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Pax religiosa.

Lo spazio pubblico per la religione (e per le religioni) nell’Italia del domani


di Dana Lloyd Thomas

“Di tutte le tirannie che affliggono l’umanità, la peggiore è quella religiosa. Ogni altra
specie di tirannia si limita al mondo in cui viviamo, ma quella religiosa vorrebbe oltrepassare la
soglia della morte per inseguirci nell’al di là” - Thomas Paine

Nell’Italia del domani il posto ci sarà per la spiritualità: un posto per tutti. Infatti, nella
nuova Europa, questa meravigliosa entità che dalla Sicilia di estende fino al circolo polare artico, e
da Lisbona a Varsavia (prefigurando forse quell’Europa dall’Atlantico agli Urali che sognavamo…)
sono in atto processi di conflitto ma anche di apertura, all’interno di una società civile che tenderà
sempre di più a vivere le identità e le religioni come una grande risorsa del continente.
Se per spirituale intendiamo, in senso lato, la ricerca di un qualcosa che vada oltre ciò che si
ritiene sia il “minimo indispensabile” (oltre alla semplice sopravvivenza fisica, la realizzazione a
livello di sessualità, di autostima e di inserimento sociale) l’uomo rimane pur sempre “animale
spirituale” per eccellenza. Tra le manifestazioni dello spirito viene compresa non soltanto la
religiosità intesa nel senso stretto del rito e della preghiera, ma anche la più vasta sfera
dell’intelletto umano, elemento considerato di per sé “divino” nelle civiltà tradizionali.
Mentre esiste la vita interiore, sulla quale nessuno, in fin dei conti, è in grado di dettare
legge nei confronti del prossimo, la spiritualità si manifesta anche all’esterno, in ambito sociale,
attraverso la cultura nonché, ovviamente, il culto religioso. E quindi, esiste da sempre lo spazio
pubblico per la religione, e per le religioni: spazio che si colora di gioia o di dolore, di ricchezza o
di povertà a seconda delle molteplici vicissitudini dell’uomo.
Una visione spirituale della vita: ecco il valore che nelle lotte del Novecento distingueva
quella vasta schiera di donne e di uomini che non aderivano alla “buona novella” del materialismo
storico, che da teoria “scientifica” veniva innalzata al rango di una quasi religione, con tanto di
icone, di inni e di processioni, a sua volta posta al servizio di una élite artefice di un sistema politico
oppressivo. Mentre sono tramontati (quantomeno nel nostro mondo “occidentale”) il comunismo e
gli altri modelli totalitari, il bisogno di spingersi nell’avventura dello spirito evidentemente non
passa, trattandosi di “imperativo categorico” dell’essere umano.
Lo spazio pubblico della religione si ricollega al concetto di spazio sacro, che riguarda sia il
luogo fisico, sia la presenza culturale ed interiore. Riguardo a quest’ultimo, esiste il comune sentire
delle festività, che nasce ben prima delle relative elaborazioni teologiche, e non dipende affatto da
queste; si esprime invece un’esigenza dell’essere umano di uscire periodicamente dalla quotidianità,
atto reso alquanto più efficace quando si compie all’interno della comunità. i Esiste anche l’altra
faccia del sacro. Infatti, la categoria latina sacer sottintende anche qualcosa di inquietante, per
ricordare all’uomo – specialmente all’uomo urbanizzato e narcotizzato dalla routine quotidiana –
che si trova immerso in un universo sconfinato e difficile da comprendere, in cui basta un
avvenimento qualsiasi per metterci di fronte a qualcosa di “altro” e per scuotere le certezze interiori
costruite con cura.
Visto che l’uomo non nasce isolato, ma all’interno di una comunità con una propria storia,
egli dispone di antiche radici, le quali possono essere coltivate su più livelli, a partire da quello più
evidente, ossia la cultura acquisita in ambito familiare e scolastico. ii Le religioni fanno parte di
queste radici. E che cos’è la “religione”? Si tratta di una domanda di non poco conto, specialmente
in relazione al dibattito in corso sullo spazio pubblico da accordare alla religione in Italia e in
Europa.

