus rituali e mentali che consentono di garantire la
legittimazione interna ed esterna del campo religioso;
- la differenziazione interna al campo religioso porta con sé una latente conflittualità, che si manifesta quando un gruppo di
non specialisti del sacro tenta di definire, in modo alternativo a quello del potere degli specialisti del sacro, il capitale
simbolico che nel tempo si è venuto sedimentando nel campo religioso.
Si nota, una teoria di un campo religioso autonomo e quindi non più riferito ad altre teorie del conflitto. Il conflitto
socioreligioso, infatti ha sue peculiarità: non è un conflitto tra classi sociali, ma è un conflitto che ha per oggetto la
definizione di simboli, di sistemi di significato di natura propriamente religiosa.

PICCOLA PARENTESI: LA RELIGIONE NELLA TEORIA DELLO SCAMBIO (HOMANS)


Questa teoria è così sintetizzabile:
- l'essere umano non cerca di massimizzare a tutti i costi i vantaggi per sé, ma tenta di raggiungere alcuni vantaggi
attraverso transazioni sociali, quindi in chiave collettiva;
- l'essere umano non è un essere puramente razionale
- l'essere umano non possiede informazioni certe si tutte le alternative possibili che l'azione sociale può offrirgli, ma ne
conosce solo alcune, sufficienti pero a garantirgli un minimo controllo;
- compete con i suoi simili per ottenere vantaggi in un processo di contrattazione reciproca;
- si rende conto di agire in un contesto di risorse scarse nel momento in cui entra in una relazione di scambio;
- le relazioni di scambio così descritte valgono per tutte le sfere della vita sociale, non solo quella economica. Infatti, queste
relazioni implicano che l'essere umano per perseguire i propri scopi mobiliti e scambi non solo beni materiali, ma anche
risorse simboliche (ovviamente non presenti economicamente parlando).
La rete sancisce un forte vincolo di solidarietà e reciprocità di doveri; in questo senso lo scambio è un sistema per religare
gli uomini tra loro.
Oltre Malinowski e oltre Mauss, quello che ha maggiormente approfondito la dinamica dello scambio sociale è Lévi-Strauss.
Egli sosteneva che lo scambio avviene ed è reso possibile perché per gli individui esso rientra in un quadro di regole e valori
acquisiti attraverso i processi di socializzazione. La religione occupa, allora, un posto fondamentale in questi processi, dal
momento che essa stessa aiuta a costruire regole e valori (risorse simboliche) in gioco nello scambio.

SIMMEL
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
Simmel apre una finestra sulla scissione tra forme religiose e lo spirito che le anima.
Come vien etichettata la sociologica di Simmel? Sociologica formale. Simmel studia le forme. Dice: non importa quali sono i
contenuti delle rel sociali, noi studiamo le forme di interazione sociale. Il conflitto, esempio classico. Ce sia conflitto tra due
Stati, tra due gruppi di persone, tra marito e moglie, il conflitto ha sempre la stessa forma. Simmel aggiunge, cosa
interessante, che nelle forme di conflitto da studiare non è chi ha più potere e impone la sua visione, ma chi subisce
l'imposizione del potere dell'altro. Perché chi subisce l'imposizione ha dei motivi per subire tale imposizione.

LE FORME DI INTERAZIONE
Quando le studia, Simmel fa una sorta di geometria sociale: il sociologo, cioè, una volta che studia queste forme di
interazione, le applica ai casi concreti.
Per Simmel c'è una tensione tra le forme sociali che lungo i secoli si sono cristallizzate (la famiglia, la politica, lo stato, la
religione) e la libertà umana (l'unicità e l'irrepetibilità dell'atto decisionale del soggetto/individuo).
Ora, questa irrepetibilita del soggetto mette in evidenza come "lo spirito" -utilizza questa parola- che anima la libertà di
scelta del soggetto non possa essere compreso (ristretto/circondato/controllato) dalle forme sociali che lo circondano.
Quindi, queste cristallizzazioni che è sono forme sociali, nascono dall'interazione dei soggetti che tendono ad esprimere
liberamente il proprio spirito. Soggetto libero di esprimere ciò che sente nel proprio spirito, libero però all'interno di un
contesto dato (le forme sociali h eh e si cristallizzano).
Ora, in questa interazione si definiscono formalmente "le regole del gioco". Formalmente nell'interazione tra libertà del
soggetto e contesto sociale, ogni società definisce le forme dell'interazione. Ad esempio, in un contesto primitivo,
l'interazione con la giustizia si poteva risolvere semplicemente facendosi giustizia da sé; c'era sì una forma di polizia, ma in
una cultura primitiva le persone si facevano giustizia da sé. C'è una forma, quindi, e c'è una libertà del soggetto. Lo stesso
avviene per quanto riguarda i rapporti con la religione.
Per quanto riguarda i rapporti con la religione (qui c'è tutto Otto), l religione cristallizza dal punto di vista istituzionale quel
bisogno di relazione con il sacro. Si cristallizza lungo i secoli. Dice però Simmel che ogni cristallizzazione religione, ogni
forma religiosa non è mai in grado di esaurire la libertà di scelta del soggetto per quanto concerno il rapporto con il sacro.
Ogni cristallizzazione cambia velocemente; pensiamo al discorso famiglia, pensiamo a come la complessità delle vicende
individuali porti a ridefinire la cristallizzazione della famiglia. Quindi la complessità dell'epoca moderna (che per Simmel è
profondamente ambivalente) pone in discussione tutte le cristallizzazioni che si erano costruite negli ultimi secoli.

Simmel cresce a Berlino di fine 800 inizio 900. All'epoca Berlino era la New York odierna, il cuore della modernità.

AMBIVALENZA DELLA CULTURA MODERNA


C'è un'apparente contraddizione tra progressismo liberale e pessimismo culturale -così li definisce Simmel-. Questa
riflessione ha una contemporaneità sbalorditiva. La modernità si ferma per un'aspetto, la progressiva liberazione
dell'individuo dai legami basati sui rpoorti di attaccamento esclusivo e di dipendenza personale. La coscienza collettiva che
copriva la coscienza individuale. Quindi la modernità porta un affrancamento dell'individuo per tutti i rapporti che lo
legavano in maniera esclusiva.
Dall'altra parte l'uomo/individuo percepisce una crescente dipendenza da parte dei prodotti culturali che lui stesso
costruisce. Ecco l'ambivalenza.
Semplifichiamo. Noi ci percepiamo come liberi e non mettiamo in discussione questa percezione: possiamo fare quello che
vogliamo. Viviamo in questa tensione: ci liberiamo da vincoli e ci riconosciamo vincolati. Questa è la profonda ambivalenza
della modernità. ...e guardiamo, i prodotti culturali ci condizionano molto; verrebbe da dire che ci determinano. Noi
liberamente abbiamo un prodotto culturale, per esempio un telefonino. Nel mondo preistorico pochi legami; oggi, o col
cellulare, ribaltato il sistema. Il paradosso drammatico è che speriamo che il telefonino non squilli. Ambivalenza della
cultura moderna.

Dove si inserisce la rel all'interno di questa tensione?


La rel è l'elemento per definizione perfettamente ambivalente. È pienamente di questo mondo nel senso che lo regola, ma
è anche pienamente dell'aldilà (regola l'inferno il purgatorio e il paradiso).
È anche l'elemento capace di cambiare più profondamente dando l'illusione di rimanere sempre se stesso, perché le rel per
def devono dire di essere sempre fedeli alla propria tradizione.
Ripetiamo. Questo è il paradosso della modernità dove noi ci svincoliamo da tutto e legittimiamo procedure che ci
svincolano da tutto in tempo reale e, al contempo, siamo vincolati drammaticamente a tutto. Da prodotti che noi creiamo
(fatti sociali) e che si impongono alla nostra libertà di scelta.
La religione, in pratica, si pone al centro di questa tensione.

RIPRENDIAMO SIMMEL...
La natura profondamente ambivalente della modernità.
Ci soffermiamo qui perché è proprio su questa natura abmivalente che si originano le teorie ambivalenti sul ruolo della rel
nell'epoca contemporanea. Se c'è uno stretto legame tra rel e ambiente sociale-culturale, alla grande crisi della modernità
corrisponde allora una grande crisi del modo di intendere la religione. Proprio in questo caso abbiamo fatto il paragone tra
il syllabus (raccolta di affermazioni che negavano praticamente tutte quelle libertà esito della modernità che si stava
affermando subito dopo la metà dell''800) di Pio IX e (metà 900) il concilio vaticano II. Due documenti che dicono
l'atteggiamento di una chiesa che rappresenta molte persone nei confronti del cambiamento sociale.
Perché nel cambiamento sociale cambia il rapp tra rel e soc ma questo cambiare il rapp è vero sia dalla parte del credente
(cambia il modo di credere) ma anche e sia dal punto di vista istituzionale (il modo di far credere da parte delle istituzioni
religiose).
Un esempio, uno studio di campo ce lo abbiamo leggendo appunto i documenti su citati. Ci Tia il rapporto con la modernità.
Leggendo quei documenti senza gli occhiali dei credenti, uno potrebbe pensare che si fa riferimento a due religioni diverse.
L'elemento interessante è che l'istituzione non può dire apertamente o"ci siamo sbagliati" perché se a liv politico non è
semplice ammettere un errore, lo è ancora di più in ambito religioso. Vorrebbe dire minare alla base tutto il sistema di
credenza. È così raffinato e elaborato il credo religoso che metterne in discussione una parte corre il risciiho di far crollare
tutto.
Quindi le istituzioni religiose devono far credere che c'è continuità, coerenza, consistenza con quanto si è sempre detto.
Eppure ribadiamo, confrontando i due documenti di prima, uno che legge due testi letterali pensa facciano rif a due
religioni diverse.
In realtà si parla della stessa religione ma con due istantanee in due momenti diversi a di stanza di 100 anni l'uno dall'altro.
Ciò che è successo in questi 100 anni è un qualcosa di portentoso. Un'accelerazione fortissima verso l'avvento della
modernità. Accelerazione ancora più forte se intesa dai 60 a oggi. Cambiano stili di vita, sistemi di valori, modi di
interpretare le cose... Tutto. Anche la religione.

Noi ci concentriamo su quanto dice Simmel avendo in mente il quadro generale. Simmel vivendo a Berlino ci descrive ciò
che sta succedendo. Non tanto a liv strutturale, ma anche. Mettendo in tensione forma e spirito. Siamo più precisi.
Abbiamo parlato del l'ambivalenza della cultura contemporanea. Per un aspetto, c'è una visione positiva dell'individuo che
progress si libera dai legami di tipo tradizionale... legami che erano di tipo esclusivo, legami che creavano dipendenza
esclusiva del soggetto... E dall'altra parte l'affermarsi di prodotti culturali creati dall'uomo medesimo che però gli si
imponevano. Eravamo arrivati su questo. Adesso facciamo un passo avanti.

Se nel mondo tradizionale il soggetto spendeva la propria esistenza fondamentalmente legandosi a due tre istituzioni
(famiglia chiesa patria) e queste coprivano globalmente l'esercizio della libertà del soggetto, la logica del mondo moderno è
fondam diversa. Se nel mondo trad poche istituzioni coprivano la globalità del percorso biografico del soggetto, nel mondo
moderno c'è una pluralità di sfere separate le une dalle altre le quali coprono parte dei percorsi biografici del soggetto.
Quindi detta alla Durkheim la coscienza collettiva che si sovrappone alla coscienza culturale, Simmel la analizza in termini
formalistici, ma il concetto è quello. Nel mondo trad il soggetto si realizza all'interno di pochissime sfere che coprono tutte
le poss manifestazioni di libertà del soggetto, sfere integrate e coerenti tra di loro (cioè ciò che dice la famiglia è
esattamente ciò che la chiesa vogliono che questa dica, ad es). Ch l'affermarsi della modernità le sfere si differenziano. Ma
Concentriamoci sulla ricaduta personale e il legame che questa ha con il ruolo della religione. Questa moltiplicazione delle
sfere sociali fa si' che tra di loro esse non siano coerenti (fa sì che non si sovrappongano le une alle altre). Prima in un
mondo coerente la costruzione identitaria è relativamente facile; nu fun un mondo frammentato in cui io sono
parzialmente in quella condizione ludica di interesse politico relazionale affettivamente carica di attenzione al sacro mistico
o spirituale, sono parzialmente in una di queste cose. Aggiungiamoci anche "io sono multinazionale"... Capiamo bene che
mettere insieme un'identità che ho deve tenere insieme tutte queste micro appartenenze complica enormemente le cose.
Perché uno non sa più dove è più vero, in quale sfera per intenderci. Questo è il progblema dell'identità. Quindi si
sovrappongono sfere diverse. Ed è difficile per il soggetto trovare una sfera che esaurisca in maggioranza ciò che lui ritiene
di essere.
Per Simmel la modernità vuol dire "frammentazione delle sfere vitali".

La rel che secondo Comte doveva tenere tutti insieme gli organi sociali adesso si riduce ad essere una delle tante sfere.

Da una parte il sogg che afferma sempre di più la libertà per rapporto a legami tradizionali, e dall'altra parte lo stesso
soggetto si rende conto che per essere "accettato" deve sottomettersi a dei prodotti culturali... Quindi per un aspetto si
slega da legami tradizionali e per l'altro deve sottomettersi un altra volta a prodotti culturali. Prodotti culturali che per certi
aspetti sono costruiti ad arte e quindi superflui. Prodotti che servono a soddisfare bisogni artificiali.
Abbiamo detto bisogni artificiali. Con questa espressione Simmel etichetta la condizione di modernità dell'uomo.
Cambiamento drammatico: perdere un'identità e rendersi conto che per acquisire un'altra bisogna legarsi a qualcos'altro.
Dice Simmel, paradosso della modernità, uno si vede quindi schiavo di prodotti superflui che rispondono a bisogno
artificiali. E questa è un'analisi di Berlino.
Dice "La sensazione di essere circondato da elementi di cultura che non sono insigni fanti ma tuttavia sempre meno
significativi". Sottolineano questa espressione perché la religione rimanere l'ultima riserva di significato in grado di tenere
insieme percorsi biografici che talvolta si frantumano disperdendosi nelle sfere sociali più diverse. Cioè la religione
potrebbe giocare e lo fa di fatto una parte nel rispondere al bisogno di significato.

Due cose veloci…


Il passaggio tra 800 e 900 ha cambiato il modo di percepire l'umano.
Freud lavora in questo periodo e ha scritto, quello che raccontiamo, "il disagio della modernità". Gli esiti di questo
cambiamento è mettere in dubbio che il soggetto sia in grado di tenere di fronte a questo mutamento.
Due passaggi...
- "Il mondo era così recente che molte cose erano prive di nome e per citarle bisognava indicarle col dito". Intuizione
incredibile. Le cose erano così nuove che sii ndicavano o no n un dito. IV questa situa di disagio in cui non si sanno
etichettare le "cose dentro".
- il fu mattia Pascal. Non sapevo ancora che cosa volesse dire o non poter più dire io mi chiamo Mattia Pascal.

Questo è il dramma della modernità. In questo cambiamento in cui le cose non hanno un nome, in cui il soggetto non da
più per scontato di essere quello che è e non sa dire chi effettivamente lui sia, tutto si problematizza. ...E la religione si
inserisce proprio in questo interstizio: la religione è in grado di dare un senso.

- "sulla spiritualità nell'arte, soprattutto nella pittura" di kandinskij. Questa de costruzione nel passaggio da otto a
novecento mette in discussione i percorsi identitari ... Il modo di definire tutto. Non si parla più di religione, come vediamo,
m si parla di arte.

TORNIAMO A SIMMEL...
Simmel, ecco perché abbiamo parlato di Kand, distingue tra spirito e forma.
Nella vita c'è un conflitto continuo tra ciò che il soggetto percepisce nella rel con il sacro e ci che storicamente lungo il
tempo si cristallizza come forma che controlla il rapporto con il sacro. Ripetiamo: tra lo spirito che è fondamentalmente il
principio di individuazione e le forme che storia certe cristallizzano il rapporto con il sacro.

Simmel, in questo senso, contrappone religione a religiosità. La rel è la forma sociale che oggettivizza il rapporto con il
sacro, mentre la religiosità è la spinta vitale del soggetto che autonomamente si rapporta con il sacro.
Sul testo di pace troviamo i dettagli di questa situazione.

Due passaggi di Simmel prima di chiudere


Secondo S da una parte la rel risponde al bisogno di assolutezza e dall'altra parte
Di amare e essere amati nella forma più pura perché ogni concretizzazione dell'amore lo priva della sua forma trascendente
pura. Quindi lampre per Dio non sarebbe replicabile in F nessuna cristallizz concreta (perché non ha limiti, come gli altri
amori). Ma ci sono due passaggi che adesso leggiamo che dicono come -Durkheim torna fuori ancora- il rapporto con il
trascendente non si esaurisce nella sua modalità religiosa.
- "possiamo accertare che molte relazioni degli esseri umani tra loro contengono un el di religiosità. Il rapp del figlio coi suoi
genitori, del patriota con la sua patria o del cosmopolita nei confronti dell'umanità, operaio con la classe, feudatario
patrizio nel suo ceto"... Tutte queste relazioni possono avere se viste a partire dalla forma del loro lato psichico una tonalità
comune che si può definire religiosa. Dove sta per Simmel questa natura religiosa del legame? Nl rapporto di affetto amore
che c'è tra i gruppi appena annunciati.
- c'è un altro passaggio. Facciamo molta attenzione su questo perché qui la letteratura odierna è molto feconda. L ricerche
dicono che ci sono persone che pregano anche senza credere, quindi l'atteggiamento della preghiera è interessa...
Ciò che lega la religione oggett cristallizzata alla religiosità è la nozione di pietà. La pietà viene intesa come modalità
emotiva specifica dello spirito. Quindi la pietà è un legame che tiene insieme Le reti comunitarie affettivamente
significative.
- altro passaggio. La fede che si è riconosciuta come l'aspetto essenziale e sostanza della rel si presenta innanzitutto come
una relazione tra gli esseri umani. L fede è una relazione prima di tutto tra gli esseri umani. Si tratta della fede pratica. "Se
dico io credo in Dio" questa fede significa qualcosa di completamente diverso da frasi del tipo "io credo nelle l'esistenza
della l'una". Significa che accetto l'esistenza di Dio e implica allo stesso tempo una DEt relazione con lui, un orientamento
della vita in funzione di lui. È più un generale una singolare mescolanza della fede intesa nel modo della conoscenza con
impulsi pratici e sensazioni sensoriali... q[sono cose scritte nel libro che dicono cosa può essere secondo Simmel il legame di
fede].
Questa pietas a cui fanno riferimento i letterati odierni lega insieme prima che gli uomini con Dio, gli uomini tra di loro. Ed è
la stessa fede che lega religiosità con religione.
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DAL LIBRO...
L'interesse dell'approccio di Simmel al fenomeno religioso è spiegato perché nel suo pensiero introduce la distinzione tra
religione e religiosità, anticipando un punto di vista metodologico ampiamente accettato oggi in sociologia della religione.
Sintetizziamo così Simmel:
- la comprensione della realtà ci rivela l'esistenza di una pluralità di mondi che convivono l'uno al fianco dell'altro (dell'arte,
della scienza, della filosofia e della religione). Ognuno di questi mondi funziona in base a proprie regole, perseguendo una
propria verità;
- per l'individuo questi mondi non sono coerentemente controllati e collegati, anzi la condizione normale li vedrebbe
compresenti o sovrapposti l'uno all'altro;
- perciò la vita è conflitto continuo tra quelli che Simmel definisce "spirito" e "forme", ovvero tra l'incarnazione presente nel
mondo reale di valori spirituali e la libertà dell'essere umano, la tendenza dello spirito a non lasciarsi ingabbiare nei limiti
dettati dalle forme (soprattutto quando queste si trasformano in opprimenti istituzioni sociali).
Da queste considerazioni di base Simmel muove per contrapporre la religione alla religiosità. Cioè a dire che mentre la
religione è ciò che prima abbiamo definito forma (l'incarnazione nel mondo reale di valori spirituali, nonché adesso
religiosi), la religiosità è spinta vitale, è libertà di scelta verso ciò in cui credere, è esperienza soggettiva di una relazione con
il sacro, è in definitiva lo spirito. Per definizione:
- la religiosità è lo stato in cui si trova una persona rispetto al mistero;
- la religione è la forma culturale che scaturisce come realtà oggettivata dal continuo interagire tra le persone.
Ecco quindi che l'enfasi simmeliana è riposta sulla condizione soggettiva emozionale del soggetto. E comunque non c'è
alcuna svalutazione della religione rispetto alla religiosità, semplicemente sono due cose differenti e che, anzi, si
compensano a vicenda: la religione cristallizza la religiosità, ma quest'ultima costituisce il principio di rinnovamento
incessante della prima.
Nota interessante, Simmel non è interessato a cogliere l'esistenza scientifica del trascendente, di Dio, piuttosto invece si
limita ad osservare ciò che gli individui fanno quando agiscono in funzione del loro credere in Dio.
Il passaggio dalla religiosità alla religione è spiegato da Simmel attraverso la nozione di pietà (una modalità emotiva
specifica dello spirito). La pietà è un'emozione che consente alla una umana di intuire e riscoprire i legami sociali che lo
legano all'altro, le reti comunicative affettive e vitali alle quali ognuno di noi fa spontaneamente riferimento. La religione
stende per così dire su queste reti emotive profonde una trama ancora più fritta di relazioni, trasformando ciò che è fluido
in un qualcosa di stabile, un'istituzione ordinata. Sì perché nell'unità religiosa è possibile immaginare un unità più vasta
della società e dell'umanità tutta. In questo modo la religione non è vista come alienazione, ma come coesione sociale,
come luogo cioè dove gli esseri umani possono produrre valori simbolici che altrimenti non potrebbero essere prodotti.

