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STORIA CONTEMPORANEA

vol. 2 Il Novecento, Tommaso


Detti, Giovanni Gozzini
(Pearson)
Storia Contemporanea
Università degli Studi di Firenze
89 pag.

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STORIA CONTEMORANEA
vol. 2
“Il Novecento”
Tommaso Detti, Giovanni Gozzini
(Pearson)

PRIMA GUERRA MONDIALE


La prima guerra mondiale si pone come spartiacque tra due epoche storiche.
Le sue peculiarità furono che: ebbe dimensioni mondiali; portò alla sostituzione dell’egemonia
della Gran Bretagna con quella degli Stati Uniti; il declino dell’Europa; l’avvento della società di
massa e determinò la scomparsa di quattro imperi: impero russo (con la rivoluzione 1917),
impero austro-ungarico (diviso in stati indipendenti), impero tedesco (per una repubblica
democratica), impero ottomano.
Infine, la conclusione del confitto con la pace punitiva imposta alla Germania pose le basi per
quello che fu l’avvento dei totalitarismi, in particolare del nazismo di Hitler e di conseguenza il
secondo conflitto mondiale, ma anche dei movimenti indipendentisti dei vari popoli coloniali.
Casus belli fu, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, l’assassinio dell’erede al trono asburgico Francesco
Ferdinando per mano di un gruppo irredentista della Serbia, centro del nazionalismo slavo
contro l’oppressione straniera simboleggiata dagli Asburgo.
L’Austria non dubitò della colpevolezza serba poiché, dopo le guerre balcaniche del 1912-13 e la
conquista di territori a favore della Serbia, aveva desiderio di ridimensionare la sua influenza
nell’area.
Per questo motivo, il 23 luglio 1914 l’Austria mandò un ultimatum alla Serbia con condizioni
durissime che ricevettero una risposta negativa, portando alla dichiarazione di guerra della prima
alla seconda esattamente un mese dopo l’attentato di Sarajevo.
A questo punto, entrarono in gioco le rispettive alleanze, dividendo il continente.
Da una parte la Serbia, a fianco della Russia e di Francia e Gran Bretagna dopo l’invasione
tedesca del Belgio neutrale (Triplice Intesa); dall’altra, all’Austria-Ungheria si aggiunsero
Germania, Turchia, Bulgaria (Triplice Alleanza\Imperi Centrali).
Tuttavia, le ragioni del conflitto sono state attribuite anche al dilemma della sicurezza: ogni stato,
andando ad accrescere la propria, tramite la corsa agli armamenti, diminuisce quella degli altri
creando tensioni e reciproca diffidenza.
Un esempio di questo fenomeno fu la costruzione della flotta tedesca che portò al riarmo navale
della Gran Bretagna e il suo avvinarsi a Francia e Russia.
Per cui, le cause furono anche la corsa agli armamenti, l’esaurirsi della corsa alle colonie e il
bipolarismo determinato da Triplice Intesa-Imperi Centrali: la Germania con la sua politica di
potenza mirava a un’egemonia continentale impensabile per la leadership della Gran Bretagna, la
Francia era ancora attaccata alla sconfitta della guerra franco-prussiana del 1870, mentre Austria e
Russia miravano a mantenere la loro integrità e ad espandersi.
La guerra fu pianificata secondo strategie offensive militari e guerra di movimento, il caso più noto
fu il Piano Schlieffen (ideato dal generale tedesco nel 1905) che prevedeva un veloce attacco
contro la Francia, attraversando il Belgio neutrale.
Tuttavia, non solo provocò l’intervento della Gran Bretagna ma determinò anche un nuovo tipo di
guerra: la guerra di posizione.
Infatti, l’offensiva tedesca verso occidente venne combattuta dagli anglo-francesi sul fiume
Marna, dove le truppe rimasero bloccate lungo una linea di trincee sul fronte occidentale e lo
stesso accadde alle truppe russe contro i tedeschi sul fronte orientale.

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Dal 1915 in poi le battaglie furono poco risolutive e altalenanti, ma videro l’entrata in guerra
dell’Italia a fianco dell’Intesa, che si scontrò con gli austriaci sull’Isonzo.
Nel 1916 la Strafexpedition (spedizione punitiva) dei tedeschi fu duramente respinta, così come la
sconfitta di Caporetto nel 1917.
Infine, le campagne franco-inglesi ricominciarono a segnare vittoria sul fronte occidentale, sulla
Marna e infine ad Amiens.
Nonostante le trincee rimasero immobili, vi furono operazioni diversive fuori dall’Europa: nel 1916
in Medio Oriente, gli inglesi a Bagdad e Gerusalemme.
Oltre ai combattimenti in trincea, dal 1915 in Cilia e in Armenia, vi fu il genocidio degli armeni,
accusati di disfattismo e usati come capro espiatorio dal governo turco frustrato dalle sconfitte
belliche, sfruttando il conflitto religioso tra cristiani armeni e turchi musulmani.
Al contempo, vi fu la guerra per mare tra tedeschi e inglesi: l’Inghilterra ricorse ad un blocco
navale che impedisse i rifornimenti alla Germania e quest’ultima rispose con la guerra
sottomarina nel 1917, che però determinò l’intervento degli USA.
Con il collasso della Russia, ma con l’intervento degli USA, la guerra tornò a favore dell’Intesa: le
truppe austro-tedesche erano allo stremo, mentre gli americani inviavano contingenti agli anglo-
francesi. Così, il 4 ottobre 1918 fu chiesto l’armistizio.
L’intero conflitto fu caratterizzato, oltre che dalle dimensioni, dalla tecnologia degli armamenti, la
tragica modernità: ad esempio, i gas asfissianti usati dai tedeschi. Innovativo fu anche l’uso dei
mezzi di comunicazioni: telegrafo e telefono, ferrovie e sommergibili.
Comunque, fu anche una guerra di logoramento e di grande rilevanza fu il problema degli
approvvigionamenti: tutto si giocò sulle capacità dei nemici di resistere allo sforzo umano,
logorando a livello umano, sociale ed economico non solo i soldati ma anche le popolazioni.
Infatti, la vita di ogni paese fu riorganizzata per produrre di più e più velocemente armi, truppe e
munizioni; la vittoria era di chi avrebbe stremato l’avversario.

INTERVENTO AMERICANO E FINE DELLA GUERRA 1917


Durante il conflitto vennero sostituiti generali e governi: nel caso francese, il generale Joffre fu
sostituito da Nivelle e poi Pétain, mentre in Germania arrivò Hindenburg.
In ambito governativo, morì l’imperatore Francesco Giuseppe di Austria-Ungheria, mentre in
Inghilterra prendeva piede la coalizione conservatrice di Llyod George, in Germania, alla morte di
Bethmann-Hollweg, iniziava una dittatura militare e in Francia tornava Clemenceau.
Questo comportò l’avanzata di governi autoritari militarizzati che cercavano di fronteggiare la
crisi delle unità nazionali e le proteste nei fronti interni e negli eserciti, ad esempio i 40 000 soldati
francesi che nel 1917 si ammutinarono in seguito a una sconfitta sanguinosa.
Tuttavia, la svolta decisiva fu segnata dall’intervento degli USA guidati dal presidente
democratico Wilson.
Inizialmente di posizioni neutrali, la svolta interventista fu determinata dall’indiscriminata guerra
sottomarina tedesca che colpì anche convogli e civili americani, violando il diritto internazionale;
aveva quindi ragioni ideali e d’interesse: infatti, la guerra stava arricchendo gli Stati Uniti ma li
stava anche esponendo poiché in caso di sconfitta dell’Intesa, gli USA avrebbero perso i capitali
prestati. Comunque, la loro entrata in guerra rafforzò ideologicamente l’Intesa.

Nel 1918 Wilson espresse i Quattordici Punti: il suo programma per la pace e un ordine mondiale
che impedisse nuovi conflitti, convinto che la guerra dipendesse dall’autoritarismo degli Imperi
Centrali, dalla diplomazia segreta e dall’oppressione delle minoranze nazionali; proponendo libero
commercio, riduzione degli armamenti, autodeterminazione dei popoli, rispetto delle minoranze e la
formazione di una Società delle Nazioni per gestire le controversie internazionali.

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Nel frattempo, le sconfitte turche in Medio Oriente stavano favoreggiando il dominio inglese e
raggiunsero l’apice nel 1918.
Bulgaria e Turchia chiesero l’armistizio per prime, a seguire l’Austria (privata di Ungheria,
Cecoslovacchia, paesi slavi dei Balcani).
Infine la Germania, con l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II e un armistizio che comportò la
capitolazione del paese in preda ai moti rivoluzionari, a partire dall’ammutinamento dei marinai di
Kiel fino a Berlino.

STATO, INDUSTRIA E SOCIETA’ IN GUERRA


L’industria ricoprì un ruolo fondamentale: l’apparato produttivo fu messo a dura prova dai paesi
belligeranti, poiché la produzione doveva essere costante.
Questo portò alla crescita dell’industria da guerra, in generale dell’industria pesante: in paesi
come Francia e Italia fu la guerra a completare il processo di industrializzazione.
La domanda era enorme e sostenuta dagli stati in guerra, per cui si vide l’intervento dello stato
nell’economia per controllare la produzione e regolare il mercato.
Inoltre, le industrie vennero militarizzate perché seguissero i ritmi di guerra; ne derivarono:
requisizioni e alimenti razionati a causa della loro scarsità, da una parte per il blocco navale,
dall’altra per i contadini in guerra, più in generale per l’interruzione dei commerci.
Il processo di concentrazione di potere rafforzò i trusts\cartelli.
In campo finanziario, c’erano tre modi per pagare la guerra: imporre tasse, contrarre debiti,
stampare carta moneta.
A peggiorare la situazione fu l’inflazione causata dall’aumento della moneta circolante e dal
collasso dei consumi (appunto per i prezzi alti), per cui non fu possibile un sistema di imposte
indirette. Perciò, i paesi dell’Intesa s’indebitarono con gli USA.
Gli stati nazionali uscirono dalla guerra con un aumento della burocrazia e con una
concentrazione di potere nelle mani di governi a gerarchia militare.
Si crearono regimi di controllo basati sulla restrizione delle libertà individuali, sulla censura e
sulla propaganda di guerra.
Si vide anche la militarizzazione del lavoro, furono vietati gli scioperi e i sindacati, nonostante si
cercasse la collaborazione del movimento operaio.
La guerra creò la società di massa e trasformò la condizione della donna, la quale in assenza degli
uomini in guerra, assunse un ruolo all’interno della produzione e della società: nel 1918 in
Inghilterra venne concesso il diritto di voto alle donne +30.

FRONTE INTERNO
Il fronte interno si costituì grazie a scuola ed esercito che trasmisero valori patriottici e
imperialisti. In più, l’accumularsi di tensioni internazionali rafforzarono il mito della violenza
come forma di liberazione sostenuto dai movimenti nazionalisti.
Questi processi cambiarono anche il movimento socialista, che passò dall’internazionalismo al
prevalere della solidarietà nazionale.
Inizialmente, chi contrario alla guerra era ritenuto “disfattista”, ma dal 1916-17-18 in poi il
malessere dei lavoratori e il malcontento per l’andamento della guerra si espressero in scioperi in
tutta Europa.
ITALIA IN GUERRA
Nel 1914, l’Italia si trovava in una fase di transizione dovuta alla crisi del sistema giolittiano dopo
la guerra di Libia e del suffragio universale maschile, che aveva diviso la classe dirigente
liberale, mentre gli esponenti economico-finanziari premevano per una politica espansionistica.
In Romagna e nelle Marche scoppiò la “settimana rossa”: espressione di sovversivismo, grande
rivolta popolare anarchica e antimilitarista contro le autorità, con scioperi duramente repressi.

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Furono proprio queste incertezze del paese a determinare la sua neutralità iniziale, sostenuta dallo
stesso Giolitti.
Tuttavia, il primo ministro Salandra contrattò le condizioni d’intervento e favorevoli erano anche
gli interventisti democratici contro l’autoritarismo e il militarismo come Salvemini, o
l’Associazione nazionalista italiana (1910) di Corradini. I socialisti si mantennero su una linea di
compromesso, pur espellendo l’interventista Mussolini dal partito nel 1914.
Il 24 maggio 1915, con un colpo di stato contro la maggioranza del parlamento e del paese, l’Italia
entrò in guerra per volere di Salandra e di Sonnino, dopo aver segretamente firmato il trattato di
Londra con l’Intesa. Questo perché l’Italia desiderava completare i confini naturali del paese e
mirava ad un’espansione nei Balcani e nel Mediterraneo; mentre sul piano interno affermò un
blocco di potere conservatore propenso a battere il movimento operaio.
Tuttavia, la partecipazione al conflitto rese evidente l’impreparazione militare degli italiani,
diretti dal generale Cadorna, in più occasioni (Strafexpedition, Caporetto).
Questo comportò la sostituzione del governo con Comandini (repubblicano), Meda (cattolico) e
Boselli nel Ministero di “Unità nazionale” guidato da quest’ultimo.
Nel 1917, la disfatta italiana nella battaglia di Caporetto significò la formazione di un nuovo
governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e da Armando Diaz a capo delle truppe, il
quale guidò gli italiani nella vittoria a Vittorio Veneto nel 1918.
Mentre, per risollevare il morale si intensificò la propaganda e gli interventi assistenziali e per
guadagnare il consenso dei soldati, per la maggioranza contadini, venne promesso loro il possesso
della terra.
Comunque, il malcontento popolare aggravò lo Stato liberale: il caroprezzi e l’inflazione
minarono lo status delle classi dirigenti, creando ulteriori divisioni sociali che incrementarono
l’instabilità del paese; mentre l’intervento statale nell’economia subordinò gli interessi pubblici
agli interessi e profitti del potere economico, concentrando la produzione nel triangolo industriale
Milano-Torino-Genova, aggravando il divario Nord-Sud.

1917: RIVOLUZIONE RUSSA


La crisi politica dell’impero dello zar Nicola II aveva creato una grande divisione tra guerra e
popolo. Infatti, tre anni di guerra erano stati disastrosi per la Russia a causa di impreparazione
tecnica e strategica, perdendo molte vittime e assistendo a molteplici scioperi e agitazioni come
espressione del malcontento generale. Alle manifestazioni di piazza lo zar Nicola II rispose con la
violenza: l’8 marzo\23 febbraio ci fu la “seconda domenica di sangue” (dopo il 1905) a
Pietrogrado; a seguire la corte aumentò la sua politica autocratica.
Tuttavia, gli scontri e gli ammutinamenti aumentarono, la popolazione distrusse i simboli dello
zarismo finché la rivolta dei soldati e degli operai portò all’abdicazione dello zar: il fratello
rifiutò la successione e da una rivolta popolare si arrivò ad una rivoluzione politica.
Allora, il potere fu assunto da due organismi:
1. Il Comitato temporaneo della duma (parlamento guidato dai liberali)
2. Il Comitato esecutivo del soviet (consiglio di operai, soldati, contadini all’interno del
partito socialista)
La duma nominò un governo repubblicano provvisorio affidato al principe L’vov.
Sia la duma che il governo provvisorio di liberal-democratici volevano proseguire la guerra
sperando che un successo militare potesse apportare consenso popolare e infine arrivare a una
monarchia costituzionale tramite suffragio universale.
Al contrario, i soviet volevano l’uscita immediata dalla guerra e la riforma agraria che avrebbe
ridistribuito le terre fra i contadini.
I soviet si dividevano in due correnti:

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• Socialrivoluzionari e menscevichi (minoritari) al controllo del soviet; si opponevano al
governo borghese e pensavano che la rivoluzione di febbraio fosse il massimo traguardo
politico raggiungibile dalla Russia;
• Bolscevichi (maggioritari) volevano fermare la guerra e pensare alla rivoluzione;
In aprile 1917 il capo dei bolscevichi, Lenin (1870-1924), scrisse le “Tesi di Aprile”: il manifesto
della rivoluzione socialista, sostenendo l’urgenza di una rivoluzione, sognando una repubblica dei
soviet, degli operai, dei contadini; superare il doppio potere creatosi dopo la rivoluzione di
febbraio tra duma-governo e soviet.
Lenin ottenne il sostegno del Partito Bolscevico alla condanna del governo provvisorio e al
passaggio di tutti i poteri ai soviet.
Tra giugno-luglio 1917 il fermento politico esplose quando il socialrivoluzionario Kerenskij
(ministro della guerra, presidente del governo provvisorio) tentò un’offensiva in Galizia che fallì
totalmente: i soldati fraternizzarono al fronte con tedeschi e austriaci disertando in massa.
Quindi il governo era ormai fallito, ma un’insurrezione di soldati e marinai costrinse i
bolscevichi a ripararsi e tornare clandestini.
In agosto 1917 ci fu un tentato colpo di stato delle forze conservatrici, mentre continuavano gli
ammutinamenti nell’esercito; in settembre 1917 alle elezioni per il soviet di Mosca i bolscevichi
ottennero la maggioranza relativa, Lenin tornò in Russia e il comitato centrale bolscevico approvò
la soluzione insurrezionalista: destituire Kerenskij e assumere immediatamente il potere.
Il 7 novembre\25 ottobre 1917 scoppiò la rivoluzione di Ottobre: le Guardie rosse (corpo
militare bolscevico) guidate da Trockij (1879-1940) s’impossessano della sede del governo a
Pietrogrado (Palazzo d’Inverno).
Mentre Lenin fece approvare dal congresso panrusso dei soviet la creazione del consiglio dei
commissari del popolo: il nuovo governo, dominato dai bolscevichi con a capo Lenin, Trockij
commissario degli Esteri e Stalin (1879-1953) commissario alle Nazionalità.
In novembre 1917 furono promulgati i “decreti di novembre”, le prime disposizioni del governo
bolscevico riguardo: il ritiro dalla guerra aspirando a una pace senza annessioni né indennità;
sopprimere le grandi proprietà nazionalizzando la terra e spartendo le terre tra i contadini;
istituire il controllo degli operai.
Le prime elezioni di novembre a suffragio universale segnarono una sconfitta dei bolscevichi,
quindi la prima riunione dell’Assemblea costituente gennaio 1918 non riconobbe il governo
bolscevico: i bolscevichi sciolsero l’Assemblea, riconoscendo la sovranità solo ai soviet come
autogoverno popolare. In realtà, a governare era il Partito bolscevico che da marzo 1918 si
chiamò Partito comunista.
L’uscita dalla guerra fu contrastata dall’Intesa che non voleva che i tedeschi si disimpegnassero dal
fronte orientale, perciò appoggiarono le forze politiche controrivoluzionarie in Russia.
Tuttavia, marzo 1918 si ritirò dalla guerra con il trattato di Brest-Litovsk con condizioni gravose:
perse la Polonia, i paesi baltici, parte dell’Ucraina, metà degli impianti industriali; ma ne uscì come
primo stato socialista del mondo.

PRIMO DOPOGUERRA IN EUROPA:


RIVOLUZIONE, REAZIONE, STABILIZZAZIONE

VERSAILLES: CONDIZIONI DEL DOPOGUERRA


Nel 1919, i delegati dei paesi vincitori si riunirono a Versailles per ridisegnare l’assetto
dell’Europa, tra cui spiccarono Wilson, Llyod George, Clemeceau e Orlando, escludendo
volutamente i paesi vinti, ai quali i trattati furono imposti.

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I loro egoismi espansionistici portarono a una “pace punitiva” che determinò ulteriore
instabilità. Infatti, i principi democratici di Wilson si scontrarono con la volontà francese di
annientare economicamente la Germania, seguita dalla Gran Bretagna il cui consenso serviva per
consolidare le conquiste coloniali.
Di spicco fu il trattato di pace di Versailles che impose alla Germania:
• la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia;
• la restituzione di territori alla Danimarca e alla Polonia (come la Galizia);
• la separazione dalla Prussia orientale;
• concessione della regione carbonifera della Saar alla Francia;
• la smilitarizzazione delle rive del Reno;
• la spartizione delle colonie tedesche tra Francia e Inghilterra;
• l’eliminazione della flotta e la riduzione dell’esercito;
• restituzione di un debito di 269 milioni in marchi-oro (poi ridotti col Piano Dawes, 1924);
Inoltre:
• l’Italia acquisì Trentino, Sud Tirolo, Trieste e Istria;
• venne riconosciuta l’indipendenza di Austria tedesca, Ungheria, Cecoslovacchia;
• Serbia, Bosnia, Montenegro, Croazia e Slovenia costituirono il regno di Jugoslavia;
• la Bulgaria venne ridimensionata da Grecia, Jugoslavia e Romania;
• alla Turchia rimase Instanbul e la penisola Anatolia;
• gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli furono internazionalizzati;
• Smirne e le isole dell’Egeo andarono alla Grecia;
• Dodecaneso e Rodi andarono all’Italia;
• Cipro andò all’Inghilterra;
• il Medio Oriente venne diviso in mandati di Francia (Libano e Siria) e Inghilterra
(Palestina e Iraq);
Infine, venne istituita la Società delle Nazioni col compito di risolvere conflitti internazionali ma
rimase subordinata agli interessi di Francia e Inghilterra, escludendo Russia e Germania.
Inoltre, sebbene fosse stata proposta da Wilson, il Senato americano non ratificò il trattato così
nemmeno gli USA aderirono, tornando all’isolazionismo.

RUSSIA: GUERRA CIVILE


COMUNISMO DI GUERRA
NEP
Dal 1918-1920 la Russia fu dilaniata dalla guerra civile: scatenata dalle opposizioni di destra e dai
socialrivoluzionari appoggiati dall’Intesa. Il tutto fu aggravato da una carestia che portò i
bolscevichi alle requisizioni forzate dei prodotti agricoli per sfamare il paese (oltraggiando i
contadini). Contemporaneamente, si instaurarono dittature militari di generali zaristi, sempre
appoggiati dall’Intesa, in Crimea, Siberia, regione del Don.
Nell’estate del 1918, i socialrivoluzionari scatenarono vari attacchi terroristici. Per tutta risposta, i
bolscevichi riuscirono a costruire un efficiente esercito, l’Armata Rossa di Trockij e aumentarono
le requisizioni, vietarono le opposizioni, reintrodussero la pena di morte, istituirono la polizia
politica Ceka (strumento di terrore) e s’instaurò la dittatura del Partito Comunista (1918).
Nel 1919 l’Armata Rossa riuscì a recuperare i territori occupati dai bianchi (zaristi).
Nel 1920 la guerra civile volgeva al termine ma la Polonia invase l’Ucraina e il contrattacco russo
determinò la propria sconfitta a Varsavia.
La società subì un processo di ruralizzazione e il paese regredì, fu adottato il comunismo di
guerra come sistema economico per sopravvivere: nazionalizzazione delle industrie, abolizione
del libero commercio, generi di consumo razionati, lavoro obbligatorio, abolizione della

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moneta (scambio in natura), concentrazione del potere nello stato (mezzi di produzione
\distribuzione).
Però fu un fallimento: nel 1921 la produzione agricola era diminuita, i trasporti e le imprese
\industrie in decadenza, aggravata anche dal blocco economico attuato da Francia e Inghilterra che
eliminò il commercio con l’estero. La produzione diminuì, la qualità peggiorò.
Il malcontento popolare scatenò rivolte armate, scioperi operai. L’apice della crisi fu raggiunto nel
1921 con la ribellione dei marinai di Kronstadt che chiedevano la fine dell’oppressione della
dittatura comunista, libere elezioni e libertà economica, portando i bolscevichi a una nuova politica
economica: NEP.

