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CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
Oggi, la sociologia della religione è considerata una disciplina autonoma; questo, per opera di un processo di
specializzazione che ha interessato anche altri ambiti della ricerca sociologica. Il tema della religione è un sempreverde
della sociologia, fin dalle sue origini nell'Ottocento.
La sociologia nasce in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, interrogandosi se e come sia possibile un ordine sociale
senza religione. La domanda che ci poniamo in questo primo momento introduttivo è: può essere pensata una società
senza religione? Apriamo in questo senso a una questione che ha attanagliato un po' tutte le menti pensanti, in modo
particolare già quelle dei padri della sociologia. Comte, in tal senso, parlava di sociologia intendendola "fisica sociale",
mentre de Tracy si riferiva alla sociologia definendola ideologia, quindi una sorta di fisica sociale delle idee (era intesa come
una scienza chiamata a investigare l'origine sociale delle idee e il loro funzionamento nel reale). Ad ogni modo, in questo
primo momento (siamo nell'Ottocento e ricordiamo in questo periodo appunto il trionfo della scienza) la religione appariva
in Europa e fuori come un retaggio del passato o ancora come il riflesso della mentalità primitiva.
Qui (nelle società primitive) infatti la religione svolgeva un ruolo impiegante, decisivo. A tal proposito, in Inghilterra uno dei
padri fondatori dell'antropologia, Edward Tylor, scrisse un libro ("Primitive Culture", 1871) in cui analizzava due tipi di
società umane rimaste ferme ad uno stadio inferiore: le tribù dei selvaggi e quelle dei barbari. La differenza tra le società
civilizzate e queste due, diceva Tylor, stava nella diversa capacità da parte dell'uomo di dominare la natura (bassa tra i
selvaggi, media fra i barbari, elevata tra i civilizzati. Si nota, una vera e propria "legge dell'evoluzione" che passava da livelli
più semplici a più complessi.
Ad ogni modo, la sociologia della religione vede la nascita contemporaneamente alla nascita della sociologia generale, salvo
poi attestarsi come campo specifico. Tale operazione, prefigurata da Durkheim e Weber, viene avviata negli Stati Uniti negli
anni cinquanta del secolo scorso; questo grazie all'impulso di Talcott Parsons e di altri sociologi americani. Attenzione però,
che in questo processo di specializzazione, il rischio di confinare lo studio religioso a un ambito ristretto e minoritario, in
particolare al livello accademico.
Preferiamo parlare di sociologia delle religioni piuttosto che di sociologia della religione. Questo, per due ragioni:
1. Il plurale allude alla necessità di dare una profondità storica allo studio sociologico della religione. Cioè, l'ambiente
storico contiene più significati di religione, che dunque prende ad essere un fenomeno complesso e multiforme da
analizzare (trattasi di un insieme di sistemi) e da analizzare, quindi, nella sua pluralità.
2. Solo dal confronto tra questi vari sistemi di credenza è possibile delineare una tipologia utile all'interpretazione
sociologica della realtà.
Diversamente, la sociologia della religione, al singolare, può evocare piuttosto la pretesa di una disciplina che intenda
fissare una volta per tutte la definizione sostantiva ed astratta di religione D cui muovere, come se si fosse in possesso di un
metro universale, per riconoscere nella realtà presente è passata ciò che è religione da ciò che non lo è.
LO STADIO TEOLOGICO O FITTIZIO. È il primo stadio. La sfida è quella di fare un parallelo tra quanto dice Comte e quanto
succede oggi. Comte dice che in questo primo stadio la realtà è spiegata in termini teologici, cioè ricorrendo a forme di
pensiero che trascendono il mondo dei fenomeni e, dal di fuori, regolano la realtà. In questa fase, quindi, la realtà è
regolata da forze esterne. Ad esempio, "oggi, primo giorno di primavera, la congiunzione di non so cosa con la congiunzione
di un altro non so cosa, ha fatto sì che venissimo a scuola". Ecco, il termine "congiunzione di non so cosa" sta per una
spiegazione trascendente. Il senso di queste è che, dal di fuori, una forza non nota (spiegazione trascendente) regola la
realtà.
Adesso viene il punto interessante di Comte. Questa prima fase prevede tre momenti di sviluppo:
- LA FASE FETICISTA. Fase in cui si crede a degli oggetti e gli si attribuiscono poteri. Riprendendo il rapporto introdotto
tempo fa tra "relegere" e "religare" in termini di derivazione di significato della parola "religione", notiamo come nella fase
feticista siamo in una assunzione di tipo "relegere". La derivazione "relegere" prevedeva una religione fatta solo di ritualità;
ritualità che implicavano, sì, credenze, ma non come fondamentali per il credere. Questa è l'idea di fondo del feticismo,
della fase feticista. Ci limitiamo a dire, quindi, che questa è una fase dove il feticcio è al centro della religione, non del
credere.
- LA FASE POLITEISTA. C'è poi un'altra fase, che ovviamente per Comte corrisponde a un'evoluzione, che è la fase del
politeismo: politeismo vuol dire "molti dei".
- LA FASE MONOTEISTA. C'è un'ultima fase, quella monoteista, che prevede un unico dio. È la fase di più alta espressione
della finzione, per Comte.
[RIFLESSIONE SULLO STATO ATTUALE DELLA RELIGIONE. Oggi siamo in fase regressiva? Le tre grandi religioni monoteistiche
sono l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam. Con una versione dell'ebraismo molto rigida che non prevede nemmeno la
credenza, ma semplicemente l'esecuzione di riti. Proprio per questa sua estrema rigidità, lasciamo stare l'ebraismo e,
invece, parliamo di islam e di cattolicesimo.
Per i musulmani ci sono Allah e Maometto, il suo profeta: diade. Per i cristiani, invece, Dio è uno e trino: triade. Capiamo
bene che queste tensioni tra uno e trino e uno e diade, problematizzano le assunzioni di "monoteismo" come cifra per
interpretare queste religioni. L'idea, infatti, è che oggi sia difficilissimo pensare queste religioni come monoteistiche.
Teniamo il caso del cristianesimo. Ci sono voluti secoli, in questo senso, per definire cosa si intenda per "unità e trinità" allo
stesso tempo: è difficile credere nell'uno, pur essendo che in quell'uno siano racchiuse tre entità diverse. Trinità sta per
trinità delle persone. Unità, invece, sta per unità di natura. Hanno dibattuto per 300 anni su questo punto. Ecco, alla luce di
tutto questo, l'ipotesi è che stiamo regredendo molto velocemente, e non alla fase del politeismo, quanto invece a quella
del feticismo.
Quindi, oggi, questa tripartizione di Comte ci intriga, nel senso che ci costringe a pensare su come sta cambiando la
religione. Se per religione intendiamo pratica costante domenicale, la religione sta scomparendo; se invece intendiamo il
rapportarsi al sacro/al mistero/al trascendente/al significato attraverso delle pratiche, la religione continua a esistere come
è sempre esistita. Dipende molto, cioè, da come definiamo la religione.
Quindi, se ci attacchiamo al "religare", la religione paradossalmente ha un ruolo nella sfera pubblica, ma a sulla sfera
personale pecca. Se invece interpretiamo la religione come universo di senso, al sacro, che va al di là di specifiche
determinazioni, questa religione sopravvive e, di più, prospera benissimo. Fine riflessione.]
LO STADIO METAFISICO O ASTRATTO. È il secondo stadio. Secondo questo stadio, i principi ordinatori del reale non
vengono più da fuori, ma vengono dalla mente, vengono cioè dalle costruzioni che noi, pensando, elaboriamo. Noi,
pensando, elaboriamo delle categorie (dei costrutti mentali) con le quali interpretiamo il reale. Non sono più categorie
rivelate dall'alto, come per il primo stadio; ma sono sono categorie inventate dalla nostra mente. Quindi, in questo
passaggio noi portiamo i principi ordinatori dall'aldilà all'aldiquà e, di più, dentro la testa.
LO STADIO SCIENTIFICO O POSITIVO. È il terzo stadio. Mentre nello stadio intermedio (quello metafisico o astratto) c'era
posto per un pensare che non escludesse l'impostazione teologica ("filosofia ancilla teologiae"), per ciò c'era uno spazio che
giustificava per alcuni e per altri non rendeva implausibile il pensiero teologico; nella terza fase non c'è spazio per il
pensiero di carattere teologico. Cioè, le narrazioni di carattere religioso vengono messe da parte nello stadio scientifico o
positivo. Attenzione, non vengono cancellate, ma vengono messe solo da parte. ...e questo perché c'è chi ritiene che siano
frutto di ignoranza, o di superstizione, o ancora di malafede (vedi Marx e la religione come "oppio dei popoli"). Noi
postmoderni ci muoviamo all'interno di questa terza fase.
RIFLESSIONE SUL TERZO STADIO. Questo terzo stadio ci da' lo spunto per ricordare qual è funzione della
religione...Durkheim, usi questo, ci costruisce la sua fortuna. La religione, secondo lui, ci insegna a obbedire. Tuttavia, nel
frame scientifico-positivo, la religione perde questa valenza; questo, perché noi, oggi, legittimiamo l'azione in base a
un'autorità politica eletta di solito attraverso il metodo democratico e motiviamo l'agire in base a scoperte scientifiche. La
politica non fa altro che riportare la legittimazione del potere dall'Altro e dall'alto, ad altezza d'uomo. Questo vuol dire che
oggi prendiamo decisioni guardandoci in faccia e alzando la mano: eleggiamo, votiamo. Non c'è più, quindi, un potere
esterno e coercitivo. Oggi, su tutto, votiamo.
RIFLESSIONE SU LINGUAGGIO E RELIGIONE. Il problema è capire, oggi, quali sono gli elementi in grado di preservare
un'identità/continuità. A tal proposito, se la lingua tiene, la religione apparentemente non tiene più. Comte diceva, con
un'immagine tipica di un positivista, che "la religione svolge del corpo sociale la funzione che la pelle svolge del corpo
biologico. La pelle, cioè, tiene insieme i vari organi". Così come la pelle tiene insieme i vari organi del corpo biologico, così
ancora la lingua tiene insieme gli organi del corpo sociale. Certo, però gioca questo "tenere insieme" su altri registri rispetto
a quelli usati dalla lingua. Ad esempio, se la lingua si può apprendere, la religione tendenzialmente non si può apprendere
(o meglio, è molto più difficile che venga appresa).
LA RELIGIONE UNIVERSALE
Comte, negli ultimi anni della sua vita, finisce con l'appellarsi a una nuova idea di religione, approdando al concetto di
"religione dell'amore universale". L'idea di fondo di questa nuova religione consisteva nel fatto che si sanciva che ad avere il
potere nella nuova società sarebbero state le guide spirituali, ovvero dei particolari sacerdoti. Tali sacerdoti, Comte li
individua nei sociologi e questo perché, secondo la sua impostazione, la sociologia si collocava al culmine delle scienze, in
quanto, essendo arrivata per ultima, la sociologia doveva avere il livello più alto di conoscenza; da cui il fatto che i sociologi
fossero le persone più competenti in termini di guida della società.
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DAL LIBRO...
Siamo nella Francia post rivoluzione e post Napoleone. Comte, formatosi nell'Ècole Poluytechnique presso Saint-Simon, è
l'iniziatore del pensiero sociologico (definisce la sociologia come "fisica sociale"), dunque suggerisce una nuova scienza,
questa capace di trovare in tutte le forme di organizzazione sociale una stessa legge di sviluppo e di funzionamento.
DURKHEIM
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
DURKHEIM E LA QUESTIONE MORALE
Emile Durkheim parte nella sua riflessione ponendosi LA QUESTIONE MORALE. Attiviamo la nostra attenzione su questo
concetto... La religione ha garantito l'ordine per secoli se non millenni; nel momento in cui questa perde di plausibilità,
cos'è in grado di garantire l'ordine e questo pur preservando le dinamiche tipiche del credere (cioè io devo credere che ci
sia qualcuno che sia in grado di garantire l'ordine)? Quindi, scompare la religione, ma non possono scomparire quelle
funzioni che la religione garantiva. Ecco, questa è la cosiddetta "questione morale" che pone Durkheim. È una questione
importante, perché quando ragioneremo sul ruolo della religione nel mondo contemporaneo, dovremmo chiederci se oggi
c'è ancora un'esigenza morale.
I FATTI SOCIALI
Li saltiamo, dovremmo già saperli.
IL SUICIDIO
Durkheim spiega il ruolo regolatore della religione nel libro intitolato "il suicidio" pubblicato nel 1912. Ne "il suicidio",
Durkheim mostra come la religione continui a essere un fatto/elemento regolatore della società, e questo fino ad arrivare a
controllare i significati più reconditi.
Qual è il ragionamento di Durk nel suicidio? Intanto lui pone in relazione il fatto del suicidio non con una scelta individuale,
quindi deve smarcare la psicologia dalla sociologia, cioè a dire, dice che il suicidio non è spiegabile con elementi solamente
di carattere psicologico. Di più, ne "Il suicidio", l'elemento cuore/cardine di Durkheim è che c'è una proporzionalità inversa
tra integrazione e suicidio (più uno è integrato, meno si espone al suicidio).
Cosa c'entra la religione, alla luce di tutto questo, con tutto questo ragionamento? La religione, appunto, spiega questo
fatto perché è un elemento di coesione sociale incredibile, ovviamente al differenziarsi delle diverse religioni. Per cui,
rapportando il cattolicesimo con il protestantesimo, nota che il tasso di suicidio è più alto tra i protestanti che tra i cattolici;
questo, perché nella religione cattolica c'è un istituzione ferrea che "ti dice esattamente quello devi fare" (per cui non c'è
spazio per dire "cosa faccio io della mia vita?") da quando ti svegli alla mattina a quando ti addormenti la sera". La religione
prescrive tutto e non lascia scoperto nulla. Per il protestantesimo, invece, è diverso. Il protestante si confronta con la
scrittura e con Dio (quasi) senza mediazioni, cosa che lo espone all'individualismo, per cui incertezze radicali (si chiede
molto spesso "qual è il senso della mia vita?").
Ricapitolando, il cattolicesimo funziona perfettamente perché ha le risposte a tutto, mentre il protestantesimo lascia spazio
alla libertà del soggetto -e gestire la libertà non è sempre facilissimo-. Quindi, vediamo come già qui l'idea di carattere
teologico abbia un peso enorme per comprendere la funzione sociale di una religione.
Alla luce di questo ragionamento, questa volta con maggiore consapevolezza -anche religiosa-, riusciamo a capire cosa
voglia dire che la frequenza al suicidio è inversamente proporzionale all'integrazione in un sistema sociale dato.
L'integrazione in un sistema sociale dato è non garantita, ma facilitata, dalla religione presente in quel determinato
contesto. Questo è il ragionamento di Durkheim.
RIFLESSIONE SUL SUICIDIO. Adesso, la domanda che ci facciamo è: "quelli che non credono in nulla sono davvero più
esposti al suicidio di chi crede in qualcosa? O anche su questo punto si è registrato un cambiamento radicale per cui
l'essere persone religiose oggi implica un tasso di riflessività così alto che uno si espone realmente al suicidio, mentre
essere persone non religiose potrebbe portare a tassi di alcolemia più alti nel sangue, ma esporrebbe di meno al suicidio?
Chi oggi è religioso è più riflessivo di altri che non sono religiosi? E questo espone di più i religiosi al tasso di suicidio, per
rapporto a quelli che non sono religiosi? Abbiamo, in pratica, capovolto la questione di Durkheim. Questione affascinante
da studiare. È plausibile che funzioni così o no? In effetti, il tempo in cui hanno scritto Comte e Durkheim era certamente
diverso da oggi; quindi, può darsi che la realtà, oggi, ci porti a riconsiderare quelle teorie...e magari scoprire che spiegano
ancora qualcosa, ma lo spiegano al contrario. Può darsi. Nel frattempo poniamo la questione.
RICAPITOLIAMO...
Abbiamo visto che per Durkheim è importante la quesitone morale. Ci siamo poi soffermati sulla questione della solidarietà
meccanica e della società organica, laddove la religione gioca un ruolo fondamentale all'interno della società meccanica
perché è l'elemento coagulante della coscienza collettiva che si sovrappone completamente alla coscienza individuale. La
questione irrisolta che, poi, abbiamo posto è: qual è il ruolo della religione in una società caratterizzata dalla solidarietà
organica? In una società, come sappiamo, caratterizzata da un alto tasso di differenziazione nel lavoro e dall'alto tasso di
interdipendenza, la religione ha finito il suo ruolo (sia a livello individuale che collettivo)?
Ancora, ci siamo soffermati sul suicidio, liddove abbiamo evidenziato il ruolo della religione nell'essere elemento
facilitatore della coesione sociale (capiamo bene, in quel particolare contesto cattolico, protestante e ebraico). Abbiamo
poi dato un punto di partenza, oggi, per le ricerche sul suicidio: l'idea è che secondo il suo approccio, la religione è
elemento di coesione sociale e quindi, quando si parla di suicidio, se è vero che questo è direttamente proporzionale al
livello di coesione (e inversamente proporzionale alla mancanza di questa coesione), le religioni giocano un ruolo
importante e fondamentale per Durkheim. "Il suicidio" (1897).
PROSEGUIAMO...
LE FORME ELEMENTARI DELLA VITA RELIGIOSA (1912)
Ci concentriamo, adesso, su un'altra opera di Durkheim: "Le forme elementari della vita religiosa" (1912). 1900, quindi una
riflessione, questa, fatta nel cuore della modernità.
L'IDEA DI PARTENZA. Durkheim fa un lavoro di biblioteca, cioè si legge i rapporti dei primi esploratori dell''800. L''800 è
un'epoca incredibile perché la gente va in giro a esplorare il mondo: ricordiamo gli esploratori della famosa corsa oro
all'ovest negli Stati Uniti, i missionari in Africa, lo studio degli aborigeni dell'Australia. Insomma, Durkheim studia tutti i
rapporti e lo fa notando che non a margine, ma nel cuore di molte se non tutte le relazioni, emerge l'elemento religioso.
Cioè, quando tutti questi esploratori (per i missionari era comunque comprensibile) scrivono i rapporti, raccontano come
sono queste società, nonché i popoli primitivi/le tribù primitive. Durkheim, volendo vedere quali sono gli elementi
fondamentali della società e pensando ancora un po' in maniera evoluzionistica che più si andava indietro nel tempo, più si
sarebbero trovati i modelli essenziali della società (più le persone sono primitive, più lo sono anche i loro bisogni), notava
che l'elemento religioso era un elemento presente praticamente in tutti i popoli primitivi (ci sono delle eccezioni di cui non
parliamo adesso). Lui, su questo, fa alcune considerazioni, considerazioni che ci danno la possibilità di comprendere in
primis le divisioni tra sacro e profano e, in secondo luogo, le funzioni che gli oggetti (i totem) hanno all'interno delle
religioni.
UN PRIMO RAPPORTO TRA SACRO E PROFANO. Per Durkheim "la società si distingue dall'individuo come il sacro si distingue
dal profano". Cioè, per lui c'è una realtà sacra e quindi un 'autorità spirituale che trascende l'individuo e al quale l'individuo
non può non sottomettersi; l'individuo deve sottomettersi a questa realtà trascendente. Ogni religione, secondo Durkheim,
coglie un elemento fondamentale: l'elemento fondamentale è che esiste una realtà che trascende l'individuo e alla quale
l'individuo si sottomette.
IL FALLIMENTO DELL RELIGIONI. Però, per Durkheim, le religioni falliscono nell'identificare questa realtà trascendente: le
religioni, questa realtà la etichettano come "Dio". Diversamente, lo scienziato sociale, sempre per Durkheim, identifica
correttamente questa forza trascendente, la quale, come sappiamo benissimo è la società stessa.
UNA RIFLESSIONE SU QUESTO FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Ma spingiamo un po' oltre la riflessione. Durkheim dice che le
religioni hanno fatto una cosa fondamentale, hanno insegnato cioè a obbedire a un essere trascendente. Insegnare a
obbedire e far capire che è meglio obbedire che disobbedire è una roba incredibile, difficilissima. È dura convincere
qualcuno. In Italia siamo arrivati in un brevissimo periodo, una decina di anni solo, a sostenere che i furbi possono
trasgredire la legge, magari le leggi fiscali, denigrando tutti quelli che non riescono farlo. Quindi capiamo che un'etica
pubblica si regge proprio su questo principio, sul dare cioè per scontato che è meglio obbedire alla legge che è trasgredirla.
