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Lezione 4 “La guerra sino-giapponese” 15/10/20

Riepilogo lezione precedente

Nella scorsa lezione si è parlato della Gunboat Diplomacy, nota anche come “Diplomazia
coercitiva”, praticata nel XIX secolo dalle potenze occidentali. Abbiamo analizzato la definizione
di gunboat diplomacy. Si tratta di una diplomazia che in tempi di pace fa uso di strumenti da guerra
dell’epoca, soprattutto della potenza navale. Fa poi un uso limitato della potenza navale, che è un
uso diverso dal pattugliamento delle coste, ad esempio, o dalle operazioni anticontrabbando.
Similmente alla nozione di “sistema del tributo”, quella della gunboat diplomacy è una nozione
contemporanea. L’espressione viene definita per la prima volta negli anni 70. L’utilizzo di questo
tipo di diplomazia segue delle linee generali comuni al sistema cinese, a quello giapponese e a
quello coreano. In genere, abbiamo il tentativo di avviare rapporti commerciali, la reciproca
incomprensione, uso delle armi della forza navale, conclusione di trattati ineguali. La dinamica
a più ampio raggio a cui si assiste in Asia orientale è una dinamica che vede il progressivo
indebolimento del sistema del tributo e l’integrazione di Cina, Giappone e Corea nel sistema
diplomatico, nelle reti diplomatiche e commerciali globali quali sono esistite dal 184 fino al 1900.
L’integrazione di questi tre stati non ha luogo attraverso i principi del sistema westfaliano, che sono
principi di eguaglianza formale, bensì avviene ponendo questi stati in posizione subordinata: Cina,
Corea e Giappone, mediante l’imposizione dei Trattati Ineguali, perdono una parte della propria
sovranità, perché aprono i porti al commercio estero; acconsentono ad instituire il principio
dell’extraterritorialità, ovvero tutti gli stranieri presenti in queste giurisdizioni non sono soggetti
all’autorità imperiale cinese, giapponese o coreana, ma per qualsiasi atto commesso, vengono
giudicati dai propri consoli e dai propri ambasciatori; agli stranieri viene permesso di prendere in
affitto parti di territorio, di acquistare immobili. Nel caso della Cina, in seguito alle guerre
dell’oppio, abbiamo la cessione in perpetuo di Hong Kong e della penisola di Caolun alla corona
britannica. Queste circostanze provocano un effetto regionale, che non si limita all’integrazione dei
tre stati nel sistema diplomatico globale, ma hanno effetti anche interni. La Gunboat Diplomacy
acuisce le criticità e le crisi che già esistevano all’interno di questi tre sistemi. Dunque, le debolezze
di Cina, Corea e Giappone sono ora evidenziate e provocano reazioni di tipo diverso:

 Tentativi di riforma e di modernizzazione in Cina.


 Tentativi di fine dello shogunato Tokugawa e proclamazione della costituzione Meiji in
Giappone.
 Progressivo indebolimento della dinastia imperiale Joseon in Corea.

Abbiamo quindi un indebolimento e un crollo dei sistemi, nonostante ognuno di essi avesse risposto
in maniera diversa. La risposta più efficace verrà dal Giappone.