EUROPA: RIVOLUZIONE
INTERNAZIONALE COMUNISTA
La guerra in Europa aumentò la conflittualità sociale stravolgendola con scioperi e tensioni
sociali, tant’è che si parla di biennio rosso (1919-20). Tuttavia, le insurrezioni acquisirono carattere
rivoluzionario solo laddove la stabilità istituzionale era stata minata dalla guerra.
Ad esempio, in Germania si diffusero “consigli” di operai e soldati come forma di
rappresentanza alternativa a quella parlamentare, rafforzando i socialdemocratici maggioritari.
Il kaiser abdicò e il nuovo cancelliere socialista maggioritario Ebert trasformò la Germania in
una Repubblica.
Nel 1919, su esempio sovietico, nacque un’insurrezione a Berlino proclamata dalla Lega Sparaco
\Partito Comunista, spietatamente repressa dal governo della SPD, con l’uccisione dei leader
comunisti dai “corpi franchi” (bande paramilitiari del ministro socialdemocratico Noske).
Mentre, all’elezioni per l’Assemblea Costituente l’SPD conquistò la maggioranza relativa
alleandosi con i partiti di centro: cattolico e democratico.
Soppressi i consigli popolari s’instaurò una repubblica parlamentare, senza alterare economia,
burocrazia ed esercito del Reich.
In Austria, la socialdemocrazia e i partiti borghesi gestirono il passaggio a repubblica.
Il paese si divise tra i socialdemocratici e il resto del paese, tra cui il rappresentante delle aree
agricole arretrate, il partito cristiano-sociale che vinse le elezioni del 1920.
In Ungheria scoppiò una rivoluzione: il governo liberali-socialdemocratici venne sconfitto dal
malessere popolare per la fame e la disoccupazione e, nel 1919, portò all’unione del partito
comunista e socialdemocratico nel governo comunista di Kun, che proclamò la repubblica
sovietica. Fu però aggredita da rumeni e cechi appoggiati dall’Intesa e s’instaurò la dittatura
controrivoluzionaria di Horty.
Nel 1919 i bolscevichi formarono una nuova organizzazione internazionale: il Comintern;
puntando sulla formazione di forti partiti comunisti, nel congresso del 1920 imposero agli aderenti
di separarsi dai socialisti riformisti: si aggravò la divisione socialista determinata dalla guerra.
Infine, nel 1921 si arrivò alla decisione del congresso del “fronte unico” di comunisti e socialisti.
Comunque, il partito comunista ebbe successo in Germania, Francia, Italia.

ITALIA: CRISI DOPOGUERRA


FASCISMO

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Ritenuto un paese europeo vicino alla rivoluzione dai bolscevichi, nel 1919-20 aumentarono gli
scioperi operai che portarono alla conquista della giornata lavorativa di otto ore; oltre ai moti
popolari e alla conflittualità delle campagne.
Gli scioperi agrari nella Valle Padana portarono ad aumenti salariali e al controllo della
manodopera nelle “leghe rosse”: i lavoratori assunti tramite sindacato, esercitando una solida
egemonia sociale. Nel centro i mezzadri imposero nuovi patti colonici, al sud i contadini
s’impadronirono delle terre incolte promesse nel 1918.
Questo protagonismo delle masse corrispose alla crescita dei sindacati e del PSI massimalista
che ottenne la maggioranza alle elezioni del 1919.
Nel 1920 gli operai metallurgici occuparono le fabbriche, proseguendo la produzione negli impianti
occupati dalle “guardie rosse” armate; tuttavia i dirigenti del PSI non gli dettero concretezza
politica, mettendo in evidenza i propri limiti: l’incapacità di creare un movimento unitario.
Infatti, il socialismo italiano era diviso tra la maggioranza di massimalisti rivoluzionari e la
minoranza di riformisti propensi a collaborare con le classi dirigenti che controllavano il gruppo
parlamentare, la Confederazione del lavoro e molte amministrazioni comunali rosse del centro-
nord. La divisione del partito rispecchiava la divisione del paese: le fabbriche del nord e le
campagna del sud.
All’elezioni del 1919 la maggioranza andò al Partito Popolare fondato da don Sturzo, che riaprì la
presenza politica dei cattolici. Questo, aconfessionale ma dipendente dalla Chiesa, arginava i
socialisti.
Tra 1919-21 i governi di Nitti-Giolitti vararono alcune riforme: il sistema elettorale
proporzionale (1919) di Nitti che favorì i partiti organizzati su scala nazionale, come quello
socialista e popolare, contro la vecchia classe dirigente. Ma furono incapaci di adattarsi alla società
di massa, contennero il movimento operaio senza offrire trasformazioni democratiche concrete.
Tutto ciò mentre gli industriali arricchiti dalla guerra erano decisi a ridimensionare il movimento
operario e ripristinare l’ordine con uno stato forte.
Nella stessa direzione andavano le tendenze aggressive nazionaliste, cresciute con la guerra e il
mito della “vittoria mutilata”. Esempio ne fu, nel 1919, l’occupazione di Fiume per annetterla
all’Italia da parte di D’Annunzio e dei volontari.
Alle elezioni del 1920 il PSI si affermò a Bologna e Milano, ma la spinta del movimento operaio si
stava esaurendo. Al contrario, popolari e “blocchi nazionali” (liberali e conservatori)
confermarono forza.
In questa fase delicata entrarono in scena i “Fasci di combattimento” (1919) dell’ex socialista
Mussolini che riunivano futuristi, rivoluzionari, “arditi”. Come democratici e socialisti chiedevano
un’assemblea costituente e maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, ma si
distinguevano per il loro carattere reazionario, aggressivo, nazionalista.
Infatti, dopo l’estate 1920 iniziò lo squadrismo fascista: militanti riuniti in squadre militari che
iniziarono una guerra sociale, distruggendo le reti organizzative socialiste, cattoliche.
Le deboli resistenze furono del movimento operaio pacifico mentre le autorità non si opposero:
Giolitti intendeva usarli per ripristinare l’ordine e successivamente tornare all’uso della legalità.
Tant’è che alle elezioni del 1921 i fascisti entrarono nei “blocchi nazionali” promossi dalla
vecchia classe dirigente. Sostenuti anche dai settori della grande industria ottennero dimensioni
di massa, guadagnando consensi fra i ceti medi, i liberali, i cattolici conservatori.
Ancor di più nel 1921-22, causa l’impotenza del governo Bonomi-Facta, il fascismo fu appoggiato
da un nuovo blocco sociale: ceti medi e grande patronato agrario\industriale.

Tuttavia, la violenza squadrista aggravò la crisi del movimento socialista con ulteriori divisioni:
Nel 1921 al XVII Congresso del PSI a Livorno l’estrema sinistra uscì dal partito e costituì il

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Partito Comunista d’Italia, guidato da Bordiga. Nel 1922 vide l’espulsione dei riformisti di
Turati e nel 1923 un gruppo guidato da Serrati si unì ai comunisti.
Nel 1921 si costituì il Partito nazionale Fascista (PNF), forte della mancanza dell’opposizione di
sinistra e dei poteri dello Stato liberale, guadagnando consensi.
Nell’ottobre 1922, fu attuato un colpo di stato appoggiato dai poteri forti della società italiana, i
grandi dell’economia, della finanza, della Corona, dell’esercito, dei dirigenti, della chiesa:
la marcia su Roma; non si trattò di un vero e proprio colpo di stato, bensì di una dimostrazione di
potere che il re Vittorio Emanuele III non contrastò, ma anzi incaricò Mussolini di formare il
nuovo governo. La Camera dei deputati concesse pieni poteri al governo, consolidando il potere
fascista ottenuto senza maggioranza parlamentare ma forte del consenso dei ceti medi, dei
nazionalisti, dei liberali e dei popolari: le classi dominanti.

EUROPA: STABILIZZAZIONE
Dopo la guerra, le alternative in Europa erano:
• la rivoluzione, come nel caso della Russia bolscevica;
• la reazione, come nel caso dell’Italia fascista e delle dittature militari-populiste di
Ungheria, Polonia;
• la stabilizzazione, come nel caso di Francia e Inghilterra;
Altri paesi dell’Europa subirono le stesse sorti:
• in Jugoslavia a causa dei conflitti etnici;
• in Grecia dopo la sconfitta subita dalla Turchia si stabilì un regime militare;
• in Bulgaria, conflitti sociali e colpo di stato nazionalista rovesciarono il governo
riformatore di Stambolijski;
• in Romania il partito nazional-liberale falsificò le elezioni per restare al potere;
• Cecoslovacchia, l’unica eccezione di Stato liberaldemocratico di Masaryk;
• l’instabilità della repubblica del Portogallo, colpita dalla crisi finanziaria e dai colpi di
stato, divenne una dittatura militare nel 1926;
- in Spagna Miguel Primo de Rivera impostò una dittatura militare dopo il
golpe del 1923;
Gli unici regimi che sopravvivevano erano quelli di Francia e Inghilterra, seppur scossi da
agitazioni operaie: gli scioperi dei ferrovieri francesi e dei minatori inglesi.
• in Francia aumentava il consenso dei radicali mentre i sindacati non riuscivano ad
affermarsi politicamente, lasciando spazio al blocco nazionale di conservatori-liberali di
Clemenceau nel 1918-19;
• in Inghilterra segnarono vittorie i conservatori-liberali di Lloyd George;

MOVIMENTI ANTICOLONIALI
Durante la guerra, le potenze europee erano ricorse all’aiuto dei popoli coloniali, i quali non solo
non videro più la superiorità dell’occidente davanti al massacro, ma incontrarono le idee di
indipendenza e di libertà.

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Il blocco commerciale della guerra aveva favorito lo sviluppo degli scambi tra le colonie-
madrepatria: nasceva il problema di un’organizzazione razionale del dominio coloniale, non il
semplice sfruttamento di materie prime.
La Società delle Nazioni offriva tre tipi di mandato:
1. un periodo transitorio di tutela per il raggiungimento dell’indipendenza, come Siria,
Libano, Iraq, Transgiordania (francesi\inglesi);
2. un’amministrazione coloniale controllata dalla Società delle Nazioni, come Togo e
Camerun (tedesche, affidate ai francesi);
3. un’incorporazione nel dominio della madrepatria, come le isole Caroline, Marianne e
Marshall (tedeschi\giapponesi);
D’esempio furono la rivoluzione bolscevica e il principio di autodeterminazione dei popoli di
Lenin, che diedero impulso a partiti affiliati al Comintern in India, Cina, Indonesia, Sudafrica,
Egitto, Palestina e Siria: difensori delle masse rurali ma sostenitori anche delle borghesie nazionali
per unirsi contro il dominio coloniale.
Prima dei partiti comunisti si erano diffusi movimenti anticoloniali-nazionalisti, con l’obiettivo di
affermare un’identità opposta a quella europea, come nel caso di:
• mondo islamico, definito su una base religiosa; riunito nella Società panislamica (1903)
con sede a Londra che propagandava una via di sviluppo basata sui valori della religione
musulmana; obiettivo perseguito dall’organizzazione dei Fratelli Musulmani (1928),
convinti che la decadenza\corruzione derivasse dalla separazione Stato\religione e che la
giustizia sociale fosse frutto della responsabilità di ciascuno davanti alle regole di vita del
Corano (shari’a);
• mondo arabo, su base linguistica comune; il quale contribuì all’ideologia laica del
panarabismo: l’unità della nazione araba;
Le potenze dominanti pregiudicavano queste popolazioni impreparate per un sistema democratico
indipendente, ad eccezione delle élites educate in Occidente, poste negli organi consultivi di
governo, seppur subordinati.
La Francia dichiarò intangibile la propria sovranità formale sulle colonie, mentre la Gran
Bretagna puntò sull’indirect rule: sull’elezione di élite locali formalmente autonome nelle
istituzioni ma subordinate agli interessi inglesi.
Il problema di imporre il dominio su popolazioni bianche sviluppate quasi come l’Inghilterra venne
risolto con l’istituzione del Commonwealth (1931): una legge che definiva la Gran Bretagna e i sui
dominions (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Terranova) comunità autonome
all’interno dell’impero britannico, senza essere subordinate in affari interni\esterni, unite dalla
fedeltà alla corona e libere di darsi una costituzione.
Nel 1932 nella Conferenza di Ottawa si stabilì un regime di preferenza commerciale nel
Commonwealth per raggiungere l’indipendenza\autosufficienza economica: crebbe l’importanza
delle ex colonie così come le importazioni\esportazioni. Così la sovranità politica venne
compensata dalla subordinazione economica, ma queste colonie erano pur sempre caratterizzate
da forme di democrazia parlamentare e da una moderna opinione pubblica, che le rendevano
progredite rispetto alle altre.

LA “GRANDE DEPRESSIONE”

CRISI DEL 1929


33

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Gli anni venti furono caratterizzati dalla crescita economica trainata dagli Stati Uniti: nuovo
baricentro dell’economia mondiale che tramite il potenziamento della grande industria e il suo
peso nel commercio internazionale conobbero un ciclo espansivo con un aumento della
produttività del 78%.
Lo stesso avvenne nei paesi europei, dove la riconversione dell’economia incontrò la produzione
industriale di massa, la crescita della produttività, l’aumento dei consumi, l’ampliamento del
commercio internazionale di stampo liberista.
Il 24 ottobre 1929 il meccanismo s’inceppò: crollò la Borsa di Wall Street, facendo esplodere una
crisi generale che travolse l’economia statunitense e di conseguenza quella europea, risolvendosi
solo allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale con la riconversione all’economia di guerra.
Ciò avvenne a causa di movimenti speculativi: ogni giorno venivano comprati e venduti milioni di
azioni da speculatori, inoltre l’attività borsistica aveva iniziato l’acquisto di azioni a credito,
alimentando un’economia speculativa di carta separata dalla produzione e dallo scambio di beni
reali. Nel 1929 si ebbe un’ondata di azioni rivendute a prezzi bassi, con perdite nell’indice della
Borsa (senza l’intervento della Banca Centrale USA).
La Borsa crollò insieme e speculatori, mediatori, banche e privati (i cittadini corsero a ritirare i
propri risparmi).
Tuttavia, la causa principale del crollo fu la sovrapproduzione, l’offerta superiore alla domanda a
causa dell’eccesso di capacità produttiva.
Dopo la guerra, enormi investimenti venivano fatti dai grandi oligopoli pur a costo di indebitarsi
con la banche per riorganizzare i sistemi produttivi tramite innovazione tecnologica e organizzativa
(taylorismo), fino ad incrementare la produzione, ridurre i prezzi e aumentare il numero dei
consumatori: questo grazie alla costante domanda dell’Europa, grande mercato per merci e
capitali americani. Perciò, con la ripresa economica dell’Europa il sistema si inceppò, non
riuscendo più ad assorbire la produzione.
In pratica, gli USA, col rilancio produttivo postbellico avevano conosciuto una domanda interna
allargata, connessa all’affermazione del fordismo e della produzione in serie che necessitava un
aumento del numero di consumatori: perciò aumentarono gli stipendi e il sistema bancario
s’impegnò in agevolazioni creditizie, prestiti; i consumatori andarono ad indebitarsi per i beni
durevoli ma questo comportò un sostegno alla macchina produttiva statunitense al di sopra
delle capacità di assorbimento del mercato.
Nel 1932 si contavano 13 milioni di disoccupati che vennero riassorbiti solo con la guerra.

ECONOMIA E SOCIETA’
TRA LE DUE GUERRE

LA SOCIETA’ DI MASSA

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Con la guerra, economia, società e Stato, acquisirono dimensioni di massa: dai partiti politici alle
organizzazioni sindacali, delineando la società di massa. Leadership mondiale e modello del
fenomeno furono gli USA.
Caratterizzata dalla crescita dell’industria moderna determinò la crescita del settore terziario,
quindi di un ampliamento dei ceti medi, e l’emergere di una classe operaia nuova (non più
qualificata). Mentre gli addetti agricoli furono ridimensionati ma la produzione aumentò grazie alla
meccanizzazione delle colture e all’intervento statale, più complessa fu la natura della società
industriale, più autonoma, che vide la nascita di associazioni di categoria e ordini professionali
per controllare le professioni e il loro esercizio.
Crebbe la classe operaia fino a diventare la principale forza lavoro, con ritmi di produzione
intensificati dovuti alla divisione del lavoro nella catena di montaggio e un’organizzazione decisa
dai sindacati.
Le divisioni interne della società furono attenuate da processi di omogeneizzazione dello Stato:
scolarizzazione obbligatoria, portatrice di un’identità nazionali, diffusione dei mezzi di
comunicazione. I ceti medi assunsero il ruolo centrale come modello di valori e comportamenti.
Nonostante status e reddito fossero diversi, l’unificazione della società passò anche attraverso il
consumo di massa di beni durevoli: auto, mobili, elettrodomestici. La classe operaia aspirava a
redditi più alti per poter accedere al consumo delle merci di massa.
Obiettivo della società di massa capitalista era stabilire il proprio status symbol.
Negli USA si affermò il mito del melting pot (pentola di fusione): il processo di integrazione di
diverse etnie\culture, facilitato dalla necessità di manodopera dovuta allo sviluppo economico
capitalistico, di cui diventarono forza trainante, e alla mobilità sociale, sostenuto poi da una
politica di “americanizzazione”.
In Europa la nazionalizzazione delle masse era avvenuta tramite scuola, esercito, mezzi di
comunicazione, feste e rituali di una propaganda patriottica. Gli stessi paesi europei interventisti
mirarono al controllo della società in regimi democratico-parlamentari ma anche reazionari e
fascisti.
Lo Stato cambiò in un moderno welfare state: caratterizzato da ingerenza statale, politiche sociali,
indennità di disoccupazione (Inghilterra, Germania), organizzazioni per il tempo libero (Germania,
Italia), ferie retribuite (Francia); migliorando le condizioni dei ceti più deboli in cambio di leva
obbligatoria e imposte.

SVILUPPO ECONOMICO
Nel dopoguerra negli USA produzione e consumo s’intensificarono: la produzione in serie di beni
di consumo durevoli tenevano i prezzi bassi, alti i livelli di occupazione e i salari adeguati ne
rendevano possibile l’acquisto anche agli operai. Il consumo di massa risale alla produzione in
serie di oggetti standardizzati grazie alle catene di montaggio del fordismo introdotto da Ford nel
1913. Questo comportò la riduzione dei tempi di lavoro, aumento di produttività e abbattimento
dei prezzi. L’incremento produttivo negli USA fu favorito anche dalla guerra stessa, dove la
produzione continuò durante il conflitto.
Nel “capitalismo organizzato”, la crescita economica fu favorita dalle nuove fonti di energia,
elettricità e petrolio, e dallo sviluppo dei settori chimico\metalmeccanico.
Negli USA, aumentarono i trusts, le holdings e le corporations.

In Europa si creò un patto sociale tra poteri economici forti e politica: gli imprenditori imposero
l’organizzazione scientifica del lavoro, i salari aumentarono, le istituzioni sostennero pensioni e
assicurazioni sul lavoro (senza contare gli operai di piccole aziende e i disoccupati).
Fino ad allora, la ripresa economica fu condizionata a conflitti sociali e inflazione: una contenuta
svalutazione della moneta per ridurre il debito pubblico e favorire le esportazioni; ma provocò il

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crollo della produzione e dei consumi. Soprattutto in Germania, con la perdita della Ruhr
industriale, dove il clima di paura e incertezza fu poi sfruttato da Hitler.
Fortunatamente, la situazione fu migliorata dal Piano Dawes (1924): un programma di
investimenti statunitensi in Germania per ampliare il commercio delle proprie merci nel mercato
europeo. I capitali statunitensi aiutarono la ripresa economica europea, ma la resero anche debole e
maggiormente dipendente dall’economia statunitense.
La Gran Bretagna puntò sul Gold Exchange Standard (1925): rivalutare la sterlina, ex valuta
leader negli scambi mondiali e restaurare il prestigio nazionale; così le banche centrali potevano
usare come garanzia della propria moneta oro e sterline. Ma questo irrigidì i rapporti di cambio tra
le valute, inoltre, l’economia inglese si trovava in una fase di relativa debolezza e non riusciva a
controllare l’economia mondiale.

L’OCCIDENTE
ANNI ‘20

STATI UNITI: POTENZA MONDIALE


Il loro ruolo di potenza economica mondiale si accompagnò a una politica di isolazionismo,
dovuto alla diffidenza per la politica europea e per paura di un contagio rivoluzionario dalla Russia:
la “red scare”, incrementata dagli scioperi nelle industrie americane nel 1919 e accompagnata
dall’”americanismo” di base puritana, tradizionalista e conservatrice.
Nel 1920, alle prime elezioni con voto delle donne, il repubblicano Harding fu eletto presidente.
Questi confermò la politica isolazionista già dal 1921 con l’aumento dei dazi doganali e una legge
sull’immigrazione che limitasse gli arrivi, accanto al Proibizionismo di quegli anni 1919-1933,
che favorì gangster, prostituzione, contrabbando (nel 1932 venne arrestato Al Capone).
Temendo per l’integrità della morale americana, il partito comunista e il sindacato degli Industrial
Workers of the World furono considerati reato.
Contemporaneamente, nel sud spopolava il movimento razzista del Ku Klux Klan.
Dal 1923 si succedettero le presidenze di Coolidge e Hoover.
La prosperità americana continuava a dipendere da una politica interna liberista, isolazionista
esterna e aggressiva penetrazione commerciale in America Centrale.
Nel 1930 Hoover, in piena crisi, alzò le barriere doganali per proteggere le industrie nazionali e
arginare la disoccupazione ma peggiorò la situazione incoraggiando gli altri paesi a fare lo stesso,
limitando anche le esportazioni. Tuttavia, il presidente continuò ad opporsi ad ogni assistenza ai
disoccupati, perciò alle elezioni del 1932 vinse il democratico Roosevelt.

ROOSEVELT
NEW DEAL
Alla “grande depressione” Roosevelt rispose col “New Deal”: intervento statale; assistenza
sociale; ridimensionamento potere delle corporations; welfare state con assicurazioni contro

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malattie, disoccupazione; stato imprenditore di opere pubbliche che crearono posti di lavoro,
aumento salari e consumi; un capitalismo democratico alternativo a fascismo e comunismo.
Nei primi “cento giorni”, i primi provvedimenti si occuparono della svalutazione del dollaro,
della separazione tra banche di deposito o investimento, della protezione di conti correnti privati
con assicurazioni per evitare le speculazioni borsistiche. Per l’agricoltura propose l’intervento
dello stato per regolare la produzione (evitare eccessi e quindi calo prezzi) e proteggendo le
ipoteche su case e terreni dei contadini. Già dal 1932 recuperò i livelli occupazionali di prima.
Più importante fu l’istituzione della Tennessee Valley Authority: un ente incaricato di creare
occupazione e investendo quote di bilancio nelle opere pubbliche, idrauliche, di rimboschimento,
irrigazione (energia idroelettrica), dando lavoro e sviluppo.
Nel 1933 il National Industrial Recovery Act creò un’agenzia governativa per regolare la politica
industriale: conflitti sindacali, relazioni industriali, codici di comportamento per concorrenza leale.
Però nel 1935 fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema, contro la libertà d’impresa.
Inoltre, Roosevelt dovette contrastare un’opposizione neopopulista di sinistra che voleva la
ridistribuzione e la nazionalizzazione di terre.
Nel 1935 vennero presi tre provvedimenti democratici-popolari:
1. La costituzione della Works Progress Administration per il coordinamento di opere
pubbliche;
2. Il Wagner Act per la difesa della libertà dei sindacati e la sua legittimazione come ruolo
istituzionale;
3. Social Security Act che istituì l’assicurazione pensionistica attraverso imposte sui salari e
contributi dei datori di lavoro; e stabilì una collaborazione tra autorità federale e singoli stati
per costituire fondi per assistenza a disoccupati, anziani, invalidi;
Nel 1936 Roosevelt rivinse le elezioni, iniziando il secondo mandato.