Allora, per Durkheim, la religione ha svolto questo ruolo fondamentale: insegnare a obbedire. Cosa non facile. Non solo, ma
ha anche insegnato a connotare come bene il rispetto della legge e male la sua trasgressione (cosa che noi oggi diamo per
scontato, ma ci son voluti secoli se non millenni di socializzazione per arrivare a questo). Ciò detto, Durkheim traspone la
funzione "obbedire al trascendente" dalla religione alla società, per cui noi diamo per scontato che le regole sociali
debbano essere rispettate. Sempre meno, con dispositivi sempre diversi...ma rispettati. La cosa è complessa, però al di là di
come ci mettiamo d'accordo su cosa vuole la società, abbiamo capito che non obbediamo più a un "Dio", ma obbediamo a
qualcun altro.
CONSEGUENZE DEL FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Ora, per Durk, le istituzioni sono fatti sociali esterni e coercitivi. Per cui,
ad esempio, la famiglia è voluta da Dio. Ma qual è la famiglia voluta da Dio? Quella dove un maschio e una femmina si
mettono insieme e copulano, procreando. Durkheim ci ha detto che però, tenendo l'esempio della famiglia, molto
semplicemente, attraverso un lungo cambiamento nel tempo, la famiglia si è cristallizzata in quanto fatto sociale/istituzione
sociale che si impone alle volontà del soggetto. Stiamo cioè dicendo che, per Durkheim, le religioni hanno da sempre svolto
la funzione di regolare le interazioni. Di più, le religioni hanno da sempre svolto la funzione di legittimare le altre istituzioni.
Sempre. Ora, se è vero il discorso di Durkheim, cioè che "la società è Dio", chi è in grado di legittimare la società nel
momento in cui ci rendiamo conto che siamo noi a costruirla?
Alan Tourin sostiene che viviamo nel post-sociale: noi oggi non siamo più increduli nei confronti della religione,
probabilmente anzi ci stiamo reincantando nei confronti delle religioni; noi siamo increduli invece nei confronti delle
costruzioni sociali. Tornando all'esempio della famiglia, noi abbiamo capito che questa, così come ce là siamo costruita, non
funziona più. E pur tuttavia, ci rendiamo conto che senza un modello di famiglia non possiamo costruire una società.
Questo è un paradosso.
Non sappiamo se funzionava meglio un mondo fondato sulla religione o un mondo fondato sulla libertà del soggetto.
Sappiamo invece che son cose profondamente diverse. Sappiamo che alcuni dispositivi di un tempo, oggi non funzionano
più. Pensiamo al dispositivo democratico, nel senso che la democrazia può essere ridotta a una procedura, a un mero
strumento/a una procedura, ma se è ridotta a mero strumento perde quella funzione di riconoscimento, per esempio, delle
minoranze. "Se votiamo a maggioranza...". È una questione, questa, molto spinosa e molto legata alla religione. Durkheim
aveva ragione. ...e alcune funzioni della religione, oggi, sono portate avanti benissimo dallo stato: le scuole, gli ospedali, il
tempo libero, l'economia, eccetera. Il problema è vedere se queste funzioni non legittimate da un trascendente riescono a
sostenersi... E come riescono a farlo. La questione più rilevante a tal proposito è la questione della democrazia, perché la
democrazia è l'unico strumento che noi oggi abbiamo per regolare il vivere insieme. ...e la democrazia non è un mero
strumento, ma fa riferimento a una cultura democratica.
LA SOLUZIONE PROPOSTA DA DURKHEIM AL FALLIMENTO DELLE RELIGIONI. Detto questo, torniamo a bomba e diciamo
qual è l'effetto della cultura democratica sulle religioni. Una volta che Durkheim ci ha spiegato che la funzione che una volta
era svolta dalla religione adesso è svolta dalla società e noi siamo convinti che ci sia un trascendente che identifichiamo
adesso in una una decisione presa democraticamente, in quanto questa ci trascende e siamo tenuti a obbedirla (una
trascendenza molto immanente, ma pur sempre una trascendenza)...nel momento in cui noi abbiamo capito il trucco, si
pone allora il problema del fondamento. Diciamo questo per capire se una società si può reggere senza un riferimento al
trascendente. Questione radicale, notevole. Cioè, erano più saggi gli illuministi i quali dicevano chiaro che la religione del
popolo non era la vera religione, ma guai a far capire al popolo che non c'era una vera religione...chi lo controlla più il
popolo? Per Durkheim, cioè, bisognava disincantare. Questo, trasponendo le funzioni della religione nella società. Per cui,
adesso, secondo Durkheim, la religione non gestisce più tutte le sfere della vita sociale, ma ne gestisce una sola: il rapporto
col sacro. Cosa che, evidentemente, ha delle conseguenze, nella sfera pubblica tutta.
Quindi, le religioni, oggi, si devono confrontare con un ambiente che da' per scontato che ilù soggetto sia libero di scegliere.
Questo, riscrive il modo di intendersi delle religioni. Citando i due modelli a cui facciamo riferimento, stiamo parlando dal
passaggio dai "valori non negoziabili" al "chi sono io per giudicare". Quindi, le religioni devono pensarsi in base a questa
nuova cornice socio-culturale, cornice descritta da Durkheim, in cui tutti danno per scontato che il soggetto sia libero di
decidere. È quindi un elemento imprescindibile, oggi, per comprendere la vita sociale, il riconoscimento che siamo liberi di
scegliere. Pur tuttavia, ci poniamo la questione del fondamento, cioè se un dispositivo sia in grado di legittimare una
cultura.
NOTA A PIÉ PAGINA. Nel mondo tradizionale, le religioni offrivano dei pacchetti a scatola chiusa. Noi postmoderni, invece,
decidiamo in modo democratico di legiferare su tutto ciò che ho vogliamo (notiamo una perdita di presa da parte della
religione, uno spostamento del baricentro del potere appunto dalla religione al nostro arbitrio). Non si può dire che uno dei
due paradigmi appena nu chiari sia meglio o peggio dell'altro, ma si può certo dire che si sta parlando di due cose
radicalmente diverse.
...PRIMO ESEMPIO
Venerdì e sabato si sono radunati a Roma i 27 capi di Governo per commemorare e rinnovare il 60º della firma del trattato
di Roma, l'inizio di quel progetto di Europa unita che oggi sembra essere in crisi. Non prendiamo il fatto della crisi, ma
cogliamo nello specifico un fatto che si colloca all'inizio di questa ricorrenza: un capo di una religione, papa Francesco, ha
ricevuto tutti e 27 i capi di Stato e di Governo e ha fatto loro un discorso. Ecco. Non è scontato che 27 capi di Stato e di
Governo vadano da un leader religioso. I giornali hanno intitolato la ricorrenza nelle maniere più diversi: c'è chi ha scritto
"schiaffi del papa ai leader", ad esempio... In sostanza ciò che è successo in questa circostanza è che il papa ha parlato a
questi 27 capi di Stato e di Governo dei temi più vari senza dimenticare il bisogno di solidarietà e altro.
Prendiamo questo fatto come esempio di studio perché un papa, leader religioso, che parla a dei capi di Stato e di Governo,
leader politici, è un qualcosa di incredibilmente pregnante per noi sociologi della religione. Il papa non ha invitato i capi di
Governo a convertirsi, non li ha richiamati alla conversione, gli ha fatto anzi un discorso politico.
Colleghiamo questo fatto con un altro fatto. Il protagonista è Trump. Trump, da quando è stato eletto come presidente
degli Stati Uniti d'America, ha cercato di entrare in contatto con papa Francesco. Fra tutte le telefonate ufficiali registrate, i
due leader però non si sono mai incrociati. Poniamo la questione su questo primo grumo di riflessione: perché i capi di
Stato e di Governo devono andare dal papa e, se è vero quello che dicono i quotidiani, sono stati anche "presi a ceffoni"?
Perché Trump dovrebbe andare in visita dal papa e non va da un altro grande leader religioso? Collaborare con il papa (?),
mettersi d'accordo (?)...
Diamo un altro spunto: quando Trump era ancora in campagna elettorale, il papa tuonò contro la possibilità di costruzione
di un muro tra Messico e Stati Uniti e a tal proposito disse che "non è da persone cristiane pensare a costruire muri". Per
questo, Trump apostrofò il papa in maniera indecorosa.
Ma quindi, perché Trump vuole andare dal papa? Per immagine (?). Noi sappiamo che più della metà dei cattolici americani
hanno votato Trump. Quindi, la posizione di Trump, che non ha esattamente inanellato una vittoria dopo l'altra in questi
suoi primi mesi di mandato, forse ha bisogno di rispolverare l'immagine. Questa è un'ipotesi che lasciamo lì. Un'ipotesi che
spiegherebbe il rapporto religione società.
Diciamo poi che un leader religioso che riceve 27 leader politici e gli fa "il discorsetto" è una notizia non da poco, certo. 27
leader politici, sì, ma escluso Trump. Quest'ultimo, leader di una potenza mondiale, sta invece trattando/studiando se e
come gli convenga portare questa sua linea di "scissione" col papa o meno.
Questo è un primo nodo, un case study sul quale siamo invitati a riflettere.
...SECONDO ESEMPIO
Procediamo cambiando completamente scenario. La religione, talvolta, cozza con quella che viene definita "libertà di
espressione". Prendiamo spunto adesso dal ricorso, fatto da un famoso avvocato di Stra (VE), intransigente come cattolico,
che è stato bocciato. Circa 10 anni fa c'è stata una rappresentazione alla biennale di Venezia dove hanno rappresentato la
passione di Cristo con corpi nudi che si atteggiava o a comportamenti sadomaso. Questo avvocato ha quindi fatto ricorso
perché secondo lui questo era vilipendio alla religione. La Corte, a due livelli, ha rigettato il ricorso. La religione è, ecco, una
materia molto complicata. Abbiamo studiato, infatti, come funziona la censura e sappiamo di come ci siano dei film vietati,
ma non per legge, ai minori di 18 anni. Tuttavia, quando si tratta di religione la cosa diventa diversa perché esiste il reato di
vilipendio alla religione. ...e mostrare la Passione in chiave sadomaso è vilipendio alla religione. Sono cose che fanno
riflettere sulla libertà artistica. ...e ci sono altri casi ancora di questa fattispecie. Ad ogni modo, ecco la sentenza con cui non
è stato accettato il ricorso fatto dal nostro avvocato di Stra: "la programmazione di una manifestazione artistica vuole che il
corpo nudo, a seconda di dove lo si collochi, assume significati diversi". Quindi l'ambiente ha una sua ritualità; nell'arte c'è
una ritualità: la libertà di espressione artistica. "La programmazione di una manifestazione artistica è espressione di una
libertà garantita dalla Costituzione e dato che siamo in uno stato laico, nessuno può chiedere a un ente come la biennale di
non accogliere delle rappresentazioni solo perché sospettate di offendere il sentimento religioso". Il rapporto religione
società solca anche il confine del rapporto tra libertà di espressione artistica e il vilipendio di una religione (offesa del senso
religioso di qualcuno). I giudici dicono "è da escludere che l'organizzazione di uno spettacolo artistico possa di per sé, sola,
possa costituire violazione del personale sentimento religioso di un singolo cittadino". Apriamo una questione: la libertà di
espressione artistica, o se vogliamo la libertà di espressione e basta, deve essere limitata in generale e nello specifico per
quanto si parla di religione? Oppure, quando si parla di libertà artistica, ognuno può fare esattamente quello che vuole?
Pensiamoci, non c'è una risposta facile. Il confine non lo sa nessuno, anche se ci sono dei limiti invalicabili oltre i quali il
"consense" suggerisce di non andare.
...TERZO ESEMPIO
Altri casi... Un'altra cosa che merita una tesina che riguarda gli alpini. Gli alpini, quando muore un loro commilitone, vanno
in chiesa addobbati di alpini e dicono la "preghiera dell'alpino". Questa preghiera, tuttavia, è stata cambiata. Ed è stata
cambiata perché all'interno del suo testo c'era una parte dove si faceva riferimento alle "truppe in armi" e si pregava Dio
che le aiutasse. La nostra sensibilità, oggi, è evidentemente cambiata rispetto a quella che magari potevano avere
all'altezza della. Prima e della Seconda Guerra Mondiale: noi oggi preghiamo Dio perché ci dia la pace, piuttosto che ci dia
aiuto in guerra. E quindi, apriamo una discussione: gli alpini si sono dichiarati non contrari, ma comunque hanno
manifestato il loro disagio, nel cambiare una preghiera che datava decenni e questo ci fa capire come il mood postmoderno
ridefinisce perfino le preghiere che noi recitiamo. Nella Prima Guerra Mondiale, a Cortina dal Pezzo, città austro-ungarica,
c'era una chiesetta; chiesetta che era presente e viva anche in un altro paese da tutt'altra parte del fronte (sul fronte
italiano, non più quello austro-ungarico), cioè a San Vito di Catone. Le rispettive popolazioni andavano a pregare lo stesso
Dio perché entrambe cattoliche perché li facesse vincere la guerra. Ora, capiamo bene che in quel contesto era credibile
pregare Dio perché sostenesse le truppe in guerra; per noi, oggi, pregare Dio perché ci sostenga nella guerra è davvero
molto difficile. Il linguaggio è completamente cambiato. È un tema sul quale varrebbe la pena costruire una polemica,
questo perché il rapporto religione-cultura scritto all'interno della postmodernità va a cambiare persino i testi della
preghiera.
NOTE A PIÉ PAGINA RISPETTO AI TRE ESEMPI CONCRETI CIRCA IL RAPPORTO RELIGIONE-SOCIETÀ
Ultimo elemento sul quale poniamo l'attenzione. È uscito un volume di 544 pagine che costa circa 50€ intitolato "Storia del
limbo". A noi la parola "limbo" poco, troppo poco. Analizziamolo. Il limbo è stato inventato nel XII secolo; stiamo parlando
della vita oltre la morte, tema di un fascino incredibile. Sì, perché ci sono degli ambiti del sapere che regolano la vita dopo
la morte.
Le religioni strutturano l'aldilà. ...e per secoli, gli attori sociali (Weber) si sono regolati nel gestire l'aldiquà pensando a ciò
che sarebbe successo nell'aldilà. Cioè hanno la capacità di far credere che la vita non sia questa dell'aldiquà, ma quella che
ci aspetta dopo la morte; capacità frutto indubbiamente di una operazione elaboratissima.
Ora, nel mondo cristiano, il mondo dell'aldilà è stato strutturato in maniera tripartita: inferno, purgatorio e paradiso.
Questo stato di cose, guardiamo bene, è per l'eternità (eccetto il purgatorio, che è "a tempo").
Nel XII secolo, 1100, ci si inizia a chiedere che fine facciano nell'aldilà le persone giuste ma non battezzate. La questione si
complessifica molto con la scoperta dell'America, XV-XVI secolo... Tutte le persone giuste non battezzate che fine facevano?
I teologi, all'inizio del XII secolo iniziano a pensare che ci sia uno spazio di felicità puramente naturale (dove non si vede Dio)
riservato a coloro che non si sono battezzati, ma che si sono comportati bene: il limbo. Dal XII secolo in poi, tutti i cristiani in
giro per il mondo hanno strutturato la loro immagine dell'aldilà pensando al limbo. Pensiamo a Tommaso D'Aquino, a
Lutero, allo stesso Dante che raffigura l'inferno.
Nel 2007, Ratzinger, con un documento ufficiale sancisce che il limbo non è mai esistito. Il motivo per il quale Ratzinger
prese in mano la quesitone fu che il limbo era utilizzato da parte delle basi cattoliche fondamentaliste cattoliche in giro per
gli Stati Uniti (ma non solo lì) per difendere dei bambini morti in seguito all'aborto. Per cui, detto della valenza sociale del
limbo, l'interesse adesso non era più verso le persone giuste che morivano senza aver ricevuto battesimo, ma era verso dei
bambini che venivano ammazzati a causa di aborto. Quindi, il limbo iniziava a essere strumentalizzato da parte delle
correnti fondamentaliste in giro per il mondo, tante negli Stati Uniti, 3 o 4 in Italia. ...e notiamo come anche qui,
inesorabilmente, cade tutto il rapporto tra religione e società.
Ratzinger, nel 2007, firma un documento che pone fine a questa ipotesi teologica. Il limbo non è mi esistito. Ora, la
domanda che ci facciamo è perché dopo mille anni (mille anni che hanno strutturato l'immaginario, i campi santi -e il limbo
strutturalmente vi era di poco fuori-) si arriva dire che il limbo non esiste più? Come è possibile, dopo mille anni, cambiare
idea su una questione così grave? Perché la religione tocca questioni universali che hanno strutturato da sempre
praticamente la vita di infinità di persone. L'intenzionalità di Weber era strutturata da questa paura del giudizio.
Riflettiamoci su...
TORNIAMO A NOI...
Abbiamo visto Comte; abbiamo visto Durkheim; vediamo Weber..
]]]]]]]]]]
DAL LIBRO...
DURKHEIM E IL FUNZIONALISMO
Durkheim rappresenta nel panorama dei classici della sociologia della religione una figura di grande rilievo. Figlio di un
rabbino, si stacca da questa originaria matrice socioreligiosa e diviene un intellettuale agnostico.
La prospettiva generale da cui prende le mosse la teoria di Durkheim sulla religione è chiaramente enunciata in "La
divisione del lavoro sociale". L'idea di base è che l'ordine nelle società democratiche moderne e industriali si fondi sul
principio della solidarietà. Per Durkheim, infatti, la società si regge in equilibrio grazie a regole, valori e norme capaci di
imporsi sulla trama vitale e disordinata degli individui. La coesione sociale, allora, è più facile da raggiungere nelle società in
cui vige la cosiddetta solidarietà meccanica: qui gli individui sono assimilati in corpi sociali ben strutturati che tendono a
omogeneizzare i comportamenti e a far condivide imperativamente una stessa tavola di valori. Nelle società a solidarietà
organica (le società differenziate socialmente), invece, la coesione sociale è molto più difficile: ogni individui apprende che
ha un ruolo specifico da svolgere nella società, ruolo che svolge per il raggiungimento del bene collettivo. Da qui ne deriva
che nel riconoscimento di questo codice normativo, a partire dallo svolgere il proprio ruolo per il bene sociale, si evinca il
primato della coscienza collettiva su quella individuale.
Per coscienza collettiva si intende una sovrastruttura sociale che non coincide con le singole coscienze individuali, ma che
anzi le determina, le orienta, le plasma. Essa consiste in un sistema di credenze che storicamente muta, ma che condiziona
intere generazioni di individui e che tende a volte a perpetuarsi nonostante il fatto che essa venga meno nell'intimo
convincimento dei singoli.
Questa idea riflette e potenzia l'ipotesi organicistica di Comte: si passa così da organicismo a funzionalismo. Di base, in
questo modus pensandi, l'intendimento della società come un tutto composto da parti, le quali hanno in valore tanto in
quanto anto si riportano alla logica del tutto: le parti sono funzione del tutto.
Si comprende allora come la prospettiva generale di Durkheim conduca la sociologia a interessarsi dell'integrazione delle
parti con il tutto...e l'integrazione sociale così diviene il problema centrale della spiegazione sociologica.
Seguendo questa linea si arriva allo studio dei conflitti, delle devianze, delle marginalità sociali, tutti letti come momenti in
cui il dispositivo della coscienza collettiva di cui sopra non funziona. Lo studio dei suicidi, in particolare, per Durkheim
sottende a questa logica:
1. Il suicidio è la prova che le norme sociali non sono in grado di imporsi in modo convincente a un individuo.
2. Il togliersi la vita dunque rivela l'esistenza di una smagliatura nel tessuto sociale.
3. Una società ha bisogno, per raggiungere una coesione sociale che le consenta di funzionare bene e quindi senza fratture
sociali (suicidi), di un complesso di norme e valori che devono essere percepiti dagli individui con impegni e doveri di natura
collettiva.
Collezionando dati statistici, Durkheim nota come il numero dei suicidi è più alto nei paesi di origine protestante rispetto
che quelli di origine cattolica o ebraica. La ragione, per lui, è molto semplice: la religione protestante espone gli individui a
un senso di responsabilità e rischi effettivi, quella cattolica e quella ebraica invece offrono alle persone una comunità che si
mostra capace di imporre a esse un codice di valori e di comportamento di tipo collettivo.
Quindi il senso di appartenenza a una comunità, nonché a un gruppo religioso, rinnova il senso di integrazione con il resto
della società. Tutto ciò è invece meno garantito dalle società che sono state plasmate dall'etica religiosa protestante.
[Nota sul suicidio anomico. Il suicidio anomico, quello cioè il cui sintomo è l'assenza di norme, è un fenomeno che ha le sue
radici nell'organizzazione della società. Cioè a dire che quando una società non riesce più a mettere in campi risorse
simboliche o norme capaci di far integrare gli individui a un insieme di valori collettivi, di far sentire loro che esiste una
coscienza collettiva superiore alle singole coscienze soggettive, allora ci si imbatte nel suicidio anomico.