L'APPROCCIO DELL'INTERAZIONISMO SIMBOLICO, DELLA FENOMENOLOGIA E DELLA SOCIOLOGIA CRITICA


- INTERAZIONISMO SIMBOLICO. È legato indissolubilmente al nome di Mead e alla sua principale opera, "Mind, Myself and
Society". I presupposti dai quali Mead prende le mosse sono: il riconoscimento della limitatezza dell'essere umano che, per
sopravvivere, è spinto a cercare rapporti con gli altri esseri umani; la tendenza a ricercare tipi di azione collettivi e di
transazione sociale. Ruolo centrale al fine di compiere azioni, per Mead, ce l'ha la mente. Questa elabora rappresentazioni
simboliche della realtà sociale salvo poi orientare le azioni, per cui agire è sempre interagire attraverso rappresentazioni
simboliche. In questo contesto la religione è un sistema di rappresentazioni simboliche che la mente elabora per adattarsi a
un insieme comune di valori (quelli religiosi) e dunque può offrire un modo per fondare una propria identità e una propria
autoidentificazione nello spazio sociale.
- FENOMENOLOGIA. Schütz, suo fondatore, attacca l'interazionismo simbolico con questo ragionamento: come gli individui
che interagiscono in società creano una visione del mondo comune? La risposta che lui dà è che gli uomini vivono e
agiscono dando per scontato l'esistenza di un mondo di evidenze che in realtà non ci sono. Nello specifico, la religione è
una provincia di significato dove il dato per scontato è molto molto forte, ovverosia l'esistenza di un mondo ordinato da un
principio trascendente. Compito della sociologia è cercare di capire quali sono questi dati per scontati rendendo gli
individui edotti della cosa.
- SOCIOLOGIA CRITICA. Habermas, massimo esponente, distingue tra due figure o metafore sociologiche, ovvero "il sistema
sociale" (sistema in cui vige la logica del denaro e del potere) e il "mondo vitale" (sistema in cui le persone, nel comunicare,
condividono significati e valori). Nelle società industriali avanzate, la tendenza prevalente è la progressiva invasione della
logica che sistema sociale negli spazi vitali degli individui, per cui l'interesse di Habermas (della sociologia critica) è rivolto a
quei movimenti contemporanei che cercano di opporsi a questa tendenza. La religione, quindi, in quanto motore di
movimenti di questo tipo, ovvero radicali, riveste un ruolo mio oro rotante e significativo.

LA TEORIA DELLA SCELTA RAZIONALE


L'assunto fondamentale è che ogni essere umano agendo compie delle scelte basate sul calcolo dei costi e dei benefici.
Anche l'agire religioso risponde a questa logica. Da qui, l'individualismo metodologico. Perciò la religione non è in prima
istanza un modo per legare la società in tutte le sue parti, ma è soprattutto frutto di una scelta individuale, in questo caso
soddisfacente le pulsioni più propriamente emotive.
Inoltre la scelta razionale anche in campo religioso non si riduce mai ad una secca alternativa: è più complessa, perché
riflette tutte le situazioni particolari (per definizione complesse) in cui ogni individuo vive.
Non esistono scelte razionali giuste o sbagliate; in tal senso il sociologo assume di fronte a queste un atteggiamento di
neutralità etica.
Per i teorici della scelta razionale esiste un mercato di beni, anche religiosi, che funziona secondo la logica propria del
mercato economico, ovvero quella della domanda è dell'offerta. L'attenzione allora si focalizza su come l'offerta tenda a
creare la domanda. Infatti, società pluraliste dal punto di vista religioso stimolano la domanda, ampliando la pluralità e
l'intensità delle scelte religiose da parte degli individui.
L'aspetto interessante della teoria sta proprio nell'attenzione dedicata alla religione come fenomeno organizzativo; è come
se si dicesse: la religione esiste solo perché c'è qualcuno che la organizza.

LA RELIGIONE IMPLICITA
È un importante paradigma teorico o modello interpretativo della religione che deve la sua elaborazione a Edward Bailey.
Per Bailey parlare di religione implicita vuol dire avere a che fare con tre diversi livelli di analisi:
1. L'uomo, per disposizione naturale, tende a ricercare il senso ultimo della vita. Tuttavia, talvolta questa disposizione può
anche restare latente o comunque non è detto che assuma necessariamente contenuti religiosi espliciti.
2. Questo non assumere contenuti religiosi espliciti spiegherebbe anche il ricorso, in molte società, a quella che viene
definita da Bellah "religione civile" ovvero la sacralizzazione della sfera politica.
3. Tra queste due dimensioni, micro e macro, la religione implicita si manifesta in forme inattese in altri campi dell'agire
umano, come nello sport (vedi forme di attaccamento quasi sacro alla maglia della propria squadra o cose simili) o attorno
alla figura di personaggi popolari della musica (venerazioni varie, vedi quella di Elvis Presley).
Il concetto di religione implicita si avvicina per alcuni aspetti all'idea di religione invisibile di Luckmann: una religiosità
basica, in bisogno antropologico di "piccola trascendenza" o "trascendenza quotidiana".

[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
EDWARD BEYLEY - LA RELIGIONE IMPLICITA
Edward Beyley ha sviluppato un hp molto affascinante ma difficile da dimostrare empiricamente della religione implicita.
Lui dice che prima di tutto ogni essere umano naturalmente è predisposto a cercare un senso ultimo nella sua esistenza.
Questa predisposizione naturale (concetto molto criticabile) può venire condotta anche al di fuori delle istituzioni religiose.
Ahi di per lui questa ricerca condotta ai margini o fuori è religione implicita.
Lui parla di rel implicita anche a proposito del concetto di civil religion (religione civile). Per lui anche la rel civile ha dei tratti
di religiosità (rel implicita). Per B tutte le manifestazioni che comportano una certa  trascendenza, dallo sport alla musica
ecc.ll, portano in se qualcosa di religioso. Cioè la rel civile, come la definisce lui.
La rel civile è una trasposizione sulla sfera pubblica civile laica di comportamenti ritualità tipicamaente religiose. La c r è
l'insediamento del presidente della Repubblica che prevede una ritualità di un certo tipo o qualsiasi cosa richieda una
ritualità fissa; la commemorazione del 4 Novembre.
Riflettiamo sul fatto che è prevista una forma di trascendenza nella forma civile. Una trascendenza immanente, ma pur
sempre trascendenza.
]]]]]]]]]]

CAPITOLO 3 - SACRO, RELIGIONE E RELIGIOSITÀ


In questo capitolo cerchiamo di capire come si definiscono e si misurano i concetti centrali nel mondo delle religioni di
sacro, religione e religiosità. Nostro compito, quindi, tentare di definire i detti concetti le procedure attraverso le quali
trasferire questi concetti astratti in indicatori empirici.
Attenzione però che quando studiamo le religioni o altre categorie astratte, talvolta le filtriamo attraverso delle
precategorie (vedi nostra situazione psicologica, culturale e storica).

IL CONCETTO DI RELIGIOSITÀ
Una definizione del concetto di religiosità è stata suggerita anni fa da Glock (1964) e da Glock e Stark (1965). Nonostante le
critiche ricevute, la proposta iniziata da Glock mantiene in quanto caposaldo. Glock introduce alla religiosità definendola
come un qualcosa di multidimensionale. In questo senso, distingue 5 dimensioni o fattori che permettono di individuare la
religiosità: credenza, pratica, conoscenza, esperienza, appartenenza. Sono da considerarsi come relativamente indipendenti
l'uno dall'altro. Ne segue che alcuni fattori possono anche sovrapporsi e combinarsi insieme a descrivere un'unica
dimensione coerente e che, di traverso, possono anche ammettere casi in cui sia possibile combinarli assieme nei fini
appena detti. Es, l'esperienza religiosa risulta una dimensione relative ante autonoma rispetto all'appartenenza religiosa.

Se l'uomo ammette dei bisogni fondamentali (vedi quello della esplorazione, specie quella metaempirica), la religione si
può dire che rappresenta l'interpretazione e la risposta addotta questi bisogni: da questo punto di vista la religione è da
intendersi come una strategia cognitiva (capire i bisogni da cui risolverli). Non solo, ovviamente, perché per religione si
intende anche una forma di credenza, o ancora un modo di esprimere comportamenti rituali, ma anche un meccanismo
socioculturale di definizione di identità sociale.
Detto cos'è la religione (un complesso sistema di elaborazione di risposte a diverse pulsioni e strategie di vita di individui e
gruppi umani), la religiosità invece attiene alle concrete forme, empiricamente osservabili, attraverso cui gli attori singoli o
collettivi esprimono le diverse dimensioni della religione stessa.
Sinteticamente, religione=codice teorico di interpretazione e organizzazione del mondo individuale e collettivo;
religiosità=messa in pratica nel concreto di questo codice teorico.

Critiche a Glock: potrebbero esserci altre dimensioni della religiosità, non solo le 5 enunciate. Oppure, tra le 5 enunciate, ci
sarebbe da distinguere tra dimensioni fondamentali e subordinate.

Successivamente Glock e Stark potenziano quanto detto precedentemente (solo da Glock), dicendo che i fattori (i 5 fattori)
sono indipendenti tra loro e che l'approccio corretto allo studio della religiosità non può che considerare questa come un
qualcosa di multidimensionale (anche cioè multidisciplinare). La questione è complessa, quindi. Attenzione infatti che
esistono diversi tipi di religiosità: istituzionale, storica o di tipo-chiesa: le strutture restano le stesse (creazione di sistemi di
appartenenza o apparati di controllo dell'ortodossia/eterodossia), variano i contenuti.

IL PROBLEMA DELLA MISURAZIONE DELLA RELIGIOSITÀ


La religiosità, una volta scomposta nelle diverse dimensioni, può essere sottoposta a prove di misurazione, utilizzando vari
metodi. Metodiche variano a seconda di cosa si intende misurare. ...e ovviamente, si può approcciare al tema tanto con
ricerche quantitative che con ricerche qualitative.

[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
LE 5 DIMENSIONI DELLA RELIGIOSITÀ, GLOCK (POSSIBILE DOMANDA DI ESAME)
...
Quando noi vogliamo capire in cosa consiste la rel, cosa andiamo a chiedere? Le classiche cinque dimensioni o fattori della
religiosità di Glock:
1. LA CREDENZA RELIGIOSA.
2. LA PRATICA.
3. L'ESPERIENZA.
4. LA CONOSCENZA.
5. L'APPARTENENZA.
Cioè quando studiamo cosa significa per le persone essere religiosi noi facciamo un questionario che proponiamo,
questionari con domande che richiamano a queste 5 diverse dimensioni/fattori della religiosità.

LA CREDENZA RELIGIOSA
Innanzitutto, partiamo dall'elemento base che è la credenza. La domanda fondamentale quando si fa riferimento a questi
temi è "credi in Dio? Si, No". Data questa domanda di partenza, ovviamente la rel è un insieme di molte altre cose rispetto a
questa domanda... Quando uno dice sì credo in Dio poi bisogna vedere in quale Dio, come ci crede, cosa significa per lui
credere in Dio. Diverso è chi dice di credere in Dio e non segue L insegnamento e non segue l'insegnamento i dettami
teologici e morali di una specifica religione, chi lo fa, chi dedica la sua vita al servizio degli altri, chi in nome di Dio si fa
esplodere. Ecco non discrimina molto la domanda, ma ci da un orizzonte. Che valore diamo alla risposta a questa
domanda?  Come abbiamo già visto, trattiamo una certa maniera chi crede in Dio, trattiamo in un altra maniera in un Dio
diverso dal nostro e quindi noi stessi siamo credenti in uno  e miscredenti in un altro... Quindi, noi crediamo o non
crediamo. Attenzioniamo il cosa significa credere, perché come dicevamo Simmel, nel momento in cui il soggetto
appartiene a più sfere sociali spesso incongruenti tra di loro deve trovarsi un elemento che gli dai coerenza; deve trovare
una sfera che sia in grado di dare senso a tutte le altre sfere differenti, e la religione gioca anche questo ruolo.
La credenza religiosa (non politica o sportiva o altro) ha una specificità: è un atteggiamento specifico nei confronti di un
essere superiore o di una potenza percepita come trascendente o misteriosa. Questa affermazione pone il frame: ci si pone
di fronte comunque vogliamo etichettarlo a un essere superiore. Noi lo chiamiamo Dio, in realtà può essere etichettato
nelle maniere più diverse: in termini di energia essere totalmente altro potenza misteriosa. A grande diff è fra chi dà a
questo essere trascendente un volto personale o un volto non personale, per cui Dio uno se lo rappresenta oppure non
riesce a rappresentarselo.
Di fronte a questo essere trascendente si stabilisce una rel di sottomissione. Questo è un altro elemento caratteristico della
credenza religiosa. Quindi è il riconoscimento di un limite da parte dell'essere umano, un limite del soggetto, per rapporto a
un essere onnipotente/illimitato/perfetto.
Guardiamo che questo atteggiamento di sottomissione è ciò che di meno scontato c'è nelle relaizoni. Dicevamo già che
Simmel ha riflettuto sul rapporto di forza nel conflitto: nel confl è interessante studiare chi impone la propria volontà, ma
ancora di più chi accetta l'imposizione da parte degli altri. Quando accettiamo l'imposiziono dell'altro e perché? Nel
rapporto con Dio tutto diventa più raffinato, compreso questo rapporto.
Per quanto concerne la rel con Dio, non è in gioco solo la rassegnazione passiva per rapporto a uno che impone la sua
volontà (Simmel: perché uno accetta l'imposizione dell'altro); nel rapporto con il mistero, con il totalmente altro, con Dio,
noi non abbiamo di fronte uno che si impone e che ci costringe, ma siamo noi che liberamente riconosciamo l'esistenza di
un essere trascendente e siamo noi che decidiamo di metterci in una situa di sottomissione per rapporto a questo essere
trascendente. Quando ci rapportiamo al mistero ne percepiamo l'onnipotenza e percepiamo il nostro limite. Qui capiamo
benissimo l'impostazione di Feuerbach, che a partire dall'esperienza del limite ho bisogno di qualcuno illimitato di fronte a
cui mi sento limitato e proietto di fronte a lui quello che vorrei essere. Sta di fatto che, 1, la credenza è riconoscimento di
essere trascendente; 2, implica un atteggiamento di sottomissione a questo essere (cosa non scontata a tal punto che al
cambiare del contesto sociale e culturale cambia il modo di rapportarsi al trascendente). La credenza è prima di tutto un
atteggiamento nei confronti di un altro, quindi un fuori di me che non mi costruisco io, e di fronte a quell'altro io mi
sottometto, non entro in partita (cosa da non dare per scontato). Capire questo meccanismo colloca chi crede in Dio in una
posizione differente rispetto chi non vi crede.
Però, e questo è l'aspetto ancora più problematico/critico, la credenza religiosa risponde a dei bisogni cognitivi. Quindi da
una parte è un atteggiamento di fede (uno ci crede o no); dall'altra questo atteggiamento risponde a dei bisogni di tipo
cognitivo. E cioè le religioni hanno il compito di mettere ordine laddove c'è il caos. Il bisogno di ordine è un bisogno
cognitivo. Ancora una volta emerge il ruolo della rel come fonte di senso: abbiamo bisogno di dare senso a ciò che
potrebbe essere semplicemente frutto del caso. Ogni rel per r mettere ordine dentro la casualità costruisce un sistema di
dogmi o di verità di fede (non tutte le ver di fede sono dogma, per esempio la verità di fede della resurrezione al cuore del
cristianesimo, nel cattolicesimo non è un dogma; mentre è un dogma la verginità di Maria ante durante e post parto).
Dicevamo, ogni religione mette ordine all'interno del caos con un sistema di credenze. Le religioni lo fanno nelle maniere
più diverse a seconda del contesto culturale a cui devono rispondere. Quindi, un sistema di credenze che risplende a
bisogni di tipo cognitivo.
Un questionario di sociolgia chiede, in termini di credenza, se uno crede che ê stato creato da Dio, che esista la vita dopo la
morte, che dopo la morte ci sia un giudizio...ci sono delle costanti e delle variazioni... Le rel hanno delle narrazioni molti
interessanti perché non spiegano scientificamente come è nato il mondo, ma ci narrano come il mondo abbia un senso. Poi,
qualunque natura di creazione si consideri, nulla cambia; tutte le religioi hanno queste narrazioni. Le grandi rel universali
poggiano su un libro che solitamente è stato scritto o da Dio direttamente o da un suo intermediario. E in nome di ogni
singola parola di questi testi sacri, c'è stato di tutto. Quindi, queste grandi narrazioni trovano origine in un testo sacro.
Diciamo due parole sulla specificità della credenza
1 già detto
2 già detto
3 complesso di dogmi, credenze, già detto.
4º chiodo: la credenza è una particolare forma di conoscenza. Questione notevole... Cosa conosco io credendo che il
mondo sia stato creato da Dio...? Cosa consoco credendo? Noi abbiamo in mente il modo di conoscere frutto
dell'Illuminismo. Oggi quel modello di conoscenza è stato messo in crisi: l'intelligenza emotiva (si conosce perfino amando)
risponde in questo senso. L. Credenza rel è una specifica forma di conoscenza: è una conoscenza autonoma che però non è
strettamente fondata non sulla razionalità e non sul l'evidenza empirica. Ma ha una sua razionalità che potremmo definire
noi in termini di "ragionevolezza" (attenzione al file tensione tra razionalità e ragionevolezza); ma attenti, la credenza
religiosa, pur non avendoli allo del sapere scientifico è connotata a emotivamente in maniera così profonda che non teme
smentita. Quindi è un modo di conoscere estremamente strano, buffo. Noi conosciamo: possiamo conoscere attraverso i
calcoli, leggendo poesie, amando, ma anche credendo. Se è vero che "nati non foste per viver come bruti", attenzione
viviamo per seguire conoscenza. E dunque, pur non essendo scientificamente dimostrabile, la credenza religiosa non teme
smentita; anzi, è controfattuale (più la realtà fuori di me smentisce la mia credenza religiosa, più io chiedo a Dio di
alimentare la mia fede -uno degli esiti possibili-). Pur non essendo frutto di una dimostrazione empirica né di una
razionalità ristretta, le credenze religiose sono non smentibili (controfattuali).
Ovviamente, la cred religiosa si trasforma con il passare da un epoca storica a un altra. Se ricordiamo, pensiamo a Omero,
all'inizio c'era la fase mitologica per cui una precisa rappresentazione delle divinità. Dalla fase mitologica si è passata alla
fase del "logos" (mito-logia, teo-logia, primo grande passaggio della credenza religiosa)...e poi dal logos, oggi, si passa
all'esperienza: cioè noi oggi siamo passati dal concetto di razionalità pura a un concetto di razionalità debole, la conoscenza
emotiva, le emozioni. Quindi avviamo anche nei confronti di Dio, il mistero, questo approccio emotivo: è un Dio che ci vuole
bene, che ci accompagna e che ci assiste, non che ci giudica.
5. Gli autori, Marx Freud per dare due cifre, hanno spiegato in maniera diversa la sfida della credenza religiosa. Oggi, a
parte alcune posizioni ideologiche che ritengono la rel una posizione appunto ideologica, la credenza religiosa è
riconosciuta una credenza con un suo statuto specifico.

L'ESPERIENZA RELIGIOSA
L'esperienza religiosa. Ogni tipo di conoscenza deve poggiare su una forma di esperienza. La quesitone primaria è di che
cosa si fa esperienza? Uno esperisce, cosa? Il sacro, che in questa fase definiamo come "ciò che non è profano". Il sacro è
percepito nella vita con i tratti della straordinarietà (ciò che è straordinario). E da questa esperienza del sacro nascono dei
comportamenti. E qui, per la sociologia si aprono riflessioni...il sacro è profondamente ambivalente prima di tutto perché
bisogna interpretarlo e quando io lo interpreto che categorie uso? Quelle che mi derivano dalla desu cinema moderna che
procede per ipotesi, errori e nuove ipotesi? Oppure procedo a partire dalle mie credenze religiose? Sono due cose
completamente diverse.... Quindi ogni esperienza ha bisogno di essere interpretata e troviamo gli strumenti per
interpretarla nella cultura nella quale la rel che vogliamo interpretare è inserita.
Qui l'aggancio con l'articolo di Linda Woodhead è evidente: in un mondo in cui siamo abituati a vedere il sacro all'interno di
categorie religiose istituzionali, se io voglio trovare il sacro vado in una chiesa perché quella cultura mi ha a dato strumenti
per interpretarlo. In una cultura più materiale, non vado in chiesa, ma "vado a Stoneage"... In una cultura in cui gli
strumenti per interpretare il sacro sono animistici/panteistici, io vedo il sacro in quelle particolari materializzazioni.
Il sacro, ancora una volta, è percepito in maniera diversa a seconda di chi applica una prospettiva razionalistica o una
credenza religiosa.
Ci sono due processi, citiamo Mauss (nipote di Durkheim) che riflette su come noi costruiamo il sacro. Questi studia i
processi che rendono sacro qualcosa, che sacralizzano. M riflette su come si rende sacro, ma c'è un altro tema di ricerca,
ossia il fatto che il sacro sia "per sua natura violento": sappiamo che l'origine delle guerre è nel l'idea di sacro e molti
sostengono che il sacro poggiando su un sistema di idee di natura esclusiva, sia violento. Sta di fatto che molte volte il sacro
lo si evoca attraverso molto spesso il sacrificio, un sacrificio cruento.
...quindi sacro come violenza, sacrificio: noi, per credere religiosamente, abbiamo bisogno di un'esperienza.
]]]]]]]]]]

DAL LIBRO...
NON FACCIO LA CREDENZA, GIÀ ESAUSTIVI GLI APPUNTI

L'ESPERIENZA RELIGIOSA
Un primo tassello che ci permette di definire cosa si intende per esperienza religiosa è la nozione di sacro. Che cos'è il
sacro? RIPRENDI GLI APPUNTI CON RUDOLF OTTO, MA ANCHE L'INTRODUZIONE DEL LIBRO (VEDI QUANTO DICE
DURKHEIM)

[[[[[[[[[[ DAGLI APPUNTI...


