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Siino Simone, matricola n° 1066291

Letteratura Giapponese II (A+B)

(A) Il Giappone nel XIX secolo


L’economia commerciale del Giappone ha vissuto una profonda evoluzione, dal semplice
artigianato a manifattura con caratteristiche proto-industriali. Con le numerose innovazioni nella
tecnica agraria, nella tecnologia di produzione e nella gestione della produzione e distribuzione, il
tenore di vita medio dei giapponesi incrementa. Ciò comporta però anche una crescente
insoddisfazione nella classe samuraica (crisi economica di sistema), contro cui le misure
governative risultano insufficienti o non durature, e contadina, con ribellioni sempre più frequenti
e una stratificazione sociale accentuata. In questa situazione di crisi va letto il “fattore esterno”:
un mutamento sotterraneo sottovalutato dal bakufu riguardò l’equilibrio di forza tra gli han; nella
situazione di crisi e riforme emergenziali, alcuni han seppero reagire meglio e rafforzare i propri
bilanci grazie a riforme e politiche indovinate. Alla metà del XIX sec., i Tokugawa non avevano più
la certezza di essere la maggior forza economica e militare nel Paese.

Le pressioni esterne
Dopo il fallimento della colonizzazione verso il fiume Amur, la Russia si spostò verso nuove
frontiere: Ezochi. A Ezochi i russi saranno respinti e inviati a Nagasaki, dove tuttavia ottennero
soltanto il diniego delle autorità a qualunque relazione commerciale o diplomatica. Per evitare che
i russi avanzassero pretese su Ezochi, i Tokugawa accelerarono l'assimilazione culturale delle
popolazioni Ainu.
Nel diciannovesimo secolo cominciarono le incursioni britanniche in acque giapponesi, ma per gli
inglesi l'obiettivo principale nell'area restava la Cina. Nel 1825 fu promulgato l'ordine shogunale di
respingere con forza qualunque imbarcazione straniera si avvicinasse (anche per sbaglio) alle
coste. Nel 1842, tuttavia, ci fu una revoca prudenziale dell'ordine. Le notizie riguardo le “guerre
dell'oppio” provenienti dalla Cina misero in allarme il bakufu, che revocò le misure contro le navi
straniere in via precauzionale, ma non piegò la ferrea politica isolazionista. Nel 1844 fu data
risposta negativa alla lettera del Re dei Paesi Bassi che metteva in guardia contro la violenza della
politica coloniale britannica.
Nel 1846 gli Stati Uniti acquisirono il controllo del Far West, con l’annessione della West Coast e
della California. La città di San Francisco fu ripensata come porto per aprire l'America ai traffici
commerciali in Asia, oltre ai benefici derivanti dalla caccia alle balene nel Pacifico: il Giappone in
tutto ciò era visto come scalo nella rotta verso la Cina. Nel luglio del 1853 il commodoro Matthew
Perry approdò sulle coste giapponesi con la perentoria richiesta di aprire il Giappone al
commercio: in una lettera amichevole del presidente Fillmore rivolta all'imperatore del Giappone,
venne richiesto l'avviamento di scambi commerciali, il soccorso per i naufraghi e il diritto allo
scalo per i rifornimenti.

I trattati internazionali
Nel trattato di Kanagawa del marzo 1854 si stipulò l'assistenza ai naufraghi, l'accordo per la sosta
nei porti di Shimoda (dove gli Stati Uniti potevano far risiedere un console) e Hakodate, e la
clausola della nazione più favorita. Questo accordo permise alle altre potenze di reclamare
accordi analoghi. Con il console Townsend Harris (1804-1878), -1878), il Giappone si aprì a nuovi
negoziati. Utilizzando la minaccia di un possibile intervento franco-britannico, Harris ottiene un
primo trattato commerciale con il Giappone:

• Apertura dei porti di Hakodate, Kanagawa, Nagasaki, Niigata e Hyogo


• Tetto ai dazi
• Possibilità di risiedere nei porti aperti in extraterritorialità
• Commercio nelle città di Osaka e Edo
• Inizio di relazioni diplomatiche stabili: scambio delle ratifiche a Washington nel 1860
raggiunta con la Kanrin-maru.
Accordi analoghi furono siglati con Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Russia e Italia (nel 1866). Il
commercio con l'estero ebbe effetti sia positivi che negativi:

• Grande sviluppo del tessile, molto richiesto a causa di una malattia dei Bachi da seta che
colpì i principali produttori europei, Francia e Italia
• Intaccamento delle riserve metalliche e inflazione (benefico aumento dei prezzi per parte
di classe mercantile e proprietari terrieri, ma ulteriore impoverimento della classe
samuraica che non giovava di adeguamenti salariali).

Conseguenze interne
L'arrivo di Perry coincise con un periodo di grave instabilità politica a seguito della morte dello
shōgun Ieyoshi (1793-1853). La gestione del potere fu affidata al capo del Consiglio degli anziani,
Abe Masahiro (1819-1857). Abe era alla ricerca di un mandato forte per dare una risposta
condivisa a Perry, e fa una scelta senza precedenti: diffonde la lettera del presidente Fillmore a
tutti i daimyō, chiedendo loro di esprimere un parere. Da una porzione maggioritaria dei daimyō
vi fu una posizione conservatrice, ossia non volevano stipulare alcun compromesso; altri invece
optarono per una posizione di massimo compromesso, ossia temporeggiare facendo gli stranieri
alcune concessioni; da una piccola minoranza di daimyō vi fu una posizione di apertura, ossia
cominciare degli scambi commerciali con gli stranieri. Alla fine, venne perseguita la politica del
massimo compromesso.
Come conseguenza, Abe dimostrò la sua debolezza politica: la maggioranza dei signori locali erano
scontenti, sia dalla parte dei conservatori che dalla parte dei fautori dell'apertura. Inoltre, ci fu un
problema della ratifica del trattato, dato che gli americani si rivolgevano nei documenti
all'imperatore e non allo shōgun, a causa della mancata conoscenza dell'effettiva gestione del
potere. L'imperatore regnante Kōmei accetto la ratifica solo come escamotage per prendere
tempo. A seguito della decisione shogunale di ratificare il nuovo accordo col console Harris, il
nuovo capo del Consiglio Hotta Masayoshi si recò a Kyōto per ottenere di nuovo l'approvazione
imperiale, ma questa volta il sovrano disse di no e ciò comportò le dimissioni stesso dello stesso
Hotta. Con un nuovo vuoto di potere appena formatosi e la morte dello shōgun, da subito ci fu
una disputa per la successione:

• Fudai Daimyō: vogliono un discendente del ramo Kii


• Tozama Daimyō: vogliono un discendente del ramo di Mito, Tokugawa Nariaki (1800-
1860)
La prima fazione ebbe la meglio, ma la tensione politica e sociale era crescente: molti samurai
ritenevano il bakufu responsabile non solo della grave crisi economica della propria classe, ma
anche di aver piegato il Giappone alle richieste straniere. Il nuovo consigliere degli anziani, Ii
Naosuke, si comportò in maniera estremamente dispotica: stipulò l'accordo con Harris senza
beneplacito imperiale, concluse la disputa di successione favorendo fudai daimyō, reprimette con
violenza gli oppositori politici interni (arresto di Nariaki, obbligo di cambio ai vertici di alcuni han
dissidenti) e a Kyōto. Nel 1860, Naosuke fu assassinato da un gruppo di Samurai dello han di
Mito. A seguito dell'assassinio di Naosuke, il bakufu scelse di seguire una linea più mite nei
confronti degli oppositori politici (kobu gattai – “corte e bakufu: un solo corpo”). L'influenza della
Corte andava aumentando, anche perché diversi daimyō dissidenti avevano intrecciato relazioni
politiche con i cortigiani di Kyōto, in particolare gli han di Satsuma e Chōshū.

Lo han di Satsuma
Gli Shimazu, signori di Satsuma, controllavano gli scambi con le Ryūkyū e avevano visto da vicino
l'incremento del passaggio di navi straniere per i mari. Avevano deciso di sperimentare, seppur in
segreto, alcune migliorie tecniche di derivazione occidentale, soprattutto sul fronte della
produzione di navi militari. Nonostante l’alleanza politica con la Corte, di fatto non ne condivideva
inizialmente le istanze xenofobe. Durante l'incidente di Namamugi (1862) presso Yokohama, fu
assassinato il mercante britannico Charles Richardson da parte di un gruppo di shishi: Londra
richiese ingenti risarcimenti al bakufu e allo han di Satsuma. Il bakufu acconsentì al versamento di
tale somma, scontrandosi tuttavia con il rifiuto di Satsuma. A seguito della risposta negativa, ci fu
una rappresaglia militare della flotta navale britannica contro la città di Kagoshima: gli Shimazu
compresero di dover necessariamente scendere a patti con gli stranieri, instaurando relazioni
dirette con la Gran Bretagna tramite l’invio di studenti ad apprendere la tecnica europea e
l’importazione di materiale bellico. Lo han di Satsuma e la Corte riuscirono a far revocare le misure
anti-oppositori varate da Ii Naosuke. Inoltre, il bakufu inviò numerosi studiosi all'estero per
studiare la società e le scienze occidentali. Riduzione degli obblighi del sankinkōtai: le famiglie dei
signori poterono tornare ad alloggiare nelle città dello han, e gli stessi signori dovettero
soggiornare a Edo per un breve periodo ogni tre anni.
La corte di Kōmei restava tuttavia fortemente xenofoba e contraria a qualunque apertura nei
confronti degli stranieri, per volere dello stesso imperatore. Il fronte era stretto attorno a due
grandi pilastri: Sonnō jōi – “riverire il sovrano, espellere i barbari” (il caso di Satsuma però, ci dice
che la posizione non era la stessa per tutti). L'imperatore voleva che il bakufu revocasse i trattati
e cacciasse via i barbari occidentali, sostenuto dalla posizione radicale dello han di Chōshū.
L'imperatore richiese che il bakufu desse inizio alle ostilità contro gli stranieri, ma quest’ultimo
comunicò una data fittizia: tuttavia, lo han di Chōshū recepì questa data come vera, e cannoneggiò
navi mercantili di passaggio davanti alle sue coste. In seguito a questo affronto, le potenze
Occidentali organizzarono una missione punitiva congiunta di Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e
Paesi Bassi contro lo han di Chōshū, i quali membri vennero espulsi anche dalla Corte. Nel 1865
l'imperatore Kōmei siglò infine tutti i trattati.
Nel 1866, gli han di Satsuma e Chōshū strinsero un’alleanza segreta in funzione anti-shogunale. Lo
shogunato indisse una seconda campagna militare contro Chōshū, ma molti domini del Giappone
centrale decisero di non partecipare. Lo shogunato perseguì comunque le ostilità nei confronti di
Chōshū, venendo però ostacolato anche dallo han di Satsuma e dimostrando così di non essere più
militarmente superiore. Il 3 gennaio 1868 Kyōto venne occupata dai contestatori del bakufu e
venne dichiarata la “restaurazione del potere imperiale”: si susseguì una guerra civile tra
oppositori e leali ai Tokugawa, che durò fino a metà del 1869 nel nord del Paese.

La restaurazione del potere imperiale


Nel 1867, al conservatore imperatore Kōmei era succeduto il figlio Mutsuhito, noto col nome di
Meiji: i primi passi della nuova gestione del potere furono il trasferimento della corte imperiale a
Edo, ribattezzata Tōkyō, e la promulgazione di un giuramento in cinque articoli.
“Con questo giuramento ci poniamo come obiettivo l’instaurazione del bene nazionale su ampia
base e la composizione di una costituzione di leggi:
1. Saranno istituite su ampia scala assemblee deliberative e tutte le decisioni verranno prese
in seguito ad una discussione aperta.
2. Tutte le classi, agiate ed umili, dovranno essere unite nell’occuparsi dell’amministrazione
degli affari di stato.
3. Alla gente comune, non meno che agli ufficiali civili e militari, dovrà essere permesso di
compiere la loro professione in modo tale che non sia insoddisfatta.
4. Il mal costume del passato dovrà essere eliminato e tutto dovrà basarsi sulle giuste leggi
della natura.
5. Si cercherà la conoscenza del mondo per rafforzare la base del potere imperiale.”
Le intenzioni di questi articoli erano nobili, ma troppo ambigue ed aperte a diverse interpretazioni
di tipo tanto dispotico quanto democratico. Data l’assenza di istituzioni governative, si ripristinò il
sistema istituzionale della corte. Nel 1871 venne creato un gabinetto imperiale e un consiglio con
deleghe sui nodi chiave del governo: in questo nuovo assetto, anche i samurai di rango meno
elevato furono inclusi tra le fila del governo.

Questione dell’amministrazione nazionale


Il potere centrale disponeva di tutti i territori confiscati ai Tokugawa, ma il resto del Paese restava
governato localmente dai signori. Nel 1869, gli han di Satsuma, Chōshū, Hizen e Tosa cedono i
propri territori all’imperatore, incentivando gli altri daimyō a fare lo stesso, con la garanzia che ce
ne sarebbero rimasti a capo come governatori del nuovo sistema amministrativo (haihan chiken).

Questione delle classi sociali


Nel 1872 vennero abolite tutte le norme che separavano contadini, mercanti e artigiani,
mantenendo però i samurai con uno status sociale distinto. Venne creata un’aristocrazia civile, in
cui confluirono i daimyō e altri esponenti della vecchia corte, e al di sotto una classe militare di
samurai comuni, tutti stipendiati statali. Inoltre, venne introdotto il servizio di leva militare e
creato un esercito di coscritti: l’esercito popolare era comune in tutte le potenze europee, in
quanto la tecnologia bellica rendeva superflua la conoscenza approfondita delle arti militari e
marziali. L’esercito di leva era inoltre utile a creare una solida coscienza nazionale nel popolo.
Questa adozione del servizio di leva ottenne, tuttavia, risposte violente dalla maggior parte della
popolazione:

• Dai samurai, che si vedevano così privati della prerogativa militare


• Dal popolo comune, che perdeva forza lavoro.
Nel 1876 gli stipendi dei samurai vennero forzatamente convertiti in titoli di Stato e venne vietato
loro di portare armi. Ciò causo una serie di rivolte samuraiche, tra cui quello di Saigo Takamori
(1828-1877), personaggio eminente dello han di Satsuma che, resosi conto dell’inferiorità militare
dei samurai di fronte al moderno esercito di coscritti, si decapitò per non essere catturato e non
perdere l’onore. L’abolizione della classe dei samurai fu sostenuta da politiche volte alla
conversione dei guerrieri in imprenditori.

Riforma del sistema educativo


Il piano scolastico, ispirato al sistema educativo francese e messo in vigore nel 1872, prevedeva
l’istruzione obbligatoria su base universale per quattro anni di scuola primaria, a seguito della
quale si poteva accedere a scuole professionalizzanti o di istruzione superiore che traghettavano
fino al corso universitario. Le scuole venivano usate come strumento di propaganda nazionalista e
di reverenza imperiale, ed i manuali dovevano ricevere l’approvazione del Ministero. Nel 1877 fu
fondata l’Università Imperiale di Tōkyō; vennero inoltre fondati istituti universitari privati da parte
dei principali intellettuali e politici dell’epoca, come l’università di Keiō (fondata da Fukuzawa
Yūkichi nel 1868) e l’università di Waseda (fondata da Okuma Shigenobu nel 1882). Questi
intellettuali stavano alla base del rinnovamento culturale del Paese, che introduceva il pensiero
politico e filosofico Occidentale in Giappone (wakon yōsai – spirito giapponese, tecnica
occidentale).

La figura imperiale
La figura dell’imperatore assurse ad un ruolo centrale: per la prima volta egli fu esposto alla
nazione come un sovrano Occidentale, ossia una figura pubblica e vestita in abiti militari
(piuttosto che, come in epoca passata, segregato nel palazzo imperiale ed impossibile da vedere).
Infatti, tutta la classe militare doveva d’ora in avanti adottare un abbigliamento militare
Occidentale e venne imposta la rasatura dei chonmage. Il nuovo assetto del Corte imperiale
prevedeva una nuova educazione di stampo samuraico e dedito alle scienze ed alle arti
occidentali; vennero inoltre licenziate le dame di compagnia ed allontanati i membri discendenti
dell’antica aristocrazia curtense.
Facendo leva sugli studi di tipo kokugaku, il governo Meiji impose la concezione dello shintō come
di una religione originaria e autoctona, che fu “depurata” da influenze straniere: ciò avvenne in
particolare nel 1869 con la separazione tra templi e santuari, e nel 1871 con la creazione di un
istituto a capo delle istituzioni templari, i cui custodi (il clero) divennero dipendenti statali, e al
suo interno venne creata una gerarchia al cui vertice stava il santuario di Ise. Venne inoltre
revocato il divieto di professione della religione cristiana e con esso di altri culti religiosi.

L’economia e l’interventismo statale


Gli obiettivi del governo Meiji erano dunque:
• Wakon yōsai – “spirito giapponese, tecnica occidentale”
• Fukoku kyōhei – “paese ricco, esercito forte”
• Occidentalizzazione di facciata e adozione di un sistema istituzionale moderno al fine di
revocare i trattati ineguali imposti dalle potenze occidentali durante il bakumatsu
Nel 1871 Iwakura Tomomi svolse una missione diplomatica negli Stati Uniti e in Europa al fine di
apprendere le moderne tecniche occidentali. Durante il suo viaggio, egli si convinse che la
ricchezza e potenza di uno Stato dipendeva dalla capacità del suo Governo di dirigere il suo
sviluppo economico. Tuttavia, altri burocrati giunsero a differenti conclusioni, ossia che la
ricchezza viene creata dal basso e da una società istruita.
Varie riforme furono implementate al fine di rafforzare la nascita di un tessuto industriale, delle
tecnologie, delle infrastrutture nonché della flotta marittima, per fare del Giappone un Paese
esportatore e partecipante attivo degli scambi commerciali in Asia. Se nella fase del bakumatsu
l’economia giapponese consisteva per oltre il 90% in produzione agricola, nel corso dei primi
vent’anni del periodo Meiji la situazione andò a mutare verso un rafforzamento del settore
industriale. In questo periodo nacquero le Zaibatsu, grandi compagnie che agglomeravano in sé le
piccole e medie imprese e accentravano le ricchezze. Il deficit commerciale continuava l’erosione
delle riserve monetarie statali, ma negli anni Settanta l’adozione del “gold standard” da parte
della maggior parte dei paesi occidentali comportò una svalutazione dello yen e favorì così le
esportazioni (il Giappone entrò nel sistema aureo soltanto a fine Ottocento).

Rapporti con l’Estero


Russia – con la disfatta totale dei Qing e lo sgretolamento del sistema sino-centrico, l’impero
zarista ottenne lo sbocco sul mar del Giappone, inglobando un vasto territorio precedentemente
occupato dai mancesi e istituendo il porto di Vladivostok. Il Giappone fece accordi con la Russia
circa la spartizione delle isole Curili e l’annessione dello Ezochi, che prese il nome di Hokkaidō.
Corea – nel 1868 fu avviato il primo tentativo di intraprendere relazioni diplomatiche con il regno
di Corea. Nel 1876, la minaccia da parte del Giappone di un intervento militare in Corea favorì la
stipula di un trattato di amicizia tra i due Paesi e l’apertura degli scambi commerciali.
Cina – nel 1871 fu stipulato il trattato di amicizia tra Cina e Giappone; vi erano tuttavia diversi
motivi di attrito circa l’interesse per il regno di Ryūkyū, che fu annesso al Giappone e ribattezzato
Okinawa. Inoltre, ci fu un tentavo giapponese di ingresso nell’isola di Taiwan.
Numerosi furono i tentativi giapponesi di abolire le clausole che rendevano ineguali le trattazioni
con i Paesi occidentali, in particolare:

• Mancanza di sovranità sui dazi


• Clausola della nazione più favorita
• Questione dell’extraterritorialità
Nonostante l’acquisizione di pratiche e costumi occidentali e il parere favorevole di Stati Uniti e
Germania sull’abolizione dei trattati, quest’ultima non venne raggiunta nel primo ventennio.

Itō Hirobumi, padre della Costituzione Meiji


L’introduzione di idee liberali e democratiche risale sin dai tempi del bakumatsu: lo stesso
giuramento in cinque articoli apriva a queste istanze, ma il governo Meiji arrivò alla promulgazione
della costituzione e ad un’armonizzazione graduale del rapporto tra monarchia, popolo e
istituzioni. I primi sviluppi di un assetto democratico delle istituzioni Meiji furono “sperimentati” a
livello locale, con l’istituzione di giunte elette a suffragio ristretto, che avevano il compito di
mettere ai voti il bilancio del governo provinciale (che restava di nomina statale).
L'opera di redazione della Costituzione trasformazione del Giappone in una monarchia
parlamentare fu seguito e curato dall'oligarchia Meiji, che operò una forte repressione del
dissenso e una censura, anche preventiva, di ogni forma di incursione dal basso (divieto di
assemblea, censura della stampa, scioglimento di associazioni culturali, promulgazione di un
decreto speciale sulla sicurezza che dava alle forze di polizia ampi poteri). In questo clima vide luce
il Partito Liberale fondato da Itagaki Taisuke, partito temporaneamente sciolto e poi ricostituito
nel 1890. A partire dal 1881, il principale esponente dell'oligarchia Meiji fu Itō Hirobumi, dotato
di grandi capacità di mediazione. Respinto il tentativo di riforma costituzionale di Okuma
Shigenobu, che si ispirava la Costituzione britannica, Itō portò avanti una riforma più vicina al
modello prussiano, che dava maggiori poteri e prerogative al monarca e al suo Consiglio. Itō era
dell'idea che, pur dovendosi ispirare alle forme di governo sviluppatesi in Occidente, il Giappone
doveva avere una forma propria, adatta alla sua natura e storia. Ciò non di meno organizzò un
viaggio di studio in Europa nel 1883.
Dal 1880 ci furono promulgazioni di varie leggi e regolamenti, tra cui un Codice penale e di
procedura penale. La prima mossa fu la riforma dell'aristocrazia messa in atto nel 1884: al di sotto
della casa imperiale erano stabiliti 5 ranghi (barone, Visconte, Conte, Marchese e Principe/Duca).
L'ereditarietà dei titoli fu confermata, ma viene aggiunto il criterio meritocratico, su nomina
imperiale per meriti di Stato. Lo stesso Itō era un contadino, poi divenuto samurai di basso rango,
e a seguito della riforma ottenne il titolo di Conte. Nel 1885 si poté assistere alla riforma del
governo: il governo fu posto sotto la direzione diretta del Consiglio interno (naikaku),
direttamente responsabile verso il sovrano. A capo, con poteri di coordinamento era posto il capo
del Consiglio interno o Primo ministro. Itō Hirobumi divenne il primo capo del Consiglio interno dal
1885 al 1888.
Infine, l'11 febbraio 1889 venne promulgata la Costituzione Meiji, che si fondava sullo schema di
quella prussiana. Tuttavia, questa non venne accolta dalle istanze liberali e venne vista come un
ostacolo alla presa di potere dei partiti politici. La Carta costituzionale era il primo passo verso la
formazione di una monarchia costituzionale e avviò un lungo e spesso violento dibattito politico
interno.

La fine del secolo


La Costituzione promulgata nel 1889 resterà in vigore sino al 1947, e nel 1890 venne istituita la
Dieta Nazionale:
“Noi, che ricevendo l'illustre lascito dai Nostri Avi siamo ascesi alla dignità imperiale in una linea
ininterrotta nei secoli, avendo a cuore i Nostri sudditi amati, ossia quei sudditi sui quali vegliano
con benevolenza affetto i Nostri Avi; con il desiderio di accrescere il loro benessere e far sviluppare
le loro virtù morali e intellettuali, e nell'auspicio di mantenere la prosperità dello Stato con il loro
concorso, (…) stabiliamo qui una Costituzione (…) Noi abbiamo ricevuto il diritto sovrano di reggere
lo Stato dai Nostri Avi e lo trasmettiamo ai nostri discendenti.”
L'Imperatore è investito di ampi poteri che esercita in combinazione con i Ministri competenti e
con la collaborazione del Parlamento. i Ministri sono scelti dall'Imperatore, e di fatto l'oligarchia
Meiji si auto-sceglierà ancora per i successivi anni. La Dieta era formata dalla Camera dei
Rappresentanti Popolari (eletta dal popolo a suffragio limitato) e dalla Camera dei Pari (formata
da esponenti della nobiltà civile, su elezione interna o su nomina imperiale). Di fronte alla legge
vigeva il principio di uguaglianza, ma con possibilità di restrizione dei diritti e delle libertà per
particolari esigenze dello Stato, quali la sicurezza o l'integrità del kokutai. Dato che la Costituzione
sanciva l'indipendenza della magistratura, ne conseguì la promulgazione di un Codice civile
fortemente ispirato da principi patriarcali.
In questi anni il Giappone entra in guerra con la Cina dei Qing: con una rapida serie di vittorie
della Marina giapponese e delle forze di terra, l'esercito cinese arretra sempre di più. Per
scampare il pericolo dell'imminente ingresso a Pechino delle forze giapponesi, la Cina è costretta a
una pace iniqua:

• Riconoscimento della Corea come Stato indipendente


• Cessione perpetua del Liaodong, di Taiwan e delle isole Pescadores
• Pagamento di una ingente indennità di guerra
• Stipula di un “trattato ineguale” col Giappone.
Tuttavia, si trattò di una vittoria mutilata dal triplice intervento di Germania, Russia e Francia, che
vide costretto il Giappone a restituire il Liaodong a fronte di una indennità maggiore e alla
spartizione della Cina in sfere di interesse (il Liaodong andò alla Russia). Nel 1904 il Giappone
dichiarò guerra alla Russia e attaccò a sorpresa Port Arthur: l’operazione portò alla vittoria delle
truppe di terra, e negli scontri marittimi la flotta giapponese capitanata dall’ammiraglio Togo
Heihachiro colpì definitivamente quel che restava della flotta russa nel 1905, ottenendo a
Tsushima la vittoria sul nemico. La conferenza di pace si tenne a Portsmouth (New Hampshire),
con le seguenti richieste da parte dei giapponesi:

• Libertà di azione in Corea


• Evacuazione della Manciuria e rinuncia ad azioni contro il principio delle pari opportunità
delle potenze straniere nel territorio.
• Trasferimento al Giappone dei diritti sul Liaodong e sulla ferrovia sud-mancese.
• Cessione di Sachalin e risarcimento delle spese di guerra.
Vennero accettate tutte le richieste tranne l’ultima: venne concessa mezza Sachalin e non vi fu
alcun risarcimento. La firma di tale trattato da parte del Giappone scatenò le proteste della
popolazione, che si tramutarono in scontri e guerriglia. Le relazioni con gli Stati Uniti si
incrinarono nel corso degli anni, in seguito all’annessione delle Hawaii e l’occupazione delle
filippine da parte dell’esercito statunitense, la politica della “porta aperta” in Cina ed il problema
dell’emigrazione giapponese negli Stati Uniti.
Situazione del neonato impero coloniale giapponese:

• Governatorato a Taiwan dal 1895


• Annessione della regione meridionale di Sachalin dal 1905
• Governatorato del Liaodong, dove venne fondata la Compagnia ferroviaria della Manciuria
meridionale
• Occupazione della Corea, con la creazione di un governatorato dipendente direttamente
dall’Imperatore e inizio della colonizzazione e assimilazione culturale attraverso
l’educazione e l’ammodernamento.