La religione, in definitiva, già in questa opera (Il suicidio) viene vista come fattore di integrazione.
MAX WEBER
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
L'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO
Per intenzionalità del soggetto si intende l'intenzione che il soggetto mette in gioco.
PRIMO STEP: WEBER E GLI IDEALTIPI DI AZIONE. Ci soffermiamo sui tipi di azione secondo Weber: l'azione razionale rispetto
allo scopo, l'azione razionale rispetto al valore, l'azione tradizionale e l'azione basata sui sentimenti. Velocemente diciamo
che l'azione razionale rispetto allo scopo è quel tipo di azione che adegua mezzi razionali rispetto a fini razionali, punto.
SECONDO STEP, L'AZIONE RAZIONALE RISPETTO AL VALORE. Concentriamoci, però, sul tipo di azione razionale rispetto al
valore... Qui si apre uno spartiacque. Questo è il problema che pone la religione all'interno dell'azione razionale.
Il valore, rispetto allo scopo, si differenzia nel senso che se lo scopo è qualcosa di immediato che si vuole raggiungere, il
valore è una linea guida rispetto alle azioni che compiamo e che ci motiva in altro senso rispetto allo scopo. I valori ci
possono orientare, però, anche in quello che sia uno scopo da conseguire, ma si scindono per loro natura dagli scopi (scopi
razionali, oggettivi; valori esprimibili in universi di significati soggettivi). Lo scopo è qualcosa di razionalmente dimostrabile;
il valore non cade sotto la razionalità scientifica.
TERZO STEP, IDEALTIPI DI AZIONE E INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO (1). Per Weber è importante capire quale che sia
l'intenzionalità che l'attore sociale mette nelle sue azioni. A tal proposito, quali esempi ci porta? Ci porta un esempio tratto
dalla religione... [Nota: Weber si interessa di religione perché la mamma era calvinista protestante.] Weber dice che
l'intenzionalità fa sì che l'attore passi da motivazioni di tipo affettivo o tradizionale a motivazioni di tipo razionale; e in
effetti questo è vero perché il nostro contesto, frutto della razionalizzazione di cui abbiamo parlato più volte, diventa
moderno quando tanto in quanto si razionalizza. Quindi, l'intenzionalità dell'attore sociale, per Weber, dipende dal
contesto in cui è inserito... e il contesto in cui noi siamo inseriti oggi è un contesto che fa appello alla razionalità, tanto che
per Weber modernizzazione vuol dire razionalizzazione. Prendiamo per buono questo.
QUARTO STEP, IDEALTIPI DI AZIONE E INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO (2). Ora, il livello massimo di razionalizzazione, per
Weber, è l'azione razionale rispetto allo scopo, perché lì abbiamo mezzi e fini razionali. Weber ovviamente si rende anche
conto del fatto che rimane comunque anche l'azione razionale che si fonda sugli affetti (uno non si innamora di un calcolo
trigonometrico, ma lascia spazio agli affetti); c'è spazio, per Weber, anche per la tradizione (i valori tradizionali); ma c'è
spazio anche per il valore. Fermiamoci qui. Il valore, che non è dimostrabile secondo una razionalità tecnico-scientifica, ma
che pur tuttavia può essere raggiunto con metodiche razionali. Dice Weber, "io voglio raggiungere la salvezza (un valore) e
la raggiungo applicando una metodica razionale": metodica razionale che si identifica, ad esempio, nella preghiera e
comunque nella conduzione di una vita giusta. Quindi, c'è un ambito, il valore, che non cade sotto la fredda razionalità, ma
che può essere comunque realizzato attraverso una metodica razionale. Nodo focale. Non ci soffermiamo oltre su questo
aspetto, ma è fondamentale capire che c'è un ambito dell'azione razionale che salvaguarda ciò che non è prettamente
razionale, i valori; e pur tuttavia sono plausibili.
QUINTO STEP, RELIGIONE E AMBITO DELLA RAGIONEVOLEZZA. Attenti, a partire da questo discorso, è possibile aggiungere
un tassello: tra razionalità e irrazionalità c'è lo spazio per il ragionevole (ciò che io ritengo ragionevole fare): l'ambito della
ragionevolezza. La religione, o meglio i valori che si fondano sulla religione, cadono sotto questa fattispecie. La questione
che poniamo è "quanto il significato che da' l'attore sociale dipenda dall'attore sociale". Ricordiamo che Weber (l'attore
sociale da' un significato) didatticamente lo contrapponiamo a Durkheim (tutto dipende dalla struttura).
SESTO STEP, L'ORIGINALITÀ DEL DISCORSO DI WEBER SULL'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO. Spingiamoci adesso a una
riflessione un po' più elaborata e cioè "quanto l'intenzionalità dell'attore rispecchia ciò che l'attore stesso vuole?" Cioè, noi
solitamente intendiamo che Weber intenda dire "l'attore sociale ha un'intenzionalità propria per cui si inventa i significati"?
No, noi scegliamo tra significati dati. Qual è il valore aggiunto del discorso di Weber sull'intenzionalità del soggetto? La
domanda è seria: dov'è il margine di novità del discorso di Weber sull'intenzionalità del soggetto? Abbiamo detto che
Weber si contrappone a Durkheim e dice che gli attori sociali non sono strutture, ma hanno un valore aggiunto che è la
libertà di scegliere. Dov'è l'originalità del discorso di Weber? Perché è qua dentro che, per Weber, si pianta la religione. Il
libro "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo" declina questo e nient'altro. Detto che è chiara la domanda,
procediamo alla risposta...
Radicalizzando, l'opposizione è questa: sposta l'interesse/il baricentro dalla struttura all'individuo. Per Weber, cioè, c'è
spazio per i condizionamenti sociali. Dobbiamo riflettere su questo.
SETTIMO STEP, UN SECONDO ELEMENTO DI ORIGINALITÀ SULL'INTENZIONALITÀ DEL SOGGETTO. Ma è solo questa
l'originalità? C'è un "di più" più profondo? Il soggetto da' dei significati all'interno di un mondo dato. C'è un eccezione per
Weber che scardina radicalmente il mondo dato? E Weber ricorre all'ambito religioso per parlare di questa realtà che
scardina il mondo dato. Stiamo parlando di sociologia della religione, non stiamo farneticando... Per Weber, l'avvento che
scardina l'ordine dato, la rivoluzione per intenderci, "è il potere carismatico del profeta". È il profeta: colui che entra nella
storia brandendo il suo sogno. Questa è la rivoluzione per Weber.
Qui spingiamo al limite il concetto di intenzionalità: come dicevamo poc'anzi, noi siano liberi all'interno di condizioni date,
all'interno di una rigidità di offerta; io posso credere ciò che voglio? No, o meglio sì, o meglio no, perché posso, sì, credere
ciò che voglio, ma all'interno di possibilità date. ...e questo è un primo elemento. Però, c'è una situazione nella quale
l'innovatività si spinge fino a rivoluzionare il sistema dato: questa eventualità, per Weber, diventa possibilità reale con il
profeta, il quale entra nella storia brandendo il suo sogno. Confucio, Mosé, Gesù, Maometto, sono i profeti designati da
Weber.
OTTAVO STEP, IL PROFETA NELLO SPECIFICO. Ecco. Dobbiamo riflettere su questo molto attentamente, e dobbiamo
rifletterci perché la religione, da un lato, secondo la prospettiva di Marx -marxiana fino a un certo punto, ma marxista
certamente- ha la funzione di legittimare il potere (legittimare lo status quo); dall'altro lato, secondo la prospettiva di
Weber, la religione ha la capacità straordinaria di innescare processi di mutamento. La religione, per Weber, ha una riserva
di significati capaci di produrre quel tipo sociale etichettato come "profeta"; il quale, ripetiamo, è quel tipo capace di
scardinare l'ordine esistente rivoluzionandolo.
"Il profeta entra nella storia brandendo il suo sogno" e cioè è capace di sovvertire un ordine esistente. Quando il profeta
porta a scardinare l'ordine esistente per prefigurarne uno nuovo, e questo solamente sulla forza del "ma io vi dico...", sul
far credere cioè che lui sia in grado di produrre questo cambiamento (e i grandi leader carismatici fanno questo), siamo in
piena fase di populismi. Il profeta è in grado di mettere in discussione l'ordine esistente introducendo elementi di novità
che apparentemente non sono reperibili in un contesto dato. Ripetiamo e problematizzamo l'"apparentemente". Sì, perché
nessuno si inventa dal nulla; nessuno cioè non reperisce strumenti dal contesto sociale in cui si trova per operare questa
rivoluzione. Però, a noi basta l'idea che il profeta sia in grado di essere motore di cambiamento.
NONO STEP, CONCLUSIONI...LA RELIGIONE VISTA NELL'OTTICA DI MARX E WEBER (INSIEME, NON IN OTTICA DI
ESCLUSIONE). Ecco quindi che, e su questo attiriamo la nostra attenzione, la religione (incarnata dal profeta) può essere
elemento di legittimazione del potere esistente ("instrumentum regnii"), ma la religione al contempo può essere strumento
non di cambiamento, quanto di rivoluzione.
NOTA A PIÉ PAGINA RISPETTO A TUTTO IL RAGIONAMENTO FATTO FINORA. Per conto nostro potremmo applicare questo
modello conservazione-cambiamento per interpretare i fatti su introdotti:
- se i 27 e poi (forse) Trump vanno dal papa per ottenere legittimazione al loro potere;
- se il papa fa un discorso che legittima o no il loro potere;
La religione quindi è elemento di conservazione o di cambiamento? Questa è la provocazione.
Avendo noi il potere di scegliere quali istituzioni mantenere nel nostro regno, manterremmo l'istituzione religiosa? E se sì, o
no, proviamo a pensare il perché.
...L'IDEA DI PREDESTINAZIONE
Concentriamoci sull'idea della predestinazione. Secondo questa prospettiva, l'attività individuale umana è del tutto inutile,
in quanto, dall'eternità, Dio ha prescelto chi si salverà. Noi, oggi, siamo predestinati alla salvezza? Capiamo bene, in questo
senso, come sia diversa la prospettiva della predestinazione dalla nostra prospettiva cattolica: per il cattolico bisogna
comportarsi bene; per la protestante della predestinazione vale il "pecca fortemente, ma credi ancora più fortemente"
(Lutero): si crede quindi nel fatto che sia la fede stessa a salvare il soggetto. Secondo questa dottrina, dunque, -come
appena detto- l'attività del soggetto è inutile, ma allo stesso tempo, soltanto il suo successo su questa terra può fargli
presagire/intuire/sperare di essere tra il numero degli eletti.
Cosa può fare il soggetto se crede in questa verità della predestinazione? Il soggetto non può far altro che ricercare il
successo con tutte le proprie forze. ...E ricercando il successo con tutte le proprie forze, il soggetto non sperpera ciò che
guadagna con il proprio lavoro, ma lo reinveste nella propria attività; lavora secondo criteri razionali allo scopo di
massimizzare il profitto; lavora non per il proprio prestigio, ma per la maggior gloria di Dio; lavora non per accumulare
danaro (e non per sperperarlo), ma per reinvestirlo. ...questa prospettiva nell'interpretare il proprio lavoro, porta alla
concezione di "beruf" ("lavoro delle professioni" e "vocazione"). "Beruf", per Weber, è interpretare la propria professione
in termini di vocazione da parte di Dio.
...E noi siamo persuasi del valore aggiunto di interpretare la propria professione come volontà di Dio. Il valore aggiunto
motivazionale dell'interpretare il proprio lavoro come risposta a una chiamata rivolta da Dio è un qualcosa di incalcolabile a
livello motivazionale. Infatti, interpretare ciò che io devo fare come volontà di Dio, mi da' una carica motivazionale che
niente altro può darmi. Apporto sociologico di Weber estremamente super/incredibile per capire il ruolo della religione nel
mondo contemporaneo. Certo, non apriamo dibattito se questo sia in chiave consolatoria, o in chiave fondamentalista, o
ancora in chiave funzionale...; diciamo soltanto che l'apporto di Web ci insegna che alla base del capitalismo non ci stanno
solamente elementi di carattere organizzativo-tecnico, i quali comunque sono indispensabili ma non sufficienti; perché si
rendesse possibile l'affermarsi del capitalismo così come lo conosciamo noi oggi serve un elemento di carattere culturale,
specificamente di natura religiosa, precisamente di natura teologica: la predestinazione.
Convince questa ipotesi? Dove sono gli elementi di fragilità? È utile studiare ancora Weber? Poniamo la questione.
L'el culturale di W quale è la rel, è in grado di spiegare il fenomeno economico del capitalismo. Una tesi, questa, molto
discussa; la quale ovviamente ha bisogno di essere ricompresa all'interno delle dinamiche tipiche dell'epoca
contemporanea, tautomodernità/postmodernità.
Il punto è questo: nell'impostazione di W l'elemento rel crea le condizioni perché alcuni elementi di carattere
economico/tecnico/culturale si coagulino insieme e facciano nascere quel fenomeno che abbiamo definito capitalismo.
Quindi serve un qualcosa -come dire- un elemento di carattere "spirituale" in grado di fare interagire elementi
economici/tecnologici/razionalizzazione/el culturali di vario tipo, in maniera tale da far nascere quel fenomeno eco che è
diventato caratterizzante l'epoca moderna: il capitalismo.
Prima considerazione: fon vasta che ci ci sia innovazione di carattere tecnologico; fon bastano condizioni di carattere
organizzativo (burocrazia) perché alcuni fenomeni inizino; non basta che ci siano risorse, le più svariate, perché si sviluppi il
capitalismo, modalità specifica di interpretare l'economia. Per W il valore aggiunto è l'etica protestante, e l'etica
protestante è in grado di far interagire quegli elementi in quella direzione.
Detto questo, aggiungiamo un tassello: questo era vero fino a 800 inizio 900. Per molti aspetti l'hp di W è intrigante anche
oggi. Anche oggi elementi di carattere teologico sono in grado di giustificare/influenzare l'intenzionalità dell'attore sociale.
Quindi ciò che io legittimo come giusto da farsi, lo legittimo in base anche a presupposti di carattere teologico. Perché la
persona umana ha una dignità? Da dove viene questa idea di dignità per i cui io devo rispettare chiunque, per cui anche il
criminale io devo rispettare? L'elemento religioso; l'impostazione di carattere teologica. L'idea cristiana di Dio come
persona è un'idea che ha sconvolto non il modo di in repertare gli dei, ma anche il modo di interpretare le persone. Ha dato
una dignità diversa al modo di interpretare le persone. Con tutto il dibattito esploso a metà 500 per il riconoscimento di
dignità ai popoli h che erano stati scoperti nelle Americhe. Li' c'è un dibattito sul riconoscimento di dignità di questi esseri
umani, e pur tuttavia all'inizio si discute se fossero da trattare come animali e Solinas e altri iniziarono a discutere sulla
dignità della persona e sul riconoscimento di diritti della persona. Il tutto si fonda su un aspetto teologico. Questo aspetto
persiste anche oggi.
C'è un altro elemento. Se da una parte la religione spiega l'arma farsi dell'economia, dall'altra parte non è che i
cambiamenti avvenuti fine 20 e 21 secolo, questi specifici cambiamenti, stiano trasformando le religioni a livello globale
(approccio economico finanziario alla realtà)? C'è stato uno spostamento sul economico finanziario a tal punto da far
credere che la economia fosse l'unica narrazione esistente. L'economia detta l'agenda, oggi.
Si discute di accordi di carattere finanziario. La politica in secondo piano. Si discute di questioni di carattere economico-
politico. quindi l'economia detta i vincoli anche delle manovre politiche. L economia detta leggi. Ora, la questione che noi
poniamo a W è non è che questo nuovo linguaggio che a livello globale accomuna tutte le società ha cambiato anche il
modo di intendersi delle religioni? Non è che anche le rel si intendono oggi in termini di domanda e offerta e portano avanti
politiche aggressive di mercato anch'esse? Non è che le religioni tendano a conquistarsi uno spazio in questo mercato di
beni e servizi? Questa è una grande provocazione all'hp di W.
C'è una parte nel manuale dove si parla delle teorie di mercato, o l teoria della libera scelta: cioè le rel vengono trattate
come qualsiasi altra impresa che offre beni e servizi. Le rel spostano infatti enormi quantità di danaro. Non è che quella
narrazione di carattere economico oggi si è presa la rivincita è detta la legge anche per quanto riguarda lo statuto delle
religioni?
Capiamo che W su questo pto specifico oggi sarebbe messo sotto scacco.
W ha torto? Opp questa prospettiva non è in grado di scalzare la sua teoria? Le rel si stanno ricomprendendo all'interno di
questo nuovo frame? Ci sono studiosi che sostengono che l'hp di W è in grossa difficoltà, anzi potrebbe essere rovesciata.
Oggi la teologia, la rel sta cambiando per colpa dell'economia. Un'hp assolutamente da verificare.
Non si tratta del dire che W ha torto; si tratta solo di interpretare il pensiero di W. Si, vero, però per Wa quel l'apporto
aveva un potenziale euristico che andava al di là di quel fenomeno. Però la provocazione di questi autori contemporanei è
che il nuovo contesto ha spade scritto la rel tra economia e rel. quindi c'è un nuovo contesto per cui sono cambiati i termini
del rapporto. Questo è vero.
Ma la questione è: è ancora plausibile l'apporto di W? Non ha più portata euristica a livello di struttura (non si può dire la
rel crea condizioni per...) però a liv di a torre sociale la rel è ancora in grado di essere elemento/risorsa che moriva
l'intenzionalità dell'attore.
anche nelle rel, l'elemento burocratico ha preso il sopravvento. La burocrazia per W è l'espressione organizzativa del
processo di quel processo razionalizzazione che contraddistingue la modernità. Modernità per W significa razionalizzazione
che tocca tutti gli ambiti dell'esistenza.
Ora, le rel quando vengono illuminate dalla razionalità, capiamo bene, vengono messe alla prova. Il processo di
razionalizzazione all'interno dell'ambito religioso corrisponde a un processo di disincantamento. Quella che abbiamo
definito essere la fine delle metanarrazioni. A razionalità spiega stabilendo nessi di causalità fenomeni che prima erano
spiegati ricorrendo alla volontà di Dio.
W descrive questa realtà come un "mondo abbandonato dagli dei dove tutto è spiegabile razionalmente (vuol dire
calcolabile e prevedibile) ciò che nel mondo tradizionale era frutto di impegno, di valori (se vogliamo di passione). Tutto
questo oggi è frutto di calcolo razionale". Tutto è frutto di razionalizzazione e quindi questo porta in un modo abbandonato
dagli dei, al disincantamento.
Però W si rende conto che è difficile vivere senza sognare. È difficilmente non reincantarsi.
La teologia narra razionalmente Dio. Teo logia, discorso su Dio. Capiamo bene cosa succede quando inseriamo il discorso
razionalità dentro un qualcosa che poggiava invece sul sentimento. Nel momento in cui noi spieghiamo razionalmente ciò
che non è spiegabile razionalmente (qui W e Otto ci hanno visto bene) uccidiamo l'immaginazione. E la religione poggia
proprio sull'immaginazione.quindi spiegare tutto razionalmente è un grande rischio per la religione. Le rel sono cadute nel
tranello dell'Illuminismo, adattandosi al fatto che questo spiegava tutto razionalmente. Questo W lo aveva capito, e infatti
parla di processo di disincantamento e reincantamento. La questione però è capire dove ci re incantiamo.
Inserire la razionalità all'interno della rel significa riscrivere lo statuto epistemologico della religione medesima. Cioè la rel
che diventa razionale diventa un'altra cosa. Il cambiamento che la rel ha subito negli ultimi cento anni le ha riconfigurate
secondo uno statuto epistemologico diverso. Il non capire nulla attiva a liv emotivo quella dinamica che noi chiamiamo fede
(dove fede vuol dire "fidarsi"). Passare dall'epoca dei nostri avi, all'epoca in cui si capisce tutto razionalmente, ha portato al
cambiamento dello statuto epistemologico delle religioni.
Ciò detto, l'umanità potrebbe rimanere imprigionata all'interno di questa gabbia d'acciaio drutto di un processo di raz
inarrestabile. La raz ha dei limiti; il processo di raz ha dei limiti. W dice che per un aspetto disincanta e per un altro aspetto
reincanta.
Capiamo che reinventare un processo di reincantamento è un'attività alquanto complessa.
C'è un aspetto, quello sui tipi di potere, che sfugge in ambito propriamente religioso, l'aspetto riguardante il potere
carismatico. Il potere carism sfugge alla logica di razionalizz, ma attenti, al potere carismatico fa seguito quel processo di
routinizzazione del carisma secondo el razionali
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DAL LIBRO...