GRAN BRETAGNA
Grazie alla riforma elettorale del 1918 le donne +30 ottennero il diritto di voto, per la maggior
parte operaie, per cui il Partito Laburista aumentò consensi. Il rapporto tra Labour Party e Trade
Unions (sindacati) si consolidò e rimase moderato, mentre il Partito Comunista rimase irrilevante.
Tuttavia, un problema da risolvere restava la questione irlandese. La guerra aveva rimandato
l’Home Rule (autogoverno) concesso nel 1914 e nel 1919 il partito nazionalista Sinn Fein (noi
soli) proclamò l’indipendenza.
Nel 1921 venne riconosciuto lo Stato libero d’Irlanda con un proprio parlamento e poteri,
escludendo le contee protestanti dell’Ulster: questo lasciò lo stato in una situazione di tensione
interna e con Londra fino al 1949, con l’indipendenza.
Alle elezioni 1922-23 i laburisti avanzarono, ma restarono i tre blocchi (laburisti, conservatori,
liberali) e nel 1924 le divisioni tra liberali e conservatori videro la vittoria del primo governo
laburista inglese di MacDonald, sebbene crollò per mancanza di maggioranza parlamentare.
Le nuove elezioni videro la vittoria dei conservatori, guidati dal premier Baldwin e il ministro
Churchill, i quali tentarono di riportare supremazia internazionale alla sterlina e al paese (1925,
gold exchange standard), fallendo. Alle elezioni 1929 tornarono al governo i laburisti di
MacDonald.

Contemporaneamente, l’emergenza della disoccupazione mandò in rosso il bilancio dello stato che
cercava di erogare sussidi, nel 1931. Allora si iniziò a tagliare la spesa pubblica: sussidi, prelievi
straordinari; e si svalutò nuovamente la sterlina.
Successivamente, il crollo dei tassi di interesse bancari favorì la ripresa di investimenti ed
esportazioni: la produzione e l’occupazione tornò a salire.
Nel 1932 nacque la British Union of Fascists. Nel 1935 tornò il governo conservatore di Baldwin.

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Nel 1937 il governo di Chamberlain: riduzione del costo della vita, riduzione delle imposte,
abrogazione di prelievi sugli stipendi pubblici che gli garantirono il consenso dei conservatori.
Chamberlain mantenne una politica di appeasement (pacificazione) nei confronti della politica
nazista della Germania di Hitler. (
Conferenza di Monaco, 1938).

FRANCIA
Nel 1919 vinse il governo di centrodestra e avviò una politica deflazionistica di riduzione delle
spese e stabilità monetaria, contro gli scioperi per la disoccupazione, ma la moneta si disprezzò e i
prezzi salirono.
Alle elezioni del 1924 vinsero le sinistre di socialisti e radicali.
Nel 1925 Poincaré formò un governo di unità nazionale senza i socialisti.
Nel 1928 svalutò il franco, le esportazioni aumentarono, la produzione e il reddito nazionale
crebbero, rimettendo in sesto il bilancio dello Stato.
Con la crisi del 1929 crollò la produzione e le esportazioni.
Nel 1930 fu varata l’assicurazione nazionale contro malattie, anzianità, infortuni, contenendo la
disoccupazione, ma con una ricaduta di redditi e salari.
Nel 1932 vinsero le opposizioni di sinistra. Tuttavia, i conflitti tra radicali e socialisti
comportarono instabilità politica.
Ispirandosi al nazismo di Hitler e al fascismo di Mussolini, nacquero leghe paramilitari contro la
repubblica. Nel 1934 scoppiarono scontri tra polizia e leghe di destra a Parigi.
Nel 1934 Il Partito Comunista di Thorez si alleò con i socialisti. Radicali, comunisti, socialisti si
unirono nel Fronte Popolare: per il rialzo dei salari e per una riduzione di ore lavorative, opere
pubbliche e fondi contro la disoccupazione, nazionalizzazione dell’industria e scioglimento delle
leghe di destra.
Alle elezioni 1936 si consolidò il governo del Fronte di Leon Blum che con un accordo
sindacati-imprenditori garantì aumenti salariali, 40h\sett lavorative e due settimane di ferie
retribuite.
L’industria bellica fu nazionalizzata, aumentato l’obbligo scolastico e soppressi i gruppi fascisti.
Nel 1936 l’aumento del costo del lavoro riportò l’inflazione e la svalutazione del franco, senza
risolvere il problema della disoccupazione. Nel 1937 il governo di Blum si dimise.
Iniziò il governo di Daladier, che firmò gli accordi di Monaco ponendo fine al Fronte Popolare,
revocando la settimana di 40 ore e con la militarizzazione dei servizi pubblici: la sconfitta delle
sinistre che aumentò la crisi.

GERMANIA
Repubblica di Weimar, regime federale; sia il presidente della repubblica Ebert, sia il capo di
governo Scheidemann erano del partito SPD. Le elezioni dell’assemblea costituente portarono al
governo di socialdemocratici e partiti di centro.
Un accordo tra imprenditori e sindacati riconobbe i diritti dei sindacati, istituì la giornata
lavorativa di 8h e un sussidio di disoccupazione.

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Nel 1919 venne promulgata la Costituzione della Repubblica di Weimar federale con 17 stati
regionali (Lander), un parlamento bicamerale (Reichstag) eletto a suffragio universale e un
Reichsrat per i delegati dei Lander, con presidente eletto direttamente e dotato di ampi poteri
(ordinanze con valore di legge).
Iniziò una latente guerra civile:
• nel 1920 ci fu un fallito colpo di stato delle destre paramilitari di Kapp a cui rispose uno
sciopero generale nella Ruhr;
• alle elezioni furono di rilievo destra e sinistra, per cui il partito cattolico costituì
un’alleanza con il partito di destra;
• nel 1919-22 continuavano gli attentati politici di destra;
• nel 1921 fallì un’insurrezione comunista;
Nel 1923 truppe belghe-francesi occuparono la Ruhr per il mancato pagamento delle riparazioni,
contribuendo all’instabilità; e l’inflazione aumentò.
Lo stesso anno il governo del partito del popolo Stresemann sciolse i governi socialcomunisti e
represse:
• un’altra insurrezione comunista ad Amburgo
• un Putsch della National-Sozialistische Deutsche Arbeiter Partei (NSDA) organizzato da
Hitler, per cui venne arrestato;
Stresemann aveva avviato una politica di risanamento finanziario creando una nuova valuta, il
Rentenmark, per cui l’economia riprese (1924-29); soprattutto grazie al sostegno degli USA:
• il Piano Dawes (1924) diminuì le rate delle riparazioni e concesse un ulteriore prestito alla
Germania;
• il Piano Young (1929), un’ulteriore riduzione delle riparazioni;
Nel 1925 venne firmato il Trattato di Locarno tra Germania, Francia e Belgio, stabilendo frontiere
intangibili e Renania smilitarizzata. Mentre alle elezioni vinse la destra militare di Hindenburg.
Nel 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni.

FASCISMO
COSTRUZIONE DEL REGIME
Nel 1921 nacque il Partito Nazionale Fascista (PNF) e nel 1922 Mussolini compì la Marcia su
Roma, dopodiché, pur senza la maggioranza parlamentare, poté godere del consenso di liberali,
cattolici, della Corona, degli economici e dei ceti medi: convinti che avrebbe riportato l’ordine ed
eliminato le opposizioni di sinistra. Infatti, Mussolini iniziò cambiando le istituzioni liberali:
• Nel 1922 istituì il Gran Consiglio del Fascismo: organo consultivo composto da dirigenti
del PNF incaricato di elaborare la linea del governo;

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• Nel 1923 venne istituita la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, il corpo militare
delle “camice nere” (tentativo di “normalizzare” la violenza), pur continuando a convivere
con lo squadrismo contro gli oppositori (es Minzoni, Amendola);
• Nel 1923 venne introdotta la legge Acerbo: una legge elettorale maggioritaria che
attribuiva il 65% dei seggi alla coalizione che raggiungeva il 25% dei voti;
Alle elezioni del 1924 prepararono il “listone” con liberali e cattolici, mentre le opposizioni
antifasciste rimasero divise; vinsero del 65%.
Tuttavia, nel 1924 il fascismo ebbe il suo unico momento di crisi legato all’assassinio di
Matteotti: leader socialista riformista che denunciò alla Camera gli imbrogli e le violenze dietro le
elezioni; il fatto echeggiò nell’opinione pubblica.
Allora, si assistette alla “secessione dell’Aventino”: i socialisti, cattolici e liberali, guidati da
Amendola, abbandonarono il parlamento (
analogia con la plebe dell’antica Roma contro i soprusi dei patrizi), con l’intenzione di provocare
l’intervento del re Vittorio Emanuele III, che però si astenne.
Dal 1925 Mussolini, accelerando il processo di fascistizzazione dello Stato, varò una serie di leggi –
leggi fascistissime – insieme al ministro della Giustizia Rocco:
• Nel 1925 ripristinò la lettera dello Statuto Albertino svincolando il governo dal voto di
fiducia del parlamento e abolendo la distinzione tra potere legislativo ed esecutivo (del
vecchio Stato liberale);
• Nel 1926 varò una legge per la difesa dello Stato con:
✓ restrizioni delle libertà personali e della vita politica;
✓ scioglimento di partiti antifascisti;
✓ esilio per gli oppositori;
✓ istituzione della pena di morte per chi attentasse allo Stato;
✓ istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato;
✓ soppressione della libertà di stampa e soppressione delle autonomie locali
sostituendo sindaci con podestà fascisti;
• Nel 1926 una legge riservò diritto di azione solo ai sindacati fascisti, proibì lo sciopero,
istituì la Magistratura del lavoro (patto Vidoni, 1925);
• Nel 1927, il Gran Consiglio disegnò un sistema corporativo racchiuso nella Carta del
Lavoro: alternativa fascista al capitalismo e al socialismo col superamento della lotta di
classe, contributi da parte dei produttori per lo sviluppo economico, rappresentanze
professionali a raggruppare capitalisti\lavoratori; nel 1934, 22 corporazioni vennero istituite,
non ebbero grande rilevanza e salari e consumi privati diminuirono, a differenza di quelli
del pubblico impiego, fondamentali per il consenso al partito fascista;
• Nel 1928 una nuova legge elettorale completò lo stato fascista impostando una lista unica;

• Nel 1929 con i Patti Lateranensi, firmati da Mussolini e Pio XI, il fascismo riuscì a
conciliarsi anche con la Chiesa; prevedevano:
✓ reciproco riconoscimento tra Regno d’Italia e Stato del Vaticano;
✓ religione cattolica come unica religione di stato;
✓ effetti civili del matrimonio religioso;
✓ insegnamento obbligatorio della dottrina cattolica nella scuola pubblica;
Tuttavia, dal 1931 l’operato cattolico fu ridimensionato a favore del regime.
Nel 1929 il consenso era ormai generale: al plebiscito del 1929 la lista unica ottenne il 98% dei
voti.
(

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Comunque, si è parlato di “totalitarismo imperfetto” poiché nonostante i caratteri totalitari del
regime, gli storici hanno notato che vi erano altri centri di potere che sebbene sostenessero il
fascismo o non agissero apertamente contro, lo limitavano: la Corona, la Chiesa, l’esercito.)

MODERNITA’ DEL FASCISMO


• uso dei mezzi di comunicazione di massa: Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR),
cinegiornali dell’Istituto Luce, Mostra Internazionale di Venezia (1935), Cinecittà.
• introduzione di politiche sociali assistenziali: pensioni, provvidenze contro infortuni,
malattie e disoccupazione (in ambito industriale, non femminile); anche se spesso le risorse
assicurative vennero dirottate verso altre spese: bonifiche, sviluppo ferroviario, IRI, guerra
coloniale in Etiopia;
• incoraggiamento dell’incremento demografico: immagine di nazione giovane; nel 1925
l’Opera nazionale maternità e infanzia iniziò a fornire assistenza alle madri e
professionalizzare le femmine in pediatria e ostetricia;
• la politica urbanistica per costruire l’immagine della città su misura per le classi medie: il
risanamento imperiale attraverso l’abbattimento di quartieri fatiscenti e trasferimento coatto
nelle zone periferiche (borgate);

REPRESSIONE E CONSENSO AL REGIME


Definito “regime reazionario di massa” dal leader comunista Togliatti, principalmente ottenne
consenso grazie alla repressione sull’opposizione antifascista tramite le “leggi
eccezionali” (1926) e il Tribunale speciale, che condannò anche Gramsci.
A favore del consenso andò il coinvolgimento delle masse, l’organizzazione della vita pubblica.
Dopo la nazionalizzazione delle masse, ci fu la fascistizzazione tramite l’insegnamento
dell’ideologia totalitaria del militarismo e del nazionalismo (
l’Impero Romano, il “duce”).
Le organizzazioni fasciste di massa irreggimentarono la popolazione su modelli militari e di
conformismo, insegnando la cultura militare nei: Figli della lupa, Balilla, Avanguardisti, Gruppi
universitari fascisti.
Nel regime le donne svolsero un apprendistato politico e acquisirono maggiore visibilità
pubblica, pur riservando loro il ruolo di spose\madri esemplari, inferiori dal punto di vista
lavorativo e giuridico. Furono raggruppate in organizzazioni a parte: Gruppi femminili fascisti,
Massaie rurali.
L’uso del tempo libero collettivo fu regolato dall’Opera Nazionale Dopolavoro (1926) tramite
teatri, cinema, turismo popolare, colonie estive.
Sottolineando le differenze territoriali\sociali, ne approfittarono soprattutto il Centro-nord e il
ceto impiegatizio.
Il partito stesso aiutò l’organizzazione di massa e soprattutto sotto la guida del segretario Starace
ebbe funzioni clientelari: posti di lavoro e avanzamento di carriera, scambio di favori e consenso.
Tuttavia, nonostante la censura si creò una polemica contro il nepotismo e la corruzione, e il
partito stesso vide il proprio potere ridimensionarsi a favore delle strutture fascistizzate dello Stato.
(
Si parla di paradosso del consenso in quanto il regime necessitava della legittimazione da parte di
una popolazione attiva, ma allo stesso tempo senza politicizzare troppo le masse e non renderle
protagoniste e consapevoli.)
Il regime controllò anche la scuola e la cultura col Ministero della Cultura popolare
(MINCULPOP, 1937), sempre in un’ideologia di religione civile per il regime.

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Nel 1936 iniziò la politica antiebraica, culminando con le leggi per la difesa della razza del 1938
che esclusero gli ebrei da scuola\lavoro e vietarono i matrimoni misti.
Accompagnando il tutto con la politica coloniale in Libia ed Etiopia, per allinearsi con Hitler.

ECONOMIA E SOCIETA’
La politica economica fascista si divise in quattro fasi:
1. Prima fase (1922-1925), caratterizzata da una linea liberista ma anche da una forte
inflazione; in questa fase aumentò il rapporto importazioni/esportazioni. Ideata dal ministro
De Stefani, prevedeva: riduzioni salariali, pressione fiscale, diminuzione delle spese
statali e favoritismi industriali; abolì la nominatività dei titoli impedendone la tassazione e
le imposte sui sovraprofitti di guerra; abbassò le tariffe doganali per compensare col
commercio estero la riduzione del mercato interno, dovuta alla riduzione del potere
d’acquisto;
2. Seconda fase (1925-29), costituita da una politica economica protezionistica per
rafforzare la moneta e ridurre l’inflazione; venne attivato un programma di stanziamenti
per l’incremento della produzione cerealicola: fu lanciata una campagna propagandistica
per mobilitare il mondo rurale al fine di raggiungere l’autosufficienza nel settore agricolo
(“battaglia del grano”). L’Italia procedette alla rivalutazione della propria moneta e riuscì
a portare la lira a quota 90 con Volpi, nel 1926 (“battaglia della lira”);
3. Terza fase (1929-35), alla crisi del 1929 che colpì il mercato internazionale il regime reagì
con l’autarchia improntata all’autosufficienza: vennero incrementati i lavori pubblici
(infrastrutture e bonifiche, ideate da Serpieri, che portaroni alla nascita di nuove città
come Littoria, Sabaudia, Carbonia, Fertilia, al posto delle paludi pontine di terre incolte o
paludose, come quella dell'Agro Pontino) e la partecipazione dello Stato alle attività
finanziarie e industriali. Vennero istituiti l’IRI (istituto per la riconversione industriale) e
l’IMI (con la funzione di sostenere le imprese in crisi). L’assenza di materie prime mise
però in difficoltà l’Italia;
4. Quarta fase (1935-45), superata la crisi, lo Stato iniziò la campagna di Etiopia (1935-36)
che indirizzò l’economia verso la produzione bellica. La campagna di Etiopia fu intrapresa,
sia per il tentativo di acquisire materie prime, sia per fronteggiare l’eccedenza di
popolazione;
Successivamente, Mussolini creerà l’INFPS e INFAIL (oggi non hanno più la F), enti nazionali.
Una volta pareggiato il bilancio di Stato, la politica cambiò portando protezionismo e autarchia
(autosufficienza).
L’intervento statale significò riduzione dei salari e soccorso ai gruppi privati che portò allo
sviluppo di Fiat, Edison. Inoltre, il dirigismo fascista tentò di salvare i settori in difficoltà
prendendone la gestione.
Nel 1931 istituì l’Istituto mobiliare italiano (IMI) che concedeva finanziamenti e nel 1933
l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) per salvare le banche.
Nel 1936 una riforma rafforzò i poteri della Banca d’Italia sulle altre: il denaro dei risparmiatori
veniva rastrellato in cambio di titoli di stato e immesso nel circuito degli investimenti industriali.

Tuttavia, l’industria non riuscì a crescere perché i salari erano troppo bassi e il mercato interno
inesistente. La crescita che si verificò dal 1934-37 fu grazie al riarmo militare.

POLITICA ESTERA
La politica estera si basò su coerenza ideologica col regime e interessi strategici del paese: divisa
in base alle alleanze tattiche, prima Francia, poi Germania; alimentata dal risentimento della
“vittoria mutilata” della pace di Versailles (revisionismo). Mussolini cercò spesso legittimazione
internazionale, ad esempio partecipando alla conferenza di Locarno come garante, nel 1925.
Nel 1923 occupò Corfù, nel 1930 in Libia iniziò la deportazione in campi di concentramento.

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L’aggressività della Germania nazista ridusse progressivamente gli spazi di manovra dell’Italia.
Nel 1932 Mussolini divenne ministro degli Esteri.
Nel 1933 un patto tra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania tentò di inserire il regime di
Hitler nell’attività politica\diplomatica europea, finché la Germania non uscì dalla Società delle
Nazioni e iniziò il riarmo militare.
Nel 1934 Italia e Germania entrarono nuovamente in attrito: con la morte di Dollfuss la Germania
minacciò l’annessione dell’Austria ma Mussolini tentò di tutelare l’Austria mettendo a
disposizione delle truppe sul Brennero e dimostrando superiorità militare.
Nell’aprile 1935 il governo italiano sottoscrisse con Inghilterra e Francia l’Accordo di Stresa con il
quale le tre potenze condannavano il riarmo tedesco e confermavano la necessità di mantenere
l’indipendenza dell’Austria, formando il cosiddetto “fronte di Stresa”.
Dai primi mesi del 1935 l’Italia decise di inviare nuove truppe in Africa con lo scopo di espandersi,
ottenere nuove materie prime e trasferire la manodopera in eccesso. Ma Francia e Gran Bretagna
non potevano permettere la cancellazione di uno Stato sovrano, oltretutto membro della Società
delle Nazioni. Nel 1935 iniziò comunque la guerra d’Etiopia (1935-36) che comportò sanzioni
della Società delle Nazioni e blocco dei rifornimenti esteri all’industria bellica.
Il regime fu così astuto da usare le “punizioni” come propaganda contro le potenze europee,
guadagnando appoggio grazie al risentimento generale della popolazione; dichiarò poi l’impero e
segnò il momento di massimo consenso.
L’attacco in Etiopia cambiò le alleanze: la Germania dichiarò solidarietà e nel 1936 nacque l’Asse
Roma-Berlino consacrando l’alleanza tra i due dittatori e la spartizione di aree d’influenza diverse
(Est e Mediterraneo). Inoltre, i due alleati si ritrovarono ad appoggiare la guerra civile spagnola,
sostenendo Franco.
Nel 1937 un patto antisovietico venne firmato da Italia, Germania e Giappone e l’Italia uscì
dalla Società delle Nazioni.
Nel 1939 l’Albania venne annessa all’Italia e venne firmato il Patto d’Acciaio con la Germania,
secondo cui sarebbero entrate in guerra una a fianco dell’altra in caso di attacco.

NAZISMO

AVVENTO DI HITLER
Hitler espresse l’ideologia nazista nell’opera Mein Kampf (la mia lotta, 1925-26) basata sul
progetto di Stato razziale: il Volk germanico (popolo\nazione) doveva vivere nel Lebensraum
(spazio vitale) per preservare la sua purezza dalla contaminazione con altre razze che lo avrebbero
indebolito e fatto estinguere, ovvero la razza ebrea (popolo senza spazio, parassita) nemico del
herrenvolk (popolo di dominatori). Così, gli ebrei divennero il capro espiatorio della crisi.
Hitler collegava antisemitismo e antibolscevismo, per questo la sua politica estera mirò alla
conquista dello spazio vitale con una “spinta verso est”, contro la Russia.