La fine dei Meiji


Con la maturazione del sistema capitalistico nato nel periodo Meiji, vi fu la concentrazione di
grandi capitali nelle grandi imprese, che venne a creare un vero e proprio oligopolio: è il caso delle
zaibatsu, corporazioni che si diramavano in più settori (produzione, distribuzione, bancario, ecc.).
quattro grandi esempi di zaibatsu sono: Mitsui, Mitsubishi, Sumitomo, Yasuda. L’incremento della
ricchezza pubblica non significò un incremento del benessere, bensì un’accentuazione delle
disuguaglianze economiche e sociali. Il governo lanciò delle campagne per rafforzare la coesione
nazionale (esortazione alla sinergia di tutta la nazione a lavorare per il bene comune; campagna
per il miglioramento del territorio del Ministero degli Interni; fondazione dell'associazione
imperiale dei riservisti, per la promozione dello spirito militare).
Il 30 luglio 1912 muore l’imperatore Meiji. A lui succede il principe Yoshihito, col nome di Taishō,
ritenuto dagli storiografi un inetto all’esercizio del potere anche a causa della sua salute malferma.

La Prima guerra mondiale


Il Giappone si era alleato con la Gran Bretagna, tuttavia il trattato non prevedeva l’intervento
automatico del Giappone in caso di conflitto. Il governo giapponese approfittò dello scontro in
Europa per rafforzare la propria posizione imperialista in Asia: dichiarò guerra alla Germania e
richiese l’abbandono dei presidi tedeschi in Cina. Le operazioni militari si svolsero su due fronti:

• Sul fronte marittimo, vennero occupate le colonie tedesche settentrionali nel Pacifico
(isole Marianne, Marhall e Caroline); le colonie meridionali vennero occupate da Australia
e Nuova Zelanda
• Sul fronte di terra, ci furono scontri nello Shandong con una (sofferta) vittoria sulle truppe
tedesche.
Vengono stese trattative con la Cina, dove il ministro degli esteri Kaito presenta al presidente
cinese Yuan Shikai una serie di richieste (top secret) a seguito della vittoria in guerra, che
prevedevano:
1. Trasferimento di tutti i diritti tedeschi in Cina al Giappone
2. Consolidamento delle operazioni finanziarie giapponesi in Manciuria
3. Sfruttamento delle risorse minerarie cinesi
4. Divieto di ulteriori concessioni a potenze terze lungo la fascia costiera
5. Acquisizione di personale giapponese nella burocrazia, nel governo e gestione congiunta
delle forze di polizia.
A seguito di tali richieste, il presidente cinese, oltraggiato, diffonde la notizia ai media. Con la
caduta della quinta richiesta, la Cina firma il trattato e ciò comporta grandi vantaggi economici per
il Giappone, ma anche una forte compromissione della reputazione internazionale.
La conferenza di pace di Parigi
Durante la conferenza di Parigi del 1919, il Giappone siede al tavolo dei vincitori, ma non riesce a
capitalizzare questo vantaggio a causa della decisione di concentrare le proprie forze nel
mantenere la posizione nello Shandong, evitando di considerare le altre regioni del mondo. La
proposta giapponese non verrà accolta anche per una questione razziale, in quanto i membri
occidentali si ritenevano “superiori” rispetto al loro alleato asiatico. La Cina richiese la restituzione
dei territori, ma al Giappone vennero concessi i diritti tedeschi sulla regione e la Cina, pertanto,
non firmò il trattato di Versailles: ciò portò a una progressiva vena di scetticismo del popolo
cinese verso l’Occidente e il Giappone, con la conseguente fondazione del partito comunista
cinese (nel 1921).

La questione razziale
In California viene redatto un referendum per privare i “non qualificati alla cittadinanza” di
possedere o acquistare terreni agricoli. Nel 1924 viene promulgata una legge federale che
impedisce l’ingresso negli Stati Uniti ai membri della “razza asiatica”: di conseguenza, la rotta
migratoria giapponese punta verso il Brasile.

La “democrazia Taishō”
Durante il governo del Primo Ministro Hara (il primo eletto dalla camera bassa e quindi non di
sangue nobile) viene acceso un dibattito sul suffragio universale maschile. All’Imperatore Yoshihito
succede il principe Hirohito, che salì al trono nel 1925. Il 1° settembre del 1924 un grande
terremoto si abbatte sulla zona del Kantō, causando incendi devastanti a Tōkyō e causando oltre
100.000 morti nella sola capitale. Nel 1925 viene promulgata una legge di tutela dell’ordine
pubblico (chian iji ho), che sancisce pene molto severe per chiunque osi sovvertire l’ordine
nazionale, con lo scopo di evitare la proliferazione e la creazione di gruppi anarchici affiliati al
comunismo. Nel 1928 vengono istituiti i “procuratori di pensiero” (shiso kenji) e la polizia
superiore speciale (tokubetsu koto keisatsu o semplicemente Tokko) per investigare contro le
forze sovversive o i reati di pensiero. Il periodo Taishō era stato caratterizzato da un grande
fermento democratico a livello di classe intellettuale e di mondo politico, che aveva raggiunto un
largo consenso nella popolazione. La situazione, tuttavia, andò mutando verso l’autocensura e
l’asservimento.

Tratti della nuova cultura


Il periodo Meiji, in breve, è caratterizzato dai rapporti con l’Occidente, siano essi di ostilità,
compromesso o emulazione. Viene introdotto il pensiero Occidentale, tramite le istituzioni statali
ed attraverso l’opera di intellettuali: di aiuto sono i testi occidentali tradotti in giapponese come
Self Help, tradotto nel 1871 da Nakamura Masanao. Alcuni saggi vengono adottati come libri di
testo obbligatori per lo studio, come Seiyō jijō (notizie dal mondo occidentale). Il Giappone non è
ancora un Paese avanzato perché manca di un apparato istituzionale moderno, per via del governo
dispotico e il popolo senza cultura scientifica.
Nel 1873 viene fondata l’associazione Meirokusha, società per lo sviluppo della scienza, della
tecnica e della letteratura. I suoi membri studiano e viaggiano all’estero, e molti contribuiscono a
diffondere i pilastri della cultura occidentale traducendo opere estere in giapponese, come tratti
scientifici o specialistici. Col passaggio dalla tecnologia xilografica alla tipografia, vengono prodotti
molti più giornali e libri: la diffusione di una cultura liberale e la richiesta di maggiori diritti da
parte del popolo porta, tuttavia, ad una reazione da parte dell’oligarchia. Dopo dieci anni di
istruzione basata sui principi illuministi, l’oligarchia plasma una nuova educazione obbligatoria
basata sulla fedeltà verso l’Imperatore, lo spirito di gruppo e l’amore patriottico. L’azione di
governo degli oligarchi culminò poi con la promulgazione della Costituzione del 1989 e della
creazione della Dieta nel 1990. Nel 1925 si assiste all’emanazione del diritto di suffragio universale
maschile, mentre per il suffragio universale si dovrà attendere fino al 1945.

Questione della lingua


La lingua giapponese è caratterizzata da un’estrema varietà linguistica: per la lingua orale, vi sono
tutta una serie di dialetti, linguaggi e appannaggi; per quanto riguarda la lingua scritta, vi sono
varie forme:

• Varietà di cinese scritto (epistolare) come lingua ufficiale per documenti


• Giapponese classico come lingua per produzioni letterarie scientifiche
• Lingua cinese ibrida come lingua per produzioni della narrazione e della declamazione
Durante gli anni ’80 del XIX secolo si tenta di standardizzare la lingua giapponese basandosi sulla
parlata di Yamamote (borghesia di Tōkyō); la legge sulla scuola del 1900 ridusse gli hiragana e i
katakana ai 47 simboli in uso ancora oggi, stabilì l’uso dello stampatello per i caratteri e seleziono
un numero di caratteri standard da insegnare durante il corso di studi obbligatorio.
Sorgono in questo periodo varie correnti di pensiero, come il kana no kai (associazione per i kana,
voleva che la lingua fosse scritta solo in kana e senza kanji) e lo romaji no kai (associazione per
l’alfabeto latino, voleva che quest’ultimo venisse utilizzato per scrivere in giapponese). Il termine
genbun icchi (unificazione di lingua parlata e scritta) diventa in questo periodo di vitale
importanza.
Le prime forme di letteratura Meiji sono ispirate ai nuovi principi sociali delle scienze e del
sapere occidentale, e sono scritte secondo lo stile dello yomihon (stile che imita la declamazione
orale ibridizzata da stile e lessico della letteratura vernacolare cinese, dove i personaggi sono
simboli di virtù e princìpi). Lo scrittore Yano Ryūkei, in Keikoku suidan (store esemplari di creazione
di una nazione, 1884), divide nella sua prefazione le lingue scritte in quattro differenti tipologie:

• Stile kanbun (sinitico letterario), eroico e pieno di grazia


• Stile wabun (giapponese classico), morbido e gentile
• Stile ōbun-chokuyaku (traduzione diretta dalla lingua europea), dettagliato e preciso
• Stile zokurigen (stile vernacolare del “dialogo realistico”), comico e vario
Yano si fece portavoce dell’adozione di uno stile scritto in sintesi che chiama ryobuntai (stile
doppio), ossia una lingua basata sul sinitico letterario, in cui ogni carattere ha una glossa di lettura
in kana. Vengono inoltre ridotti i kanji di uso quotidiano a circa 3000 unità.
Tsobouchi Shōyō identifica delle buntairon (teorie sullo stile) all’interno dell’opera Shonsetsu
shinzui:

• Gabuntai (stile elegante, giapponese classico)


• Zokubuntai (stile volgare, che trascrive la lingua parlata)
• Gazokusecchūtai (stile combinato elegante-volgare)
I primi due hanno virtù e demeriti, soprattutto dipendenti dal contesto, che varia in base allo stile
e viceversa. Shōyō vuole scorporare dallo stile scritto l’eredità degli studi cinesi e dunque propone
l’abbandono del sinitico letterario, a differenza di Yano che lo usa come base per il rinnovamento
della lingua scritta.
Con l’abbandono della narrazione basata sulla declamazione orale, cambiò anche la formazione e
l’educazione alla lettura: la lettura silenziosa e individuale permise la nascita delle prime
biblioteche.
Mori Ōgai ideò lo stile wakankyo konkobun (stile misto sino-giappo-occidentale), che verrà
utilizzato dallo scrittore nella traduzione di opere occidentali e per la stesura della cosiddetta
“trilogia romantica”.

• Maihime (la ballerina)


• Utakata no ki (ricordi del mondo effimero)
• Fumizukai (il corriere)

Questione dell’identità nazionale


Gli intellettuali si interessano sempre di più al confronto con l'Occidente. Viene prodotta una
letteratura anche scientifica, che si pone la questione di definire la cultura giapponese e il popolo
giapponese:

• Rivista Nihonjin (i giapponesi), dal 1888


• Rivista Nihon (il Giappone), dal 1889
Il Giappone viene definito come un paese unico, con una cultura unica: vengono quindi delineati
nelle riviste i tratti caratteristici della cultura e del popolo giapponese. Vengono inoltre prodotti i
primi testi di autori giapponesi in lingua straniera per avvicinare gli occidentali al pensiero
giapponese:

• Uchimura Kanzō, Japan and the Japanese (1894)


• Nitobe Inazō, Bushido: the soul of Japan (1900)
Nel periodo Meiji la lingua giapponese si arricchisce di molti prestiti linguistici dalle lingue
occidentali. Vengono introdotti i termini per concetti come amore, libertà e democrazia. Nascono
anche i concetti di letteratura (in senso occidentale, bungaku) e storia della letteratura. Si cerca di
promuovere la lingua nazionale standard (hyōjungo, dialetto della borghesia di Yamanote) come
simbolo della nazione e promozione dell’istanza nazionalista: le lezioni di nihongo (lingua
giapponese) diventano lezioni di kokugo (lingua della nazione), termine presente ancora oggi.

Letteratura del bakumatsu


In questo tipo di letteratura si riscontra un generale disinteresse per le questioni sociali, ma vi è
un acceso confronto tra la vecchia e la nuova letteratura. L’Occidente è presente solo come
elemento “esotico”.

Letteratura gesaku
La letteratura d’intrattenimento (gesaku) si disinteressa totalmente al mondo in costante
cambiamento: l’ingresso nell’era Meiji implica semplicemente un cambiamento nelle
ambientazioni, ma non nell’atteggiamento dei personaggi. Gli intellettuali Meiji respinsero con
forza questo tipo di letteratura, giudicandola frivola, inutile e arretrata. Nakamura Keiu, ad
esempio, scrisse diversi saggi in cui elencava i danni che la letteratura di intrattenimento causava
nel lettore e consigliava vari modi per distruggere o bruciare questi libri.

L’età delle traduzioni


Nel periodo Meiji, la maggior parte dei testi tradotti erano di tipo non letterario, si trattava
quindi di testi di carattere scientifico volti ad istruire la popolazione sulla cultura occidentale. La
prima traduzione letteraria di un testo occidentale fu la traduzione del Robinson Crusoe del 1850
dall'olandese. Nel 1873 venne tradotta la Bibbia, basata su una traduzione del missionario tedesco
Gutzlaff, che naufragò a Macao e venne salvato da tre giapponesi dello han di Owari che gli fecero
da intrepreti della lingua giapponese per la traduzione del testo. Tuttavia, la prima vera
traduzione di un'opera letteraria occidentale fu la versione in giapponese di Ernest Maltravers di
Edward Bulwer-Lytton, tradotto in giapponese nel 1879 dallo studioso Oda Jun’ichirō col titolo di
Karyū shunwa (racconto primaverile di fiori e salici).
I traduttori di periodo Meiji si dividono in tre tipologie:

• Quelli ispirati dal desiderio di educare il lettore ai valori e ai principi dell’Occidente, poco
interessati alle qualità letterarie dei testi da tradurre
• Quelli rivolti ad un pubblico colto, cui vogliono trasmettere visioni della società e ideali
politici e sociali dell’occidente
• Traduttori interessati alla letteratura occidentale in sé, come lo stesso Oda Jun’ichirō.
La traduzione di Ernest Maltravers venne mediata tramite l’utilizzo del sinitico letterario, in un
modo non particolarmente adatto al contenuto ma che rendeva più o meno l’idea e faceva sì che il
testo sembrasse degno di nota. Essendo molti termini inglesi non presenti nella lingua giapponese,
la traduzione presenta molti errori strutturali e grammaticali (kiss = leccata; ergo = Iago di
Shakespeare).
Mori Ōgai coniò molti termini nuovi partendo dalla traduzione delle lingue occidentali, come ad
esempio i termini musicali, seiki per secolo, bungaku per letteratura, shinka per progresso. Per la
prima volta fu la Cina ad importare i termini dal Giappone, e non viceversa come era storicamente
sempre successo. Il primo esempio di applicazione delle nuove istanze letterarie fu il romanzo
politico, dove i protagonisti rappresentavano virtù e concetti fondamentali del popolo occidentale
(sulla falsa riga del romanzo di periodo Edo).

L’essenza del romanzo


Tsuboichi Shōyō pubblica nel 1885 l’opera Shōsetsu shinzui (L’essenza del romanzo). L’autore
proviene da una scuola di studio confuciana e si interessa sin da giovane al mondo della
letteratura e del teatro, per diventare in seguito discepolo di Kanagaki Robun. Si laurea in
letteratura inglese presso l’università imperiale di Tōkyō, dove rafforza il suo interesse per il
gesaku. Si dice che Shōyō apprese il concetto di “arte per l’arte” da una lezione di Ernet Fellonosa,
che decretò l’arte come una delle attività più nobili dell’uomo.
Lo Shōsetsu shinzui si divide in due distinte parti: una teorica (principi) ed una pratica
(applicazione). Nella prima parte egli definisce la teoria generale del romanzo (shōsetsu sōron) e
dà la definizione di arte (bijutsu): essa non ha fini pratici o educativi che ne imbriglierebbero
l’invenzione per l’artista. Gli effetti dell’arte sono prodotti indirettamente e sono dunque legati
alla reazione dell’uomo che ne usufruisce. L’arte si può inoltre suddividere in:

• Arte con forma, tangibile: pittura, scrittura, intarsio, giardini, bronzi


• Arte senza forma, intangibile: musica, poesia, dramma
• Arte mista con forma tangibile e intangibile: teatro e danza, che mettono in movimento la
poesia e il dramma e lo accompagnano con la musica.
Le arti tangibili si riferiscono alla vista, quelle intangibili all’udito, mentre la poesia drammaturgica
e il romanzo si riferiscono alla mente. Il romanzo è quindi arte, e primeggia per dimensioni e
libertà di espressione, per versatilità nella descrizione e per il rapporto diretto con la mente dei
lettori, di cui sollecita la fantasia. I punti principali del romanzo (shōsetsu no shugan) sono i
sentimenti umani e i costumi della società. Esistono poi differenti tipologie di romanzo:

• Romanzi di “promozione e punizione” (kan/zen cho/aku), ossia a fine didattico


• Romanzi di descrizione e copia del reale (mosha)
• Romanzi con ambientazione storica (jidai monogatari)
• Romanzi ambientati nel presente (sewa monogatari)
Nella parte pratica, invece, l’autore fa un discorso generale sulle regole del romanzo (shōsetsu
hosoku sōron) e definisce le sue teorie sullo stile di scrittura (buntai ron), che può essere:

• Stile elegante (gabuntai)


• Stile volgare (zokubuntai)
• Combinazione di elegante e volgare (gazoku secchutai)
Nella prefazione dell’opera, l’autore critica la tradizione letteraria del gesaku, e afferma che la
popolazione è ormai abituata al ciarpame che gli viene proposto; viceversa, gli autori non
producono più opere secondo il loro intelletto, ma si limitano a seguire il gusto dell’opinione
pubblica. Il romanzo, insomma, deve descrivere le emozioni umane e in secondo luogo, la società
e i costumi del tempo. I personaggi dovranno essere modulati su persone reali, non pensati come
virtù antropomorfe o simboli. Il romanzo chiarisce l'oscuro include in uno spazio limitato passioni
umane indomabili e sebbene dia piacere al lettore, gli consente di riflettere sulla propria esistenza.
Nello stesso anno, Shōyō pubblica Tōsei shōsei katagi (caratteri di studenti del nostro tempo,
1885), dove però non riesce ad applicare le proprie teorie. Il romanzo ebbe un discreto successo,
ma sia nello stile che nel contenuto, non costituisce un passo in avanti rispetto allo stile di scrittura
del gesaku, in particolare del romanzo sentimentale. I caratteri e le conversazioni dei personaggi
risultano insinceri e la trama risulta inverosimile, con molti accadimenti fortuiti.

La lingua della declamazione


Shōyō collaborò con Futabatei Shimei, autore giapponese che aveva studiato russo e ne
conosceva la letteratura, e che tradusse l’opera Padri e figli di Turgenev in linguaggio colloquiale,
imitando il modo di raccontare del rakugo (stile di declamazione).
Nel 1889 viene pubblicato Ukigumo (nuvole fluttuanti), considerato dalla critica come il primo
romanzo moderno di periodo Meiji, opera di Shimei sotto il patrocinio di Shōyō: l'eroe del
romanzo è Utsumi Bunzō, un giovane samurai venuto a Tōkyō dalle province, licenziato dal suo
lavoro per incapacità di sottomettersi ai superiori, posto in antitesi al personaggio di Noboru, un
giovane arrampicatore sociale; entrambi competono per diventare i futuri possibili sposi di Osei. I
personaggi risultano più sinceri rispetto alla produzione precedente e rappresentano la società
Meiji: possono essere quindi intesi come frutto del realismo (mosha), non soltanto superficiale
(come nel gesaku). I personaggi di Ukigumo sono personaggi tridimensionali con reazioni umane,
sono volubili e ambigui. Inoltre, lo stile colloquiale con cui è scritto ne fa il primo testo che
abbandona quasi definitivamente gli stilemi della letteratura classica o in cinese. Nel testo è
presente uno scontro tra due istanze di reazione alla repentina modernità del Giappone: un ramo
della famiglia riesce a cavalcare il cambiamento, un altro soccombe. Riuscire a adattarsi nel mondo
della società, del progresso all'occidentale, tuttavia, non è necessariamente una caratterizzazione
positiva!

Il romanticismo
La nuova generazione di intellettuali nati nel periodo Meiji vanta di una maggiore conoscenza
della cultura occidentale. Il loro atteggiamento verso la società è meno ottimistico dei loro
predecessori e contiene una visione più critica. Viene gradualmente risolta la questione della
lingua, seppur sopravvivono stili e soluzioni stilistiche eterogenei e viene gradualmente introdotto
il dibattito letterario europeo attraverso i giornali e le riviste letterarie. Le correnti del
romanticismo e del naturalismo vengono infine introdotte in Giappone.
I capisaldi del romanticismo europeo sono:

• Rilettura della storia (in senso anti-illuminista), non come frutto di un disegno razionale,
bensì come prodotto complessivo di un insieme di pulsioni diverse e spesso
contraddittorie, in cui, accanto a quelle di natura razionale, ci sono quelle religiose,
affettive, sentimentali e passionali.
• Rivalutazione della cultura medievale e della componente popolare della storia culturale.
• Irrazionalità, Io (individualismo, genio poetico), elemento crepuscolare e cimiteriale.
Il pensiero romantico in Giappone viene introdotto da Mori Ōgai, che si avvicina alla corrente
romantica pur non condividendone l’indole, e si appresta a tradurre testi. Produce la cosiddetta
trilogia tedesca, dove l’autore scrive in prosa basandosi sul mondo romantico.
Il romanticismo giapponese si basa su:

• Enfasi su individualismo e libertà artistica


• Enfasi sullo stile ornato (in funzione anti-colloquiale)
• Enfasi sulla fascinazione del cristianesimo
Nella poesia, si distinguono Kitamura Tōkoku per il suo impegno politico per la libertà, amore
romantico e cristianesimo, e Shimazaki Tōson, che si concentra sul tema dell’amore e della natura
usando un verso libero ma cantabile in una lingua classica ma non arcaica.

Il naturalismo
In Europa, il naturalismo si basa sulla reazione all’irrazionalità, su una fiducia nella scienza
(nascente teoria psicologica), si pensa che l’individualità di ciascuno dipenda da una serie di attori
come razza o geni. Una figura importante di questa corrente di pensiero è Claude Bernard,
medico francese. La letteratura naturalista sceglie il romanzo come forma chiave per esprimersi:
la particolarità è l’idea che il narratore debba essere il più possibile oggettivo. Nel romanzo
vengono introdotti concetti scientifici, l’autore è come un dottore che analizza i personaggi.

Lo shizen-shugi
Il naturalismo giapponese (shizen-shugi) è completamente ribaltato rispetto all’ideale europeo:
gli autori giapponesi scambiano la totale oggettività con la soggettività. Questi romanzi
autobiografici (watakushi shōsetsu, “romanzo privato”) diventano delle confessioni dove gli autori
raccontano aspetti della propria vita, cercando di mantenere una distanza emotiva ma non
oggettiva. Shōyō diventa il pilastro della letteratura romanzesca in Giappone col suo concetto di
mosha: Mori Ōgai importa la teoria del naturalismo, traducendo fonti tedesche che lo tuttavia lo
criticano. Già all’inizio del 900 vengono prodotte le prime opere di ispirazione naturalista in
Giappone.
Il romanzo Hakai (la promessa infranta) di Shimazaki Tōson racconta la storia di un eta (fuori casta)
del giuramento che fa al padre di non rivelare mai le proprie origini. Tōson racconta la sfera più
umile della società con uno stile limpido e asciutto che evita arcaismi. Il romanzo Ie è una sorta di
sketch di momenti di vita familiare in un condominio, che contribuiscono a formare un’immagine
realistica reale; i personaggi di questo romanzo sono persone reali che l’autore conosceva ma col
nome cambiato.
Il vero romanzo iniziatore del realismo giapponese è Futon di Tayama Katai, che aveva fatto
esperienza nella guerra russo-giapponese. È una confessione senza veli e spudorata raccontata in
uno stile scarno, cercando di tenere per sé le emozioni: uno di questi lati torbidi è l’amore provato
nei confronti di una sua studentessa.