LA RELIGIONE COME FATTORE DI CONFLITTO
Come è possibile che a un certo momento dell'evoluzione storica si producano nelle società umane delle modificazioni
profonde di un ordine sociale esistente? Quali sono i fattori che favoriscono l'aversi di questi processi di accelerazione
storica? Se per Marx il fattore dinamico è rappresentato dal conflitto socioeconomico che, opponendo classi sociali,
produce mutamenti economici e politici rivoluzionari, per Weber la risposta viene trovata in un'altra direzione: se la società
muta il suo ordine è perché figure di innovatori sociali o politici che mostrano di saper farsi carico dei bisogni di
cambiamento che la gente esprime in un dato momento storico, leggono dei fattori di crisi da cui la spinta innovatrice.
Per Weber, centrale dunque nei processi di mutamento sociale è la figura del leadership carismatico (specie le figure
religiose di tipo carismatico). Quindi, Weber studia il carisma e in particolare una figura carismatica, quella del profeta.
Il profeta è colui che dice qualcosa di nuovo rispetto alle religioni del suo tempo, è colui che critica l'esistente per proporre
una nuova maniera di vivere una fede religiosa e, si questa base una nuova forma di società. Weber, quando parla di queste
speciali personalità, utilizza il termine "profeta-etico".
Profeti-etici furono Cristo e Muhammad, persone cioè che andarono contro le religioni ritualistiche e vuote del loro tempo,
proposero una società che avrebbe dovuto fondarsi su una scala di valori che rovesciava, in tutto o in parte, quella sulla
quale si edificavano le realtà nelle quali erano nati e cresciuti.
Un profeta etico riesce negli intenti se possiede il carisma. Weber usa questo termine confrontandosi con la tradizione di
Paolo di Tarso e definisce il carisma come dono straordinario posseduto da un individuo -il virtuoso- attorno al quale, in
forza di questo riconoscimento carismatico, si forma un gruppo di seguaci-discepoli.
Ma cosa succede dopo la scomparsa/morte del profeta-etico carismatico? Weber ritiene questo un punto chiave per capire
il passaggio da una situazione sociale dominata dall'eccezionalità (dalla forza creatrice e innovatrice del profeta) a un'altra
nella quale si affermano istituzioni, organizzazioni statali, forme articolate del vivere sociale. È quella che Weber chiama
appunto la routinizzazione del carisma.
Tecnicamente il problema è stato risolto in forma diversa nelle grandi religioni mondiali: trasponendo il carisma in un
delegato istituzionale (la Chiesa cattolica rispetto a Cristo), affermando con il carismatico una discendenza per linea di
sangue (gli sciiti musulmani), postulando la continua morte e rinascita del carisma (buddhismo tibetano).
Nota: accanto alla profezia eticamente Weber parla anche di profezia esemplare, ovvero di un personaggio che sperimenta
su di sé una nuova via di perfezione, rinascita o salvezza, e, così facendo, si propone come modello da seguire. Non c'è in
questo modus vivendi il desiderio di riformare il mondo, nemmeno indirettamente; c'è al contrario una via mistica o
ascetica di superamento del male che individualmente si può percorrere a imitazione del maestro. Non è detto che tutto
questo, poi, possa avere dei riflessi sociali rispetto a un ordine di cose esistenti.
Altro tema che Weber considera importante per capire le religioni mondiali è quello della teodicea, ovvero il modo con cui
una religione spiega la presenza del male nel mondo e come elabora una via per il suo superamento.
In definitiva Weber cerca di rispondere non tanto alla domanda come sia possibile l'ordine sociale, quanto piuttosto come
l'ordine sociale cambi. La religione, perciò, non è vista solo come fattore di coesione, ma anche e soprattutto, come
elemento capace di produrre innovazione e cambiamento sociale.
MARX
RELIGIONE E ALIENAZIONE
La lettura weberiana della religione è molto differente da quella di Marx ed Engels. In prima istanza, l'idea di questi due
filosofi è quella per cui la religione non ha una sua autonomia nel contesto sociale, ma deriva da qualcos'altro e dunque è
sempre a partire da questo qualcos'altro che va interpretata e capita.
Nella logica marxiana e poi marxista, la religione è "l'involucro ideologico" che di volta in volta classi dominanti (o
subalterne) utilizzano per rappresentare a sé stesse la loro condizione o posizione socioeconomica di status o di potere (o
di non potere).
Poi, in una seconda versione, la religione viene considerata come involucro ideologico che nasconde i rapporti di forza reali
presenti nella società, luogo dove il dominio economico si svela in una delle sue forme più complesse. È una sovrastruttura
che si innesta, tra le tante altre, sulla struttura di fondo, quella economica. Ecco che la religione può essere vista come un
modo attraverso cui i conflitti si pongono e si esprimono in una data società e in un determinato momento storico.
In tempi recenti è stato fatto un tentativo, ad opera di Pierre Bourdieu, di collegare il punto di vista di Weber con quello di
Marx sul tema della religione, tentativo che si è concretizzato nella nozione di campo religioso. Il campo religioso implica i
seguenti elementi concettuali:
- la religione è un insieme di beni simbolici che riguardano la sfera del sacro;
- su questi beni simbolici si esercita un potere di definizione, produzione e riproduzione da padre di un gruppo di specialisti
del sacro;
- questo potere dà luogo, all'interno del campo, a una gerarchia fondata sul potere definitorio di ciò che è bene e ciò che
non è bene credere (specialisti vs non specialisti del sacro -o laici-);
- i laici sono i destinatari primi di un processo di imposizione di habitus rituali e mentali che consentono di garantire la
legittimazione interna ed esterna del campo religioso;
- la differenziazione interna al campo religioso porta con sé una latente conflittualità, che si manifesta quando un gruppo di
non specialisti del sacro tenta di definire, in modo alternativo a quello del potere degli specialisti del sacro, il capitale
simbolico che nel tempo si è venuto sedimentando nel campo religioso.
Si nota, una teoria di un campo religioso autonomo e quindi non più riferito ad altre teorie del conflitto. Il conflitto
socioreligioso, infatti ha sue peculiarità: non è un conflitto tra classi sociali, ma è un conflitto che ha per oggetto la
definizione di simboli, di sistemi di significato di natura propriamente religiosa.
SIMMEL
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
Simmel apre una finestra sulla scissione tra forme religiose e lo spirito che le anima.
Come vien etichettata la sociologica di Simmel? Sociologica formale. Simmel studia le forme. Dice: non importa quali sono i
contenuti delle rel sociali, noi studiamo le forme di interazione sociale. Il conflitto, esempio classico. Ce sia conflitto tra due
Stati, tra due gruppi di persone, tra marito e moglie, il conflitto ha sempre la stessa forma. Simmel aggiunge, cosa
interessante, che nelle forme di conflitto da studiare non è chi ha più potere e impone la sua visione, ma chi subisce
l'imposizione del potere dell'altro. Perché chi subisce l'imposizione ha dei motivi per subire tale imposizione.
LE FORME DI INTERAZIONE
Quando le studia, Simmel fa una sorta di geometria sociale: il sociologo, cioè, una volta che studia queste forme di
interazione, le applica ai casi concreti.
Per Simmel c'è una tensione tra le forme sociali che lungo i secoli si sono cristallizzate (la famiglia, la politica, lo stato, la
religione) e la libertà umana (l'unicità e l'irrepetibilità dell'atto decisionale del soggetto/individuo).
Ora, questa irrepetibilita del soggetto mette in evidenza come "lo spirito" -utilizza questa parola- che anima la libertà di
scelta del soggetto non possa essere compreso (ristretto/circondato/controllato) dalle forme sociali che lo circondano.
Quindi, queste cristallizzazioni che è sono forme sociali, nascono dall'interazione dei soggetti che tendono ad esprimere
liberamente il proprio spirito. Soggetto libero di esprimere ciò che sente nel proprio spirito, libero però all'interno di un
contesto dato (le forme sociali h eh e si cristallizzano).
Ora, in questa interazione si definiscono formalmente "le regole del gioco". Formalmente nell'interazione tra libertà del
soggetto e contesto sociale, ogni società definisce le forme dell'interazione. Ad esempio, in un contesto primitivo,
l'interazione con la giustizia si poteva risolvere semplicemente facendosi giustizia da sé; c'era sì una forma di polizia, ma in
una cultura primitiva le persone si facevano giustizia da sé. C'è una forma, quindi, e c'è una libertà del soggetto. Lo stesso
avviene per quanto riguarda i rapporti con la religione.
Per quanto riguarda i rapporti con la religione (qui c'è tutto Otto), l religione cristallizza dal punto di vista istituzionale quel
bisogno di relazione con il sacro. Si cristallizza lungo i secoli. Dice però Simmel che ogni cristallizzazione religione, ogni
forma religiosa non è mai in grado di esaurire la libertà di scelta del soggetto per quanto concerno il rapporto con il sacro.
Ogni cristallizzazione cambia velocemente; pensiamo al discorso famiglia, pensiamo a come la complessità delle vicende
individuali porti a ridefinire la cristallizzazione della famiglia. Quindi la complessità dell'epoca moderna (che per Simmel è
profondamente ambivalente) pone in discussione tutte le cristallizzazioni che si erano costruite negli ultimi secoli.
Simmel cresce a Berlino di fine 800 inizio 900. All'epoca Berlino era la New York odierna, il cuore della modernità.
RIPRENDIAMO SIMMEL...
La natura profondamente ambivalente della modernità.
Ci soffermiamo qui perché è proprio su questa natura abmivalente che si originano le teorie ambivalenti sul ruolo della rel
nell'epoca contemporanea. Se c'è uno stretto legame tra rel e ambiente sociale-culturale, alla grande crisi della modernità
corrisponde allora una grande crisi del modo di intendere la religione. Proprio in questo caso abbiamo fatto il paragone tra
il syllabus (raccolta di affermazioni che negavano praticamente tutte quelle libertà esito della modernità che si stava
affermando subito dopo la metà dell''800) di Pio IX e (metà 900) il concilio vaticano II. Due documenti che dicono
l'atteggiamento di una chiesa che rappresenta molte persone nei confronti del cambiamento sociale.
Perché nel cambiamento sociale cambia il rapp tra rel e soc ma questo cambiare il rapp è vero sia dalla parte del credente
(cambia il modo di credere) ma anche e sia dal punto di vista istituzionale (il modo di far credere da parte delle istituzioni
religiose).
Un esempio, uno studio di campo ce lo abbiamo leggendo appunto i documenti su citati. Ci Tia il rapporto con la modernità.
Leggendo quei documenti senza gli occhiali dei credenti, uno potrebbe pensare che si fa riferimento a due religioni diverse.
L'elemento interessante è che l'istituzione non può dire apertamente o"ci siamo sbagliati" perché se a liv politico non è
semplice ammettere un errore, lo è ancora di più in ambito religioso. Vorrebbe dire minare alla base tutto il sistema di
credenza. È così raffinato e elaborato il credo religoso che metterne in discussione una parte corre il risciiho di far crollare
tutto.
Quindi le istituzioni religiose devono far credere che c'è continuità, coerenza, consistenza con quanto si è sempre detto.
Eppure ribadiamo, confrontando i due documenti di prima, uno che legge due testi letterali pensa facciano rif a due
religioni diverse.
In realtà si parla della stessa religione ma con due istantanee in due momenti diversi a di stanza di 100 anni l'uno dall'altro.
Ciò che è successo in questi 100 anni è un qualcosa di portentoso. Un'accelerazione fortissima verso l'avvento della
modernità. Accelerazione ancora più forte se intesa dai 60 a oggi. Cambiano stili di vita, sistemi di valori, modi di
interpretare le cose... Tutto. Anche la religione.
Noi ci concentriamo su quanto dice Simmel avendo in mente il quadro generale. Simmel vivendo a Berlino ci descrive ciò
che sta succedendo. Non tanto a liv strutturale, ma anche. Mettendo in tensione forma e spirito. Siamo più precisi.
Abbiamo parlato del l'ambivalenza della cultura contemporanea. Per un aspetto, c'è una visione positiva dell'individuo che
progress si libera dai legami di tipo tradizionale... legami che erano di tipo esclusivo, legami che creavano dipendenza
esclusiva del soggetto... E dall'altra parte l'affermarsi di prodotti culturali creati dall'uomo medesimo che però gli si
imponevano. Eravamo arrivati su questo. Adesso facciamo un passo avanti.
Se nel mondo tradizionale il soggetto spendeva la propria esistenza fondamentalmente legandosi a due tre istituzioni
(famiglia chiesa patria) e queste coprivano globalmente l'esercizio della libertà del soggetto, la logica del mondo moderno è
fondam diversa. Se nel mondo trad poche istituzioni coprivano la globalità del percorso biografico del soggetto, nel mondo
moderno c'è una pluralità di sfere separate le une dalle altre le quali coprono parte dei percorsi biografici del soggetto.
Quindi detta alla Durkheim la coscienza collettiva che si sovrappone alla coscienza culturale, Simmel la analizza in termini
formalistici, ma il concetto è quello. Nel mondo trad il soggetto si realizza all'interno di pochissime sfere che coprono tutte
le poss manifestazioni di libertà del soggetto, sfere integrate e coerenti tra di loro (cioè ciò che dice la famiglia è
esattamente ciò che la chiesa vogliono che questa dica, ad es). Ch l'affermarsi della modernità le sfere si differenziano. Ma
Concentriamoci sulla ricaduta personale e il legame che questa ha con il ruolo della religione. Questa moltiplicazione delle
sfere sociali fa si' che tra di loro esse non siano coerenti (fa sì che non si sovrappongano le une alle altre). Prima in un
mondo coerente la costruzione identitaria è relativamente facile; nu fun un mondo frammentato in cui io sono
parzialmente in quella condizione ludica di interesse politico relazionale affettivamente carica di attenzione al sacro mistico
o spirituale, sono parzialmente in una di queste cose. Aggiungiamoci anche "io sono multinazionale"... Capiamo bene che
mettere insieme un'identità che ho deve tenere insieme tutte queste micro appartenenze complica enormemente le cose.
Perché uno non sa più dove è più vero, in quale sfera per intenderci. Questo è il progblema dell'identità. Quindi si
sovrappongono sfere diverse. Ed è difficile per il soggetto trovare una sfera che esaurisca in maggioranza ciò che lui ritiene
di essere.
Per Simmel la modernità vuol dire "frammentazione delle sfere vitali".
La rel che secondo Comte doveva tenere tutti insieme gli organi sociali adesso si riduce ad essere una delle tante sfere.
Da una parte il sogg che afferma sempre di più la libertà per rapporto a legami tradizionali, e dall'altra parte lo stesso
soggetto si rende conto che per essere "accettato" deve sottomettersi a dei prodotti culturali... Quindi per un aspetto si
slega da legami tradizionali e per l'altro deve sottomettersi un altra volta a prodotti culturali. Prodotti culturali che per certi
aspetti sono costruiti ad arte e quindi superflui. Prodotti che servono a soddisfare bisogni artificiali.
Abbiamo detto bisogni artificiali. Con questa espressione Simmel etichetta la condizione di modernità dell'uomo.
Cambiamento drammatico: perdere un'identità e rendersi conto che per acquisire un'altra bisogna legarsi a qualcos'altro.
Dice Simmel, paradosso della modernità, uno si vede quindi schiavo di prodotti superflui che rispondono a bisogno
artificiali. E questa è un'analisi di Berlino.
Dice "La sensazione di essere circondato da elementi di cultura che non sono insigni fanti ma tuttavia sempre meno
significativi". Sottolineano questa espressione perché la religione rimanere l'ultima riserva di significato in grado di tenere
insieme percorsi biografici che talvolta si frantumano disperdendosi nelle sfere sociali più diverse. Cioè la religione
potrebbe giocare e lo fa di fatto una parte nel rispondere al bisogno di significato.
Questo è il dramma della modernità. In questo cambiamento in cui le cose non hanno un nome, in cui il soggetto non da
più per scontato di essere quello che è e non sa dire chi effettivamente lui sia, tutto si problematizza. ...E la religione si
inserisce proprio in questo interstizio: la religione è in grado di dare un senso.
- "sulla spiritualità nell'arte, soprattutto nella pittura" di kandinskij. Questa de costruzione nel passaggio da otto a
novecento mette in discussione i percorsi identitari ... Il modo di definire tutto. Non si parla più di religione, come vediamo,
m si parla di arte.
TORNIAMO A SIMMEL...
Simmel, ecco perché abbiamo parlato di Kand, distingue tra spirito e forma.
Nella vita c'è un conflitto continuo tra ciò che il soggetto percepisce nella rel con il sacro e ci che storicamente lungo il
tempo si cristallizza come forma che controlla il rapporto con il sacro. Ripetiamo: tra lo spirito che è fondamentalmente il
principio di individuazione e le forme che storia certe cristallizzano il rapporto con il sacro.
Simmel, in questo senso, contrappone religione a religiosità. La rel è la forma sociale che oggettivizza il rapporto con il
sacro, mentre la religiosità è la spinta vitale del soggetto che autonomamente si rapporta con il sacro.
Sul testo di pace troviamo i dettagli di questa situazione.
DAL LIBRO...
L'interesse dell'approccio di Simmel al fenomeno religioso è spiegato perché nel suo pensiero introduce la distinzione tra
religione e religiosità, anticipando un punto di vista metodologico ampiamente accettato oggi in sociologia della religione.
Sintetizziamo così Simmel:
- la comprensione della realtà ci rivela l'esistenza di una pluralità di mondi che convivono l'uno al fianco dell'altro (dell'arte,
della scienza, della filosofia e della religione). Ognuno di questi mondi funziona in base a proprie regole, perseguendo una
propria verità;
- per l'individuo questi mondi non sono coerentemente controllati e collegati, anzi la condizione normale li vedrebbe
compresenti o sovrapposti l'uno all'altro;
- perciò la vita è conflitto continuo tra quelli che Simmel definisce "spirito" e "forme", ovvero tra l'incarnazione presente nel
mondo reale di valori spirituali e la libertà dell'essere umano, la tendenza dello spirito a non lasciarsi ingabbiare nei limiti
dettati dalle forme (soprattutto quando queste si trasformano in opprimenti istituzioni sociali).
Da queste considerazioni di base Simmel muove per contrapporre la religione alla religiosità. Cioè a dire che mentre la
religione è ciò che prima abbiamo definito forma (l'incarnazione nel mondo reale di valori spirituali, nonché adesso
religiosi), la religiosità è spinta vitale, è libertà di scelta verso ciò in cui credere, è esperienza soggettiva di una relazione con
il sacro, è in definitiva lo spirito. Per definizione:
- la religiosità è lo stato in cui si trova una persona rispetto al mistero;
- la religione è la forma culturale che scaturisce come realtà oggettivata dal continuo interagire tra le persone.
Ecco quindi che l'enfasi simmeliana è riposta sulla condizione soggettiva emozionale del soggetto. E comunque non c'è
alcuna svalutazione della religione rispetto alla religiosità, semplicemente sono due cose differenti e che, anzi, si
compensano a vicenda: la religione cristallizza la religiosità, ma quest'ultima costituisce il principio di rinnovamento
incessante della prima.
Nota interessante, Simmel non è interessato a cogliere l'esistenza scientifica del trascendente, di Dio, piuttosto invece si
limita ad osservare ciò che gli individui fanno quando agiscono in funzione del loro credere in Dio.
Il passaggio dalla religiosità alla religione è spiegato da Simmel attraverso la nozione di pietà (una modalità emotiva
specifica dello spirito). La pietà è un'emozione che consente alla una umana di intuire e riscoprire i legami sociali che lo
legano all'altro, le reti comunicative affettive e vitali alle quali ognuno di noi fa spontaneamente riferimento. La religione
stende per così dire su queste reti emotive profonde una trama ancora più fritta di relazioni, trasformando ciò che è fluido
in un qualcosa di stabile, un'istituzione ordinata. Sì perché nell'unità religiosa è possibile immaginare un unità più vasta
della società e dell'umanità tutta. In questo modo la religione non è vista come alienazione, ma come coesione sociale,
come luogo cioè dove gli esseri umani possono produrre valori simbolici che altrimenti non potrebbero essere prodotti.
LA RELIGIONE IMPLICITA
È un importante paradigma teorico o modello interpretativo della religione che deve la sua elaborazione a Edward Bailey.
Per Bailey parlare di religione implicita vuol dire avere a che fare con tre diversi livelli di analisi:
1. L'uomo, per disposizione naturale, tende a ricercare il senso ultimo della vita. Tuttavia, talvolta questa disposizione può
anche restare latente o comunque non è detto che assuma necessariamente contenuti religiosi espliciti.
2. Questo non assumere contenuti religiosi espliciti spiegherebbe anche il ricorso, in molte società, a quella che viene
definita da Bellah "religione civile" ovvero la sacralizzazione della sfera politica.