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Il revisionismo e il nazionalismo tedesco, risentiti per l’umiliazione subita, sostennero l’idea della
guerra per lo spazio vitale a est che divenne lo strumento per un nuovo ordine europeo basato sulla
supremazia tedesca. Così il partito nazista ottenne consensi nella società tedesca proponendo una
comunità nazionale in cui il popolo tedesco puro si organizzava su rigidi modelli militari di
gerarchia e obbedienza, escludendo ebrei (avvelenatori di purezza) e le sinistre (colpevoli delle
divisioni interne).
Grazie al fallimento del Putsch del 1923, Hitler passò a una tattica più legalitaria, mirando al
consenso di ampie masse, rassicurando sul rispetto delle leggi.
Così nel 1930 il partito nazionalsocialista (NSDAP) divenne il secondo partito tedesco. La sua
ascesa avvenne tramite:
• un’efficiente organizzazione paramilitare della violenza;
• propaganda tramite i mezzi di comunicazione;
• un leader carismatico e apparentemente disinteressato;
L’NSDAP si organizzava in base a un criterio gerarchico di obbedienza al Fuhrer (duce), Adolf
Hitler, il cui carisma fu costruito sul rapporto diretto di immedesimazione con la massa tramite
retorica e la propaganda di Goebbels.
Il regime nazista si strutturava su:
• strutture di partito;
• organizzazioni di massa per controllare la vita pubblica;
• formazioni paramilitari di giovani che incarnavano la purezza razziale
• SA (1921) sezioni d’assalto, protagoniste della violenza contro gli oppositori, soprattutto
socialisti e comunisti;
• SS (1926) milizie di protezione, guardie del corpo di Hitler;
La crisi del ’29 contribuì al crollo della Repubblica di Weimar e all’avvento del nazismo:
• produzione industriale dimezzata;
• disoccupazione;
• iperinflazione;
• crollo dei prezzi agricoli;
Nel 1930 l’ultimo governo di coalizione (SPD, cattolici e democratici) di Muller era diviso:tutelare
i disoccupati o il bilancio dello stato e il marco.
Gli succedette il governo di centro di Bruning, il quale ricorse spesso all’art.48 che permetteva al
cancelliere di legiferare senza approvazione parlamentare; inoltre, la politica economica
deflazionistica per contenere il debito pubblico aggravò la crisi sui ceti poveri, mentre la polizia
restava inerme davanti alle violenze di destra.
Furono le divisioni interne alle forze politiche che favorirono il nazismo, soprattutto tra
comunisti, seguiti dai disoccupati e inclini alla rivoluzione, e socialdemocratici (SPD),
rappresentanti della classe operaia sindacalizzata dalle grandi fabbriche che aspiravano a mantenere
la legalità democratica. Nonostante il partito di centro diffidasse di Hitler, Bruning lo appoggiò.
La destra si divideva tra Hitler e il partito nazionalpopolare di Hugenberg che insieme ai vertici
militari e Hindenburg proponeva una dittatura militare.
Alle elezioni del 1932 Hindenburg venne eletto presidente. Allora, il capo dell’esercito Schleicher
e Hitler fecero cadere Bruning e gli succedette von Papen che mirava a costituzionalizzare
l’estrema destra e escludere l’SPD.
In questo clima di guerra civile le SA scatenarono violenza contro SPD e comunisti.
Alle stesse elezioni il partito nazista divenne il primo partito, ma il sistema politico rimase fermo,
mentre alle elezioni dopo vinsero gli oppositori che però non seppero approfittarne.
In novembre 1932 un gruppo di industriali (Krupp e Bosch) e latifondisti chiesero a Hindenburg
di fare Hitler cancelliere: il 30 gennaio 1933, grazie a esercito e potere economico, Hitler divenne
cancelliere e creò un governo di coalizione a cui parteciparono von Papen, Hugenberg, Frick.

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TERZO REICH
Il terzo reich venne costruito in soli sei mesi.
L’1 febbraio 1933 venne sciolto il Parlamento, il 4 febbraio 1933 vennero vietati giornali e
assemblee, il 27 febbraio 1933 venne incendiato il Reichstag e la colpa venne attribuita ai
comunisti, per cui i principali esponenti del partito vennero arrestati.
Il 28 febbraio 1933, Hindenburg soppresse le libertà di stampa, di opinione, associazione e mise
sotto controllo lettere\telefoni.
Alle elezioni del 1933 Hitler creò un governo di coalizione con il partito nazionalpopolare e il
nuovo parlamento votò una legge che conferì pieni poteri al governo, consentendogli di legiferare
anche in contrasto con la Costituzione e di firmare al posto del presidente.
Il 21 marzo 1933 il capo delle SS Himmler aprì il primo campo di concentramento per gli
oppositori politici a Dachau.
A questo punto, con il cosiddetto “allineamento” sottopose tutte le istituzioni sotto il controllo
della NSDAP:
• vennero distrutti i partiti operai;
• sciolse il partito cattolico dopo un concordato tra chiesa e regime;
• normalizzò i governi regionali;
• espulse gli ebrei dalle cariche direttive;
Il 14 luglio 1933, la conclusione della rivoluzione nazista avvenne col divieto di costituzione di
partiti al di fuori del NSDAP.
Le SA guidate da Rohm tentarono di scatenare una seconda rivoluzione contro i poteri forti
dell’economia e della società, così nel febbraio 1934 vennero introdotte le Wehrmacht (forze
armate) unico organo militare della nazione, mentre alle SA restavano compiti paramilitari.
Il 30 giugno 1934 ci fu la notte dei lunghi coltelli: Hitler e le SS assassinarono Rohm e lo stato
maggiore delle SA, esponenti politici, vecchi oppositori e concorrenti.
In agosto 1934, alla morte di Hindenburg, Hitler assunse la carica di presidente della repubblica
con potere illimitato, senza contrappesi.
Con un referendum lo stesso anno Hitler venne ratificato come capo dello stato, del governo, del
partito, delle forze armate.
L’iniziativa delle Olimpiadi nel 1936, portò le SS e la Gestapo (polizia segreta) a “ripulire” le città
da criminali, vagabondi, prostitute, immigrati, qualificati come “asociali”, portandoli nei campi di
concentramento.

Il regime si caratterizzò per:


• politica razziale;
• antisemitismo programmatico, usato come capro espiatorio per il risentimento dei
tedeschi;
• sostegno all’incremento demografico per accrescere la forza militare in Germania;
• esclusione delle donne (niente voto, diritti politici\civili, istruzione\carriera);
Tuttavia, si concentrò principalmente sulla politica razziale:
• il 7 aprile 1933, con una legge allontanò gli ebrei dagli impieghi;
• nel 1935 promulgò le Leggi di Norimberga, secondo cui:
✓ non erano ammessi matrimoni misti;
✓ venne tolta la cittadinanza a chi non fosse tedesco di sangue;
✓ vennero privati gli ebrei di diritti civili;

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• il 9-10 novembre 1938, nella notte dei cristalli, le SS si scatenarono contro i negozi degli
ebrei, saccheggiando, rompendo e uccidendo, internandoli poi nei campi di concentramento;
Comunque, i primi a sperimentare le tecniche per la morte di massa furono i cittadini tedeschi con
malattie mentali\handicap, ritenuti umani “difettosi”. Nel 1939-41, in luoghi segreti della
Germania, 70 000 persone vennero uccise con iniezioni letali o gas, poi le stesse tecniche furono
usate sugli ebrei in Polonia.
Con le conquiste territoriali che aumentavano la popolazione ebraica, in maggioranza povera e
impossibilitata ad espatriare, furono necessari altri sistemi di sterminio di massa: dai Lager si
passò ai campi di sterminio.

POLITCA ECONOMICO-SOCIALE, ORGANIZZAZIONE CONSENSO


Il regime nazista affidò il compito di risolvere la crisi economica al ministro dell’Economia
Schacht che dal 1934 attuò una politica dirigista di intervento statale, finanziata con il debito
pubblico, per cui:
• vennero creati posti di lavoro;
• l’intervento dello Stato intrecciò pubblico e privato;
• venne incrementata l’edilizia pubblica\privata;
• vennero potenziate le industrie che rifornivano la Wehrmacht;
• venne incrementato il settore chimico;
• vennero costruite reti autostradali;
• continuò e aumentò il riarmo militare;
Queste misure favorirono la ripresa produttiva e la crescita dei consumi privati, portando un
nuovo relativo benessere, soprattutto grazie alle spese militari. Schacht, contrario, venne sostituito
col nazista Goring, capo della Luftwaffe, per cui la preparazione militare acquisì priorità assoluta.
Per quanto riguarda l’agricoltura, i contadini venivano propagandati come “pupille del regime”,
ma non fu fatto niente per ridurre la proprietà latifondistica dell’est. La piccola proprietà venne
tutelata con una legge di successione dei poderi, mentre permaneva inesistente la meccanizzazione
e quindi la modernizzazione.
Tuttavia, i contadini diedero il loro consenso poiché gli vennero promesse terre da colonizzare
nello spazio vitale a est.
Per cui nel 1938 l’economia tedesca tornò in deficit e in mancanza di materie prime o generi
alimentari, per questo venne incrementato il riarmo che riportò occupazione.
Nel 1933 venne costituito il Fronte tedesco del lavoro, con compiti educativi e formativi; nel 1934
una legge impose la gerarchia anche in ambito lavorativo.

Nel 1937, grazie alla politica sociale\assistenziale e ai prezzi di consumo bassi, i salari tornarono
a livelli che permettevano relativo benessere, questo perché lavoravano di più in cambio di
provvidenze nelle imprese: mense, colonie, aumento ferie.
La gestione statale del tempo libero si racchiuse nella Forza attraverso la gioia: turismo, attività
ricreative, intrattenimento, evasione soprattutto per gli impiegati.

In tutto ciò, il popolo tedesco rimase passivo e consenziente al regime. Sia per colpa delle
repressioni, sia per il grande appoggio di industrie, forze armate e chiesa che manteneva pace
sociale, sia la politica estera aggressiva che riscattava l’umiliazione subita.

IMPERIALISMO NAZISTA
La politica estera aggressiva fu alimentata e incoraggiata dallo spirito di rivalsa. Nel 1933, la
Germania uscì dalla Società delle Nazioni, decisa a non basarsi su accordi internazionali per la
revisione della Pace di Versailles, ma usare la forza e violarlo iniziando il riarmo militare.
Però Hitler intraprese accordi bilaterali con Polonia e Unione Sovietica.

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Nel 1934 fallì il tentativo di annessione dell’Austria, nel 1935 un plebiscito stabilì il ritorno del
Reich nella regione carbonifera della Saar e nel 1936 avvenne l’occupazione della Renania - che
doveva restare smilitarizzata - come dimostrazione di forza.
Nel 1937 durante l’incontro con i ministri della Difesa, degli Esteri e i capi militari, Hitler dichiarò
che la guerra sarebbe iniziata entro il 1938, con obiettivi Austria e Cecoslovacchia, ribandendo la
necessità di conquistare spazio a est ed esponendo la strategia del Blitzkrieg (guerra lampo).
I ministri, essendo contrari, vennero sostituiti con Ribbentrop, Keitel e Funk.

Nel 1938 Hitler riuscì nell’annessione dell’Austria al Terzo Reich e dopo la conferenza di
Monaco gli venne permessa l’occupazione di Boemia e Moravia; infatti, seguendo una politica di
appeasement, Gran Bretagna e Francia, pensavano che la spinta imperialista nazista si sarebbe
esaurita concedendogli la conquista di quei territori.

Imboccata la strada della guerra, l’espansione tedesca travolse:


• 1938: Austria e Sudeti;
• 1939: Boemia e Moravia;
• 1 settembre 1939: invasione della Polonia che scatenò la Seconda Guerra Mondiale (lo
stesso giorno Hitler autorizzò la pratica dell’eutanasia).

RUSSIA SOVIETICA

NEP x SOCIALISMO
La Russia si riprese grazie alla nuova politica economica di Lenin: NEP (1921-1928) considerata
un passo verso l’industrializzazione, reintrodusse il commercio, il mercato e il profitto
individuale:
• revocò la requisizione dei generi alimentari;
• permise ai contadini di vendere i loro prodotti;
• permise ai contadini di assumere manodopera salariata (1925);
• permise ai contadini di affittare la terra;
• abolì il lavoro industriale obbligatorio;
Gli effetti furono che dal 1927 l’economia recuperò, emerse un ceto di commercianti\imprenditori, i
nepmen, e nelle campagne emerse la differenza tra contadini poveri (muzik) e imprenditori rurali,
kulaki.

Nel 1922 con la Conferenza di Rapallo la Russia ruppe l’isolamento diplomatico, stipulando un
accordo commerciale con la Germania.
Sempre nel 1922 nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) con:

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• Russia;
• Bielorussia;
• Ucraina;

Nel 1924 la morte di Lenin aprì una lotta di successione nel gruppo dirigente bolscevico:
• La sinistra di Trockij puntava alla riapertura del ciclo rivoluzionario internazionale e alla
pressione sulle campagne per industrializzare il paese;
• La destra di Bucharin, voleva industrializzare liberalizzando i mercati,
tra questi anche Stalin;

Nel 1925, sconfitta la sinistra, il potere personale di Stalin crebbe con l’ampliamento del partito
e il pieno controllo che ne assunse (autoritarismo interno).
Nel 1927, al XV Congresso del Partito Comunista, Stalin espulse Trockij, Zinov’ev, Kamenev,
mandandoli al confino. La vittoria di Stalin significò la crisi della NEP: la produzione non
aumentò mentre la popolazione e la domanda aumentarono e venne approvata la collettivizzazione
delle terre.
Nel 1927-28 ci fu una crisi degli approvvigionamenti di grano, per cui ricominciarono le
requisizioni e Stalin usò i kulaki come capro espiatorio, nonostante il problema fossero i prezzi
bassi.

Stalin imponeva l’uso della forza per accelerare l’industrializzazione, mentre Bucharin, a favore
della NEP, si opponeva, perciò venne emarginato (1928-30).

INDUSTRIALIZZAZIONE FORZATA x COLLETTIVIZZAZIONE CAMPAGNE


Iniziò un’economia di comando rigidamente centralizzata che forzava i tempi di
industrializzazione e collettivizzazione dell’agricoltura, in tempi quinquennali: 1928-32,
1932-37. Nei primi cinque anni (1928-32) la produzione industriale raddoppiò, in particolare
quella pesante. Vennero create intere città\regioni industriali ex novo a est degli Urali, oltre a
ferrovie, strane e canali.
Nel 1939 l’URSS era la terza potenza industriale del mondo, dopo USA e Germania.
Fino al 1940 ci fu una grande urbanizzazione, la nuova forza lavoro era principalmente contadina
e il 40% donne: non avevano istruzione né competenze.
La produzione dei generi di consumo fu sacrificata per l’industria pesante, i salari ridotti
dall’inflazione: crollò il tenero di vita già basso e arrivarono i primi segni del rallentamento della
crescita demografica.

Nel 1929 Stalin accelerò la collettivizzazione forzata dell’agricoltura tentando di creare aziende
cooperative, kolchoz, e soprattutto statali, sovchoz, per raggruppare i contadini ed eliminare i
kulaki, anche tramite deportazione e fucilazione.

Per sopperire alla mancanza di rifornimenti in città si passò alle requisizioni di grano, anche per
esportarlo in cambio di macchine industriali. Per questo iniziò una guerra sociale contro i

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contadini: privati di diritti, discriminati, oppressi risposero lavorando il meno possibile, per cui dal
1928-37 la produzione agricola crollò.
Ad aggravare la situazione tragica, un carestia colpì l’Ucraina, il Caucaso e il Kazachistan.

STALINISMO
Il partito-Stato ebbe un’involuzione autoritaria dal 1929, quando Stalin diventò un dittatore con
pieni poteri: rafforzò la fedeltà del partito tramite le “purghe”, rimodellò lo Stato tramite
repressione di massa, controlli sociali dell’onnipresente polizia politica GPU, violenza
anticontadina. Nelle fabbriche ricorse alla differenziazione salariale, premi e privilegi.
Il minatore Stachanov divenne simbolo di obbedienza e conformismo: strumenti di promozione
sociale (stachanovismo).
Il dissenso fu giudicato tradimento e così vennero accusati i “deviazionisti”. La debole cultura
venne sacrificata come mezzo di propaganda.
Nel 1934 il XVII Congresso del partito rimase restio sul carattere “superindustrialista” di Stalin
e acquistò consensi chi voleva rallentare.

Stalin reagì dando inizio al Grande Terrore: un controllo illimitato da parte della polizia politica
strettamente legata al dittatore, un’infinità di “purghe”, ovvero l’espulsione dal partito, la perdita
di lavoro, con le quali sparì gran parte della dirigenza stalinista.
Nel 1936 fu inscenato un processo-farsa contro Zinov’ev e Kamenev che infine vennero giustiziati
per l’omicidio di Kirov (non commesso), nel 1937-38, seguì l’esecuzione di Bucharin e nel 1940
Trockij venne assassinato in Messico da un sicario di Stalin.

La purga consistette in fucilazioni, costrizione al suicidio, ma anche deportazioni in campi di


lavoro forzato: Gulag (1931).
Col lavoro dei detenuti nei campi vennero costruiti canali, miniere, prodotto legname.
Il minimo comun denominatore delle vittime era: giovane età e alta scolarizzazione, segno che il
terrore fu rivolto ai ceti medi della società, per evitare la nascita di opposizione.

Il potere di Stalin divenne illimitato, venne rivalutato il passato imperiale in chiave nazionalista
(Ivan il Terribile, Pietro il Grande) e vennero ripresi i valori conservatori dell’autorità, la gerarchia,
la famiglia e l’ordine.
Nel 1936 una costituzione legalizzò il terrore staliniano e nel 1938 venne giustiziato lo stesso capo
del Terrore Ezov.

POLITICA ESTERA x COMUNISMO INTERNAZIONALE


Nel 1922 la Conferenza di Rapallo aprì la strada a una politica estera diplomatica con gli stati
capitalistici, senza però rinunciare al ruolo di punto di riferimento comunista.
Nel 1928 durante il VI Congresso del Comintern Stalin affermò che era rivoluzionario solo chi
fosse stato pronto a tutto per difendere l’URSS.
L’inasprimento della lotta di classe che Stalin stava creando venne preso a modello negli altri
paesi, dove la socialdemocrazia divenne il nemico della classe operaia. Nel 1929 si parlò di
socialfascismo: in Germania la divisione tra socialisti e comunisti aggravò la crisi della Repubblica
di Weimar e favorì Hitler.

Nel 1934 l’URSS uscì dall’isolamento per avviare una politica estera distensiva in accordo con
Germania nazista e Giappone e una cauta apertura con le democrazie.
Allora la politica dei partiti comunisti ebbe una svolta, venne abbandonato l’antagonismo con i
socialfascisti a favore di un’alleanza antifascista unita: la politica dei fronti popolari (come
quello delle Francia del 1934).

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Nel 1935 il VII Congresso del Comintern pose come obiettivo principale la lotta la fascismo,
facendo coincidere questa scelta con la difesa dell’URSS che condizionò la partecipazione nella
politica dei fronti popolari: es, durante la guerra civile spagnola l’URSS fornì aiuti limitati per
difendere la repubblica.

Sentendosi accerchiata e insicura, dopo l’invasione tedesca della Cecoslovacchia nel 1939, Stalin si
accordò con Hitler col patto Molotov-Ribbentrop: trattato di non aggressione, spartizione delle
sfere di influenza dei due paesi.
Fu quindi una scelta difensiva ma anche imperialista che screditò la politica unitaria dei comunisti
europei, disorientò i movimenti antifascisti e portò Francia e Gran Bretagna a diffidare
ulteriormente.

Nel 1943 Stalin sciolse il Comintern perché la rivoluzione non era più negli interessi dell’URSS.

CAPITOLO 8
ASIA, AFRICA, AMERICA LATINA
tra le due guerre
(1918-1940)

GIAPPONE
Il Giappone mise in discussione la centralità globale dell’Europa, grazie alla grande industria,
l’espansionismo estero e l’autoritarismo interno.
Durante la prima guerra mondiale, il Giappone aveva sviluppato l’industria pesante e aveva
sfruttato la popolazione principalmente agricola per esportazioni di prodotti finiti e importazioni
di materia prima.
L’espansione industriale favoriva i quattro maggiori gruppi privati legati allo Stato (zaibatsu).
Tuttavia, il problema restava il territorio privo di materie prime che subordinava lo sviluppo alle
importazioni, rendendolo dipendente delle politiche doganali degli altri stati.
Nel 1918 i contadini giapponesi scatenarono rivolte contro l’aumento dei prezzi del riso, mentre i
grandi gruppi industriali erano orientati verso scelte espansionistiche.
Il partito al potere, Seiyukai, legato allo zaibatsu Mitsui, varò una politica di sviluppo della flotta
militare che prese la maggior parte del bilancio statale, finché non divenne la terza potenza navale.
L’ideale dell’impero giapponese divenne il “panasiatismo” (dottrina Monroe, usa), volto ad
eliminare ogni influenza straniera e unificare il territorio sotto l’autorità giapponese.
Preoccupato dalla situazione, il presidente degli Stati Uniti Harding convocò la conferenza di
Washington (1921) con tutte le potenze marinare (Belgio, Cina, Francia, Giappone, Gran Bretagna,
Italia, Olanda, Portogallo, Stati Uniti) per stabilire un’intesa per la limitazione degli armamenti.

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La modernizzazione del Giappone cercò di imitare i modelli occidentali:
• 1925, suffragio universale maschile;
• scolarizzazione primaria;
• cultura base fondata sui valori della morale confuciana (lealtà e obbedienza);
• ideologia del tenno, il culto dell’imperatore come discendente e incarnazione divina;
• principi della famiglia applicati al kokutai (sistema nazionale, niente classi sociali);
• 1925, legge sull’ordine pubblico (minaccia all’armonia come crimine politico);
• 1928, pena di morte per i reati di pensiero;
La crisi del 1929 colpì anche l’Oriente (crollo dei prezzi, crisi sviluppo economico), così il
ministro delle finanze Takahashi varò una politica di intervento statale: svalutò lo yen e dette
impulso alle spese militari e alle esportazioni; aumentò l’ingerenza delle gerarchie militari e
industriali nella politica.
Nel 1931, l’armata giapponese in Manciuria prese l’iniziativa di provocare un incidente con le
truppe cinesi: nel 1932 fu proclamata l’indipendenza di uno stato inventato controllato dai
giapponesi, Manciukuo, con governo dell’ultimo imperatore cinese.
La Società delle Nazioni non riconobbe lo stato e nel 1933 il Giappone uscì dalla Società.
Le spinte belliciste corrispondevano alla crescita della Kodoha (fazione della via imperiale)
nell’esercito, che chiedeva il rapporto diretto tra imperatore e forze armate al governo.
Nel 1932 alcuni di loro uccisero il Primo ministro Inukai, dando il via ad attacchi terroristici, fino
al colpo di stato del 1936 che fallì; ma comunque, il nuovo esecutivo di Hirota fu condizionato dal
peso del potere militare.
Infatti, nel 1936 firmò il patto Anticomintern con la Germania nazista e nel 1937 iniziò la
conquista della Cina, con saccheggi, torture e massacri della popolazione.
Nel 1938, una legge attribuì pieni poteri allo Stato in economia, i sindacati vennero sciolti.

CINA
La repubblica cinese (1912) era ancora uno Stato debole diretto dai governatori militari delle
province, i “signori della guerra”; questi governavano le campagne, insieme ai latifondisti legati
alle élite straniere interessate all’esportazione delle risorse naturali e agricole, in contrapposizione
al “minifondo” della maggioranza dei contadini (piccoli appezzamenti da autoconsumo).
Nel 1919 studenti, impiegati e commercianti manifestarono a Pechino contro la subordinazione
agli interessi stranieri e su quella base nacque a Shangai il Partito comunista (1921), in
opposizione al partito al potere, il Guomindang (partito nazionalista), che pur di acquisire il
controllo nel 1923 promosse una collaborazione con i comunisti cinesi e con l’Unione Sovietica.
Nel 1926, il nuovo leader Chiang Kai-shek lanciò una “spedizione verso Nord” contro i signori
della guerra: conquistò Shangai e ruppe l’alleanza con i comunisti, uccidendoli.
Kai-shek, sostenuto dai grandi proprietari terrieri, dai ceti sociali medio-alti e dalle potenze
straniere antisovietiche e antigiapponesi, nel 1928 instaurò a Pechino un governo nazionalista.
Il Partito comunista si riorganizzò nelle campagne tra i contadini poveri, mentre dagli anni ’30
iniziarono a subire offensive da Kai-shek alle quali risposero con la tattica della guerriglia con
Mao Zedong (mobilità e logoramento, attacchi improvvisi e rapidi).
Nel 1934, l’Armata Rossa di Mao Zedong ruppe un accerchiamento e iniziò la “lunga marcia”,
fino ad arrivare nella regione dello Shangsi imbattuti grazie all’aiuto dei contadini.
Mao considerava il proletariato rurale il soggetto destinato alla battaglia sociale per la riforma
agraria e antimperialistica per liberarsi del dominio giapponese.
Quando il Giappone occupò la Manciuria, Kai-shek aspettò l’intervento degli Stati Uniti, mentre i
comunisti, d’accordo con le decisioni del Comintern, proposero di fermare la guerra civile per
affrontare il nemico straniero comune.
Questa linea patriottica vinse e nel 1936 Kai-shek iniziò a trattare con Enlai (capo comunista).