Le donne di periodo Meiji


La condizione femminile
Nei suoi primi anni, il periodo Meiji aveva puntato ad un allargamento dei diritti della donna, con
un’inversione di marcia da parte dell’oligarchia negli anni successivi. L’istruzione obbligatoria
elementare era pari per uomini e donne. Anche le donne vengono inviate all’estero per studiare
gli stili di vita delle donne occidentali. Le donne istruite sono comunque protette da una figura di
riferimento maschile. Vengono fondate riviste per donne che accettano la pubblicazione di opere
da mano femminile: un esempio è Jogaku zasshi (rivista per l’educazione femminile), che attestava
una serie di caratteristiche della rivista femminile:

• Evitare contenuti violenti o erotici


• Coltivare un pubblico femminile
• Coltivare la scrittura femminile
Un’altra rivista, Iratsume (la fanciulla), fu fondata da Yamada Bimyō e si riferiva a donne della
borghesia. Le donne che speravano di diventare delle scrittrici avevano necessità di un mentore
maschile che permettesse loro di essere raccomandate alle riviste. Non tutte le donne potevano
scrivere; inoltre, la presenza maschile serviva anche da censura. Alcune di esse sono:

• Miyake Kao, sponsorizzata da Tsuboichi Shōyō


• Wakamaku Shizuko, sponsorizzata da Ozaki Koyo
Jogaku Zasshi rimane la rivista più importante per il pubblico femminile durante gli anni Novanta,
e si trasforma in una vera e propria rivista letteraria femminile. Ogni mese venivano pubblicati
volumi con copertina alternata: la copertina bianca significava una lettura sia per uomini che per
donne, trattante temi sociali e critica letteraria; la copertina rossa era indicativa per temi
strettamente femminili, come cura della casa e della famiglia.
Il termine odierno per riferirsi a letteratura femminile è joryū sakka, ma in periodo Meiji si parlava
di keishū sakka (persona con particolare talento/aristocratica): il termine keishū, quindi, si riferisce
ad una donna più educata ed istruita della media, che ha frequentato istituti cristiani e conosce la
cultura occidentale. L’opera piu nota è Yabu no ugui (l’usignolo nel bosco) di Miyake Kaho, che
tratta il nuovo modello di sensibilità femminile. Le protagoniste sono delle studentesse
(jogakusei), che nel periodo Meiji vanno a sostituire la geisha come figura di sensualità e passione.
Tuttavia, anche qui i personaggi risultano stereotipati e le situazioni narrative irrealistiche, segno
dell’influenza del mentore Tsubouchi Shōyō.
Kimura Akebono, nell’opera Fujo no kagami (lo specchio della femminilità), narra di una fanciulla
che dopo un viaggio negli stati uniti fonda in Giappone un’azienda tessile con tutele per le
lavoratrici. Alla fine del periodo Meiji sorgono molte autrici di stampo femminista, affiliate a
movimenti per la libertà dei diritti civili.

Higuchi Ichiyō
L’autrice femminista più famosa è Higuchi Ichiyō, e con la sua morte si interromperà la corrente
femminista in Giappone per molti anni. A differenza delle altre scrittrici del tempo, Ichiyō non ha
studiato in un istituto prestigioso. A 14 anni entra nella scuola di poesia in stile classico di
Nakajima Utako (Haginoya), dove conosce Miyake Kaho. In seguito alla morte dei maschi nella sua
famiglia, l’autrice conosce un periodo di estrema povertà, ma riuscirà a farsi notare dalla rivista
letteraria Bungakukai, dove pubblica nel 1894 la sua prima opera Ōtsugomori (l’ultimo giorno
dell’anno).

Takerutabe (lettura)
Nel 1895, Higuchi Ichiyō pubblica Takerutabe (schiena contro schiena), considerato il suo
capolavoro. Il titolo dell’opera fa riferimento ad un verso dell’Ise monogatari, con l’intento di dare
un tocco di eleganza ad un racconto umile. La protagonista del racconto è Midori, una giovane
ragazza destinata a divenire una prostituta come la sorella maggiore. Il racconto descrive con
realismo ed eleganza la perdita dell’innocenza e il dolore che comporta diventare adulti.
Lo stile della narrazione si concentra su:

• Slittamento del punto di vista tra cantastorie/narratore e testimone, e tra narratore,


extradiegetico/onnisciente e narrazione corale.
• Dicerie, raccolta di voci del quartiere
• Dialogo e racconto senza soluzione di continuità
• Descrizioni delle atmosfere alla maniera del racconto di Edo, inclusione di canzoni, poesie e
versi celebri
• Scelte lessicali di derivazione classica.
Durante il racconto vi sono pochi adulti, visti dal punto di vista del quartiere o dei bambini, come
ad esempio la nonna di Shōta o i suonatori. Vi sono inoltre opposizioni intrecciate fra:

• Banda del vicolo e i ragazzi della strada principale


• Scuola privata e scuola pubblica
• Provenienza da famiglie ricche vs famiglie povere
• Il quartiere (kuruwa) vs la città (machi).
Gli eventi che accadono durante il racconto, riassunti:

• La preparazione per lo spettacolo/la Festività


• La rissa con Chokichi e l'oltraggio a Midori
• Shōta e Midori passano la mattinata insieme/ Shōta si confessa
• (analessi) la relazione tra Midori e Shinnyo: il fazzoletto di seta scarlatta e il fiore gettato
con freddezza
• Shōta e Midori vedono Shinnyo – gelosia di Shōta
• Shinnyo sotto la pioggia/il lembo di seta rossa: Shinnyo accetta l’aiuto di Chokichi
• Shōta incontra Midori, cambiata (il senso di vergogna)
• Arriva la notizia che Shinnyo ha preso i voti/il narciso di carta.

Una nuova cultura letteraria


Futabatei Shimei porta al lettore l’idea dell’uomo “superfluo” (pensiero derivato dalla letteratura
russa), ossia l’impossibilità di far combaciare pensiero (brillante e proficuo) con l’azione
(impossibile e sempre procrastinata). Il protagonista di Ukigumo, Bunzō, sicuramente in parte è
un personaggio di questo tipo: egli subisce una doppia perdita d’identità, quella del samurai e
quella del suo lavoro. Non ha un passato tangibile e non riesce a farsi accettare dagli altri (“un
orfano malconcio abbandonato dalla burocrazia”). Il romanzo è disseminato di piccoli particolari
con un valore simbolico: la storia del singolo diventa la parabola di un intero popolo.
La giovinezza
Il giovane è una figura simbolica sotto molti aspetti. Lo stesso Giappone è un paese giovane e
inesperto di fronte alla modernità, che deve capire chi è e che cosa vuole diventare. Inoltre, i
giapponesi non nati all’interno della civiltà occidentalizzata non saranno mai veramente assimilati
nella società, e solo i giovani potranno incarnare il ruolo di “nuovi giapponesi”. In Europa,
l’Ottocento è il secolo del romanzo di formazione (bildungsroman in tedesco), col giovane che
viene raccontato nel momento in cui cerca di capire il suo destino; la giovinezza è l’anticamera
dell’età adulta. Il passaggio all’età adulta avviene nel Giappone Meiji all’età di 18 o 20 anni, e
l’ambiente universitario diventa il luogo di formazione spirituale dell’individuo.
I giovani sono dunque la speranza della Nazione, ma solo nel momento in cui si incammina lungo
la strada che la società gli impone: non sempre la pressione viene retta o la società viene
accettata. I protagonisti di questi romanzi provengono solitamente dalle zone periferiche e dalle
province, e si affacciano per la prima volta alla modernità. I due romanzi di formazione più famosi
sono Sanshirō (1906) di Natsume Soseki e Seinen (un giovane, 1908) di Mori Ōgai. Entrambe le
storie si concentrano su giovani giapponesi che cercano di costruire la propria vita e che avranno a
che fare con l’incontro/scontro con l’epoca Meiji.
Sanshirō ha una trama esigua (romanzo di personaggi), e si ispira a Ukigumo. Il protagonista
Sanshirō è un ragazzo estremamente semplice e innocente, che non ha la forza di reagire e non
sviluppa un pensiero proprio. Egli non prende posizione sul mondo, si confonde nella modernità
della Capitale. Durante il suo percorso conosce l’amore, impara cosa sia l’amicizia e la rivalità.
Soseki utilizza Sanshirō come uno specchio: il protagonista non è cresciuto, ma il lettore impara
dagli sbagli di Sanshirō e quindi cresce a sua volta.
Seinen, invece, ha una trama più articolata sebbene sia sempre un romanzo di personaggi, e
possiede molti elementi del romanzo a chiave (alcuni personaggi nascondono tratti di persone
realmente esistite). Come l’opera precedente, è un romanzo scritto nell’ultima fase di vita
dell’autore, che superato da tempo la giovinezza. Il protagonista di Seinen sa prendere decisioni e
prende iniziative maggiori, e inoltre ha fin da subito un sogno (diventare uno scrittore) e un
obiettivo.
Entrambi i personaggi letterari sono comunque pertenenti alla borghesia e con maggiori
disponibilità economica rispetto alla massa, che vede la modernità sicuramente con occhio
diverso. Questi romanzi nascondono una serie di opposizioni insanabili:

• Libertà e frustrazione (sogni e speranze nel futuro)


• Libertà e angoscia (eccesso di possibilità)
• Individualismo ed egoismo (nuova posizione del singolo rispetto alla società)
Le idee dell’Occidente vengono importate, ma possiedono quindi un doppio significato. Le figure
dei mentori “anarchici” nei romanzi insegnano al giovane a pensare con la propria testa: così, il
Giappone deve appropriarsi dei concetti occidentali ma non venirne travolta. Queste figure sono
relegate ai termini della società e sono inetti ed incapaci a vivere al di fuori del proprio pensiero.

L’amore giovanile
Vi è una differenza tra la percezione del romanzo giovanile maschile (shosei) e femminile
(jogakusei): nel caso della letteratura femminile, il tema del matrimonio è molto più presente e
pressante, per via del ruolo che la donna aveva a quel tempo; contemporaneamente, la
studentessa diventa una sorta di simbolo da sessualizzare. Le jogakusei diventano una sorta di
ostacolo o prova nel caso degli shosei, e si contrappongono allo sviluppo del protagonista. La
parola shosei oggigiorno è utilizzata in modo dispregiativo per una persona con tanto tempo libero
per studiare. Questi volumi erano pubblicati su riviste letterarie, ed erano scritti e letti solo da
persone con una certa agiatezza economica e/o cultura.
In Soseki i personaggi femminili hanno spesso una natura ambigua, inconsapevolmente maligna,
e la passione dell’uomo nei loro confronti tende sempre a determinare una sofferenza o
l’infelicità. La donna ha una posizione ambigua anche rispetto al nuovo sistema di valori (amore):
ne sono oggetto ma non soggetto, la loro oppressione sociale era enorme e ciò tende a dipingerle
come “aggressive”. In Sanshirō, la protagonista femminile principale è Mineko, estremamente
seducente ma respingente, tranquilla ma aggressiva; le amiche Yoshiko (amica cordiale) e Omitsu
(ragazza della porta accanto) fanno risaltare il carattere di Mineko. La descrizione fisica di Mineko
è “esotica”: l’autore la paragona all’opera di un autore francese e ne descrive gli occhi come
voloptuous (in katakana). Il critico Donald Keene la definisce come “ipocrita inconsapevole”: non si
riesce a capire se alla fine Mineko accetti i valori tradizionali o li voglia combattere.
In Seinen di Ōgai, attorno alla figura di Jun’ichi gravitano diverse donne, ma il protagonista si sente
attratto dalla “donna moderna”, sofisticata e sfuggente: la vedova Sakai. Sebbene il protagonista
sia più disinvolto, anche in Seinen l’amore è spesso ragionato in termini squisitamente teorici. La
vedova è un personaggio negativo per il protagonista, che si sente attratto ma al contempo
respinto: l’irrazionale pulsione amorosa nei confronti della vedova diventerà per Jun’ichi un
ostacolo per il suo sviluppo personale e sociale.

Il futuro
Il Giappone deve sviluppare in 40 anni il pensiero che l’Occidente sviluppa in più di tre secoli: ciò
non sembra tangere Sanshirō, che si preoccupa di cose più pratiche; Jun’ichi, invece, si interroga
sulla vita moderna e sulla pressione che la società gli impone. Egli si rende conto che diventare
adulti non è necessariamente tagliare un traguardo, ma ha un significato diverso e senza
ottimismo (sebbene il romanzo abbia un lieto fine).
Il processo di formazione del giovane prevede questi punti chiave:

• Avviene fuori dai canali istituzionali di formazione


• Le figure dei mentori sono spesso anarchici che combattono con il pensiero i paradigmi
della società moderna
• La strada per diventare adulti, secondo la società, coincide col matrimonio e un impiego a
vita
• Diventare adulti significa non significa acquisire qualcosa, ma perdere la giovinezza,
l’innocenza e cedere al cinismo o all’ipocrisia

Natsume Soseki
È uno dei più importanti scrittori del periodo Meiji, assieme a Mori Ōgai. A differenza di
quest’ultimo, Soseki non partecipa a movimenti letterari, non crea una sua scuola e non crea
riviste letterarie, vive un po’ in disparte, si dedica al romanzo realista ma non si avvicinerà mai a
quello naturalista. Studia inglese all’università imperiale di Tōkyō, e successivamente in Inghilterra
per una borsa di studio. Il suo rapporto con l’occidente è però dolorosissimo, ed estremamente
eclettico nella sua educazione, di stampo tradizionale. Le due parole chiave della sua produzione
sono “umorismo” e “pessimismo”.
Soseki ebbe un’infanzia difficile: nasce e cresce coi nonni (che credeva fossero i suoi genitori) e
viene poi dato in adozione ad un’altra famiglia, vivendo come un “bimbo non voluto”. È molto
bravo nel suo percorso di studio del cinese classico e del giapponese. Si laurea in letteratura
inglese nutrendo un forte interesse per il pensiero e la filosofia inglese. Insegna inglese a Tōkyō,
per poi andare a Matsuyama, durante quello che è definito come uno dei più importanti periodi di
isolamento. Si trasferisce poi a Kumamoto, dove compone Sanshirō, e si sposa con Kyoko, una
donna che si scoprirà soffrire di attacchi di isteria e depressione. Il ministero dell’istruzione lo
manda poi a studiare a Londra: l’esperienza lo fa disinnamorare dell’Inghilterra e della sua
cultura, il che lo renderà ancora più insicuro e cupo. Si sente inferiore intellettualmente ed
esteticamente agli occidentali, ma disilluso dalla società inglese, che credeva come “ideale”, e
viene disgustato dal loro materialismo. Nel 1903 torna in Giappone a seguito di un collasso
nervoso e riesce ad ottenere una cattedra di professore di inglese all’università di Tōkyō: di questi
anni è la pubblicazione della teoria della letteratura “bungaku-ron”.
Nella prima fase della sua vita, Soseki è famoso come compositore di poesia in cinese e di haiku:
in questo tipo di composizione prevale il principio dello shasei, ossia di ricopiare la realtà ma con
un’estrema partecipazione emotiva, e quindi non accostabile propriamente al realismo. Nel 1906
pubblica la sua prima opera in prosa, Io sono un gatto (wagahai wa neko de haru).

Io sono un gatto
L’autore ha un intento umoristico già dal titolo dell’opera: esso è scritto in maniera antiquata, e
questa stessa parlata peculiare verrà utilizzata dal gatto protagonista dell’opera. Il gatto è
randagio ma orbita attorno alla casa di un professore di inglese simile a Soseki (Kushami), e riporta
le conversazioni del professore con i suoi ospiti, dando talvolta pareri personali – dal punto di
vista di un gatto. I personaggi che diventano bersaglio di critica del gatto sono i kushai, i nuovi
ricchi, attenti solo al denaro e materialisti, ma critica ferocemente anche i cosiddetti “adoratori
dell’Occidente” e tutto il mondo della burocrazia statale. Il pensiero dell’autore si manifesta nel
gatto, nel professore e del filosofo Dokusen a partire dalla seconda metà del romanzo.
Per Soseki, il grande inganno della società occidentale è quella del progresso: la società positivista
è forte, ma destinata ad essere infelice e stressata; la filosofia orientale buddhista insegna invece
nel trovare la felicità nello spirito. Un altro problema è la cultura individualista “spicciola” delle
persone, che sfocia nell’egoismo e provoca ansia nelle persone, che risultano sempre in continua
competizione tra loro. La società giapponese si è modernizzata troppo in fretta e ciò ha avuto un
impatto devastante sulla popolazione, che ha visto e subito un cambiamento eccessivamente
repentino.
Il tono di fondo è molto umoristico e nessun personaggio viene troppo preso in giro. Con l’arrivo
del filosofo Dokusen, tuttavia, la parte umoristica lascia spazio alle riflessioni.
Trilogie
Lo stesso tono leggero e satirico si riscontra in Bocchan (Il signorino) pubblicato nel 1906, dove si
prendono in giro le qualità del giovane intellettuale di Tōkyō incapace di agire nelle piccole
situazioni. La prima parte della produzione di Soseki è molto variegata:

• Guanciale d’erba, stile classicheggiante


• Il papavero, stile melodrammatico
• Il minatore, monologo e trascrizione romanzata di un’intervista
• Sogni di dieci notti, vengono raccontati dieci sogni estremamente inquietanti che hanno
come tema centrale quello della morte
La prima trilogia dell’autore racconta la difficoltà che i personaggi dell’era Meiji hanno nel vivere
nella società:

• Sanshirō (1908)
• Sore kara (e poi, 1909)
• Mon (il portale, 1910)
L’autore guarda a questa difficoltà guardando i personaggi in tre diversi periodi della vita,
giovinezza, età adulta e vecchiaia. Tutte e tre le opere raccontano il tema dell’ansia di vivere che
attraversa l’individuo nella società moderna; la scienza porta a un’insoddisfazione senza fine
poiché punta sempre al progresso e a migliorarsi, quindi la felicità è impossibile.
Della seconda trilogia fa parte Kokoro, e la relazione fra le tre opere è poco solida:

• Higan sugi made (fino a dopo l’equinozio, 1911)


• Kōjin
• Kokoro
Si tratta di romanzi molto episodici dove non c’è un vero protagonista, poiché il vero protagonista
si limita ad osservare la vita delle altre persone.
Higan sugi made tratta la storia del protagonista, impacciato, contrapposto al rivale, molto più
audace, e allo zio Matsumoto, intellettuale.

Il cuore delle cose (lettura)


La struttura di Kokoro è ben più coesa. Nelle prime due sezioni, il narratore è il protagonista senza
nome; nella terza la figura del protagonista è quella del professore che si racconta allo studente.
L’idea di questo romanzo è decadente, in cui echeggia la morte dell’imperatore Meiji.
L’opera non è un vero romanzo di formazione, ma ci sono molti elementi che in parte lo possono
definire tale: il protagonista inizialmente appare puro e infantile (non c’è una vera e propria
caratterizzazione del personaggio, l’autore lo fa trasparire tramite scene e indizi e spetta al lettore
riconoscere questo suo carattere), come traspare sin dalle prime pagine (p.40, estasi e spontaneità
per il mare, imitazione del maestro; p.44, sentimenti naïve nei confronti della religione e della
morte).
Il protagonista, proprio come il Siddharta, è ingenuo ma acquisirà una profonda consapevolezza
della vita tramite il sensei, che assurge alla figura del guru e del maestro di vita. Il sensei non è un
professore universitario, quindi l’educazione del protagonista non avviene tramite canali
istituzionali. Questo appellativo di sensei è profetico rispetto all’insegnamento nei confronti dello
studente: il vero insegnamento del maestro è la sua vita, molto attivo intellettualmente ma un
inetto nella vita di tutti i giorni, che dà solamente insegnamenti spirituali. Tra gli insegnamenti del
sensei, nella prima parte, spiccano:

• L’amore romantico: l’amore viene definito “una colpa” ed allo stesso tempo “sacro”; gli
indizi ed i pensieri lasciati dal sensei creano molti interrogativi che tengono il lettore
attaccato alla lettura
• La società umana: l’umanità è deludente, gli uomini diventano malvagi per molte ragioni
come il denaro; la solitudine diventa inevitabile nella società individualista; il maestro
pronuncia le parole “chi si inginocchia a te poi ti dominerà” (p.98)
Un conflitto che viene messo in atto durante il corso dell’opera è l’opposizione tra natura e città.
La natura e la provincia sono caratterizzate da colori vivaci come quello del cielo e del mare,
mentre la città è incolore e monotona, ogni bellezza e speranza vengono perse; lo studente si
trasforma una volta raggiunta la città: tornato a casa nella provincia, lo studente non si ritrova
nelle sue vecchie abitudini, prova disagio nel dover abbandonare le sue comodità cittadine ed è
estremamente cinico. Il padre, tuttavia, ribalta la sua visione: il provincialismo in verità consiste
nell’affetto, nella famiglia e nella comunità, il padre assurge al ruolo di maestro che non aveva mai
posseduto precedentemente; la campagna è “permalosa” ed emotiva, mentre la città è
“polemica” e razionale. Ci sono molte occasioni analoghe per riflettere sulla diversità dei due
ambienti, come durante i festeggiamenti della laurea dello studente, dove le riflessioni sulla morte
avvenute in casa del maestro si contrappongono alla gioia della famiglia.
Nella lettera del maestro nella terza parte, il protagonista può rivedere tutte le questioni che deve
affrontare lungo la strada verso la maturità:

• L’eredità, il danaro, la posizione nel mondo


• La questione amorosa e l’amicizia
Tra i due personaggi si può trovare un atteggiamento diverso verso la solitudine: lo studente è
sempre fuori casa, alla ricerca del confronto; il maestro da giovane ritrova nella sua stanza in
affitto il luogo ideale per coltivare la propria solitudine e per riflettere sulla vita.
Il maestro e K. Sono due figure introverse, ma vengono rappresentate diversamente: nel maestro
si trovano contemplazione, introspezione e metamorfosi, mentre in K. vi sono onore, onestà e
fermezza. K. è simbolo di azione, mentre il maestro è simbolo di pensiero.
Nella parte finale, Soseki prende la voce dei personaggi per raccontare la sua visione del mondo.
Secondo il maestro (e l’autore), il carattere dei giapponesi ha la peculiarità della difficoltà a
comunicare. La donna viene vista come un essere estraneo alle dinamiche sociali del maschile, da
proteggere/maneggiare con cura e attenzione: viene espressa come una figura emotiva e non
intellettuale, ed è concepita come il baluardo della visione tradizionale della vita, la cui modernità
(donna indipendente) è mal vista. La donna deve sempre essere pacata nell’esprimere le proprie
emozioni; è vista come figura pura o figura malevola e istigatrice.
Le ultime pagine sono un climax che porta verso la morte del maestro. Il maestro si sente estraneo
all’umanità, e se mentre prima si sentiva puro rispetto alla società, dopo aver ottenuto ciò che
desiderava (la moglie) con l’inganno, avverte un enorme senso di colpa e di sofferenza. La moglie
viene raccontata come monito perenne alla sua colpa, e come un essere puro da tenere lontano
dalla sporcizia del mondo.
Con la morte dell’imperatore Meiji e il suicidio del generale Nogi, si ritorna alla contemporaneità:
la moglie scherza col marito dicendo di seguire il Signore nella tomba, ma forse proprio questa
frase spinge il maestro a compiere l’estremo gesto. Il maestro, erede dell’epoca Meiji ed inerme
di fronte alla nuova società, si toglie la vita. Non è possibile comprendere appieno questo gesto ed
il desiderio di morte altrui, né dare significato al suicidio degli altri: ogni uomo è solo al mondo ed
isolato dagli altri, ed il senso del suicidio è conosciuto solo a chi lo compie.

Romanzo dell’io
È il prodotto della concezione giapponese della corrente letteraria realistica europea (romanzo
francese in primis). Il watakushishōsetsu (o shishōsetsu, “romanzo privato”) non è semplicemente
un racconto autobiografico, ma un romanzo-confessione che espone l’anima dell’autore.
Riprende un po’ la corrente del nikki di periodo Heian, dove gli autori raccontano i propri fatti
privati. Non si tratta di un preciso genere letterario, bensì di una tendenza che si espande su più
ambiti. Alcuni romanzi vengono scritti in prima persona, altri in terza persona: non vi è quindi
uniformità stilistica. Inoltre, non essendo mai esplicitato il “patto autobiografico”, non è di fatto
una vera e propria autobiografia. Questi romanzi sono talmente privati e particolari che in molti
presentano anche fatti di natura strettamente intima: molto viene dato per scontato e vengono
presentati personaggi conosciuti solamente all’autore e ad una cerchia stretta di suoi conoscenti
(anche questo metodo di scrittura riprende lo stile del nikki e in particolare di Murasaki Shikibu).
Secondo la teoria di Hijiya, un romanzo viene definito dell’io solo se rispecchia due requisiti:

• Factuality, ogni personaggio ha un corrispondente nella realtà: piena compenetrazione tra


opera e vita dell’autore (principio del makoto, il romanzo deve corrispondere a verità)
• La focalizzazione è sempre sul protagonista, spesso al punto che la distinzione tra
narratore e protagonista si annulla (reso più semplice dall’ambiguità della lingua
giapponese riguardo alla concordanza col soggetto)
Secondo T. Suzuki, lo shishōsetsu è una narrativa autobiografica in cui si ritiene che l’autore
racconti fedelmente i dettagli della propria vita privata in forma leggermente fittizia.
Uno dei primi esempi è Futon di Tayama Katai, scritto in vena modernista e considerato come
d’esempio per la futura produzione di un romanzo privato: tuttavia la critica contemporanea
obietta che in Futon esiste comunque ancora una distanza tra la voce del protagonista e quella del
narratore (es. finale), mentre nel romanzo successivo questa distanza si annulla.
Il “periodo aureo” di questa corrente si riscontra negli anni Venti; con l’ingresso della critica
letteraria di stampo marxista, tuttavia, questo genere viene aspramente criticato. Nakamura
Mitsuo distingue tra honkaku shōsetsu (romanzo propriamente detto) e shishōsetsu (romanzo
dell’io): la maggior parte dei critici ha però l’idea opposta, e definiscono il romanzo dell’io come
parte del junbugaku (letteratura pura), tant’è che gran parte della letteratura in prosa del
dopoguerra continua a adottare lo stile confessionale.