IL TESTO DI RUDOLF OTTO - PARTE I
Oggi ci concentriamo seriamente su quell'elemento da cui tutto ha inizio, il sacro. Chi vuole capire cos'è e come funziona
una religione e perché le religioni non sono scomparse come prevedeva qualcuno appena 40 anni fa... deve prima capire
cos'è il sacro (das heilige). Parleremo allora del sacro a partire da un libro di testo intitolato -appunto- "Il sacro" (Das
heilege) scritto da Rudolf Otto. Non sarà una trattazione onnicomprensiva del sacro, ma solo un piccolo carotaggio su
qualche estratto del testo di riferimento.

INTRODUZIONE STORICA AL TESTO


Questo testo è stato pubblicato nel 1917, al termine quindi della Prima Guerra Mondiale. Un'epoca, questa, di
profondissimi cambiamenti e in cui sono recepiti a livello accademico le conoscenze in ambito sociologico e psicologico:
siamo quindi in un'epoca in cui la scienza inizia a fare i primi passi. In quel momento storico, e la Prima Guerra Mondiale lo
rese chiaro, la scienza combinata con la tecnica poteva distruggere il mondo... e di fatto ha distrutto quel mondo. Noi oggi,
fortunatamente, non abbiamo la percezione della guerra, ma se parlassimo coi nostri avi ne avremmo un'idea...ma non ci
dilunghiamo su questo. Tuttavia, come ben sappiamo, ogni libro parla del suo autore, del tempo in cui questo libro prende
forma e di un argomento specifico. Detto questo, sicuramente questo libro parla di Rudolf Otto, sicuramente è influenzato
dal contesto storico in cui è scritto e sicuramente parla del sacro come argomento principale. Ciononostante, ci
concentriamo solo sull'argomento che il libro tratta, lasciando gli altri due elementi (autore e contesto)
all'approfondimento personale (di chi vuole).

PERCHÉ CI SOFFERMIAMO SU QUESTO TESTO E NON SU ALTRI?


Perché ci confrontiamo con l'argomento dei questo libro e non con altri libri? Perché questo testo da' la dimensione di
come sia complesso parlare di religioni, complesso a tal punto che se parlassimo di partiti politici non avremmo tutto il
timore di portare esempi irriverenti (parlando degli stessi partiti politici). Parlando di religioni, invece, per quanto noi ci
sforziamo di essere scienziati sociali, la questione è un po' più complessa.

IL RAPPORTO TRA RAZIONALITÀ E IRRAZIONALITÀ


Parliamo de "Il sacro" perché pone una questione fondamentale sulla quale dobbiamo attivare la nostra attenzione. Il
sottotitolo di questo libro è "sull'irrazionale nell'idea del divino e il suo rapporto con il razionale". Qui, da studiosi sociali,
capiamo bene la tensione che è la caratteristica /a cifra per capire il sacro, tra l'elemento "razionalità" e l'elemento
"irrazionalità". Un rapporto, questo, che si è fatto "drammatico".
Poniamo la questione in maniera radicale: noi siamo razionali o irrazionali? La risposta non è semplice. Weber pone la
questione in maniera chiarissima, per lui il processo di modernizzazione è un processo di razionalizzazione. Attenti però, lui
vede la razionalizzazione come possibilità, non come un destino. Noi siamo abituati a pensare alla biografia personale o
all'ordine collettivo/sociale in termini di razionalità. La burocrazia, ad esempio, è la longa manus organizzativa di questo
principio sommo che è la razionalità. Siamo tutti figli dell'Illuminismo, che ci piaccia o meno, e gli effetti di questa onda
lunga dell'Illuminismo non si sono ancora visti in maniera completa.
Torniamo a noi. Siamo persone razionali o no? ...E quando parliamo di religione, siamo persone razionali o no? Ecco, per
capire questo bisogna prima capire come funziona il sacro e questo perché tutta la costruzione religiosa poggia sull'idea di
sacro: cioè, le religioni strutturano ciò che non è strutturabile/le religioni danno forma non al sacro, ma a una parte del
sacro (lo dicevamo già, questo  questo facendo credere che sono le uniche legittimate a regolarne l'accesso).
Prima di iniziare a parlare del testo con precisione, dobbiamo capire bene che non siamo persone razionali. Pur tuttavia la
razionalità non copre tutta la nostra azione, e questo per il semplice fatto che le scelte più importanti della nostra vita non
le facciamo su base razionale. Ad esempio, quando uno si innamora, si innamora e anche se gli portano un algoritmo che
dimostra che si è innamorato della persona sbagliata, non si schioda. Una persona può anche convincerci che il nostro
comportamento sia del tutto irrazionale, ma noi in certe cose non ci schiodiamo. Altro esempio... Perché le persone
fumano, essendo che la cosa razionalmente viene molto bene contrastata dai messaggi che vengono attaccati sui pacchetti
di sigarette? Messaggi come "il fumo può uccidere il bimbo in grembo materno", "il fumo causa il 90% dei casi di cancro ai
polmoni", "il fumo è dannoso per i tuoi denti e per le tue gengive", "il fumo causa attacchi cardiaci", "il fumo causa il cancro
alla bocca e alla gola"...tutti ragionamenti razionali, questi. adottati nei termini della persuasione delle persone a non
fumare. Diremmo che le persone che fumano sono persone irrazionali? Se noi applicassimo una razionalità strumentale,
diremmo di si'. Ma la razionalità strumentale non è l'unico elemento di valutazione delle nostre azioni. Ci sono, anzi, molti
altri elementi che  entrano in ballo per giustificare un'azione.

COS'È IL SACRO?
Torniamo a noi. Il sacro ci rende persuasi che all'origine di una struttura perfettamente razionale, come un'istituzione/una
struttura religiosa, c'è un qualcosa che definiamo irrazionale e questo qualcosa è il sacro. E dunque, ripetiamo, alla base
della struttura razionale (e quindi comprensibile) della religione c'è un qualcosa che è irrazionale: il sacro. Lì dove tutto ha
inizio, quindi, è il sacro.
Nota: potremmo dire che una volta che il sacro diventa routine, la struttura può andare avanti anche dimenticandosi
dell'origine. Certo, questa cosa è vera, ma solo in parte. Solo in parte perché le religioni hanno a che fare con beni e servizi
materiali, non solo immateriali; ma il core business e immateriale: il core business delle religioni non sono le candele, non
sono i fiori, ma è qualcos'altro che si pone a un livello più profondo. Convinzioni, certezze, vita eterna, salvezza o condanna,
rassegnazione...

UN CAROTAGGIO SUL TESTO DI OTTO ALLA RICERCA DI UNA DEFINIZIONE DEL SACRO
Ciò che Otto fa in questo testo è approfondire quell'elemento che si fa fatica a definire; ciò a tal punto che il libro di Otto
non è considerato né un libro sociologico né tantomeno un libro filosofico, ma è considerato solamente dalla
fenomenologia della religione. È un testo abbastanza contestato, dunque.
Otto dice:
- "Occorre riconoscere che all'inizio dell'evoluzione (per "evoluzione" intendiamo il passaggio da un peggio a un meglio)
storico-religiosa ci sono certi singolari fenomeni che poco hanno a che vedere col concetto di religione come lo intendiamo
oggi". Primo dato: all'inizio di ogni regione c'è qualcosa che non è religioso e questo perché noi consideriamo le religioni a
partire, per esempio, da un profeta fondatore.
- "Sono fenomeni che precedono la religione e che, tuttavia, hanno poi agito in essa". Dunque ci sono dei fenomeni che
vengono prima della religione e la fanno sorgere.
- "Fenomeni come: la credenza e il culto nei morti, la credenza nell'anima e il culto dell'anima, la magia, le favole, i miti,
l'adorazione di oggetti naturali, terribili o affascinanti, nocivi o benigni, la particolare idea della forza, il feticismo e il
totemismo, il culto degli animali e delle piante, il demonismo". Attenti che in tutti questi fenomeni, per quanto eterogenei
tra loro e lontani dalla vera religione, si faceva sensibilmente presente e riconoscibile un comune momento e cioè un
momento numinoso (da "numen"). In tutti questi fenomeni c'è quindi un momento comune, cioè il momento numinoso.
Torneremo subito su questo concetto e ci torneremo perché il sacro, per Otto, è il numinoso.
Siamo giunti, finalmente, ad avere una più chiara definizione di cosa intenda Otto quando si parla di sacro (o numinoso).

MAGGIORI SPECIFICITÀ SUL SACRO (O NUMINOSO)


Cos'è il numen? È una potenza divina. Possiamo chiamare il numen una presenza misteriosa. Attenti: il numen è qualcosa
dii ineffabile. E qui cadiamo nel discorso fatto prima sulla razionalità: il numen non è indicibile, ma è proprio ineffabile.
"Indicibile" significa che una cosa non si può dire, "ineffabile" è significa che non trovo le parole per rendere un qualcosa.
Qui si pone anche la questione della comunicabilità dell'esperienza (citiamo solo il problema, ma non lo estendiamo oltre).
Torniamo a noi: del sacro, sacro in termini di "numen", io posso solo fare un'esperienza, ma non posso raccontarlo. Il sacro,
cioè quell'elemento che sta alla base di ogni esperienza religiosa, per Otto, è frutto di un'esperienza. Il sacro è quindi il
frutto di un'esperienza di questo numen/di questa forza divina/di questa volontà divina che non è traducibile in parole.
Per Otto, un elemento fondamentale per definire l'esperienza del sacro è l'emozione, non la razionalità: l'intelligenza
emotiva, un concetto molto contemporaneo. È possibile conoscere coi sentimenti/con le emozioni? Certo che sì.
L'intelligenza emotiva è una conoscenza logico-deduttiva che parte dell'esperienza, e continua ad essere una conoscenza
anche se non risponde a strettissimi criteri di logicità.

UN ESEMPIO DI COME FUNZIONA IL SACRO (O NUMINOSO) NELLA RELIGIONE - IL CULTO DEI MORTI
Facciamo un esempio che ci chiarifichi cosa intende Otto quando parla di esperienza del sacro e di momento numinoso. Tra
le varie cose/esperienze che Otto cita come esperienza del sacro...Tra le varie esperienze che Otto cita come precondizione
del fondamento di una religione, ad esempio, c'è il culto dei morti. Con il culto dei morti molto probabilmente nasce la
cultura, in quanto è un livello di astrazione che richiede una capacità cognitiva elaborata. Cosa intende Otto per culto dei
morti? Il culto dei morti, per Otto, non deriva da una teoria animistica, teoria secondo la quale il primitivo si immagina vivo
e operante ciò che è senza vita, quindi anche i morti (la teoria di una presunta animazione universale, teoria che si fonde
con l'animismo); ma, in realtà, Otto dice in modo crudo che "il morto diventa significativo per il sentimento (ecco la
conoscenza emotiva di un'esperienza) soltanto quando fa venire la pelle d'oca. Questo capita sia all'ingenuo che a chi
ingenuo non è più e capita con una tale e immediata forza emotiva che lo accettiamo come un'ovvietà e non lo discutiamo;
tutto questo, senza renderci conto che nella considerazione di qualcosa di simile al far venire la pelle d'oca, sorge un
sentimento nuovo, particolare e del tutto autonomo per il suo contenuto emotivo". L'esperienza della morte/del morto, ma
comunque ogni altra esperienza che sia grado di far venire la pelle d'oca, è un esperienza ineffabile. Su queste esperienze
ineffabili si costruisce un discorso: ecco qua il passaggio dal mytos al logos, cioè da ciò che è mitico e quindi da
un'esperienza originaria raccontata con storie mitiche, a un discorso razionale e organizzato.
Proseguendo, Otto scrive che "le risposte emotive naturali, di fronte alla morte, sono di due generi diversi: da un lato la
ripugnanza per la putrefazione e l'odore disgustoso; dall'altro la paura della morte e lo spavento come sentimento di
minaccia e di paralisi". Ecco, questo della morte è proprio un esempio puntuale. Cioè a dire che quando parliamo di morte
come precondizione (il sacro) per l'affermarsi di una religione, facciamo riferimento a un'esperienza che tocca l'emotività,
facciamo riferimento a un'esperienza profonda e che pur tuttavia è ineffabile. Esperienza che alcune istituzioni, appunto le
religioni, tentano di rendere esplicita. Infatti, la morte occupa un posto importante all'interno delle religioni. E infatti, chi fa
oggi i discorsi sulla morte? Le religioni hanno organizzato un discorso intellegibile sulla morte alquanto complesso. La
morte, in questo senso, occupa un posto importante all'interno delle religioni. Ma ripetiamo, tutto nasce da un'esperienza
prerazionale.

IL SACRO COME "ESPERIENZA UNIVERSALE CHE HA UN SENSO ORIGINARIO E NON DERIVATO"


L'ipotesi sulla quale lavora Rudolf Otto nel suo libro è che l'esperienza religiosa/del sacro (intesa in questa prima fase come
un'esperienza prerazionale) ha un carattere universale (che vuol dire trasversale alle varie religioni) che va al di là delle
singole tradizioni religiose; ma di più, questa esperienza ha un senso originario e non derivato da altri elementi della vita
individuale o collettiva (questo significa che l'esperienza religiosa non deriva da un elemento di carattere psicologico -non è
una psicosi e nemmeno una nevrosi- e non è nemmeno il frutto dell'ideologia della classe dominante nei termini del tenere
a bada la classe dominata). Da qui, detto ciò che l'esperienza religiosa non è, resta solo ciò che è, cioè a dire infine che la
specificità, secondo Otto, dell'esperienza religiosa consiste nella sua irriducibilità a qualsiasi altra forma sociale o tendenza
psicologica soggettiva. Questo costituisce il punto di partenza di Rudolf Otto (e il nostro) da cui iniziare una riflessione
aperta sulle religioni.

UNA RAPIDISSIMA SINTESI...


Riassumiamo gli elementi peculiari della religione:
- il primo elemento? Il carattere universale
- il secondo elemento? Il tratto originario non derivato
- e il terzo elemento? Riprendendolo da "parecchio prima", diciamo che nell'esperienza del religioso, esperienza intesa nei
termini dei due elementi su citati, c'è una "armonia di contrasti". Cioè, l'esperienza del sacro, attraverso le religioni, passa
da un sentimento irrazionale/ineffabile, alla razionalità. Quindi, il terzo elemento peculiare della religione è che l'esperienza
del sacro mette insieme razionale e irrazionale.

Siamo sempre in fase introduttiva... Velocemente, aggiungiamo altro...

IL SACRO E LE SUE TRE PROSPETTIVE DI LETTURA


Il sacro di Otto può essere letto in 3 prospettive diverse, che adesso accenniamo.
1. Una prima prospettiva è quella fenomenologica.
2. Una seconda prospettiva è quella filosofico-metafisica.
3. Una terza prospettiva è quella storico-comparativa.

1. LA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA
Già abbiamo detto che nell'esperienza del sacro, l'attore sociale mette insieme l'elemento irrazionale con l'elemento
emotivo. Un primo collegamento: irrazionale sta tutto nell'esperienza emotiva che si fa del sacro. Come fare a dire i
sentimenti? Alcuni sentimenti sono semplicemente ineffabili. Alcune esperienze della vita sono semplicemente ineffabili.
Quindi, l'attore sociale, nell'esperienza che fa del sacro, sperimenta l'irrazionalità; ma attenti, allo stesso tempo tenta di
rendere conoscibile e quindi trasmissibile e quindi ancora razionale la sua esperienza. Bisogna riscattare la dignità
dell'irrazionale. Sì, perché l'irrazionale ha un posto, non soltanto dignitoso, ma di eccellenza nelle nostre vite; e questo è
vero quanto è vero che compiamo decisioni fondamentali su base irrazionale (la vita è un susseguirsi di scelte irrazionali).
Cosa vuol dire questo elogio del irrazionalità? Non è, infatti, che questo elogio sia fine a se stesso, anzi. Con questo elogio
vogliamo trasmettere che quando parliamo di significati ultimi (perché di questo stiamo parlando quando parliamo di
religioni) non è più in ballo una razionalità logico-deduttiva (di tipo tecnico), ma è in ballo un sapere che rende ragionevoli
alcune scelte e meno ragionevoli altre. Il mondo delle religioni, e qui Otto si schiera apertamente, affronta con estrema
difficoltà la sfida dell'Illuminismo e noi diamo per scontato che la razionalità sia l'unico elemento in grado di giudicare vero
da falso. Ma quando noi ci muoviamo nell'ambito dei significati ultimi, dobbiamo creare uno spazio di plausibilità per quello
che abbiamo etichettato come "sacro". Poi si apre una partita enorme su come lo riempiamo questo spazio, il sacro: ad
esempio, credenza negli ufo, nel Vicenza, nella sinistra politica... Questa forza, il sacro (una forza che permette di rendere
plausibile il fatto che a capo di un sistema razionale ci sia un qualcosa di irrazionale), chiamata da Otto "numen" -forza che
è irrazionale-, è una forza alla quale possiamo accedere attraverso le emozioni, attraverso quindi dei sentimenti.
Volendo riassumere questo primo passaggio, diciamo che qui viene ad essere descritto il rapporto ineffabile tra l'individuo
e una potenza misteriosa, la quale, come vedremo, è al contempo "tremendum et fascinans" (che fa paura e che affascina).
Questo è il sacro (per Otto, il "numen"): una forza che incute paura, ma che, allo stesso tempo, affascina.

2. LA PROSPETTIVA FOLOSOFICO-METAFISICA
Quando diciamo "a priori" ci viene in mente Kant. L'"a priori", per Kant sono delle categorie pure/a priori che vengono
prima dell'esperienza. Otto parla di un "a priori" religioso: il noumen è l'"a priori" religioso. Il senso è che, secondo Otto, gli
esseri umani sono in grado di percepire il sacro, il quale sacro -ecco il punto decisivo, e qui chiaramente strapazza quanto
ha detto Kant- porta all'esperienza del noumen (del sacro). Di più, Otto ci dice che il noumen porta a questa esperienza non
in quanto la inventa/non quanto la costruisce socialmente (questo è il punto decisivo del sacro), ma in quanto il noumen
esiste/c'è a priori. Quindi, secondo Otto c'è una realtà oggettiva là fuori di cui il soggetto fa esperienza e questo a seguito di
questo "a priori" religioso. Esempio: noi sappiamo che il nostro udito è allenato per percepire un tot di frequenze. Tuttavia,
noi percepiamo dei suoni che vanno da una certa frequenza e fino a una certa frequenza. Ma ciò che sta sopra e sotto non
lo percepiamo. Tuttavia questo non vuol dire che non esiste quello che non riusciamo a percepire; vuol dire semplicemente
che ci sono delle frequenze che non riusciamo a percepire. Questo "a priori" religioso ci rende capaci di percepire "le
frequenze" del noumeno, frequenze che se sono "ultrasuoni", io non le percepisco (ma attenti, ci sono). Otto deve litigare
concettualmente non solo con Feuerbach, ma anche con Durkheim (dove lui diceva "questa è costruzione sociale") con
Freud (dove lui diceva "questa è nevrosi"). Per Otto, adesso non si tratta né di costruzione sociale, né di nevrosi (sono
esempi di ragionamento filosofico precedente), ma si tratta del sacro. Per Otto, quindi, il sacro esiste ed è esperenziabile
("si chiama società"). Una tale contrapposizione tra Otto e "tutto il resto del mondo" viene fatta in nome del lemma
"ideologia" e questo nel senso che gli opposti fronti, per screditare l'altro, etichettano come ideologica la posizione
dell'altro.
In definitiva, l'approccio filosofico-metafisico di Rudolf Otto tiene in conto di un "a priori" religioso, questo in termini di
un'impostaizone filosofica abbastanza fragile, ma che però tende ancora una volta a far percepire come il noumen sia
irrazionale. Cioè questo "a priori" è qualcosa che non dipende dal discorso/dalla realtà costruita dalla religione, ne è
indipendente.

3. LA PROSPETTIVA STORICO-COMPARATIVA
Qui, Otto, pur avendo studiato dove insegna Ernst Troest, non riprende il suo maestro. Anzi, qui riprende e mette a punto
una questione metodologica già affrontata da Max Weber e cioè la questione dell'avalutatività. Perche, capiamo bene,
essere avalutativi quando "quando apri la pancia e tagli l'appendicite" è relativamente facili; ancora, essere avalutativi
quando "studi un partito politico" è ancora relativamente semplice; ma quando "studi le religioni", essere avalutativi
diventa molto molto difficile.
Su questo approccio solleviamo una questione, la questione del metodo comprensivo (ci si accende una lampadina in testa
che richiama al "comprendere weberiano"). Otto sostiene che le religioni possono essere comprese solo da un punto di
vista interno, altrimenti -e veniamo al nostro caso- applicando la razionalità occidentale rischieremmo di uccidere
significato di una religione orientale (ad esempio). Per capire davvero una religione bisogna entrarci, farne esperienza e
applicare le categorie che sono proprie di quella religione.