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Nel 1937 il Giappone attaccò e nelle campagne aumentò il sostegno dei contadini alla guerriglia dei
comunisti contro giapponesi e collaborazionisti (latifondisti cinesi).
(oss alla fine della seconda guerra mondiale, la Cina liberata dalla sconfitta del Giappone, guidata
da Kai-shek sarebbe dovuta restare nell’orbita occidentale, come stabilito con Stalin, Roosevelt e
Churchill; così nel 1946-47, il Guomindang attaccò più volte le basi del Partito comunista, Mao
rispose aumentando la confisca di terre ai contadini ricchi che rafforzò il suo partito anche al sud.
Nel 1948 i comunisti iniziarono una guerra contro le truppe nazionaliste, finché non le sconfissero
nel 1949 entrando a Pechino e proclamando la Repubblica popolare cinese.)

INDOCINA (thailandia+vietnam+cambogia) francese


Nell’Indocina francese nacque il Partito nazionale (1927) (ispirato al Guomindang), i cui
rappresentanti sedevano nelle istituzioni francesi senza poteri effettivi.
Opponendosi a questa strategia di collaborazione, Nguyen Ai Quoc\Ho Chi-min, fondò il Partito
comunista del Vietnam (1931) e organizzò la rivolta indipendentista tra soldati e contadini.
Sconfitta la Francia nella seconda guerra mondiale, il Vietnam venne occupato dal Giappone.
Sconfitto anche il Giappone, nel 1945 il Vietminh (fronte per l’indipendenza del Vietnam fondato
dai comunisti) lanciò l’insurrezione nazionale: costituì il governo provvisorio di Ho Chi-min e
proclamò l’indipendenza (2 settembre 1945).

INDIA
Le campagne dell’India continuavano ad essere povere, sebbene gli inglesi avessero promosso le
ferrovie e l’irrigazione a favore della commercializzazione dell’agricoltura e dell’industria
tessile, poiché i profitti erano monopolio dell’élite di ricchi possidenti.
Comunque, il regime coloniale britannico prosperava grazie alla divisione religiosa tra hindu e
musulmani, a cui si appoggiavano in quanto minoranza e quindi più moderati sul problema
dell’indipendenza nazionale.
Il movimento anticoloniale indiano fu dominato da Gandhi (mahatma, grande anima), ricordato
soprattutto per aver introdotto la forma di lotta politica satyagraha (forza della verità) di resistenza
e disobbedienza pacifica, basata sul concetto di ahimsa (amore).
Nel 1919 guidò un hartal (giorno di astensione dal lavoro, digiuno e preghiera) contro una legge
del governo inglese che prevedeva l’arresto senza processo dei manifestanti politici.
Durante una manifestazione la polizia sparò sulla folla uccidendo dei civili, per cui alla fine il
governo inglese concesse all’India una nuova Costituzione (1919) che fissava una diarchia tra il
parlamento indigeno (censitario) e il governo di Londra.
Nel 1920, battendosi per l’indipendenza, i seguaci di Gandhi conquistarono la maggioranza del
Partito del Congresso (1885, élite indiana e inglesi).
Secondo Gandhi, l’indipendenza dell’India doveva essere una via di sviluppo alternativa a quella
occidentale, basata su:
• rifiuto della civiltà industriale;
• rilancio del khaddar (tessitura a mano);
• boicottaggio delle importazioni inglesi;
• economia di autoconsumo;
Tuttavia, si batté anche contro gli aspetti arcaici della tradizione religiosa indiana, come:
• la subordinazione della donna;
• il dogma dell’intoccabilità che segregava i cittadini più poveri, la casta dei paria;

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Alla fine degli anni ’20 le prigioni indiane erano piena di detenuti politici (disobbedienza civile).
Nel 1930-31, a Londra, si tennero due “Conferenze della tavola rotonda”.
Nel 1932, Gandhi riprese la disobbedienza civile, venne arrestato e iniziò lo sciopero della fame
in carcere, che ebbe risonanza mondiale fino alla ripresa del negoziato per la Costituzione nel 1935.
Nel 1937 entrò in vigore la nuova Costituzione, a favore dell’autonomia e dei poteri legislativi
dei governi provinciali eletti dagli indiani; senza cancellare la diarchia.
Nel Partito del Congresso iniziò a farsi strada l’opposizione del presidente del partito Nehru,
vicina al socialismo europeo, fautrice della piena indipendenza e dello sviluppo industriale.
Durante la seconda guerra mondiale, Gandhi si opponeva alla collaborazione, Nehru si proponeva a
favore degli eserciti alleati contro la minaccia giapponese; la svolta avvenne nel 1945 col governo
laburista di Attlee, favorevole all’indipendenza.
Nel 1947 venne concessa l’indipendenza all’India, che si divise in due stati appartenenti al
Commonwealth:
1. dominion Unione indiana (hindu);
2. dominion Pakistan (musulmano; poi diviso in Pakistan e Bangladesh);

MEDIO ORIENTE, MAGHREB (mauritania+marocco+algeria+libia+tunisia)


Durante la prima guerra mondiale gli inglesi avevano fomentato la rivolta dei popoli arabi contro
l’Impero Ottomano promettendo loro l’indipendenza; in realtà, secondo gli accordi di pace, l’intera
regione mediorientale venne spartita in mandati coloniali tra Francia e Gran Bretagna.
Il restante Impero Ottomano (Istanbul-Turchia, Anatolia) divenne Repubblica turca (1923) con il
regime autoritario monopartitico di Mustafa Kemal, che modernizzò il paese:
• 1928, l’islam non fu più religione di stato;
• trasformazione della vita in senso laico;
• abolizione tribunali religiosi;
• divieto di portare abiti tradizionali;
• soppressione dell’harem;
• introduzione alfabeto latino;
• cognome secondo l’uso occidentale ( Mustafa Kemal Ataturk, padre dei turchi);
• matrimonio civile;
• 1934, voto alle donne;
• 1924, abolizione del califfato (massima autorità temporale musulmana): fine unità
religiosa e politica dell’islam (fede e codice etico che regolava la convivenza civile);
Il dominio coloniale e la fine del califfato radicalizzarono la politica della comunità musulmana:
crebbe il movimento panislamico in opposizione al predominio occidentale tramite il recupero dei
precetti religiosi.
Nel 1928, in Egitto, venne fondata la società dei Fratelli Musulmani dall’imam (autorità
religiosa) al-Banna, secondo cui il ritardo della nazione araba dipendeva dall’allontanamento dalla
religione, per cui proponeva una società:
• senza partiti politici;
• fondata sulla shari’a (legge del Corano);
• basata sul controllo della vita morale dei cittadini da parte dello Stato;
Allora, il mondo islamico venne attraversato da:

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• tendenza universalistica comprendente l’intera Umma (comunità dei credenti Mauritania,
Marocco, Algeria, Libia, Tunisia, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar,
Yemen, Iran, Pakistan, Afghanistan, India);
• tendenze nazionalistiche;
Tra panislamismo e nazionalismo si svilupparono varie idee\movimenti ovvero varie coniugazioni
dell’identità islamica, fondata sulla fede ma partecipe alle lotte per l’indipendenza.
La principale era la differenza tra:
• sunniti (maggioranza);
• sciiti (minoranza Iran, Iraq, Yemen);
Gli sciiti si trovavano principalmente in Iran (1935, ex Persia), unico paese non colonizzato.
Nel 1921, un colpo di stato portò al governo di Reza Khan, che dal 1925 instaurò un governo
autoritario, sostituendo l’imperatore e prendendo il cognome Pahlavi.
Pahlavi iniziò un processo di modernizzazione, trovandosi contro gli sciiti tradizionalisti.
Oltre al panislamismo dei Fratelli Musulmani si diffusero correnti nazionaliste laiche che
aspiravano a una “nazione araba” unita dalla lingua e con religioni diverse (soprattutto in Siria,
Libano), ma si scontrarono con i tradizionali poteri politici e con l’amministrazione coloniale.
In Arabia, il capo dei wahabiti (comunità che rivendicava la purezza dell’islam)
Abd al’-Aziz Ibn Sa’ud costituì un regno indipendente (fino allo Yemen, con la Mecca), dal 1932
Arabia Saudita (successivamente sarà scoperto il petrolio!).

In Egitto, nel 1922 venne concessa l’indipendenza da Londra e si affermò il partito democratico
nazionalista Wafd, di Sa’d Zaghlul.
Nel 1923, alle elezioni a suffragio universale il Wafd ottenne la maggioranza, governando il paese
senza riuscire ad emanciparlo totalmente dalla Gran Bretagna (controllo dell’esercito, della politica
estera).

In Libia, nel 1923 ripartì la riconquista da parte delle truppe italiane, che si scontrarono con la
confraternita islamica della Senussiya, vinta dai fascisti nel 1931.

In Marocco, la tribù Kabili insorse contro i francesi; il capo Ab del-Krim fu sconfitto nel 1926.

In Algeria, il movimento anticoloniale riprese motivi religiosi con l’associazione degli ‘ulama
(dotti della legge islamica) del 1931.

Tuttavia, nelle élite urbane di questi paesi prevaleva il contatto con la civiltà europea (il partito
politico come strumento autonomo e laico).
Partiti anticoloniali con quest’idea, vicini alle sinistre europee, furono: il Partito Destur
(costituzione) in Tunisia, di Habib Bourghiba; il Partito popolare in Algeria, di Haj Messalj;

Le politiche coloniali di Francia e Gran Bretagna in Medio Oriente furono diverse:


• Francia: optò per una politica di autonomia e frammentazione delle diverse comunità
(1925-27, rivolta della comunità dei drusi in Siria);
• Gran Bretagna: accettò l’indipendenza di Transgiordania e Iraq, mantenendo il
controllo sui pozzi petroliferi;
(1922, 1930, ci furono insurrezioni autonomiste dei curdi – popolazione musulmana ma di
lingua indoeuropea, di Siria, Iraq, Turchia, Persia, Unione Sovietica – in Iraq);

PROBLEMA EBRAICO

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Il giornalista Theodor Herzl, nel libro Lo Stato ebraico (1896), sollevò il problema di una patria
per gli ebrei sparsi nel mondo: uno Stato che doveva collocarsi in Palestina, a Sion (luogo biblico
di Salomone); e su questa base nacque il sionismo, movimento di opinione pubblica orientato a
questa soluzione politica del problema ebraico.
Tuttavia, la maggioranza era l’opposizione degli ebrei liberali e socialisti di orientamento
assimilazionista, favorevoli all’integrazione nelle nazioni di appartenenza.
Nel 1917, il ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour affermò i diritti degli ebrei sulla
Palestina. Gli insediamenti degli ebrei in Palestina andarono ad aumentare, fino a suscitare scontri
violenti; continuando comunque a salire a causa della persecuzione nazista.
Nel 1937, il governo inglese propose la creazione di uno Stato ebraico, uno Stato arabo e di un
mandato britannico su Gerusalemme: fu approvata dal congresso mondiale sionista e respinta
dagli stati arabi, secondo i quali era meglio la creazione di un unico Stato Palestinese, alleato
della Gran Bretagna, che tutelasse la minoranza ebraica ma che fermasse l’immigrazione nella
regione.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale gli inglesi necessitavano sempre più l’appoggio dei
paesi arabi, così che approvarono la politica restrittiva sull’immigrazione ebraica in Palestina
ma contemporaneamente, con lo sterminio nazista degli ebrei in Europa, i sionisti arrivarono
all’uso del terrorismo contro le scelte britanniche per poter continuare ad immigrare.
Per le popolazioni arabe, antisionismo e anticolonizzazione contribuirono al panarabismo.
AFRICA SUBSAHARIANA
Nel resto del continente africano mancavano lingua e religione comune, che stavano alla base dei
movimenti nazionali, anticoloniali.
Questi stati erano formazioni artificiali, al cui interno vi erano diversi popoli integrati con la
forza, tutto in funzione degli interessi coloniali che necessitavano la collaborazione subordinata
delle autorità locali; la presenza occidentale ebbe effetti devastanti, perché cultura, religione e
lingua erano fortemente eterogenee.
Perciò, nel 1900, a Londra, ci fu il primo congresso del movimento panafricano, che non poteva
appoggiarsi né a una sola lingua né a una sola religione, ma rivendicava l’indipendenza su:
• ideologia antischiavista;
• vita comunitaria premoderna, preindustriale;
(’30, Francia, lo scrittore senegalese Senghor introduce concetto di négritude: socialismo
umanistico, affermazione della dignità dei popoli africani, pacifica convivenza con gli altri stati).
Con la fine della prima guerra mondiale aumentò la presenza anglofrancese nel continente.
La politica coloniale francese, di imperialismo e assimilation, si concentrava in Africa
occidentale (Senegal, Costa d’Avorio, ecc) ed equatoriale (Ciad, Congo), dove il potere era
esercitato da governatori che rispondevano al governo francese e dai rappresentati delle
aristocrazie locali a cui venne concessa la cittadinanza in cambio di lealtà.
Vennero raggiunti risultati contro la schiavitù e l’analfabetismo e a favore delle infrastrutture.
La politica coloniale dell’impero britannico concesse maggiore autonomia politica, stabilita dal
Commonwealth (1931), ma questo portò alla radicalizzazione della legislazione razziale in
Sudafrica, l’unico dominion inglese dove i bianchi erano in minoranza contro i neri bantu, i meticci
e gli indiani.
I bianchi si dividevano in due gruppi:
1. discendenti dei coloni boeri, di lingua afrikaans; borghesia rurale padrona dell’industria
estrattiva del paese;
2. borghesia urbana, di lingua inglese, padrona delle industrie e dei commerci;
Dal 1926, i neri furono esclusi dagli impieghi qualificati e nel 1936 una legge elettorale divise i
registri, attribuendo ai neri tre rappresentanti bianchi in parlamento.

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All’inizio del 1900, Gandhi aveva iniziato la disobbedienza civile proprio in Sudafrica, per cui
venne seguito il suo esempio e fondato l’African national congress nel 1912, diviso all’interno
dalle rivalità tribali, ma comunque rappresentante della maggioranza nera.
Nel 1943, questo iniziò a boicottare le elezioni separate.
Comunque, solo dopo la seconda guerra mondiale si diffusero sentimenti antirazzisti che si
concentrarono sulla politica di apartheid (segregazione in afrikaans) del Sudafrica, basata sul
predominio politico e nella vita civile di una minoranza su base razziale.
Nel 1946, l’ONU approvò la prima mozione contro questa politica.
Tuttavia, la segregazione razziale caratterizzava anche altri dominion, come in Kenya.
Negli altri territori senza coloni bianchi, come il Ghana, l’Uganda e la Nigeria, il governo inglese si
occupava del commercio di prodotti agricoli cercando di sviluppare uno strato sociale indigeno di
medi e grandi proprietari terrieri che dirigessero le piantagioni (cacao, caffè, cotone).
Il governo inglese vendeva le materie prime estratte da questi paesi e dava una parte del profitto
ai notabili indigeni, in cambio di fedeltà al regime coloniale.
(la crescita di una classe dirigente locale venne bloccata nel Congo belga (dal 1908);

AMERICA LATINA
Durante la prima guerra mondiale, l’ingerenza degli Stati Uniti nell’America Centrale aumentò,
intensificando la politica di interventi militari in Nicaragua, Haiti, Repubblica Dominicana, Cuba,
per ragioni strategiche ed economiche: la debolezza dei regimi politici latinoamericani metteva a
rischio sicurezza militare e investimenti finanziari statunitensi.
Comunque, erano presenti anche investimenti europei che con la guerra vennero interrotti di colpo,
permettendo agli Usa di approfittarne.
Nel 1919 il Congresso approvò una legge che autorizzava le banche ad aprire filiali estere.
La rete bancaria costituì un rilancio degli investimenti diretti per la costruzione delle ferrovie,
impianti elettrici, sfruttamento di giacimenti minerari e petroliferi e piantagioni; allo stesso
tempo, governi e imprese latinoamericane iniziarono ad appoggiarsi a prestiti statunitensi.
Tra il 1914 e 1929 il flusso commerciale aumentò ma non era paritario: gli Usa scambiavano
prodotti finiti con materie prime, impedendo agli stati latinoamericani uno sviluppo industriale
autonomo e detenendo il monopolio di alcune risorse (zucchero, rame, banane).
Questa dipendenza sviluppò monocolture nelle economie di questi paesi, senza possibilità di
crescita produttiva se non su ordinazione nordamericana (Usa, 80% esportazioni).
La dipendenza dagli Usa, con la crisi del ’29, provocò il crollo di prezzi, esportazioni, profitti, la
rovina di contadini e minatori (disoccupazione).
La miseria li portò ad emigrare in massa nelle città in cerca di lavoro, si trattò di
un’urbanizzazione passiva senza prospettive di impiego: nacquero le favelas, sobborghi
poverissimi (Messico, Brasile, Argentina, Cile).
La crisi portò con sé anche la crisi politica: tra 1930-31 11 paesi ebbero un golpe (colpo di stato
violento organizzato dalle forze armate); infatti, l’estrema povertà della popolazione fece perdere
consenso popolare ai governi democratici, ad eccezione del Messico che essendo al confine con
Usa beneficiava di attenzioni strategiche.
Il Messico era stato modernizzato dal presidente Porfirio Diaz (18761911) ma aveva portato al
dominio della grande proprietà terriera, padrona degli ejidos (terre pubbliche di indios e meticci)
e sfruttatrice del lavoro dei peones (contadini poveri).
Nel 1911, la rivolta popolare dei peones rovesciò Diaz e seguì o capi militari contadini Pancho
Villa ed Emiliano Zapata, che nel 1914 decisero come nuovo presidente Venustiano Carranza.
Nel 1917 una nuova Costituzione introdusse:

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• suffragio universale;
• giornata lavorativa di 8 ore;
• un programma di riforma agraria (espropriazione e spartizione dei latifondi tra i contadini;
restituzione degli ejidos);
• nazionalizzazione delle risorse del sottosuolo (petrolio!)
Avendo colpito gli interessi degli Usa, nel 1920 Carranza venne ucciso e Villa fu costretto ad
arrendersi alle truppe dei generali Huerta, Calles, Obregòn.
Obregòn verrà eletto presidente del Messico, appoggiato dagli Usa dopo un compromesso che
garantiva il rispetto dei diritti petroliferi americani e della grande proprietà terriera latinoamericana.
La situazione venne dilaniata da contrasti con gli Usa per le risorse nazionalizzate e con la Chiesa
cattolica per l’istruzione e il latifondo.
Nel 1934, l’instabilità generale si concluse con la presidenza del generale Làzaro Càrdenas,
sostenuto dall’esercito e dal sindacato, che rilanciò la riforma agraria: crebbero gli ejidatarios,
destinatari delle terre espropriate.

Càrdenas godeva di forte consenso popolare e mise in discussione i rapporti di subordinazione


economica con l’Occidente: nel 1937 nazionalizzò i diritti delle compagnie straniere
(Standard Oil, Royal Dutch Shell) e rilevandone i giacimenti.
Le relazioni internazionali tra Messico, Usa e altre potenze cambiarono: era la prima volta che un
paese dipendente usava la legge come affermazione del proprio diritto indipendente.
Comunque nel resto dell’America Centrale continuò la presenza militare statunitense.
Nel 1926 in Nicaragua scoppiò un’insurrezione nazionale guidata da Cesar Augusto Sandino.
Gli Usa intervennero cercando di pacificare il paese, così che nel 1928 alla Conferenza degli stati
americani venne fatta notare la contraddizione tra la fede nella libertà e l’imposizione su altri
stati.
Il presidente Roosevelt, nel 1933 affermò la necessità di una politica che rispettasse i diritti di tutti:
venne firmata una risoluzione che proibiva a ogni nazione l’ingerenza negli affari di un’altra che
portò al disimpegno militare nell’America Centrale (tranne Guantanamo, Cuba).
Comunque, proseguì il colonialismo informale delle compagnie statunitensi private e
l’addestramento per modernizzare gli eserciti\la polizia latinoamericana.
Nel 1924, con il ritiro delle truppe statunitensi dalla Repubblica Dominicana, crebbe la guardia
nazionale locale e il capo Rafael Trujillo divenne presidente nel 1930, usando la violenza.
Sostenuto da ceti finanziari e grandi proprietari terrieri governò fino al 1961.
In Nicaragua, le truppe se ne andarono nel 1933, e il comandate della guardia nazionale Anastasio
Somoza fece uccidere Sandino e nel 1936 divenne presidente con la violenza, fino al 1979.
Nel 1933 iniziò la dittatura cubana di Fulgencio Batista, che iniziò a governare nel 1940.
A Cuba, gli investimenti statunitensi nella coltivazione\raffinazione dello zucchero avevano creato
un ceto borghese locale che si occupava delle attività finanziarie, per cui con la crisi del ’29 si
radicalizzò il conflitto sociale, nel quale il Partito comunista cubano era il più forte dell’America
Latina e sostenuto dalla classe operaia in maggioranza.
Batista divenne arbitro di un compromesso tra Partito autentico dell’ex presidente San Martin e il
Partito comunista (legalizzato 1938): nacque un regime nazionalista che avviò la
nazionalizzazione dell’industria zuccheriera, senza poter sviluppare l’economia in altri campi.
Anche il Venezuela fu caratterizzato dallo sviluppo basato sull’esportazione di un solo prodotto
naturale: il petrolio (scoperto nel 1910), che attrasse investimenti nordamericani via dal Messico.
Con la dittatura di Juan Vincente Gomez si aprirono le porte alle compagnie petrolifere
straniere: nel 1922 una legge stabilì il regime delle royalties (diritti di concessione dei pozzi,

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pagati in percentuale sugli utili al governo locale) i cui proventi aumentarono la corruzione della
casta militare, fino a trasformare i latifondisti in una borghesia finanziaria speculativa.
Negli anni ’40 si diffonderà il populismo progetto politico neoconservatore che intendeva
ampliare le basi sociali dello Stato con la formazione di partiti di massa, con la mobilitazione dei
ceti popolari, senza intaccare il predominio della grande proprietà terriera.
In Perù il populismo e il panamericanismo si espressero con l’Alianza popular revolucionaria
americana (APRA, 1924) che mirava all’unità politica dell’America Latina contro l’imperialismo
statunitense, nazionalizzando terre e industrie. Comunque, non riuscendo a realizzarsi si unì al
governo conservatore e clericale di Benavides che nel 1937 lo mise fuorilegge, anche se l’APRA
si diffuse in Bolivia, Ecuador, Brasile, Paraguay, Venezuela negli anni ’30.
Nel 1932-35 ci fu la Guerra del Chaco (regione petrolifera del Paraguay contesa dalla Bolivia),
contesa tra due compagnie straniere: la Standard Oil con la Bolivia e la Shell con il Paraguay, che
alla fine trovarono un compromesso sebbene continuarono i colpi di stato per il controllo delle
risorse petrolifere.
Brasile populismo, presidenza-dittatura di Getulio Vargas (1930-45);
Argentina populismo, presidenza Juan Domingo Peròn;

ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

GUERRA CIVILE SPAGNOLA (1936-39)


A governare il paese c’era il re Alfonso XIII appoggiato dalla Chiesa e dall’esercito.
Nel 1921 a causa di una ribellione guidata da Ab del-Krim nelle colonie in Marocco si aprì una
grave crisi, che si concluse nel 1923 con il colpo di stato di Miguel Primo de Rivera appoggiato
dal re: venne sciolto il parlamento, introdotta la censura, non vennero cancellate però le conquiste
sociali degli anni precedenti, così da ottenere la collaborazione del sindacato socialista di
Caballero. Questi avviarono una politica di lavori pubblici che risanò la disoccupazione e la
produzione industriale, aggravando però il debito pubblico.
Dal 1925-27 grazie all’aiuto della Francia, de Rivera represse la rivolta in Marocco e nel 1930 si
dimise per colpa del malcontento popolare dovuto alla miseria e per le aspirazioni democratiche
che iniziarono a diffondersi.
Nel 1931 i monarchici persero alle elezioni e re Alfonso XIII lasciò il paese, allora l’assemblea
costituente scelse socialisti e repubblicani di sinistra che promulgarono la Costituzione
repubblicana, la quale introdusse: suffragio universale, libertà religiosa, separazione stato
\chiesa.