1
Per rispondere a questa domanda si possono innanzi tutto accantonare i due punti di vista più
“estremi”: ossia la religione vista solo e esclusivamente come un determinato dogma, al di fuori del
quale non esisterebbe alcuna verità (la posizione integralista), oppure l’affermazione secondo cui si
tratterebbe semplicemente di un mucchio di sciocchezze (la posizione scettica ad oltranza). Per gli
esponenti degli “opposti estremismi” non ha alcun senso ragionare sul problema dello spazio
pubblico della religione, poiché gli integralisti credono di dover occupare tale spazio di diritto, e in
modo esclusivo, mentre per gli scettici ad ogni costo, la materia non ha alcuna rilevanza.
Cerchiamo di individuare come la religione si manifesta in relazione allo spazio pubblico.
Conta molto il vissuto della religione, e quindi la vasta categoria della religiosità diffusa che
vive e prospera (spesso con una buona dose del “profano”) a prescindere dall’adesione o meno ai
precetti ed alle raccomandazioni dei ministri del culto: pensiamo ai riti, elaborati attraverso i secoli,
a livello nazionale e familiare, per celebrare il Natale, la fine del Ramadam ed altre festività ancora;
pensiamo inoltre alla celebrazione di matrimoni, di funerali e di altre ricorrenze familiari e
collettive.
Un altro aspetto della religione è costituito dalle regole di comportamento morale: innanzi
tutto le regole di solidarietà e di reciproco rispetto senza i quali il vissuto sociale diventa difficile se
non impossibile, con ingiunzioni (“amare il prossimo”) e divieti (“non uccidere”, “non rubare”…).
A queste regole di indirizzo universale si affiancano le diverse elaborazioni degli esponenti
religiosi ed una serie di precetti particolaristici, legati a determinati territori ed epoche storiche:
abbigliamento, dieta, comportamenti socio-sessuali nonché interventi sugli organi riproduttivi
maschili e femminili rientrano, a torto o a ragione, nella sfera “religiosa”.iii
Esistono poi i culti organizzati con le relative strutture ed attività, più o meno estese e
radicate nelle società di appartenenza, dalle “religioni di massa” ai gruppi minoritari. Molti
possiedono i propri luoghi di riunione e di culto; reclamano la dovuta “visibilità” e sono presenti
anche in ambito culturale, economico e politico.
Esiste, poi, il fenomeno della religiosità pubblica o di Stato. Nelle pubbliche cerimonie,
talvolta in base alle disposizioni normative ma soprattutto alle consuetudini sancite dal comune
consenso sociale, sono presenti i rappresentanti dei culti più diffusi nel Paese. Talvolta queste
cerimonie si avvicinano al concetto di “religione civile”, nel senso che esiste un qualche richiamo
alla sfera spirituale o religiosa direttamente da parte dei personaggi pubblici, civili e militari.
Evidentemente, queste categorie, elencate in estrema sintesi, non sono compartimenti stagni,
isolati tra di loro e dalla società in cui si manifestano; ci aiutano invece a leggere il complesso
mondo nel quale, con il termine “religione”, si vorrebbe troppo spesso includere tutto e il contrario
di tutto, senza tuttavia mancare di rispetto alla dignità altrui.

Radici e religioni del mondo europeo

Bisognerebbe partire con un accenno alle radici europee del nostro continente, che nascono
in quel vasto mondo definito indoeuropeo (termine squisitamente culturale, e del tutto apolitico,
nato in base agli studi di linguistica comparata compiuti su popoli antichi e moderni in una vasta
area tra la valle dell’Indo e l’Europa occidentale). Un mondo dalla comune mitologia popolato da
divinità celesti e da antichi eroi, caratterizzato inoltre dallo stretto contatto con il mondo della
natura; e ciò senza dimenticare anche il richiamo ancora più antico alla “dea madre”, che riemerge
come un fiume carsico anche nella religiosità moderna. In epoca storica, una parte sostanziale, ma
non esclusiva, della “europeità” in senso moderno, nasce dalla forza unificatrice dell’Impero
romano, con la sua cultura, la sua lingua e le sue leggi.
Le radici italiane sono legate in maniera indissolubile alla civiltà grecoromana ed al suo
pluralismo religioso. Come ha osservato Vittorio Bonacci, iv riferendosi ad “una visione del mondo
legata alla Tradizione, ad una visione eroica della vita, ad una concezione aristocratica della dignità
umana”, va ricordato il contributo di insigni personaggi dell’antichità come Eraclito e Esiodo,

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Platone e Pitagora (questi ultimi vissuti in terra italica), che hanno trasmesso la dottrina della
ciclicità e dell’eterno ritorno. E poi arrivarono i lunghi secoli di Roma, con il richiamo ideale al
mito di Enea,v che fecero dell’Italia, e di una parte importante del mondo euromediterraneo, il
fulcro mondiale della civiltà, paragonabile solo a quella che fioriva, in quella stessa epoca, nella
lontana Cina.
Grazie anche al pluralismo religioso e civile del mondo grecoromano, è subentrato
successivamente il ciclo cristiano in cui si denotano alterne vicende: la divisione tra ortodossi,
cattolici e protestanti; la lunga presenza ebraica; la presenza mussulmana (giova ricordare che, fino
all’800, l’Impero Ottomano si affacciava sul Mare Adriatico); la presenza, nell’Europa
settentrionale, anche in tempi recenti, degli antichi culti etnici.
Il concetto stesso di “radici” ci impone quindi di tenere presente la variegata eredità
spirituale del continente; ciò perlomeno se vogliamo leggere la nostra storia come un continuum in
cui ogni fase rimanda ai suoi antecedenti e anticipa altre espressioni successive, e non soltanto in
termini di puri rapporti di forza (il cristianesimo posto come “religione dominante”, la ricorrente e
molto terrena “conta” degli aderenti alle varie confessioni…).
Nel dibattito in corso sulla religione in ambito pubblico si affronta spesso il tema della
tolleranza nell’ambito delle religioni ambramiche (ebraismo, cristianesimo, islam) nei loro rapporti
interni e reciproci. Un dibattito di indubbio valore, poiché dal momento che si svolge nello spazio
pubblico, gli atteggiamenti dogmatici debbono restare in secondo piano. Peraltro, esiste anche, nelle
nostre società aperte, una sempre maggiore consapevolezza riguardo alla dignità delle tradizioni
religiose al di fuori di quelle abramiche.
Trascurare, nel dibattito sulle radici europee, le religioni oltre a quella cristiana,
costituirebbe una grave omissione sul percorso ideale, e condivisa, della pax religiosa, oltre ad
essere antistorica. E a chi gioverebbe una simile polemica, in un’Europa che vorrebbe fare della
religione – e, chissà, magari anche dello spirito – fattore di convivenza e non di scontro? Tra le
soluzioni in merito al Trattato costituzionale europeo si era proposto di fare un elenco più o meno
esteso delle “radici” a partire quelle greco-romane, per poi citare quelle cristiane, ebraiche,
islamiche ed altre ancora. Tuttavia, interventi in questo campo rischiano di scatenare la concorrenza
tra lobbies alla ricerca soprattutto di risorse finanziarie. Ciò specialmente in Paesi, come l’Italia e la
Germania, dove esistono meccanismi di riscossione statale per tali fondi. Alla fine, a farne
ingiustamente le spese sarebbero probabilmente le religioni meno strutturate oppure quelle meno
incline al proselitismo. Il tutto, appunto, a discapito della pax.