IL TESTO DI RUDOLF OTTO - PARTE II


L'OBIETTIVO DI OTTO: IPOTIZZARE UNA REALTÀ CHE VADA OLTRE IL SOCIALE
Ci concentriamo, per l'ultima volta in questo corso, sul testo di Rudolf Otto. Questo testo è interessante perché rappresenta
una sfida a persone come noi, figli dell'Illuminismo, a ipotizzare la possibilità di una realtà che vada oltre il sociale.
Parlare di qualcosa che va oltre il sociale è un discorso, a dir la verità, prettamente sociologico. "Noi" sociologi dobbiamo
fare lo sforzo di ipotizzare una realtà che vada oltre il sociale, un'astrazione questa molto raffinata. Uno dei rischi sociologici
del costruttivismo, però, è quello di ipotizzare che tutto sia frutto di costruzione sociale. Questo non vuole essere un peana
naïf di una realtà che esiste oltre il sociale, anzi; non stiamo negando il fatto che noi ci percepiamo attraverso una struttura
sociale. Questo accade sempre. Tuttavia, ciò che Rudolf Otto voleva dire è che noi ci siamo illusi di spiegare tutto attraverso
la mera applicazione della razionalità (Weber, su questo, ci ha visto dentro - burocrazia). Attenti però, perché Otto in
questo senso non sta dicendo che la razionalità non sia importante, anzi; la razionalità è importante e ancora più
importante è il non perdere ciò che la razionalità ha reso comunicabile. Questo è il punto.
Per proseguire, abbiamo bisogno introdurre al discorso con un esempio. Le cose esistono e nell'esistere, ammettono delle
caratteristiche fisiche. Prendiamo ad esempio un oggetto, un pennarello magari. Un pennarello verde. Ma siamo sicuri che
sia verde? Se lo illuminiamo con un neon blu, questo cambia di colore. Quindi rettifichiamo: sotto certe condizioni, il
pennarello che abbiamo preso in considerazione, è verde. Noi, attraverso la ragione (dove la ragione è una rete che
imbriglia il significato delle cose) leghiamo il significato di un oggetto a un significante. Tenendo sempre l'esempio del
pennarello, certo è che volendo, potremmo utilizzarlo pure per fare del male, anziché semplicemente per scrivere: in
questo senso sottrarremmo il pennarello a quell'uso per cui la razionalità lo ha imbrigliato, cosa che diciamo perché
razionalmente è logico che il pennarello serva per scrivere (non per fare del male). In realtà, con il pennarello, potremmo
fare un sacco di altre cose. ...e la stessa cosa si dica per il sacro.

IL PASSAGGIO DALL'IRRAZIONALE AL RAZIONALE E LE SUE PROBLEMATICITÀ


Otto ci rende avvertiti che la razionalità è necessaria, in quanto spiega molto. Se noi vogliamo capire il rapporto con il sacro
abbiamo una possibilità incredibile nello studio delle religioni. E questo perché le religioni ci spiegano razionalmente come
funziona il sacro; addirittura, facendoci credere che hanno l'esclusiva/il monopolio nella gestione del sacro. Eppure, su
quest'ultimo aspetto ci siamo già persuasi del fatto che non è vero. Pur tuttavia, le religioni spiegano molto del sacro. E
vorremmo dire che le cristallizzazioni religiose sono quelle che con più credibilità hanno interpretato il sacro, e questo
anche perché hanno un deposito di sapere che in qualche caso data millenni. Ma noi non dobbiamo dimenticare che
quando studiamo il passaggio dal noumeno (un'entità misteriosa/un potere/una forza/un essere tremendum et fascinans)
cioè il momento irrazionale, al momento razionale della codificazione delle religioni (che partono attraverso i miti di
fondazione del mondo), semplicemente stiamo dicendo che tutte le religioni esercitano, a modo loro, la razionalità o
meglio una spiegazione razionale di un momento irrazionale (la fondazione del mondo). Già il mito è un primo passaggio
alla razionalità. Ma quando si passa dal mytos al logos, quando questo credere in Dio diventa Dio che è Padre, che è figlio e
che è spirito santo e quando questo diventa poi coeternità, e quando poi tentano di spiegarci che il Padre è tanto vecchio
quanto il Figlio (cosa che non è così intuitiva, ma che risponde a un preciso criterio di razionalità)... questo passaggio
dall'irrazionale al mytos prima e al logos poi (questo, per spiegare l'esperienza di fede) è quel processo di
"modernizzazione" che tocca anche l'ambito religioso.
...E dice Otto "attenti, perché quando si arriva a spiegare tutto razionalmente, probabilmente si dimentica che alla base di
tutto c'è qualcosa di irrazionale". Come vediamo, non ha preso in considerazione il fatto che in questa fase la religione
preveda un atto di fede (l'atto di fede è fuori da ogni percorso di dimostrazione). È difficile che uno creda al termine di un
ragionamento logico-deduttivo; certo, non è impossibile, ma è difficile. Ma la fede non funziona così.
- Esempio: siccome la Juve vince tutte le partite, siccome ha il numero più alto di scudetti, ha i giocatori più bravi...dato che
il Vicenza Calcio è arrivato una volta secondo in serie A e dopo ha perso praticamente sempre, tanto che adesso è
terzultimo posto in serie B e, di più, rischia la retrocessione...quindi smetto di tifare Vicenza Calcio e tifo Juve? No! Non
funziona così la fede. La fede sportiva non funziona così, ma anzi,  uno crede in quanto crede. Punto. Di più, la fede si
rafforza in maniera controfattuale: "io credo fermamente e lo faccio in maniera controfattuale"...torniamo all'esempio di
fatto poco fa: il Vicenza Calcio perde? Non è che smetto di tifarlo, anzi, io devo tifare di più. Stesso dicasi per la religione.]
Quando io prego e il motivo per cui io prego non si realizza (cosa che capita abbastanza spesso) io non metto in discussione
che ci sia un potere superiore che è in grado di aiutarmi; io metto in discussione la mia capacità di pregare con serietà,
metto in discussione la mia capacità di capire il disegno più grande che questo essere superiore a cui io sto pregando ha in
mente per me...e arrivo a dire che non è lui che deve cambiare le cose, ma sono io che devo cambiare il modo attraverso il
quale vedo le cose. Otto, questo c'è lo racconta in maniera molto efficace. Ci soffermiamo su questo perché noi siamo figli
dell'Illuminismo e della razionalità (riteniamo che tutto ciò che non è razionale sia sciocchezza, ma è questa la grande
sciocchezza) e in quanto tali dobbiamo concentrarci maggiormente su questa cosa. E anzi, forse i significati ultimi, dove che
siano posti, non riposano nella razionalità. E questo lo aveva capito anche Weber, che ne parla quando lo applica alla
burocrazia, la quale, sotto questa nuova luce, diventa la famosa iron cage (gabbia d'acciaio). Weber lo aveva capito che la
burocrazia, spinta all'estremo, non risolve i problemi: anzi, è un processo di razionalizzazione che abbiamo imparato bene e
che alla fine ci imprigiona.
[PICCOLA DIVAGAZIONE...Ciò detto, è vero che noi costruiamo le religioni secondo, direbbe Pace, "in maniera multistrato":
diversi strati, uno sopra l'altro. Per cui, la chiesa paleocristiana si costruisce sopra un tempio pagano; questa chiesa, lungo i
secoli, diventa chiesa cristiana, moderna, contemporanea e infine (come è successo in Olanda) diventa una pizzeria. Sono i
diversi "strati" delle strutture ecclesiastiche. Strutture che, ai giorni nostri, o sono vendute a architetti, oppure fanno
business e, appunto, diventano pizzerie. Attenti, poi, che la struttura potrebbe funzionare benissimo da sola. Perché diventi
gabbia d'acciaio (e non funzioni più, appunto la chiesa che diventa pizzeria) può darsi che servano pochi o molti anni, ma
quello è il destino.]
Torniamo a bomba... Volevamo dire che nel momento in cui riduciamo tutto alla razionalità corriamo il rischio di perdere
"la cosa". Nel momento in cui riduciamo tutto a strutture religiose, perdiamo il sacro. Ad ogni modo, poi, anche il sacro è
irrazionale,come lo è il concetto di religione in sé: per cui, anche se noi tentiamo di imbrigliarlo nella razionalità, non
dobbiamo comunque dimenticare che "sta il sacro senza il nome religione, ma noi teniamo solo il nome religione".
Arriviamoci per gradi. Un oggetto/concetto lo potremmo chiamare come vogliamo, ma per convenzione lo chiamiamo
"religione". Adesso però attenti, che il sacro e quindi l'irrazionale sta prima di quell'oggetto che razionalmente chiamiamo
"religione": "religione", infatti, è solo un nome che affibbiamo a quel concetto. Questo è il punto.
Oggi sono in crisi tutte le strutture di senso che poggiano esclusivamente su un contenuto di razionale. Cioè noi oggi, dalla
politica alla religione, per non parlar del tempo libero, facciamo sempre più riferimento alla sfera emotiva. Otto, questa
sfera emotiva, la colloca nell'irrazionale. Tornando a noi, oggi facciamo sempre riferimento a elementi di carattere emotivo.
Ad esempio, il leader carismatico che si afferma in politica, che si afferma in religione... fa riferimento a questi elementi
emotivi. Solo dopo la routinizzazione del carisma la fa diventare azione.

ALCUNI ESTRATTI DEL LIBRO DI RUDOLF OTTO


Solleviamo adesso un'altra questione: quando uno viviseziona una religione, in cosa deve credere? La questione è seria per
chi studia le religioni. Uno può capire una religione applicando la prospettiva logico-deduttiva? Otto dice che non si può
fare, altrimenti si perde il sacro.
Prima di proseguire, ci deve essere chiaro che il sacro, per Otto, è il noumeno: questo noumeno è irrazionale, è oggettivo e
esiste, è percepito dal sentimento ed è un'esperienza. Leggiamo alcuni passaggi di come Otto definisce il noumen...
- "Conoscere e riconoscere qualcosa come sacro è prima una valutazione specifica che, in quanto tale, si trova solo
nell'ambito religioso". Questo è uno dei limiti dell'approccio di Otto, dove lui non identifica sacro col religioso ma dice che
una specificità del sacro risiede nel religioso. Forse era ancora vero, questo, fino al 1917 (non del tutto, ma era ancora
vero). Dopo la Prima Guerra Mondiale, invece, il sacro è esploso e, in questo senso, lo possiamo rintracciare dappertutto.
- "Racchiude in se stessa la categoria di sacro, un momento assolutamente specifico che si sottrae al razionale e si configura
come ineffabile; questo, nella misura in cui è totalmente inaccessibile alla comprensione concettuale. [...] Il concetto di
sacro contiene un'eccedenza che qui vogliamo specificare in modo particolare (questa è un'intuizione notevole)". In cosa
consiste l'eccedenza del concetto "sacro"? "La questione della parola sacro e dei suoi equivalenti in altre lingue, indicava
soprattutto e in primo luogo soltanto questa eccedenza; si badi bene, non certo il concetto di moralità. Poiché la nostra
sensibilità linguistica odierna riconduce sempre l'etico alla dimensione del sacro, per cercare quell'elemento particolare e
specifico almeno per l'uso provvisorio della nostra indagine, sarà utile trovare (attenzione) un nome particolare per questo
termine, in modo da indicare il sacro meno il momento etico e soprattutto meno il momento razionale". Otto dice che
quando parliamo di sacro ci viene in mente il comportarci bene (quando parliamo di religioni ci vengono in mente, invece,
precetti): raccontiamola come vogliamo, ma religione = etica. Otto dice che c'è un momento originario del sacro che non è
etico, non ha nulla a che fare con il comportarsi bene o male...e di più, c'è un momento del sacro che non è razionale.
- "Per questo motivo vorrei forgiare il termine seguente: numinoso. Intendendo parlare con esso di una speciale categoria
numinosa che sia interpretativa e valutativa in rapporto a un particolare stato d'animo numinoso che subentri e venga
impiegato in tutti quei casi in cui un oggetto viene percepito come numinoso." Quando un oggetto diventa numinoso?
Dobbiamo sottrarre l'etico e il razionale. Volendo essere più chiari, un esempio di pre-etico e pre-razionale tratto dal
cristianesimo, è quello che vede trasformazioni che cambiano la sostanza della materia (l'acqua in vino, magari). Ecco. Il
sacro, in quel momento originario che viene prima dell'etica e prima del razionale, per Otto, si chiama noumen. Di questa
realtà (il noumen) facciamo esperienza e questo in termini di tremendum (nel senso che ci fa paura, ci atterrisce) e in
termini di fascinans (nel senso che ci affascina - Otto parla a tal proposito della pelle d'oca).
- "Anche nel sublime si manifesta quel particolare momento che ha un grande effetto nell'animo umano, che è al contempo
repulsivo e di grande forza attrattiva. Il sublime mortifica ed esalta allo stesso tempo, frena l'animo e, insieme, lo solleva
fuori di sé provocando un sentimento per un verso simile alla paura, ma d'altro canto rende felici." Nell'epoca
contemporanea, noi siamo increduli nei confronti della costruzione tradizionale; ma, purtroppo, non ci ha convinto
nemmeno la costruzione moderna. Se nel mondo tradizionale tutti eravamo intruppati e la coscienza collettiva si
sovrapponeva alla coscienza individuale, nel mondo moderno ognuno crede di poter fare quello che vuole; nel mondo
contemporaneo (post-moderno), poi, noi invece sperimentiamo la solitudine... Il sacro potrebbe giocare un ruolo nel
colmare questa solitudine. Oggi, se la religione ha una chance è la chance della gestione del significato, ma non il significato
inteso nel senso onnicomprensivo della tradizione, bensì il significato del vivere. La religione, infatti, custodisce ancora dei
significati e noi siamo avvertiti che il significato non dipende dalla pratica, né dalla credenza, né dall'identificazione, ma
dipende da ciò che ognuno percepisce come significato per sé. In definitiva, si questo, le religioni sono sì una risorsa.
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DAL LIBRO...
La parola sacro deriva dal latino, sacer. Questa è usata con significato ambivalente, vuol dire cioè "ciò che è consacrato agli
dei" e nello stesso tempo "ciò che suscita orrore". In merito alla prima accezione notiamo come il termine "sacerdote"
designa appunto colui il quale compie il sacrificio.
Ad ogni modo, il sacro si connota come una forza potente, misteriosa e inquietante che riempie di un'energia particolare e
nuova chi riesce ad averne esperienza.
L'esperienza del sacro può dare luogo a varie forme di atteggiamenti e conseguenti comportamenti. A primo acchitto, è
possibile rilevare due diverse modalità del sacro a partire da a seconda come questo  sia percepito:
- sacro come immanente. È l'idea più propriamente orientale di sacro, per cui questo risiede o nel mondo che ci circonda o
ancora in noi stessi;
- sacro come trascendente. È l'idea più propriamente occidentale del sacro, per cui questo risiede in una divinità che è al di
là del mondo terreno e che è a lei che si deve la creazione di tale mondo terreno.
Come misurare, allora, l'esperienza religiosa?
- variabili sostantive. Misurano il tipo di emozioni che l'esperienza del sacro suscita negli individui;
- variabili nominali. Classificano le definizioni che i soggetti intervistati assegnano alla realtà radicalmente altra percepita;
- variabili analogiche. Consentono di comprendere se le emozioni o le esperienze provate rispetto al sacro sono simili o
diverse;
- variabili di contesto. Tendono a precisare i contesti entro i quali un individuo dice di aver esperito il sacro.
In ogni caso l'esperienza religiosa si presenta come una tipica peak experience, ovvero un'esperienza d'apice, che riempie
totalmente la coscienza individuale.
Il campo delle nuove forme del credere è stato occupato da un lato dal New Age e dall'altro dai tanti centri di meditazione
e di benessere spirituale che popolano le nostre società. In tutte queste esperienze l'individuo ricompone un universo di
credenze e pratiche traendole da diverse tradizioni religiose che nel mercato dei beni simbolici circolano in libertà. Si parla
proprio, in tal senso, di pocket religion, ovvero di religioni tascabili costituite per assembramento.
Misurare questa nebulosa non è sempre facile, e comunque risultano migliori i metodi qualitativi.

LA PRATICA RELIGIOSA
La pratica religiosa consiste in prima istanza in un insieme di azioni manifeste atte appunto a manifestare l'appartenenza a
una determinata religione.
È fin dalle sue prime mosse nel campo religioso che, per la sociologia, l'analisi dei flussi domenicali è stata centrale. Questo,
tanto in quanto la pratica religiosa è un fatto sociale facilmente rilevabile e traducibile in frequenze statistiche trattabili in
base a variabili standard.
Dal vasto capitale di conoscenze che si sono venute accumulando nella sociologia della religione, negli ultimi quarant'anni si
possono ricavare utili indicazioni di carattere generale:
- innanzitutto la stretta correlazione, sia in senso logico e sia in senso statistico, tra esperienza, credenza e pratica religiosa;
questo, il risultato di un'indagine condotta in una grande città tedesca occidentale da Ursula Boos-Nunning;
- inoltre, la pratica religiosa può essere trattata come indicatore del grado di appartenenza a un gruppo religioso
determinato, ma, probabilmente, va tenuta distinta, dal momento che si possono dare tipologie di praticanti con basso
senso di appartenenza (come accade nella società contemporanea in molte chiese). A questo proposito ricordiamo come
Allport distingueva tra religione intrinseca ed estrinseca: la seconda era un sistema di credenza religiosa che si manifestava
in una pratica esteriore, non vissuta in modo convinto e profondo, ma piuttosto, a volte, in maniera strumentale; la prima
caratterizzava un tipo di credenza e pratica religiose nella quale un individuo è più intento a servire la propria fede che a
servirsi di essa. Entro questi due ideali estremi, diceva Allport, c'è un continuum lungo cui collocare forme intermedie di
partecipazione religiosa.
DEFINIZIONE. La pratica religiosa è la messa in atto da parte di un credente di un insieme di prescrizioni rituali che una certa
credenza religiosa impone perché l'adesione a tale credenza risulti visibile e verificabile. Elementi peculiari della pratica
religiosa:
- AUTORITÀ. L'esistenza di un'autorità religiosa che stabilisca la coerenza tra atteggiamenti di credenza e comportamenti
rituali conseguiti.
- RITUALITÀ. L'esistenza di un dispositivo di riti ripetuti nel tempo è celebrati solo in particolari spazi sacri.
- CORPO DI SPECIALISTI. Una dicotomia tra le autorità religiose e chi, più o meno passivamente, è chiamato a partecipare
alla vita religiosa.
Alla luce di questi elementi, le variabili che abitualmente vengono usate nel determinare la pratica religiosa sono:
- la partecipazione a riti e a servizi ufficiali;
- la partecipazione a pratiche rituali non ufficiali (che possono svolgersi non necessariamente in forme e luoghi pubblici);
- la partecipazione invisibile e personale (recitare preghiere, leggere testi di carattere religioso, meditare su testi sacri,
svolgere pratiche ascetiche private e così via).
A seconda dei diversi contesti religiosi, possiamo avere vari tipi di pratica rituale, ma alcuni tratti restano costanti, in
particolare due:
- nella pratica gli individui sperimentano il grado di costrizione collettiva che il contesto socioreligioso più vasto esercita;
- la pratica può esprimere, accanto alla sua funzione fondamentale e originaria (ovvero manifestare una certa esperienza e
credenza religiosa), altre funzioni, come quelle politiche e culturali.
Un autore che ha cercato in tempi recenti di impostare un'analisi sistematica sulla pratica religiosa è stato Gabriel Le Bras.
Lo studioso francese riteneva che lo studio della pratica religiosa dovesse essere condotto con un metodo, infatti, a tutto
tondo, collocandola cioè nel contesto storico, territoriale e istituzionale delle diverse realtà regionali (francesi, ma vale
anche per casi più generali). L'idea di fondo di Le Bras è che la pratica religiosa spieghi il senso di identificazione dei fedeli
alla propria chiesa di appartenenza. Perciò la pratica religiosa veniva vista come valori comuni condivisi da una comunità
territoriale, dunque luogo empiricamente osservabile dal quale comprendere la vitalità religiosa, ovvero la capacità di una
religione di riprodursi nel tempo in forme non solo routinarie e istituzionali, ma come tessuto di rapporti sociali e culturali
più vasti. Le Bras ha ispirato generazioni di sociologi, soprattutto di area cattolica. Ne è derivato un modello di analisi, che
viene abitualmente etichettato come "sociografia religiosa", ovvero una traduzione statistica di comportamenti rituali
religiosi. ...e infatti, tra le critiche avanzategli, una è che questo modello tende ad appiattire comportamenti o
atteggiamenti religiosi derivanti da sistemi simbolici complessi entro pure medie statistiche; di qui, l'idea di ricorrere al
metodo biografico (storie di vita) per cogliere il senso religioso soggettivo. Più secondo altri ricercatori, nella società
contemporanea la religione tende a diventare sempre più un fatto privato, vissuto in forme implicite; l'accento allora si
sposterebbe sulle forme non istituzionali del vissuto religioso, con conseguente necessità di attrezzarsi metodologicamente
a tale scopo.
Lo spostamento dal visibile all'invisibile, dall'esplicito all'implicito, può essere spiegato anche in altro modo. Sino alla fine
degli anni sessanta le società erano molto meno differenziate e complesse di quelle che si sono venute delineando negli
ultimi venti anni. Nelle prime l'elemento socioreligioso (la centralità della Chiesa) era il centro di gravità della società tutta,
nelle seconde l'impatto sociale del socioreligioso è invece diminuito (messo in discussione dalla presenza nel mercato di
beni di salvezza, di altri concorrenti religiosi o parareligiosi). Nel momento in cui ciò accade, la pratica religiosa. Perde il suo
connotato di modalità per esibire fedeltà e condivisione. In definitiva, come ha notato Wilson, secolarizzazione religiosa e
differenziazione del sistema sociale hanno determinato che la religione non fa più parte del tessuto sociale profondo della
vita comunitaria.
Oggi registriamo due peculiarità religiose circa la pratica:
- una ripresa di visibilità delle religioni nella sfera pubblica e soprattutto nell'azione politica diretta;
- la nascita di movimenti radical-religiosi in campo musulmano che praticano apertamente la lotta armata e ricorrono
spesso a metodi propri del terrorismo oppure rivisitano le tecniche di suicidio offensivo sotto nuove forme di martirio
religioso.