La letteratura popolare
La letteratura popolare incontra il suo apice negli anni Venti, epoca della “democrazia Taishō”. In
questo periodo si diffondono numerosi giornali e riviste di fascia economica: tra i generi più
apprezzati riscuote molto successo il tantei shōsetsu (romanzo di investigazione) e il jidai shōsetsu
(romanzo in costume, es. Miyamoto Musashi di Yoshikawa Eiji).
I partiti politici, soprattutto di sinistra, venivano repressi e gli affiliati arrestati, ma nel mondo
letterario queste forze si fecero notare con le critiche di stampo marxista: l’arte viene definita
inutile a meno che non voglia esprimere un disagio sociale. Le opere di questo stampo vengono
definite puroretaria bungaku (letteratura del proletariato), il cui obiettivo era quello di denunciare
i soprusi del capitalismo. Questa fase letteraria fu molto breve e benne bandita dopo poco
tempo, e gli autori vennero spesso costretti a rinunciare alle loro idee e a ravvedersi tramite la
stesura di opere confessionali (tenko bungaku, letteratura della conversione).
Alcuni autori, tuttavia, scelsero di non piegarsi al sistema: esempio contro-tendenza fu Miyamoto
Yuriko (1899-1951), autrice vicina alle tematiche proletarie e autrice di Fūchisō (fiori tra le
macerie, 1947). Il romanzo Fūchisō è in stile di romanzo dell’io, ma senza perderne l’impegno
politico di intellettuale: la letteratura diventa una forma di autocoscienza e coscienza sociale. Il
testo unisce una prospettiva marxista e socialista ad una prospettiva femminista.
Alla fine della guerra, la letteratura marxista viene rimessa in piedi pur incontrando l’ostacolo del
pensiero americano (purga rossa). Il sistema capitalistico venne rafforzato e l’economia
giapponese subì una forte ascesa. D’altro canto, questa impennata ebbe ripercussioni pesanti in
fatto di inquinamento ambientale e stile di vita pessimo dei lavoratori.

La letteratura d’impegno politico


In questo tipo di letteratura viene esplicitato il rifiuto del patto di sicurezza tra USA e Giappone
stretto nel 1951 e ratificato nel 1960. I promotori di queste rivolte sono spesso intellettuali o
giovani universitari spinti dai partiti politici.

Kawabata Yasunari (1899-1972)


È il primo autore giapponese a ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1968. Viene
considerato, insieme a Tanizaki, la voce piu alta e rappresentativa della letteratura giapponese del
Novecento. Nasce nel periodo di modernizzazione del Giappone e pertanto è figlio della società
moderna, come i ragazzi protagonisti delle opere di Ōgai e Soseki. Il suo allievo e amico fu Yukio
Mishima, possibile candidato al Nobel ma morto suicida nel 1970 a 45 anni. L’interesse di
Kawabata è per l’arte estetica, la passione per la verginità femminile, l’interesse per la morte.

Lo shin kankaku ha
All’inizio della sua carriera l’autore si interessa alle correnti futuriste come il dadaismo e il
modernismo, tant’è che viene considerato il fondatore della scuola del shin kankaku ha (scuola
della nuova sensibilità), che vuole scardinare i canoni della letteratura tradizionale del romanzo e
propone in Giappone alcune istanze della corrente modernista occidentale. Un evento che
influenzò molto questa corrente fu il terribile terremoto del Kantō nel 1923, che distrusse la
maggior parte della città e causò grande disorientamento alla società giapponese.
Lo shin kankaku ha tenta di esprimere le storie attraverso le sensazioni dei luoghi o i flussi di
coscienza dei personaggi, senza partecipare ad una narrazione coerente. Centro di questa corrente
fu la rivista Bungei jidai, che dava voce a tutti gli autori modernisti. Gli autori si ribellano alla
convenzione della lingua anche interessandosi al cinema e ad altre forme non-convenzionali di
comunicazione. Il movimento ed il flusso senza soluzione di continuità vengono contrapposti alla
staticità del watakushi shōsetsu.
Yokomitsu Riichi scrive Shanhai (Shangai, 1928-1932), in cui viene rappresentata la città dell’Asia
come luogo moderno e cosmopolita per eccellenza. Dello stesso stampo è l’opera di Yasunari
Asakusa kurenaidan (la banda rossa di Asakusa, 1929-1930): sebbene vi siano dei personaggi
ricorrenti, il vero protagonista è la città stessa, un quartiere molto vivo e pieno di teatri e
divertimenti, in cui vinee fornito un archivio dei personaggi che vi si possono incontrare, come le
prostitute, le geishe, i monaci o le “modern girls” (modan garu, abbreviato moga), giovani donne
ispirate alla moda occidentale. Anche la grammatica non segue delle regole lineari: spesso manca
il verbo, ci sono giustapposizioni di sintagmi, c’è una combinazione di lingua classica e poetica con
parlato contemporaneo che strania il lettore.
Nel 1962 viene prodotta l’opera Kurutta ippeiji (una pagina di follia), una pellicola in b/n di cinema
muto girata da Kinugasa Teinosuke e con la sceneggiatura di Kawabata, dove vengono ripresi dei
malati psichiatrici che tentano di fuggire da un manicomio; la pellicola era priva di didascalie, e la
loro lettura era affidata ad un attore esterno.
Nel 1932 viene pubblicato Suishō gensō (Fantasie di cristallo), l’ultima opera puramente
modernista di Yasunari. Il romanzo si basa interamente sui pensieri sparsi della protagonista,
imitando lo stile di Joyce.
In Kanjō sōshoku (suggestioni e artifici, 1926) e Tanagokoro no shōsetsu (racconti in un palmo di
mano) si possono trovare espressioni frammentarie ed enigmatiche del reale: alcuni hanno tratti
di maggiore realismo, altri sono caratterizzati da forte onirismo.

Il nichilismo
Yasunari viene chiamato “il maestro dei funerali” per via delle morti delle persone che lo
circondavano, come lo stesso Mishima, i genitori o tutte le persone che morirono nel terremoto. È
un uomo che vive nel sogno ed è incline alla malinconia.
Nell’opera Kinjū (di uccelli e altri animali, 1933), incompiuta, il tema principale è quello della morte
e del doppio suicidio d’amore. Il protagonista rinuncia al suicidio poiché riesce a raggiungere
“l’appagamento del vuoto” durante quello che doveva essere il suo ultimo istante.
L’opera più importante di Kawabata è Yukiguni (il paese delle nevi), che vede diverse stesure ma
anche una serializzazione molto diluita nel tempo. La trama tratta di un uomo esteta e inetto e
della sua storia d’amore con due donne, la geisha Komako e una fanciulla che incontra lungo il
viaggio. Shimamura è il classico protagonista maschile incapace a vivere la propria vita e ne è
semplicemente trascinato. La scena più famosa è quella iniziale, dove il protagonista entra nella
galleria del treno e quando ne esce il paesaggio è tutto bianco e innevato: il bianco rappresenta
anche il candore femminile, la tonalità di pelle chiara e la verginità della fanciulla.

Kawabata e il governo
Kawabata non si oppose mai al governo totalitario ma non ne fece nemmeno propaganda.
Partecipò a vari circoli ufficiali di letteratura, superficialmente nati con lo scopo di fondare un
rinascimento letterario. A partire dalla fine degli anni ‘30 smette la sua attività pubblica di scrittore
per ritirarsi ad una vita privata e di studio. Durante il periodo bellico, molti autori (tra cui lo stesso
Kawabata) riscoprirono i grandi classici giapponesi. Egli li considera come una colonna portante
dello spirito giapponese, e dedicherà la sua vita a riscoprirne e divulgarne il fascino. Nel 1941
viaggiò in Manciuria e scrisse per una rivista mancese in merito alla cultura giapponese. Alla fine
della guerra venne insignito della presidenza del Japanese PEN Club, e cominciò un’attività di
promozione della cultura giapponese a livello internazionale.

Romanzi del dopoguerra


Senzaburu (mille gru, 1952) ha come tema centrale quello della cerimonia del tè e la relazione tra
Mitani e diverse donne, in forma diversa, come la signora Ota (che lo ama appassionatamente),
sua figlia Fumiko, la ragazza col fazzoletto con le mille gru, la signora Imamura (che incarna la
bellezza tradizionale giapponese) e la signora Kurimoto (fastidiosa e sgraziata).
Yama no oto (il suono della montagna, 1952) tratta invece della famiglia, e al suo interno la morte
e la nascita. I protagonisti maschili sono dotati di maggior spessore rispetto alla produzione
precedente: Shingo e suo figlio Shuichi, che tradisce la moglie Kikuko con un’altra donna (relazione
di comunanza di sentimento tra Kikuko e Shingo, volontà di maternità dell’amante, aborto di
Kikuko).
Meijin (il maestro di go, 1954) narra la relazione passionale di uomo con la sua arte: il gioco del go
viene espresso come una forma di ozio ed un gioco privo di un obiettivo materiale. Vengono
trattati i temi della misantropia e dell’inadeguatezza a vivere.
Nemubero bijo (la casa delle belle addormentate, 1960-61) tratta la storia di Eguchi, un uomo
anziano che visita una casa in cui gli uomini attempati e impotenti possono muoversi in stanze
cosparse di fanciulle bellissime, che giacciono nude e drogate per terra. Vi è una competa
desocializzazione (no abiti, no segni di riconoscimento che non siano puramente fisici) e
l’impossibilità di realizzare il proprio desiderio amoroso. Vengono inoltre trattati i temi della
fanciulla verginale e della verginità che non può essere colta.

Ultime fasi di vita


Nel 1968 viene assegnato a Kawabata il premio Nobel per la letteratura, con la sua accettazione e
discorso dal titolo Utsukushii Nihon no watakushi ( il Giappone, la bellezza ed io): in questo
discorso vengono enunciate le caratteristiche dell’arte giapponese, con particolare riferimento
alla relazione privilegiata ed empatica con la natura, il carattere docile e gentile, l’elemento
femminile, il culto della bellezza imperfetta, i temi dello zen e il rifiuto del principio di non
contraddizione aristotelico.
Kawabata Yasunari muore suicida nel 1972, a 73 anni, per inalazione di gas e senza lasciare note
scritte. Egli aveva in realtà rinegato la nobiltà del suicidio nel discorso di Stoccolma; quindi, le
motivazioni di tale gesto restano a noi ancora ignote.

La danzatrice di Izu (lettura)


Izu no Odoriko (la danzatrice di Izu) viene pubblicato nel 1926. Il tema principale è quello
dell’amore rivolto alla fanciulla virginale (la danzatrice): il protagonista non entra nella narrazione
ma resta al limite, come testimone (o come waki di un dramma no). Vi è una fascinazione per la
verginità, che è una metafora dell’idea del desiderio e non può essere presa senza distruggerla
(come nota Mishima). La scelta lessicale è molto ricercata, elegante e lirica, rendendo la
danzatrice di Izu una delle opere più raffinate della letteratura giapponese del Novecento ed un
esempio di bella scrittura anche tra gli stessi giapponesi.
Si tratta di un’esperienza estemporanea del giovane protagonista, che pur venendo incontro a
delle diversità riscontra una certa affinità (non è quindi un romanzo di formazione). Il tema
amoroso è molto fievole (l’intera opera si basa su una speranza d’amore) e la stessa opera viene
espressa come un ricordo del protagonista.
La narrazione prosegue come fa il protagonista, un viaggio senza meta, quasi come se ci lasciasse
trasportare dagli eventi e come se ci si lasciasse vivere dalla vita. Quest’opera è il
rimaneggiamento in forma romanzata di un diario (Yugashima de no omoide), quindi potrebbe
forse contenere elementi autobiografici. Per alcuni critici, l’opera è una ricostruzione di un
incontro effettivo con artisti di strada; per altri, nel protagonista vi è un parallelismo con Kiyono,
personaggio presente in Shōnen, altra opera tratta da Yugashima de no omoide e compagno di
classe dell’autore.
La narrazione comincia in medias res, il protagonista ha già compiuto parte del suo viaggio e ha già
incontrato gli artisti. Il protagonista è affascinato da questi artisti di strada e decide di seguirli non
mosso da una decisione, ma quasi naturalmente. Nel primo capitolo il protagonista si ripara in una
stanza di una locanda: qui incontra il marito della locandiera, con due diverse forme di bruttezza:
quella della malattia e del pregiudizio nelle parole della donna.
Dal secondo capitolo, il protagonista e la comitiva viaggiano insieme ed il protagonista comincia a
chiacchierare con Eikichi, l’unico uomo della compagnia. Già qui alcuni elementi ci fanno capire
l’ingenuità della danzatrice, ad esempio il modo in cui parla della sua isola o la goffaggine nel
versare il tè. Nei confronti della danzatrice, il protagonista nutre dei sentimenti molto ambigui:
senso di protezione, idealizzazione oppure gelosia?
Durante l’episodio ai bagni termali, il protagonista scopre che la danzatrice è in realtà una
bambina e “trasuda puerile innocenza”: la reazione del protagonista è quella di provare sollievo e
felicità.
La relazione con la danzatrice spazia da imbarazzo a familiarità, dove quest’ultima pur sapendo di
non dover dare troppa confidenza al protagonista, spesso travalica questa “distanza di sicurezza”.
Questa familiarità sembra essere una consolazione per il protagonista, a prescindere dal suo
interesse erotico o semplicemente di tenerezza per la fanciulla, e ciò si riflette sulla sua relazione
con tutta la compagnia. La familiarità aumenta infine quando il protagonista scopre che in realtà la
compagnia è una grande famiglia, ed Eikichi e la danzatrice sono fratello e sorella.
Nel romanzo si confrontano modi di vita differenti (artisti di strada vs studente) e classi sociali
differenti (maggiori disponibilità economiche dello studente rispetto alla famiglia di artisti).
Sembra dunque si tratti di un incontro tra outsider, ossia tra esseri umani che non trovano un
posto che possano chiamare “casa”:

• Da una parte persone semplici e nonostante tutto spensierate, escluse però dalla società
per ragioni di censo (come si evince dai cartelli “vietato l’ingresso ai mendicanti ed artisti
girovaghi)
• Dall’altra il protagonista, accettato dalla società borghese ma escluso emotivamente da
essa per la sua condizione di orfano e l’incolmabile solitudine; un ragazzo complesso e
pieno di pensieri.
Infine, nel romanzo vi è una mancata realizzazione del sentimento che rimane soltanto in forma
virtuale: il distacco definitivo dalla comitiva chiude un sogno e una felicità che il protagonista
comprende sin da subito non appartenergli. Secondo la critica Cécile Sakai, il viaggio a Izu
potrebbe rappresentare un viaggio iniziatico alle “terre dell’omosessualità”: in realtà la sfera della
sessualità non è mai chiamata in causa nell’opera, né dalle relazioni con la danzatrice, né nei
riguardi di Eikichi. Si tratta di relazioni spontanee, senza una finalità espressa o compresa.
Le relazioni maschili di amicizia risultano più spontanee e facili: del resto, l’unico grande e sincero
amore che Kawabata abbia mai incontrato in letteratura è quello per Kiyono; gli altri amori narrati
da Kawabata sono sempre bloccati dall’incapacità di vivere, interrotti, irrealizzati o impossibili
perché realizzarli significherebbe sporcare la purezza che determina il desiderio.

I giovani e la guerra
Gli anni Trenta
Il regime totalitario giapponese di questi anni si dice abbia matrice “fascista”, in particolare gli
studiosi giapponesi utilizzano il termine tennōsei fashizumu (fascismo del sistema imperiale). Si
può parlare tuttavia veramente di “fascismo”? L’imperatore non era soggetto alla Costituzione
perché considerato al di sopra di essa, ed aveva un rapporto stretto con il Governo per prendere le
varie decisioni. Secondo il critico Maruyama Nasao, lo spirito ultranazionalista giapponese
deriverebbe da un “fascismo dal basso”: i cittadini della campagna erano molto ideologizzati e
venivano reclutati nei bassi ranghi dell’esercito (causando nel 1936 il niniroku jiken, dove alcuni
giovani dell’esercito assaltano il parlamento e vogliono restituire all’imperatore l’appannaggio del
Governo), a causa di frustrazioni sociali e campagne politiche feroci. A queste tendenze si
aggiungeranno più avanti tendenze di “fascismo dall’alto”, come conseguenza dell’ingresso in
guerra e l’avanzata militare in Cina. La differenza con le altre due potenze fascista e nazista è la
mancanza di un vero e proprio leader carismatico che incitasse la popolazione con tali ideologie
(l’imperatore governava ma non era un leader fascista). Tuttavia, vi sono alcuni elementi di
somiglianza tra le tre ideologie di estrema destra:

• Ideologia della superiorità della propria nazione/razza sulle altre (Panasiatismo in Asia)
• Senso di rivalsa nei confronti della comunità internazionale: tutti questi paesi si sentivano
privati di fondamentali diritti a seguito della Prima guerra mondiale
• Governi autoritari e spauracchio del comunismo, ritenuto una minaccia: tentativi di
espansioni imperialiste e interventismo statale in ambito economico entro l‘alveo del
sistema capitalista

La guerra sino-giapponese
A seguito dell’incidente del ponte di Marco Polo a Pechino (1937), le operazioni militari giapponesi
si allargarono al nord e all’area di Shangai, sconfiggendo le forze cinesi di Chiang Kai-shek.
Sebbene Tōkyō chiedesse il contenimento di tali operazioni militari, i plotoni agivano secondo la
loro volontà. Nel dicembre del 1937 ci fu il “massacro di Nanchino”. Nel 1938 il Governo emana la
Kokka sodoinho (legge quadro di mobilitazione nazionale), ossia la legge marziale, ed assume
potere legislativo.
L’8 dicembre 1941, le forze giapponesi attaccano la base navale di Pearl Harbour nelle Hawaii: ciò
causò l’intervento statunitense voluto dal presidente Roosevelt, che nel 1944 sconfisse i governi
nazifascisti, il 6 agosto 1945 sganciò la prima bomba atomica su Hiroshima e tre giorni dopo su
Nagasaki. Il 15 agosto il Giappone accetta la resa incondizionata con l’unica clausola di
salvaguardia del corpo dello Stato (kokutai, il sistema imperiale): l’imperatore annuncia la
sconfitta del Giappone con un messaggio audio senza precedenti, e nel settembre dello stesso
anno incomincia l’occupazione americana che si concluderà nel 1952 col trattato di pace di San
Francisco. Con la Costituzione liberale del 1946, l’imperatore rinuncia alla propria natura divina e
si definisce unicamente il “simbolo” dello Stato e dell’unità del popolo giapponese.

La letteratura della guerra


La guerra in tempo di guerra viene raccontata spesso da autori inviati al fronte, ed è di stampo
patriottico e/o documentaristico. La prospettiva patriottica può essere trovata nei testi di Hino
Ashihei (1907-1960) ne La trilogia dei soldati del 1938 (Mugi to heitai, “orzo e soldati”; Tsuchi to
heitai, “terra e soldati”; Hana to heitai, “fiori e soldati”), che racconta la guerra in modo
estremamente romantico e suggestivo, e con Ishikawa Tatsuzō in Ikiteru heitai (soldati vivi, 1938)
che, a differenza di Ashihei, racconta la guerra nella maniera più cruda possibile (per tale motivo il
testo viene messo al bando dal regime).
La letteratura di guerra prodotta nel dopoguerra è la più importante. L’esponente principale è
Ōoka Shōhei: l’opera più importante è Nobi (fuochi della pianura, 1952), resoconto crudo della
guerra vista da un soldato.
La letteratura sull’immediato dopoguerra (o delle macerie) racconta cosa sia successo alla
popolazione economicamente e psicologicamente appena dopo la fine della guerra, con un senso
di spaesamento dovuto alla cancellazione repentina dell’ideologia patriottica. Questi sentimenti
vengono raccontati col filtro intellettuale dell’esistenzialismo europeo. In letteratura, Mishima
Yukio ne è l’esponente principale.
Nella maggior parte degli scrittori giapponesi, specie quelli già adulti durante il periodo bellico, la
guerra viene rappresentata come un “grande vuoto”, non facendo mai riflessioni esplicite sulla
guerra stessa e voltando lo sguardo dall’altra parte in una sorta di escapismo (Kawabata, Tanizaki).
Il racconto della bomba atomica (genbaku bungaku) raccoglie sia la letteratura di scrittori
testimoni che hanno vissuto l’atomica direttamente o indirettamente, sia scrittori con un punto di
vista esterno che hanno riflettuto successivamente sull’accaduto. Questi racconti si distinguono
per la distanza temporale dall’evento:

• Ricostruzioni immediatamente successive con enfasi sulla tragedia, le macerie, sul terrore
• Riflessioni scaturite a distanza di tempo tramite testimoni e analisi degli effetti a lungo
termine, con tono documentaristico e retrospettivo (Hayashi Kyoko con le riflessioni sui
bambini malformati a causa delle radiazioni)
L’atteggiamento degli scrittori è quello di far convergere la tendenza del makoto (della verità,
raccontando la realtà dal proprio punto di vista con la maggior sincerità possibile) ma al contempo
cercano di documentare oggettivamente gli eventi: Kuroi ame (la pioggia nera, 1965) di Ibuse
Masuji, fonde punti di vista soggettivi e oggettivi che dialogano all’interno della narrazione.

Ōoka Shōhei (1909-1988)


Studioso di letteratura francese e poeta allievo di Kobayashi Hideo, partecipa personalmente alla
campagna militare delle Filippine, durante la quale verrà preso come prigioniero di guerra dagli
americani nel 1945. Alla fine della guerra, nei suoi scritti si ritrova a fare i conti con la propria
esperienza di vita. La scrittura di Ōoka non è semplicemente il racconto di un’esperienza, bensì
l’analisi dell’esperienza stessa.
Le due principali narrazioni sono Furyoki (memorie di un prigioniero di guerra, 1952) e Nobi
(fuochi nella pianura o “la guerra del soldato Tamura”, 1952), e sono frutto dell’elaborazione
piscologica delle sue esperienze di guerra. Se Furyoki può essere inteso come romanzo dell’io,
Nobi è considerabile un romanzo di fiction con alcuni elementi autobiografici, con elementi di
astrazione narrati in terza persona: centrale è il tema del cannibalismo, che è da una parte un
resoconto oggettivo della guerra ma diventa anche metafora della guerra stessa, dove l’uomo in
procedimento di lavaggio del cervello perde le sue prerogative umane. Altro tema è quello
dell’omicidio e della conseguenza psicologica che questo implica al soldato Tamura.

Furyoki (lettura)
Furyoki è un romanzo confessionale, ma da un punto di vista formale e stilistico alcuni critici non
lo considerano tale: secondo Nakamura il pregio di questo racconto è quello di sfuggire dalla
canonicità del romanzo dell’io con un cambio di dinamica e la presenza di due io, uno del passato
che vive l’esperienza ed uno del presente che la analizza. Non c’è il tentativo di ricostruire
oggettivamente gli eventi tramite documenti o testimonianze, ma la prospettiva universale viene
data proprio dai due “io” per venire infine ricollegata ad una riflessione sull’umanità in generale.
Il romanzo viene scritto tra il 1948 e il 1952, periodo in cui le opinioni sulla guerra da parte dei
giapponesi mutano (l’evento scatenante è la guerra in Corea, con la conseguente cooperazione tra
USA e Giappone): se l’enfasi inziale era sulla colpa del Giappone e dei suoi crimini, negli anni ‘50
l’enfasi si traslerà sulla colpa della bomba atomica e sulla gloria dei Giapponesi che hanno
combattuto per l’imperatore. Lo stesso romanzo di Ōoka mostra questi segni di mutamento
durante la sua scrittura.
Il protagonista è un trentenne che ha appena costruito la sua famiglia, ma viene chiamato alle
armi all’estero. Dall’innocenza iniziale, il protagonista giunge ad una maturità nei confronti di
cosa vuol dire essere “umano” attraverso l’esperienza infernale della guerra. Questo processo di
maturazione avviene in modo suggestivo su due binari, l’io del passato e del presente. Il primo
capitolo può essere letto come un’opera a sé, rinominato “Prima della prigionia”, poiché era
previsto come unica narrazione (i successivi undici sono stati scritti successivamente e raccontano
della guerra stessa). Il romanzo comincia con una citazione presa dal Tannishō (trattato sulla
lamentazione delle differenze, XIII sec.): la frase “se non uccidiamo, non è per bontà di cuore”
significa che l’uomo ha un karma (o il caso) che lo porta o non lo porta a compiere certe azioni.
L’epigrafe allude a tre problemi trattati nel capitolo:

• Problema dell’omicidio non perpetrato


• Problema del karma (suicidio, malattia, incidenti)
• Problema della bontà del cuore umano
Gli eventi principali del capitolo sono:

• Omicidio non perpetrato ai danni di un soldato americano


• Suicidio non perpetrato a causa di un problema tecnico (?)
Il racconto è un’analisi spietata e oggettiva di questi due momenti: l’autore si chiede “cosa ho
pensato?”, “perché ho agito così?”, “cosa ho provato prima, durante e dopo?”.
Le prime pagine del racconto narrano di un battaglione disinteressato alla guerra che spera di non
venir coinvolto, in una sorta di descrizione idilliaca e di pacifica convivenza con la popolazione
locale (oriundi). Secondo il narratore il plotone non credeva alla vittoria del Giappone, in un
rovesciamento dell’immagine del soldato che lotta per la patria fino alla morte: il protagonista
segue la violenza pur non volendola, poiché non può opporsi al proprio destino. Il “nemico”,
tuttavia, arriva inaspettatamente: la malaria comincia a mietere molte vittime tra i soldati ed il
plotone si ritrova vittima di un attacco americano. Il protagonista anela la morte ed il suicidio.
L’autore distingue tre insiemi di senso:
1. Umano (pensieri, vita, morte, fame)
2. Non-umano (natura, bellezza selvaggia, cielo rosso, eventi atmosferici)
3. Disumano (guerra, dolore, odio).
La bellezza della natura lenisce il disumano e concilia l’umano; il desiderio di morte,
paradossalmente, non è visto come un fondamentalismo ma come una ragione di vita. Il
protagonista ondeggia tra la resistenza alla morte ed al desiderio della morte, analizzandone cause
e conseguenze: secondo l’autore, non vale la pena di morire in un luogo che non si è scelto, per
una ragione che non si è scelta e non si condivide.
Dopo l’allontanamento dal battaglione, l’autore pone l’accento su un insieme di scelte fortuite e
decisioni istintive (totalmente casuali) che costituiscono la ragione per cui lui è ancora in vita. Un
secondo momento di autoanalisi si riscontra quando l’io del passato ragiona sulla possibilità di
uccidere o meno un soldato nemico qualora fosse sopraggiunto, e vengono introdotti una serie di
temi:

• Tema della casualità


• Tema del mors tua vita mea (se posso evitarlo non uccido)
• Tema della solitudine vs branco (la presenza del battaglione consente al soldato di
uccidere)
• Tema dell’immedesimazione e umanizzazione della vittima (bellezza del soldato
americano)
• Tema della paura come causa prima (tensione soffocante e confusa)
• Ebbrezza e pentimento convivono (un soldato nemico vivo è un soldato amico morto)
Il narratore propone quattro ipotesi sul perché non ha ucciso il soldato americano e le confuta
tutte:
1. Libertà della scelta morale: il protagonista non vuole sporcare la sua vita alla fine della
stessa. Ipotesi esclusa perché non è possibile stabilire se l’”io” del passato stesse
compiendo un ragionamento morale davanti al nemico in quel preciso istante
2. Reazione emozionale: di fronte alla bellezza e alla gioventù del soldato americano, il
protagonista esita. Ipotesi confutata poiché tali sentimenti nacquero dopo, nella sua
mente, mentre in quell’istante egli provava solo paura
3. Reazione di spavento: è la paura a non avergli permesso di agire. Ipotesi confutata poiché
aveva comunque preparato l’arma ed era pronto a sparare; lacune nella memoria
4. Pura casualità: dei colpi di mitra provenienti da lontano hanno deviato il percorso del
soldato americano. Ipotesi confutata poiché prima di quell’evento il protagonista ha avuto
molto tempo per sparare e non l’ha fatto.
Nel secondo capitolo del romanzo, l’io del presente propone un’ulteriore ipotesi, ossia che sia
stata la volontà di Dio. Anche questa ipotesi viene confutata poiché né l’io del passato né quello
del presente hanno una forte fede e/o un sentimento cristiano sufficientemente presente per
distoglierlo dall’azione. L’unica ipotesi non negata dall’autore è quella dell’affermazione del valore
della vita individuale.
Sul finale del capitolo si presenta infine una riconciliazione tra umano, non-umano e disumano. La
rinuncia all’onore significa accettazione della vita. La natura bellissima e selvaggia non è più
foriera di morte, ma di desiderio di vita: l’ultima catarsi è proprio quella di accorgersi di voler
vivere, nonostante tutto.