Dal 1932-33 ci fu il governo repubblicano di Azana, che ebbe una ricaduta in seguito alla
questione della riforma agraria fallimentare; nel 1933 a Barcellona un gruppo anarchico iniziò uno
sciopero generale che si diffuse e alle elezioni vinsero le destre, dando inizio al bienio negro,
provocando scioperi e una svolta rivoluzionaria dei comunisti\socialisti.
Questo portò le sinistre a unirsi nel Fronte Popolare, che conquistò la maggioranza alle elezioni
del 1936, scatenando l’opposizione autoritaria dei cattolici di Robles e della Falange (1933),
partito estremista fondato dal figlio di de Rivera. Le forze armate si rivoltarono contro la legalità
comandate da Franco, dando inizio alla guerra civile.

Il processo di internazionalizzazione lo rese uno scontro tra fascismo e antifascismo, l’Italia


sostenne Franco mentre volontari comunisti arrivarono da tutta Europa:
• 1937, la città di Guernica fu rasa al suolo;
• 1939, la guerra civile si concluse con la caduta di Barcellona e Madrid;

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Iniziò il governo di Franco, riconosciuto da Francia e Inghilterra, che sebbene rimase neutrale
appoggiò l’Asse Italia-Germania-Giappone.

ITALIA IN GUERRA e SCONFITTA DEL FASCISMO


L’Italia, subordinata e dipendente dalla Germania, non riuscì a colmare la debolezza militare.
Le città si sfollarono per i bombardamenti, tranne Roma che veniva ritenuta sacra, nonostante nel
1943 venne colpita anch’essa.
L’ostilità per il fascismo iniziò nel 1942, quando ci si rese conto che il regime aveva voluto la
guerra senza saperla combattere. Da Marzo 1943 i primi scioperi scoppiarono al Nord: avevano
rivendicazioni economiche ma anche politiche, richiedevano la pace.
Il regime non era più in grado di mantenere l’ordine, unico motivo per cui il re e i ceti dirigenti lo
avevano sostenuto, per cui, tra gli scioperi e lo sbarco degli alleati in Sicilia, la credibilità del
fascismo era consumata e il regime cadde con una congiura di palazzo: il 25 luglio 1943 Mussolini
fu fatto arrestare dal re.
Gli successe il governo Badoglio: proclamò la continuazione della guerra, chiese aiuti alla
Germania per contrastare gli alleati ma allo stesso tempo trattò segretamente l’armistizio del 3
settembre 1943 con gli alleati, reso pubblico l’8 settembre.
A conti fatti, Badoglio, il re e le forze armate scapparono da Roma.

Il 9 settembre gli Alleati a Salerno vennero contrastati dai tedeschi, per cui rimasero a combattere
sulla linea Gustav, lasciando l’Italia del Nord ai tedeschi.
Contemporaneamente, nacque il Comitato di liberazione nazionale (CLN) a cui aderirono il
partito democratico, liberale, socialista, democrazia cristiana, d’azione e comunista, i quali
avevano mantenuto un’organizzazione clandestina di Resistenza.
L’Italia meridionale restò quindi in mano agli alleati, interessati a garantire la continuità dello Stato.
Il CLN chiese l’allontanamento del re, ritenuto responsabile del fascismo.
A Marzo 1944 l’URSS riconobbe il governo Badoglio, dando il via alla svolta di Salerno: il
leader comunista Togliatti tornò in Italia, i partiti del CLN entrarono nel governo Badoglio per
estendere l’unione antifascista e 4 giugno 1944 la liberazione di Roma portò a un compromesso:
il figlio del re Umberto come luogotenente e il governo Bonomi.
Il 23 settembre 1943 a Salò i tedeschi liberarono Mussolini e lo posero a capo della Repubblica
sociale italiana (RSI), la Repubblica di Salò: collaborazionista della Germania nazista.

Nel frattempo, continuò la Resistenza partigiana organizzata dal CLN, guidata dai partiti che si
differenziarono in linee di appartenenza unite da un fine comune.
Il movimento partigiano dette vita a un’insurrezione nazionale nel 1944, insieme agli
angloamericani: 1 aprile 1945, vennero liberate Genova, Milano, Torino, già prima dell’arrivo
degli alleati.

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SECONDA GUERRA MONDIALE

Fu la prima guerra globale, totale e di movimento scaturita da un conflitto ideologico e di sistemi


politici con l’obiettivo di annientare il nemico.
I successi militari della Germania furono dovuti alla strategia del Blitzkrieg, la guerra lampo:
campagne di movimento veloci di bombardamenti per conquistare paesi che avrebbero fornito
materie prime e fabbriche per incrementare la produzione e sostenere la guerra senza rovinare la
nazione.

Iniziò il 1 settembre 1939, quando la Germania invase la Polonia, scatenando l’entrata in guerra
contro Francia e Gran Bretagna.
Al contempo, l’Armata Rossa sovietica entrò in Polonia orientale, Ucraina, Bielorussia e
Finlandia: territori essenziali per difendere Leningrado (San Pietroburgo).

Secondariamente, Hitler conquistò Danimarca e Norvegia, dove s’instaurarono movimenti


“collaborazionisti” nei confronti delle truppe naziste.

Sul fronte occidentale, ci furono mesi di drole de guerre: gli eserciti si fronteggiava senza
scontrarsi, le truppe tedesche in vantaggio numerico e di preparazione poiché il comandate francese
si era organizzato per una guerra di posizione lungo la linea Maginot, un sistema di fortificazioni
lungo la frontiera con Germania-Svizzera.
Il 10 maggio 1940 i tedeschi attaccarono Olanda e Belgio; mentre il 14 giugno 1940 Parigi fu
occupata dalle truppe naziste e la Francia venne divisa in due: al Nord il controllo tedesco, a Sud
l’amministrazione di Pétain con capitale Vichy dopo aver firmato l’armistizio.
Il 10 giugno 1940, a cose fatte, l’Italia entrò in guerra.

La Gran Bretagna di Churchill divenne la capitale della Resistenza al nazismo.


Churchill chiese aiuto agli USA che inviarono armi e munizioni; denunciando il collaborazionismo
della Francia e attaccandone la flotta in Algeria, instaurando poi un blocco navale nell’Atlantico e
nel Mediterraneo.

In Luglio 1940 nella battaglia d’Inghilterra, i tedeschi concentrarono i bombardamenti su


Londra per indebolire la popolazione e costringere il governo alla pace, senza riuscirci grazie alla
potente aviazione inglese che fu la prima a servirsi dei radar.
Ripiegò allora sulla battaglia dell’Atlantico: un blocco navale che bloccasse gli aiuti statunitensi
e la guerra sottomarina (1939-41).
La guerra non si combatté solo in Europa ma anche nelle colonie in Africa.

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Da Londra il generale De Gualle invitò i francesi alla Resistenza e firmò con Churchill un accordo
per lo sbarco di un contingente anglofrancese in Senegal.

In Agosto 1940, di spontanea volontà e all’insaputa di Hitler per dimostrare superiorità e


autonomia, gli italiani guidati da Graziani attaccarono la Somalia britannica e l’Egitto, mirando
alle aree petrolifere e il nodo strategico di Suez, tuttavia la controffensiva inglese prevalse
rapidamente.

In Ottobre 1940, gli italiani invasero anche la Grecia, ma vennero respinti, costringendo Mussolini
a chiedere aiuto alla Germania che col suo intervento salvò la situazione. Hitler conquistò allora
l’Ungheria e la Grecia.

Nel 1941 in Africa settentrionale la spedizione di Rommel alla guida di tedeschi e italiani
respinse gli inglesi, questi però occuparono Iraq e liberarono Siria e Libano e la controffensiva
spinse gli italiani ad abbandonare l’Etiopia.

Al di fuori dei paesi neutrali (Spagna, Irlanda, Svezia, Svizzera, Turchia) il continente europeo era
sotto il controllo tedesco. Le cose cambiarono con il coinvolgimento dell’URSS e degli USA.

Il 22 giugno 1941 scattò la più colossale spedizione militare della storia, l’Operazione
Barbarossa: l’attacco all’URSS - cruciale per l’ideologia nazista dello spazio vitale a est - e
contro il comunismo; inoltre, sconfitta anche l’URSS, la Gran Bretagna avrebbe chiesto la pace.
L’operazione andò a favore della Germania che quindi diede la priorità all’agricoltura
dell’Ucraina, al carbone del Donetz e al petrolio del Caucaso.
Hitler occupò Kiev e la Crimea e successivamente ripartì verso Leningrado e Mosca.
La controffensiva sovietica nel rigido inverno dei grandi territori sovietici spinsero Hitler a
concludere il conflitto.

In Settembre 1940, Giappone conquistò l’Indocina e firmò un Patto tripartito con Germania e
Italia stabilendo l’aiuto reciproco.
Tuttavia, il Giappone si mantenne neutrale fino al 7 dicembre 1941 quando, senza dichiarazione,
attaccò Pearl Harbour, base militare statunitense nelle Hawaii, distruggendo gran parte della
flotta.
Successivamente, conquistò la Birmania, l’Indonesia e le Filippine, così anche il fronte nel
Pacifico era aperto.
In Aprile 1941 firmò un trattato di non aggressione con l’URSS.

Con l’attacco di Pearl Harbour gli USA posero fine all’isolazionismo. In Marzo 1941, Roosevelt
era riuscito a far approvare il Lend-Lease Act che autorizzava forniture belliche ai paesi amici.
In Luglio 1941, Roosevelt pose l’embargo su petrolio\acciaio per il Giappone e confiscarono i loro
beni\conti negli USA.
In Agosto 1941, Roosevelt e Churchill firmarono la Carta Atlantica, poi sottoscritta da tutti i
nemici della Germania: si definivano progetti\principi per il nuovo ordine in un comune rifiuto
delle guerre e nel rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, oltre alla libera circolazione delle
merci.

In Novembre 1941, USA chiesero a Tokyo di porre fine all’aggressione in Cina.


In Dicembre 1941, USA entrano in guerra contro Giappone.
In Gennaio 1942 la Conferenza di Washington definì la guerra un conflitto ideologico contro il
fascismo, da parte delle Nazioni Unite.

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L’economia della Germania in guerra non venne intaccata troppo grazie allo sfruttamento dei
paesi occupati e della forza lavoro nei campi di concentramento.
Allo stesso modo, l’economia statunitense vide un nuovo sviluppo, un aumento di produzione e il
completo assorbimento della disoccupazione del ’29.

I bombardamenti delle varie nazioni in guerra non distinsero tra obiettivi militari e civili, con il fine
di fiaccare la morale delle popolazioni. Esempio lampante, l’uso della bomba atomica in agosto
1945.

In Ottobre 1942, le armate italo-tedesche a El Alamein in Egitto vennero sconfitte dagli inglesi di
Montgomery.
In Novembre 1942, gli angloamericani sbarcarono in Algeria e Marocco.

Nell’autunno del 1942, i sovietici riuscirono ad accerchiare i tedeschi a Stalingrado.

Nel 1942, USA bombardarono Tokyo e la flotta giapponese nella battaglia delle isole Midway,
guerra di logoramento. In Febbraio 1943, gli USA vinsero a Guadalcanal.

In Febbraio 1943, l’armata tedesca di von Paulus si arrese a Stalingrado contro gli ordini di
Hitler, iniziando una lunghissima ritirata.
Nell’inverno del 1942-43, i tedeschi subirono sconfitte in Russia, Pacifico, Africa.

In Maggio 1943 gli americani di Eisenhower vinsero in Algeria\Marocco.


Il 10 luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia.
Il 25 luglio 1943, Mussolini venne arrestato per ordine del re d’Italia: cadde il fascismo e
s’instaurò il governo di Badoglio che firmò l’armistizio con gli alleati.

In Novembre 1943, si tenne la Conferenza di Teheran tra Roosevelt, Churchill e Stalin dove si
prefigurarono le future sfere d’influenza delle tre potenze e mettendo l’Italia sotto il controllo
degli Alleati. Fu deciso di aprire un nuovo fronte in Europa, ma gli USA per mantenere il consenso
interno decisero di attaccare solo in situazioni di superiorità.

Il 6 giugno 1944, il colossale Sbarco in Normandia portò alla capitolazione delle truppe
tedesche: gli Alleati liberarono Parigi, e De Gaulle costituì un governo.

Un’insurrezione a Varsavia venne repressa nel sangue con la deportazione.


In Marzo 1945 gli angloamericani da occidente e i sovietici da oriente, bombardarono la Germania
fino al crollo del Terzo Reich che avvenne in Maggio 1945.
Il 30 aprile 1945, Hitler si suicidò.
Il 2 maggio 1945, Mussolini venne fucilato e impiccato dai partigiani italiani.
Il 7-8 maggio 1945, ci fu la resa incondizionata della Germania, firmata da Eisenhower e
Zukov.

Il 6 agosto 1945, Truman mandò la prima bomba atomica su Hiroshima, il 9 agosto 1945, la
seconda bomba atomica su Nagasaki.
Il 14 agosto 1945, ci fu la resa incondizionata del Giappone.

In Aprile-giugno 1945 nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

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NUOVO ORDINE EUROPEO x SHOAH
In Luglio 1940, il regime nazista propose il “nuovo ordine europeo”: progetto del futuro dopo
guerra una volta conquistato lo spazio vitale a est e la supremazia della razza tedesca riunita in
una Grande Germania:
• Austria;
• Alsazia-Lorena;
• Lussemburgo;
• Boemia;
• Moravia;
• Polonia;
Circondata da paesi satelliti:
• Italia;
• Ungheria;
• Romania;
• Bulgaria;
• Slovacchia;
• Finlandia;
E i paesi dell’Europa settentrionale-occidentale, per lo sfruttamento.

In Giugno 1941, con l’attacco all’URSS venne introdotto il “Piano generale per l’Est”: la
programmazione della deportazione in Siberia delle razze inferiori.
Gli ebrei erano già stati reclusi nei ghetti, ma con l’aumento delle conquiste aumentarono di
numero: iniziarono le fucilazioni di massa.
In Settembre 1941, il decreto “notte e nebbia” dispose la deportazione dei prigionieri di guerra
nei Lager.
In Ottobre 1941 vennero aperti in Polonia i nuovi campi di concentramento: Auschwitz,
Birkenau, Triblinka.

In Gennaio 1942, i capi di SS, polizia, ministeri, partito nazista e il governo polacco presero la
“soluzione finale” del problema ebraico: rastrellamenti degli ebrei da deportare nei campi di
concentramento, dove prima avrebbe agito la selezione naturale e poi i più forti sarebbero stati
sterminati.
Lo sterminio degli ebrei è stato erroneamente chiamato “olocausto” (antichi riti sacrificali alle
divinità), mentre gli ebrei lo definiscono shoah “distruzione”.

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GUERRA FREDDA

Effetti della seconda guerra mondiale furono:


• il ridimensionamento del peso dell’Europa sulla scena mondiale;
• l’avvento del sistema bipolare centrato sulle due grandi potenze uscite vittoriose: USA,
URSS;
• il processo di decolonizzazione che portò all’indipendenza popoli coloniali dell’Asia e
dell’Africa;
• l’inizio dello sviluppo economico che dette vita alla globalizzazione;

Le conferenze per decidere l’assetto del dopoguerra furono:


1. 1943, Conferenza di Teheran: Roosevelt ribadì i principi della Carta Atlantica, ritenendo
che le grandi potenze avrebbero dovuto garantire l’ordine mondiale, ripudiando la guerra e
ogni tipo di protezionismo doganale;

2. 1945, Conferenza di Yalta: il controllo dei paesi sconfitti venne affidato agli eserciti che li
avevano conquistati, per cui, l’Europa orientale andò all’URSS e per la Germania si decise
di dividerla provvisoriamente in quattro zone e che avrebbe dovuto pagare pesanti
riparazioni; fu creato un Consiglio di controllo per la denazificazione e la riconversione
economica tedesca;

3. 1945, Conferenza di Potsdam: dove Truman preannunciò di voler usare la bomba atomica
sul Giappone;

Nel 1945, inoltre, fu costituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

Nel 1946 iniziarono ad incrinarsi i rapporti tra USA e URSS:


• Febbraio 1946, Stalin parlò di un inevitabile scontro socialismo-capitalismo e l’esperto del
Dipartimento di stato americano Kennan formulò la teoria del “contenimento” da parte
degli USA nei confronti della politica sovietica;
• Marzo 1946, Churchill nominò la “cortina di ferro” dell’URSS intorno all’Europa
orientale;
Nel 1947 venne formalmente dichiarata la guerra fredda con la Dottrina Truman: gli USA si
sarebbero sentiti minacciati da qualunque aggressione contro la pace e la libertà e avrebbero aiutato
i popoli liberi a difendersi; questo collegato alla teoria di contenimento e al fatto che nell’Europa
orientale stava dilagando il comunismo.

Nel 1949 l’URSS sperimentò la prima bomba atomica, mettendosi al pari degli USA e
proseguendo la propria industria degli armamenti.

L’economia si legò all’ideologia statunitense: doveva riprendere la produzione, lo sviluppo e il


commercio dei nuovi beni di consumo caratteristici dell’American way of life: riprendere gli
scambi commerciali significava contenere il comunismo.
La guerra fredda fu quindi una questione strategica di:
• geopolitica;

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• economia;
• ideologica-culturale;

Successivamente alla dottrina Truman, venne elaborato il Piano Marshall: il piano di aiuti
economici per ricostruire l’Europa (European Recovery Program, 1947).
Gli USA temevano che in Europa, finita la dominanza inglese e visti gli altri deboli governi, potesse
imporsi la minaccia comunista in assenza di un blocco politico\economico statunitense come
garanzia.
Analogamente, quando venne esposto il piano alla Conferenza di Parigi (1947), il ministro russo
Molotov respinse gli aiuti economici statunitensi per paura di non riuscire a tenere insieme gli stati
conquistati davanti alle offerte americane.

Per cui, si può dire che il piano Marshall costituì la nascita del blocco occidentale, rafforzato poi
dal Patto Atlantico (1949) e dall’organizzazione militare NATO (North Atlantic Treaty
Organization, 1949).

Allo stesso modo, il blocco comunista orientale si riunì nel Cominform (1947): ufficio
d’informazione comunista tra URSS, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria,
Jugoslavia, Italia, Francia.

Epicentro del confronto USA-URSS fu la Germania, in particolare Berlino, divisa in quattro


aree: inglesi, americane, francesi e sovietiche.
Nel 1948 gli angloamericani crearono un governo provvisorio nelle zone controllate con i
francesi; così il comandante sovietico di Berlino introdusse la necessità di un’autorizzazione per
entrare e uscire dalla parte orientale della città.

Nella notte tra 23-24 giugno 1948, Berlino venne separata dal resto della Germania, posta sotto il
controllo sovietico con: l’interruzione delle vie di comunicazione, l’esclusione della parte
occidentale dai rifornimenti energetici e alimentari.
Al che, gli USA organizzarono un ponte aereo per scaricare rifornimenti sulla Berlino occidentale,
interrompendo la fornitura di merci con la Germania orientale.

In Maggio 1949, Berlino fu divisa in:


• Repubblica federale tedesca a ovest;
• Repubblica democratica tedesca a est;

In Agosto 1961-89, venne costruito il muro di Berlino.

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CAP 12
LA DECOLONIZZAZIONE

MOVIMENTI DI LIBERAZIONE IN ASIA


Ancora nel 1945, il diritto di autodeterminazione dei popoli (Quattordici Punti, Wilson) non era
totalmente riconosciuto, sebbene persistesse l’idea di una “decolonizzazione” come base di futuri
rapporti pacifici e paritari (Carta Atlantica (1941), Roosevelt e Churchill).
Nel 1945, venne approvata la Carta delle Nazioni Unite che riconobbe territori non-self-
governing e riprese l’idea del mandato, facendo dei governi coloniali amministrazioni temporanee
finché non fosse stata possibile l’indipendenza.
Comunque, distrutte dalla seconda guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna diminuirono il loro
controllo politico e militare sulle colonie.
La Gran Bretagna dichiarò l’intenzione di dichiarare tutti i possedimenti come dominions del
Commonwealth, in cambio di rapporti economici-commerciali-politici privilegiati.
La Francia, con la Costituzione del 1946, riconosceva la cittadinanza di tutti i sudditi dell’impero,
ma in realtà ostacolò l’indipendenza di Indocina e Algeria, provocando lunghe guerre.
Gli Stati Uniti continuarono il loro “imperialismo informale” – già applicato agli stati
latinoamericani negli anni ’30 – in Giappone e Europa occidentale, in funzione antisovietica,
con:
• aiuti economici per favorire la ripresa economica;
• controllo indiretto della vita politica;
• controllo della gestione delle risorse;
Sia potenze alleate che Giappone avevano suscitato movimenti indipendentistici che avevano
provocato guerriglie e diffuso la mobilitazione per la libertà nazionale e l’autogoverno.
Nel 1941-42, il Giappone aveva sconfitto le potenze coloniali europee e dopodiché gli stati avevano
collaborato (Indonesia e Birmaniamovimenti anticoloniali collaboratori) o meno (Malesiaguerriglia
antigiapponese con sostegno degli alleati); comunque, erano nati nuovi soggetti politici
indipendentisti, rafforzati dalla sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale.
Nel 1947 l’India conquistò l’indipendenza, aprendo la strada alle altre nazioni, come la Cina di
Mao Zedong (1949guerriglia contadina per la riforma agraria, ideologia marxista).
L’indipendenza dell’India aprì il conflitto tra la maggioranza hindu e la minoranza musulmana.
Gandhi propose l’integrazione della popolazione islamica, ma la Lega musulmana di Alì Jinnah
rivendicava una nazione separata; inoltre, il regime britannico aveva alimentato le divisioni
religiose interne per indebolire l’opposizione indipendentista. La decisione fu di creare due stati:
• Unione Indiana, maggiorana hindu;
• Pakistan, maggioranza musulmana;
Ma l’esodo provocò violenze tra hindu e musulmani, oltre all’assassinio di Gandhi nel 1948 da un
parte di un fanatico hindu contro la sua tolleranza.
Comunque, i conflitti continuarono, per la regione del Kashmir, musulmana ma dell’India, finché
nel 1971 non portò alla nascita del Bangladesh (Bengala orientale).
Dal 1947 al 1964 ci fu il governo del Primo ministro Nehru, del Partito del congresso, vicino al
pensiero democratico occidentale e al socialismo, favorevole alla modernizzazione, infatti:
• abolì il sistema delle caste;
• riconobbe uguaglianza giuridica e parità dei sessi;
• mantenne la proprietà privata ma con una riforma agraria;
• In politica estera, Nehru fu promotore del movimento dei non allineati (Conferenza
Bandung, 1955).
LA GUERRA DI COREA
Dopo la guerra emersero nell’Asia orientale due principali modelli:

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comunista (cinese) che si basava sul collettivismo e su una pianificazione centralizzata in
campo economico;
capitalista (giapponese) che si fondava sul libero mercato e graduali riforme sociali;
La Corea era stata divisa in due aree: la Corea del Nord era occupata dall’esercito sovietico e la
Corea del Sud aveva invece un governo nazionalista sostenuto dagli americani.
Con il clima della guerra fredda, le due aree si trasformarono in stati indipendenti, ciascuno dei
quali rivendicava contro l’altro la propria sovranità sulla penisola.