3. Tra queste due dimensioni, micro e macro, la religione implicita si manifesta in forme inattese in altri campi dell'agire
umano, come nello sport (vedi forme di attaccamento quasi sacro alla maglia della propria squadra o cose simili) o attorno
alla figura di personaggi popolari della musica (venerazioni varie, vedi quella di Elvis Presley).
Il concetto di religione implicita si avvicina per alcuni aspetti all'idea di religione invisibile di Luckmann: una religiosità
basica, in bisogno antropologico di "piccola trascendenza" o "trascendenza quotidiana".
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
EDWARD BEYLEY - LA RELIGIONE IMPLICITA
Edward Beyley ha sviluppato un hp molto affascinante ma difficile da dimostrare empiricamente della religione implicita.
Lui dice che prima di tutto ogni essere umano naturalmente è predisposto a cercare un senso ultimo nella sua esistenza.
Questa predisposizione naturale (concetto molto criticabile) può venire condotta anche al di fuori delle istituzioni religiose.
Ahi di per lui questa ricerca condotta ai margini o fuori è religione implicita.
Lui parla di rel implicita anche a proposito del concetto di civil religion (religione civile). Per lui anche la rel civile ha dei tratti
di religiosità (rel implicita). Per B tutte le manifestazioni che comportano una certa trascendenza, dallo sport alla musica
ecc.ll, portano in se qualcosa di religioso. Cioè la rel civile, come la definisce lui.
La rel civile è una trasposizione sulla sfera pubblica civile laica di comportamenti ritualità tipicamaente religiose. La c r è
l'insediamento del presidente della Repubblica che prevede una ritualità di un certo tipo o qualsiasi cosa richieda una
ritualità fissa; la commemorazione del 4 Novembre.
Riflettiamo sul fatto che è prevista una forma di trascendenza nella forma civile. Una trascendenza immanente, ma pur
sempre trascendenza.
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IL CONCETTO DI RELIGIOSITÀ
Una definizione del concetto di religiosità è stata suggerita anni fa da Glock (1964) e da Glock e Stark (1965). Nonostante le
critiche ricevute, la proposta iniziata da Glock mantiene in quanto caposaldo. Glock introduce alla religiosità definendola
come un qualcosa di multidimensionale. In questo senso, distingue 5 dimensioni o fattori che permettono di individuare la
religiosità: credenza, pratica, conoscenza, esperienza, appartenenza. Sono da considerarsi come relativamente indipendenti
l'uno dall'altro. Ne segue che alcuni fattori possono anche sovrapporsi e combinarsi insieme a descrivere un'unica
dimensione coerente e che, di traverso, possono anche ammettere casi in cui sia possibile combinarli assieme nei fini
appena detti. Es, l'esperienza religiosa risulta una dimensione relative ante autonoma rispetto all'appartenenza religiosa.
Se l'uomo ammette dei bisogni fondamentali (vedi quello della esplorazione, specie quella metaempirica), la religione si
può dire che rappresenta l'interpretazione e la risposta addotta questi bisogni: da questo punto di vista la religione è da
intendersi come una strategia cognitiva (capire i bisogni da cui risolverli). Non solo, ovviamente, perché per religione si
intende anche una forma di credenza, o ancora un modo di esprimere comportamenti rituali, ma anche un meccanismo
socioculturale di definizione di identità sociale.
Detto cos'è la religione (un complesso sistema di elaborazione di risposte a diverse pulsioni e strategie di vita di individui e
gruppi umani), la religiosità invece attiene alle concrete forme, empiricamente osservabili, attraverso cui gli attori singoli o
collettivi esprimono le diverse dimensioni della religione stessa.
Sinteticamente, religione=codice teorico di interpretazione e organizzazione del mondo individuale e collettivo;
religiosità=messa in pratica nel concreto di questo codice teorico.
Critiche a Glock: potrebbero esserci altre dimensioni della religiosità, non solo le 5 enunciate. Oppure, tra le 5 enunciate, ci
sarebbe da distinguere tra dimensioni fondamentali e subordinate.
Successivamente Glock e Stark potenziano quanto detto precedentemente (solo da Glock), dicendo che i fattori (i 5 fattori)
sono indipendenti tra loro e che l'approccio corretto allo studio della religiosità non può che considerare questa come un
qualcosa di multidimensionale (anche cioè multidisciplinare). La questione è complessa, quindi. Attenzione infatti che
esistono diversi tipi di religiosità: istituzionale, storica o di tipo-chiesa: le strutture restano le stesse (creazione di sistemi di
appartenenza o apparati di controllo dell'ortodossia/eterodossia), variano i contenuti.
[[[[[[[[[[DAGLI APPUNTI...
LE 5 DIMENSIONI DELLA RELIGIOSITÀ, GLOCK (POSSIBILE DOMANDA DI ESAME)
...
Quando noi vogliamo capire in cosa consiste la rel, cosa andiamo a chiedere? Le classiche cinque dimensioni o fattori della
religiosità di Glock:
1. LA CREDENZA RELIGIOSA.
2. LA PRATICA.
3. L'ESPERIENZA.
4. LA CONOSCENZA.
5. L'APPARTENENZA.
Cioè quando studiamo cosa significa per le persone essere religiosi noi facciamo un questionario che proponiamo,
questionari con domande che richiamano a queste 5 diverse dimensioni/fattori della religiosità.
LA CREDENZA RELIGIOSA
Innanzitutto, partiamo dall'elemento base che è la credenza. La domanda fondamentale quando si fa riferimento a questi
temi è "credi in Dio? Si, No". Data questa domanda di partenza, ovviamente la rel è un insieme di molte altre cose rispetto a
questa domanda... Quando uno dice sì credo in Dio poi bisogna vedere in quale Dio, come ci crede, cosa significa per lui
credere in Dio. Diverso è chi dice di credere in Dio e non segue L insegnamento e non segue l'insegnamento i dettami
teologici e morali di una specifica religione, chi lo fa, chi dedica la sua vita al servizio degli altri, chi in nome di Dio si fa
esplodere. Ecco non discrimina molto la domanda, ma ci da un orizzonte. Che valore diamo alla risposta a questa
domanda? Come abbiamo già visto, trattiamo una certa maniera chi crede in Dio, trattiamo in un altra maniera in un Dio
diverso dal nostro e quindi noi stessi siamo credenti in uno e miscredenti in un altro... Quindi, noi crediamo o non
crediamo. Attenzioniamo il cosa significa credere, perché come dicevamo Simmel, nel momento in cui il soggetto
appartiene a più sfere sociali spesso incongruenti tra di loro deve trovarsi un elemento che gli dai coerenza; deve trovare
una sfera che sia in grado di dare senso a tutte le altre sfere differenti, e la religione gioca anche questo ruolo.
La credenza religiosa (non politica o sportiva o altro) ha una specificità: è un atteggiamento specifico nei confronti di un
essere superiore o di una potenza percepita come trascendente o misteriosa. Questa affermazione pone il frame: ci si pone
di fronte comunque vogliamo etichettarlo a un essere superiore. Noi lo chiamiamo Dio, in realtà può essere etichettato
nelle maniere più diverse: in termini di energia essere totalmente altro potenza misteriosa. A grande diff è fra chi dà a
questo essere trascendente un volto personale o un volto non personale, per cui Dio uno se lo rappresenta oppure non
riesce a rappresentarselo.
Di fronte a questo essere trascendente si stabilisce una rel di sottomissione. Questo è un altro elemento caratteristico della
credenza religiosa. Quindi è il riconoscimento di un limite da parte dell'essere umano, un limite del soggetto, per rapporto a
un essere onnipotente/illimitato/perfetto.
Guardiamo che questo atteggiamento di sottomissione è ciò che di meno scontato c'è nelle relaizoni. Dicevamo già che
Simmel ha riflettuto sul rapporto di forza nel conflitto: nel confl è interessante studiare chi impone la propria volontà, ma
ancora di più chi accetta l'imposizione da parte degli altri. Quando accettiamo l'imposiziono dell'altro e perché? Nel
rapporto con Dio tutto diventa più raffinato, compreso questo rapporto.
Per quanto concerne la rel con Dio, non è in gioco solo la rassegnazione passiva per rapporto a uno che impone la sua
volontà (Simmel: perché uno accetta l'imposizione dell'altro); nel rapporto con il mistero, con il totalmente altro, con Dio,
noi non abbiamo di fronte uno che si impone e che ci costringe, ma siamo noi che liberamente riconosciamo l'esistenza di
un essere trascendente e siamo noi che decidiamo di metterci in una situa di sottomissione per rapporto a questo essere
trascendente. Quando ci rapportiamo al mistero ne percepiamo l'onnipotenza e percepiamo il nostro limite. Qui capiamo
benissimo l'impostazione di Feuerbach, che a partire dall'esperienza del limite ho bisogno di qualcuno illimitato di fronte a
cui mi sento limitato e proietto di fronte a lui quello che vorrei essere. Sta di fatto che, 1, la credenza è riconoscimento di
essere trascendente; 2, implica un atteggiamento di sottomissione a questo essere (cosa non scontata a tal punto che al
cambiare del contesto sociale e culturale cambia il modo di rapportarsi al trascendente). La credenza è prima di tutto un
atteggiamento nei confronti di un altro, quindi un fuori di me che non mi costruisco io, e di fronte a quell'altro io mi
sottometto, non entro in partita (cosa da non dare per scontato). Capire questo meccanismo colloca chi crede in Dio in una
posizione differente rispetto chi non vi crede.
Però, e questo è l'aspetto ancora più problematico/critico, la credenza religiosa risponde a dei bisogni cognitivi. Quindi da
una parte è un atteggiamento di fede (uno ci crede o no); dall'altra questo atteggiamento risponde a dei bisogni di tipo
cognitivo. E cioè le religioni hanno il compito di mettere ordine laddove c'è il caos. Il bisogno di ordine è un bisogno
cognitivo. Ancora una volta emerge il ruolo della rel come fonte di senso: abbiamo bisogno di dare senso a ciò che
potrebbe essere semplicemente frutto del caso. Ogni rel per r mettere ordine dentro la casualità costruisce un sistema di
dogmi o di verità di fede (non tutte le ver di fede sono dogma, per esempio la verità di fede della resurrezione al cuore del
cristianesimo, nel cattolicesimo non è un dogma; mentre è un dogma la verginità di Maria ante durante e post parto).
Dicevamo, ogni religione mette ordine all'interno del caos con un sistema di credenze. Le religioni lo fanno nelle maniere
più diverse a seconda del contesto culturale a cui devono rispondere. Quindi, un sistema di credenze che risplende a
bisogni di tipo cognitivo.
Un questionario di sociolgia chiede, in termini di credenza, se uno crede che ê stato creato da Dio, che esista la vita dopo la
morte, che dopo la morte ci sia un giudizio...ci sono delle costanti e delle variazioni... Le rel hanno delle narrazioni molti
interessanti perché non spiegano scientificamente come è nato il mondo, ma ci narrano come il mondo abbia un senso. Poi,
qualunque natura di creazione si consideri, nulla cambia; tutte le religioi hanno queste narrazioni. Le grandi rel universali
poggiano su un libro che solitamente è stato scritto o da Dio direttamente o da un suo intermediario. E in nome di ogni
singola parola di questi testi sacri, c'è stato di tutto. Quindi, queste grandi narrazioni trovano origine in un testo sacro.
Diciamo due parole sulla specificità della credenza
1 già detto
2 già detto
3 complesso di dogmi, credenze, già detto.
4º chiodo: la credenza è una particolare forma di conoscenza. Questione notevole... Cosa conosco io credendo che il
mondo sia stato creato da Dio...? Cosa consoco credendo? Noi abbiamo in mente il modo di conoscere frutto
dell'Illuminismo. Oggi quel modello di conoscenza è stato messo in crisi: l'intelligenza emotiva (si conosce perfino amando)
risponde in questo senso. L. Credenza rel è una specifica forma di conoscenza: è una conoscenza autonoma che però non è
strettamente fondata non sulla razionalità e non sul l'evidenza empirica. Ma ha una sua razionalità che potremmo definire
noi in termini di "ragionevolezza" (attenzione al file tensione tra razionalità e ragionevolezza); ma attenti, la credenza
religiosa, pur non avendoli allo del sapere scientifico è connotata a emotivamente in maniera così profonda che non teme
smentita. Quindi è un modo di conoscere estremamente strano, buffo. Noi conosciamo: possiamo conoscere attraverso i
calcoli, leggendo poesie, amando, ma anche credendo. Se è vero che "nati non foste per viver come bruti", attenzione
viviamo per seguire conoscenza. E dunque, pur non essendo scientificamente dimostrabile, la credenza religiosa non teme
smentita; anzi, è controfattuale (più la realtà fuori di me smentisce la mia credenza religiosa, più io chiedo a Dio di
alimentare la mia fede -uno degli esiti possibili-). Pur non essendo frutto di una dimostrazione empirica né di una
razionalità ristretta, le credenze religiose sono non smentibili (controfattuali).
Ovviamente, la cred religiosa si trasforma con il passare da un epoca storica a un altra. Se ricordiamo, pensiamo a Omero,
all'inizio c'era la fase mitologica per cui una precisa rappresentazione delle divinità. Dalla fase mitologica si è passata alla
fase del "logos" (mito-logia, teo-logia, primo grande passaggio della credenza religiosa)...e poi dal logos, oggi, si passa
all'esperienza: cioè noi oggi siamo passati dal concetto di razionalità pura a un concetto di razionalità debole, la conoscenza
emotiva, le emozioni. Quindi avviamo anche nei confronti di Dio, il mistero, questo approccio emotivo: è un Dio che ci vuole
bene, che ci accompagna e che ci assiste, non che ci giudica.
5. Gli autori, Marx Freud per dare due cifre, hanno spiegato in maniera diversa la sfida della credenza religiosa. Oggi, a
parte alcune posizioni ideologiche che ritengono la rel una posizione appunto ideologica, la credenza religiosa è
riconosciuta una credenza con un suo statuto specifico.
L'ESPERIENZA RELIGIOSA
L'esperienza religiosa. Ogni tipo di conoscenza deve poggiare su una forma di esperienza. La quesitone primaria è di che
cosa si fa esperienza? Uno esperisce, cosa? Il sacro, che in questa fase definiamo come "ciò che non è profano". Il sacro è
percepito nella vita con i tratti della straordinarietà (ciò che è straordinario). E da questa esperienza del sacro nascono dei
comportamenti. E qui, per la sociologia si aprono riflessioni...il sacro è profondamente ambivalente prima di tutto perché
bisogna interpretarlo e quando io lo interpreto che categorie uso? Quelle che mi derivano dalla desu cinema moderna che
procede per ipotesi, errori e nuove ipotesi? Oppure procedo a partire dalle mie credenze religiose? Sono due cose
completamente diverse.... Quindi ogni esperienza ha bisogno di essere interpretata e troviamo gli strumenti per
interpretarla nella cultura nella quale la rel che vogliamo interpretare è inserita.
Qui l'aggancio con l'articolo di Linda Woodhead è evidente: in un mondo in cui siamo abituati a vedere il sacro all'interno di
categorie religiose istituzionali, se io voglio trovare il sacro vado in una chiesa perché quella cultura mi ha a dato strumenti
per interpretarlo. In una cultura più materiale, non vado in chiesa, ma "vado a Stoneage"... In una cultura in cui gli
strumenti per interpretare il sacro sono animistici/panteistici, io vedo il sacro in quelle particolari materializzazioni.
Il sacro, ancora una volta, è percepito in maniera diversa a seconda di chi applica una prospettiva razionalistica o una
credenza religiosa.
Ci sono due processi, citiamo Mauss (nipote di Durkheim) che riflette su come noi costruiamo il sacro. Questi studia i
processi che rendono sacro qualcosa, che sacralizzano. M riflette su come si rende sacro, ma c'è un altro tema di ricerca,
ossia il fatto che il sacro sia "per sua natura violento": sappiamo che l'origine delle guerre è nel l'idea di sacro e molti
sostengono che il sacro poggiando su un sistema di idee di natura esclusiva, sia violento. Sta di fatto che molte volte il sacro
lo si evoca attraverso molto spesso il sacrificio, un sacrificio cruento.
...quindi sacro come violenza, sacrificio: noi, per credere religiosamente, abbiamo bisogno di un'esperienza.
]]]]]]]]]]
DAL LIBRO...
NON FACCIO LA CREDENZA, GIÀ ESAUSTIVI GLI APPUNTI
L'ESPERIENZA RELIGIOSA
Un primo tassello che ci permette di definire cosa si intende per esperienza religiosa è la nozione di sacro. Che cos'è il
sacro? RIPRENDI GLI APPUNTI CON RUDOLF OTTO, MA ANCHE L'INTRODUZIONE DEL LIBRO (VEDI QUANTO DICE
DURKHEIM)
COS'È IL SACRO?
Torniamo a noi. Il sacro ci rende persuasi che all'origine di una struttura perfettamente razionale, come un'istituzione/una
struttura religiosa, c'è un qualcosa che definiamo irrazionale e questo qualcosa è il sacro. E dunque, ripetiamo, alla base
della struttura razionale (e quindi comprensibile) della religione c'è un qualcosa che è irrazionale: il sacro. Lì dove tutto ha
inizio, quindi, è il sacro.
Nota: potremmo dire che una volta che il sacro diventa routine, la struttura può andare avanti anche dimenticandosi
dell'origine. Certo, questa cosa è vera, ma solo in parte. Solo in parte perché le religioni hanno a che fare con beni e servizi
materiali, non solo immateriali; ma il core business e immateriale: il core business delle religioni non sono le candele, non
sono i fiori, ma è qualcos'altro che si pone a un livello più profondo. Convinzioni, certezze, vita eterna, salvezza o condanna,
rassegnazione...
UN CAROTAGGIO SUL TESTO DI OTTO ALLA RICERCA DI UNA DEFINIZIONE DEL SACRO
Ciò che Otto fa in questo testo è approfondire quell'elemento che si fa fatica a definire; ciò a tal punto che il libro di Otto
non è considerato né un libro sociologico né tantomeno un libro filosofico, ma è considerato solamente dalla
fenomenologia della religione. È un testo abbastanza contestato, dunque.
Otto dice:
- "Occorre riconoscere che all'inizio dell'evoluzione (per "evoluzione" intendiamo il passaggio da un peggio a un meglio)
storico-religiosa ci sono certi singolari fenomeni che poco hanno a che vedere col concetto di religione come lo intendiamo
oggi". Primo dato: all'inizio di ogni regione c'è qualcosa che non è religioso e questo perché noi consideriamo le religioni a
partire, per esempio, da un profeta fondatore.
- "Sono fenomeni che precedono la religione e che, tuttavia, hanno poi agito in essa". Dunque ci sono dei fenomeni che
vengono prima della religione e la fanno sorgere.
- "Fenomeni come: la credenza e il culto nei morti, la credenza nell'anima e il culto dell'anima, la magia, le favole, i miti,
l'adorazione di oggetti naturali, terribili o affascinanti, nocivi o benigni, la particolare idea della forza, il feticismo e il
totemismo, il culto degli animali e delle piante, il demonismo". Attenti che in tutti questi fenomeni, per quanto eterogenei
tra loro e lontani dalla vera religione, si faceva sensibilmente presente e riconoscibile un comune momento e cioè un
momento numinoso (da "numen"). In tutti questi fenomeni c'è quindi un momento comune, cioè il momento numinoso.
Torneremo subito su questo concetto e ci torneremo perché il sacro, per Otto, è il numinoso.
Siamo giunti, finalmente, ad avere una più chiara definizione di cosa intenda Otto quando si parla di sacro (o numinoso).
UN ESEMPIO DI COME FUNZIONA IL SACRO (O NUMINOSO) NELLA RELIGIONE - IL CULTO DEI MORTI
Facciamo un esempio che ci chiarifichi cosa intende Otto quando parla di esperienza del sacro e di momento numinoso. Tra
le varie cose/esperienze che Otto cita come esperienza del sacro...Tra le varie esperienze che Otto cita come precondizione
del fondamento di una religione, ad esempio, c'è il culto dei morti. Con il culto dei morti molto probabilmente nasce la
cultura, in quanto è un livello di astrazione che richiede una capacità cognitiva elaborata. Cosa intende Otto per culto dei
morti? Il culto dei morti, per Otto, non deriva da una teoria animistica, teoria secondo la quale il primitivo si immagina vivo
e operante ciò che è senza vita, quindi anche i morti (la teoria di una presunta animazione universale, teoria che si fonde
con l'animismo); ma, in realtà, Otto dice in modo crudo che "il morto diventa significativo per il sentimento (ecco la
conoscenza emotiva di un'esperienza) soltanto quando fa venire la pelle d'oca. Questo capita sia all'ingenuo che a chi
ingenuo non è più e capita con una tale e immediata forza emotiva che lo accettiamo come un'ovvietà e non lo discutiamo;
tutto questo, senza renderci conto che nella considerazione di qualcosa di simile al far venire la pelle d'oca, sorge un
sentimento nuovo, particolare e del tutto autonomo per il suo contenuto emotivo". L'esperienza della morte/del morto, ma
comunque ogni altra esperienza che sia grado di far venire la pelle d'oca, è un esperienza ineffabile. Su queste esperienze
ineffabili si costruisce un discorso: ecco qua il passaggio dal mytos al logos, cioè da ciò che è mitico e quindi da
un'esperienza originaria raccontata con storie mitiche, a un discorso razionale e organizzato.