Hotaru no haka (lettura)


Hotaru no haka (la tomba delle lucciole) è un testo scritto da Nosaka Akiyuki (1930-2015). Si
tratta di un’opera/confessione con una base autobiografica ma che contiene diversi elementi di
finzione. L’opera, a detta dell’autore, fu scritta di getto, in sei ore e senza rimaneggiamenti!
La trama narra di due bambini orfani che muoiono di stenti a causa delle calamità della guerra. La
madre di cui parla nel racconto non è la madre dell’autore ma quella adottiva. Egli ha anche due
sorelle adottive. Una differenza tra la vita dell’autore e de protagonista del racconto è la morte di
quest’ultimo, probabilmente voluta come “espiazione” per i peccati dell’autore e per evitargli le
sue stesse sofferenze. Il racconto è interamente scritto nel dialetto del Kansai. Vi sono frasi
lunghissime e con poca punteggiatura, ed un uso forsennato dei dettagli e del contesto materiale:
secondo l’autore, questo stile è usato per permettere al lettore di immedesimarsi nella testa
dello scrittore, una disperazione che non sfocia nel sentimentalismo. Il carico emotivo è dunque
interamente affidato al lettore, che utilizza l’iperrealismo del testo per costruire una sua verità.
Il racconto inizia dalla fine: non vi è alcuna speranza che il destino del protagonista cambi o che le
sue condizioni migliorino. La guerra priva gli uomini della loro umanità, li fa diventare esseri vuoti
e privi di sentimenti: questa mancanza di sensibilità si riscontra anche nel linguaggio
estremamente materiale, quasi privo di metafore. Il tema centrale è quello della colpevolezza per
la morte della sorella, che nel testo viene cancellata dal fatto che Seita è prima di tutto una vittima
(la sua età è minore rispetto a quella dell’autore quando si verifica l’evento analogo). Gli adulti
sono privi di significato, e da essi il protagonista non trae alcun insegnamento.

I giovani e l’impero
Hirohito
La figura dell’imperatore giapponese Hirohito (imperatore Showa, 1901-1989) è certamente una
delle più importanti del Novecento. Su di lui ricadono le responsabilità (indirette?) dell’entrata del
Giappone nella Seconda guerra mondiale e del rifiuto della dichiarazione di Potsdam, seppur tali
responsabilità siano piuttosto vaghe e siano state talvolta coperte/insabbiate. Durante la guerra,
la figura imperiale passa da capo supremo a burattino dell’esercito, e dopo la guerra egli si
trasforma concettualmente da dio incarnato ad umano e benevolente pacifista. Le mosse
utilizzate per cambiare passo sono principalmente due:
1. Dichiarazione radio senza precedenti di resa del Giappone
2. Dichiarazione scritta in cui egli dichiara di non essere una divinità (il linguaggio forbito e
oscuro non lascia trasparire effettivamente tale affermazione), diventando semplicemente
un simbolo dell’unità dello Stato.

Ōe Kenzaburō (1935 -)
Una delle voci più autorevoli della letteratura giapponese. La sua esperienza della guerra è
abbastanza ovattata, siccome egli nasce e cresce nello Shikoku, isola raggiunta dalla guerra in
modo superficiale. Gli elementi di vicinanza con gli scrittori deli anni Sessanta sono l’ambiguità
della cultura giapponese, la sfida al nichilismo e il rifiuto del potere e delle istituzioni, che
schiacciano l’uomo invece che sostenerlo. Vincitore del premio Nobel per la letteratura, è
considerato l’ultimo autore del junbungaku, la letteratura alta e non commerciale.
Riguardo all’ambiguità della cultura giapponese, è interessante il discorso di Stoccolma
dell’autore, il cui titolo parodizza il discorso di Kawabata: aimaina Nihon no watashi (io e il mio
ambiguo Giappone, 1994). Il Giappone è un paese di contraddizioni, è un paese asiatico ma
potenza occidentale, è un paese invasore ma invaso, dipendente dagli altri Paesi ma al contempo
grande potenza economica, dalla costituzione pacifista ma di nuovo armato. L’autore definisce il
Giappone un paese periferico rispetto al mondo e si autodefinisce un autore periferico rispetto al
Giappone stesso.
Il rifiuto del potere e delle istituzioni prevede una decostruzione e critica all’ideologia
imperialista, sempre nell’affermazione dell’indispensabile ruolo politico della letteratura e dello
scrittore, che non può sottrarsi alla responsabilità di essere un intellettuale nella società del suo
tempo.
La sfida al nichilismo viene tratta da Oe a modo suo. In quasi tutte le sue opere l’orrore della vita
non manca, ma viene lasciato ai protagonisti il modo di autodeterminarsi e di raggiungere la
felicità dopo un percorso di dolore e sacrificio, capendo il senso della vita. I temi del corpo e della
natura sono fondamentali: il tema del sesso in tutte le sue forme, anche aberranti, fa parte del
processo di espiazione che i protagonisti subiscono; la natura è ambigua come lo stesso Giappone,
vista come una cosa sacra ma allo stesso tempo come un ostacolo al progresso e alle industrie.
Nel breve romanzo Shiiku (l’animale di allevamento, 1958) il protagonista è un soldato
afroamericano catturato in un villaggio giapponese tradizionale, trattato come una bestia e ucciso
dal padre di un ragazzino che cercava di fare amicizia con lui. Queste storie raccontano il peggio
dell’umanità, da cui ripartire per riflettere sull’umanità stessa e compiere qualcosa di buono.
Il romanzo Kōjinteinataiken (un’esperienza personale) è un romanzo dell’io ma con elementi di
finzione, che affronta il tema dell’assunzione della responsabilità nei confronti della società, della
famiglia e di sé stessi, da parte di un intellettuale passivo e inetto a causa di un vento tragico
(nascita di un figlio con disabilità mentali).
Altra opera importante è il romanzo Man’en gannen no futtoboru (la partita di calcio del primo
anno di era Man’en, 1967, it. “il grido silenzioso”). Anche questo racconto contiene elementi
autobiografici (figlio disabile, suicidio dell’amico) e tratta il tema della periferia, della mancanza di
lavoro e dà un’immagine pastorale del Giappone.
La letteratura di Ōe, secondo il critico Endo, è caratterizzata dalla ricerca della salvezza in un
mondo senza Dio. Ōe cerca di sviscerare gli aspetti peggiori dell’uomo per dare un senso
all’esistenza di quest’ultimo.

Sebuntin (lettura)
Questo romanzo creò forti reazioni nelle organizzazioni di estrema destra, che minacciarono al
tempo l’autore e l’editore di morte. Tutte le copie della seconda parte del racconto vennero
cancellate sino alla sua ripubblicazione nel 2018.
L’evento storico reale è l’omicidio del segretario del Partito Socialista Asanuma Inejiro,
osteggiato dall’estrema destra. Il 12 ottobre 1960 un giovane diciasettenne radicalizzato trafigge
Asanuma con una spada giapponese corta, scatenando una reazione di altri affiliati di estrema
destra contro esponenti di sinistra. Il giovane viene arrestato per impiccarsi in cella un mese dopo,
scrivendo sul muro “lode all’imperatore”.
Nel romanzo si fondono elementi documentaristici sul clima politico ed elementi inventati
(contesto familiare del protagonista, ecc.). l’obiettivo dello scrittore è duplice: indaga le
motivazioni personali del protagonista ed al contempo quelle dell’ideologia ultranazionalista. Il
punto di vista è raccontato in prima persona dall’assassino, analizzando la sua psiche, le sue
tendenze sessuali, il suo ambiente familiare ed i ragionamenti che lo portano a compiere il gesto. Il
lettore, leggendo le parole del ragazzo viene portato all’orrore ed alla pena più che alla condanna
del protagonista. Inoltre, vi è una tendenza a ridicolizzare l’ideologia imperialista, parodizzando il
romanzo di formazione in una forma distorta.
Il protagonista (“ore”, pronome di prima persona molto informale e associato ai teppisti) è un
ragazzo estremamente solo e la sua famiglia è indifferente alla sua vita (secondo Oe le colpe
individuali derivano da colpe del gruppo sociale). È insicuro sul suo fisico, ossessionato
dall’onanismo (masturbazione) ed impaurito dal giudizio altrui (senso di colpa e odio universale).
Le sue idee politiche sono inizialmente confuse: all’inizio dell’opera egli è affascinato dal
movimento studentesco di sinistra e accusa la famiglia imperiale di essere inutile per lo Stato; si
rende conto però che le idee di sinistra sono troppo complicate e ne acquisisce solo una piccola
parte superficiale. Egli ha un disperato bisogno di essere accettato e di far parte di un gruppo, ma
non ce la fa. Inoltre, ha molta paura del vuoto e della morte. Ne risulta quindi un ragazzo fragile,
pieno di complessi, che trova il suo unico sfogo nella masturbazione e scoppia in atti di rabbia
senza senso.
Il protagonista subisce una doppia umiliazione a scuola, nel test di matematica e giapponese ed in
quello di educazione fisica. Un ragazzo suo compagno di classe approfitta della condizione del
protagonista per indurlo all’ideologia di destra. Ōe riesce a descrivere bene la vicinanza del partito
al governo, che viene usato da quest’ultimo come braccio armato per fare il “lavoro sporco”. Per la
prima volta, vedendo la paura negli occhi degli altri, il protagonista si sente potente e l’idea di
poter finalmente far parte di un gruppo lo porta infine a identificarsi come “di destra”. Quando il
capo del partito Sakakibara lo loda e gli dà importanza, egli non si sente più “un filo d’erba” e
trova nel culto dell’imperatore un nuovo motivo di vita: il capo cura le assenze di idee del
protagonista regalandogli una serie di dogmi molto facili e immediati, senza ulteriori riflessioni
necessarie. L’attaccamento al gruppo dei giovani del kodoha si percepisce anche dal punto di vista
grammaticale, dove verso la fine del capitolo il “loro” diventa un “noi”.
Le sue azioni denotano un totale scollamento dalla realtà storica, e addirittura il protagonista
arriva a negare le recenti sconfitte in guerra poiché “sarebbero offensive nei confronti
dell’imperatore”. Una scena cruciale è quando il protagonista incontra uno scrittore contrario al
movimento del kodoha e lo affronta in un club, ubriaco fradicio: qui per la prima volta egli capisce
di avere una “missione” da portare a termine, e successivamente perde la sua verginità con una
prostituta. Ōe mette in scena il meccanismo della maschilità e dell’estremismo di destra che porta
l’individuo a voler sempre prevaricare con gli avversari politici e le donne: il suo senso di
inferiorità si manifesta nei sogni di voler eliminare con violenza i nemici e stuprare le donne. Il
quinto capitolo è il punto di non-ritorno, il giovane si vede impossibilitato a fuggire dalla propria
missione e dell’immagine che dà agli altri di sé, facendo intuire al lettore una componente (seppur
minuscola) di umanità e lucidità.
Il racconto dell’evento terroristico e della morte del politico è raccontato in seconda persona: l’io
diventa un “tu” per mezzo di una voce esterna che racconta l’accaduto al protagonista tramite
prove oggettive come fotografie o registrazioni. Il protagonista ha una coscienza esaltata e vive
una realtà ormai parallela, e non sarebbe stato più attendibile come narratore. Infine, l’ultimo
capitolo (suicidio del protagonista) è narrato da una voce terza e neutra. Ricordando il volto
disperato di un omicida del kodoha, decide di non voler vivere col pentimento e preferisce
dedicare la sua vita all’imperatore trasformando il suo ultimo istante in un “istante di gloria” ed un
“orgasmo perpetuo”.
Riferendosi a Sebuntin ma anche alla sua letteratura in generale, Ōe definisce questo stile
parodistico come “realismo grottesco alla Rebelais”, che distorce modelli intellettuali e serie
portandoli alle estreme conseguenze “comiche”. L’ideologia ultranazionalista viene ribaltata come
una semplice forma di masturbazione, individuale e sterile. Il romanzo può essere concepito come
l’opposto di un bildungsroman, dove il giovane si forma e matura tramite incontri fuori dalle
istituzioni, ma matura in una maniera totalmente distorta che lo porterà alla sua stessa morte.

Yūkoku (lettura)
È un racconto di Mishima Yukio (1925-1970), e viene pubblicato nel 1961, contemporaneamente
all’uscita di Sebuntin (periodo di grande fermento politico e ridiscussione dell’ideologia imperiale).
Obiettivo di entrambi gli scrittori è quello di sconvolgere intellettualmente il lettore e farlo uscire
dalla comfort zone, costringendolo a fare i conti con una serie di ideologie negative; tuttavia, le
due prospettive sono totalmente opposte, e mentre Mishima propone l’ideologia
ultranazionalista dal punto di vista estetizzante, Oe lo fa da quello parodistico.
I punti in comune tra le due opere:

• Entrambe basate su eventi storici (due atti terroristici)


• Centralità del culto della figura imperiale
• Stretto legame tra violenza/morte ed eros
• Tema dell’estasi della morte e del suicidio per l’imperatore
• Totale distacco del singolo dalla società borghese
Il testo racconta del colpo di stato del ’36, l’incidente del niniroku jiken. L’incidente viene solo
suggerito in lontananza; l’intera vicenda avviene in una piccola villetta di Yotsuya e la narrazione
non esce mai nel mondo esterno e “reale”. I due sposi protagonisti sono concepiti come quasi
divini, perfetti esteticamente, incarnazione delle virtù morali e tradizionali, e l’unico legame con la
mortalità è dato dalla forte intesa sessuale che li lega. Pur nel realismo di piccoli particolari dei loro
caratteri, sono quasi personificazioni di virtù militari e femminili ormai desuete e anacronistiche.
Mishima non dà il proprio giudizio nella narrazione e rimane imparziale di fronte agli
atteggiamenti ed ai pensieri dei due protagonisti.
La profonda differenza con Sebuntin è l’ambientazione, che nel caso di Yūkoku è in periodo
prebellico e determina una radicale differenza di contesto. La figura anacronistica diventa
“contemporanea”, poiché al tempo ogni giovane era portato alla reverenza verso l’imperatore ed
alla disperazione alla resa di quest’ultimo alla fine della guerra. Il modello di virtù presentato da
Mishima nel racconto non è né giusto né sbagliato, semplicemente è una cosa passata raccontata
come un racconto mitico che non può più accadere. Nonostante ciò, anche allora il tenente (o
forse Mishima stesso) non è certo che la società giapponese sia interamente pronta all’ideologia
patriottica che lui abbraccia, a causa del seme del materialismo e degli affari, che rendono torbida
la determinazione.
La morte e l’eros vengono sempre correlati, tant’è che nell’ultimo atto sessuale la donna si
sofferma sul punto in cui il marito avrebbe affondato la spada e lo sposo si sofferma sul punto in
cui la moglie si sarebbe pugnalata.
La scrittura di Mishima è determinata dalla sovrabbondanza di particolari e dalla precisione della
descrizione delle azioni della coppia, che hanno lo scopo di rallentare la narrazione e prolungare
così la tensione verso la morte. Nella semplicità dei gesti tutto è teso, c’è agitazione euforica,
rabbia, disperazione e passione al di sotto della superficie calma e rituale dei loro comportamenti
e dell’ambiente che li circonda (parallelismo col teatro Nō; Mishima sarà anche regista di un
mediometraggio di Yūkoku che rispecchia totalmente il movimento degli attori del no).
La descrizione del seppuku del tenente, tuttavia, abbandona il piano della perfezione formale e
del tono eroico, discendendo nel realismo più macabro: ne viene raccontato il dolore, gli aspetti
fisici più disgustosi come il vomito e la fuoriuscita delle viscere, nonché gli aspetti più umani come
la paura e la difficoltà a concludere il rituale.

Gli anni del boom economico


Gli anni del boom economico, verificatosi all’inizio degli anni ’70, comportarono anche una
diversificazione della letteratura. Molti autori produssero letteratura alta (junbungaku) ma anche
letteratura popolare (taishū bungaku). La taishū bungaku non ambiva a lanciare messaggi politici
o a determinare indagini psicologiche profonde, ma si interessava ad intrattenere semplicemente
il lettore e si rivolgeva a tutti. Si ritiene che con la morte di Mishima la letteratura alta in Giappone
sia finita. Oggigiorno, Murakami Haruki è il l’esponente più importante della nuova letteratura
giapponese, che assume un significato globale come opera di consumo.
La letteratura della fine degli anni ‘70 è caratterizzata quindi dalla difficile classificazione di alcune
opere che vengono catalogate come junbungaku ma che al contempo contengono molti elementi
della cultura popolare. Molti scrittori di questo periodo vengono chiamati Kuristaruzoku
(generazione di cristallo), dall’opera Nantonaku kuristaru (quasi cristallo, 1979) di Tanaka Yasuo,
che contiene molte note a pie di pagina per spiegare lo slang giovanile e locali/brand a chi non ne
era avvezzo. Altra opera rilevante del periodo è Kagirinaku tomei ni chikai buru (blu quasi
trasparente, 1976) di Murakami Ryu, un racconto molto spinto e a tratti quasi pornografico che
scuote il lettore della letteratura alta. La pubblicazione in riviste va scemando, ed i libri vengono
sempre più spesso pubblicati in volumi.
La generazione del boom economico (boomer) è caratterizzata da fervente ottimismo e
consumismo, di giovani che non hanno conosciuto la guerra e vogliono identificarsi con oggetti
che non rispecchiano la storia del loro paese, affascinati dal lusso occidentale e dai nuovi brand.
Si è parlato in questo periodo di una seconda fascinazione dell’occidente, in materia sia di beni di
consumo (latte, cioccolato, pomodori, carne) che di moda.
Il libro si propone come strumento di intrattenimento “usa e getta”, dalla breve lettura che non
serve per pensare ma “pensarsi”, ossia per omologarsi alla massa. Lo stesso scrittore cambia il suo
stile di vita: da scrittore privato che nella sua vita pubblica al massimo tiene conferenze o
partecipa ad associazioni, si passa ad uno scrittore/idol che intrattiene il pubblico con eventi come
il firmacopie e diventa un brand vivente (Murakami ne è l’esempio lampante). Collateralmente
alla modifica della letteratura si ha:

• la popolarizzazione del cinema e della televisione, che diventa parte del quotidiano di ogni
persona;
• il successo degli anime e dei manga in Giappone e nel mondo;
• il fenomeno del media mix (franchise che occupano tutti i piani come cinema, musica e
letteratura, in occidente es. harry potter, Giappone lady oscar o final fantasy) e dei
fandom;
• nuove forme di narrazione (keitai shōsetsu, letteratura da telefono)

Murakami Haruki
È un fenomeno pop e l’esempio dello scrittore idol, che ha vendite da record in Giappone e nel
mondo ed un fandom a lui dedicato, specialmente composto di pubblico femminile. Lo scrittore
idol deve bilanciare sapientemente uno “stile caratteristico” e la diversità dei temi nelle sue opere,
che non sono più “arte per arte” ma “arte per consumo”. Il suo successo internazionale lo
raggiunge con Norwei no mori (Norvegian wood, 1987), che confonde elementi di cultura alta e
bassa, esotici e familiari, americani e giapponesi.
Dal punto di vista del suo stile, è influenzato dallo stile americano cinematografico dello hard
boiled o pulp fiction, e affronta temi disparati ma sempre con uno stile tipico della letteratura
popolare (mystery, fantascienza): da ciò può essere facilmente associato alla taishū bungaku;
tuttavia, cerca di dare profondità e spessore alla psicologia dei personaggi, sperimenta lo stile
narrativo e fa numerosi riferimenti alla cultura lata: ciò lo accosta maggiormente alla junbungaku.
Un critico giapponese, Tastumi, definisce la letteratura di Murakami come Avant-pop, una
letteratura che tenta di superare il confine binario tra letteratura bassa e alta, includendo
elementi di entrambe le correnti.
In 1Q84, ad esempio, convergono tutti gli elementi sopracitati: la relazione col sovrannaturale
(realismo magico), riferimenti alla cultura alta (Orwell, musica classica, letteratura giapponese
classica, impegno politico) e bassa (complottismo, musica jazz e pop). È ricorrente il “tema del
doppio mondo”, in cui Murakami cita sé stesso e può essere letto su molteplici piani di lettura, di
metafisica, introspezione e fantascienza.
In Giappone esiste un vero e proprio “Murakami franchise”, in cui lo scrittore traduce i classici
della letteratura americana. Il suo pubblico è la cultura maschile bianca, e pertanto non vengono
tradotti autori controversi, radicali o appartenenti a minoranze. Murakami è un traduttore fedele
e invisibile, che cerca di utilizzare frasi giapponesi piacevoli all’ascolto ma che rimandano allo stile
americano, cercando di non far trapelare il suo stile (pur sempre riconoscibile).

Ultime tendenze: l’epoca Heisei


Generazione degli anni ‘90/’00
Il clima di euforia e di stabilità va scemando a causa dello “scoppio della bolla economica”: i
giovani giapponesi perdono l’interesse per le merci occidentali che si era andato a radicare nei
decenni precedenti, così come i sogni e le speranze per il futuro. Cambia la percezione della figura
femminile nella società, che viene vista come indipendente e non più subordinata
all’uomo/marito. La generazione degli anni ’90 percepisce un disincanto ed un distaccamento dalla
società “perfetta”, un “senso di vuoto” pervade le nuove generazioni.
La letteratura si interessa sempre più all’ambiente giovanile, con autori come Banana Yoshimoto:
tema centrale è la paura di entrare nel mondo del lavoro e degli adulti, un mondo precario e
fatto di fatica e sofferenze; si cerca di tenere a tutti i costi il kawaii, la puerilità e innocenza, pur
non essendo più in età da manifestarne.
La società del consumo diventa una società della comunicazione. La maggior parte degli autori
più importanti degli ultimi decenni sono donne: le scrittrici diventano vincitrici di numerosi premi
letterari e autrici di best seller. Vengono introdotti nuovi “percorsi formativi” in ambito letterario,
con giovani protagonisti che passano attraverso esperienze di trasgressione e sessualità abnorme
per autoidentificarsi; altro tema importante è quello della discriminazione ed emarginazione che
caratterizza gli hikikomori (persone che non escono di casa per paura del mondo esterno) e otaku
(persone patologicamente fissate con la cultura manga/anime).
All’interno dei contenuti della nuova letteratura, un discorso molto importante è quello sulla
famiglia: i nuclei familiari ristretti e meno numerosi determinano nuove riflessioni e modalità di
relazione familiare e gap generazionale. I protagonisti scelgono “famiglie alternative” non date da
legami di sangue, ma dalla necessità di trovare la forza in persone care: esempio ne è il romanzo
Kitchen di Banana Yoshimoto. Altri esempi di “famiglie alternative” in letteratura sono presenti in:

• Kirakira hikaru (stella stellina, 1991) di Ekuni Kaori


• Yokame no semi (la cicala dell’ottavo giorno, 2007) di Kakuta Mitsuyo
• Kamisama (il dio, 1994) di Kawakami Hiromi

Yoshimoto Banana (1964 -)


È la figlia di un importante critico letterario e per questo decide di abbandonare il suo vero nome
per usare uno pseudonimo irriverente, che dà una sensazione di innocenza ed infantilità. La
letteratura di Yoshimoto, secondo i critici, è un intreccio tra letteratura alta e letteratura
shōryumeijo per ragazze: il suo stile è molto diverso da quello di Murakami, e dimostra una gran
consapevolezza della letteratura giapponese. Le figure maschili del nuovo periodo, che si
riscontrano anche nella letteratura dell’autrice, si dividono in:

• Uomini tipo “maschio alfa”: estremamente negativi, possessivi, insensibili


• Uomini tipo “androgino”: carattere e fisico dalle fattezze femminili, delicati ed emotivi
L’universo femminile non viene disturbato dalla presenza maschile. Inoltre, altre caratteristiche
della sua letteratura sono:

• Opposizione al patriarcato della società giapponese, che non viene mezionato o viene
visto in maniera negativa
• Punto di vista non-maschile, non-adulto, non-eterosessuale, non-posizione di potere
• Una società che non conosce gli orrori della bomba, che non sente più attuale il senso di
colpa e lo spaesamento del dopoguerra, vista attraverso lo sguardo innocente e utopistico
della ragazza adolescente
• Assenza di figure maschili “dominanti”: assenza di padri o di maschi eterosessuali adulti in
genere.
Il tema della sessualità è slegato da quello della riproduzione, e vi partecipano positivamente
solo figure maschili innocenti e deboli: il maschio eterosessuale e caratterizzato come tale vi
partecipa solo come antagonista, come stupratore od oppressore. L’uomo, più che come partner
sessuale della protagonista, compare in veste di essere spirituale in grado di aiutare la donna nella
sua trasformazione o nella sua guarigione (spesso le protagoniste sono ferite da malattie fisiche e
psichiatriche, lutti o traumi).
La spiritualità nell’opera di Yoshimoto è onnipresente e sempre caratterizzata in termini positivi
(non c’è ricerca in una fede specifica come in Endo o uno spirito che attraversa l’apocalisse come
Ōe, nemmeno certezze ma solo dubbi circa la pericolosità delle Nuove religioni come in
Murakami). Il sud-est asiatico viene utilizzato come metafora della spiritualità, il Giappone è
paradigmatico della femminilità e di casa, mentre l’Occidente è visto come pericoloso e
contaminatore.
La letteratura di Yoshimoto è contrapposta a quella del padre (generazione di Mishima e Ōe), e
rifiuta il sensazionalismo, la voglia di raccontare gli eventi in maniera cruda, scegliendo invece una
via di leggerezza e superficialità.