Religione di salvezza e religione di Stato. L’esempio del Giappone

Nei libri di storia si legge come l’imperatore romano Costantino, in qualche raro intervallo
tra lo sterminio dei nemici politici (soprattutto tra i propri parenti) decise di spostare verso oriente la
capitale– atto precursore della divisione politica dell’Impero – nonché di dichiarare il cristianesimo
religione di Stato, in sostituzione di quella “pagana”. Ora, nell’impossibilità di delineare, in questa
sede, tali eventi epocali, ci limitiamo a sottolineare uno degli aspetti più paradossali delle vicende
legate al nuovo ciclo religioso dell’Europa: ossia, come conciliare la religione di salvezza con la
religione di Stato.
“La nostra religione è una religione di salvezza”; vi tal’è l’affermazione dei più autorevoli
rappresentanti del cristianesimo sin dai primi tempi. Eppure, il dubbio è rimasto.
Religione di salvezza o di Stato? La religione in cui “il mio regno non è di questo mondo”
secondo cui “gli ultimi saranno i primi”? Oppure quella del potere finanziario e politico? La figura
di Gesù si presenta come “sommo sacerdote” di una religione di salvezza, ma già a partire dal IV
secolo la Chiesa cristiana, soprattutto nella sua articolazione occidentale, era diventata primo
instrumentum regni, e poi potenza sovrana dotata di terre, di eserciti e di vassalli; così nasceva il
secondo stato – quello del clero. Tali innovazioni di tipo politico-finanziario nell’Impero Romano,

3
in modo da gettare le basi della società medievale, furono però introdotte in nome della redenzione
dell’anima.
Su una cosa possiamo dare ragione agli apologeti del primo cristianesimo: la Chiesa non
aveva niente a che spartire con i culti di Stato di Roma, e tanto meno con i culti delle città del
mondo ellenico. In sintesi, questi culti, locali e imperiali, erano officiati prevalentemente da
sacerdoti “laici”, magistrati i quali in genere ricoprivano altre cariche pubbliche, mentre i riti
venivano compiuti con l’intenzione dichiarata di assicurare il bene e la stabilità dello Stato, della
“cosa pubblica”. Nei culti di Stato della civiltà grecoromana non si sognava minimamente di
salvare l’anima a chicchessia.vii
D’altra parte, nell’antico universo religioso europeo, il compito di indirizzare i singoli e
talvolta le comunità sui percorsi dell’anima era infatti demandato ai culti misterici oppure alla
filosofia (misteri eleusini, il culto di Iside, il culto di Mithras, il pitagorismo…), nonché al variegato
mondo della religiosità popolare.viii
Torniamo al problema della pax religiosa.
Nel 1979 Silvano Panunzio, scrittore su argomenti della tradizione, suggeriva sulla rivista
“Metapolitica” possibili analogie tra il percorso storico italiano e quello giapponese in termini di
sviluppo religioso. Il paragone, ulteriormente approfondito da Piero Fenili, ix si basava sul fatto che,
accanto ai vari rami del buddismo, allo scintoismo “popolare” ed alla minoranza cristiana, esisteva
il “culto di Stato” di tradizione shinto (via degli dèi) in cui si rendevano gli onori agli antenati
dell’imperatore per il bene dello Stato.
Pur non essendoci legami storici dirette tra le due culture, vi sono alcune analogie
istituzionali tra i due mondi. Innanzi tutto, la data della fondazione della dinastia imperiale
giapponese è indicata intorno a circa cento anni dopo la fondazione di Roma, e nelle due culture si
tramanda l’esistenza di alcuni oggetti sacri, i pignora imperii, con funzioni sacre in ambito del culto
di Stato.
Il culto degli antenati, diffuso in Giappone come in tutte le civiltà tradizionali, presenta
elementi comuni con quello romano. Nei due popoli si rende onore ai patres nel culto privato e nel
culto pubblico: al lararium dei romani corrisponde il kami-dana (mensola del dio) della casa
tradizionale giapponese. Nei secoli, il culto imperiale giapponese era diventato il culto della
nazione, analogamente, per qualche verso, all’epoca del principato a Roma, in cui si faceva
riferimento alla natura “divina” dei sovrani.x
E poi, il raggruppamento di famiglie denominato gens a Roma assomigliava non poco all’uji
giapponese. Il culto gentilizio degli antenati mirava a ricordare ai viventi le più alte qualità di una
determinata stirpe, una “via di mezzo” tra la pietas dell’individuo nei confronti dei genitori e il
culto che ricordava i doveri verso lo Stato.