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La guerra sino-giapponese, in realtà, si combatte interamente sulla penisola coreana. La Corea
aveva adottato una politica di chiusura pressoché totale nei confronti degli occidentali, ma in
seguito si vede costretta a piegarsi alle mire del Giappone. Diventa così il vero e proprio terreno di
contesa tra le ambizioni dell’impero Qing e quelle del Giappone Meiji, ma ci sono anche altri attori.
In Giappone, l’ultimo shogun Tokugawa Yoshinobu dà le dimissioni e nel 1868 avviene la
promulgazione della costituzione Meiji, evento che apre la strada ad un’opera di riforma sistemica,
che coinvolge tutti gli aspetti del sistema di governance domestico del Giappone ma anche del
sistema di istruzione e del sistema militare. Abbiamo l’introduzione di una burocrazia
centralizzata. Fino a prima del periodo Meiji, vediamo la presenza di clan feudali, i più importanti
erano Choshu e Satsuma, i quali erano tra i clan che fornivano una parte consistente di funzionari
all’impero. Nel momento in cui ha luogo l’abolizione formale dei feudi in Giappone, si verifica
anche una riforma del sistema di istruzione, con l’introduzione dell’obbligo scolastico. Questa
riforma consente anche a chi non era legato profondamente ai clan di conseguire un’istruzione e di
partecipare agli esami per la pubblica amministrazione. Abbiamo la nascita di un ceto di pubblici
amministratori dotati di istruzione moderna e che sono membri di una burocrazia centralizzata,
anziché essere divisa tra il controllo dei signori feudali. È una burocrazia che può più facilmente
raccogliere informazioni, trasmetterle verso l’alto, favorire processi decisionali, può amministrare e
governare il paese, se vogliamo, in una maniera più razionale. Nel 1885, abbiamo l’introduzione di
un governo modellato secondo le istituzioni dei governi occidentali. Nel 1871, abbiamo anche la
creazione di un esercito professionale. Fino ad allora, le forze armate del Giappone erano state
controllate dai signori feudali, non erano forze professionali. Si trattava piuttosto di samurai, di
guerrieri che allo stesso tempo di dedicavano anche ad altre occupazioni, quali l’agricoltura. La
creazione di un esercito professionale addestrato anche da figure straniere, soprattutto tedesche,
consente di migliorare, di rendere più efficiente e razionale la potenza militare giapponese. Questo
processo ha luogo in Giappone, a partire dal 1868, è un processo che produce risultati fin da subito
e che non ha luogo né in Cina, né in Corea. Quest’ultima diventa territorio di contesa.

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La guerra dura solo due anni, anche se non bisogna lasciarsi ingannare dalla brevità dell’arco
temporale, perché questa è una delle guerre più importanti fino alla Prima Guerra Mondiale. Una
delle sue battaglie, quella che fu combattuta ad Anmuk De (?) in Manciuria, sarà una delle battaglie
più grandi mai combattute fino al primo conflitto mondiale. È una guerra che produrrà degli effetti
che possiamo toccare con mano fino ad oggi.

 In primis, l’equilibrio sinocentrico, che è esistito fin dal 1365, è rimpiazzato da un


equilibrio diverso, che fino alla seconda guerra mondiale sarà incentrato sul Giappone. Il
Giappone diventa potenza regionale, sostituendo la Cina.
 Il secondo effetto consiste nel fatto che le ambizioni giapponesi e cinesi in Corea pongono il
Giappone lungo una rotta di collisione con l’impero russo e creano le condizioni per uno
scontro militare diretto, che vedrà la sconfitta della Russia.

Fino alla sconfitta della Russia, e anche durante la guerra sino-giapponese, in Occidente, e anche
nell’impero russo, era ancora piuttosto diffusa l’immagine del Giappone come di una nazione per
certi versi “femminile”. Le concezioni di genere, le concezioni dell’eguaglianza ed il darwinismo
sociale imperante all’epoca tendevano a presentare determinate popolazioni come femminili, come
inferiori, come qualcosa di meno rispetto agli occidentali. Tali concezioni di stampo razzista e
socialdarwinista, erano riservate, oltre che alle popolazioni africane, alle popolazioni che abitavano
i territori dell’Asia orientale. Le guerre, e in particolare quella russo-giapponese, tenderanno a
ribaltare questa percezione internazionale del Giappone, rappresentandolo come una nazione forte.
Questa rappresentazione è importante, non per il suo valore di verità. Sappiamo che le tesi razziste e
darwiniste non avevano alcun fondamento di realtà, tuttavia all’epoca erano prese molto sul serio
anche da chi era responsabile per i processi decisionali di politica estera. Percepire il Giappone, la
Cina o la Corea in un modo piuttosto che in un altro contribuiva a orientare i processi decisionali.
Per quanto riguarda le conseguenze a lungo termine, abbiamo una serie di annessioni di territori e
un peggioramento delle relazioni e delle percezioni tra Cina e Giappone. Il vero nodo delle relazioni
tra Cina e Giappone non nasce solo con la guerra sino-giapponese, è qualcosa che viene acuito dalla
seconda guerra, ma comunque la prima getta i semi di questo processo.

Veniamo ora alla descrizione dei fatti e delle dinamiche principale, usando le letture obbligatorie.
Le parti coinvolte sono: Giappone, Russia e Cina.