Kicchin (lettura)
La narratrice si racconta in prima persona, e l’opera è caratterizzata da un marcato
sentimentalismo, con una costante rilevazione dei propri stati d’animo. All’interno vi si possono
trovare sia ingredienti tipici della letteratura degli anni Settanta/Ottanta (quotidianità, oggetti
come status symbol) che del manga femminile (emotività eccessiva, facile commozione, elementi
di fantasia come sogni e visioni).
Il personaggio principale (Mikage) all’inizio non possiede una grande caratterizzazione, a
differenza degli altri personaggi che la circondano; tuttavia, durante il proseguimento del
romanzo riacquista la sua determinazione ed agisce, in un processo di “guarigione” dalla sua
“malattia spirituale”. Kicchin può essere inteso come un romanzo di formazione, intesa come
guarigione della protagonista dal suo iniziale stato di inettitudine: lei stessa, alla fine del romanzo,
sarà a guaritrice del co-protagonista maschile Yūichi.
Yūichi viene descritto nel racconto come un uomo dolce, spirituale, accorto. Eriko, padre-madre di
Yūichi, è una donna trans, esempio di figura androgina e di mascolinità “annullata”. La stessa
viene da una famiglia disfunzionale e si propone come madre di Mikage, replicando in suo figlio il
suo stesso passato “incestuoso”. L’unico uomo adulto di cui si parla nel romanzo è l’assassino di
Eriko, ed evidenzia la connotazione negativa che l’autrice dà al mondo maschile eterosessuale.
La narrazione di Yoshimoto tratta di argomenti importanti e pesanti, come tragedie, lutti e
riflessioni sulla vita, ma sempre da un punto di vista superficiale e spesso in maniera non
risolutiva. Altri temi che vengono toccati sono la solitudine e la malattia.

Sukegawa Durian
È noto come poeta, scrittore, clown, pasticciere ed insegnate accademico. Il suo romanzo più
famoso è An (marmellata di Azuki), che diventa un grande successo commerciale in Giappone e
all’estero, tanto che nel 2015 ne è stata fatta una rappresentazione cinematografica.

An (lettura)
Il romanzo An (marmellata di Azuki, it. “Le ricette della signora Tokue”) tratta il tema dell’ingresso
nel mondo degli adulti da tre punti di vista:

• Wakana, una giovane studentessa sola e ingenua


• Sentarō, un uomo di mezza età escluso dalla società dopo un passato in prigione, gestore di
un piccolo negozio di dorayaki e scrittore in erba
• Yoshii Tokue, una settantacinquenne che per la prima volta si affaccia alla “vita vera”
Un tema di cui si parla è quello della famiglia che si forma spontaneamente tra persone affini e si
autoelegge. Altro tema è quello della solitudine e della prigionia; infatti, ognuno dei tre
personaggi è prigioniero di qualcosa (di una famiglia che non permette di crescere/ della prigione
e del debito/ del sanatorio e del pregiudizio).
Il tema principale, tuttavia, è quello della discriminazione contro i malati: i malati di lebbra, in
particolare, venivano ampiamente discriminati nella società giapponese durante il XX secolo. Nel
1907 la legge di costituzione dei sanatori prevedeva la costruzione di apposite strutture per questi
malati, che tuttavia nel 1931 vengono trasformate in “prigioni”, con l’impossibilità da parte dei
malati di uscire al di fuori della struttura: tale riforma venne abolita solo nel 1996; tuttavia, la forte
discriminazione della società per queste persone spinse la maggior parte dei malati a non uscire
comunque dalle strutture. La signora Tokue, nel romanzo, è proprio una superstite della malattia
che si trova ad affrontare una società che la evita e non la include.
I simboli ricorrenti e le reti di metafore che sorreggono l’architettura del testo sono soprattutto i
fiori di ciliegio, la marmellata e la figura del canarino Marvychan. Sentarō è un uomo che non
riesce ad esprimere i suoi sentimenti, ma dalla sua situazione iniziale di incomunicabilità imparerà
dalla signora Tokue ad aprirsi e a parlare tanto con le persone che con le cose nel modo più
sincero possibile: in qualche modo, questo fa del romanzo di Sukegawa anche un romanzo di
formazione.

(B) Intertestualità nella letteratura giapponese


Per quanto riguarda la prosa, la narratologia è lo studio delle strutture narrative. In ogni
racconto, il lettore/studente si focalizza su:

• Fabula, intreccio, attori e attanti (semiotica del testo)


• Teoria del personaggio e strutture di caratterizzazione
• Analisi della voce narrante (punto di vista, autodiegetico vs allodiegetico, intradiegetico vs
extradiegetico)
• Analisi delle direttrici spaziotemporale
• Analisi dei temi/oggetti letterari ricorrenti (parole, colori, immagini)
La teoria dell’intertestualità viene introdotta da Julia Kristeva nel 1978, per riferirsi alla dialogicità
citata da Michail Bachtin in uno studio su Dostoevskij, ed intesa come plurivocità del discorso
letterario. In generale, l’intertestualità può essere intesa come “l’insieme delle relazioni con altri
testi che si manifestano all’interno di un dato testo” (Marchese, 2015).
L’intertestualità si lega poi con la “teoria del lettore” di Umberto Eco (estetica della ricezione,
1979). Secondo questa teoria, infatti, un testo si “attiva” nel momento della sua ricezione da parte
di un lettore: più la conoscenza letteraria del lettore è ampia, più relazioni intertestuali sono
riscontrabili nel testo dato. Tali relazioni intertestuali possono essere consapevoli o inconsapevoli
(volontarie o involontarie) all’autore stesso; pertanto, si dice che il testo “ha vita a sé” rispetto
all’autore che lo scrive.
Tra i sottogeneri dell’intertestualità si trova l’ipertestualità, ossia l’innesto di un nuovo testo
(ipertesto) su un testo precedente (ipotesto): trasposizione, parodia, satira, caricatura, ecc.
Un classico esempio di trasposizione è la traduzione, ossia il passaggio dalla lingua originale alla
lingua di riferimento. Nella trasposizione diegetica, invece, viene cambiato il narratore, il
protagonista, lo spazio o il tempo: esempio sono alcuni testi di Mishima, facenti riferimento a
tragedie greche che vengono trasposte nell’ambiente giapponese del dopoguerra.

Gli adattamenti transmediali


Adattamento che presuppone un cambio di media, per esempio da romanzo a film o da manga ad
anime. L’opera più importante che teorizza questo processo è A theory of adaptation di Linda
Hutcheon, in cui l’autrice tenta di ridare rilievo a questa tipologia di adattamento. Vengono
scardinate le questioni dell’originalità e dell’ancillarità dell’adattamento, e viene risaltato il livello
dei media diversi dalla letteratura, a quel tempo sottovalutati; l’adattamento, poi, può essere una
sicurezza di guadagno in ambito popolare.
L’adattamento consiste nel trasformare un elemento in modo diverso, per mezzo di diversi mezzi
di comunicazione o anche estendendo la trama originale (prequel, sequel, spin-off).
L’intertestualità in questo caso viene spesso utilizzata per rimandare il fruitore ad un senso di
nostalgia ed ingaggio emozionale, e può essere riscontrata sia nella letteratura alta che in quella
popolare; tuttavia, gli obiettivi di questi processi sono diversi: se nella letteratura alta
l’intertestualità viene pensata per avere una risposta intellettuale del lettore, in quella popolare
suscita una risposta emotiva.
Gli adattamenti letterari e transmediali si possono trovare anche nella letteratura classica:

• L’honkadori, che ripropone antiche poesie per farle dialogare con poesie più recenti
• Il kabuki, che crea i propri spettacoli riscrivendo le stesse storie ma cambiando alcuni
elementi (kakikae), unendo due trame principali per crearne una nuova (metodo yatsushi),
o intrecciando due trame che non hanno niente in comune (naimaze)
• Rapporto dinamico fra testo e illustrazioni (Genji monogatari veniva raccontato con rotoli
illustrati)
• Riscrittura di aneddoti e storie celebri
• Drammatizzazione (teatro Nō, ecc.)
• Riscritture imitative (Yoru no mezame, kagami-mono)
• Estensioni, prequel (Yoshitsune, Tamakura di Motoori Norinaga)
• Adattamenti spaziali e temporali (da Heian a Edo, da Cina ed Europa a Giappone)
• Adattamenti di genere (Keisei suikoden, onna sukeroku, ecc.)
Lo stesso si può dire della letteratura del Novecento:
• Adattamenti e riscritture di opere occidentali
• Riproposizione di modelli di epoca Tokugawa
• Pastiche ed imitazioni stilistiche

Letteratura e cinema
Il cinema compare in Giappone come documentari di immagini mute, che diventa ben presto uno
strumento di conoscenza del mondo esterno, occasione unica per i giapponesi di osservare e
conoscere di più sui paesaggi, le tendenze e le culture estere. Anche in Giappone, a partire dagli
anni Venti, si comincia a fare del cinema una vera e propria forma d’arte: all’inizio, la più grande
influenza dei registi giapponesi era il teatro e la declamazione, dopodiché vi fu un avvicinamento
alla letteratura, che divenne un’inesauribile fonte di ispirazione. Su esta base, i film giapponesi
vennero suddivisi in:

• Bungei eiga, film “artistici” ispirati alle opere letterarie


• Taishū eiga, film “d’intrattenimento”
Tra i registi che si ispirano al mondo letterario del junbungaku, uno dei più prolifici fu Ishikawa
Kon:

• Kokoro (1955) dal romanzo di Natsume Soseki


• Conflagrazione (Enjo, 1958) dal romanzo Il padiglione d’oro di Mishima Yukio
• La chiave (Kagi, 1959) dal romanzo di Tanizaki Jun’ichirō
• etc.
Gli stessi autori cominciarono a contribuire attivamente alla realizzazione di film, come:

• Jun’ichirō Tanizaki, che lavorò come consulente alla sceneggiatura per la compagnia
cinematografica Taikatsu
• Kawabata Yasunari, che lavorò come sceneggiatore di Kurutta ippeiji di Kinugasa, e adatta il
suo romanzo Yukiguni per trasporlo come pellicola cinematografica
Anche le opere classiche vengono trasposte nel cinema, come il Genji monogatari (1951) di
Yoshimura Kōsaburō o Saikaku ichidai onna (1952) di Mizoguchi Kenji; molte di queste opere
vengono rese note anche nel panorama internazionale e premiate, come Rashōmomon (1950) di
Kurosawa Akira.
Yukio Mishima ebbe uno stretto rapporto come il cinema: oltre a partecipare come attore in
diversi film, ha anche trasposto filmicamente diverse sue opere come Patriottismo: egli riscrive il
suo racconto con estrema precisione e frappone fra il suo testo ed il cinema l’espressività del
teatro Nō.

Letteratura, folklore e narrazioni


Mori Ōgai
Mori Ōgai (1862-1922) alla fine dell’Ottocento aveva dato il via alla corrente romantica
giapponese, pur non partecipandovi poi continuamente. La letteratura romantica era stata veicolo
dell’arte di Ōgai in età giovanile non tanto perché l’autore fosse particolarmente “romantico”, ma
in questo profondamente influenzato dalla cultura tedesca, che l’autore ammirava e studiava da
quando era bambino. Dal 1884 al 1888 egli studia in Germania come ufficiale medico.
Di ritorno dall’esperienza in Germania, nel 1889 comincia a operarsi nella traduzione di opere di
letteratura romantica (es. Improvisatoren di H. C. Andersen). Il romanticismo di Ōgai si costruisce
come un utilizzo in chiave romantica europea dell’emotività giapponese classica, con particolare
riferimento alla letteratura femminile di periodo Heian (mono no aware) e alla letteratura in
vernacolo cinese di periodo Ming e Qing.
Una produzione originale di opere di ispirazione romantica caratterizza il debutto letterario
dell’autore: si tratta della cosiddetta trilogia romantica o trilogia tedesca (Doitsu sanbusaku):

• Maihime (la ballerina)


• Utakata no ki (ricordi di vite effimere)
• Fumizukai (il messaggero)
In tutte le opere i protagonisti sono dei giovani giapponesi che per qualche motivo si ritrovano in
Germania, ed al centro di tutti i racconti vi è una donna tedesca incarnazione della femme fatale,
donna ammaliatrice e ispiratrice: i protagonisti sono quindi obbligati a scegliere se vivere la loro
storia d’amore o vivere i loro doveri. Le influenze dalla cultura classica giapponese non mancano,
come la presenza del mono no aware e della commozione e sensibilità giapponese. Inoltre,
all’interno dei racconti vi si possono trovare personaggi reali (roman à clef) come Ludwig. Ōgai
sfrutta questi racconti anche per introdurre una serie di nuovi elementi della cultura tedesca,
come l’arte, la pittura e la musica classica.
Ōgai interrompe l’attività letteraria per dedicarsi al suo lavoro principale, quello di medico
ufficiale, a seguito della guerra russo-giapponese e di un ricollocamento nel Kyūshū per aver
espresso un parere contrario a quello del suo superiore. Tornato a Tōkyō nel 1902, egli riprenderà
la sua attività di critico letterario e traduttore, abbandonando il suo stile pseudo-classico per
abbracciare uno stile più vicino alla lingua colloquiale. L’autore sarà sempre critico nei confronti
del Naturalismo, sebbene l’abbia presentato in Giappone e ne abbia subito l’influenza.

Vita Sexualis e Hannichi


Nel 1909 Ōgai contribuisce a fondare la rivista letteraria Subaru (Le pleiadi), che viene definita
come un “enclave per letterati ispirati da un estetismo anti-naturalista durante un decennio
dominato dal Naturalismo”. Nello stesso anno l’autore produce Vita sexualis (un racconto del
rapporto casto con il sesso da parte del protagonista, un professore, dall’infanzia all’età adulta) ed
Hannichi (‘una mezza giornata’, un racconto del difficile rapporto tra una nuora e la suocera).
In questa fase della sua produzione, l’autore comincia ad abbandonare lo stile classico in favore di
un giapponese più colloquiale, ma mai scarno e volutamente banale come nel caso della scuola
naturalista (differentemente dalla scuola, anche la sua trattazione della sessualità non punta
l’attenzione sul lato scabroso o sull’elemento della devianza).

Oriente e Occidente
Differentemente da Soseki, la posizione di Ōgai in merito alla cultura occidentale era sicuramente
meno conservatrice. L’autore aveva avuto una esperienza tutto sommato positiva all’estero,
inoltre non si unì mai alle critiche nei confronti degli “adoratori dell’Occidente”: Keene scrive che,
semmai, era la mancanza di spirito pratico dei giapponesi a dover essere stigmatizzata, perché
essa minava la possibilità di comprendere quanto delle proprie tradizioni dovesse essere
perpetuato e quanto invece abbandonato. In conclusione, quindi, Oriente e Occidente non erano
in conflitto secondo la visione di Ōgai, che percepiva questo aspetto anche secondo il punto di
vista di un uomo di scienza.

I primi romanzi
Seinen (gli anni della giovinezza, 1911), è un bildungsroman di Ōgai che racconta di un giovane
ragazzo, Koizumi Jun’ichi, che si reca a Tōkyō con l’obiettivo di diventare uno scrittore. Come
Sanshirō, è un ragazzo puro e idealista (ma non stupido) e l’esperienza urbana è il momento di
crescita, grazie agli incontri con scrittori affermati e figure femminili di contorno.
Gan (l’oca selvatica, 1911) è un racconto ambientato all’inizio del periodo Meiji, pieno di
simbolismo (serpente, oca selvatica) e dai toni leggendari. Questo racconto segna il punto di svolta
dell’autore verso un ritorno ai temi ispirati a leggende giapponesi ed alla storia del Giappone, con
particolare riferimento alla vita di personaggi storici e studiosi.

Gli anni Dieci


A differenza di Soseki, che pur non partecipando a circoli letterari ebbe alcuni discepoli, Ōgai non
ne accettò mai, e fu invece molto attivo sulla scena pubblica, occupando posti di rilievo in diversi
circoli letterari e occupandosi di redazioni di giornali. Conobbe e aiutò però Nagai Kafū (1879-
1959), sulla cui rivista Mita bungaku, pubblicò alcune opere all’inizio degli anni Dieci. In quegli anni
comparvero diverse riviste di ispirazione “anti-naturalista”:

• Shirakaba (La betulla bianca) di Shiga Naoya (1883-1971)


• Shin-shichō (nuova corrente di pensiero), cui partecipò anche Tanizaki Jun’ichirō (1886-
1965)
In Shirakaba, gli autori che orbitavano attorno a questa rivista avevano idee e stili molto diversi
l’uno dall’altro, ma erano accomunati dal rifiuto delle istanze naturaliste e dalla passione per la
poesia e l’arte occidentale. Nel 1912 sulle pagine di Shirakaba, Mushkoji Saneatsu (1885-1976)
descrive il suicidio del generale Nogi come “un’azione che può essere elogiata solo dall’intelligenza
corrotta di uomini che sono stati educati a pensare in un’epoca corrotta attraverso un uso malato
della natura”, ma l’atteggiamento di Ōgai sulla questione fu più temperato.
Nello stesso anno pubblicò il racconto Okitsu Yagoemon no isho (l’ultimo testamento di Okitsu
Yagoemon, 1912) che racconta un atto di junshi, autoimmolazione in cui l’autore invita a riflettere
senza retorica sul principio morale che sta alla base del suicidio d’onore, che però sconfigge
apertamente con i dettami della modernità, mettendo in luce le contradizioni del sistema
governativo giapponese, moderno ma contemporaneamente ancora basato sul principio feudale
dell’abnegazione per il Signore.
Ōgai non fu certamente uno scrittore rivoluzionario o antisistema, ma scrisse apertamente
contro le misure liberticide intraprese dal governo, in particolare a seguito della repressione degli
oppositori politici dopo il taigyaku jiken. È il caso dei due racconti pubblicati nel 1910 su
Mitabungaku: Chinmoku no to (la torre del silenzio, 1910) e Shokudo (la mensa, 1910). Nel
secondo testo, l'autore trascrive una conversazione avvenuta in una mensa a proposito
dell'incidente, mentre nel primo il tema della repressione delle libertà individuali è raccontato per
mezzo di un'allegoria: le torri del silenzio dei parsi sono luoghi dove si collocano cadaveri per la
scarnificazione; la tribù punisce coloro che leggono libri occidentali.

Il romanzo storico
Ōgai dedicò la sua carriera adulta alla produzione di romanzi ispirati a leggende giapponesi e alla
storia del Giappone. Alcune opere continuano a trattare il tema del suicidio d'onore, sulla falsariga
di Okitsu Yagoemon no isho, come Abe ichizoku (la famiglia Abe, 1913) o altre tematiche che
indicano riflessioni sull’etica moderna, come Takasebune (una barca a Takase, 1916), che riflette
sul tema della “morte dolce”.
Tra i testi ispirati a leggende della tradizione giapponese il più celebre è sicuramente Sanshōdayū
(L’intendente Sanshō, 1915). In esso si denota il metodo storiografico di Ōgai, esplicitato anche in
un saggio pubblicato lo stesso anno da Rekishi sonomama to reikishibanare (la storia così com’è è
l’allontanamento dalla storia), fatto di fedeltà estrema al dato storico e adattamento della trama.
Traspare inoltre la volontà dell’autore di legare sempre la riflessione etica nel presente al racconto
storico (tema del lavoro minorile e dello sfruttamento, esempio di Anju e la tessitura).
Infine, sono da ricordare le biografie di letterati confuciani di periodo Tokugawa, all’interno delle
quali l’autore ricostruisce attraverso materiale dell’epoca il ritratto fedele di personaggi che
sentiva affini a lui: capolavoro è sicuramente Shibue Chusai, che rientra tra i cosiddetti racconti
dell’aware, l’umanità e la compassione per le diverse forme di vita.

Sanshōdayū (lettura)
Questo racconto di Ōgai è una riscrittura di una leggenda già nota in Giappone, nata in periodo
medievale come sekkyobushi (racconto declamatorio buddhista) e riproposta successivamente sia
come spettacolo teatrale per joruri e kabuki, sia come racconto per l’infanzia. Ōgai tenta di
ricostruire storicamente tale leggenda, attribuendo le identità storiche ai personaggi e spiegando
gli eventi attraverso le conoscenze storiografiche; tuttavia, nel farlo, l’autore si prende numerose
libertà:

• Modifiche alla trama (es. riduzione del numero dei figli di Sanshōdayū)
• Eliminazione degli elementi di fantasia/miracolo, sostituiti da semplici sogni
• Eliminazione di elementi eccessivamente sentimentali e/o cruenti (torture, morti,
punizioni atroci)
• Modifiche ai nomi di alcuni personaggi letterari per far sì che combacino con personaggi
storici
L’obiettivo di Ōgai è quello di raccontare il passato per riflettere sul presente. Il racconto ragiona
da una parte sul tema della giustizia e della legge, considerata dapprima ingiusta ma poi rivelatasi
essenziale per il finale buono della storia, dall’altra sul tema della schiavitù. La storia mantiene
tratti leggendari e non cerca di “ammodernare” la narrazione principale.
Akutagawa Ryūnosuke
Scrisse quasi 150 racconti brevi, la maggior parte dei quali furono riscritture di storie note, sia
appartenenti alla tradizione classica e buddhista, sia alla tradizione occidentale e cristiana. Alcune
delle sue opere possono essere accostate al Modernismo, che si riconosce in Akutagawa per:

• La messa in discussione dei valori borghesi e del concetto di progresso


• L’inconscio
• Il rifiuto del Realismo e l’abbraccio del Relativismo
• Il ritorno all’essenza dell’arte, composta da elementi e forme
• Un rinnovamento stilistico e contenutistico.
Ryūnosuke viene per questi motivi accostato agli autori pre-modernisti giapponesi, che si
differenziano dagli autori propriamente modernisti influenzati dalla corrente europea. Viene
accostato ad Ōgai per il suo stile di scrittura e la sua attitudine letteraria, mentre viene accostato
a Soseki per il suo passato biografico e per la sua convivenza con la pazzia. Proprio Soseki segnerà
il debutto letterario di Akutagawa, recensendo positivamente il suo primo racconto Hana.
Tra il 1915 e il 1916, frequenta i “giovedì letterari” di Soseki, dal suo esordio fino alla morte del
celebre scrittore. Akutagawa prende il prestito alcuni materiali narrativi dal konjaku monogatari
per la stesura del suo testo Rashōmon (la porta dei demoni, 1915) e Hana (il naso, 1916):
entrambe le storie sono tratte da aneddoti di contenuto buddhista (setsuwa) di periodo Heian,
seppur con influenze occidentali (in particolar modo in riferimento alla descrizione psicologica dei
personaggi).
Akutagawa si ispirò poi al cristianesimo per riflettere su tematiche del rapporto tra l’individuo e
la fede. Nel suo “ciclo cristiano” riflette poi sulla figura del diavolo e del male, nell’ambiente
cristiano giapponese medievale; nonostante i numerosi racconti di ispirazione cristiana, l’autore
non si convertì mai al cristianesimo ma ne trasse semplicemente spunto letterario.
Nel racconto Yabu no naka (dentro al bosco, 1922), ispirato ad un aneddoto del Konjaku
monogatarishū, l’autore riflette sulla concezione di verità. Nel racconto, infatti, la stessa vicenda
(un omicidio) è raccontata da più punti di vista, incluso quello della vittima che parla attraverso
una medium. L’autore sfrutta questo escamotage per interrogarsi su cosa sia effettivamente la
verità all’interno di un’opera letteraria e sul senso di scrivere letteratura:

• Dibattito sulla trama nell’opera letteraria


• Dibattito sulla letteratura del proletariato
• Ritorno al “romanzo privato” (es. Haguruma, “la ruota dentata”, 1927)
Akutagawa tenta di cercare una speranza nella figura di Cristo, per cui l’autore prova una forte
ammirazione ed interesse verso il Suo messaggio. Il ritratto di Cristo secondo la visione dell’autore
si può trovare nelle opere Saihō no hito e Zoku saihō no hito (L’uomo da Occidente I e II, 1927).
Cristo viene definito un ‘comunista’ dall’autore per via del suo spirito generoso. Akutagawa,
quindi, usa le fonti originali (vangeli, Bibbia) per scrivere e presentare una sua rielaborazione
personale della vicenda, totalmente avvolta nella fantasia e che permette al lettore di
comprendere sé stesso.
Tra le sue ultime produzioni si trova il romanzo Kappa, una delle opere più complesse dell’autore,
che riflette sulla politica e sulla società giapponese che imita il modello europeo. La metafora del
Giappone moderno viene data attraverso la confessione di un malato psichiatrico che racconta il
suo viaggio nel regno dei Kappa.