Proseguendo, Otto scrive che "le risposte emotive naturali, di fronte alla morte, sono di due generi diversi: da un lato la
ripugnanza per la putrefazione e l'odore disgustoso; dall'altro la paura della morte e lo spavento come sentimento di
minaccia e di paralisi". Ecco, questo della morte è proprio un esempio puntuale. Cioè a dire che quando parliamo di morte
come precondizione (il sacro) per l'affermarsi di una religione, facciamo riferimento a un'esperienza che tocca l'emotività,
facciamo riferimento a un'esperienza profonda e che pur tuttavia è ineffabile. Esperienza che alcune istituzioni, appunto le
religioni, tentano di rendere esplicita. Infatti, la morte occupa un posto importante all'interno delle religioni. E infatti, chi fa
oggi i discorsi sulla morte? Le religioni hanno organizzato un discorso intellegibile sulla morte alquanto complesso. La
morte, in questo senso, occupa un posto importante all'interno delle religioni. Ma ripetiamo, tutto nasce da un'esperienza
prerazionale.
1. LA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA
Già abbiamo detto che nell'esperienza del sacro, l'attore sociale mette insieme l'elemento irrazionale con l'elemento
emotivo. Un primo collegamento: irrazionale sta tutto nell'esperienza emotiva che si fa del sacro. Come fare a dire i
sentimenti? Alcuni sentimenti sono semplicemente ineffabili. Alcune esperienze della vita sono semplicemente ineffabili.
Quindi, l'attore sociale, nell'esperienza che fa del sacro, sperimenta l'irrazionalità; ma attenti, allo stesso tempo tenta di
rendere conoscibile e quindi trasmissibile e quindi ancora razionale la sua esperienza. Bisogna riscattare la dignità
dell'irrazionale. Sì, perché l'irrazionale ha un posto, non soltanto dignitoso, ma di eccellenza nelle nostre vite; e questo è
vero quanto è vero che compiamo decisioni fondamentali su base irrazionale (la vita è un susseguirsi di scelte irrazionali).
Cosa vuol dire questo elogio del irrazionalità? Non è, infatti, che questo elogio sia fine a se stesso, anzi. Con questo elogio
vogliamo trasmettere che quando parliamo di significati ultimi (perché di questo stiamo parlando quando parliamo di
religioni) non è più in ballo una razionalità logico-deduttiva (di tipo tecnico), ma è in ballo un sapere che rende ragionevoli
alcune scelte e meno ragionevoli altre. Il mondo delle religioni, e qui Otto si schiera apertamente, affronta con estrema
difficoltà la sfida dell'Illuminismo e noi diamo per scontato che la razionalità sia l'unico elemento in grado di giudicare vero
da falso. Ma quando noi ci muoviamo nell'ambito dei significati ultimi, dobbiamo creare uno spazio di plausibilità per quello
che abbiamo etichettato come "sacro". Poi si apre una partita enorme su come lo riempiamo questo spazio, il sacro: ad
esempio, credenza negli ufo, nel Vicenza, nella sinistra politica... Questa forza, il sacro (una forza che permette di rendere
plausibile il fatto che a capo di un sistema razionale ci sia un qualcosa di irrazionale), chiamata da Otto "numen" -forza che
è irrazionale-, è una forza alla quale possiamo accedere attraverso le emozioni, attraverso quindi dei sentimenti.
Volendo riassumere questo primo passaggio, diciamo che qui viene ad essere descritto il rapporto ineffabile tra l'individuo
e una potenza misteriosa, la quale, come vedremo, è al contempo "tremendum et fascinans" (che fa paura e che affascina).
Questo è il sacro (per Otto, il "numen"): una forza che incute paura, ma che, allo stesso tempo, affascina.
2. LA PROSPETTIVA FOLOSOFICO-METAFISICA
Quando diciamo "a priori" ci viene in mente Kant. L'"a priori", per Kant sono delle categorie pure/a priori che vengono
prima dell'esperienza. Otto parla di un "a priori" religioso: il noumen è l'"a priori" religioso. Il senso è che, secondo Otto, gli
esseri umani sono in grado di percepire il sacro, il quale sacro -ecco il punto decisivo, e qui chiaramente strapazza quanto
ha detto Kant- porta all'esperienza del noumen (del sacro). Di più, Otto ci dice che il noumen porta a questa esperienza non
in quanto la inventa/non quanto la costruisce socialmente (questo è il punto decisivo del sacro), ma in quanto il noumen
esiste/c'è a priori. Quindi, secondo Otto c'è una realtà oggettiva là fuori di cui il soggetto fa esperienza e questo a seguito di
questo "a priori" religioso. Esempio: noi sappiamo che il nostro udito è allenato per percepire un tot di frequenze. Tuttavia,
noi percepiamo dei suoni che vanno da una certa frequenza e fino a una certa frequenza. Ma ciò che sta sopra e sotto non
lo percepiamo. Tuttavia questo non vuol dire che non esiste quello che non riusciamo a percepire; vuol dire semplicemente
che ci sono delle frequenze che non riusciamo a percepire. Questo "a priori" religioso ci rende capaci di percepire "le
frequenze" del noumeno, frequenze che se sono "ultrasuoni", io non le percepisco (ma attenti, ci sono). Otto deve litigare
concettualmente non solo con Feuerbach, ma anche con Durkheim (dove lui diceva "questa è costruzione sociale") con
Freud (dove lui diceva "questa è nevrosi"). Per Otto, adesso non si tratta né di costruzione sociale, né di nevrosi (sono
esempi di ragionamento filosofico precedente), ma si tratta del sacro. Per Otto, quindi, il sacro esiste ed è esperenziabile
("si chiama società"). Una tale contrapposizione tra Otto e "tutto il resto del mondo" viene fatta in nome del lemma
"ideologia" e questo nel senso che gli opposti fronti, per screditare l'altro, etichettano come ideologica la posizione
dell'altro.
In definitiva, l'approccio filosofico-metafisico di Rudolf Otto tiene in conto di un "a priori" religioso, questo in termini di
un'impostaizone filosofica abbastanza fragile, ma che però tende ancora una volta a far percepire come il noumen sia
irrazionale. Cioè questo "a priori" è qualcosa che non dipende dal discorso/dalla realtà costruita dalla religione, ne è
indipendente.
3. LA PROSPETTIVA STORICO-COMPARATIVA
Qui, Otto, pur avendo studiato dove insegna Ernst Troest, non riprende il suo maestro. Anzi, qui riprende e mette a punto
una questione metodologica già affrontata da Max Weber e cioè la questione dell'avalutatività. Perche, capiamo bene,
essere avalutativi quando "quando apri la pancia e tagli l'appendicite" è relativamente facili; ancora, essere avalutativi
quando "studi un partito politico" è ancora relativamente semplice; ma quando "studi le religioni", essere avalutativi
diventa molto molto difficile.
Su questo approccio solleviamo una questione, la questione del metodo comprensivo (ci si accende una lampadina in testa
che richiama al "comprendere weberiano"). Otto sostiene che le religioni possono essere comprese solo da un punto di
vista interno, altrimenti -e veniamo al nostro caso- applicando la razionalità occidentale rischieremmo di uccidere
significato di una religione orientale (ad esempio). Per capire davvero una religione bisogna entrarci, farne esperienza e
applicare le categorie che sono proprie di quella religione.
DAL LIBRO...
La parola sacro deriva dal latino, sacer. Questa è usata con significato ambivalente, vuol dire cioè "ciò che è consacrato agli
dei" e nello stesso tempo "ciò che suscita orrore". In merito alla prima accezione notiamo come il termine "sacerdote"
designa appunto colui il quale compie il sacrificio.
Ad ogni modo, il sacro si connota come una forza potente, misteriosa e inquietante che riempie di un'energia particolare e
nuova chi riesce ad averne esperienza.
L'esperienza del sacro può dare luogo a varie forme di atteggiamenti e conseguenti comportamenti. A primo acchitto, è
possibile rilevare due diverse modalità del sacro a partire da a seconda come questo sia percepito:
- sacro come immanente. È l'idea più propriamente orientale di sacro, per cui questo risiede o nel mondo che ci circonda o
ancora in noi stessi;
- sacro come trascendente. È l'idea più propriamente occidentale del sacro, per cui questo risiede in una divinità che è al di
là del mondo terreno e che è a lei che si deve la creazione di tale mondo terreno.
Come misurare, allora, l'esperienza religiosa?
- variabili sostantive. Misurano il tipo di emozioni che l'esperienza del sacro suscita negli individui;
- variabili nominali. Classificano le definizioni che i soggetti intervistati assegnano alla realtà radicalmente altra percepita;
- variabili analogiche. Consentono di comprendere se le emozioni o le esperienze provate rispetto al sacro sono simili o
diverse;
- variabili di contesto. Tendono a precisare i contesti entro i quali un individuo dice di aver esperito il sacro.
In ogni caso l'esperienza religiosa si presenta come una tipica peak experience, ovvero un'esperienza d'apice, che riempie
totalmente la coscienza individuale.
Il campo delle nuove forme del credere è stato occupato da un lato dal New Age e dall'altro dai tanti centri di meditazione
e di benessere spirituale che popolano le nostre società. In tutte queste esperienze l'individuo ricompone un universo di
credenze e pratiche traendole da diverse tradizioni religiose che nel mercato dei beni simbolici circolano in libertà. Si parla
proprio, in tal senso, di pocket religion, ovvero di religioni tascabili costituite per assembramento.
Misurare questa nebulosa non è sempre facile, e comunque risultano migliori i metodi qualitativi.
LA PRATICA RELIGIOSA
La pratica religiosa consiste in prima istanza in un insieme di azioni manifeste atte appunto a manifestare l'appartenenza a
una determinata religione.
È fin dalle sue prime mosse nel campo religioso che, per la sociologia, l'analisi dei flussi domenicali è stata centrale. Questo,
tanto in quanto la pratica religiosa è un fatto sociale facilmente rilevabile e traducibile in frequenze statistiche trattabili in
base a variabili standard.
Dal vasto capitale di conoscenze che si sono venute accumulando nella sociologia della religione, negli ultimi quarant'anni si
possono ricavare utili indicazioni di carattere generale:
- innanzitutto la stretta correlazione, sia in senso logico e sia in senso statistico, tra esperienza, credenza e pratica religiosa;
questo, il risultato di un'indagine condotta in una grande città tedesca occidentale da Ursula Boos-Nunning;
- inoltre, la pratica religiosa può essere trattata come indicatore del grado di appartenenza a un gruppo religioso
determinato, ma, probabilmente, va tenuta distinta, dal momento che si possono dare tipologie di praticanti con basso
senso di appartenenza (come accade nella società contemporanea in molte chiese). A questo proposito ricordiamo come
Allport distingueva tra religione intrinseca ed estrinseca: la seconda era un sistema di credenza religiosa che si manifestava
in una pratica esteriore, non vissuta in modo convinto e profondo, ma piuttosto, a volte, in maniera strumentale; la prima
caratterizzava un tipo di credenza e pratica religiose nella quale un individuo è più intento a servire la propria fede che a
servirsi di essa. Entro questi due ideali estremi, diceva Allport, c'è un continuum lungo cui collocare forme intermedie di
partecipazione religiosa.
DEFINIZIONE. La pratica religiosa è la messa in atto da parte di un credente di un insieme di prescrizioni rituali che una certa
credenza religiosa impone perché l'adesione a tale credenza risulti visibile e verificabile. Elementi peculiari della pratica
religiosa:
- AUTORITÀ. L'esistenza di un'autorità religiosa che stabilisca la coerenza tra atteggiamenti di credenza e comportamenti
rituali conseguiti.
- RITUALITÀ. L'esistenza di un dispositivo di riti ripetuti nel tempo è celebrati solo in particolari spazi sacri.
- CORPO DI SPECIALISTI. Una dicotomia tra le autorità religiose e chi, più o meno passivamente, è chiamato a partecipare
alla vita religiosa.
Alla luce di questi elementi, le variabili che abitualmente vengono usate nel determinare la pratica religiosa sono:
- la partecipazione a riti e a servizi ufficiali;
- la partecipazione a pratiche rituali non ufficiali (che possono svolgersi non necessariamente in forme e luoghi pubblici);
- la partecipazione invisibile e personale (recitare preghiere, leggere testi di carattere religioso, meditare su testi sacri,
svolgere pratiche ascetiche private e così via).
A seconda dei diversi contesti religiosi, possiamo avere vari tipi di pratica rituale, ma alcuni tratti restano costanti, in
particolare due:
- nella pratica gli individui sperimentano il grado di costrizione collettiva che il contesto socioreligioso più vasto esercita;
- la pratica può esprimere, accanto alla sua funzione fondamentale e originaria (ovvero manifestare una certa esperienza e
credenza religiosa), altre funzioni, come quelle politiche e culturali.
Un autore che ha cercato in tempi recenti di impostare un'analisi sistematica sulla pratica religiosa è stato Gabriel Le Bras.
Lo studioso francese riteneva che lo studio della pratica religiosa dovesse essere condotto con un metodo, infatti, a tutto
tondo, collocandola cioè nel contesto storico, territoriale e istituzionale delle diverse realtà regionali (francesi, ma vale
anche per casi più generali). L'idea di fondo di Le Bras è che la pratica religiosa spieghi il senso di identificazione dei fedeli
alla propria chiesa di appartenenza. Perciò la pratica religiosa veniva vista come valori comuni condivisi da una comunità
territoriale, dunque luogo empiricamente osservabile dal quale comprendere la vitalità religiosa, ovvero la capacità di una
religione di riprodursi nel tempo in forme non solo routinarie e istituzionali, ma come tessuto di rapporti sociali e culturali
più vasti. Le Bras ha ispirato generazioni di sociologi, soprattutto di area cattolica. Ne è derivato un modello di analisi, che
viene abitualmente etichettato come "sociografia religiosa", ovvero una traduzione statistica di comportamenti rituali
religiosi. ...e infatti, tra le critiche avanzategli, una è che questo modello tende ad appiattire comportamenti o
atteggiamenti religiosi derivanti da sistemi simbolici complessi entro pure medie statistiche; di qui, l'idea di ricorrere al
metodo biografico (storie di vita) per cogliere il senso religioso soggettivo. Più secondo altri ricercatori, nella società
contemporanea la religione tende a diventare sempre più un fatto privato, vissuto in forme implicite; l'accento allora si
sposterebbe sulle forme non istituzionali del vissuto religioso, con conseguente necessità di attrezzarsi metodologicamente
a tale scopo.
Lo spostamento dal visibile all'invisibile, dall'esplicito all'implicito, può essere spiegato anche in altro modo. Sino alla fine
degli anni sessanta le società erano molto meno differenziate e complesse di quelle che si sono venute delineando negli
ultimi venti anni. Nelle prime l'elemento socioreligioso (la centralità della Chiesa) era il centro di gravità della società tutta,
nelle seconde l'impatto sociale del socioreligioso è invece diminuito (messo in discussione dalla presenza nel mercato di
beni di salvezza, di altri concorrenti religiosi o parareligiosi). Nel momento in cui ciò accade, la pratica religiosa. Perde il suo
connotato di modalità per esibire fedeltà e condivisione. In definitiva, come ha notato Wilson, secolarizzazione religiosa e
differenziazione del sistema sociale hanno determinato che la religione non fa più parte del tessuto sociale profondo della
vita comunitaria.
Oggi registriamo due peculiarità religiose circa la pratica:
- una ripresa di visibilità delle religioni nella sfera pubblica e soprattutto nell'azione politica diretta;
- la nascita di movimenti radical-religiosi in campo musulmano che praticano apertamente la lotta armata e ricorrono
spesso a metodi propri del terrorismo oppure rivisitano le tecniche di suicidio offensivo sotto nuove forme di martirio
religioso.
L'APPARTENENZA RELIGIOSA
Per appartenenza religiosa si intende l'insieme degli atteggiamenti che contraddistingue il far parte di un gruppo o di
un'istituzione di tipo religioso da un lato e il complesso dei meccanismi di affiliazione, coinvolgimento e partecipazione
formale alla vita di una struttura più o meno organizzata ma sempre di tipo religioso, dall'altro.
L'appartenenza può essere descritta in termini sia spaziali che temporali, ovvero:
- in termini temporali si può ricostruire il ciclo di vita dei rapporti che un individuo ha intrattenuto con una determinata
realtà religiosa;
- in termini spaziali si possono ricostruire invece i luoghi dove fisicamente il senso di appartenenza viene più rimarcato.
L'appartenenza rinvia all'idea che un individuo nel momento in cui sente di appartenere a una chiesa o a una setta, accoglie
in tutto o in parte una serie di doveri ai quali volontariamente è consapevolmente si adegua come segno tangibile del suo
stare dalla parte del gruppo di riferimento. Il far parte implica dunque un senso di lealtà esplicito. ...e ovviamente, ogni
religione può richiedere che le si venga mostrata lealtà in maniera diversa.
Si possono distinguere tre forme di appartenenza:
1. Partecipazione con militanza. Facciamo riferimento a tutte quelle forme di pieno coinvolgimento dei credenti alle attività
religiose, garantendo funzionamento e diffusione dell'organizzazione della quale sono membri. Per membri intendiamo
allora persone di fattivo impegno e proselitismo.
2. Partecipazione senza militanza. Ci riferiamo a tutti quei comportamenti socioreligioso che pur esprimendo lealtà e
fedeltà alle forme di manifestazione esterna della credenza religiosa, tale atteggiamento non si traduce in attività di
impegno diretto per la realizzazione dei fini dell'istituzione ecclesiastica di riferimento. È ciò che accade in tutte le chiese di
matrice cristiana in Europa, ormai.
3. Militanza senza piena partecipazione. Si tratta di tutti quei casi nei quali la militanza per fede si esercita in un contesto
storico e sociale nel quale la comunità o l'istituzione o il movimento non esistono o esistono in forme non organizzate.
Questo tipo di appartenenza si ha in particolare quando una persona ritiene di dover spendere parte della propria vita a
difendere una causa religiosa pur non sentendo il bisogno di partecipare alla vita inter da dell'organizzazione di
appartenenza.
Quali sono gli indicatori dell'appartenenza religiosa? Stando alla teoria della mobilitazione delle risorse, i comportamenti
umani sono pensabili come azioni individuali che si mobilitano attorno a risorse materiali o simboliche che individui e
organizzazioni si scambiano reciprocamente.
Da qui, dunque, l'appartenenza religiosa è da intendersi come una relazione di scambio tra un sistema religioso e i suoi
fedeli. Da una parte il sistema religioso promuove attività capaci di generare e tener vivo l'interesse al proselitismo da parte
dei fedeli, dall'altra parte i fedeli si impegnano, investendo energie, in queste attività proposte dal sistema religioso.
In questo scambio di risorse, trovano equilibrio i benefici collettivi e gli incentivi materiali individuali. I primi sono quelli che
permettono all'organizzazione religiosa di resistere nel tempi; i secondi si possono distinguere in almeno tre forme:
- acquisizione di status-symbol. La religione può essere usata come un bene simbolico per marcare l'appartenenza di status.
- scambio di interessi e prestazioni sociali. Il senso di appartenenza viene determinato talvolta non tanto per ragioni di
convinzioni profonde rispetto a una fede religiosa, ma anche in base a motivi di convenienza, logiche del do ut des. Stiamo
parlando della religione di welfare, assistenziale.
- meccanismo di carriera interna all'organizzazione. Punto già di per sé molto esplicativo.
Se finora abbiano considerato l'appartenenza come una relazione più o meno stretta con un'istituzione determinata, nella
società statunitense invece si è parlato, soprattutto negli anni Sessanta, dell'esistenza della cosiddetta RELIGIONE CIVILE.
Questa nozione è stata approfondita, appunto, in terreno americano grazie all'apporto di Robert Bellah, anch'egli
americano.
Secondo lui esisterebbe nella cultura degli statunitensi una comune visione religiosa della società civile; dunque
esisterebbe un complesso di credenze, simboli, rituali civili che può essere chiamato religione civile degli americani.