i
Da cui il noto fenomeno della appropriazione delle feste antiche da parte di religioni insediatesi in epoca successiva.
ii
Per questioni di spazio tralasciamo gli aspetti più reconditi dell’eredità, in relazione, ad esempio, al concetto della
reincarnazione, a quello del mondo delle idee platoniche nonché alle teorie sulle possibili basi genetiche dei
comportamenti umani.
iii
In questi giorni peraltro, nei Paesi europei si è legiferate sulla pratica nordafricana della mutilazione femminile.
iv
Grecia di gravità permanente, “La Destra” Anno III numero 10 2005.
v
Nel parlare del “mito eroico” occorre evidentemente evitare ogni confusione tra la figura di Enea, che si ispirava ai
concetti delle virtù romane elaborate da Publio Virgilio Marone nell’epoca tra la tarda Repubblica e i primi anni del
Principato, e l’intendimento dell’eroe in senso caricaturale e bassamente “nerboruto” che spesso emerge nell’odierna
cultura mediatica.
vi
Paolo VI Ud. Gen. 20/12/72.
vii
Peraltro, il concetto stesso della redenzione cristiana presuppone il “peccato originale”, concetto estraneo al mondo
grecoromano.
viii
Esistevano diverse manifestazioni: i templi dedicati alle cure mediche, gli oracoli, i culti locali e la “religiosità
popolare” dei santuari (ad esempio, il tempio della Fortuna Prenestina). Quelle manifestazioni che non venivano
distrutte dalle persecuzioni cristiane – proseguite in Italia per secoli dopo la presunta vittoria della Chiesa – venivano
incorporate nel culto cristiano, soprattutto nella forma di santi protettori e taumaturghi.
ix
Religione di Stato e religione si salvezza in Italia e in Giappone, “Politica Romana”, 1/1994, pp. 9-28.

4
Già in epoca antica, era approdato in Giappone il buddismo, che presentava molte analogie
con il cristianesimo. Innanzi tutto, i fondatori dei due sistemi esprimono lo schema avatarico della
discesa dal mondo divino per redimere/liberare gli uomini dallo stato di peccato/illusione, e in
ambedue i casi si esprime un messaggio di amore e di compassione. Inoltre, in ambedue i casi, dopo
l’ascesa in cielo dei fondatori, successive generazioni di seguaci hanno creato clero, chiese, sette,
scissioni, vangeli, comunità monastiche e quant’altro, facendo proselitismo anche in terre lontane.
E, infine, si insediarono spesso vicino ai potenti, acquisendo ricchezze e potere politico. D’altra
parte, rispetto al cristianesimo, raramente il buddismo nelle sue “incarnazioni politiche”
intraprendeva quelle persecuzioni, così diffuse nel mondo europeo, contro altre religioni o contro
gli “eretici”.
Col tempo il buddismo si adattava al mondo giapponese, per convivere con l’antica “via
degli dei”, il culto degli antenati di famiglia e il culto del primo antenato imperiale. In seguito
arrivarono i primi missionari cristiani; dopo i primi attriti, dovuti forse più a contrasti di tipo
politico-culturale che non all’elemento religioso in quanto tale, anche il cristianesimo nelle varie
forme si insediava in Giappone.
Pertanto, da lungo tempo, shinto, buddismo ed una minoranza cristiana convivono senza
particolari difficoltà. E tra l’altro, visto che il buddismo “ascetico” (come ad esempio lo Zen) non è
affatto una “religione” ma piuttosto una “via della liberazione”, un giapponese potrebbe, senza
alcuna difficoltà, dichiararsi al tempo stesso scintoista, buddista e cristiano. Il cittadino è liberissimo
di cercare la “salvezza” oppure la “liberazione” nel modo in cui crede, e dal canto loro le varie
religioni non si occupano del tradizionale “culto di Stato”.
Si ricorderà infine che nel Giappone moderno lo shinto di Stato non fu, se non per
brevissimo periodo, una vera e propria “religione di Stato”; già la legge del 1884, nel quadro delle
riforme Meiji per introdurre i principi liberali e democratici, precisava che si trattava di un
complesso di riti e di cerimonie atte ad infondere lo spirito nazionale nel popolo giapponese, reduce
di lunghi secoli di divisioni politiche tra potentati feudali (analogamente alla condizione dell’Italia
preunitaria). Nelle loro intenzioni, tali riforme dovevano anche tutelare l’unità nazionale contro il
rischio concreto che si era già manifestato in altre nazioni asiatiche: ossia di vedere il Paese
occupato e spartito tra le potenze occidentali.xi