Rashōmon (lettura)
Rashōmon (la porta dei demoni, 1915) è una storia liberamente ispirata ad aneddoti di contenuto
buddhista (setsuwa) di tardo periodo Heian, ma con influenze della letteratura occidentale. In
questo racconto, carico di miseria e dall’atmosfera cupa, un uomo conosce ed impara ad
accettare il Male come necessario per la propria sopravvivenza. Gli aneddoti sono presi dal
Konjaku monogatarishū, in particolare:

• Storia di un ladro che vede dei cadaveri nel Rashōmon


• Storia di una vecchia che vende pesce essiccato al Palazzo Imperiale
Il Male e la bruttezza, sia interiore che esteriore, portano l’uomo a compiere scelte e azioni
malevoli, giustificando talvolta il proprio male con quello degli altri.

Letteratura e storia
Per Akutagawa la verità storica non esiste, e la storia in sé è solo un pretesto per far volare la
fantasia dell’autore, che rielabora temi del passato al fine di raccontare dell’uomo moderno.
Questo metodo stilistico viene proposto anche nella lettura di Akutagawa intitolata Tabako to
akuma.

Tabako to akuma (lettura)


Il racconto Tabako to akuma (Il tabacco e il diavolo) recupera il tema europeo del ‘patto col
diavolo’ e della documentazione storica circa l’introduzione della coltivazione del tabacco in
Giappone. Il racconto è ambientato durante il cosiddetto ‘secolo cristiano’, quando il tabacco
viene per la prima volta esportato in Giappone dai mercanti portoghesi: Il tabacco viene usato
come metafora dell’incontro tra Occidente e Oriente: una sconfitta di entrambe le parti.
Prima della diffusione del Cristianesimo e di Dio, nemmeno il diavolo aveva mai avuto occasione di
entrare in questa terra. Giunto sulla stessa nave di Francesco Saverio, camuffatosi in chierico, il
diavolo scommette con un contadino un appezzamento di terra qualora egli avesse indovinato la
pianta tenuta in mano dal diavolo. Il contadino indovina, il diavolo perde la scommessa, ma al
contempo la vince: la pianta del tabacco, simbolo di fumo, di vizio e quindi di male, viene diffusa
sul territorio giapponese, permettendo al Male stesso di insinuarsi tra le vite degli ignari abitanti.
L’intero racconto è un escamotage storico per raccontare la condizione del Giappone moderno
alle prese con l’occidentalizzazione.

Tadanaokyo gyojoki (lettura)


È un racconto di Kikuchi Kan dei primi anni del Novecento. Kan fu un grande promotore della
letteratura e del teatro nelle ere Meiji e Taishō, nonché fondatore della longeva e prestigiosa
rivista Bungei shunjū, del premio Akutagawa e del premio Naoki. Fu un autore di drammi moderni
(es. Chichi kaeru), di racconti e di opere di teatro.
Tadanaokyo gyojoki (sul comportamento del sire Tadanao, 1918) si basa sulle vicende umane di
un daimyō realmente esistito, Matsudaira Tadanao (1595-1650), nipote di Tokugawa Ieyasu.
Prende spunto da vicende realmente accadute: il rimprovero del nonno a seguito della mancata
partecipazione alla spedizione punitiva contro le forze ribelli, la destituzione e l’esilio di Tadanao a
seguito dei suoi comportamenti ostili contro lo shogunato.
Per l’autore, il personaggio di Tadanao è solo un pretesto per raccontare la figura di un giovane
‘figlio di papà’ realmente incontrato, aristocratico, egoista e indolente con la psicologia di un
giovane moderno; contemporaneamente, si deve sottolineare il ritratto ironico e spietato che
viene fatto dei meccanismi psicologici che reggevano il Giappone feudale.
L’insincerità dei personaggi è la chiave del racconto, caratteristica che porterà Tadanao a
compiere le azioni descritte: la lealtà feudale non permette di criticare il proprio signore,
preferendo la morte alla verità. Questa lettura storica si associa alla descrizione dell’individuo alla
maniera occidentale, facendo leva sui sentimenti provati da quest’ultimo e sulle sue
caratteristiche psicologiche.
Lo stile narrativo è ispirato al ‘racconto dell’assurdo’ tipico occidentale, di ispirazione fiabesca,
con una parabola ascendente che prevede una escalation narrativa e la composizione circolare del
racconto, col ripristino della tranquillità iniziale.

Il Burai-ha
Il termine Burai-ha (scuola della ribellione), spesso chiamato anche shin-gesaku, indica un gruppo
di scrittori appartenenti all’immediato dopoguerra (non un vero ‘gruppo’, ma un insieme di
scrittori indipendenti con vari tratti comuni):

• Dazai Osamu (1909-1949)


• Sakaguchi Ango (1906-1955)
• Ishikawa Jun (1899-1987)
• Nosaka Akiyuki (1939-2015)
Diversi di questi autori sono accumunati dalla tendenza all’autodistruzione (alcol, droga, tentativi
di suicidio) e da una vita letteraria piuttosto breve. Ishikawa Jun non visse mai la guerra in prima
persona, mentre nel caso degli altri tre tali tratti saranno distintivi delle loro vite.
I temi principali di questi scrittori sono lo spaesamento per la caduta dei valori della società
giapponese tramandati sin da allora, un paese carnefice in guerra e vittima atomica, che non
viene accettato come potenza asiatica né occidentale (come Sakaguchi Ango descrive in
Darakuron, ‘sulla decadenza’, 1946).
L’opera più famosa di Ango, Sakura no mori no mankai no shita (Sotto la foresta dei ciliegi in fiore,
1947), ribalta l’ideale estetico del fiore di ciliegio come epitome del male e dell’oscuro, che
possiede un’influenza psichica malvagia sull’uomo; solitudine, morte ed incomunicabilità sono i
temi principali di questo racconto, con la metafora di una donna-demone che gioca con i
sentimenti delle sue vittime.
Ishikawa Jun
Viene associato per i temi letterari alla scuola del Burai-ha, pur non condividendone gli ‘eccessi’
con gli altri membri. Fu un convinto esponente di sinistra vicino al movimento marxista. Inoltre,
possiede una lunga carriera letteraria, tra romanzi, racconti, critica e traduzione dal francese. I
suoi racconti più celebri, tuttavia, sono proprio quelli risalenti al secondo dopoguerra e pertanto
viene spesso associato agli autori di tale periodo.
A differenza degli scrittori prima citati, Ishikawa considera la letteratura allo stesso livello della
storia, che vene anzi definita ‘superiore’ quando accostata alla verità: i singoli avvenimenti storici
possono esser presi per veri, ma non è detto che la ricostruzione ed il collegamento di tali eventi
sia altrettanto vera. La storia dell’umanità non è fatta dai re o dai sovrani, ma dalle masse, e tali
masse non possono essere espresse se non con la letteratura.
Ideale letterario dell’autore:

• Il romanzo si fonda su elementi di finzione ma può toccare un nucleo di verità


• La storiografia è una somma di fatti veri che determinano una narrazione fittizia
• La letteratura è una somma di fatti fittizi che determinano una verità

Shura (lettura)
Shura (I demoni guerrieri, 1958) è un racconto ambientato durante l’era Onin (1467-1469). Al suo
interno vi si possono riscontrare alcuni personaggi storicamente esistiti, come Ikkyū Sōjun,
Ninagawa Shinzaemon e l’ottavo shōgun Yoshimasa.
Il racconto evidenzia il potere delle masse che influiscono sugli eventi storici, e il cui unico
obiettivo è quello di sovvertire il potere costituito. Gli eventi storici che vengono raccontati nel
racconto sono:

• Scontro tra Hosokawa e Yamana


• Tentativo di omicidio del settimo shōgun mentre assisteva a uno spettacolo del No
• Incendio alla biblioteca di Kanera
• Rivolte contadine, ascesa degli ashigaru
Vi sono poi altre fonti, questa volta letterarie:

• Nō (struttura narrativa del racconto, con il monaco errante e figure ultraterrene, dramma
Eguchi)
• Tradizione poetica (inserimenti di poesie e composizione di poesie pseudoclassiche)
• Bakin e altre fonti cinesi (figura di Koma e della sua nascita miracolosa)
I fatti narrati in questo racconto sono un pretesto per raccontare una verità, quella dello scontro
tra i due mondi dell’azione (guerra che vede militari e aristocratici combattere per la lotta al
potere, vita degli ashigaru) e quello del pensiero (simboleggiato dal monaco Ikkyū). Entrambi i
mondi rifiutano la realtà storica del loro periodo, ma l’atteggiamento verso di essa è
diametralmente opposto.
Secondo l’autore, alla base delle spinte storiche c’è il desiderio di rivoluzione, di anarchia,
impersonato da Koma, figura misteriosa al centro della storia e crocevia tra pensiero e azione.
Koma sembra poter impersonare entrambi i mondi, del pensiero e dell’azione, ed è un
personaggio simbolico perché emerge dai cadaveri della guerra.

Le suggestioni dall’Occidente
Nagai Kafū
È considerato il terzo grade autore del periodo Meiji/Taishō assieme a Soseki e Ōgai: con loro
condivide la permanenza all’estero ed il rifiuto delle istanze naturaliste. In Kafū, l’interesse per la
cultura occidentale, in particolare quella francese, si fuse con la nostalgia per il tempo passato e le
atmosfere della vecchia Edo. Anche gli altri due autori lamentarono la velocità con cui la
modernità divora il passato, ma mentre la reazione di Soseki fu di disprezzo e di abbandono al
pessimismo e quella di Ōgai fu di accettazione razionale del corso dei tempi, quella di Kafū fu di
rifugiarsi nella nostalgia (escapismo).
Diversamente dagli altri due autori, Kafū crebbe in un ambiente familiare già estremamente
occidentalizzato, dato che il padre aveva studiato presso Fukuzawa Yūkichi e si era recato in
America nel 1871. Tuttavia, non condivise con gli altri lo studio del cinese, che non fu mai
sostituito da quello di cose occidentali, bensì si sommò ad esso. Kafū iniziò la sua carriera di
scrittore nell’alveo della scuola Ken’yūsha, con storie ispirate al racconto sentimentale di tardo
periodo Edo.
Nel 1901 cominciò ad interessarsi alla letteratura occidentale, influenzato in maniera molto forte
dal naturalismo francese. Dal 1902 comincia a scrivere i primi racconti ispirati a Emile Zola, come
Yashin (Ambizione) e Jigoku no hana (I fiori dell’inferno). In essi, ricerca il lato oscuro del cuore
umano e del suo desiderio di individualità, in opposizione alle convenzioni del tempo. Yashin è un
resoconto dell’aberrazione dell’ideale del risshin shusse, centrale nel periodo Meiji; in Jigoku no
hana sono più chiari i temi tipici dello zolaismo, ovvero il rapporto tra caratteristiche umane,
ambiente ed ereditarietà.
Dal 1903 al 1907 viaggerà in America, e dal 1907 al 1908 in Francia. Prima di partire per l’estero,
Kafū aveva già una certa reputazione come giovane scrittore ‘naturalista’: il suo naturalismo fu
sempre differente dalle forme di naturalismo giapponese, che avrebbe concentrato l’attenzione
sull’analisi minuziosa della vita dell’autore; in Kafū sono l’oggettività e lo studio delle
caratteristiche umane di Zola ad essere tenuti in alta considerazione. Epitome della sua
produzione americana sono gli Amerika monogatari (Storie americane, 1903-1907), racconti
ambientati in America con protagonisti giapponesi, e i Furansu monogatari (Storie francesi, 1909),
racconti dettagliati delle sensazioni provate durante il soggiorno francese. Molti passaggi di questi
racconti vengono usati come pretesto per esprimere disgusto per il Giappone e per i giapponesi, o
la sensazione spiacevole collegata al suo ritorno in patria.
Tornato in Giappone, egli ottiene una cattedra all’università Keiō su raccomandazione di Ōgai, per
poi abbandonare il suo lavoro nel 1916 e riprendere a tempo pieno la carriera di scrittore. Nel
racconto Reisho (Sogghigno, 1910), Kafū ricerca la bellezza di Edo al di sotto della bruttura della
moderna Tōkyō.
Di questa fase sono noti i racconti Sumidagawa (Il fiume Sumida, 1909) e Udekurabe (Rivalità,
1917), storie ambientate nei quartieri popolari di Tōkyō, con geisha e altri personaggi del
demimonde della vita notturna di Edo. In essi si nota il contrasto tra la modernizzazione
improvvisa che devasta la città, come simbolo di crisi culturale, e le atmosfere di un passato che a
volte ritorna in forma di nostalgia. Kafū, a differenza degli altri due autori a lui contemporanei,
non critica l’Occidente in sé, quanto piuttosto l’eccessiva occidentalizzazione dei giapponesi,
trovando nei quartieri del piacere di Edo l’ultimo baluardo della cultura tradizionale popolare della
città, ormai persa nella modernizzazione.

Endō Shūsaku (1923 – 1996)


Nasce in una famiglia cristiana, religione che costituisce per lui un forte elemento identitario che
contrasta con l’elemento giapponese. Il suo romanzo più famoso, Chinmoku (Silenzio, 1966) è il
resoconto delle sfortune che i missionari giapponesi incontrano nel periodo delle persecuzioni
cristiane. Alcuni elementi di vicinanza con gli scrittori degli anni Sessanta sono:

• Ambiguità della cultura giapponese e dissidio tra identità opposte


• Rifiuto del potere e delle istituzioni, che schiacciano l’individuo invece di sostenerlo
• Sfida al nichilismo
La sua letteratura è caratterizzata da:

• Produzione di ambientazione kirishitan o storica


• Produzione di ambientazione contemporanea
• Continuo dialogo tra Est e Ovest
Le sue produzioni più famose:

• Shiroi hito (Gli uomnini bianchi, 1955) e Kiiroi hito (Gli uomini gialli, 1955)
• Umi to dokuyaku (Il mare e il veleno, 1957)
• Chinmoku (Silenzio, 1966)
• Iesu no shōgai (Vita di Gesù, 1979)
• Samurai (1980)
• Fukai kawa (Il fiume profondo, 1993)

Chinmoku (1966)
Scritto in forma epistolare, narra dell’apostasia (rinuncia alla religione) di padre Ferreira e la
missione di padre Rodriguez e padre Garupe nel Giappone del XVII secolo. Lo stile epistolare
evidenzia in modo esplicito il tormento interiore di Rodriguez, il cui paradigma comportamentale
passa dalla ‘certezza’ iniziale nella sua fede all’apparente ‘sconfitta’ all’Oriente nel finale.
Il Giappone viene definito una palude (numa), poiché tutto quello che viene coltivato (fede) non
riesce ad attecchire e resta soltanto in superficie. La fede scristiana in periodo Tokugawa viene
descritta usando la metafora della “farfalla intrappolata nella rete del ragno”, incapace di
muoversi e di prendere il volo.
La figura di Dio che emerge nell’opera è quella di un “Gesù materno”, una sorta di figura
femminile che abbraccia e protegge in silenzio i suoi fedeli, come una madre si sacrifica per i suoi
figli.

Fukai kawa (1993)


Romanzo corale in cui quattro giapponesi si incontrano e si scontrano, accomunati dalla scelta di
partire per l’India. I turisti sono però costretti ad interrompere il loro viaggio per via dell’omicidio
del Primo Ministro Gandhi:

• Isobe Osamu va alla ricerca della defunta moglie


• Kiguchi cerca di sfuggire agli orrori della guerra da lui vissuta
• Numada si reca in visita ad un santuario dedicato agli animali morti
• Naruse Mitsuko incontra un suo amore giovanile, Ōtsu, prete espulso dalla Chiesa, che
predica sulle rive del Gange
Il titolo fa riferimento a tutta una serie di fiumi presenti nelle varie religioni. Centrale è la figura
della dea Chamunda, figura di compassione e di sacrificio.

Dazai Osamu
Scrittore con una produzione piuttosto limitata poiché muore giovane, scrive soprattutto nel
dopoguerra. La sua giovinezza è caratterizzata dall’interesse per l’ideologia di sinistra, salvo poi
rendersi conto di non poter intraprendere quella strada per via delle sue origini aristocratiche. A
diciannove anni egli compie il suo primo tentativo di suicidio, in totale saranno nove.
Comincia a scrivere già negli anni Trenta, con pubblicazioni di stampo occidentale:

• Tendenza all’autobiografismo
• I personaggi sono caratteristiche e pensieri dell’autore che prendono vita, e le loro storie
passano quasi in secondo piano
Pubblicazioni del dopoguerra:

• Bion no tsuma (La moglie di Villon, 1947)


• Shayō (Il sole si spegne, 1947)
• Ningen shikkaku (Lo squalificato, 1948)
In tutte le opere, pur parlando di storie diverse, si rivede il personaggio di Dazai nella sua essenza.
Parallelamente a queste sue pubblicazioni, Osamu scrive anche brevi racconti ispirati alla
letteratura medievale o occidentale, interpretati in chiave contemporanea.

Hashire Merosu (lettura)


Corri, Mero (1940)
Opera precedente alla Seconda guerra mondiale, è tra le più positive della sua produzione. Il
racconto è basato sulla versione romantica della leggenda greca di Damone e Finzia (due discepoli
di Pitagora, esempio di amicizia inossidabile), storia raccontata e rimaneggiata diverse volte nella
letteratura greco-latina e medievale. Friedrich Schiller ne comporrà una ballata in venti stanze dal
titolo Die Burgschaft (L’ostaggio, 1799).
Dazai accede alla traduzione giapponese della ballata di Schiller (1937), ma si documenta anche
su alcune versioni latine dell’opera. Utilizza i nomi di Mero e Selinunzio.
I personaggi della versione di Dazai vengono resi meno ‘eroi’ e più ‘umani’: almeno una volta,
entrambi dubiteranno l’uno dell’altro. Inoltre, allarga la storia del tiranno di Siracusa Dionisio, che
non viene presentato come un semplice ‘cattivo’, ma come un uomo sfiduciato dal genere
umano. Inoltre, viene presentata una netta opposizione tra la campagna, piena di musica, natura e
pace e la città di Siracusa, grigia, silenziosa e dagli abitanti aridi e disonesti.

Mishima Yukio
Autore estremamente complesso e controverso. I suoi romanzi sono spesso di difficile lettura, con
molti piani diversi ed interpretazioni, spesso influenzati dalla vita ingombrante dell’autore, fatta
di eccessi, anticonformismo e stravaganza, ma soprattutto dalla sua morte spettacolare, che
rispecchia la sua vicinanza all’ideologia militare di estrema destra e lo spirito samuraico.
Sin dall’infanzia, Mishima si mostra come un bambino prodigio nella scrittura, seppur di salute
cagionevole. Frequenta la Scuola dei Pari (Gakushūin), dove si interessa alla lingua giapponese ed
alle attività letterarie. Le sue prime produzioni (raccolte in Hanazaki no mori, “La foresta in fiore”,
1944) sono anacronistiche e ricercate:

• Rifiuta di utilizzare caratteri semplificati


• Ricerca di termini obsoleti
• Studio meticoloso dietro la scelta di ogni parola
Da ragazzo, egli si avvicina alla Nihon roman ha, la Nuova scuola romantica giapponese che
enfatizza il pregio della tradizione classica, ma si appassiona anche ai testi occidentali (soprattutto
Oscar Wilde).
Pubblica i suoi primi racconti su riviste scolastiche e su riviste letterarie per il grande pubblico, su
raccomandazione di Kawabata Yasunari:

• Hanazaki no mori (La foresta in fiore, 1944)


• Tabako (La sigaretta, 1946)
• Chusei (Medioevo, 1945-46)
Il romanzo che consacra il suo successo come scrittore è Kamen no kokukaku (Confessioni di una
maschera, 1949), che sfida la tradizione di romanzo dell’io in quanto gioca sulla finzione
dell’elemento autobiografico. La confessione non determina una sensazione di sollievo per aver
reso pubbliche le parti torbide della propria intimità: chi si confessa è una ‘maschera’ del
protagonista, e le pulsioni sessuali raccontate servono a riconoscere e non a negare tali aspetti.
Ciascuno scrive ciò che vuole l’altro sappia di sé. Il protagonista, omosessuale e cagionevole, si
infatua di diverse figure maschili a lui contrapposte per vigore e vitalità, come alcuni lavoratori, un
bullo muscoloso dalla pelle scura o addirittura le figure artistiche nei libri come San Sebastiano di
Guido Reni.
Tutta la prima produzione di Mishima ha come obiettivo il tema della bellezza, che si ritrova in
Kamen no kokukaku ma anche nel romanzo Ai no kawaki (Sete d’amore, 1950), storia
completamente diversa dalla precedente, che tratta l’amore eterosessuale, ambientato in terza
persona in un ambiente rurale e che tratta del resoconto di un omicidio. Nel romanzo c’è una forte
componente tragica nel senso greco del termine, che caratterizza tutte le sue opere ed in cui tutte
le scene sospingono verso il finale.
Il discorso sulla bellezza riprende con Kinjiki (Colori proibiti), dove ritorna il tema
dell’omosessualità. Shunsuke, versione parodica dell’autore, incontra un bellissimo giovane di
nome Yūichi, versione ideale dell’autore. Mel romanzo viene descritta la vita mondana gay della
Tōkyō degli anni Quaranta. Il romanzo è caratterizzato da un forte elemento misogino.
La bellezza culmina in Kinkakuji (Il padiglione d’oro), romanzo che si basa su un fatto di cronaca,
incendio che un giovane monaco appicca verso il famoso tempio. Mishima costruisce una storia
sopra tale monaco, che possiede un rapporto malato con la bellezza. Egli, storpio, brutto e
cagionevole, si rende conto che l’unico modo per possedere la bellezza sia quella di distruggerla
(rimando alla verginità per Kawabata).
Mishima viaggia anche in America Latina ed in Europa, in particolare in Grecia, attirato dalla
tradizione storica e culturale della Grecia classica. Di ritorno dalla Grecia, egli scrive Shiosai (La
voce delle onde, 1954), adattamento della leggenda di Dafni e Cloe, storia d’amore giovanile tra
due ragazzi in un villaggio di pescatori della costa di Ise.
L’ultimo romanzo prima della sua ‘svolta politica’ è Kyoko no ie (La casa di Kyoko, 1959), romanzo
lungo e composito, basato si diversi uomini che si incrociano nella stessa abitazione: un uomo
d’affari, un pittore, un pugile ed un attore. La trasformazione del corpo dell’attore Osamu
rispecchia l’interesse dello stesso autore per la coltivazione del proprio corpo e il bodybuilding.
Tale interesse viene esplicitato anche nell’opera Sole e acciaio.
Forte è l’interesse di Mishima per il teatro. Egli produce drammi di kabuki moderni e di Nō
moderni, tra cui spicca la celebre riscrittura di Aoi no ue; produce drammi di ispirazione
occidentale (teatro borghese) come Rokumeikan (il palazzo del bramito dei cervi, 1956) e Shioari
no su (il nido delle formiche bianche, 1955). Le sue opere teatrali più famose sono i celeberrimi
Sado kōshaku fujin (La marchesa de Sade, 1965) e Wagatomo Hittoraa (Il mio amico Hitler, 1968).
Scrive anche copioni per il cinema, a cui partecipa sia come regista che come attore.
Negli anni Sessanta si registra la cosiddetta “svolta politica” di Mishima. L’interesse per il mondo
politico traspare dalle pagine di Utage no ato (Dopo il banchetto, 1960), in cui esso viene però
denigrato e schernito attraverso il racconto di uno scandalo sentimentale. Nel 1961 scrive e
produce Yūkoku (Patriottismo), dove viene messa in risalto la bellezza della morte tramite un
suicidio rituale. Nel 1967 scrive Hagakure nyumon (Introduzione allo Hagakure, it. “Lezioni
spirituali per giovani samurai”), un elogio alla cultura militare del Giappone. in quegli anni si
interessa alle attività militari e fonda la Tate no kai (Società degli scudi), dove addestra e si allena
con giovani coscritti.
Nei suoi ultimi anni di vita, Mishima scrive quattro romanzi che vengono classificati come
‘tetralogia del mare della fertilità’ (Hōjōro no umi, 1969-71):

• Haru no yuki (Neve di primavera, 1969)


• Honba (A briglia sciolta, 1969)
• Akatsuki no tera (Il tempio dell’alba, 1970)
• Tennin gosui (I cinque segni della decadenza dell’angelo, it. “La decomposizione
dell’angelo”, 1971 postumo)
Nei romanzi vi è una mera illusione della fertilità della vita: gli eventi di cui la vita si compone non
solo sono privi di senso, ma anche completamente illusori.
Alla base della tetralogia e fonte di ispirazione di quest’ultima, vi è un monogatari di periodo
Heian, dove il protagonista crede di essere la reincarnazione di un funzionario cinese a lui
antecedente. Sulla base della metempsicosi, anche questi romanzi sono collegati dall’dea di
reincarnazione di uno dei personaggi. Il personaggio che fa da congiunzione ai racconti è Honda,
un uomo che riconosce in vari personaggi un tratto fisico peculiare del suo migliore amico
deceduto, Kiyoaki, che egli crede si sia dunque reincarnato in questi giovani.