L'APPARTENENZA RELIGIOSA
Per appartenenza religiosa si intende l'insieme degli atteggiamenti che contraddistingue il far parte di un gruppo o di
un'istituzione di tipo religioso da un lato e il complesso dei meccanismi di affiliazione, coinvolgimento e partecipazione
formale alla vita di una struttura più o meno organizzata ma sempre di tipo religioso, dall'altro.
L'appartenenza può essere descritta in termini sia spaziali che temporali, ovvero:
- in termini temporali si può ricostruire il ciclo di vita dei rapporti che un individuo ha intrattenuto con una determinata
realtà religiosa;
- in termini spaziali si possono ricostruire invece i luoghi dove fisicamente il senso di appartenenza viene più rimarcato.
L'appartenenza rinvia all'idea che un individuo nel momento in cui sente di appartenere a una chiesa o a una setta, accoglie
in tutto o in parte una serie di doveri ai quali volontariamente è consapevolmente si adegua come segno tangibile del suo
stare dalla parte del gruppo di riferimento. Il far parte implica dunque un senso di lealtà esplicito. ...e ovviamente, ogni
religione può richiedere che le si venga mostrata lealtà in maniera diversa.
Si possono distinguere tre forme di appartenenza:
1. Partecipazione con militanza. Facciamo riferimento a tutte quelle forme di pieno coinvolgimento dei credenti alle attività
religiose, garantendo funzionamento e diffusione dell'organizzazione della quale sono membri. Per membri intendiamo
allora persone di fattivo impegno e proselitismo.
2. Partecipazione senza militanza. Ci riferiamo a tutti quei comportamenti socioreligioso che pur esprimendo lealtà e
fedeltà alle forme di manifestazione esterna della credenza religiosa, tale atteggiamento non si traduce in attività di
impegno diretto per la realizzazione dei fini dell'istituzione ecclesiastica di riferimento. È ciò che accade in tutte le chiese di
matrice cristiana in Europa, ormai.
3. Militanza senza piena partecipazione. Si tratta di tutti quei casi nei quali la militanza per fede si esercita in un contesto
storico e sociale nel quale la comunità o l'istituzione o il movimento non esistono o esistono in forme non organizzate.
Questo tipo di appartenenza si ha in particolare quando una persona ritiene di dover spendere parte della propria vita a
difendere una causa religiosa pur non sentendo il bisogno di partecipare alla vita inter da dell'organizzazione di
appartenenza.

Quali sono gli indicatori dell'appartenenza religiosa? Stando alla teoria della mobilitazione delle risorse, i comportamenti
umani sono pensabili come azioni individuali che si mobilitano attorno a risorse materiali o simboliche che individui e
organizzazioni si scambiano reciprocamente.
Da qui, dunque, l'appartenenza religiosa è da intendersi come una relazione di scambio tra un sistema religioso e i suoi
fedeli. Da una parte il sistema religioso promuove attività capaci di generare e tener vivo l'interesse al proselitismo da parte
dei fedeli, dall'altra parte i fedeli si impegnano, investendo energie, in queste attività proposte dal sistema religioso.
In questo scambio di risorse, trovano equilibrio i benefici collettivi e gli incentivi materiali individuali. I primi sono quelli che
permettono all'organizzazione religiosa di resistere nel tempi; i secondi si possono distinguere in almeno tre forme:
- acquisizione di status-symbol. La religione può essere usata come un bene simbolico per marcare l'appartenenza di status.
- scambio di interessi e prestazioni sociali. Il senso di appartenenza viene determinato talvolta non tanto per ragioni di
convinzioni profonde rispetto a una fede religiosa, ma anche in base a motivi di convenienza, logiche del do ut des. Stiamo
parlando della religione di welfare, assistenziale.
- meccanismo di carriera interna all'organizzazione. Punto già di per sé molto esplicativo.

Se finora abbiano considerato l'appartenenza come una relazione più o meno stretta con un'istituzione determinata, nella
società statunitense invece si è parlato, soprattutto negli anni Sessanta, dell'esistenza della cosiddetta RELIGIONE CIVILE.
Questa nozione è stata approfondita, appunto, in terreno americano grazie all'apporto di Robert Bellah, anch'egli
americano.
Secondo lui esisterebbe nella cultura degli statunitensi una comune visione religiosa della società civile; dunque
esisterebbe un complesso di credenze, simboli, rituali civili che può essere chiamato religione civile degli americani.
Quando parliamo di religione civile, alludiamo a item del tipo:
- l'autorità del presidente è uguale all'autorità di Dio;
- i buoni cristiani non sono necessariamente buoni patrioti;
- Dio può essere riconosciuto attraverso l'esperienza del popolo americano;
- i padri fondatori crearono una repubblica unica al mondo, benedetta da Dio, quando essi scrissero la Costituzione
americana;
- i presidenti che non appoggiano la religione non si comportano moralmente bene;
- la bandiera americana è sacra.
Da qui, la religione civile si tradurrebbe ad un complesso di atteggiamenti di tipo nazionalistico. Applicabile anche ad altri
contesti che non siano quello americano.

Altro aspetto importante del tema dell'appartenenza religiosa è quello che riguarda la setta. Apporto fondamentale in tal
senso lo ha dato Wilson. Secondo lui, in base all'atteggiamento delle sette nei confronti del mondo, è possibile classificare 7
tipi di sette:
- conversioniste
- introverse
- manipolazioniste
- riformiste
- rivoluzionarie
- taumaturgiche
- utopiche
Tali sette sono poi studiate anche secondo altre due dimensioni, alto/basso livello di organizzazione e attivismo/fuga
mundi.

Ultimo importante capitolo all'interno della questione appartenenza è rappresentato dalla relazione tra religiosità ed
etnicità. In altri termini l'appartenenza religiosa, in contesti caratterizzati dal pluralismo religioso, si lega a doppio nodo con
l'identità di un gruppo etnico. Si parla in tal senso di ethnic religion, di religioni etniche, volendo significare questa
particolare fusione tra dimensione religiosa e sentimento di attaccamento ai tratti distintivi di un gruppo umano (lingua,
colore della pelle, origine storica ecc...).

LA CONOSCENZA RELIGIOSA
La conoscenza religiosa può essere vista come un complesso di definizioni e di formule che vengono sistematizzate da
esperti (teologi, sacerdoti, profeti, mistagoghi...) e che vengono a costituirsi come un sapere specialistico che soddisfa i
credenti. Occhio che solo in parte tali credenti vengono soddisfatti cognitivamente dalla religione. Difatti, ad esempio a
partire dall'esperienza del sacro che uno fa (piena o periferica) si tenderà o meno a soddisfare i propri bisogni conoscitivi
con la religione, piuttosto che con forme di intuizione diverse (musica, arte, poesia...). Ad ogni modo, la religione in termini
cognitivi si presenta come un sistema internamente coerente che cerca di offrire una risposta rassicurante sui cosiddetti
significati ultimi della vita. Ad esso, comunque, si oppongono altri sistemi che propongono, ovviamente, altre risposte e
altre forme quindi di conoscenza.
Peter Berger ha illustrato come le forme di sapere religioso si siano venute trasformando nel cristianesimo. Nella società
moderna, ad esempi, il pluralismo i culturale ha messo in crisi la certezza di possedere in esclusiva la verità, in base alla
quale le chiese costruivano una integrale e unitaria visione del mondo. Il venire meno di queste unitarie fonti di sapere
religioso ha prodotto la segmentazione e la relativizzazione dei punti di vista in campo religioso, traducendosi nella
formazione di un sapere religioso fatto a bricolage, a frammenti che ognuno cerca di costi ripresi mediando tra fonti di
informazioni diverse. ...e a partire da qui si è venuta sempre più accendete andò la distinzione tra chi conosce in modo
specialistico i contenuti e i testi di una religione determinata e la massa dei fedeli comuni.
Come si misura il grado di conoscenza religiosa? Non è facile definire se in un'altra classe di individui esista o meno un
grado di conoscenza religiosa basso o alto. Si è deciso allora di indagare sui cosiddetti quattro lati ideali di un quadrato
cognitivo (conoscenza sull'aldilà, sull'origine dell'universo, sull'origine del bene e del male, sull'origine dell'uomo). Tali
quattro lati possono essere esplorati contestualmente all'interno di ogni sistema religioso di conoscenza. L occhio
sociologico è comunque puntato non solo sulla quantità dei contenuti che il fedele di turno possiede, ma anche sulla
qualità (contenuti di cornice, oltre che quelli centrali), sulle forme sociali in cui questi vengono appresi.
Un sistema abitualmente usato nei test sociologici per misurare la conoscenza religiosa è partire dall'individuare l'immagine
di una divinità codificata da una religione e di scaturire, da lì, tutte le domande sonda del caso.

CAPITOLO 4 - LA RELIGIONE COME ORGANIZZAZIONE


INTRODUZIONE
La religione ha a che fare, sì, con il sovra umano, ma proprio per questo riesce anche a dire qualcosa sulla realtà sociale
degli esseri umani, a dare quindi un senso alle cose esistenti. In funzione di questo "dare senso alle cose esistenti", nascono
le organizzazioni religiose.
L'organizzazione designa un insieme di persone che hanno una gerarchia interna, funzionale e più o meno ordinata, in vista
del raggiungimento di fini comuni. Esiste dunque, all'interno di ogni organizzazione, un'autorità che sancisce un insieme di
regole e norme interne volte a ottenere, insomma, degli individui credenti perché quella certa istituzione religiosa possa
perdurare nel tempo.
C'è da dire, però, che più una religione si istituzionalizza (si stabilizza, si rende definitiva, si dà carattere giuridico) poi alto
diventa il rischio che al suo interno aumenti la tendenza degli individui che ne fanno parte all'indipendenza relativa rispetto
all'istituzione nominalmente di appartenenza. In effetti, in tutte le grandi confessioni religiose si sono sviluppate tendenze
contraddittorie che di fatto hanno messo in crisi il principio di autorità e minano le rigide gerarchie interne (vedi scismi,
divisioni interne, frazionamento in gruppi concorrenti; tutte cose che colpiscono uno stesso campo religioso e ne minano la
continuità nel tempo).
Ad esempio si ricorda la grande frattura che si verifico storicamente nell'islam fra sunniti e sciiti dopo la morte del profeta
Muhammad. Il problema della successione del profeta venne affrontato in die modi contrapposti, per cui da una parte chi
affermava il principio della discendenza per via istituzionale (dal profeta agli uomini di fiducia che lo avevano
accompagnato durante la vita) e chi rivendicava una successione per linea di sangue (dal profeta ad Ali, suo genero). Dl
conflitto che scaturì, cruento, è nato un tipo differenziato di islam.
TIPI DI ORGANIZZAZIONE
Weber ha enunciato le due tipologie, della setta e della chiesa.
- Chiesa: può essere definita come un'istituzione di salvezza a cui si appartiene per nascita; questa tende ad essere
universale, con compiti di "salvezza" per tutti, e perciò cerca il compromesso con il mondo.
- Setta: è una comunità di credenti in cui si entra solo poi, in chiave volontaria; questa privilegia l'intensità della
partecipazione alla vita interna e ama pensare gli aderenti come se fossero un gruppo scelto da Dio, motivo per cui sviluppa
atteggiamenti antagonisti nei confronti dell'ambiente esterno.
Troeltsch, invece, ha proposto in terzo tipo di aggregazione socioreligiosa, il misticismo (in tedesco "spiritualism"). Questo
funziona come una rete a maglie larghe di persone che condividono una comune esperienza religiosa, intensa e
coinvolgente, che va al di là dei tradizionali canoni di religiosità. Infatti, il misticismo è una dottrina religiosa in base alla
quale l'intima unione con il divino si ottiene con la meditazione (e porta alla conoscenza perfetta). Notiamo come chi vi si
aggrega, crede in una chiesa spirituale, invisibile e lontana dalla routine dei riti e dei culti ordinari.
Alcuni sociologi della religione hanno cercato di mostrare i limiti di una categorizzazione così astratta come quella proposta
da Weber e Troeltsch.
- Alcuni hanno fatto notare come anche la setta tende nel tempo a istituzionalizzarsi e quindi a diventare una sorta di
chiesa.
- Altri hanno osservato che anche all'interno della chiesa si possono sviluppare germi settari che poi possono finire per
convivere o per essere espulsi dal corpo ecclesiale.
- Altri infine hanno suggerito di introdurre altre categorie di aggregazioni socioreligiose, vedi i culti (associazioni
socioreligiose centrate sull'apprendimento di tecniche meditative o terapeutiche, formate intorno a leader o guaritori, che
offrono prestazioni talvolta in cambio di danaro).

GERARCHIA INTERNA
In tutti i tipi di aggregazione socioreligiosa si crea un ordine gerarchico interno.

Primo criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose. Il punto di attacco per un analisi del modello organizzativo di una
qualsiasi realtà associativa religiosa deve essere l'analisi del fondamento dell'autorità legittima. Si possono così, in linea
teorica, distinguere quattro fondamentali modelli di autorità socioreligiosa:
- modello teocratico (l'autorità si autodefinisce come voluto dalla volontà divina -qui rientrano i cattolici-);
- modello assembleare elettivo (l'autorità deriva dall'assemblea dei credenti e viene periodicamente rinnovata o
confermata per elezione);
- modello carismatico (l'autorità è messa alla prova: chi sente di avere poteri straordinari li rivela e questi sono riconosciuti
dai seguaci);
- modello tradizionale (l'autorità riposa su una tradizione, in genere radicata nell'esistenza di un libro sacro, che si legittima
nella continua osservanza del tempo).

Altro criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose. Ci sono organizzazioni che ammettono la distinzione clero-laici e
articolano all'interno del clero una differenziazione di funzioni gerarchicamente ordinate, e organizzazioni che, invece, sono
refrattarie strutturalmente a tali distinzioni.
Nota sul clero: il clero è uno strato di persone che compie un training speciale per acquisire un habitus (comportamenti
attesi) speciale, da cui il votarsi completamente alla vita dell'organizzazione, diventandone funzionale e organico elemento.
In molte grandi religioni far parte del clero conferisce status-symbol, quindi possibilità, ma anche prescrizioni e obblighi
particolari da rispettare.

Atro criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose può essere lo studio dei processi di selezione, formazione e
reclutamento del personale chiamato a svolgere funzioni "sacre". Tale studio può essere condotto o in termini statistici,
ovvero analizzando la serie storica di figure presenti in un determinato campo religioso, o in termini storici, ovvero
misurando l'evoluzione dei sistemi formativi adottati da un'istituzione o da una setta per rinnovare i suoi funzionari.

PROCESSI DI CONTROLLO E MANTENIMENTO DEL CONSENSO INTERNO


Sette, chiese, movimenti hanno spesso utilizzato la costruzione simbolica di un nemico esterno, minaccioso e immaginario
(a volte) che attenta all'integrità del gruppo stesso.
Ma comunque, come in tutte le organizzazioni, anche in quelle religiose si sviluppano conflitti che possono essere dottrinali
(inerenti alla gestione di specifici dogmi) o/e allo stesso tempo funzionali (cioè riguardanti la distribuzione delle risorse
materiali e simboliche, di potere e di funzioni all'interno della gerarchia organizzativa.
Il campo religioso, dicevo Bourdieu, si caratterizza proprio per questa presenza di conflitti: ogni conflitto assume subito un
contenuto teologico, ma la storia ci insegna come, poi, questo contenuto teologico sia solo l'involucro che racchiude
questioni inerenti all'assetto del potere, alla divisione tra clero e laici, ai rapporti tra potere spirituale e potere temporale.
Dunque, dietro ragioni meramente religiose, c'è un capitale simbolico e materiale distribuito in maniera ineguale.
Il conflitto che nasce all'interno di un'organizzazione religiosa, grande o piccola che sia, solitamente ha a che fare con due
livelli:
- va studiato rispetto a chi ha l'ultima parola nel decidere come interpretare la verità di un messaggio religioso che una
chiesa, setta, culto o denominazione che sia pretende legittimamente di possedere;
- va studiato rispetto a quali siano le procedure ammesse da una religione per contenere i conflitti entro limiti compatibili
con l'equilibrio stesso di un sistema di verità.
In modo particolare, col tempo si è venuto affermando il principio della VIA MEDIANA. Nella ricerca del modo migliore di
applicazione di una norma giuridico-religiosa si possono avere punti di vista divergenti, certo; questo, purché però essi
siano argomentati nel rispetto dei principi supremi contenuti dalla religione di riferimento. Detto l'esempio, l'idea è che
finché il conflitto non mette in discussione il principio di fondo di un'organizzazione religiosa, esso può manifestarsi e
svilupparsi entro limiti tollerati; quando però tali limiti vengono superati, il processo che solitamente un'organizzazione
pone in atto è l'estromissione dalla comunità (la scomunica p) di chi si è fatto interprete di un conflitto ritenuto intollerabile
e radicale.

TECNICHE DI DIFFUSIONE DELL'ORGANIZZAZIONE RELIGIOSA


Chiese, sette, movimenti in forme poi o meno vistose sono ormai tutte coinvolte nel problema di farsi spazio nel mercato
dei messaggi che l'industria culturale moderna e il circuito dei mass media producono in modo inflattivo. Anche religioni
che sembravano esenti da ogni forma di proselitismo, per ragioni contingenti, hanno per così dire accettato di entrare nel
mercato.
Tale economia di mercato, quindi, ha finito per imporre anche alle religioni le sue leggi. Chiese, sette, movimenti sempre
più spesso ricorrono ai moderni e modernissimi media per far conoscere e riconoscere il loro rispettivo marchio. Notiamo
quindi una spinta a farsi pubblicità ricorrendo al linguaggio del marketing moderno.
Anche la Chiesa cattolica ha rapidamente, negli ultimi vent'anni, colmato il distacco che aveva sempre mostrato nei
confronti dei linguaggi televisivi e radiofonici (e ha raffinato wuelli che invece da tempo possedeva, cioè il linguaggio della
carta stampata).
Metodologicamente parlando, il materiale che tecnicamente le organizzazioni producono è costituito da un insieme di testi
di vari generi letterari moderni e viene a costituire un utile oggetto di analisi sociologica e sociolinguistica.

I PRINCIPALI TEMI DI RICERCA


Quando parola o di organizzazione religiosa ci poniamo di fronte oltre a vari aspetti concreti (vocazioni sacerdotali,
rapporto laicato-clero, forme di selezione e reclutamento del funzionari del sacro e così via...), anche a questioni teoriche
più complesse e astratte. Potremmo riassumerle nel modo seguente:
1. Perché una religione si organizza?
2. Una religione organizzata funziona come le altre organizzazioni più o meno complesse?
Alla prima domanda rispondiamo che l'organizzazione è funzionale al costituirsi della religione come una sfera della vita
sociale relativamente autonoma. La storia del cristianesimo sembra essere esemplare a tal proposito: l'armatura giuridica e
amministrativa che la chiesa si è costruita nel tempo è servita alla chiesa stessa per definirsi come soggetto o attore
collettivo capace di agire in proprio, autorevolmente, competendo con altri poteri che storicamente cercheranno di
contendere la sua supremazia.
La seconda questione teorica può essere affrontata cercando di comprendere se la religione, avvalendosi di una forma
organizzativa, non riesca a ottenere quello che in genere un'organizzazione si prefigge di ottenere, ovvero una più facile
standardizzazione dei comportamenti dei membri che aderiscono a una certa fede religiosa. La secolarizzazione aggredisce 
spesso proprio la capacità organizzativa di una religione di orientare comportamenti e atteggiamenti a livello di massa, per
cui, quando ci si secolarizza, si perde qualcosa di importante, ovvero si perde un insieme di canali e procedure organizzate
che aggregavano consenso. In definitivamente a maggiore organizzazione corrisponde maggiore standardizzazione dei
membri aderenti e quindi un organizzazione religiosa più stabile. Nel momento in cui l'incantesimo si rompe (questo
attraverso la secolarizzazione), nella testa del fedele cosa succede? Se si perde il riferimento religioso l'effetto primo è un
processo di sgretolamento del senso di appartenenza, da cui l'andare in affanno dell'organizzazione religiosa.

ISTITUZIONE E CARISMA
Interessante studiare il rapporto, a livello organizzativo, tra istituzione e carisma. In altri termini, che cosa accade quando
alla morte di un fondatore (profeta, leader carismatico...) si pone il problema di dare continuità al carisma di fondazione. Si
tratta di capire il rapporto tra momento creativo della religione e momento organizzativo della stessa, tra effervescenza
originaria e stabilizzazione del messaggio salvifico in forme canoniche e istituzionali.
Weber affronta il problema della successione del carisma. Secondo lui, alla morte del capo carismatico le diverse religioni
mondiali hanno preso diverse vie, così riassunte:
- SCELTA, ovvero elezione secondo carisma. In questo caso la scelta crea un'organizzazione nella quale il principio di
autorità si trasmette da persona a persona. Il leader di turno è un buon performer e un buon pastore di anime.
- OGGETTIVAZIONE SACRAMENTALE, ovvero designazione del successore tramite consacrazione (successione del sacerdote
o apostolica). Chi succede per oggettivazione sacramentale acquisisce un carisma di funzione: l'autorità cioè appartiene non
alla persona in quanto tale ma all'istituzione che questa rappresenta in quanto membro più alto in grado della scala
gerarchica.
- QUALIFICAZIONE CARISMATICA DELLA STIRPE, ovvero carisma ereditario (regno o ierocrazia ereditaria). Questo è un
procedimento di successione che permette di investire un'intera dinastia o famiglia regnante del potere carismatico di un
fondatore di una religione.