Nel 1950 le truppe nordcoreane armate dai sovietici invasero il sud della penisola.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU condannò allora la Corea del Nord per l’aggressione e approvò
un piano di intervento militare: venne allestito un contingente comandato da MacArthur
(composto prevalentemente da statunitensi) e in pochi mesi vennero riconquistati i territori presi
dai nordcoreani. Il contingente occupò poi la capitale del Nord e si diresse verso il confine cinese.

La Cina, temendo un attacco americano, inviò allora numerosi rinforzi in soccorso alle truppe
nordcoreane e così la controffensiva comunista ribaltò il conflitto.
Il generale MacArthur giunse a invocare l’impiego della bomba atomica sulla Cina, ma Truman
optò per aprire le trattative con i nordcoreani.
Nel 1953 venne così firmato l’armistizio che ripristinava la divisione originaria.

La guerra di Corea si concluse con oltre 4 milioni di vittime e dimostrò la quantità e la potenza
degli armamenti delle due potenze.
Infatti nel 1952 gli Usa sperimentarono la bomba a idrogeno e l’anno dopo anche i sovietici
annunciarono di essere in possesso dal medesimo ordigno.
Così a metà degli anni ‘50 si innescò una frenetica corsa al riarmo nucleare che impiegò enormi
investimenti e causò sull’intero pianeta “l’equilibrio del terrore”.

GUERRA DEL VIETNAM (1955-75)


La Francia cercò fino all’ultimo di mantenere il proprio impero, sebbene la Costituzione
riconoscesse cittadinanza ai popoli colonizzati e il governo coloniale fosse stato definito come
transitorio verso una futura indipendenza dall’ONU.
Soprattutto in Indocina, voleva conservare il potere su una federazione di possedimenti:
Cocincina, Annam, Tonchino, Cambogia, Laos; e gestire:
• la difesa militare;
• l’emissione di moneta;
• la politica estera ed economica;
Nel 1945, la Conferenza di Potsdam incaricò le truppe cinesi del Guomindang di disarmare la
resistenza giapponese ancora attiva nel Vietnam del Nord, ma per i francesi, la presenza dei
giapponesi era una garanzia contro il predominio del Vietminh (Fronte per l’indipendenza del
Vietnam, comunista, 1941).
Comunque, i francesi con l’appoggio degli inglesi, nel Vietnam del Sud, erano riusciti a reprimere
il Vietminh e a restaurare il proprio potere.
Allora, nel 1945, il leader comunista Ho-Chi-Minh proclamò l’indipendenza del Vietnam dalla
capitale del Nord Hanoi, annunciando le elezioni per l’Assemblea costituente e introducendo:
• giornata lavorativa di 8 ore;
• uguaglianza dei sessi;
• sistema di istruzione pubblica;
• confisca dei beni dei grandi proprietari terrieri;
Nel 1946, iniziò una trattativa che portò alla sostituzione delle forze cinesi con quelle francesi,
mentre il negoziato per la sovranità del paese stabilì solo una pace militare.

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Tuttavia, la Francia voleva difendere i propri interessi nelle piantagioni di caucciù del paese, per
cui iniziò la Guerra d’Indocina (1946): bombardò il porto di Haiphong a cui l’esercito
nordvietnamita di Vo Nguyen Giap rispose con la forza per poi ritirarsi nella giungla.
Durante la guerriglia del Nord, nel Vietnam del Sud i francesi costituirono uno Stato vietnamita
(1949) governato dall’ultimo imperatore Bao Dai, riconosciuto da Stati Uniti e Gran Bretagna
(si trattava dell’ultimo territorio di influenza occidentale in un’Asia indipendente e comunista!).
La monarchia di Bao Dai era priva di autorità, corrotta e controllata dalle truppe francesi, così che
gli Stati Uniti offrirono un sostegno finanziario, fino a pagare le spese di guerra.
Essendo in piena Guerra Fredda era sconsigliato l’intervento di Usa o Urss, ma nel 1953 la Francia
lanciò un’offensiva in tutta l’Indocina e creò una base a Dien Bien Phu, nella guerriglia del
Vietnam del Nord: le truppe nordvietnamite circondarono la base e vinsero nel 1954.
Nel 1954, con la Conferenza di Ginevra si cercò una soluzione per la Guerra di Corea e Vietnam:
Cina e Urss riuscirono a imporre la Repubblica del Vietnam del Nord ma convinsero Ho-Chi-Min
a dividere il paese in due stati indipendenti, mentre gli accordi proibirono alleanze militari e
fissarono le elezioni entro due anni per una pacifica riunificazione.
Tuttavia, nel Nord si affermò il regime a partito unico Lao Dong (Partito dei lavoratori) con la
nazionalizzazione della produzione e l’esproprio della grande proprietà terriera; mentre, nel Sud
venne rovesciato Bao Dai nel 1955 e l’instabilità politica provocò lotte tra le fazioni politiche.
Nel 1960, un golpe militare riportò il presidente Diem, mentre alcune fazioni politiche crearono si
definirono Vietcong (comunisti vietnamiti) riuniti nel Fronte di liberazione nazionale del
Vietnam del Sud (FNL).
Nel 1961, il FNL attaccò alcune zone del Sud, provocando l’intervento degli Stati Uniti:
Kennedy mandò a Saigon (capitale Sud) denaro e armi.

Nel 1962, il comando militare di Saigon intensificò l’attività militare del Vietnam del Sud
contro i Vietcong, mentre la politica religiosa di Diem contro i buddisti portò all’arresto e alla
protesta non violenta dei monaci che si diedero fuoco pubblicamente: per questo un altro golpe
militare appoggiato dagli americani uccise Diem.
Comunque, i Vietcong continuarono ad aspirare alla riunificazione per via militare.
Francia e ONU tornarono a negoziare per ratificare la supremazia del Vietnam del Nord ma
questo portò gli Stati Uniti a intervenire per non perdere l’ultima base nel Sud-est asiatico: nel
1964 attaccarono nel Golfo del Tonchino iniziando la Guerra del Vietnam.
Il Nord del paese venne attaccato da bombardamenti aerei, i soldati americani aumentarono.
Nel 1968, durante il Tet (capodanno buddista) l’offensiva nordvietnamite comportò numerose
perdite ma fu decisiva per il ritiro degli Stati Uniti, che annunciarono la fine dei bombardamenti
e l’avvio dei negoziati di pace.
Il nuovo presidente Nixon completò il ritiro delle truppe nel 1973, ma la guerra civile vietnamita
continuò fino alla conquista di Saigon dei nordvietnamiti e l’unificazione del paese nel 1975.

PAESI ARABI, ISRAELE


In Medio Oriente mancavano la guerriglia comunista e i contadini senza terra per rivendicare
l’indipendenza, mentre era cresciuto il movimento panarabo durante la guerra, a cui Francia e
Gran Bretagna avevano promesso l’indipendenza in cambio di aiuto militare.

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Nel 1944 ci fu una Conferenza tra Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita e
Yemen che portò alla formazione della Lega araba, che nel 1945 approvò una Carta che mirava
all’indipendenza dei popoli arabi e a trovare una soluzione per il problema palestinese-ebraico.
Nel 1946 le truppe anglo-francesi liberarono Siria e Libano, governate dai movimenti nazionali.
Fra le due guerre gli insediamenti ebraici in Palestina si basavano sulla colonizzazione pacifica
tramite i kibbutz: sfruttamento delle terre acquistate in strutture collettive, senza proprietà privata,
senza denaro, con l’educazione comune dei figli.
Dal 1945 il leader degli ebrei in Palestina, David Ben Gurion, guidò proteste contro il mandato
inglese al governo dell’area e al contempo si distinsero gruppi terroristici come Haganah e Irgun
di Menachem Begin, responsabili di attentati contro arabi e inglesi.
Nel 1947 la Gran Bretagna si ritirò e l’ONU propose la divisione della Palestina in:
1. Stato ebraico;
2. Stato palestinese;
3. Gerusalemme zona internazionale dell’ONU;
Ma il piano venne sabotato: nel 1948 Irgun attaccò il villaggio arabo di Deir Yassin, dopodiché
venne proclamato lo Stato di Israele (1948) con l’appoggio e la difesa occidentale.
Nel 1949 iniziò lo smembramento della Palestina: Cisgiordania e la striscia di Gaza vennero
annesse a Giordania e Egitto.
Questa sconfitta rafforzò i movimenti nazionalisti arabi.
In Egitto, nel 1952 un colpo di stato depose il re Faruk e portò alla Repubblica del colonnello
Gamal ‘Abd el-Nasser; il nuovo regime:
• sciolse il movimento panislamico dei Fratelli Musulmani a favore di una fisionomia laica;
• nel 1956, nazionalizzò il canale di Suez e con i proventi finanziò lo sviluppo del paese e
la costruzione di una diga sul Nilo;
Ne derivò una crisi internazionale e la fine del dominio anglo-francese.
Numerosi furono i tentativi di creare un’unione panaraba senza riuscirci, sia a causa del conflitto
con Israele sia per i contrasti fra gli stessi paesi arabi; mentre sul piano economico, nel 1960
nacque il cartello OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) dei paesi
produttori di petrolio: Venezuela, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Libia, Indonesia,
Emirati Arabi, Algeria, Nigeria, Ecuador, Gabon; basata sul controllo di produzione e prezzi.
Ultimo paese arabo ad ottenere l’indipendenza fu l’Algeria, colonia francese, dopo una guerra
iniziata nel 1954 con la creazione del Fronte di liberazione nazionale (1954).
L’esercito francese, tra il 1954-59, agì deportando la popolazione in “centri di raggruppamento”
e ricorrendo allo spionaggio dei servizi segreti.
Nel 1957, la guerriglia iniziò ad Algeri e i francesi usarono la tortura per ottenere informazioni.
Tuttavia, in Francia l’opinione pubblica era contro gli abusi dell’esercito e a favore
dell’indipendenza.
Nel 1958 tornò al governo De Gaulle, contemporaneamente venne scoperto il petrolio nel
Sahara: la politica francese si spostò su una progettazione di un piano di investimenti per
industrializzare l’Algeria, proponendo al Fronte di liberazione un negoziato, iniziato nel 1960.
Tuttavia, i pieds noirs (coloni francesi) e alcuni generali dell’esercito crearono l’OAS
(Organisation de l’Armée sécrète) con a capo Raoul Salan, per difendere l’Algeria francese, anche
col terrorismo.
Nel 1962, repressa l’OAS e arrestato Salan, un referendum sancì l’indipendenza dell’Algeria.
Comunque, nello scenario mediorientale iniziarono a diffondersi regimi autoritari, come le
monarchie di Marocco, Giordania e Arabia Saudita, di posizioni filoccidentali; le repubbliche
nazionaliste laiche come Egitto, Siria e Iraq, di influenza filorientale.
Nel 1958, in Iraq, ci fu il colpo di stato di Kassem.
Nel 1962, colpo di stato in Yemen.

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Nel 1969, in Libia, il colpo di stato di Gheddafi.
Nel 1970, in Siria, quello di al-Asad.
Nel 1964, in Egitto nacque l’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), creata da
arabi profughi dei territori di Israele, sparsi a Gaza e Cisgiordania.
Crebbe l’influenza del gruppo Al Fatah guidato da Arafat.
Nel 1967, la guerra dei sei giorni ( truppe israeliane occupano Sinai, Gaza, Cisgiordania, Golan)
provocò altri profughi in Giordania, Libano, Siria e rafforzò la volontà di rivincita araba e del
popolo palestinese, che passò al terrorismo nel 1968.

AFRICA SUBSAHARIANA
Nigeria secessione della regione petrolifera del Biafra appoggiata dagli Stati Uniti
guerra civile 1966-70 blocco imposto al Biafra dalle truppe governative carestia emergenza
umanitaria il medico francese Bernard Kouchner fonda Medici senza frontiere.
Africa neocolonialismo informale: governi e compagnie private occidentali che sfruttavano le
risorse, lasciando il governo alle élite africane corrompendo con forza o denaro presenza di basi
militari, diritti sui giacimenti di materie prime, piantagioni, prodotti da esportazione la
dipendenza dai capitali internazionali impedì lo sviluppo economico dei paesi africani!
L’indipendenza del Sudafrica (1961) non fu proprio una decolonizzazione perché fu proclamata
dalle minoranze bianche per preservare il loro dominio: nel 1948 vinsero le elezioni gli afrikaner
del partito nazionalista, che inaugurò il regime dell’apartheid degli anni ’50: la segregazione
razziale dei neri nelle townships, homelands.
Nacquero movimenti di opposizione dei neri che vennero repressi, in particolare l’African
national congress (ANC) messo fuorilegge nel 1960, mentre il leader Nelson Mandela venne
arrestato nel 1964, fino al 1990.
AMERICA LATINA – POPULISMO, GUERRIGLIA, DITTATURE
I paesi dell’America Latina erano indipendenti da oltre un secolo, ma il problema restava lo
scambio ineguale con le economie occidentali che li rendevano paesi esportatori di materie
prime e importatori di prodotti finiti, impedendone lo sviluppo autonomo.
Negli anni ’40, la risposta erano stati i regimi populisti, con:
• sviluppo industriale sostenuto dallo stato;
• barriere doganali protezionistiche;
Ottenendo grandi consensi nel proletariato urbano e nel movimento sindacale, grazie ai
miglioramenti salariali e allo sviluppo dei diritti sociali, però accanto a limitazioni della libertà
in sistemi corporativi che non ostacolarono le grandi aristocrazie fondiarie a discapito dei contadini.
Principale regime populista fu quello in Argentina di Peròn una dittatura personale iniziata nel
1946, fondata sul Partido laborista, espressione dei sindacati, finita nel 1955 con un golpe
militare a causa della crisi economica e della conflittualità sociale, che aveva portato
all’indebitamento estero.
Punto di svolta nel continente, fu la rivoluzione cubana.
Nel 1952, il golpe militare del generale Batista aveva finito la presidenza populista di San Martìn,
basato sulla nazionalizzazione dell’industria zuccheriera.
Però, il nuovo regime strinse un patto di assistenza militare con gli Stati Uniti e tornò ad essere
subordinato agli interessi americani, per cui nacque un movimento di guerriglia guidato da
Fidel Castro, appoggiato dalle masse rurali grazie al programma di:
• riforma agraria;
• istruzione;
• lotta alla disoccupazione e all’imperialismo;
Nel 1959, i castristi vinsero il dittatore.

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La politica di riforme del governo rivoluzionario conquistò territorio alle compagnie americane,
dando allo Stato il 70% delle industrie e il 40% delle terre.
Fidel Castro andò a Washington a specificare il carattere umanitario della rivoluzione, non
comunista, ciononostante gli Stati Uniti gli negarono sostegno economico, per cui Cuba cercò un
accordo con l’Unione Sovietica per la vendita di zucchero in cambio di crediti finanziari.
Nel 1960, Eisenhower dichiarò gli Stati Uniti contro l’instaurazione di un regime comunista
nell’emisfero occidentale proclamando l’embargo (blocco commerciale), mentre Chruscev
dichiarò la protezione di Cuba con il proprio ombrello missilistico in caso di attacco militare.
Nel 1961, gli Stati Uniti fallirono lo sbarco nella Baia dei Porci e Castro si radicalizzò.
Stati Uniti e paesi latinoamericani firmarono la carta dell’Alleanza per il progresso (programma di
investimenti pubblici e privati di Kennedy), mentre Cuba la respinse.
Nel 1962, Cuba fu espulsa dalla conferenza degli stati americani perché ritenuta marxista-leninista.
La guerra fredda condizionò il regime castrista che accentuò la politica repressiva, il controllo
poliziesco e il peso dell’esercito.
Cuba fu l’unico paese latinoamericano a superare l’analfabetismo e strutturare un sistema sanitario
gratuito, senza riuscire a diversificare la produzione dominata dalla monocultura di zucchero.
Nel 1975, una nuova Costituzione dette autonomia alle amministrazioni locali, liberalizzazione
del commercio, mercato dei beni di consumo: crescita economica.
La rivoluzione castrista ispirò altri movimenti rivoluzionari latinoamericani prendendo come
simbolo Ernesto Che Guevara, compagno di Castro.
Comunque, la rivoluzione non riuscì: la guerriglia destabilizzò, favorendo governi autoritari, il
blocco della riforma agraria, la repressione e il modello di sviluppo basato sulla dipendenza
estera: negli anni ’60-’70, con il golpe militare, si instaurarono regimi militari spesso appoggiati
dagli Stati Uniti (Cile, 1973, Pinochet – desaparecidos).

CAP 13
L’OCCIDENTE

GOLDEN AGE
Dopo la guerra, si aprì il nuovo ciclo di globalizzazione (nuovi rapporti internazionali,
ridimensionamento Europa, sistema bipolare della guerra fredda, decolonizzazione) fino agli anni
2000, che si divide in due fasi a causa di un momento di svolta (
shock petrolifero, 1973).
La golden age portò con sé uno sviluppo economico, una crescita eccezionale che riguardò il
mondo intero, ma in particolare i paesi capitalisti, aggravando lo sviluppo diseguale fra Nord e Sud.

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La definizione di golden age deriva da:
• tassi di inflazione bassi;
• contenuto debito pubblico;
• disoccupazione sotto il 2%;
In Europa, la crescita economica si accompagnò alla riduzione delle disuguaglianze nella
distribuzione di ricchezza grazie al welfare state.
Si parlò di “miracolo economico” (Italia):
• cooperazione;
• stabilità monetaria;
Tutto ciò, deriva da decisioni prese dagli alleati durante la guerra: nel 1944, con gli accordi di
Bretton Woods venne definito il sistema economico e monetario internazionale
(
collaborazione con l’economista britannico John Maynard Keynes); per cui venne adottato il gold
dollar standard: la convertibilità del dollaro in oro per garantire stabilità agli scambi
internazionali, così che gli Usa divennero la superpotenza economica al posto della Gran Bretagna.
Vennero creati un Fondo monetario internazionale (FMI), per risolvere le crisi delle valute
nazionali, e una Banca mondiale, per promuovere lo sviluppo dei paesi arretrati.
Questi fattori promossero il commercio internazionale (scambi ed esportazioni) e legarono sempre
più le diverse economie nazionali tramite un processo di internazionalizzazione.
La politica di cooperazione internazionale stabilita a Bretton Woods si attuò nel Piano Marshall
(
piano di aiuti economici all’Europa, ERP) e tramite organismi come:
• General Agreement of Tariffs and Trade (GATT), 1947, per ridurre le tariffe doganali;
• Organizzazione per la cooperazione economica europea, 1948
Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OCSE), 1961;
• Unione Europea (UE), 1950, per facilitare le transazioni in monete europee;
• Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), 1951;
• Comunità economica europea (CEE), 1957;
I fattori che contribuirono alla golden age furono:
1. manodopera industriale a basso costo, causata dalla meccanizzazione dell’agricoltura e
della dovuta disoccupazione; per cui si ebbe un processo di urbanizzazione e le condizioni
migliori nelle città contennero la conflittualità sociale;
2. il divario tecnologico tra Usa, Giappone, Europa, permise l’importazione del modello
americano per aumentare la produttività (
fordismo: produttività in serie della grande impresa, consumi di massa);
3. coinvolgimento dello Stato nell’economia basato su politiche keynesiane: diminuzione del
potere dei gruppi di interesse, largo consenso sociale per la crescita economica
(
Keynes: regolazione dell’economia da parte dello Stato, farla funzionare, ridurre le disuguaglianze
dei redditi, sviluppare l’occupazione
stabilità dei redditi!);
il coinvolgimento dello Stato creò industrie statali e parastatali, un misto tra impresa privata e
pubblica, che aiutarono il mutamento sociale;
Inoltre, vennero attuate politiche di:
• redistribuzione del reddito;
• difesa dei ceti più deboli tramite il fisco;

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Con le politiche di welfare, il welfare state raggiunse l’apogeo e incrementò la spesa pubblica:
ma, durante la golden age l’aumento delle imposte per finanziare i servizi pubblici ottenne grande
consenso sociale e la crescita economica permise di equilibrare entrate e uscite.
La svolta nella golden age, fine dell’espansione, corrisponde allo shock petrolifero del 1973:
quando l’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) aumentò il prezzo del petrolio
a 12$ il barile; fu una scelta politica contro i paesi favorevoli a Israele dopo la guerra del Kippur e
causò una crisi internazionale per gli stati che importavano (tranne Usa e Urss).
Ma già prima iniziarono i segni di crisi:
• 1971, la fine del golden dollar standard, della collaborazione internazionale:
gli Usa, economicamente distrutti dalla guerra del Vietnam, per bloccare l’inflazione
passarono al protezionismo doganale;
• la crescita di nuove potenze economiche, Giappone e Germania, andò a creare un
oligopolio che rese i rapporti economici e monetari internazionali instabili;
• la mancanza di due fattori base: forza lavoro a basso costo, lo stimolo costituito dal gap
tecnologico fra Europa e Usa;
• scelte produttive e di gestione pubblica subordinate alla politica;
La crescita economica (1945-73) fu accompagnata dalla crescita dell’inquinamento:
contaminazione di suoli e acque, uso di fertilizzanti chimici e di risorse naturali non rinnovabili, lo
smog urbano, gli scarichi industriali, le piogge acide; l’aumento di clorofluorocarburi aggravò il
buco nell’Ozono e scomparve la fiducia in una crescita economica illimitata.
Nel 1972, il Massachusetts Institute of Technology (MIT) pubblicò I limiti dello sviluppo, creando
una nuova coscienza ambientale.