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La Russia è un attore che finora non abbiamo incontrato, che ha degli interessi sempre maggiori in
Asia orientale. In questo periodo ha luogo la costruzione della linea ferroviaria transiberiana, con
l’obiettivo di raggiungere la città portuale di Vladivostok, che, a causa della rigida temperatura, può
essere usata solo per sei mesi all’anno. Capiamo come gli interessi dello zar Alessandro III, che tra
l’altro muore poco prima della guerra, richiedono necessariamente la disponibilità di un porto in cui
le acque non congelino. Il porto che la Russia adocchia è il porto della moderna Dalian. La linea di
politica russa è molto semplice: porti di interesse strategico e commerciale che richiedono alla
Russia di controllare tutta questa regione territoriale.

Il secondo attore è rappresentato dalla Dinastia Qing, sempre più debole, ma sempre più interessata
a preservare i propri interessi sulla penisola coreana. La Cina considera la Corea come
un’estensione del proprio territorio invece che come uno stato indipendente, perché la dinastia Qing
ragiona secondo il sistema del tributo. Benché la Corea sia governata dalla dinastia Joseon, è
considerata come un’appendice dell’impero Qing, e tale, secondo i Qing, essa deve restare. La
dinastia Qing è consapevole delle ambizioni russe sulla Corea, e cerca di contrastarle. Altresì, la
Cina non vede per nulla di buon occhio tutta una serie di mosse che vengono compiute dal

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Giappone, che tra l’altro era estraneo al sistema del tributo. Quindi cerca anche di tenerlo a bada per
mantenere la propria sfera di influenza politica, e non solo in Corea.

Per quanto riguarda invece il Giappone, esso conosce bene gli interessi dell’impero Qing, ma
conosce altrettanto bene quali siano le mire della Russia sulla Corea. In Giappone, in questo
periodo, è in corso un dibattito interno che prende il nome di “Seikanron”, ed è un dibattito che
riguarda il da farsi in Corea. La questione essenzialmente ruota intorno ad una domanda: è meglio
invadere immediatamente la Corea e controllarla in modo diretto oppure continuare con le riforme,
rafforzandosi interiormente dal punto di vista militare e poi occupare la Corea in un secondo
momento? In questi anni, sotto il regno dell’imperatore Meiji, prevale una posizione più moderata.
Per preservare i propri interessi in Corea, il Giappone vuole impiegarla come stato cuscinetto, che
ponga dello spazio fisico tra il Giappone e la crescente potenza espansionista dell’impero zarista.
Per fare ciò, il Giappone preferisce avere una Corea che sia formalmente indipendente,
politicamente stabile e che sia in grado di difendersi in maniera autonoma tanto dalle mire
dell’impero Qing quanto da quelle della Russia zarista. Il Giappone, quindi, non vuole farsi carico
della difesa militare della Corea.

Chiariti gli interessi di queste tre potenze, andiamo a ripercorrere le dinamiche essenziali che
conducono allo scontro tra Cina e Giappone.

Sappiamo che nel 1876 è stato firmato il Trattato di Ganghwa, con cui la Corea ha aperto i
rapporti commerciali con il Giappone. La Corea però ha attuato anche riforme di altro tipo, e molte
di esse hanno visto un ruolo attivo del Giappone. Possiamo citare la modernizzazione dell’esercito
coreano e la creazione di truppe d’élite. È un dato importante in quanto proprio la
modernizzazione dell’esercito provoca uno degli incidenti che porteranno allo scontro armato. Non
tutte le truppe coreane erano modernizzate e addestrate dai giapponesi, bensì solo alcune. Nel 1882
si verificano dei malcontenti nell’esercito coreano, che hanno per oggetto il trattamento economico,
ma non solo, più favorevole nei confronti di questi corpi d’élite. Scoppia una ribellione all’interno
dell’esercito, la quale, benché sia un evento di politica interna, viene sfruttata abilmente sia dai
cinesi che dai giapponesi. L’impero Qing approfitta dell’occasione per inviare un contingente a
Seoul, il cui pretesto è quello di aiutare il governo coreano a mantenere la propria stabilità. Ma la
storia non finisce qui, perché due anni dopo (1884), ha luogo un tentativo di colpo di stato in Corea.
Si tratta di una ribellione favorita dai credenti nella filosofia religiosa di stampo confuciano
Donghak. È anch’essa evento di politica interna ma fornisce ai cinesi e ai giapponesi il pretesto per
inviare truppe a Seoul. I cinesi aiutano il reggente imperiale coreano, il Daewongun, a trasferirsi a
Pechino, in modo da metterlo al sicuro. Inviano in Corea il generale Yuan Shikai, che prende
residenza a Seoul, e inviano un ulteriore contingente di truppe per aiutare il governo coreano a
pacificare la rivolta dei Donghak. Altrettanto, però, fa il Giappone, con il pretesto di voler
preservare i propri interessi economici in Corea.