A seconda, poi, dei livelli di istituzionalizzazione che una religione raggiunge nel corso della sua evoluzione, si danno
fenomeni ricorrenti di conflitti che possono convergere o sul problema della fonte dell'autorità (chi decide cosa è giusto o
non è giusto credere) o sui contenuti specifici del credere (cosa è bene o non bene credere). Il primo è un classico conflitto
di potere e il secondo è piuttosto un tipo di conflitto cognitivo-simbolico, piani che spesso si incrociano nei conflitti reali.
Si rivela comunque in questi conflitti una strutturale tensione tra la carica vitale dell'esperienza religiosa e la fossilizzazione
di un messaggio salvifico entro regole e procedure formali, rituali, istituzionali. Tensione che i movimenti religiosi, da
sempre, oggi come ieri, esprimono.

LA VIOLENZA SACRA CONE IMPRESA


In alcune formazioni socioreligiose il ricorso alla violenza costituisce un aspetto centrale della loro organizzazione. La
violenza di tipo sacro puoi essere ricondotta a due forme:
- il sacrificio degli altri, cioè il mettere a morte chi non appartiene all'organizzazione religiosa.
- il sacrificio di sé, cioè il mettersi a morte in quanto membro di un'organizzazione religiosa.
Nel primo caso siamo di fronte a varie forme di radicalismo religioso aggressivo che utilizza la violenza per affermare un
principio (religioso) che si ritiene minacciato ad un nemico esterno; nel secondo caso siamo di fronte all'esaltazione del
martirio come forma di messa alla prova della fede di appartenenza.
In entrambi i casi il ricorso alla violenza ubbidisce a motivazioni ideologiche (che discendono da una particolare visione
teologica o religiosa del mondo) e a una semplice regola di tipo organizzativo, ovvero quella per cui dare la morte (a sé o
agli altri) ha la funzione di rinsaldare i legami interni del gruppo di appartenenza. A questa scelta il singolo o il gruppo
credente arriva attraverso un percorso di conversione e potenziamento che, attraverso il criterio dell'assolutismo
dell'appartenenza ("esiste solo la verità del mio credo; gli altri credi meritano la morte") ridefinisce e distorce i confini tra
vita e morte, tra individuo e mondo, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La violenza diventa così una risorsa collettiva,
un dispositivo a servizio del gruppo, oggetto di mobilitazione interna all'organizzazione prima ancora che espressione di
aggressività verso l'esterno.
Il martirio è infatti in alcuni casi una vera e propria forma di mobilitazione che un'organizzazione religiosa incoraggia nei
suoi membri per illustrare esemplarmente quanto alta sia la posta in gioco simbolica che essa intende difendere sulla scena
sociale.

Più complessa è la casistica riguardante tutte quelle sette che praticano l'autoimmolazione collettiva in base a una visione
apocalittica che giustifica il ricorso alla violenza come forma di lotta contro il male, di volta in volta identificato
simbolicamente nell'uno o nell'altro bersaglio.
Ad esempio ci sono alcune sette che pur non rivolgendo verso l'esterno l'aggressività, praticano l'autoimmolazione dei
propri membri.
Non tutti i movimenti apocalittici sono però giunti a praticare queste forme di violenza estrema. Ci sono infatti a tutt'oggi
sette che credono nell'imminente fine del mondo che sono del tutto estranee alla logica della violenza.
Ciò che appare decisivo, in termini organizzativi, è la struttura del potere del leader: quanto più egli appare autorità
indiscussa alla quale si deve obbedienza, tanto poi l'esito violento dell'agire religioso risulta facilitato.

CAPITOLO 5 - RELIGIONE E SOCIETÀ


[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
SECOLARIZZAZIONE
Finora abbiamo illustrato i concetti fondamentali per capire a cosa facciamo riferimento quando parliamo di religione:
sacro struttura e approccio multidimensionale di Glock.
Adesso però esponiamo altre 2 teorie.
Ci sono altre teorie che spiegano come funziona la religione.
I concetti per loro natura devono escludere: tanto più un concetto è preciso quanto più esclude l'ambiguità con altri
concetti; una teoria tenta invece di mettere insieme e spiegare più fatti possibili.
Passiamo adesso dal concetto di religione che abbiamo disambiguato nelle maniere più diverse, a una teoria. Tentiamo così
di spiegare come funzionano le religioni, tutte (i fatti reali). Tentiamo di vedere che teorie sono state elaborate negli ultimi
40 50 anni per spiegare se è come cambia la religione all'interno di contesti sociali e culturali diversi. Al momento abbiamo
solo detto cos'è la religione; adesso vediamo di esporre "la" teoria. Teoria criticatissima, ma che al momento resta la teoria
di riferimento: la teoria della secolarizzazione.

INTRODUZIONE ALLA SECOLARIZZAZIONE


Josè Casanova ha scritto il testo a cui facciamo riferimento nello studio della secolarizzazione.
Cos'è successo nel giro di 50 anni in Europa occidentale e in Nord America per quanto riguarda le pratiche religiose ivi
situate? Cos'è successo, per cui si pensava che la religione scomparisse? E oggi in realtà è dimostrato nel quotidiano
l'opposto e cioè che esiste e che anzi è fortemente presente nel quotidiano? Studiamo allora le religioni, ma non solo in
termini teorici/astratti. Quando si passa dal concetto alla teoria, però, lì entrano in gioco le interpretazioni, le ipotesi. E
questa ipotesi, quella della secolarizzazione, ha dettato l'agenda per 50 anni.
La religione oggi bascula tra "chiuso per assenza di fedeli" a "questi sono i soliti crociati": un ruolo da geopolitico delle
religioni a un esponente specializzato del personale delle religioni che dice "chiuso". La teoria della secolarizzazione
spiegava solo un elemento di questo cambiamento: la scomparsa.
La religione non scompare, non è destinata a scomparire, ma si trasforma. Vediamo come...

Distinguiamo concetto e teoria della secolarizzazione.

IL CONCETTO DI SECOLARIZZAZIONE
dal punto di vista etimologico secolarizzazione deriva dal latino "seculum", che significa "mondo" o "età" oppure "secolo".
Introduciamo alla differenza tra clero religioso e secolare: il religioso è il personale religioso che vive la vita religiosa stretta
nei conventi (es i frati del santo); il clero secolare sono invece i preti che vivono nel secolo, cioè nel mondo (es i parroci).
Procediamo adesso alla definizione... Nel diritto canonico, la secolarizzazione è quel processo legale mediante il quale una
persona "religiosa" abbandona il convento per tornare nel "mondo".
L'aspetto più importante per noi (perché è a seguito di questo processo di secolarizzazione per esempio che molti
manoscritti dei monasteri sono finiti nelle mani delle biblioteche universitarie, vedi Napoleone), storicamente, il termine è
stato utilizzato per indicare l'espropriazione da parte dello Stato dei monasteri, delle terre e delle ricchezze che aveva la
chiesa dopo la riforma protestante e le cosiddette guerre di religione. ...

[L'espressione "guerre di religione" richiama alla mente l'articolo di Pierluigi Battista di cui parleremo.
Riflettere su:
Qual è il retroterra che ha portato battista a scrivere quelle cose?
Qual è l'esito di quanto ha scritto?
Questo perché ...Parlare di guerre di religione in Europa fa riferimento a un periodo molto specifico. E religioni che che
proclamano la pace sono un qualcosa di molto pericoloso]

...ci sono due tappe fondamentali:


1555 la dieta di augusta (con la pace) nella quale viene sancito il principio del "cuius regio eius religio" (la religione è quella
del re). Questo risolve le guerre, a seguito della rif protestante, tra i cattolici e i protestanti/cioè luterani, i prìncipi.
1648, la pace di Westfalia. Qui il principio su enunciato viene esteso non soltanto a quei principati dove c'era il conflitto tra
luterani e cattolici, ma a tutto l'impero.
Noi viviamo un un mondo che ancora poggia sulla pace di Westalia.
Le terre venivano divise in base a principati i quali a seconda della scelta del principe dovevano contenere o fedeli cattolici
o luterani.
Principio comodissimo e molto usato per dividere gli appartenenti alle religioni diverse (nel 1500 dobbiamo pensare a
luterani, eventualmente calvinisti e cattolici; solo questi). In questa epoca la credenza religiosa era il tessuto che teneva
insieme intere società. Su questo aspetto abbiamo sempre pensato il mondo come omogeneamente integro in termini di
religione professata. Ed è un principio che ha funzionato.
Attiviamo l'attenzione su...Principio molto comodo, soprattutto per lo stato (che per questa comodità l'ha inventato). Chi è
riuscito a portare pace tra le religioni è stato proprio lo Stato: la pace di Westfalia è stata sottoscritta da rappresentanti
appunto dello stato. In che maniera non importa; importa il fatto che quella maniera attivata sia stata efficace.
In quel momento la pace è stata se vogliamo imposta dallo stato. Ma lo stato è ancora in grado di mantenere le paci tra le
religioni? Questo processo sembra essere oggi alquanto in crisi. E anzi ci preme dire che o le rel trovano le risorse al proprio
interno per una convivenza pacifica inter ma anche intrareligiosa; oppure la presenza di religioni contemporaneamente
nella stessa area geografica è problematica. Lo stato sembra non essere in grado di mantenere la pacifica convivenza delle
religioni.
Westfalia era una soluzione e lo stato l'ha accolta.
Quindi il con certo di secolarizzazione trova fpriferimento a questo contesto.

Questo capita ciclicamente: Quando lo stato confisca beni proprietà della chiesa di maggioranza ...
Un tempo accadeva con Napoleone, oggi accade in Romania (Ciausescu confiscò moltissime chiese; dopo di lui le chiese
ritornarono alla chiesa di maggioranza; cristiani cattolici rivendicarono le loro chiese; il contenzioso è ancora aperto).

Il mondo medievale classificava il mondo secondo una struttura binaria, cioè divideva questo mondo tra la sfera religiosa e
la sfera secolare (prima distinzione) e poi divideva/distingueva tra questo mondo e l'altro mondo (seconda distinzione);
ripetiamo, una doppia divisione. Se vogliamo una sorta di dicotomia tra sacro e profano.
- Questo dualismo, dualismo religioso e secolare, era istituzionalizzato all'interno dell'intera società: cioè nella società tutto
rispondeva a questa distinzione tra mondo religioso e mondo secolare (es la teoria delle due spade, il potere spirituale e
quello temporale). Le due sfere si contrappongono con alterne vicende, ma attenti, con alterne vicende sì, ma l'una sfera ha
sempre bisogno dell'altra (qualche volta per applicare le norme più problematiche della religione; qualche volta per
legittimare il suo potere che per sua natura è di origine divina). Già abbiamo detto che questa divisione tra sfera religiosa e
secolare struttura tutta la società. Noi proviamo a pensare come questa strutturazione risponde al principio tra fede (sfera
religiosa) e ragione (sfera secolare); o alla ricerca della verità (leggendo il libro della natura o il libro della fede). Quindi,
questa strutturazione contrapponendo sfera religiosa e secolare è comunque perfettamente coerente, nel mondo
medievale. È una sintesi, questa, del mondo medievale. Oggi, questa prima divisione ha trovato delle composizioni.
Facciamo riferimento al principio di laicità per un aspetto (laicità per cui lo stato mette fuori dalla sfera pubblica tutte le
religioni, o per cui le tiene tutte dentro)... Ma in ogni caso è lo stato che detta legge su questa materia, regola le religioni.
Quindi è capovolta quella situazione nella quale l'imperatore va a farsi consacrare dal papà.
- Una parola sull'altra distinzione. Questa è un po' più complessa: la distinzione tra questo e l'altro mondo. Cos'è l'altro
mondo? C'è una divisione profonda tra l'altro mondo che solitamente viene collocato in cielo...e questo mondo che è la
terra. Da una parte c'è l'eternità, dall'altra c'è il tempo. Il tempo, in sé (lo sappiamo) non esiste, ma è una costruzione
sociale. Proviamo a pensare all'assenza di tempo; perché l'eternità comprende anche il passato, e inevitabilmente
comprende anche il presente e il futuro... L'idea che l'eternità del cielo fosse da riferimento per regolare il temporale (ciò
che succede in questo mondo) è un'idea che ha tenuto fino a pochissimi decenni fa. Questa idea ha superato di gran lunga
la scoperta che la terra non era al centro del cosmo. Il punto che questa vita non sia meno importante della vita eterna
(ecco il concetto di eternità) è un'idea abbastanza recente. Quindi, questa distinzione tra questo e l'altro mondo, ha
strutturato la vita degli attori sociali per secoli e fino a pochi decenni fa. Uno dei motivi per i quali Marx definiva la
concezione oppio dei popoli era radicata proprio in questa distinzione. Ovviamente c'è un punto di contatto tra questo e
l'altro mondo. Chi può efficacemente mettere in contatto i due mondi?  L'istituzione ecclesiastica, la chiesa, la quale
regolava appunto l'accesso all'altro mondo, la quale stabiliva dove l'attore sociale sarebbe finito nell'altro mondo per
l'eternità. La forza della religione è stata quella di controllare la costruzione dell'immaginario. Questa rappresentazione che
ha strutturato la vita sociale per tanti e tanti secoli dimostra il potere della religione nello strutturare l'immaginario,
operazione raffinatissima. Noi non sappiamo ancora quali siano le conseguenze di internet a livello di costruzione del
nostro immaginario; sappiamo però che tutto possa essere reversibile ("start again") ma non tutto nella realtà è reversibile.
E ecco quindi che la religione, intesa in senso medievale, ha costruito l'immaginario con questa vita che dipendeva da chi
regolava l'eternità e c'era un'istituzione legittimata a regolare i transiti tra l'aldiquà e l'aldilà. La vita, prima, era da vedere in
previsione del l'eternità, dell'aldilà.
Noi oggi siamo secolarizzati perché
1. Non distinguiamo più tra sfera religiosa e sfera secolare, o meglio distinguiamo le pertinenze, ma la sfera religiosa è per
coloro i quali credono in una religione, punto. Nel mondo medievale la non credenza era ipotizzabile di nascosto per soli
pochi amici; però la societas era una societas regolata religiosamente. E la religione legittimava anche l'uso della violenza,
talvolta. Non prevedeva una zona franca, ma copriva tutto il tessuto sociale. Bene, una prima secolarizzazione oggi riguarda
unificazione di questi due mondi in cui la sfera secolare regola la sfera religiosa (processione? Il parroco chiede al comune).
Noi oggi abbiamo superato questa dicotomia. Mentre nel nostro mondo medievale c'era il mondo della religione il quale
prevaricava il secolare in quanto a autonomia.
2. Collassa anche la distinzione tra l'altro mondo e questo mondo. Viene a collassare perché anche per chi crede, l'altro
mondo non è più contrapposto a questo mondo. Cambiamento enorme anche per i credenti. Cosa vogliamo dire? Che noi
non classifichiamo più il reale contrapponendo questa vita e ritenendola falsa con un'altra vita dopo la morte che
etichettiamo come vera; oggi noi siamo coscienti che l'eternità non è un dopo, ma è un già. Per cui anche chi crede,
affermando che già il presente è eternità, valorizza il cosiddetto aldiqua. Non ê più una vita spuria, falsa, irreale. Per cui,
tutti quegli elementi che giustificavano la divisione tra aldiqua e aldilà, oggi non reggono più la distinzione che veniva fatta
nell'epoca se vogliamo tradizionale. Per cui, la stessa teologia, ha recepito al suo interno questo cambiamento: a stessa
teologia non parla più dell'aldilà come la vera vita e dell'aldiquà come una vita spuria, falsa; ma parla dell'aldiquà come una
vita degna di essere vissuta, ma non solo, una vita che anticipa la vita eterna. Approccio che quindi come vediamo non ha
cambiato solo il senso comune, ma ha cambiato proprio il modo in cui crediamo.

La secolarizzazione, quindi, mette fine a ogni fine di dualismo.


Fine concetto di secolarizzazione.

PRESUPPOSTO DELLA TEORIA DELLA SECOLARIZZAZIONE


Prima di passare alla teoria, un presupposto della teoria. Questa th mette in evidenza come si sia sfaldato un modo di
rappresentare la società il quale modo di rappresentare la società poggiava direttamente sulla religione. La rel strutturava
la vita individuale quanto collettiva, quindi diceva qual era il ruolo dell'individuo nella società e diceva come la società si
doveva comportare. E in questo stava la forza della religione: non nel numero di persone che frequentavano i riti, ma nella
capacità di far credere che le cose funzionassero esattamente in quella maniera e di ottenere obbedienza per il fatto che le
cose, appunto, funzionassero esattamente in quella maniera. Lì stava il potere della religione nel mondo tradizionale.
Riposa cioè tutta nella capacità di far credere.

Parlavano delle rappresentazioni "medievali" del mondo, cioè quella separazione tra questo mondo e l'altro mondo e tra la
sfera religiosa e la sfera secolare. Il processo di secolarizzazione ha portato al superamento di questo dualismo... E la forza
della religione nell'epoca tradizionale consisteva proprio in questo: nell'imporre questa rappresentazione dell'aldilà che
aveva ovviamente conseguenze sull'aldiquà. E tutto ripondeva a questa rappresentazione. Oggi questa separazione non
regge più, nemmeno per le narrazioni di carattere teologico: a narrazione teologica oggi narra di un mondo che è in
continuità con queeello dell'aldilà, quindi paradossalmente si è secolarizzata, se vogliamo utilizzare questa categoria. Cioè,
noi crediamo in altre forme di virtualità; se noi incrociamo il virtuale con il trascendente in un'epoca in cui si sta affermando
la post-verità. Quindi verità in sé, oggi, è un concetto non non antiquato, ma neanche alla moda; per cui, quando si parla
dei fatti sociali che condizionano le nostre esistenze, bisogna stare attenti in che materia/maniera se ne parla.
Come cambia la religione in questa epoca? Nell'epoca in cui la diff tra reale e virtuale sfuma, la rel ne è indebolita o
rinforzata? Di più, quando i nuovi media sono presi davvero sul serio (interattivi), la rel ne trae beneficio o è messa sotto
scacco?  Sta di fatto che la rel oggi non regola più la vita sociale così come la regolava in regime di cristianità. Quindi oggi il
mondo è profondamente secolarizzato perché non poggia più su queste distinzioni "medievali".

LA TEORIA DELLA SECOLARIZZAZIONE


Veniamo adesso a riflettere sul al teoria della secolarizzazione. Il concetto abbiamo detto esclude, la teoria deve riuscire a
mettere insieme il più possibile fatti sociali diversi. Quando si parla di Th della secolarizzazione si fa riferimento a 3 hp
diverse:
- ...prima di tutto, alla differenziazione funzionale delle sfere sociali. Quindi per secolarizzazione la d
- ...collegata alla diff, si intende l'emancipazione delle sfere sociali a dalla religione. Che cosa si emancipa dalla religione? Lo
stato prima di tutto, ma poi l'economia la scienza la politica l'arte. Tutte le sfere sociali che prima erano inglobate dalla rel,
si differenziano, si autonomizzano, si emancipano. "Io posso anche emanciparmi dalla sottomissione a qualcuno ma quel
legame di sudditanza me lo porto ben oltre alla relazione di sudditanza rispetto a quel qualcuno" (Simmel). Alcuni
dispositivi cioè, alcuni meccanismi di funzionamento, persistono. Per cui la religione c'è sempre, attenzione. ...i dispositivi di
legittimazione sono davvero molto molto molto complessi. questa emancipazione porta con se i segni di un'epoca in cui le
sfere non erano differenziate.
Esempi per capire che i meccanismi si emancipano ma ragionano sempre secondo la logica della rel: i mercati. Logica del
profitto. Restano aperti di domenica, il più delle volte. Produttività, riposo, famiglia...tutti criteri per cui restano aperti.
Quindi l'economia si emancipa dalla religione, e trova però spesso dei motivi nelle scelte che compie che non risiedono
dentro l'economia stessa. Stesso dicasi per la medicina che si emancipa dalla religione. Pensiamo alle biotecnologie...tutto
ciò che è tecnologicamente possibile è anche eticamente ammissibile? I problemi del momento no si risolvono, certo,
semplicemente si distinguono i problemi.
- seconda ipotesi. Declino della religione, un declino che per molti doveva essere irreversibile. Eclissi del sacro, non
scomparsa della religione.
- terza tesi, accezione della teoria della secolarizzazione. La tesi della privatizzazione, per cui la religione esce
progressivamente dalla sfera pubblica e riposa, nel senso di posare positivista, nella sfera privata.

Prima di trattare questi tre approcci li valutiamo.


Primo approccio è avvenuto? Si. Oggi lo stato non si rappresenta secondo principi religiosi. Dappertutto? No. Nel mondo
occidentale? Si.
Secolarizzazione come differenziazione funzionale, è avvenuta sotto certe condizioni, non in maniera generalizzata, e ciò
che sta capitando anche all'interno dell'occidente come conseguenza della pressione di alcune religioni o della loro
strumentalizzazione mette a i dura prova questa differenziazione. Questa è la modernità, differenziazione. Risvolti che è
non riusciamo a prevedere. Es. i nati da donne musulmane sorpassano i nati da donne cristiane nel 2030; il rapporto
cambia, aumenta, per il 2045. Ora la demografia, scienza, da sola ci insegna un sacco di cose...ovviamente sono stime,
quelle della demografia, ma stando così sono previsioni.
Seconda accezione. L'ipotesi ha completamente fallito. Cioè se noi identifichiamo con religione pratica costante di ritualità
religiosa, ha fallito lo stesso...frequenza domenicale? È in costante calo, quindi ha fallito l'ipotesi. Ma capiamo bene che la
religione e molto altro.
Terzo elemento? Al contempo si è no. Cioè c'è stata la privatizzazione ma questa non ha significato scomparsa della rel
dalla sfera pubblica, perché ci siamo accorti che la rel per sua natura ha bisogno di dirsi pubblicamente.