Quando parliamo di religione civile, alludiamo a item del tipo:
- l'autorità del presidente è uguale all'autorità di Dio;
- i buoni cristiani non sono necessariamente buoni patrioti;
- Dio può essere riconosciuto attraverso l'esperienza del popolo americano;
- i padri fondatori crearono una repubblica unica al mondo, benedetta da Dio, quando essi scrissero la Costituzione
americana;
- i presidenti che non appoggiano la religione non si comportano moralmente bene;
- la bandiera americana è sacra.
Da qui, la religione civile si tradurrebbe ad un complesso di atteggiamenti di tipo nazionalistico. Applicabile anche ad altri
contesti che non siano quello americano.
Altro aspetto importante del tema dell'appartenenza religiosa è quello che riguarda la setta. Apporto fondamentale in tal
senso lo ha dato Wilson. Secondo lui, in base all'atteggiamento delle sette nei confronti del mondo, è possibile classificare 7
tipi di sette:
- conversioniste
- introverse
- manipolazioniste
- riformiste
- rivoluzionarie
- taumaturgiche
- utopiche
Tali sette sono poi studiate anche secondo altre due dimensioni, alto/basso livello di organizzazione e attivismo/fuga
mundi.
Ultimo importante capitolo all'interno della questione appartenenza è rappresentato dalla relazione tra religiosità ed
etnicità. In altri termini l'appartenenza religiosa, in contesti caratterizzati dal pluralismo religioso, si lega a doppio nodo con
l'identità di un gruppo etnico. Si parla in tal senso di ethnic religion, di religioni etniche, volendo significare questa
particolare fusione tra dimensione religiosa e sentimento di attaccamento ai tratti distintivi di un gruppo umano (lingua,
colore della pelle, origine storica ecc...).
LA CONOSCENZA RELIGIOSA
La conoscenza religiosa può essere vista come un complesso di definizioni e di formule che vengono sistematizzate da
esperti (teologi, sacerdoti, profeti, mistagoghi...) e che vengono a costituirsi come un sapere specialistico che soddisfa i
credenti. Occhio che solo in parte tali credenti vengono soddisfatti cognitivamente dalla religione. Difatti, ad esempio a
partire dall'esperienza del sacro che uno fa (piena o periferica) si tenderà o meno a soddisfare i propri bisogni conoscitivi
con la religione, piuttosto che con forme di intuizione diverse (musica, arte, poesia...). Ad ogni modo, la religione in termini
cognitivi si presenta come un sistema internamente coerente che cerca di offrire una risposta rassicurante sui cosiddetti
significati ultimi della vita. Ad esso, comunque, si oppongono altri sistemi che propongono, ovviamente, altre risposte e
altre forme quindi di conoscenza.
Peter Berger ha illustrato come le forme di sapere religioso si siano venute trasformando nel cristianesimo. Nella società
moderna, ad esempi, il pluralismo i culturale ha messo in crisi la certezza di possedere in esclusiva la verità, in base alla
quale le chiese costruivano una integrale e unitaria visione del mondo. Il venire meno di queste unitarie fonti di sapere
religioso ha prodotto la segmentazione e la relativizzazione dei punti di vista in campo religioso, traducendosi nella
formazione di un sapere religioso fatto a bricolage, a frammenti che ognuno cerca di costi ripresi mediando tra fonti di
informazioni diverse. ...e a partire da qui si è venuta sempre più accendete andò la distinzione tra chi conosce in modo
specialistico i contenuti e i testi di una religione determinata e la massa dei fedeli comuni.
Come si misura il grado di conoscenza religiosa? Non è facile definire se in un'altra classe di individui esista o meno un
grado di conoscenza religiosa basso o alto. Si è deciso allora di indagare sui cosiddetti quattro lati ideali di un quadrato
cognitivo (conoscenza sull'aldilà, sull'origine dell'universo, sull'origine del bene e del male, sull'origine dell'uomo). Tali
quattro lati possono essere esplorati contestualmente all'interno di ogni sistema religioso di conoscenza. L occhio
sociologico è comunque puntato non solo sulla quantità dei contenuti che il fedele di turno possiede, ma anche sulla
qualità (contenuti di cornice, oltre che quelli centrali), sulle forme sociali in cui questi vengono appresi.
Un sistema abitualmente usato nei test sociologici per misurare la conoscenza religiosa è partire dall'individuare l'immagine
di una divinità codificata da una religione e di scaturire, da lì, tutte le domande sonda del caso.
GERARCHIA INTERNA
In tutti i tipi di aggregazione socioreligiosa si crea un ordine gerarchico interno.
Primo criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose. Il punto di attacco per un analisi del modello organizzativo di una
qualsiasi realtà associativa religiosa deve essere l'analisi del fondamento dell'autorità legittima. Si possono così, in linea
teorica, distinguere quattro fondamentali modelli di autorità socioreligiosa:
- modello teocratico (l'autorità si autodefinisce come voluto dalla volontà divina -qui rientrano i cattolici-);
- modello assembleare elettivo (l'autorità deriva dall'assemblea dei credenti e viene periodicamente rinnovata o
confermata per elezione);
- modello carismatico (l'autorità è messa alla prova: chi sente di avere poteri straordinari li rivela e questi sono riconosciuti
dai seguaci);
- modello tradizionale (l'autorità riposa su una tradizione, in genere radicata nell'esistenza di un libro sacro, che si legittima
nella continua osservanza del tempo).
Altro criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose. Ci sono organizzazioni che ammettono la distinzione clero-laici e
articolano all'interno del clero una differenziazione di funzioni gerarchicamente ordinate, e organizzazioni che, invece, sono
refrattarie strutturalmente a tali distinzioni.
Nota sul clero: il clero è uno strato di persone che compie un training speciale per acquisire un habitus (comportamenti
attesi) speciale, da cui il votarsi completamente alla vita dell'organizzazione, diventandone funzionale e organico elemento.
In molte grandi religioni far parte del clero conferisce status-symbol, quindi possibilità, ma anche prescrizioni e obblighi
particolari da rispettare.
Atro criterio di analisi delle organizzazioni socioreligiose può essere lo studio dei processi di selezione, formazione e
reclutamento del personale chiamato a svolgere funzioni "sacre". Tale studio può essere condotto o in termini statistici,
ovvero analizzando la serie storica di figure presenti in un determinato campo religioso, o in termini storici, ovvero
misurando l'evoluzione dei sistemi formativi adottati da un'istituzione o da una setta per rinnovare i suoi funzionari.
ISTITUZIONE E CARISMA
Interessante studiare il rapporto, a livello organizzativo, tra istituzione e carisma. In altri termini, che cosa accade quando
alla morte di un fondatore (profeta, leader carismatico...) si pone il problema di dare continuità al carisma di fondazione. Si
tratta di capire il rapporto tra momento creativo della religione e momento organizzativo della stessa, tra effervescenza
originaria e stabilizzazione del messaggio salvifico in forme canoniche e istituzionali.
Weber affronta il problema della successione del carisma. Secondo lui, alla morte del capo carismatico le diverse religioni
mondiali hanno preso diverse vie, così riassunte:
- SCELTA, ovvero elezione secondo carisma. In questo caso la scelta crea un'organizzazione nella quale il principio di
autorità si trasmette da persona a persona. Il leader di turno è un buon performer e un buon pastore di anime.
- OGGETTIVAZIONE SACRAMENTALE, ovvero designazione del successore tramite consacrazione (successione del sacerdote
o apostolica). Chi succede per oggettivazione sacramentale acquisisce un carisma di funzione: l'autorità cioè appartiene non
alla persona in quanto tale ma all'istituzione che questa rappresenta in quanto membro più alto in grado della scala
gerarchica.
- QUALIFICAZIONE CARISMATICA DELLA STIRPE, ovvero carisma ereditario (regno o ierocrazia ereditaria). Questo è un
procedimento di successione che permette di investire un'intera dinastia o famiglia regnante del potere carismatico di un
fondatore di una religione.
A seconda, poi, dei livelli di istituzionalizzazione che una religione raggiunge nel corso della sua evoluzione, si danno
fenomeni ricorrenti di conflitti che possono convergere o sul problema della fonte dell'autorità (chi decide cosa è giusto o
non è giusto credere) o sui contenuti specifici del credere (cosa è bene o non bene credere). Il primo è un classico conflitto
di potere e il secondo è piuttosto un tipo di conflitto cognitivo-simbolico, piani che spesso si incrociano nei conflitti reali.
Si rivela comunque in questi conflitti una strutturale tensione tra la carica vitale dell'esperienza religiosa e la fossilizzazione
di un messaggio salvifico entro regole e procedure formali, rituali, istituzionali. Tensione che i movimenti religiosi, da
sempre, oggi come ieri, esprimono.
Più complessa è la casistica riguardante tutte quelle sette che praticano l'autoimmolazione collettiva in base a una visione
apocalittica che giustifica il ricorso alla violenza come forma di lotta contro il male, di volta in volta identificato
simbolicamente nell'uno o nell'altro bersaglio.
Ad esempio ci sono alcune sette che pur non rivolgendo verso l'esterno l'aggressività, praticano l'autoimmolazione dei
propri membri.
Non tutti i movimenti apocalittici sono però giunti a praticare queste forme di violenza estrema. Ci sono infatti a tutt'oggi
sette che credono nell'imminente fine del mondo che sono del tutto estranee alla logica della violenza.
Ciò che appare decisivo, in termini organizzativi, è la struttura del potere del leader: quanto più egli appare autorità
indiscussa alla quale si deve obbedienza, tanto poi l'esito violento dell'agire religioso risulta facilitato.
IL CONCETTO DI SECOLARIZZAZIONE
dal punto di vista etimologico secolarizzazione deriva dal latino "seculum", che significa "mondo" o "età" oppure "secolo".
Introduciamo alla differenza tra clero religioso e secolare: il religioso è il personale religioso che vive la vita religiosa stretta
nei conventi (es i frati del santo); il clero secolare sono invece i preti che vivono nel secolo, cioè nel mondo (es i parroci).
Procediamo adesso alla definizione... Nel diritto canonico, la secolarizzazione è quel processo legale mediante il quale una
persona "religiosa" abbandona il convento per tornare nel "mondo".
L'aspetto più importante per noi (perché è a seguito di questo processo di secolarizzazione per esempio che molti
manoscritti dei monasteri sono finiti nelle mani delle biblioteche universitarie, vedi Napoleone), storicamente, il termine è
stato utilizzato per indicare l'espropriazione da parte dello Stato dei monasteri, delle terre e delle ricchezze che aveva la
chiesa dopo la riforma protestante e le cosiddette guerre di religione. ...
[L'espressione "guerre di religione" richiama alla mente l'articolo di Pierluigi Battista di cui parleremo.
Riflettere su:
Qual è il retroterra che ha portato battista a scrivere quelle cose?
Qual è l'esito di quanto ha scritto?
Questo perché ...Parlare di guerre di religione in Europa fa riferimento a un periodo molto specifico. E religioni che che
proclamano la pace sono un qualcosa di molto pericoloso]
Questo capita ciclicamente: Quando lo stato confisca beni proprietà della chiesa di maggioranza ...
Un tempo accadeva con Napoleone, oggi accade in Romania (Ciausescu confiscò moltissime chiese; dopo di lui le chiese
ritornarono alla chiesa di maggioranza; cristiani cattolici rivendicarono le loro chiese; il contenzioso è ancora aperto).
Il mondo medievale classificava il mondo secondo una struttura binaria, cioè divideva questo mondo tra la sfera religiosa e
la sfera secolare (prima distinzione) e poi divideva/distingueva tra questo mondo e l'altro mondo (seconda distinzione);
ripetiamo, una doppia divisione. Se vogliamo una sorta di dicotomia tra sacro e profano.
- Questo dualismo, dualismo religioso e secolare, era istituzionalizzato all'interno dell'intera società: cioè nella società tutto
rispondeva a questa distinzione tra mondo religioso e mondo secolare (es la teoria delle due spade, il potere spirituale e
quello temporale). Le due sfere si contrappongono con alterne vicende, ma attenti, con alterne vicende sì, ma l'una sfera ha
sempre bisogno dell'altra (qualche volta per applicare le norme più problematiche della religione; qualche volta per
legittimare il suo potere che per sua natura è di origine divina). Già abbiamo detto che questa divisione tra sfera religiosa e
secolare struttura tutta la società. Noi proviamo a pensare come questa strutturazione risponde al principio tra fede (sfera
religiosa) e ragione (sfera secolare); o alla ricerca della verità (leggendo il libro della natura o il libro della fede). Quindi,
questa strutturazione contrapponendo sfera religiosa e secolare è comunque perfettamente coerente, nel mondo
medievale. È una sintesi, questa, del mondo medievale. Oggi, questa prima divisione ha trovato delle composizioni.
Facciamo riferimento al principio di laicità per un aspetto (laicità per cui lo stato mette fuori dalla sfera pubblica tutte le
religioni, o per cui le tiene tutte dentro)... Ma in ogni caso è lo stato che detta legge su questa materia, regola le religioni.
Quindi è capovolta quella situazione nella quale l'imperatore va a farsi consacrare dal papà.
- Una parola sull'altra distinzione. Questa è un po' più complessa: la distinzione tra questo e l'altro mondo. Cos'è l'altro
mondo? C'è una divisione profonda tra l'altro mondo che solitamente viene collocato in cielo...e questo mondo che è la
terra. Da una parte c'è l'eternità, dall'altra c'è il tempo. Il tempo, in sé (lo sappiamo) non esiste, ma è una costruzione
sociale. Proviamo a pensare all'assenza di tempo; perché l'eternità comprende anche il passato, e inevitabilmente
comprende anche il presente e il futuro... L'idea che l'eternità del cielo fosse da riferimento per regolare il temporale (ciò
che succede in questo mondo) è un'idea che ha tenuto fino a pochissimi decenni fa. Questa idea ha superato di gran lunga
la scoperta che la terra non era al centro del cosmo. Il punto che questa vita non sia meno importante della vita eterna
(ecco il concetto di eternità) è un'idea abbastanza recente. Quindi, questa distinzione tra questo e l'altro mondo, ha
strutturato la vita degli attori sociali per secoli e fino a pochi decenni fa. Uno dei motivi per i quali Marx definiva la
concezione oppio dei popoli era radicata proprio in questa distinzione. Ovviamente c'è un punto di contatto tra questo e
l'altro mondo. Chi può efficacemente mettere in contatto i due mondi? L'istituzione ecclesiastica, la chiesa, la quale
regolava appunto l'accesso all'altro mondo, la quale stabiliva dove l'attore sociale sarebbe finito nell'altro mondo per
l'eternità. La forza della religione è stata quella di controllare la costruzione dell'immaginario. Questa rappresentazione che
ha strutturato la vita sociale per tanti e tanti secoli dimostra il potere della religione nello strutturare l'immaginario,
operazione raffinatissima. Noi non sappiamo ancora quali siano le conseguenze di internet a livello di costruzione del
nostro immaginario; sappiamo però che tutto possa essere reversibile ("start again") ma non tutto nella realtà è reversibile.
E ecco quindi che la religione, intesa in senso medievale, ha costruito l'immaginario con questa vita che dipendeva da chi
regolava l'eternità e c'era un'istituzione legittimata a regolare i transiti tra l'aldiquà e l'aldilà. La vita, prima, era da vedere in
previsione del l'eternità, dell'aldilà.
Noi oggi siamo secolarizzati perché
1. Non distinguiamo più tra sfera religiosa e sfera secolare, o meglio distinguiamo le pertinenze, ma la sfera religiosa è per
coloro i quali credono in una religione, punto. Nel mondo medievale la non credenza era ipotizzabile di nascosto per soli
pochi amici; però la societas era una societas regolata religiosamente. E la religione legittimava anche l'uso della violenza,
talvolta. Non prevedeva una zona franca, ma copriva tutto il tessuto sociale. Bene, una prima secolarizzazione oggi riguarda
unificazione di questi due mondi in cui la sfera secolare regola la sfera religiosa (processione? Il parroco chiede al comune).
Noi oggi abbiamo superato questa dicotomia. Mentre nel nostro mondo medievale c'era il mondo della religione il quale
prevaricava il secolare in quanto a autonomia.
2. Collassa anche la distinzione tra l'altro mondo e questo mondo. Viene a collassare perché anche per chi crede, l'altro
mondo non è più contrapposto a questo mondo. Cambiamento enorme anche per i credenti. Cosa vogliamo dire? Che noi
non classifichiamo più il reale contrapponendo questa vita e ritenendola falsa con un'altra vita dopo la morte che
etichettiamo come vera; oggi noi siamo coscienti che l'eternità non è un dopo, ma è un già. Per cui anche chi crede,
affermando che già il presente è eternità, valorizza il cosiddetto aldiqua. Non ê più una vita spuria, falsa, irreale. Per cui,
tutti quegli elementi che giustificavano la divisione tra aldiqua e aldilà, oggi non reggono più la distinzione che veniva fatta
nell'epoca se vogliamo tradizionale. Per cui, la stessa teologia, ha recepito al suo interno questo cambiamento: a stessa
teologia non parla più dell'aldilà come la vera vita e dell'aldiquà come una vita spuria, falsa; ma parla dell'aldiquà come una
vita degna di essere vissuta, ma non solo, una vita che anticipa la vita eterna. Approccio che quindi come vediamo non ha
cambiato solo il senso comune, ma ha cambiato proprio il modo in cui crediamo.
Parlavano delle rappresentazioni "medievali" del mondo, cioè quella separazione tra questo mondo e l'altro mondo e tra la
sfera religiosa e la sfera secolare. Il processo di secolarizzazione ha portato al superamento di questo dualismo... E la forza
della religione nell'epoca tradizionale consisteva proprio in questo: nell'imporre questa rappresentazione dell'aldilà che
aveva ovviamente conseguenze sull'aldiquà. E tutto ripondeva a questa rappresentazione. Oggi questa separazione non
regge più, nemmeno per le narrazioni di carattere teologico: a narrazione teologica oggi narra di un mondo che è in
continuità con queeello dell'aldilà, quindi paradossalmente si è secolarizzata, se vogliamo utilizzare questa categoria. Cioè,
noi crediamo in altre forme di virtualità; se noi incrociamo il virtuale con il trascendente in un'epoca in cui si sta affermando
la post-verità. Quindi verità in sé, oggi, è un concetto non non antiquato, ma neanche alla moda; per cui, quando si parla
dei fatti sociali che condizionano le nostre esistenze, bisogna stare attenti in che materia/maniera se ne parla.
Come cambia la religione in questa epoca? Nell'epoca in cui la diff tra reale e virtuale sfuma, la rel ne è indebolita o
rinforzata? Di più, quando i nuovi media sono presi davvero sul serio (interattivi), la rel ne trae beneficio o è messa sotto
scacco? Sta di fatto che la rel oggi non regola più la vita sociale così come la regolava in regime di cristianità. Quindi oggi il
mondo è profondamente secolarizzato perché non poggia più su queste distinzioni "medievali".
Chiudendo questo secondo approccio sul declino della religione possiamo dire che qui c'è stato un grande fraintendimento,
nel senso che confondere alcuni elementi della rel con la religione tout court significa non interpretare correttamente ciò
che sta avvenendo nel campo religioso; qui non si ragiona secondo termini di presenza scomparsa, ma a secondo termini di
cambiamento/trasformazione. Non cosa succede alla religione, sottintendendo che scompare; ma come si trasformano le
religioni in un contesto in cui non c'è più pratica costante...qual è il ruolo dell'istituzione religiosa quando i soggetti non
rispettano più delle indicazioni etico-morali. Questo ci chiediamo come studiosi della religione (non scompare, ma si
trasforma -ricordiamo il passaggio da i valori non negoziabili al chi sono io per giudicare-).
È un punto, questo della privatizzazione, sul quale oggi si gioca la convivenza tra le religioni, nel senso che un approccio di
laicità alla francese vorrebbe che le rel fossero privatizzate nel primo modo accennato: ciascuno può credere in quello che
vuole, patto che quando esce da casa sia neutro nei confronti della rel. Ma la religione non funziona così, perché per loro
natura, tutte le rel hanno una visibilità. Quindi un punto, questo terza accezione, ha ragione per certi aspetti (sfera privata),
ma non ce l'ha per altri (sfera pubblica). Quindi l'idea di relegare le rel nella sfera privata è un idea semplicemente
sbagliata. Questo bisogno del pubblico, oggi è reso evidente, già solo per la presenza di una pluralità di religioni. E quella è
la posta in gioco: riuscire a far stare insieme approcci religiosi diversi, autorizzando le rese pubbliche di tutte le rel
contemporaneamente nello stesso spazio/territorio/contesto sociale.