Abbiamo quindi queste due alterne vicende: Seoul diventa una città dove allo stesso tempo
confluiscono sia truppe cinesi che truppe giapponesi. Il governo coreano è diviso in fazioni
rispettivamente che appoggiano il Giappone e la Cina. I diplomatici giapponesi si rendono conto
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che un’instabilità della Corea non conviene ai loro interessi e cercano in tutti i modi di indurre la
Corea ad attuare una serie di riforme domestiche. Uno dei personaggi che gioca un ruolo nel
dipanarsi di questi eventi è l’ambasciatore nipponico Otori Keisuke, che adotta dei mezzi molto
violenti per indurre la corte coreana a riformarsi, mezzi che consistono nella distruzione del palazzo
imperiale, nell’esercizio di pressioni sulla corte affinché ponga in posizioni di potere funzionari che
sono favorevoli al Giappone.

La situazione è carica di tensioni che possono scoppiare in qualsiasi momento. Ricordiamo che
formalmente siamo in uno stato che è un’estensione del territorio cinese, stato che però sta
intessendo rapporti sempre più stretti col Giappone, che fa di tutto per farlo riconoscere come uno
stato indipendente, in modo tale da separarlo dalla sfera di influenza cinese. La posizione cinese in
queste vicende è essenziale. Il funzionario che ha il compito esclusivo di negoziare la politica estera
dell’impero in questo periodo è il viceré di una delle province settentrionali cinesi, il quale si rende
pienamente conto della debolezza delle truppe Qing, almeno se paragonate a quelle giapponesi.

Cerca così di evitare in ogni modo uno scontro armato. Tuttavia, hanno luogo una serie di errori di
calcolo.

La corte Qing riceve delle valutazioni poco accurate dai suoi diplomatici di stanza a Tokyo, che
hanno il compito di analizzare la politica giapponese per capire quale sarà la posizione della Dieta
in merito alla possibilità di una guerra. Ma questi funzionari commettono un errore di valutazione,
sono convinti che la Dieta giapponese sia troppo divisa per attuare qualsiasi linea coerente in Corea.

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Rassicurati da questi rapporti essenzialmente non rispondenti alla realtà, l’impero Qing inizialmente
cerca di ottenere un ritiro o comunque una riduzione della presenza militare giapponese a Seoul, ma
non vi riesce. Nel mentre le truppe giapponesi continuano ad arrivare, si registra un contingente di
circa 8.000 soldati. Non vi riesce perché il governo giapponese deve fare i conto con la propria
opinione pubblica e si ritrova a compiere delle scelte non facili.

 Il Giappone può ritirare le truppe da Seoul solo dopo aver ottenuto delle concessioni. In altre
parole, se l’esercito giapponese torna a casa, deve portare con sé una vittoria, simbolica ma
non solo.
 Hanno luogo dei negoziati tra Cina e Giappone. Quest’ultimo inizia a porre proposte e
condizioni ben sapendo che i cinesi le rifiuteranno. I giapponesi chiedono l’apertura di porti
al commercio, il permesso di costruire infrastrutture. I cinesi, punti sul vivo da quello che
considerano un tentativo di controllo su un loro territorio vassallo, rifiutano e rilanciano,
proponendo ai giapponesi di unire le proprie forze per sopprimere la ribellione dei Donghak.