Veniamo ad analizzare sinteticamente la th della secolarizzazione nelle sue tre hp.


La differenziazione funzionale. Questa fa sì che le realtà terrene diventino sempre più indipendenti dal controllo di potenze
trascendenti. Ora, i fatti che hanno portato a questa differenziazione funzionale sono molteplici. Noi citiamo quattro tra
questi eventi, quattro eventi che hanno portato a questa dissociazione separazione distinzione tra la sfera religiosa e le
sfere sociali. La riforma protestante, la nascita dello stato moderno, il capitalismo, il pensiero scientifico. Su tutti questi
elementi abbiamo discusso già, ma diamo qualche altro input.
La riforma protestante: la sua rilevanza a livello di immaginario collettivo. Sappiamo che la chiesa si definisce una santa
cattolica (universale) e apostolica. Questo al chiesa si era ritenuta da sempre, nel 4º 5º 6º secolo. Sul criterio di unità e
cattolicità quanto successe con la riforma protestante ebbe conseguenze rovinose. Non solo le guerre di religione, ma ben
altre; perché le più pesanti ci sono state a livello di rappresentazione di unità e cattolicità della chiesa. La chiesa cattolica
non ha avuto più il monopolio del religioso in Europa, copriva cioè tutto il resto. Ciò che successe con la riforma fu rompere
l'incantesimo che per arrivare a Dio bisognasse transitare attraverso un'istituzione gerarchica chiamata chiesa. Il
protestantesimo toglie via una istituzione gerarchicamente costruita che aveva un potere enorme soprattutto in certe zone
dell'occidente, denuncia la corruzione di quella rel che aveva il monopolio del credere in Europa e non fa la fine di tutti tutti
gli altrimenti movimenti ereticali, ma apre un'altra storia: il cattolicesimo va in profonda crisi; abituato ad aver il monopolio
(a dettare lui il passo, ma la faceva perché non c'era altro), da qui in poi ha dovuto rincorrere. Cambia completamente il
tutto. A tal punto che i cattolici, poi, devono fare una controriforma cattolica, una reazione alla riforma protestante.
Diciamo di più. Il cristianesimo non è più uno (vedi la separazione delle chiese ortodosse); adesso c'è anche il
protestantesimo. Le conseguenze di questo fatto stanno in un riposizionamento del cattolicesimo, che non sta a guardare.
L'elemento chiave, l'aspetto più importante, è che il cattolicesimo non diventa più il brand del cristianesimo che più è
adatto per legittimare il nuovo mondo che stava avanzando. Questo è il punto. Il nuovo mondo che stava avanzando
avanzando funzionalmente era legittimato dall'etica protestante (dal calvinismo). Questa etica era funzionale al l'avanzare
della modernità. La religione che aveva legittimato la vita sociale per secoli, di punto in bianco diventa disfunzionale
all'affermarsi della modernizzazione. Si rompe il monopolio del cattolicesimo a livello europeo, e a quel tempo dire Europa
voleva dire il mondo. Quindi, il protestantesimo sempre in definitiva il brand del cristianesimo funzionale all'avvento della
modernità. Il cattolicesimo si richiude.
LO STATO SECOLARE MODERNO: cuius regio, eius religio.
IL CAPITALISMO: ricordiamo innanzitutto Weber. Poi aggiungiamo qualcosina: la chies a gestisce denaro oltre che beni e
servizi immateriali. Limitiamoci a dire che la chiesa ha anche salvaguardato dall'utilizzo del denaro (es legittimando forme di
prestito che non fossero forme di usura)... Ma da un certo punto in poi il denaro non poteva essere utilizzato secondo
categorie di beneficenza, ma a doveva essere utilizzato secondo dinamiche di mercato tipiche del capitalismo.
 lL PENSIERO SCIENTIFICO: vedi Galileo Galilei. Il pensiero scienfico de costruisce il pensiero dogmatico teologico. La scienza
non ha dogmi. La religione ha delle verità indiscutibili. Il pensiero scientifico mina alla base quello religioso, così come lo si è
interpretato nella prospettiva cattolica. Questo perché ... I Inghilterra Newton non ha avuto con la religione i problemi che
ha avuto Galileo in Italia. Quindi questo rapporto religione fede non è unidirezionale.

Quando abbiamo parlato di secolarizzazione dicevamo


- bisogna distinguere tra concetto e teoria
Parlando della th abbiamo detto che il concetto di secolarizzazione porta con sé 3 accezioni/prospettive diverse
1 differenziazione funzionale. Abbiamo già detto a sufficienza su questo versante. Parliamo delle altre due...

SECONDA ACCEZIONE DELLA TH DELLA SECOLARIZZAZIONE


la versione che più ha avuto fortuna di secolarizzazione, la versione del declino = scomparsa della religione. Questa idea di
secolarizzazione è stata partorita da Acquaviva, sociologo padre scientifico di Enzo Pace. Parla di eclissi del sacro. Perché
questa versione di th ha fatto così tanta fortuna?
Intanto dobbiamo dire che i fatti non hanno mai dato ragione completamente a questa versione di th della
secolarizzazione. Cioè questa th ipotizza che all'affermarsi del processo di secolarizzazione corrisponda una progressiva
scomparsa della religione. Quindi mano am no che il proc di modernizzazione si impone e si diffonde, la religione ha visto
limitato il proprio raggio di azione.  Uesti assunto in ambito Eur negli anni 60 e 70 non è mai stato messo radicalmente in
discussione. Capiamo quindi che noi vediamo al realtà in base a mappe cognitive che abbiamo in testa (gli occhiali). I
sociologi della rel hanno interpretato il ruolo della rel nel mondo contemporaneo a partire da questa th. E tutto ciò che non
veniva spiegato come "scomparibile" era eccezione. Poi, due esempi clamorosi che smentivano questa versione radicale:
1. Gli Stati Uniti. Qui c'è un processo di modernizzazione affermato/avanzato. In nessun altro la pratica religiosa,
comunque, era così alta.
2. Altro paese in cui il processo di modernizzazione era affermato, il Giappone. E anche li le religioni erano presenti e non
tendevano a scomparire.
Questo dovrebbe essere sufficiente a comprendere come questo assunto di partenza, per cui, al progredire
modernizzazione, regredisce religione (un modello meccanico "a somma 0"), di fatto non trovava evidenza empirica in altre
parti del mondo occidentale modernizzato. E pur tuttavia, questa versione della secolarizzazione come declino e scomparsa
della religione si è affermata, questo a tal punto che ha dettato l'agenda di ricerca della soc della religione per almeno 30
anni (50 fino a circa 90). Con dei critici all'interno. Quindi questo modello del declino ha intercettato un aspetto della rel in
Europa, che è la pratica costante con, in più una relativa autonomizzazione del soggetto per apporto alla chiesa di
appartenenza...in Eur si è confusa la pratica domenicale con (?). Questo non. Insignificante scomparsa della religione, ma
solo cambiamento della religione. Non praticare sempre non significa scomparsa della religione, ma significa scomparsa di
una pratica ritenuta "irrilevante dai fedeli".
Più complesso il rapporto con la sfera pubblica. Lo stato si afferma autonomo risp alla religione e contemporaneamente
come il frame entro cui si comprende la rel. il tema della secolarizzazione ha frainteso i cambiamenti di alcuni cambiamenti
specifici della rel, con la scomparsa della rel stessa.
Quindi non illudiamoci che le evidenze empiriche dicono cos'è o condizionano un hp su un fatto sociale; noi le evidenze
empiriche le selezioniamo.
Ma perché siamo arrivati alla nascita di questa th della secolarizzazione. 4 aspetti da tenere in conto:
1. La critica illuministica della religione (l'aspetto, se vogliamo, più politico della critica alla religione, anche se porta con se
una dimensione cognitiva e una soggettiva). Attiriamo l'attenzione sul l'elemento cognitivo dell'Illuminismo: noi riteniamo
che la ragione sia lo strumento che regola tutti gli ambiti della vita personale e collettiva delle persone. Abbiamo già
criticato questo approccio, però un po' di decenni di istruzione diffusa e approcci positivistici ci hanno convinti
dall'applicazione esclusiva del criterio di razionalità. Ma c'è di più: ci siamo convinti che questa applicazione esclusiva ce
l'abbiamo noi europei e nessun altro; questo modello ha giustificato legittimato quell'approccio che noi chiamiamo
etnocentrico, che, a questo punto, significa eurocentrico (vediamo il mondo da una prospettiva che non può essere che
occidentale). Nota: colonizzazione. Ciò detto, il pregio dell'Illuminismo è che anche all'interno di fatti come il colonialismo, 
questo ha portato con se anche i movimenti anticolonialisti, quindi l'idea di razionalità non è da intendersi a senso unico (la
critica della critica). Applichiamo quanto detto alla critica della rel: un approccio unidiriezionale dice la religione destinata a
scomparire (ideologia); un approccio invece bidirezionale (quindi autocritico), quale effettivamente l'illuminismo è,
mantiene invece aperta la possibilità di criticare questa idea di religione destinata a scomparire.
La critica di carattere cognitivo contro ... Soprannaturali del mondo. La questione resta aperta, perché la critica cognitiva
affronta "di petto" la questione della verità. (audio). A liv sociale, collettivo, se alcune questioni veritative possono perdere
di appeal, sentiamo comunque il bisogno di giustificare altre verità ("dei perché"). E le retoriche che abbiamo a
disposizione, nel bene è nel male, sono retoriche anche di carattere religioso. Quindi questo approccio che la rel è retaggio
di un mondo primitivo e superstizioso è un approccio che, a liv di dibattito pubblico, è superato. L. Critica cognitiva alla
religione cade nella stessa fallacia di chi vuole difendere cognitivamente la rel. Dio non è dimostrabile e liberare l'umanità
da questa idea è "improbabile".
2 una seconda dimensione, quella se vogliamo più rilevante, è la critica pratico politica. Questa mette in luce come le
istituzioni religiose abbiano potere." Obiettivo di queste critiche è" smascherare immediatamente il potere insito nelle
istituzioni religiose. Nel passaggio dai 60 70 ai fine 90 e inizio millennio ci siamo resi conto che "non esistiamo solo noi",
l'occidente. Qundi questo approccio etnocentrico oggi è superato. Ma attenti, questo ci rende avvertiti che quando
parliamo di Rl non ci riferiamo solo della nostra, e ci rende avvertiti che in altri contesti le rel hanno ruoli diversi nella sfera
pubblica risp a quelli che hanno nella nostra sfera pubblica. Religioni ritenute altre (riferimento all'islam), oggi sono
presenti nella nostra sfera pubblica e ci giocano un ruolo dentro, la condizionano. Di più, non sono più religioni altre ma
sono nostre religioni. E qui si pone la discussione sul potere. Voltaire sosteneva che le rel sono frutto di credenze magiche:
superstizioni; allo stesso tempo, diceva attenti a quelli che hanno cariche di governo: come faremmo a governare il popolo
senza far leva su questioni di carattere religioso? E quindi la rel svolge un ruolo. Quello cioè di controllare le masse. Quindi
c'è questo regime di doppia verità: le religioni non esistono almeno così come vengono praticate, ma allo stesso abbiamo
bisogno della religione per controllare il popolo. Questo, ripetiamo, nel mondo occidentale viene praticato poco; eppure,
altrove, funziona alla perfezione.
3. C'è un ugkino approccio, l'approccio della critica soggettiva. Qui abbiamo il contributo di Feuerbach, che sostiene che Dio
altro non è che la proiezione che l'uomo non riesce a realizzare. Una prima critica all'idea di religione. Ma c'è di più, ci sono
altre critiche soggettive alla religione. Es Lutero che sposta la fede in Dio da una istituzione al soggetto credente che
praticamente senza il filtro del l'istituzione si rivolge al divinità. Quindi la critica in questo senso è la negazione della
legittimità delle istituzioni, non più la negazione di Dio (come diceva F). Esempio ancora, Marx (di cui abbiamo già parlato).
Per Freud la religione è una nevrosi e come tale va curata.

Chiudendo questo secondo approccio sul declino della religione possiamo dire che qui c'è stato un grande fraintendimento,
nel senso che confondere alcuni elementi della rel con la religione tout court significa non interpretare correttamente ciò
che sta avvenendo nel campo religioso; qui non si ragiona secondo termini di presenza scomparsa, ma a secondo termini di
cambiamento/trasformazione. Non cosa succede alla religione, sottintendendo che scompare; ma come si trasformano le
religioni in un contesto in cui non c'è più pratica costante...qual è il ruolo dell'istituzione religiosa quando i soggetti non
rispettano più delle  indicazioni etico-morali. Questo ci chiediamo come studiosi della religione (non scompare, ma si
trasforma -ricordiamo il passaggio da i valori non negoziabili al chi sono io per giudicare-).

TERZA ACCEZIONE DELLA TH DELLA SECOLARIZZAZIONE


Ultimo aspetto, la privatizzazione della religione.
Su questo concetto (troveremo sul testo dettagli) bisogna distinguere un versante di credenza personale per cui oggi la
domanda discriminante per comprendere come il soggetto sociale si rapporta al sacro, non è più "credi o non credi in Dio";
ma è più come il soggetto sociale crede. È il come è una questione privata, appunto privatizzazione della religione (e
ovviamente privatizzazione delle credenze, il famoso "credo a modo mio").
C'è poi un altro elemento, quello sulla necessità per ogni religione di avere una rilevanza pubblica. Per a quanto una rel sia
praticata da 20 adepti quella rel ha una rilevanza pubblica. Questo è un punto su cui non facciamo questioni difficili, ma
comunque focale.

È un punto, questo della privatizzazione, sul quale oggi si gioca la convivenza tra le religioni, nel senso che un approccio di
laicità alla francese vorrebbe che le rel fossero privatizzate nel primo modo accennato: ciascuno può credere in quello che
vuole, patto che quando esce da casa sia neutro nei confronti della rel. Ma la religione non funziona così, perché per loro
natura, tutte le rel hanno una visibilità. Quindi un punto, questo terza accezione, ha ragione per certi aspetti (sfera privata),
ma non ce l'ha per altri (sfera pubblica). Quindi l'idea di relegare le rel nella sfera privata è un idea semplicemente
sbagliata. Questo bisogno del pubblico, oggi è reso evidente, già solo per la presenza di una pluralità di religioni. E quella è
la posta in gioco: riuscire a far stare insieme approcci religiosi diversi, autorizzando le rese pubbliche di tutte le rel
contemporaneamente nello stesso spazio/territorio/contesto sociale.

CONCLUSIONI SULLA SECOLARIZZAZIONE


Una th che spiega qualcosa, a dir la verità molto (perché ci dice di come la rel non controlla più la vita sociale), ma al
contempo presuntuosa come teoria, perché pretendeva di insegnare tutto su come la religione e le religioni
scompaiano/tendano a scomparire. In definitiva:
- Sì alla differenziazione funzionale
- Sì, ma in parte, alla privatizzazione
- No alla teoria del declino sulla scomparsa globale delle religioni
FINE APPUNTI...]]]]]]]]]

DAL LIBRO...
RELIGIONE: INNOVAZIONE O CONSERVAZIONE?
A lungo si sono fronteggiate due prospettive (e continuano ancora oggi a fronteggiarsi), una che assegna alla religione una
funzione di integrazione sociale -o conservazione sociale- (funzionalismo, marxismo) e l'altra che vede in essa un elemento
di innovazione sociale (teorie del conflitto). Chiariamo in che modo si legano al termine religione i due concetti
apparentemente in sintesi di conservazione e innovazione.
Conservazione rinvia all'idea che la religione svolta funzioni di integrazione sociale, di centro di produzione di valori
socialmente condivisi, di punto di riferimento ideologico universale per definire gli ambiti di condotta di altre sfere
dell'azione umana (morale, politica, economia ecc...), valido per gruppi particolari come per popoli interi. Dunque la
religione, una volta istituzione e quindi divenuta un codice di condotte e di simboli da rispettare, può diventare uno
strumento di conservazione dell'ordine esistente e freno a ogni forma di dialettica di posizioni sociali che premono per il
cambiamento della situazione esistente. Questo modo di ragionare vive ancora oggi in contesti diversi: è la spina dorsale,
ad esempio, dei fondamentalismi religiosi contemporanei (vedi Iran e USA).
Con il temine innovazione si intende genericamente un complesso di trasformazioni più o meno profonde che intervengono
nel tessuto sociale e che possono interessare più sfere della società stessa. In campo religioso, sono in teoria possibili
almeno due modelli di trasformazione:
1. La trasformazione per via carismatico-profetica (la tipologia della profezia etica, secondo Weber). È il caso di figure
profetiche, carismatiche e ascetiche che' più o meno chiaramente. Hanno in mente un progetto di riforma religiosa ed etica
complessiva, un'idea di salvezza dell'uomo fondata sulla critica esplicita alle tradizioni religiose esistenti e dominanti. Un
esempio è Cristo, una potente figura di innovatore religioso, che, partendo dalla tradizione ebraica, la reinterpreta e la
modifica profondamente, entrando in conflitto con l'ordine sacro esistente e proponendo una via di salvezza universale.
2. La trasformazione per via di movimenti collettivi che si creano attorno a figure di maestri spirituali non interessati a una
riforma sociale ma piuttosto a una rivoluzione interiore (la tipologia della potenzia esemplare, secondo Weber).
C'è poi un terzo tipo di profezia weberiana, la profezia politica; spieghiamolo così: ciò che appare immediatamente come
principio di opposizione sociale e politico a un ordine esistente, al di là delle intenzioni e previsioni del portatore del
messaggio, poi si dimostra avere effetti inaspettati in termini di cambiamento sociale. L'idea è che a partire da un profeta
politico si innescano azioni collettive che sono di base, appunto, economico-politica, che solo poi si riscoprono anche
religiose e che infine producono effetti inattesi, tanto sulla società globale, quanto sull'evoluzione interna (vedi ambito
religioso).
Se applicassimo un concetto caro alla scienza economica, il fondatore di una nuova religione è come un intelligente
imprenditore, il quale, cogliendo i bisogni e le attese dei tempi, introduce un prodotto nuovo che cambia le abitudini
quotidiane e mentali, veicolando in questo mondo di valori, modelli di condotta e visioni del mondo. Effetti di questa messa
sul mercato, comunque, non controllabili al 100%. La stessa cosa avviene per gli imprenditori religiosi che, appunto, non
sono un grado di misurare tutti gli effetti innovativi che essa può produrre e il tipo di concorrenza che può suscitare
nell'avvenire.
Appare comunque chiaro che la funzione innovativa della religione si accompagna spesso all'insorgere del carisma, cioè di
figure portatrici di un dono particolare riconosciuto collettivamente.
Si può affermare, a conclusione di questa analisi relativa al l'alternativa innovazione/conservazione, come, in realtà, le due
possibilità costituiscano aspetti reali del conflitto socioreligioso, sì, ma che dipendono dai diversi contesti sociali e storici in
cui si innestano. Non va dimenticato infatti che la religione è spesso la forma attraverso la quale le divisioni ideologiche
presenti in una determinata società prendono corpo.

LA SECOLARIZZAZIONE
Il termine, nella sua primitiva accezione, indica il processo di sottrazione di un territorio o di un'istituzione alla giurisdizione
e al controllo ecclesiastico. Appare storicamente durante le trattative per la pace di Westfalia nel 1648.
Più in generale il termine evoca tutti quei processi di laicizzazione della cultura che, a partire dalla crisi della società feudale
e dalla nascita della società moderna, si affermano nell'area europea.
Il concetto così delineato va tenuto distinto dal secolarismo, che invece rappresenta una vera e propria corrente ideologica
che programmaticamente persegue l'obiettivo di liberare la società da ogni sorta di influenza religiosa e che, a volte, si
associa alle forme di ateismo di Stato.
Per le chiese, dunque, la secolarizzazione rappresenta una minaccia, il prodotto nefasto dell'avvento del mondo moderno.
In sociologia della religione il concetto viene elaborato già a partire dai classici. Comte fa coincidere la scomparsa della
religione (secolarizzazione) con l'avvento della terza fase di sviluppo evolutivo delle società umane, quella segnata dalla
scienza, la tecnologia e l'industria. È Weber, soprattutto, che riflette in modo ampio sul concetto quando parla del
"disincantamento del mondo" che si produce nelle società capitaliste con l'affermarsi da un lato dell'impresa moderna,
dall'altro con la costituzione degli Stati con apparati burocratici. Disincantamento nei confronti del sacro e delle istituzioni o
religiose.
Questo processo si realizza storicamente in Occidente con l'accentuarsi della separazione tra sfera economica e politica
della sfera religiosa. Il venir meno della funzione sociale della religione di chiesa è visto, dunque, come un processo di
enancipazione dell'individuo dalla tutela delle istituzioni ecclesiastiche e come affermazione radicale e totale della sua
autonomia. Il processo è considerato, da Weber come da Simmel, come una tendenza irreversibile.
Dunque la secolarizzazione è una forma super affermare il carattere definitivo della razionalizzazione di tutte le sfere della
vita sociale, razionalizzazione che rende la religione e il riferimento al sacro non più rilevante nell'azione collettiva e
individuale.
Negli anni Trenta e Quaranta del '900, il concetto di secolarizzazione subisce una torsione di sifgnificato; soprattutto in
Germania il termine viene utilizzato dai teologi protestanti per formulare un'ipotesi pessimistica sull'avvenire della società
europea: il disincanto della società porterebbe l'uomo ad agire senza morale, da cui la barbarie della guerra e dei regimi
totalitari moderni.
Il tema della secolarizzazione, dopo questa parentesi della Seconda guerra mondiale, torna con forza al centro
dell'attenzione dei sociologi. Il problema viene affrontato nell'ottica dell'osservazione empirica dei reali processi di
disincanto. Il ragionamento che guida gli studi può essere sintetizzato nel modo seguente:
- la secolarizzazione è un processo reale connesso all'avvento della società industriale e urbanizzata;
- secolarizzazione vuol dire non tanto lo sradicamento dal cuore dell'uomo del bisogno di trascendimento o di esperienza
religiosa, ma il venire meno della funzione pubblica della religione e il fatto che la religione diventi sempre più un fatto
privato (Luckmann);
- secolarizzazione vuol dire quindi crollo del sistema magico-sacrale di spiegazione del mondo, ma non eliminazione della
spinta antropologica a ricercare un'esperienza con il radicalmente altro (Acquaviva).
Tutto ciò impone un mutamento nelle strategie delle chiese e l'adattamento al nuovo dei tradizionali modelli di
socializzazione religiosa, ritenuti non più validi e all'altezza dei tempi.