Elogio del gentilesimo

Con il termine gentilesimo gli scrittori italiani del Seicento indicavano tutte le religioni
diverse da quella cattolica. La parola ci riporta alla categoria dei “gentili”, parola ricorrente nei
vangeli cristiani per indicare gli appartenenti al mondo ellenico-romano, ossia tutti coloro che non
erano né ebrei né seguaci di Gesù. I pagani, insomma (parola che deriva da “pagos”, villaggio, per
indicare gli abitanti delle zone rurali). Nonostante l’uso polemico, settario e intollerante del
vocabolo attraverso i secoli, il termine gentile mantiene una ricca gamma di significati nell’italiano

x
Il mito della discendenza divina degli antichi re è da leggersi a più livelli proprio in quanto mythos e non solo come
banale strumento politico. E’ da ricordare come i primi polemisti cristiani contestarono come blasfemo l’appellativo
“divus” concesso agli imperatori romani; mentre, distrutto l’Impero romano, nei secoli successivi lo stesso
cristianesimo sosteneva la dottrina della monarchia “per grazia di Dio”. A proposito dell’omaggio reso al primo
sovrano, uno studioso giapponese rispondeva alla critica occidentale, proveniente soprattutto dai missionari protestanti:
“L’uomo è fatto ad immagine di Dio. Gli uomini quindi sono di discendenza divina. Il loro Primo Antenato è un
Vivente Creatore e Padre di tutti gli uomini”; Nobushige Hozumi, L’Adorazione degli antenati e la legge giapponese,
Soc. Ed. Libro Italiano, Roma 1941, p. xiii.
xi
La “crociata protestante” contro il culto del primo antenato imperiale veniva portata a termine dagli americani nel
1945 quando i vincitori imposero la rinuncia della “divinità imperiale”, in quanto fattore ritenuto essere concausa della
politica di aggressione militare perseguita da Tokyo; argomentazione che oggi si rivela poco attendibile, anche dal
momento in cui gli eredi neocon/teocon dei vincitori del ’45 non esitano ad attribuirsi una “missione divina” in ambito
militare e geopolitico.

5
odierno nonché nelle altre lingue romanze; e in particolare, in relazione alla gens latina, richiamata
in precedenza.
Ora, sarebbe tanto facile quanto inutile limitarsi a paragonare gli aspetti migliori di una
determinata tradizione religiosa con quelli peggiori di un’altra. Pertanto, il cristianesimo storico non
si può ridurre ai soli aspetti deteriori delle crociate e dei roghi e, analogamente, la religiosità
autoctona dell’Italia in particolare non può essere ridotta all’immagine caricaturale del legionario
che infilza qualche martire nel Colosseo.xii
Dante e Petrarca hanno celebrato, nei loro versi, la migliore tradizione romana ed italiana.
Cola di Rienzo, nel tentativo di restituire a Roma un governo civile, si era ricollegato a questa
tradizione con la sua azione politica. I grandi del Rinascimento, a partire da Nicolò Machiavelli,
ragionarono con ferrea logica sulla necessità di ripristinare l’unità politica della penisola, evocando
peraltro le virtù della “religione di Numa”. Furono animati da un profondo senso religioso Giuseppe
Mazzini e Giuseppe Garibaldi – due figure legate indissolubilmente all’identità italiana, nel nome di
Roma, ma con un assetto sociale democratico proiettato nel futuro.
Essere “gentili” significa rispetto dei genitori, degli antenati, del prossimo e, allo stesso
tempo del bene pubblico. In termini “laici”, si potrebbe dire che, dal momento in cui i beni materiali
ed immateriali che fanno parte della nostra civiltà sono il frutto degli sforzi dei nostri avi, noi
abbiamo il dovere di emulare il loro impegno e di consegnare ai nostri figli un “mondo migliore”,
anche in ossequio alla concretezza ed alla vocazione ordinatrice della tradizione romana. Una etica
aristocratica il cui esercizio non richiede né le minacce delle “fiamme dell’inferno” né le promesse
della “beatitudine eterna”. Agire a sostegno della res publica e in conformità dei valori dei romani
(virtus, concordia, pietas…) costituisce di per sé un titolo di merito, e vuol dire incamminarsi sulla
via degli dei. Per usare nuovamente il lessico della politologia, si tratta della propensione a premiare
i doveri (verso gli altri) rispetto ai diritti (da pretendere per se stessi).
Peraltro, il riferimento aristocratico – termine oggi considerato “politicamente scorretto” –
deve essere inteso non come affermazione di una qualche ideologia prevaricatrice, come semplice
oligarchia o tirannia sotto mentite spoglie, che emerge talvolta in certa pubblicistica di “destra”; ma
piuttosto nel senso antico del “governo dei migliori”, e senza dimenticare il binomio romano
senatus – populus.
Il culto dei patres, elemento di rilievo della tradizione, rappresenta il legame tra passato e
presente. D’altra parte, il rispetto per le generazioni passati non si traduceva affatto nella cieca
chiusura verso le esigenze del momento attuale: lo dimostrano la stessa tradizione romana e quella
nipponica. Con i patres si passa “oltre” rispetto alle generazioni più recenti, di cui si conserva
ancora la memoria, nel tentativo di cogliere l’essenza dei migliori conseguimenti delle generazioni
precedenti.
Ai patres si ricollegano idealmente famiglia e individuo, la comunità locale e quella più
vasta: e con ciò viene superato l’ozioso dibattito ideologico secondo cui il “primo nucleo della
società” sarebbe costituito o dal solo individuo (la posizione liberale classica), o dalla sola famiglia
biologica (la posizione dei teocon).
Nonostante le prese di posizione teologiche a tale riguardo, xiii esiste ancora nella tradizione
occidentale il culto dei patres: chi non ha in casa almeno una foto dei genitori o degli avi? E poi,
specialmente nei Paesi latini, esiste una serie di tradizioni, di chiara origine “pagana”, legate alle
visite delle tombe dei parenti defunti.