È una situazione di stallo, mentre entrambe le parte inviano contingenti sempre più numerosi in
Corea. I cinesi istruiscono le proprie truppe a evitare ogni forma di provocazione verso i
giapponesi, perché sanno che se le truppe cinesi provocassero l’esercito giapponese, questo
risponderebbe. I cinesi hanno capito che il Giappone sta aspettando solo un pretesto per iniziare uno
scontro armato, e quindi cercano di prendere tempo e iniziano ad avviare una serie di intrighi e
negoziati nel tentativo di coinvolgere la Gran Bretagna e la Russia, impiegando queste due potenze
come mediatori, o almeno ottenendo da loro garanzie che il Giappone non ha intenzione di
espandere i propri interessi in Corea.

Ed è qui che i funzionari Qing che commettono un errore di calcolo, perché, nel momento in cui
avvicinano diplomatici russi, britannici e francesi, cercano anche di metterli l’uno contro l’altro,
ma non ci riescono. Le potenze occidentali non si fanno concorrenza in Cina, sono piuttosto
interessate a dividere il paese in zone di influenza. Né i francesi né i britannici, inoltre, sono
interessati alla Manciuria.

I britannici, con le guerre dell’oppio, hanno stabilito una zona di influenza soprattutto nel sud della
Cina, e sono ora interessati all’isola di Taiwan, perché è un’isola strategica per i propri interessi, si
trova vicino ad Hong Kong ed è fondamentale per le rotte marittime. Quindi quando i britannici si
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sentono proporre una mediazione a favore della Corea, declinano gentilmente ma non prestano il
proprio aiuto.

I francesi non si schierano dalla parte della corte Qing perché interessati ai territori del golfo del
Tonchino e dell’Annam (moderno Vietnam, Laos e Cambogia).

I russi, invece, sono interessati alla Manciuria.

In definitiva, la corte Qing non riesce ad impiegare nessuna delle tre potenze come mediatrice. Fin
quando la Cina cerchi di prendere sempre più tempo, i giapponesi, ormai convinti di voler
provocare una guerra, accusano la corte Qing di temporeggiare, di aver inviato truppe a Seoul senza
aver avvertito la corte giapponese. I cinesi devono capire che risposta dare a queste accuse. La corte
dei Qing, che finora ha tenuto una linea di grande cautela, cambia improvvisamente orientamento.

Essa è divisa in fazioni, alcune preferiscono mantenere una linea più morbida e altre che
sottomettono all’imperatore memoriali su memoriali in cui gli chiedono di attaccare per primi, di
smettere di chiedere mediazione alle potenze occidentali e piuttosto di rafforzare il contingente
cinese a Seoul. Prevale la linea più dura, le truppe cinesi in Corea sono messe in stato di allerta, le
provocazioni si fanno più intense finché il 1° agosto 1884 ha luogo la dichiarazione di guerra da
parte del Giappone. Scoppiano così le ostilità.

Le ostilità si risolvono nel giro di un paio di anni, la guerra è relativamente breve, le truppe cinesi
sono sconfitte. Pyongyang è presa dalle truppe giapponesi, le quali passano il fiume Yalu, arrivano
in questa città allora chiamata Port Arthur (oggi Dalian) e, cosa ancor più grave, i giapponesi
arrivano nella zona del Liaodong, a Weihaiwei. L’impero Qing, a questo punto, inizia a tremare,
poiché si ritrova con le truppe giapponesi sul proprio territorio. Guardando la cartina, si può notare
che la distanza tra Dalian e la capitale Pechino non è molta, stessa cosa vale per Weihaiwei.
L’impero cinese cerca ancora una volta di coinvolgere gli occidentali come mediatori ma il

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Giappone è irremovibile e pretende di negoziare direttamente con i cinesi. Spaventati dalla minaccia
di una vera e propria invasione, questi acconsentono è ha luogo la firma di un altro trattato:

Il Trattato di Shimonoseki contiene più o meno le solite condizione che troviamo nei Trattati
Ineguali.

 Apertura dei porti al commercio giapponese.


 Indennità di guerra.

Le questioni più importanti create dal trattato sono queste.