Per circa un ventennio i sociologi della religione hanno dibattuto circa la bontà del concetto e circa la possibilità di tradurlo
in indicatori capaci di misurare comportamenti e atteggiamenti reali. In realtà, spesso dietro la presunta fondatezza del
paradigma, si celava un atteggiamento pregiudizialmente critico nei confronti della religione, ovvero è come se ci fosse un
assunto implicito, quello del declino della religione, declino irreversibile nelle società moderne. Tuttavia apparivano
evidenti i sintomi di una nuova vitalità delle religioni e del cristianesimo, in particolare, in America Latina, Asia e Africa.
Acquaviva a tal proposito parlava di "eclisse del sacro", come ad indicare che tale eclisse fosse un fenomeno passeggero e
che dunque che si sarebbe assistito alla rinascita del sacro stesso.

Più recentemente, Beckford ha fatto notare che il concetto di secolarizzazione, se non viene usato in modo ideologico, può
essere un utile strumento per comprendere e classificare un ampio numero di fenomeni sociali (non solo strettamente
religiosi) che possono caratterizzare una società rispetto ad un'altra. Anche in Beckford, comunque, si celava il presupposto
che la religione fosse di volta in volta, un qualcosa di regressivo che non avrebbe retto all'avvento di una società dove la
scienza occupava un ruolo centrale nella spiegazione e comprensione del mondo che ci circonda.

Parliamo adesso delle linee portanti che sorreggono le DIVERSE IMPOSTAZIONI FEORICHE SULLA SECOLARIZZAZIONE. I
principali filoni interpretativi sono:
1. FILONE FUNZIONALISTA. In questo ambito si collocano tutti quei sociologi che ritengono che la secolarizzazione sia un
processo di separazione e differenziazione funzionale fra religione istituzionalizzata e credenza, ovvero tra il sistema dei
significati ultimi che ogni individuo tende a costruirsi e le istituzioni religiose. La separazione favorirebbe la crescita
dell'autonomia degli individui e dei sistemi di credenza allo stesso tempo.
2. FILOME FENOMENOLOGICO. L'affermarsi, nelle società moderne, di forme di pluralismo culturale mette in crisi tutte
quelle istituzioni che nel passato avevano prodotto universi simbolici che pretendevano di dare conto di tutta la realtà
sociale. Gi individui nella società pluralistica tendono a farsi una propria religione: la religione quindi si privatizza. Gli esiti
possibili di questo processo sono due: da una parte la religione passa da visibile a invisibile e dall'altra parte, da
un'uniformità nei sistemi di credenza si passa a una situazione di pluralismo di universi simbolici più o meno centrati
sull'asse religioso. Le chiese e le sette, di fronte al differenziarsi delle offerte religiose, tendono ad adattarvisi.
3. FILONE NEOWEBERIANO. In questo ambito la secolarizzazione è considerata come un processo oggettivo di perdita di
plausibilità delle chiese e del significato della sfera del sacro per gli individui. Questi ultimi sentono meno il richiamo alla
religione e così, in una parte di essi, si fa strada l'idea che non sia necessario compiere nessuna scelta di tipo religioso. Si
afferma così un credo secolare, ovvero una visione del mondo relativistica che mette tra parentesi il fatto religioso.
4. FILONE SOCIOBIOLOGICO. Secondo questo approccio la religione appartiene alla sfera dei bisogni geneticamente
programmati per dominare la paura della morte e la volontà di amare e di essere amati, per cui l'esperienza del sacro è
un'esigenza che si può sempre rintracciare in ogni tipo di società. Nel momento però in cui la paura della morte viene
rimossa dalla scena collettiva e l'eros subisce una mercificazione potente, l'esperienza del sacro diviene difficile e perde di
visibilità sociale: la secolarizzazione è, in questo senso, occultamento del sacro stesso, la sua improponibilità sulla scena
sociale.
5. FILONE CRITICO. Con questa formula ci riferiamo a una pluralità di posizioni convergenti nel respingere il concetto stesso
disecolarizzazione e concordi nel rintracciare in filigrana i riferimenti ideologici che si celano nelle diverse teorie sulla
secolarizzazione.
Sono tornati ad occuparsi in anni recenti del tema della secolarizzazione Peter Berger e José Casanova.

Il primo sviluppa l'idea che la progressiva autonomia degli individui nelle loro scelte religiose provochi tre possibili reazioni
da parte delle religioni istituzionali:
- SCELTA DEDUTTIVA. La riaffermazione dell'autorità della tradizione cui un'istituzione religiosa si rifà, senza
preoccupazione se ciò implichi un allontanamento ulteriore di fedeli o simpatizzanti;
- SCELTA RIDUTTIVA. Il tentativo di adattare al mondo moderno il patrimonio della tradizione, sacrificandosi in parte;
- SCELTA INDUTTIVA. La rivitalizzazione di esperienze religiose non più valorizzate ma presenti nella tradizione.
Attraverso questi tre processi le religioni o storiche sembrano in grado di reggere al confronto con la modernità e di saper
ben sopravvivere.

Secondo Casanova, secolarizzazione può significare una sorta di deprivatizzazione della religione. Con questa formula il
sociologo allude al fatto che le grandi tradizioni religiose cercano di contrastare il processo di marginalizzazione di cui sono
state fatte oggetto dall'avvento della scienza e dello Stato moderno; esse cioè si rifiutano di limitare il loro raggio di azione
alla semplice cura delle anime, ma tentano di mostrare ancora la connessione stretta della sfera appunto religiosa con
quella etica, economica e politica. Gli effetti di questo investimento di energie in campo pubblico sono due:
1. Una ripoliticizzazione della sfera religiosa pubblica e privata (vedi la religione intesa come elemento di integrazione
sociale totale ed assoluto).
2. Un richiamo pressante all'esistenza di norme etiche trascendenti che devono essere poste alla base della vita economica
e politica

La religione, secondo Acquaviva, è così entrata a far parte dell'agenda politica e della sfera pubblica dove attori religiosi poi
diversi producono un discorso pubblico sulla religione, come fattore di coesione sociale e matrice dell'identità nazionale
nonché della rinnovata retorica religiosa.

RELIGIONE E STRATIFICAZIONE SOCIALE


Weber si sofferma a lungo sul tema, la sua ipotesi potremmo rileggerla sinteticamente in termini moderni così:
- l'appartenenza di un individuo a una casta, un ceto, una classe, uno strato più o meno integrato al suo interno, è
contrassegnata da un insieme di bisogni acculturati di vario tipo;
- fra questi bisogni, il bisogno di distinzione, di elaborare simboli che marchino la differenza tra un gruppo e un altro;
- l'elaborazione di contenuti religiosi può servire, in tal senso, anche a contrassegnare i tratti distintivi di un gruppo sociale
rispetto a un altro.
Il contributo di Weber ha fornito allo studio delle relazioni tra religioni e classi sociali l'idea che il sentimento religioso nasca
dalla coscienza degli esseri umani quando ci si interroga sull'origine o sul perché della sofferenza e del male nel mondo.
Quando le religioni si sforzano di fornire una risposta adeguata a tali interrogativi siamo di fronte a ciò che Weber chiama
teodicea.
Le religioni hanno cercato di suggerire diverse vie di uscita dal male, varie forme di sofferenza attraverso le quali si
raggiunge la salvezza. La teodicea perciò ha a che fare con la dimensione etica della salvezza: qual è la via giusta per
salvarsi, come bisogna comportarsi nella vita per raggiungere tale scopo.
Esistono, secondo Weber, due fondamentali tipi di teodicea: la prima afferma che la ricchezza e i privilegi sociali sono segni
del male, solo nell'aldilà regna la vera giustizia e il vero benessere; la seconda predica la prosperità e il successo sociale ed
economico come segni della benevolenza divina. Si comprende come sia facile per Weber collegare la prima alle classi
sociali più umili e subordinate e la seconda alle classi più elevate (che in tal modo si sentono legittimate nella loro posizione
di superiorità nella scala sociale).

In particolare, interessante relazione a lungo studiata (e continua ancora ad esserlo), quella fra religione e classi subalterne.
- Secondo l'approccio della deprivazione relativa, gli individui appartenenti alle classi economicamente e culturalmente
meno centrali nella scala sociale sono più facilmente esposti a frustrazioni, crisi di identità, anomia... Le sette religiose,
soprattutto quelle che propongono la fine del mondo e l'avvento di un regno millenario di pace e giustizia sociale, si
mostrano più in grado delle grandi chiese di offrire una comunità che ricostruisce il senso di identità e restituisce un
orientamento al mondo della vita di individui appartenenti a classi sociali svantaggiate. Secondo alcuni studiosi, la spinta
che induce le persone ad affiliarsi a questi nuovi movimenti religiosi è il combinarsi di dinamiche sociali e sofferenze
individuali.
- Vicina alla teoria della deprivazione relativa è l'approccio della dissonanza cognitiva (Festinger). Secondo Festinger, un
modo per venir fuori dalla contraddizione nella quale una persona si trova rispetto al suo mondo di rappresentazioni è
quello di appoggiarsi a un gruppo sociale che si mostri capace di mantenere sotto controllo le dissonanze e di riassorbirle in
un nuovo sistema cognitivo apparentemente più forte e coerente.
- Altro tipo di approccio alla religione, la religione come linguaggio adeguato a classi sociali inferiori che non dispongono di
altri mezzi per esprimere la loro protesta sociale e politica, è quello della tradizione di ispirazione marxista.

L'ottica con cui si è letto il fenomeno della cosiddetta religione popolare ha permesso di comprendere che:
- la contrapposizione popolo-classi elevate non sempre funziona, dal momento che anche queste ultime a volte
partecipano circolarmente degli stessi simboli e degli stessi linguaggi usati dalle classi umili.
- la spaccatura fra religione popolare, intesa come religione spontanea, da un lato, e religione ufficiale (di chiesa) dall'altro,
è in realtà artificiosa, dal momento che le chiese spesso assimilano o assumono entro certi limiti e di tollerabilità (limiti
mobili e indefiniti) ciò che il religioso-popolare propone o impone, in un processo di scambio continuo e di dialettica
infinita.

RELIGIONE E POLITICA
Quando parliamo del rapporto tra religione e politica andiamo a parlare del tema della legittimazione politica e della
funzione che le religioni hanno in vista del raggiungimento di tale legittimazione.
Con legittimazione si intende un complesso di atteggiamenti di fiducia che i cittadini hanno nei confronti del sistema di
potere che, al momento, li governa. Legittimazione dunque è quel processo sociale che consente all'ordine politico
esistente di acquisire consenso, questo a partire dal basso.
Weber ha distinto tre tipi di legittimazione:
- RAZIONALE. Si fonda sulla credenza collettiva che esistano delle regole razionali certe alle quali i detentori del diritto si
conformano.
- TRADIZIONALE. Si fonda sulla credenza che esistano delle tradizioni intangibili che fondano i meccanismi di governo e di
potere.
- CARISMATICA. Si fonda sul rapporto tra un leader, che appare avere qualità eccezionali, e la massa che da lui attende una
nuova rinascita sociale.
La religione ha una sua rilevante funzione nei processi di legittimazione politica. Ad esempio, nella storia recente
dell'Europa, non sono mancanti esempi di Stati che fondavano la propria legittimità sul rapporto quasi religioso tra capo
carismatico e masse. Addirittura Raymond Aron ha parlato del nazismo come una vera e propria religione secolare. Ma
anche nella società contemporanea non è difficile rintracciare una casistica empiricamente rilevante circa la funzione
centrale che la religione ricopre nei processi di riconoscimento o disconoscimento di un potere politico determinato.
Chi è al potere deve, anche quando pensa di voler modernizzare e abbandonare in parte o totalmente la tradizione
religiosa, quanto meno far finta di rispettarla. Non può sbarazzarsene senza sollevare forti tensioni e opposizioni. Religione,
quindi, come sistema integrale di legittimazione della vita sociale e politica.

RELIGIONE E MASS MEDIA


I mass media sono quell'insieme di strumenti tecnici che permettono di produrre messaggi su vasta scala,
indipendentemente dai contenuti e dalle forme specifici che essi possono assumere. Nella società contemporanea hanno
assunto un grande, grandissimo, ruolo.
I media influenzano e lo fanno nella misura in cui chi li usa vuole lasciarsi influenzare da essi, dal momento che
nell'interscambio che si verifica nella comunicazione tra emittente e ricevente c'è quindi un codice linguistico che
circolarmente chiude i due soggetti in una sorta di tacito patto di mutua intesa.
Ciò precisato, chiediamoci come si pone il rapporto tra religione e mezzi di comunicazione fi massa nelle scienze sociali. Gli
aspetti che solitamente sono stati indagati e continuano ad essere analizzati sono raggruppati in due grandi famiglie:
- come i gruppi religiosi usano i mass media;
- come i mass media trattano i fenomeni religiosi.
In proporzione all'aumentato spazio occupato dai media nelle nostre vite, le religioni organizzate non restano indifferenti e
si pongono il problema di entrare nel mondo della comunicazione di massa direttamente o indirettamente per avvalersi di
uno strumento moderno per raggiungere la gente nelle loro case. ...e viceversa, anche i mass media si pongono il problema
di come parlare di religione, secondo la logica per cui si parla solo di ciò che fa veramente notizia (dunque che fa
spettacolo, che costituisce un evento mass mediologico, che ho attira l'attenzione, la curiosità, o esercita fascino sugli
spettatori o sui lettori mediali).
Nella società di massa moderna troviamo la spinta a standardizzare i comportamenti, ma anche il bisogno di sottrarsi a
questo processo inventando spazi di autonomia o rivendicando territori propri che non possono essere colonizzati. La
religione partecipa a tutte tutte le ambivalenze proprie della società di massa stessa. Ecco quindi che può intrattenere
rapporti con il sistema dei mezzi di comunicazione, o finendo per adattarsi alla loro logica e diventando merce mass
mediologica fra le altre merci, oppure restando al di sotto della visibilità sociale che i mass media oggi garantiscono...e
consolidarsi nelle pieghe sociali come luogo dove si continua a sperimentare la possibilità di comunicare in termini di valori
e di solidarietà profonda tra individui in carne ed ossa (spazio di autonomia).
Dal canto loro i mass media tendono sempre più a valorizzare forme di religiosità che facciano notizia, cioè che si
presentino con i caratteri di media-events, cioè di avvenimenti sociali, politici o religiosi che contengono potenziali di
spettacolarità ed eccezionalità. È come se i media si appropriassero di un avvenimento reale e lo trasformassero in
qualcosa di diverso, manipolandone significati e forme.
Occorre comunque riflettere anche sul crescente interesse che alcune organizzazioni religiose mostrano nei confronti della
carta stampata e della pubblicità. Qualcuno a tal proposito ha parlato di religioni marketing-oriented.
Alla stregua di tutto questo che abbiamo detto, quali conseguenze hanno i media sulle religioni? Due possono essere in via
ipotetica le conseguenze che i media possono determinare nella vita organizzativa interna dei gruppi religiosi:
- la formazione di un settore organizzativo con competenze tecnicamente estranee al campo religioso chiamato a gestire
direttamente o indirettamente i mezzi di comunicazione di massa;
- la torsione lenta ma inevitabile del messaggio religioso alle regole del gioco linguistico dei mass media, alla necessità di
trasformare un messaggio complesso in uno slogan magari. ...e in tutto questo, evidentemente la religione si banalizza.

RELIGIONE ED ECONOMIA
Le relazioni tra religione ed economia possono essere analizzate a partire da tre grandi approcci generali, l'approccio
weberiano, quello marxiano e, infine, quello neofunzionalista.
- APPROCCIO WEBERIANO. Unareligione dominante si costituisce non solo come momento di ritualità collettiva, ma anche
come fonte di ispirazione di valori e stili di vita, orientando comportamenti anche relativi alla vita economica, oltre che a
quella etica. L'economia è, in tal senso, un campo particolarmente elettivo e adatto a mettere alla prova i talenti individuali
e misurare in termini di successo la fedeltà a principi etici e religiosi determinati (vedi il calvinismo).
- APPROCCIO MARXIANO. L'approccio marxiano, in una delle sue varianti contemporanee, vede la religione come un
involucro ideologico che nasconde agli occhi della gente la vera situazione dei rapporti economici e sociali dominanti in una
certa realtà. È dunque fattore di stabilità sociale. È, ancora, freno ai processi di emancipazione economica. È, infine, l'oppio
dei popoli.
- APPROCCIO NEOFUNZIONALISTA. Questo modo di vedere il rapporto tra religione ed economia consiste nel negare che,
soprattutto nelle società moderne complesse, la religione abbia più a che fare con la sfera economica. L'economia, dunque,
tende a funzionare come un sistema indipendente da fonti di valori morali e religiosi (se non in modo remoto).

RELIGIONE ED ETNIA
La relazione tra religione ed etnia è molto stretta. In effetti, ogni religione si costituisce storicamente come identità etnica
di un gruppo umano. Per identità etnica si intende un nucleo di simboli fondamentali in base al quale i componenti di un
gruppo umano sentono di condividere comuni valori, una storia comune e un comune destino. L'identità etnica si
costituisce nel tempo e ha bisogno di esprimersi attraverso simboli visibili che occupano spazi pubblici.
Le funzioni sociali che il principio di identità etnica svolge sono due:
- fornisce una rappresentazione dell'identità collettiva di un gruppo umano marcandone simbolicamente le differenze con
"l'altro";
- delimita simbolicamente un territorio che costituisce lo spazio vitale di un gruppo umano determinato.
Cosa c'entra allora la religione con tutto questo? La religione ha svolto e svolge il compito di sacralizzare il principio etnico,
di dare un fondamento trascendente all'affermazione dell'identità culturale di un popolo. Essa, sacralizzando è mitizzando
la memoria collettiva, tende a dare una spiegazione mitica alle origini di un popolo. Organizzando poi attraverso i riti
collettivi la celebrazione dei miti di fondazione, contribuisce a rinsaldare i vincoli di solidarietà del gruppo umano di
riferimento.
È altresì vero che le religioni, nel momento in cui aderiscono al principio etnico, tendono a superarlo, almeno quando esse
pretendono di proporsi come vie di salvezza universali, dunque come visioni etiche che trascendono la particolarità etnica
di questo o di quel popolo.
Ciò non toglie che il rapporto tra ethnos ed ethos (tra principio di identificazione di un tipo etnico e principio di universalità
di tipo etico) porti le religioni al conflitto. Si tratta di un dilemma che tocca, in specie, tutte le grandi religioni mondiali.

QUESTIONE FEMMINILE E RELIGIONI


Tradizionalmente la compagine femminile è più presente e praticante rispetto a quella maschile. Lo studio comparato delle
religioni ha mostrato come questa presunta religiosità naturale più marcata nelle donne sia il portato culturale di società
che secolarmente si sono venute organizzando in modo tale da inculcare nella componente femminile l'idea di una
subordinazione o di un destino sociale diverso da quello dell'uomo. ...e in questo processo di interiorizzazione di habitus di
sottomissione al primato maschile, in ruolo decisivo hanno giocato le religioni in quanto rendono esse stesse le donne più
visibili di contro all'invisibilità sociale che altrimenti subirebbero.
LA RELIGIONE FUORI DALLE RELIGIONI
Ad oggi assistiamo al manifestarsi un po' dappertutto di una religiosità nuova, che si forma spesso al di fuori del controllo
delle religioni storiche, anche se da esse prende le mosse e da esse si alimenta. Il tema della nuova religiosità si collega al
risorgente interesse per il magico-sacrale o per forme di esoterismo che, se da una parte pretendono di aggiornare il loro
linguaggio a forme moderne, dall'altra parte nient'altro sono che neo-sincretismi che derivano comunque da vecchie
appartenenze religiose.
Alla radice del fenomeno ci sono due elementi:
- una lenta crisi delle istituzioni religiose codificate;
- una maggiore spinta da parte degli individui a mettersi in proprio nella ricerca religiosa o spirituale o di tecniche di
salvezza o, infine, di rimedi terapeutici alternativi alla medicina ufficiale.
In forza di questa crisi si aprono spazi dove nuovi imprenditori irrompono e cercano di offrire ricette a volte nuove a volte
mascherate di nuovo, ma in verità molto antiche. Fra i tanti isolotti che rendono vario oggi, nella società contemporanea,
l'arcipelago religioso, non è facile navigare.
Ad ogni modo, ci preme sottolineare che l'esperienza religiosa non va in antitesi con la modernità. La privatizzazione del
religioso da questo punto di vista ne è il tangibile esempio.

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