xii
Va tuttavia osservato come, negli oltre mille anni della storia di Roma, si registrano persecuzioni anticristiane solo
per dodici anni; i 16 secoli di cristianesimo post-constantiniano sono caratterizzati in buona parte dal persecuzioni e da
polemiche religiose. Tra le curiosità del nostro tempo vi è il ritorno in auge, da parte di alcuni esponenti ecclesiastici,
della condanna del “paganesimo”; mentre tale dicitura viene intesa soprattutto come “sregolatezza dei costumi”, non
mancano attacchi alla religiosità altrui.
xiii
Si ricorderà la risposta, formulata nell’Ottocento, alle critiche da parte dei missionari cristiani contro il culto degli
antenati praticato dai giapponesi: questi ultimi si chiedevano che cosa potesse significare “salvarsi l’anima” se nel
contempo si dovesse mancare di rispetto alla famiglia, alla comunità e allo Stato; Nobushige Hozumi, op. cit. , p. xiv.

6
Oltre la sfera privata, non esiste sul piano formale un centro visibile in cui si manifesta lo
“spirito del Popolo e dello Stato” nell’ambito della tradizione italiana. Tuttavia, non sarebbe errato
ritenere che tale funzione sia svolta nei fatti dall’Altare della Patria, sede della “religione civile
della Patria”; e ciò con buona pace dei dissacratori di professione, degli antirisorgimentali di varia
risma. Infatti, nelle cerimonie civili e militari, nonché negli eventi straordinari, come l’allestimento
della camera ardente per consentire alla popolazione di rendere omaggio ai militari italiani caduti a
Nassiriya, non si richiede né la sottoscrizione a teologie né tessere di alcun genere. Di conseguenza,
pur nella sostanziale assenza dell’apparato di particolari leggi, di concordati e di clero, questo
centro di “religione patria” svolge da ormai oltre ottant’anni una funzione meritoria, sancito
soprattutto dal comune sentire.xiv
Gli ideali del gentilesimo non hanno peraltro nulla da condividere con il genere di virulento
anticristianesimo che talvolta si presenta come “neopagana”. Mentre è lecito ragionare, con criterio
e pacatezza, su tutte le variegate manifestazioni della religione, un atteggiamento “inquisitorio” di
censura nei confronti delle teologie e delle teogonie altrui non farebbe altro che stimolare
l’elemento conflittuale di cui si nutrono i vari dogmatismi.
D’altra parte, nessuna santo, nessun saggio e nessuna burocrazia, statale o religiosa che sia,
sarà in grado di costringere l’essere umano a seguire controvoglia i percorsi dell’anima in questa
vita e tanto meno nel post mortem. Tali percorsi possono invece essere oggetto di scelte
consapevoli.
Infine, riguardo alla visione classica della ricerca spirituale dell’uomo possiamo ben citare
Marco Tullio Cicerone (Tuscolane I-52): “Apollo ci ammonisce di conoscere noi stessi…. Quando
si dice dunque conosci te stesso, è lo stesso che dire conosci l’anima tua. Diffatti, il corpo non è che
il vaso, dirò così, o il recipiente che contiene l’anima, e tutto quello che fa la tua anima, è operato da
te. Se dunque il conoscerla non fosse impresa divina, questo precetto dato da un uomo d’ingegno
altissimo non sarebbe stato attribuito ad un Dio”.
Questa visione talmente “attuale” della via dello spirito come via di conoscenza lascia ben
presagire che l’Italia “gentile” sarà in grado di mettere a disposizione le proprie risorse preziose,
anche in materia di manifestazioni di religiosità nello spazio pubblico.

Spazio pubblico e spazio giuridico

Nonostante le mille cautele e le mille ipocrisie della classe politica italiana, pronta, ad ogni
tornata elettorale, ad inseguire l’araba fenice del “voto cattolico” (per poi rimanere puntualmente
delusa dai risultati…) prima o poi si dovrà giungere all’elaborazione della pax religiosa in maniera
consensuale, tenendo presente l’eredità storica del passato e il possibile cammino futuro.
Si tratterà probabilmente di un modello che non avrà, come esclusivo punto di riferimento, il
potere temporale attribuito al Vaticano. Se era anacronistica nel 1929 la convinzione secondo cui
fosse necessaria per motivi “religiosi” la sovranità, da parte di una organizzazione ecclesiastica, su
un pezzo della città di Roma, oggi lo è ancora di più. In ciò la Chiesa cattolica si differenzia da tutte
le altre religioni del mondo con la possibile eccezione del vecchio regime lamaista del Tibet.
Potrebbe trattarsi di una affascinante testimonianza storica, come le guardie a cavallo della regina
d’Inghilterra, se non fossero per i rilevanti effetti finanziari e politici, soprattutto in ambito italiano.
Nonostante le revisioni del 1984 e l’abrogazione della dicitura “religione di Stato” (ben cento anni
dopo l’analoga abrogazione nell’Impero del Giappone!), i rapporti tra Stato italiano e Chiesa
cattolica continuano a fondarsi sui Trattati Lateranensi: dagli aspetti più noti, come i contributi
finanziari e l’insegnamento religioso nella scuola pubblica a quelli meno noti come, ad esempio,

xiv
Oltre all’Altare della Patria si potrebbe ipotizzare l’esistenza di altri centri secondari, con funzione analoga, sparsi per
l’Italia, tra cui l’Ara-Ossario Garibaldino a Mentana, vicino a Roma, che custodisce i resti dei caduti della Campagna
del 1866-67 per la liberazione di Roma.