Il Giappone inizialmente acquisisce il controllo sulla penisola del Liaodong (in rosso). Subito dopo
la firma del trattato, succede qualcosa. La Russia, la Francia e la Germania fanno pressioni sul
Giappone affinché rinunci a questa penisola, in cambio riceverà una sostanziosa indennità di guerra
nell’ordine dei 300 milioni di monete d’argento, che la Cina non può pagare, tant’è vero che si
indebiterà con le banche straniere per pagare l’indennità di guerra. Però, per le potenze occidentali è
essenziale che il Giappone stia fuori dalla penisola del Liaodong perché la città di Dalian è di
interesse soprattutto all’impero russo. La Francia e la Germania decidono di appoggiare l’impero
russo perché la Francia era in precedenza legata alla Russia da un’alleanza che si era da poco
conclusa, e che a breve si sarebbe evoluta nella Triplice Intesa. Quindi i francesi, per mantenere un
certo equilibrio tra zone di influenza, appoggiano i russi. I giapponesi sono fuori dalla penisola del
Liaodong per il momento, però vengono concesse loro le Isole Penghu, o Pescadores, che si
trovano in una posizione strategica: sono nello stretto di Taiwan, e anche all’epoca questa zona era
essenziale per i traffici commerciali, è da qui che transitavano le navi britanniche e americane.

Ultima fase della guerra

Oltre a queste isole, il Giappone riceve anche Taiwan e l’occupazione di Taiwan rappresenta
l’ultima fase del primo conflitto sino-giapponese.

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Il Giappone impiega qualche mese per inviare le sue truppe sull’isola di Taiwan e per conquistarla,
questo perché all’epoca faceva parte dell’impero Qing, e i cinesi, quando vedono le truppe
giapponesi arrivare, iniziano ad opporre resistenza contro l’occupazione. Viene formato anche un
governo di resistenza, la repubblica di Formosa, governo che durerà solo 7 giorni, e chiaramente
la Cina si sente fortemente lesa nel proprio onore. Succede, inoltre, un episodio che al momento
passa più o meno inosservato se paragonato al Liaodong e a Taiwan. I giapponesi prendono
possesso, o controllo, delle isole Senkaku. Il Trattato di Shimonoseki non parla in maniera chiara di
queste isole, però i giapponesi le considerano un’estensione del territorio di Taiwan e quindi
decidono di prenderne possesso. Sono isole strategiche soprattutto per una nazione che è diventata
una potenza navale.

Essenzialmente, questi sono gli eventi della prima guerra sino-giapponese. Ha luogo
l’occupazione di queste isole, con un coinvolgimento anche del console generale in Giappone. Il
Trattato di Shimonoseki è un tipico trattato ineguale, con l’aggravante che è il primo trattato
ineguale imposto alla Cina da una potenza orientale. Questo avvenimento provoca malcontento e
divisione tanto nella corte Qing quanto all’interno della società cinese.

INIZIO DELLA PARTE DEDICATA ALLA LETTERATURA

Tra le letture obbligatorie, ci sono due articoli, uno di Edward Fung e uno di Krik W. Larson.

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Edward Fung, Ch’ing Policy in the Sino-Japanese War

È un breve articolo di vecchio stampo, è stato scritto basandosi sui diari tenuti dai funzionari
diplomatici dell’epoca. L’autore mette in chiaro quali sono i fatti storici e quali sono le
interpretazioni. Usa una trascrizione particolare dei caratteri cinesi.

Kirk W. Larson, Comforting Fictions: The Tribute System, the Westphalian Order, and Sino-
Korean Relations

È un articolo pubblicato nel 2013, essenzialmente parla di episodi quali l’assassinio dell’imperatrice
Myeongseong. È un articolo che non pone difficoltà particolari, fa un quadro semplice ma preciso
sulla tendenza imperialista che viene a delinearsi durante il periodo Meiji. È utile perché tocca
aspetti che la professoressa ha tralasciato. Da pag.10 in poi, parla delle percezioni che i giapponesi
avevano di se stessi durante la guerra, contrapposti ai cinesi, a come venissero raffigurati come
popolazione arretrata. Parla della creazione delle figure degli eroi di guerra, interessante anche per
capire le dinamiche culturali scatenate dal conflitto.

Le letture facoltative, invece, sono state scelte seguendo un criterio diverso. Fanno capire alcuni
dei possibili modi in cui la guerra è stata gestita o interpretata dalla letteratura più recente.

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