DAL LIBRO...
RELIGIONE: INNOVAZIONE O CONSERVAZIONE?
A lungo si sono fronteggiate due prospettive (e continuano ancora oggi a fronteggiarsi), una che assegna alla religione una
funzione di integrazione sociale -o conservazione sociale- (funzionalismo, marxismo) e l'altra che vede in essa un elemento
di innovazione sociale (teorie del conflitto). Chiariamo in che modo si legano al termine religione i due concetti
apparentemente in sintesi di conservazione e innovazione.
Conservazione rinvia all'idea che la religione svolta funzioni di integrazione sociale, di centro di produzione di valori
socialmente condivisi, di punto di riferimento ideologico universale per definire gli ambiti di condotta di altre sfere
dell'azione umana (morale, politica, economia ecc...), valido per gruppi particolari come per popoli interi. Dunque la
religione, una volta istituzione e quindi divenuta un codice di condotte e di simboli da rispettare, può diventare uno
strumento di conservazione dell'ordine esistente e freno a ogni forma di dialettica di posizioni sociali che premono per il
cambiamento della situazione esistente. Questo modo di ragionare vive ancora oggi in contesti diversi: è la spina dorsale,
ad esempio, dei fondamentalismi religiosi contemporanei (vedi Iran e USA).
Con il temine innovazione si intende genericamente un complesso di trasformazioni più o meno profonde che intervengono
nel tessuto sociale e che possono interessare più sfere della società stessa. In campo religioso, sono in teoria possibili
almeno due modelli di trasformazione:
1. La trasformazione per via carismatico-profetica (la tipologia della profezia etica, secondo Weber). È il caso di figure
profetiche, carismatiche e ascetiche che' più o meno chiaramente. Hanno in mente un progetto di riforma religiosa ed etica
complessiva, un'idea di salvezza dell'uomo fondata sulla critica esplicita alle tradizioni religiose esistenti e dominanti. Un
esempio è Cristo, una potente figura di innovatore religioso, che, partendo dalla tradizione ebraica, la reinterpreta e la
modifica profondamente, entrando in conflitto con l'ordine sacro esistente e proponendo una via di salvezza universale.
2. La trasformazione per via di movimenti collettivi che si creano attorno a figure di maestri spirituali non interessati a una
riforma sociale ma piuttosto a una rivoluzione interiore (la tipologia della potenzia esemplare, secondo Weber).
C'è poi un terzo tipo di profezia weberiana, la profezia politica; spieghiamolo così: ciò che appare immediatamente come
principio di opposizione sociale e politico a un ordine esistente, al di là delle intenzioni e previsioni del portatore del
messaggio, poi si dimostra avere effetti inaspettati in termini di cambiamento sociale. L'idea è che a partire da un profeta
politico si innescano azioni collettive che sono di base, appunto, economico-politica, che solo poi si riscoprono anche
religiose e che infine producono effetti inattesi, tanto sulla società globale, quanto sull'evoluzione interna (vedi ambito
religioso).
Se applicassimo un concetto caro alla scienza economica, il fondatore di una nuova religione è come un intelligente
imprenditore, il quale, cogliendo i bisogni e le attese dei tempi, introduce un prodotto nuovo che cambia le abitudini
quotidiane e mentali, veicolando in questo mondo di valori, modelli di condotta e visioni del mondo. Effetti di questa messa
sul mercato, comunque, non controllabili al 100%. La stessa cosa avviene per gli imprenditori religiosi che, appunto, non
sono un grado di misurare tutti gli effetti innovativi che essa può produrre e il tipo di concorrenza che può suscitare
nell'avvenire.
Appare comunque chiaro che la funzione innovativa della religione si accompagna spesso all'insorgere del carisma, cioè di
figure portatrici di un dono particolare riconosciuto collettivamente.
Si può affermare, a conclusione di questa analisi relativa al l'alternativa innovazione/conservazione, come, in realtà, le due
possibilità costituiscano aspetti reali del conflitto socioreligioso, sì, ma che dipendono dai diversi contesti sociali e storici in
cui si innestano. Non va dimenticato infatti che la religione è spesso la forma attraverso la quale le divisioni ideologiche
presenti in una determinata società prendono corpo.
LA SECOLARIZZAZIONE
Il termine, nella sua primitiva accezione, indica il processo di sottrazione di un territorio o di un'istituzione alla giurisdizione
e al controllo ecclesiastico. Appare storicamente durante le trattative per la pace di Westfalia nel 1648.
Più in generale il termine evoca tutti quei processi di laicizzazione della cultura che, a partire dalla crisi della società feudale
e dalla nascita della società moderna, si affermano nell'area europea.
Il concetto così delineato va tenuto distinto dal secolarismo, che invece rappresenta una vera e propria corrente ideologica
che programmaticamente persegue l'obiettivo di liberare la società da ogni sorta di influenza religiosa e che, a volte, si
associa alle forme di ateismo di Stato.
Per le chiese, dunque, la secolarizzazione rappresenta una minaccia, il prodotto nefasto dell'avvento del mondo moderno.
In sociologia della religione il concetto viene elaborato già a partire dai classici. Comte fa coincidere la scomparsa della
religione (secolarizzazione) con l'avvento della terza fase di sviluppo evolutivo delle società umane, quella segnata dalla
scienza, la tecnologia e l'industria. È Weber, soprattutto, che riflette in modo ampio sul concetto quando parla del
"disincantamento del mondo" che si produce nelle società capitaliste con l'affermarsi da un lato dell'impresa moderna,
dall'altro con la costituzione degli Stati con apparati burocratici. Disincantamento nei confronti del sacro e delle istituzioni o
religiose.
Questo processo si realizza storicamente in Occidente con l'accentuarsi della separazione tra sfera economica e politica
della sfera religiosa. Il venir meno della funzione sociale della religione di chiesa è visto, dunque, come un processo di
enancipazione dell'individuo dalla tutela delle istituzioni ecclesiastiche e come affermazione radicale e totale della sua
autonomia. Il processo è considerato, da Weber come da Simmel, come una tendenza irreversibile.
Dunque la secolarizzazione è una forma super affermare il carattere definitivo della razionalizzazione di tutte le sfere della
vita sociale, razionalizzazione che rende la religione e il riferimento al sacro non più rilevante nell'azione collettiva e
individuale.
Negli anni Trenta e Quaranta del '900, il concetto di secolarizzazione subisce una torsione di sifgnificato; soprattutto in
Germania il termine viene utilizzato dai teologi protestanti per formulare un'ipotesi pessimistica sull'avvenire della società
europea: il disincanto della società porterebbe l'uomo ad agire senza morale, da cui la barbarie della guerra e dei regimi
totalitari moderni.
Il tema della secolarizzazione, dopo questa parentesi della Seconda guerra mondiale, torna con forza al centro
dell'attenzione dei sociologi. Il problema viene affrontato nell'ottica dell'osservazione empirica dei reali processi di
disincanto. Il ragionamento che guida gli studi può essere sintetizzato nel modo seguente:
- la secolarizzazione è un processo reale connesso all'avvento della società industriale e urbanizzata;
- secolarizzazione vuol dire non tanto lo sradicamento dal cuore dell'uomo del bisogno di trascendimento o di esperienza
religiosa, ma il venire meno della funzione pubblica della religione e il fatto che la religione diventi sempre più un fatto
privato (Luckmann);
- secolarizzazione vuol dire quindi crollo del sistema magico-sacrale di spiegazione del mondo, ma non eliminazione della
spinta antropologica a ricercare un'esperienza con il radicalmente altro (Acquaviva).
Tutto ciò impone un mutamento nelle strategie delle chiese e l'adattamento al nuovo dei tradizionali modelli di
socializzazione religiosa, ritenuti non più validi e all'altezza dei tempi.
Per circa un ventennio i sociologi della religione hanno dibattuto circa la bontà del concetto e circa la possibilità di tradurlo
in indicatori capaci di misurare comportamenti e atteggiamenti reali. In realtà, spesso dietro la presunta fondatezza del
paradigma, si celava un atteggiamento pregiudizialmente critico nei confronti della religione, ovvero è come se ci fosse un
assunto implicito, quello del declino della religione, declino irreversibile nelle società moderne. Tuttavia apparivano
evidenti i sintomi di una nuova vitalità delle religioni e del cristianesimo, in particolare, in America Latina, Asia e Africa.
Acquaviva a tal proposito parlava di "eclisse del sacro", come ad indicare che tale eclisse fosse un fenomeno passeggero e
che dunque che si sarebbe assistito alla rinascita del sacro stesso.
Più recentemente, Beckford ha fatto notare che il concetto di secolarizzazione, se non viene usato in modo ideologico, può
essere un utile strumento per comprendere e classificare un ampio numero di fenomeni sociali (non solo strettamente
religiosi) che possono caratterizzare una società rispetto ad un'altra. Anche in Beckford, comunque, si celava il presupposto
che la religione fosse di volta in volta, un qualcosa di regressivo che non avrebbe retto all'avvento di una società dove la
scienza occupava un ruolo centrale nella spiegazione e comprensione del mondo che ci circonda.
Parliamo adesso delle linee portanti che sorreggono le DIVERSE IMPOSTAZIONI FEORICHE SULLA SECOLARIZZAZIONE. I
principali filoni interpretativi sono:
1. FILONE FUNZIONALISTA. In questo ambito si collocano tutti quei sociologi che ritengono che la secolarizzazione sia un
processo di separazione e differenziazione funzionale fra religione istituzionalizzata e credenza, ovvero tra il sistema dei
significati ultimi che ogni individuo tende a costruirsi e le istituzioni religiose. La separazione favorirebbe la crescita
dell'autonomia degli individui e dei sistemi di credenza allo stesso tempo.
2. FILOME FENOMENOLOGICO. L'affermarsi, nelle società moderne, di forme di pluralismo culturale mette in crisi tutte
quelle istituzioni che nel passato avevano prodotto universi simbolici che pretendevano di dare conto di tutta la realtà
sociale. Gi individui nella società pluralistica tendono a farsi una propria religione: la religione quindi si privatizza. Gli esiti
possibili di questo processo sono due: da una parte la religione passa da visibile a invisibile e dall'altra parte, da
un'uniformità nei sistemi di credenza si passa a una situazione di pluralismo di universi simbolici più o meno centrati
sull'asse religioso. Le chiese e le sette, di fronte al differenziarsi delle offerte religiose, tendono ad adattarvisi.
3. FILONE NEOWEBERIANO. In questo ambito la secolarizzazione è considerata come un processo oggettivo di perdita di
plausibilità delle chiese e del significato della sfera del sacro per gli individui. Questi ultimi sentono meno il richiamo alla
religione e così, in una parte di essi, si fa strada l'idea che non sia necessario compiere nessuna scelta di tipo religioso. Si
afferma così un credo secolare, ovvero una visione del mondo relativistica che mette tra parentesi il fatto religioso.
4. FILONE SOCIOBIOLOGICO. Secondo questo approccio la religione appartiene alla sfera dei bisogni geneticamente
programmati per dominare la paura della morte e la volontà di amare e di essere amati, per cui l'esperienza del sacro è
un'esigenza che si può sempre rintracciare in ogni tipo di società. Nel momento però in cui la paura della morte viene
rimossa dalla scena collettiva e l'eros subisce una mercificazione potente, l'esperienza del sacro diviene difficile e perde di
visibilità sociale: la secolarizzazione è, in questo senso, occultamento del sacro stesso, la sua improponibilità sulla scena
sociale.
5. FILONE CRITICO. Con questa formula ci riferiamo a una pluralità di posizioni convergenti nel respingere il concetto stesso
disecolarizzazione e concordi nel rintracciare in filigrana i riferimenti ideologici che si celano nelle diverse teorie sulla
secolarizzazione.
Sono tornati ad occuparsi in anni recenti del tema della secolarizzazione Peter Berger e José Casanova.
Il primo sviluppa l'idea che la progressiva autonomia degli individui nelle loro scelte religiose provochi tre possibili reazioni
da parte delle religioni istituzionali:
- SCELTA DEDUTTIVA. La riaffermazione dell'autorità della tradizione cui un'istituzione religiosa si rifà, senza
preoccupazione se ciò implichi un allontanamento ulteriore di fedeli o simpatizzanti;
- SCELTA RIDUTTIVA. Il tentativo di adattare al mondo moderno il patrimonio della tradizione, sacrificandosi in parte;
- SCELTA INDUTTIVA. La rivitalizzazione di esperienze religiose non più valorizzate ma presenti nella tradizione.
Attraverso questi tre processi le religioni o storiche sembrano in grado di reggere al confronto con la modernità e di saper
ben sopravvivere.
Secondo Casanova, secolarizzazione può significare una sorta di deprivatizzazione della religione. Con questa formula il
sociologo allude al fatto che le grandi tradizioni religiose cercano di contrastare il processo di marginalizzazione di cui sono
state fatte oggetto dall'avvento della scienza e dello Stato moderno; esse cioè si rifiutano di limitare il loro raggio di azione
alla semplice cura delle anime, ma tentano di mostrare ancora la connessione stretta della sfera appunto religiosa con
quella etica, economica e politica. Gli effetti di questo investimento di energie in campo pubblico sono due:
1. Una ripoliticizzazione della sfera religiosa pubblica e privata (vedi la religione intesa come elemento di integrazione
sociale totale ed assoluto).
2. Un richiamo pressante all'esistenza di norme etiche trascendenti che devono essere poste alla base della vita economica
e politica
La religione, secondo Acquaviva, è così entrata a far parte dell'agenda politica e della sfera pubblica dove attori religiosi poi
diversi producono un discorso pubblico sulla religione, come fattore di coesione sociale e matrice dell'identità nazionale
nonché della rinnovata retorica religiosa.
In particolare, interessante relazione a lungo studiata (e continua ancora ad esserlo), quella fra religione e classi subalterne.
- Secondo l'approccio della deprivazione relativa, gli individui appartenenti alle classi economicamente e culturalmente
meno centrali nella scala sociale sono più facilmente esposti a frustrazioni, crisi di identità, anomia... Le sette religiose,
soprattutto quelle che propongono la fine del mondo e l'avvento di un regno millenario di pace e giustizia sociale, si
mostrano più in grado delle grandi chiese di offrire una comunità che ricostruisce il senso di identità e restituisce un
orientamento al mondo della vita di individui appartenenti a classi sociali svantaggiate. Secondo alcuni studiosi, la spinta
che induce le persone ad affiliarsi a questi nuovi movimenti religiosi è il combinarsi di dinamiche sociali e sofferenze
individuali.
- Vicina alla teoria della deprivazione relativa è l'approccio della dissonanza cognitiva (Festinger). Secondo Festinger, un
modo per venir fuori dalla contraddizione nella quale una persona si trova rispetto al suo mondo di rappresentazioni è
quello di appoggiarsi a un gruppo sociale che si mostri capace di mantenere sotto controllo le dissonanze e di riassorbirle in
un nuovo sistema cognitivo apparentemente più forte e coerente.
- Altro tipo di approccio alla religione, la religione come linguaggio adeguato a classi sociali inferiori che non dispongono di
altri mezzi per esprimere la loro protesta sociale e politica, è quello della tradizione di ispirazione marxista.
L'ottica con cui si è letto il fenomeno della cosiddetta religione popolare ha permesso di comprendere che:
- la contrapposizione popolo-classi elevate non sempre funziona, dal momento che anche queste ultime a volte
partecipano circolarmente degli stessi simboli e degli stessi linguaggi usati dalle classi umili.
- la spaccatura fra religione popolare, intesa come religione spontanea, da un lato, e religione ufficiale (di chiesa) dall'altro,
è in realtà artificiosa, dal momento che le chiese spesso assimilano o assumono entro certi limiti e di tollerabilità (limiti
mobili e indefiniti) ciò che il religioso-popolare propone o impone, in un processo di scambio continuo e di dialettica
infinita.
RELIGIONE E POLITICA
Quando parliamo del rapporto tra religione e politica andiamo a parlare del tema della legittimazione politica e della
funzione che le religioni hanno in vista del raggiungimento di tale legittimazione.
Con legittimazione si intende un complesso di atteggiamenti di fiducia che i cittadini hanno nei confronti del sistema di
potere che, al momento, li governa. Legittimazione dunque è quel processo sociale che consente all'ordine politico
esistente di acquisire consenso, questo a partire dal basso.
Weber ha distinto tre tipi di legittimazione:
- RAZIONALE. Si fonda sulla credenza collettiva che esistano delle regole razionali certe alle quali i detentori del diritto si
conformano.
- TRADIZIONALE. Si fonda sulla credenza che esistano delle tradizioni intangibili che fondano i meccanismi di governo e di
potere.
- CARISMATICA. Si fonda sul rapporto tra un leader, che appare avere qualità eccezionali, e la massa che da lui attende una
nuova rinascita sociale.
La religione ha una sua rilevante funzione nei processi di legittimazione politica. Ad esempio, nella storia recente
dell'Europa, non sono mancanti esempi di Stati che fondavano la propria legittimità sul rapporto quasi religioso tra capo
carismatico e masse. Addirittura Raymond Aron ha parlato del nazismo come una vera e propria religione secolare. Ma
anche nella società contemporanea non è difficile rintracciare una casistica empiricamente rilevante circa la funzione
centrale che la religione ricopre nei processi di riconoscimento o disconoscimento di un potere politico determinato.
Chi è al potere deve, anche quando pensa di voler modernizzare e abbandonare in parte o totalmente la tradizione
religiosa, quanto meno far finta di rispettarla. Non può sbarazzarsene senza sollevare forti tensioni e opposizioni. Religione,
quindi, come sistema integrale di legittimazione della vita sociale e politica.
RELIGIONE ED ECONOMIA
Le relazioni tra religione ed economia possono essere analizzate a partire da tre grandi approcci generali, l'approccio
weberiano, quello marxiano e, infine, quello neofunzionalista.
- APPROCCIO WEBERIANO. Unareligione dominante si costituisce non solo come momento di ritualità collettiva, ma anche
come fonte di ispirazione di valori e stili di vita, orientando comportamenti anche relativi alla vita economica, oltre che a
quella etica. L'economia è, in tal senso, un campo particolarmente elettivo e adatto a mettere alla prova i talenti individuali
e misurare in termini di successo la fedeltà a principi etici e religiosi determinati (vedi il calvinismo).
- APPROCCIO MARXIANO. L'approccio marxiano, in una delle sue varianti contemporanee, vede la religione come un
involucro ideologico che nasconde agli occhi della gente la vera situazione dei rapporti economici e sociali dominanti in una
certa realtà. È dunque fattore di stabilità sociale. È, ancora, freno ai processi di emancipazione economica. È, infine, l'oppio
dei popoli.
- APPROCCIO NEOFUNZIONALISTA. Questo modo di vedere il rapporto tra religione ed economia consiste nel negare che,
soprattutto nelle società moderne complesse, la religione abbia più a che fare con la sfera economica. L'economia, dunque,
tende a funzionare come un sistema indipendente da fonti di valori morali e religiosi (se non in modo remoto).
RELIGIONE ED ETNIA
La relazione tra religione ed etnia è molto stretta. In effetti, ogni religione si costituisce storicamente come identità etnica
di un gruppo umano. Per identità etnica si intende un nucleo di simboli fondamentali in base al quale i componenti di un
gruppo umano sentono di condividere comuni valori, una storia comune e un comune destino. L'identità etnica si
costituisce nel tempo e ha bisogno di esprimersi attraverso simboli visibili che occupano spazi pubblici.
Le funzioni sociali che il principio di identità etnica svolge sono due:
- fornisce una rappresentazione dell'identità collettiva di un gruppo umano marcandone simbolicamente le differenze con
"l'altro";
- delimita simbolicamente un territorio che costituisce lo spazio vitale di un gruppo umano determinato.
Cosa c'entra allora la religione con tutto questo? La religione ha svolto e svolge il compito di sacralizzare il principio etnico,
di dare un fondamento trascendente all'affermazione dell'identità culturale di un popolo. Essa, sacralizzando è mitizzando
la memoria collettiva, tende a dare una spiegazione mitica alle origini di un popolo. Organizzando poi attraverso i riti
collettivi la celebrazione dei miti di fondazione, contribuisce a rinsaldare i vincoli di solidarietà del gruppo umano di
riferimento.
È altresì vero che le religioni, nel momento in cui aderiscono al principio etnico, tendono a superarlo, almeno quando esse
pretendono di proporsi come vie di salvezza universali, dunque come visioni etiche che trascendono la particolarità etnica
di questo o di quel popolo.
Ciò non toglie che il rapporto tra ethnos ed ethos (tra principio di identificazione di un tipo etnico e principio di universalità
di tipo etico) porti le religioni al conflitto. Si tratta di un dilemma che tocca, in specie, tutte le grandi religioni mondiali.