7
l’esistenza di uno strano ed esteso “regno sotterraneo” (tutti i siti archeologici definiti “catacombe”,
dalla Sicilia alle Alpi, sono consegnate allo Stato vaticano).
In un prossimo futuro tutto ciò potrebbe cambiare: non perché ci vogliamo attribuire doti di
visione profetica, ma in considerazione degli stessi meccanismi della società aperta, i cui effetti
sono evidenti da qualche tempo. Tranne qualche frangia estremistica, non sembra che ci sia, in
Italia, alcun rischio di “guerre di religione”. Se esiste davvero un “ritorno della religiosità” come si
afferma da più parti, si potrebbe ipotizzare che sarà lo stesso crescente predominio del potere del
danaro e della “politica politicante”, rispetto all’afflato religioso, ad accelerare il declino del potere
temporale del Vaticano. Infatti, il capitale e la politica di “bassa lega”sono per loro natura mobili, e
guardano con sospetto a coloro i quali “ci credono” davvero: dal loro punto di vista risulta molto
più prezioso un Monsignor Marcinkus,xv che non un Francesco D’Assisi.
L’Italia e l’Europa dovrebbero forse guardare all’esperienza americana? Alexis de
Tocqueville, scrivendo sulla religione negli Stati Uniti nel primo 800, osservava che non tutti i
cittadini americani credevano in una religione, ma credevano necessarie le religioni, e la libertà
religiosa alla conservazione della democrazia, ritenendo che l’indebolimento del sentimento
religioso prepara i cittadini alla servitù. Va comunque precisato che, già allora, nel “paradiso
liberale”, esistevano in realtà diverse difficoltà. Ad esempio, il mondo americano viveva con ansia –
e reagiva con violenza – nei confronti della poligamia asserita, all’epoca, dai mormoni: si temeva
che avrebbe “minato le fondamenta della famiglia cristiana”: frase, peraltro, ricorrente anche
nell’odierno dibattito italiano, anche se il “nemico da abbattere” non sarebbe più la poligamia, ma il
“relativismo”…. Per non parlare delle difficoltà vissute dai cattolici e dagli ebrei, non tanto per
l’esistenza di leggi repressive nei loro confronti, ma per l’impossibilità concreta di avvalersi dei
propri diritti. Pur con queste necessarie precisazioni, non è possibile trascurare l’importanza della
libertà religiosa americana.
Anche a voler evocare una posizione “americana” sulla religione (una posizione, appunto,
meno super partes di quanto si vorrebbe credere), la consuetudine europea vorrebbe che lo spazio
pubblico abbia un maggiore inquadramento giuridico.
Una delle prime obiezioni, insinuate in ambito teocon, sulla garanzia della più assoluta
libertà religiosa, riguarda la posizione nei confronti di atti o di pratiche che violano le leggi oppure
anche e le consuetudini. Una qualsiasi apertura, affermano, comporterebbe gravi rischi. Ma in realtà
sono altri i termini della questione.
In primo luogo, in Europa, la semplice affermazione e divulgazione di un credo religioso
costituisce una facoltà insindacabile.xvi Sono ormai da anni che i sistemi giuridici si dimostrano in
grado, nelle società democratiche, di confrontarsi e di trovare soluzioni su punti di dissenso
riguardo a singoli comportamenti che si presentano di tanto in tanto (come ad esempio l’obiezione
di coscienza al servizio militare oppure ad alcuni tipi di trattamento medico, l’osservanza di
festività religiose, le prescrizioni in materia di abbigliamento…).
D’altra parte, nel variegato mondo che ruota intorno alle religioni possono insorgere
occasioni che richiedano l’intervento del settore pubblico, proprio per tutelare il funzionamento
ordinato dello spazio pubblico delle religioni. A partire, ad esempio, dalla disciplina delle donazioni
alle organizzazioni religiose.
Le semplici affermazioni o “prediche”, a sfondo religioso o presunto tale, magari contro lo
stesso sistema pluralistico e democratico, non dovrebbero in teoria subire alcuna repressione (la
società aperta – e oggi, la società telematica – vuole che si tuteli la libertà di espressione anche per
coloro i quale vorrebbero abolire tale libertà).
I comportamenti che possano in qualche modo ledere la persona o i beni altrui rientrano
invece senz’altro nella sfera della repressione. Si parla di “casi limite” che riguardano spesso, ma
xv
Il prelato statunitense, già capo della banca vaticana all’epoca dello scandalo che aveva coinvolto Michele Sindona e
Roberto Calvi nel crac del Banco Ambrosiano.
xvi
Ciò a differenza di molti Paesi a maggioranza islamica in cui si vieta non solo la divulgazione ma anche certi culti (a
partire da quello “pagano”) nonché la rinuncia pubblica della fede islamica (punita come “apostasia”). In altri Stati
ancora esistono ostacoli di fatto, di tipo amministrativo, contro l’apertura di luoghi di culto.