Personaggi femminili e Genji monogatari nel Novecento


Shishi (Lettura)
Shishi (La leonessa) è un racconto di Mishima, apparso per la prima volta sulla rivista Jokyoku nel
1948 e trasposizione della Medea di Euripide:

• Da tragedia teatrale a racconto


• Dal tempo del mito greco all’immediato dopoguerra giapponese
• Da Corinto a Kyōto
• Protagonista da nobile maga straniera a donna dell’alta borghesia decaduta giapponese,
con un passato a Mukden (Manciuria) durante l’occupazione
I personaggi del racconto vengono associati a quelli della leggenda tramite somiglianza sonora
oppure il significato del nome:

• Kawasaki Shigeko: Medea


• Hisao: Giasone
• Tsuneko: Glauce
• Keisuke: Creonte
• Maggiore Aigeus: re di Atene, Egeo
• Chikao: i figli di Medea
Mishima trova una somiglianza tra il tempo del mito e quello del dopoguerra, messo in atto in
entrambi i periodi dall’hybris (peccato, errore) che scatena la tragedia, e dove i protagonisti (del
mito/i giapponesi) devono farsi carico del proprio destino ineluttabile, da vittime e carnefici.
L’autore sceglie di intitolare il racconto La leonessa poiché questo stesso nome viene usato
all’interno del mito greco per descrivere Medea, come dispregiativo. Lo stesso Mishima decide di
paragonare innumerevoli volte la sua protagonista con l’animale, riferendosi alla sua dentatura, la
capigliatura, gli occhi ed al suo carattere feroce e animalesco.
La Leonessa, inoltre, richiama vari personaggi della letteratura giapponese classica:
• La dama di Rokujō del Genji monogatari, a sua volta una donna colta, intelligente e
aristocratica, ma al contempo estremamente gelosa e dal carattere violento
• Akoya, cortigiana che sgozza i suoi figli per gelosia, esempio di aberrazione della maternità
• Hashihime, fanciulla/demone della mitologia giapponese nota per maledire ogni notte
l’amato che la tradisce, uccidendo le sue amanti

Aoi no ue (lettura)
Riscrittura in forma di dramma borghese di un dramma del teatro Nō Aoi no ue, a sua volta
ispirato alla relazione tra Genji, la signora degli Aoi e la signora di Rokujō descritta nel Genji
monogatari.
Può essere interpretata quasi come una parodia o un travestimento popolare del dramma
medievale:

• Linguaggio abbassato
• Condizione sociale dei protagonisti abbassata
• Sentimenti e ideali riproposti come insignificanti e risibili
Personaggi:

• Wakabayashi Hikaru (marito pavido)


• Rokujō Yasuko (il suo spirito vivente)
• La moglie malata (Aoi)
• Un’infermiera
I personaggi sono ridimensionati rispetto all’originale dramma Nō, che comprende la sciamana,
un monaco esorcista, lo spirito vivente di Rokujō ed Aoi in forma di abito. Il protagonista maschile
non compare quasi mai e c’è sempre un dialogo tra il monaco e lo spirito della gelosia.
Aoi, invece di essere posseduta come nella storia originale, soffre a causa di una malattia
sessuale, e l’intera vicenda si svolge in una clinica del sesso. Rokujō e Genji, da aristocratici,
diventano una donna matura borghese ed un giovane impiegato. Quest’ultimo, invece di essere
infallibile e ‘splendente’ come nell’opera di Shikibu, si presenta invece come semplice, misero e
prevedibile. L’episodio del carro si trasforma in un episodio della barca a vela, come proiezione dei
ricordi felici di Yasuko e Hikaru.
Il tema centrale è la descrizione del ‘potere misterioso’ dell’animo femminile, non inteso come
femme fatale capace di sedurre, ma come esseri dal carattere complesso/pericoloso, violente e
gelose.
Come Shigeko, anche Yasuko è abbandonata e umiliata e per affermare sé stessa non può far altro
che assecondare il suo desiderio di vendetta. La differenza è che nel caso di Shigeko, il fenomeno è
raccontato in toni realistici, come effetto psicologico dell’umiliazione, mentre nel dramma è una
parte dell’animo di Yasuko a tormentare Aoi, al di fuori e al di là della sua coscienza.

Tanizaki Jun’ichirō
I primi racconti giovanili di Tanizaki apparvero sulla rivista letteraria Shin-shichō (nuovo pensiero).
Il racconto Shisei (Il tatuaggio, 1910) è ambientato in periodo Tokugawa, e narra di un tatuatore
che, in cerca del soggetto perfetto per i suoi tatuaggi, trova una bellissima fanciulla
(riconoscendola dai piedi) che si fa tatuare un ragno sulla schiena: il tatuaggio è così realistico che
il ragno prende vita e divora il tatuatore.
La letteratura di Tanizaki rispecchia i suoi gusti personali: la passione per il feticismo ed il
sadomasochismo può essere incontrata anche in uno dei suoi ultimi racconti, Diario di un vecchio
pazzo. La donna è cattiva e crudele, ma scelta dall’uomo che decide volontariamente di farsi
sottomettere per trarne godimento (come in Shōnen, “Adolescenti”, 1911).
La sua letteratura è stata da sempre oggetto di censura ed omissioni in fase di pubblicazione
(tramite fuseji, puntini sospensivi per eliminare le parti inappropriate) e post-produzione (libri
rimossi dal mercato). Tuttavia, Tanizaki non si piegò mai a tale censura e non cambiò il suo stile
letterario.
L’autore ottiene la benedizione artistica di alcuni degli autori più importanti del suo tempo, come
Nagai Kafū, che lo elogerà come “uomo di successo che ha aperto nuovi orizzonti nell’arte” poiché
i suoi scritti possiedono:

• Sottile e conturbante fascino che deriva da una paura carnale


• Sofisticata ambientazione urbana
• Perfezione formale ed appropriato uso del linguaggio
Il racconto Akuma (Il demone, 1912) darà inizio ad uno dei periodi di Tanizaki detto Akumashugi,
“il diabolismo”, in riferimento ai contenuti dissoluti delle sue opere ma anche alla stessa vita
dell’autore, non meno controversa ed edonista.
Dopo il periodo diabolista, Tanizaki conosce una profonda fascinazione per l’arte occidentale che,
a partire dagli anni ’20, lo porterà a produrre contenuti più in linea con quest’ultima. Dal 1925,
tuttavia, l’autore ritorna alla classicità ed all’estetica giapponese. Tra i romanzi ‘occidentali’ si
annovera Chijin no ai (L’amore di uno sciocco, 1925), che tratta di un uomo di mezza età che viene
sottomesso da una modern girl sadica, scritto in forma di romanzo dell’io (fittizio).
Il rapporto con la madre è un altro dei temi che caratterizzano la “donna di Tanizaki”, un amore
profondo ed inesauribile, quasi carnale.
I “romanzi del Kansai” si riferiscono alla produzione letteraria di Tanizaki una volta trasferitosi nel
Kansai, a Kyōto. I romanzi Manji (La croce buddhista, 1928) e Tade kuu mushi (Gli insetti
preferiscono le ortiche, 1928) danno spazio alle forme dialettali del Kansai. In questa fase vi si
riscontrano due tipi di donna contrapposti:

• Quella classica, che riassume le virtù e il gusto della tradizione


• Quella “illuminata” che vive all’occidentale, modern girl che vuole emanciparsi
In Yoshino kuzu (Le radici a Yoshino, 1931), Tanizaki compone un saggio sulla bellezza della
campagna del Kansai, scritto in forma di “diario di viaggio” nella memoria. Egli riprende la
tradizione classica ed introduce il tema della figura materna perduta, sia negli oggetti e nei
ricordi, sia in altre donne (tema del katashiro, sostituzione di un personaggio femminile
scomparso).
In’ei raisan (Libro d’ombra, 1933) è una raccolta di pensieri, di aforismi e di riflessioni sull’ideale
estetico giapponese, che si basa su elementi incompleti, scarni ed imperfetti, contrapposto
all’Occidente (soprattutto in relazione alla casa).
Shunkin shō (La storia di Shunkin, 1933) è una storia ambientata nel medioevo giapponese di una
musicista non vedente ed un suo ascoltatore, il cui rapporto rispecchia gli ideali masochistici
dell’autore. Nel 1935 Tanizaki comincia la prima ritraduzione in lingua moderna del Genji
monogatari, poi pubblicata tra il 1939 e il 1941, con molti elementi censurati.
Il suo romanzo più noto, Sasameyuki (Neve sottile, 1942-43 ma pubblicato nel 1946), è un elogio
alla vita quotidiana, scritto nel dialetto di Osaka. Il tema centrale del romanzo è il matrimonio
delle figlie: anche in questo caso si incontrano i due paradigmi della donna, moderna e classica.
Negli anni ’50 si fa sempre più presente il tema della ricerca della madre negli scritti di Tanizaki,
come in Shōshō Shigemoto no haha (La madre del comandante Shigemoto, 1949-50) e Il ponte dei
sogni.
Per concludere, ecco gli elementi centrali della letteratura di Tanizaki:

• Autore non-intellettuale, che deride la letteratura alta


• Rifiuto della politica e del militarismo/patriottismo
• Conflitto tra Oriente e Occidente, tradizione e modernità
• Ruolo centrale delle pulsioni sessuali e carnali
• Figura femminile e paradigmi plurimi della femminilità
• Gioco sadomasochistico in cui la donna domina ma il cui fine è l’appagamento
dell’appetito sessuale maschile

Yume no ukihashi (lettura)


Il ponte dei sogni trae ispirazione dal Genji monogatari, in particolare l’ultimo capitolo che
possiede titolo omonimo, ma è ambientato in epoca moderna. I temi principali del racconto sono:

• Katashiro, sostituzione di persona per fini di affetto (madre adottiva per la madre perduta,
Takeshi per la madre adottiva)
• Relazione erotizzata con la madre (suzione di seni anche in età adulta)
• Triangolo amoroso con la nuora (che serve solo a curare la madre e verrà abbandonata
una volta morta la madre)
Il narratore è inaffidabile, scrive basandosi sui propri ricordi e molti dettagli vengono omessi. Il
racconto si presenta come una pseudo-confessione in prima persona di un uomo anziano, Otokuni
Tadasu. All’interno del racconto si presentano molti misteri irrisolti:

• Paternità di Takeshi
• Causa della morte di Tsuneko (Chinu)
Le donne vengono proposte con una bellezza idealizzata, dal punto di vista estetico e caratteriale.
Il comportamento di queste donne non è aggressivo, ma grazioso e contenuto come da tradizione
giapponese. Esse sono in grado di soggiogare l’uomo, ma sempre all’interno della trama ordita dal
maschio (il padre). Queste caratteristiche sono presenti in entrambe le donne, dati i ricordi confusi
del protagonista.
Tendenze nel teatro nel Novecento
Durante il periodo Tokugawa, il teatro Nō e il kyogen erano le principali fonti di intrattenimento
dello shogunato: questa correlazione darà cattivo lustro al Nō in periodo Meiji, ma verrà in seguito
ripreso e rivalutato. In concomitanza, sopravvivono anche le arti declamatorie popolari come il
rakugo, il kodan e il rokyoku, e al teatro popolare come kabuki e bunraku.
L’incontro tra il teatro giapponese e quello occidentale è quello di due grandi tradizioni, seppur
molto diverse l’una dall’altra:

• Teatro di parola occidentale vs. teatro di spettacolo giapponese


• Irripetibilità della scena teatrale con testo uguale vs. rigidità della tradizione scenica con
cambio di testo
• Grande importanza delle compagnie di attori e sistema dello iemoto (capo-famiglia che
detiene la tradizione teatrale)
Si creano così tre diversi tipi di teatro giapponese:

• Teatro tradizionale del kabuki


• Teatro ibrido tradizionale ma con elementi occidentali (katsureki, zangirimono)
• Nuovo teatro di ispirazione occidentale (shinpageki, shingeki)
Lo shinpageki nasce come teatro studentesco che, ispiratosi alla cultura occidentale, produce
nuove forme di teatro basate sulla tradizione giapponese. Le figure centrali nello sviluppo di
questa tradizione sono Kawakami Otojiro e sua moglie Sadayakko (la “Duse giapponese”).
Inizialmente, questi spettacoli narravano di guerre appena compiute, come una sorta di reportage
di guerra, o si basavano su opere letterarie già apprezzate dal pubblico giapponese. Questa forma
di teatro verrà rappresentata anche in America ed Europa.
Caratteristiche principali:

• Riproposizione di opere letterarie melodrammatiche


• Adattamenti di drammi occidentali
• Eliminazione quasi totale di musica e danza
• Accentuazione della quotidianità
Lo shingeki, a differenza dello shinpageki, propone una fedele trasposizione delle opere
occidentali, tradotte direttamente dalla lingua originale al giapponese. Nel 1909 viene istituito il
‘’’’, associazione culturale che propugna una riforma delle arti e che ha al suo centro i critici
Tsubouchi Shōyō e Shimamura Hogetsu. Uno dei principali obiettivi è formare nuovi attori alla
recitazione realistica di ispirazione occidentale e la produzione di molti drammi in traduzione
fedele (Shakespeare). Il Jiyū gekijō (teatro libero) viene fondato dall’attore kabuki Ichikawa Sadanji
e Osanai Kaoru. Lo shingeki si legherà sempre alla letteratura alta, rappresentando opere
importanti come Io sono un gatto di Soseki. A partire dagli anni ’30, con l’avvento del teatro
proletario, lo shingeki verrà cancellato e verrà recuperato solo nel dopoguerra, con
autori/drammaturghi come Abe Kōbō e Mishima Yukio (tra cui Aoi no ue e Il mio amico Hitler).
Letteratura femminile nel Novecento
La situazione sociale delle donne cambia: vengono fatti passi in avanti riguardo all’emancipazione
femminile. Durante la guerra vengono fatte protagoniste della mobilitazione militarista, essendo
lavoratrici in fabbrica come ruolo di supporto e pilastro della famiglia per procreare. Nel
dopoguerra, le donne ottengono una serie di diritti civili come il voto e l’educazione obbligatoria
dopo una serie di violente battaglie di protesta; al contempo, però, si ritrovano in balia di
numerose difficoltà economiche essendo spesso orfane e/o vedove.
La letteratura femminile del dopoguerra, all’inizio, racconta le conseguenze economiche e
psicologiche della sconfitta giapponese: il romanzo Hone (Ossa, 1949) di Hayashi Fumiko racconta
ad esempio di una donna borghese che per povertà si prostituisce per la sopravvivenza dei figli,
negando sé stessa ed il suo ideale borghese.
Altro fronte della letteratura femminile intende reagire ai limiti imposti al corpo e all’animo
femminile, con racconti di donne che vengono soggiogate a tali regole oppure distruggono le
catene della tradizione, spingendo tali personaggi alla deviazione sessuale.
Molte donne scrittrici sono correlate a personaggi di spicco maschili, spesso mariti o genitori,
come Mori Mari, figlia di Mori Ōgai: obiettivo di queste autrici e la distruzione dei paradigmi
tradizionali che caratterizzano donne e uomini. Centrale è la figura della yamauba (vecchia della
montagna), esempio di non-femminilità che non si cura del suo aspetto e mangia bambini invece
di procrearne. Tsushima Yūko (figlia di Dazai Osamu) scrive di una donna che vuole affermare la
sua identità di donna-madre che non ha bisogno di un uomo accanto a sé.

Enchi Fumiko (1905-1986)


Preoccupazione principale di Enchi Fumiko è quella della decostruzione delle dinamiche
tradizionali all’interno dell’ie. Questa decostruzione avviene mediante produzioni parossistiche,
che evidenziano la condizione della donna con storie che ne evidenziano la brutalità dell’ie.
Esempio è il romanzo Onnazaka (Il sentiero nell’ombra, 1949-57): il romanzo affronta il rapporto
tra la moglie, il marito, e le concubine che proprio ella deve scegliere per il marito. La protagonista
è costretta al silenzio e alla sopportazione, ma alla fine riuscirà a vendicarsi.

Onnamen (lettura)
Il romanzo Onnamen (Maschere di donna, 1958) narra della vendetta di una donna attraverso il
potere occulto e la cultura intellettuale. Il racconto è estremamente raffinato e pieni di elementi
intertestuali, basato sul Genji monogatari ed in particolare sulla figura della signora di Rokujō; il
teatro Nō e le sue maschere vengono usate per rappresentare donne che incutono timore.
Il romanzo, diviso in tre capitoli, ha per ciascun titolo il nome di una maschera femminile del
dramma Nō. Inoltre, la stessa idea di maschera è metafora per la condizione femminile, sulle cui
donne è imposta una maschera di contegno e riserbo, ed il “mistero femminile” che mai potrà
essere compreso dall’uomo.

• Ryō no onna (“La donna spirito”, rappresenta donne morte)


• Masugami (“La fanciulla dai capelli sciolti”, rappresenta giovani donne impazzite)
• Fukai (“Pozzo profondo”, rappresenta donne di mezza età che soffrono)
Le maschere sono parte della trama, e appartengono alla famiglia di attori Yakushiji. I quattro
protagonisti proveranno sensazioni forti vedendo queste maschere, che correleranno a personaggi
della loro vita. Il tema della possessione spiritica è centrale, si ricollega alla signora di Rokujō ma
anche allo stesso teatro Nō, nato in funzione religiosa e nel quale gli attori venivano “possessi dalle
divinità”. La possessione è affrontata da vari punti di vista:

• Possessione di spiriti di animali (serpenti, volpi)


• False possessioni
• Personaggio di Rokujō
Durante il romanzo viene citato un “noto articolo scientifico” (inventato da Fumiko) scritto dalla
protagonista femminile in giovinezza, e ha come personaggio centrale la signora di Rokujō: il
Nonomiya ki. Esso offre interessanti spunti interpretativi non solo sul Genji monogatari, ma anche
sul personaggio di Mieko, che lo considera una confessione troppo sincera del suo animo e cerca
di nascondere il testo. Nel testo viene teorizzato il “potere femminile” di accogliere lo spirito
altrui e spedire il proprio spirito altrove. Questo potere, nel mondo contemporaneo, si traduce nel
potere di attrarre gli uomini a sé e manovrarli.
Enchi Fumiko non usa una prospettiva femminile nel romanzo: il narratore si basa sui due
personaggi maschili, vittime della vendetta di Mieko. Entrambi questi uomini sono comprimari ma
non essenziali alla storia, che è invece incentrata sui personaggi femminili.
All’interno del romanzo vengono riproposti i temi della classicità presenti nel Genji monogatari:

• Relazione di amicizia e conflittualità: Ibuki e Mikame = Genji e To no Chujo, Kaoru e Niou


• Sostituzione di persona (katashiro): Akio e Harume = Yasuko e Harume per Mieko, Akio =
Mieko per Yasuko
• Uomo poliginico: Genji = sig. Toganoo
• Paternità celata: nascita di Akio e Harume, nascita del figlio di Harume
• Possessione e manipolazione
• Ribaltamento di topoi della classicità: il kaimami (relazione forzata) come evento finale
della relazione tra uomo e donna, e non il punto di partenza
Il critico Todorov definisce Onnamen un romanzo fantastico, ossia un romanzo dove è sempre
difficile porre una linea di demarcazione tra il reale e il sovrannaturale: il lettore ed i personaggi
esitano davanti ad eventi che valicano le leggi della natura.

Le forme della poesia del Novecento


Come per la prosa ed il teatro, anche la poesia viene influenzata dall’emergere di nuove forme
espressive attraverso la traduzione del canone poetico occidentale, pur mantenendo le forme
espressive della traduzione autoctona come:

• Kanshi (poesia in cinese), in voga tra gli intellettuali fino al periodo Meiji
• Waka > Tanka (poesia breve), poesia in 31 sillabe, diviso 5-7-5-7-7
• Haikai > Haiku (poesia in 17 sillabe), diviso 5-7-5 con almeno un riferimento stagionale

Lo shintaishi
Il nuovo influsso occidentale crea lo shintaishi (poesia nello stile nuovo), che successivamente
verrà chiamato shi. I primi esempi di shintaishi, come per il teatro, avevano lo scopo di diffondere
i concetti ed i pensieri occidentali in Giappone. Il primo esempio è Shintaishisho (raccolta di
poesie in nuovo stile, 1882), una raccolta di poesie tradotte dall’inglese al giapponese in verso
libero: la raccolta fu importante poiché favorì lo sviluppo di un dibattito intenso sulle traiettorie di
sviluppo della poesia shi, come:

• Questione dello stile: lingua colloquiale vs classica


• Il metro
• Possibilità di usare pattern accentuativi giapponesi e la rima
• Contenuti: poesia non solo dedicata ai temi della tradizione (amore, natura, ecc.), ma
anche della scienza e della politica
Nella sua prima fase, quindi, questo genere di poesia sarà espressione di idee politiche da parte di
giapponesi progressisti e vicini all’Occidente. Con la raccolta Omokage (Vestigia, 1889), per la
prima volta lo scopo è quello di presentare al pubblico giapponese dei modelli di nuova poesia,
con nuovi stili ed una riflessione traduttologica: a questa raccolta partecipò anche Mori Ōgai, che
tuttavia non si affiancò sin da subito ai suoi colleghi; pertanto, lo stile della raccolta resta di
ispirazione classica, sebbene i contenuti siano affini con la “poesia politica“ dei primi shintaishi ed
al concetto di “arte per arte”.
Alla fine dell’Ottocento, i poeti giapponesi erano così suddivisi:

• Gruppo “romantico” di Ōgai, che scrive sulla rivista Shiragami zoshi (i quaderni della
graticciata, 1889-94) e Bungakukai (mondo letterario, 1893-98)
• Gruppo conservatore, che scrive sulla rivista Taikoku bungaku (letteratura imperiale, 1895-
1920)
• Gruppo progressista, che scrive sulla rivista Waseda bungaku (letteratura di Waseda, 1891-
98) diretta da Tsubouchi Shōyō
• Dōjin zasshi (autori dilettanti) e bundan locali
Durante il primo Novecento si riscontra il parallelo sviluppo di queste correnti e scuole:

• Scuola romantica
• Scuola naturalista
• Simbolisti di ispirazione europea
Figure centrali della poesia del primo Novecento sono Tamakura Kotaro (1883-1956), importante
anche per il suo contributo artistico e critico, e Hagiwara Sakutarō (1886-1942).
La raccolta poetica Tsuki ni hoeru (abbaiare alla luna, 1917) di Hagiwara Sakutarō si presenta
relativamente conservatore a livello stilistico…:

• Mistura di lingua colloquiale, eloquio classico e licenze poetiche


• Rifiuto dei preziosismi simbolisti e linguaggio tendente al quotidiano
• Metro variabile ma regolare
…ma si differenzia a livello contenutistico, in una sorta di connubio tra simbolismo e naturalismo
(giapponese):

• Tono allucinatorio, indagine psicologica di sé


• Importanza della metanarrativa autoriale (romanzo dell’io)
• Deforume (interiorità distorta dell’uomo moderno)

Lo haiku
Il fondatore dell’haiku moderno è Masaoka Shiki (1867-1902), grande amico di Soseki. Egli
seleziona all’interno dello haikai di periodo Tokugawa lo hokku, i primi tre versi. Questi verranno
infine ribattezzati haiku dallo stesso Shiki, che:

• Amplia i temi ed il lessico della poesia haiku rispetto alle precedenti versioni
• Mantiene un rigore formale (kingo, presenza di strutture grammaticali tipiche dello haiku)
• Dal punto di vista estetico, propugna l’ideale dello shasei (realismo descrittivo, poesia
autobiografica)
Masaoka Shiki fonda nel 1897 la rivista Hotogitsu (il cuculo), nella quale Soseki scriverà Io sono un
gatto e Il signorino. Alla sua morte nel 1902, l’eredità di Shiki fu raccolta in particolare da
Takayama Kyoshi, che ne conserverà la poetica dello shasei e la naturalità della poesia haiku; in
parallelo, altri discepoli e poeti tentarono una riforma dello haiku sia in termini di contenuti che di
metro (jiyuritsu haiku, “haiku a metro libero”).
Oggi, lo haiku viene praticato in Giappone a livello scolastico e dilettantesco, ma non esistono
poeti professionisti di haiku. Questo genere poetico è tuttavia entrato nella cultura globale e
praticato da diversi poeti di numerose scuole (italiana, sudamericana, inglese): a differenza del
Giappone, dove lo haiku è visto come un passatempo, in Occidente vi si ricerca una nuova linfa
artistica.

Il tanka
Poesia giapponese classica di 31 sillabe (5-7-5/7-7). Fu sviluppato all’interno di scuole poetiche,
che ruotavano attorno a celebri o autorevoli kajin, uomini letterati.
Tra i grandi riformatori del tanka in epoca Meiji, si trovano Masaoka Shiki e i coniugi Yosano
(Tekkan e Akiko): Shiki invoca il recupero della tradizione “sincera” del waka, dunque un ritorno al
Man’yoshu e un allontanamento dall’eccessivo formalismo e astrattismo delle antologie imperiali
di periodo Heian. Il Man’yoshu, secondo l’autore, conteneva già ante litteram l’ideale dello shasei.
Yosano Akiko pubblica invece Midaregami (capelli arruffati, 1901), una raccolta di poesie di
prevalente tema amoroso, in cui il metro e lo stile classico raccontano però un amore inteso in
senso moderno, con connotati di passionalità e di quotidianità moderna, con riferimenti alla
condizione femminile e alla rivendicazione femminile alla libertà e all’autodeterminazione.
Akiko conosce e frequenta la letteratura classica femminile giapponese, traducendo due volte in
lingua moderna il Genji monogatari (nel 1911 e nel 1938) ed il Sarashina nikki.
Nel 1908 viene fondata la rivista Araragi (farfalle), principale rivista del tanka moderno che si basa
sull’idea poetica dello shasei di Shiki, e quindi custode della tradizione del tanka Meiji. Nel tanka
del Novecento, infine, andarono a formarsi due principali posizioni: quella conservatrice che ruota
attorno ad Araragi e i vari movimenti che vi si sono contrapposti nel corso dei decenni.

Sarada kinenbi (lettura)


La principale novità del tanka nel dopoguerra è costituita dall’opera Sarada kinenbi (l’anniversario
dell’insalata, 1987) di Tawara Machi, poetessa che porta il genere del waka nel mondo della
letteratura del consumismo, mediante:

• Uso prevalente di lingua colloquiale e neologismi (totale abbandono del formalismo


classico)
• Inclusione di temi della quotidianità, come brand, e soprattutto importanza della cultura
alimentare moderna
• Descrizione dell’identità femminile e nuova concezione dell’amore in poesia, fatto di date,
telefonate e piccoli gesti
Tawara Machi recupera il patrimonio classico della poesia di periodo Heian, pur proponendolo in
maniera moderna:

• Presenza di poesie a tema astratto


• Poesie di tema naturalistico
• Poesie che combinano l’elemento emotivo/sentimentale con quello naturalistico
• Creazione di narrative attraverso la giustapposizione dei componimenti poetici

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