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non solo, i cosiddetti nuovi movimenti religiosi, peraltro oggetto di campagne ostili da parte delle
principali confessioni cristiane. Tuttavia, con buona pace dei neo crociati, non si vede il motivo per
cui ci dovesse essere una “legge contro le sette”.xvii
Oggi, la giurisprudenza europea sembrerebbe essere più orientata ad assicurare la pace
religiosa all’interno dei singoli Paesi piuttosto che a tutelare le confessioni religiose in quanto
tali.xviii
Trattandosi di una materia che riguarda la convivenza sociale, le radici, le identità oltre alla
libertà, la tutela della pax religiosa dovrà essere affidata più al buon senso che non alle norme
giuridiche, le quali spesso costituiscono la fotografia di una condizione sociale ormai cambiata. Le
polemiche non mancheranno, come non sono mancate in Francia per la “legge sul velo” e in Italia
per la questione del crocefisso negli uffici pubblici. D’altra parte, sarebbe errato vedere in questa
dialettica, connaturata alle nostre società odierne, una sinistra manifestazione dello “scontro di
civiltà” se non addirittura la “fine dei tempi” (come si sono rilevate inesatte le previsioni sulla “fine
dell’Occidente” ventilate nelle tesi sulla decadenza delle civiltà di Spengler e di Sorokin).
Nell’ambito dell’Unione Europea, rispetto alla Francia “laica” ed all’Italia “clericale”,
merita un accenno l’esempio della Lituania: in questa nazione di tre milioni di abitanti, a
maggioranza cattolica, la classe politica non ha avuto difficoltà ad annoverare ufficialmente anche
l’antica religione etnica (Romuva) tra le altre confessioni presenti nel Paese baltico.
Proprio per le sue radici romane e per la sua collocazione europea, l’identità italiana non può
essere ridotta tout court all’identità vaticana. Tale consapevolezza è destinata probabilmente a
maturare ulteriormente, specie se dovessero continuare a moltiplicarsi le affermazioni alquanto
“sopra le righe” da parte dei prelati politicizzati e dei politici “clericali”.
Passata questa fase, che ha tutte le caratteristiche di una “febbre acuta”, si potrebbe
ragionevolmente prevedere, per l’Italia, un processo analogo a quanto era già avvenuto in
Inghilterra tra il Settecento e l’Ottocento. Infatti, mentre il sovrano continua a ricoprire anche il
ruolo di capo della Chiesa anglicana, nello spazio pubblico britannico non si mortifica nessuna
religione e tanto meno la non-religione. Nell’ambito dello spazio pubblico della religione in Italia,
potrebbe subire una ulteriore evoluzione la religione civile (anche quella che si manifesta intorno
all’Altare della Patria) in cui autorità civili ed esponenti religiosi cercheranno una sintesi delle
manifestazioni “migliori”, e quindi anche intrise di “umanità”, lasciandosi alle spalle le tristi e
strumentali “crociate elettorali”. D’altra parte, quale cattolico del duemila, interrogandosi con
animo sincero, potrebbe ritenere necessaria alla carica religiosa quegli orpelli “profani” concessi
nel 1929 da accordi politici, sottoscritti da un governo autoritario?
Ritorniamo al dubbio sollevato inizialmente: la religione coincide necessariamente con lo
spirito? Sembra indubbio che molti aspetti dell’universo religioso sconfinano in ambiti “profani”;
d’altra parte, rimane sempre un campo da affrontare senza dogmatismi di sorta, visto che le
manifestazioni della religiosità, consapevoli ed inconsapevoli, rispecchiano anche le molteplici
sfaccettature dell’animo umano. Qualche volta, in quella che chiamiamo, non a caso, la “civile
Europa”, si sono manifestati episodi di intolleranza che non vorremmo vedere mai più. xix Se lo
spazio pubblico della religione diventerà spazio di fratellanza – e tutte le confessioni saranno
d’accordo – esisterà sempre meno spazio per la “malareligione” fondata sulla prevaricazione.

xvii
Per chi commette un reato ai danni un’altra persona, adducendo motivazioni “religiose”, già esiste, nell’ordinamento
italiano, lo strumento che consente di aggravare la pena: “motivazioni abietti e futili”. La questione del “plagio” è
invece più controversa, dal momento che si tratta di pressioni di tipo psicologico esercitate anche dai culti
maggiormente diffusi.
xviii
Cfr. Eva M. Synek, “The Limits of Religious Tolerance - a European Perspective”, in Journal for the Study of
Religions and Ideologies, N. 3 2002.
xix
Siamo convinti che tra gli autori degli attentati in Irlanda negli anni 70-80, e quelli della distruzione di chiese e di
moschee nei Balcani negli anni 90, non esiste nemmeno uno che fosse veramente convinto di agire per motivi
“religiosi”: si trattava soltanto di un mezzo criminale per conseguire un fine politico.

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In conclusione, come dimenticare il mondo dell’espressione artistica, in cui il concetto del
bello e le espressioni religiose si incontrano da sempre? Ricordiamo l’esempio dell’italianissima
Sicilia dove, tra Palermo e Monreale, esistono meraviglie architettoniche in cui elementi nordici,
arabi, bizantini e grecoromani si intrecciano in un unicum senza pari, proiettate verso un ideale di
armonia non ancora realizzabile in un mondo lacerato da sanguinarie “crociate” e “guerre sante”.
Tuttavia, tra corsi e ricorsi della storia, oggi si ripropone concretamente la possibilità che possa
compiersi il sogno dei Normanni e degli Svevi: quello della vera pax religiosa.

FINE
(seguono note)

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