LA NASCITA DELL’UNIONE EUROPEA


Fino dalla seconda guerra era chiaro che la guerra fosse stata causata soprattutto a causa dei
sentimenti nazionalisti. La soluzione a queste ideologie era senza dubbio la nascita di
un’organizzazione che unificasse le potenze europee.
Il Manifesto di Ventotene, intitolato originariamente “Per un’Europa libera e unita. Progetto
d'un manifesto”, è un documento per la promozione dell'unità europea scritto da Spinelli, Rossi e
Hirschmann tra il 1941 ed il 1944 durante il periodo di confino presso l'isola di Ventotene.
Il primo passo concreto per la creazione dell’Unione Europea fu la creazione della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio) nel 1951, su iniziativa dei politici francesi
Schuman e Monnet. Questa organizzazione aveva il compito di mettere in comune la produzione
di queste materie prime in Italia, Germania, Francia e nei tre paesi del benelux (Belgio, Olanda e
Lussemburgo). Questa organizzazione fu estesa successivamente con i Trattati di Roma (1957)
che sancivano la creazione del MEC, mercato comune europeo, cioè l’eliminazione di ogni forma
di dazio all’interno dei confini europei. L’Unione nacque dunque su accordi economici e ciò la
rende tutt’oggi debole, vista anche la mancanza di una costituzione e di una forza militare comune.
Era stata prevista la formazione della CED (Comunità europea di difesa), un esercito europeo, a cui
si oppose la Francia, che stava combattendo contro in paesi in via di decolonizzazione e non voleva
perdere la supremazia militare in Europa.
L’Europa aveva anche lo scopo di rompere il duopolio che si era creato e attivare un terzo polo.
Gli Usa non erano molto contenti dell’europeismo, poiché tutti in paesi dell’unione appartenevano
al blocco capitalista.

ANTICOMUNISMO x SVILUPPO – AMERICAN WAY OF LIFE


La guerra aveva lanciato l’economia degli Stati Uniti, ma la riconversione alla produzione di pace
portò una forte inflazione: aumentarono i prezzi e gli scioperi (rivendicazioni salariali).
Truman, nel 1945 pianificò il Fair Deal (
New Deal, Roosevelt):

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• aumento dei minimi salariali;
• sviluppo edilizia popolare e ospedaliera;
• estensione delle assicurazioni;
La minoranza repubblicana si oppose all’intervento dello Stato denunciando presunte
infiltrazioni comuniste nella pubblica amministrazione, riconquistando la maggioranza nel 1946.
Truman seguì lo spostamento a destra dell’opinione pubblica e nel 1947 inaugurò la dottrina
Truman (
dichiarazione guerra fredda, gli Usa si sarebbe sentiti minacciati da qualunque aggressione contro
la pace e la libertà) e le indagini personali contro i potenziali comunisti.
A causa della conflittualità sociale, nel 1947 il Congresso approvò il Taft-Hartley Act: una
limitazione dei diritti sindacali e della libertà di sciopero, che però contribuì all’aumento degli
iscritti e alla vittoria di Truman alle elezioni del 1948, senza ulteriori successi.
Comunque, la guerra fredda portò con sé l’anticomunismo in entrambi i partiti.
(
Theodor Adorno in La personalità autoritaria (1950), la mobilitazione interna contro un nemico
interno debole o inesistente (capro espiatorio) valvola di sfogo delle tensioni sociali).
Joseph McCarthy disse di avere la lista degli agenti comunisti infiltrati e pur essendo smentito
scatenò una campagna inquisitoria contro il comunismo: nel 1950 l’Internal Security Act
legalizzò la schedatura di sospetti comunisti; nel 1954 il Partito comunista divenne fuorilegge.
Il maccartismo diffuse intimidazione, conformismo, limitazione della libertà di opinione.
Nel 1952 vinsero le elezioni i repubblicani con Eisenhower che, con lo scemare della tensione
internazionale (morte Stalin, fine guerra di Corea) nel 1954 chiuse la fase maccartista.
La guerra di Corea inaugurò un nuovo ciclo di crescita economica che avvantaggiò il complesso
militare-industriale delle grandi corporations e il resto della società:
• aumento del reddito;
• incremento demografico;
• aumento della durata della vita (70 anni);
• aumento del salario industriale medio;
• occupazione femminile;
L’American way of life si diffuse nei sobborghi, tra consumi privati, servizi, l’auto, gli
elettrodomestici, il televisore, il tempo libero.
Si diffuse la tendenza alla concentrazione di industrie e delle forze sindacali.
L’American way of life dei ceti medi divenne un modello da esportare, la Coca-Cola il simbolo
della società di massa consumista.
Nel 1956, la “rivoluzione dei colletti bianchi” segnò definitivamente l’espansione del terziario e
l’espansione dei consumi dette vita alla “rivoluzione antimarxista”.
Iniziarono le denunce ai consumi stessi, alla pubblicità che creava “bisogni indotti”, ricerca di
status symbol superflui, all’esagerazione dei consumi di massa ma la mancanza di servizi sociali,
la povertà della popolazione di colore.
Nel 1956, Eisenhower venne rieletto e dovette occuparsi della questione della segregazione
razziale ancora presente al Sud: nel 1954 la Corte suprema aveva dichiarato incostituzionali
leggi razziali, era cresciuta la National Association for the Advancement of the Colored People e
il movimento dei diritti civili con agitazioni non violente, tuttavia negli anni ’60 continuava la
segregazione.
La sfida tra Usa e Urss nella ricerca scientifica, dopo la bomba atomica, iniziò nel 1957 col lancio
dello Sputnik, primo satellite sovietico, a cui gli Usa risposero nel 1958; nel 1961 il primo
astronauta sovietico Jurj Gargarin, nel 1962 il primo statunitense John Glenn.

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In realtà, la ricerca scientifica americana non era in ritardo: risentiva del peso dell’industria
bellica, denunciato dallo stesso Eisenhower (“indebite influenze del complesso militare sulle
istituzioni”).

1956: ANNO CRUCIALE


Il 1956 è un anno cruciale per la politica internazionale, principalmente per tre motivi:
1. uno scontro tra Egitto e Israele, nel quale sono coinvolte anche potenze occidentali (Usa,
Francia e Inghilterra). In Egitto, dopo la guerra vi fu una serie di colpi di stato che
portarono alla detronizzazione del re e all’ascesa al governo del colonnello Nasser.
Inizialmente è vicino ai comunisti, ma successivamente dà luogo a una politica di unità
nazionale, con l’obiettivo di dare prestigio internazionale all’Egitto e di unificare in futuro
tutte le popolazioni del medio-oriente.
Nel 1955 Nasser fu una delle figure di riferimento della conferenza di Bandung, dove si
presentò come leader del medio oriente e dei paesi non allineati.
Egli strinse poi un’alleanza con i russi, che lo aiutarono a rafforzare il paese militarmente.
Uno degli obiettivi di Nasser era la realizzazione di una diga ad Assuan, per razionalizzare
le acque del Nilo, dando un forte impulso all’economia egiziana, basata principalmente
sull’agricoltura, si rivolse quindi alla Banca Mondiale, presentando una richiesta che
mostrava una futura insolvenza, praticamente certa e che pertanto fu rifiutata.
Ritenendosi umiliato, nel 1956 Nasser proclamò la nazionalizzazione del canale di Suez,
di proprietà dell’Inghilterra, che avrebbe garantito le entrate necessarie alla realizzazione
della diga, sfidando, di fatto tutto l’Occidente: Inghilterra e Francia ritennero inaccettabile il
colpo di mano di Nasser e valutarono l’intervento militare, anche perché la Francia riteneva
che Nasser aiutasse gli insorti algerini nella rivolta contro il governo francese.
Successivamente fu organizzata una conferenza a Londra per risolvere diplomaticamente il
problema ma Nasser decise di non partecipare; a questo punto Francia e Inghilterra
decisero di agire militarmente, si accordarono segretamente con Israele, spingendo il paese
ebraico a invadere Suez. Dunque, Usa fecero passare all’ONU, probabilmente minacciando
Francia e Inghilterra di togliere aiuti economici e militari nelle aree coloniali, un ‘cessate il
fuoco’, creando anche una forza militare per mantenere i confini in pace mentre si cercava
un accordo politico.
2. Dopo la morte di Stalin, Chruscev prende le redini del PCUS e nel XX Congresso del
Partito Comunista denuncia i crimini di Stalin.
L’Ungheria si ribellò all’Unione Sovietica, stanca della presenza militare russa nel proprio
territorio e minacciò di uscire dal patto di Varsavia per smettere di pagare i contributi
economici, ma la rivolta ebbe breve durata, poiché la Russia inviò i carri armati e l’esercito
che represse nel sangue l’insurrezione.
Successivamente si ribellò anche la Polonia; in questo caso l’Unione Sovietica accompagnò
la repressione violenta con l’allentamento della tensione della dittatura sovietica nel paese,
per evitare altre sollevazioni popolari.
Questi eventi segnarono le prime difficoltà di coesione dell’Unione Sovietica.
3. In Italia si formò il primo governo di centrosinistra, appoggiato dal partito socialista, che
si stava spostando su posizioni più moderate, per ottenere maggiori riforme.
I socialisti a differenza dei comunisti condannarono l’URSS, per quanto emerso dal XX
congresso.

USA – KENNEDY
NIXON
La campagna elettorale del 1960, primo dibattito televisivo, portò alla presidenza del giovane
democratico John Fitzgerald Kennedy (1961-63), favorevole al cambiamento, contro Nixon.

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Kennedy parlò di una “nuova frontiera”: di esplorare, risolvere i problemi, portare la pace.
Ucciso in un attentato nel 1963, la breve presidenza riuscì ad occuparsi solo di politica estera, ma
sostenne il movimento per i diritti civili: nel 1963 organizzò una marcia a Washington, guidata
dal leader nero Martin Luther King, per una società senza discriminazioni (I have a dream).
Nel 1964, vinse le elezioni il democratico Lyndon Johnson, il suo programma di politica
riformatrice, per una “grande società” basata su:
• abbondanza materiale;
• eliminazione della povertà;
• uguaglianza di diritti e opportunità;
Le riforme sociali riguardarono:
• 1964, l’abolizione della segregazione razziale;
• 1965, l’estensione del diritto di voto ai neri;
• 1965, programmi Medicaid e Medicare finanziati dalla spesa pubblica;
• 1966, estensione assicurazioni sanitarie;
Il risultato portò:
• scolarizzazione;
• riduzione delle differenze tra bianchi e neri;
• riduzione della povertà;
Tuttavia, l’aumento delle spesa pubblica insieme all’aumento delle spese militari della guerra in
Vietnam, decisa dal presidente, aggravarono il deficit dei conti pubblici e l’inflazione: la crisi
economica contro le trasformazioni sociali portarono alla polarizzazione della società, a tensioni
politiche, sociali e culturali che scatenarono i movimenti neri, studenteschi e femministi.
Tra il 1965-67 crebbe il malessere dei neri nei ghetti, scoppiarono rivolte non violente, poi dirette
da leader radicali come Malcom X e Stokely Carmichael, separatisti (black power).
Contemporaneamente, nei campus universitari scoppiò la ribellione giovanile contro
l’autoritarismo e il conformismo della società, i movimenti femministi e i movimenti pacifisti
contro la guerra in Vietnam: l’insieme di questi movimenti cambiò i costumi della società e creò la
“nuova sinistra”.
L’opposizione venne costituita dalla maggioranza moderata dell’America rurale, contraria
all’innovazione sociale e culturale, quindi anche alle riforme di Johnson.
Le tensioni nel 1967 portarono ai tumulti della manifestazione per la pace a Washington e nel
1968 all’assassinio di Martin Luther King e del candidato democratico Robert Kennedy.
Johnson dichiarò la fine dei bombardamenti in Vietnam e rinunciò a ricandidarsi: alle elezioni
presidenziali del 1968 vinsero i repubblicani di Richard Nixon, che promise di riportare ordine e
stabilità (mentre il Partito democratico era in crisi), di rappresentare la “maggioranza silenziosa”.
Iniziarono battaglie ideologiche e giudiziarie contro i movimenti radicali e pacifisti e sebbene si
conquistò la legalizzazione dell’aborto nel 1973, vinse la posizione moderata del paese.
Nel 1970 l’economia entrò in crisi:
• le importazioni superarono le esportazioni;
• aumentò l’inflazione;
• aumentarono le spese sociali e militari;
• vennero introdotto misure protezionistiche;
Nel 1971, Nixon pose fine alla convertibilità del dollaro (
gold dollar standard).
Nel 1973, la crisi petrolifera svalutò ulteriormente il dollaro, aumentò il deficit di bilancio, la
disoccupazione e l’inflazione.
Nel 1974, lo scandalo Watergate costrinse Nixon alle dimissioni: un’inchiesta giornalistica
denunciò le attività di spionaggio dello staff del presidente durante la campagna elettorale del
1972 nel quartier generale del Partito democratico (hotel Watergate).

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GERMANIA
Dopo la guerra, la Germania (e Berlino stessa) era stata divisa nelle quattro zone di occupazione
governate dagli eserciti vincitori: inglese, francese, statunitense e sovietico.
La conferenza di Potsdam (1945) aveva deciso un’amministrazione congiunta delle quattro
potenze, ma la guerra fredda aveva concentrato il tutto nello scontro tra Usa e Urss.
Nel 1948 le zone inglesi e le zone statunitensi erano state unite sotto il controllo Usa, che si
occupò degli aiuti finanziari.
Nel 1949 venne costituita la Repubblica federale tedesca, alleato e governato dagli Usa.
Le elezioni politiche del 1949 portarono al governo dell’Unione cristiano-democratica (CDU) e
dell’Unione cristiano-sociale (contro il Partito democratico SPD), e il cancelliere Konrad
Adenauer che smise di epurare i nazisti per occuparsi della ricostruzione del paese, basata sul
piano Marshall, e della Westpolitk: politica di integrazione occidentale e rapporti privilegiati
con Usa e Francia.
Dal 1950 aumentò la produzione industriale e lo sviluppo economico, la CDU ottenne maggiori
consensi fino alla maggioranza assoluta del 1957 (
1956, il Partito comunista fuorilegge).
In politica estera, riguardo la Germania dell’est, attuò la “dottrina Hallstein”: ne negava
l’esistenza e considerava ostile chi riconosceva la Repubblica democratica tedesca.
Nel 1959, al congresso di Bad Godesberg la SPD rinunciò al marxismo a favore di pluralismo,
libera concorrenza, patto sociale operai-imprenditori, fedeltà al Patto Atlantico (NATO).
Nel 1963 divenne cancelliere Ludwig Erhard che indebolì la CDU, tanto che nel 1966 si creò la
coalizione CDU e SPD; mentre il leader social-democratico e sindaco di Berlino Willy Brandt
divenne Ministro degli Esteri e nel 1969, in seguito ai movimenti studenteschi, si formò una
nuova maggioranza tra SPD e liberali.
Brandt divenne cancelliere e attuò una nuova politica estera di svolta, intraprendendo la
Ostpolitik: un’apertura verso il blocco orientale per la quale vinse il premio Nobel nel 1971.
La Germania Ovest riconobbe la Germania Est: nel 1970 Brandt firmò due trattati di amicizia e
collaborazione con Urss e Polonia, riconoscendo l’inviolabilità dei confini, anche perché i grandi
gruppi industriali ambivano ad esportare nei mercati dell’Est.
Comunque, i rapporti tra le due Germanie entrarono nella fase distensiva: nel 1973 entrambe
vennero ammesse alle Nazioni Unite.

FRANCIA
La Francia era uscita divisa dalla guerra: le forze collaborazioniste contro la resistenza
antinazista, tra cui il generale De Gaulle della destra moderata.
Nel 1945 le elezioni per l’Assemblea costituente vennero vinte dal Partito comunista, socialista e
Movimento repubblicano popolare, che elessero De Gaulle come presidente della
Quarta repubblica (1946), caratterizzata da una nuova Costituzione.
Tuttavia, De Gaulle si dimise perché il suo programma presidenziale non vene accettato dal suo
stesso partito (

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Ressemblement du peuple francais).
Nel 1947, i comunisti vennero estromessi dal governo e presero la guida i governi di “terza
forza” di radicali, socialisti, cattolici, sempre in alleanza con gli Usa.
Inoltre, si preoccuparono dell’integrazione europea con l’entrata in vigore della CECA, mentre il
trattato per la collaborazione militare (CED) nel 1954 venne respinto, contrari alla riduzione della
sovranità nazionale e al riarmo della Germania.
Sviluppo economico e rafforzamento dello Stato sociale si accompagnarono alla crisi della Quarta
repubblica, soprattutto a causa della politica coloniale: sconfitta in Indocina, crisi di Suez e
guerra di Algeria (1954-62).
L’opinione pubblica si divise e riportò al governo De Gaulle nel 1958: costituì un governo
d’emergenza e chiese pieni poteri per poter stilare una nuova Costituzione.
La nuova Costituzione, approvata al referendum popolare, introdusse un presidente eletto a
suffragio ristretto (collegio elettorale
1962, suffragio universale) e investito di ampi poteri.
Col sistema uninominale a doppio turno, le prime elezioni della Quinta repubblica portarono alla
vittoria dei partiti di destra e De Gaulle fu eletto presidente.
Il presidente, nel 1962 concesse l’indipendenza all’Algeria.
Dunque, per compensare la perdita della colonia e riacquistare prestigio come potenza europea, una
volta costituita la CEE nel 1957, in Europa mancava un apparato di difesa militare indipendente
dagli Usa per poter essere autonoma.
De Gaulle s’impegnò di dotare la Francia di una force de frappe (forza d’urto), finché nel 1960
non fece scoppiare la prima bomba atomica francese nel Sahara.
L’idea del presidente era di un’Europa basata su un’asse franco-tedesco più che con gli Usa, perciò
si oppose all’ingresso della Gran Bretagna nella CEE (vista come alleato speciale degli Usa) e nel
1966 ritirò il proprio contingente militare dalla NATO.
La politica gollista di grandeur cercava un’alternativa al sistema dei blocchi, ma non poteva essere
seguita dalle altre, tanto meno dalla Germania: l’anello cruciale della NATO.
Progressivamente De Gaulle s’indebolì, vinse un’ultima volta nel 1968 e fece da garante dell’ordine
durante i movimenti studenteschi, per poi dimettersi nel 1969.

GRAN BRETAGNA – RIVOLUZIONE LABURISTA


Finita la guerra era finita anche l’egemonia della Gran Bretagna e alle elezioni del 1945, al posto
del governo di unione nazionale di Churchill, vinse il Partito laburista di Clement Attlee.
Dopo la guerra, lo Stato era pronto ad intervenire razionalmente per proteggere il paese, così che
nel 1942 prese forma il democratico welfare state (“stato del benessere”, William Beveridge).
Il governo Attlee si occupò quindi di politiche di welfare:
• 1946-48, fu creato il Servizio sanitario nazionale gratuito per tutti;

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• le assicurazioni contro malattie, infortuni, vecchiaia e disoccupazione vennero estese e
basata sul contributo obbligatorio di Stato, lavoratori e imprenditori;
• l’edilizia popolare promosse l’occupazione;
• nazionalizzazione di settori economici (
edilizia popolare);
La “rivoluzione laburista” fu finanziata dalla politica di austerità: tasse sui consumi, blocco di
prezzi e blocco dei salari, così da evitare l’indebitamento estero con Usa.
Tuttavia, la ripresa economica si avvertì dal 1950 in poi e nel 1951 venne eletto Churchill.
Il governo conservatore tornò alla privatizzazione dell’industria siderurgica e attribuì alcune
spese sanitarie ai cittadini, tuttavia conservò il welfare state laburista.
Durante la guerra in Corea le spese militari aumentarono, tra il 1952-57 dotò il paese della
bomba atomica e della bomba a idrogeno.
Nel 1955 Churchill si dimise per problemi di salute e fu sostituito prima da Anthony Eden, poi da
Harold MacMillan nel 1957, in seguito alla crisi di Suez.
Il governo Attlee aveva decolonizzato i possedimenti coloniali creando problemi di riconversione
all’industria inglese, indebolita dal deficit dei pagamenti; anche per questo restò fuori dalla CEE.
Ma nel 1959 creò un’associazione di libero scambio, la European Free Trade Association, con
Svezia, Svizzera, Norvegia, Danimarca, Austria e Portogallo.
Tuttavia, la crisi interna tra inflazione e disoccupazione fece perdere consensi al governo
conservatore, mentre il Partito laburista si rimise in piedi con Hugh Gaitskell e Harold Wilson,
lavorando a un programma di revisione favorevole all’economia mista, all’innovazione e giustizia.
Nel 1964 il governo laburista di Wilson (1964-70) vinse le elezioni e agì contro la crisi
economica con una politica di austerità senza successo:
• salari vincolati alla produttività;
• protezione dell’industria con imposte doganali;
• compressione domanda interna a favore delle esportazioni;
Tuttavia, furono importanti le conquiste sul piano dei diritti civili:
• abolizione pena di morte;
• abolizione censura teatrale;
• legalizzazione di divorzio e aborto;
Tra i laburisti aumentarono quelli favorevoli all’ingresso nella CEE, avvenuto nel 1973 con la
caduta del veto francese.
Nel 1967 Wilson svalutò la sterlina e dal 1969 ripresero i conflitti religiosi nell’Irlanda del Nord.
Alle elezioni del 1970 vinse il Partito conservatore di Edward Heath.

SVEZIA – WELFARE STATE


La Svezia, a differenza di Danimarca e Norvegia, era riuscita a mantenersi neutrale e alle elezioni
del 1948 avevano vinto i socialdemocratici.
La pluridecennale stabilità politica della Svezia si basava sulla modernizzazione senza traumi,
sulla cooperazione tra piccoli e medi proprietari terrieri e su una burocrazia efficiente.
L’etica pubblica era severa, imparziale e con spirito di servizio della tradizione protestante.

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L’industrializzazione e il movimento sindacale si inserirono in un contesto favorevole
all’accogliere rivendicazioni economiche e sociali, il welfare state svedese si basò su misure di
assicurazione sanitaria e pensionistica di carattere universalistico, riguardo ogni cittadino senza
distinzione, finanziate dalla fiscalità generale.
Il welfare state si mantenne stabile anche dopo la guerra e dal 1951-57 il paese fu governato dalla
coalizione rosso-verde della socialdemocrazia e del Partito dei contadini, basandosi su una
rigida politica fiscale di tasse su redditi e proprietà che copriva i costi sociali e garantiva la qualità
dei servizi pubblici.
In politica estera rimase neutrale, ma nel 1953 costituì un Consiglio del Nord tra Svezia,
Danimarca, Norvegia e Islanda per una cooperazione politica, economica e culturale.
Nel 1959 aderì alla European Free Trade Association.
Negli anni ’60 si esaurì il modello svedese a causa dell’invecchiamento della popolazione, la
disoccupazione, la crescita del peso della politica fiscale.

SPAGNA – TERZA ONDATA DELLA DEMOCRAZIA


Nell’Europa meridionale sopravvivevano due regimi dittatoriali: Spagna e Portogallo, rimasti
stabili grazie alla neutralità durante la guerra e il gioco di alleanze della guerra fredda, per cui il
Portogallo era nella NATO, nel 1955 Spagna entrò nell’ONU e nel 1953 firmò un patto con gli Usa
(
aiuti economici in cambio di basi militari).
Il franchismo spagnolo basato sul tradizionalismo cattolico e sul primato dei militari, scatenò la
violenza nazionalista solo contro le autonomie regionali (basca e catalana).
Nel 1947 Franco restaurò la monarchia, si nominò reggente a vita e scelse il successore; in quanto
caudillo (capo militare), si pose come equilibrio tra proprietà fondiaria, forze armate, partito
della Falange, la Chiesa cattolica (
1953, concordato tra Vaticano e regime).
Gli anni ’50 videro il dominio della burocrazia statale tecnocratica, cattolica, appartenente
all’Opus Dei: organizzazione segreta del 1928, nata per diffondere la fede e diffusa nei centri del
potere (economia, finanza, politica, cultura).
Comunque, la Spagna restò vittima dell’immobilismo:
• il latifondo impediva lo sviluppo industriale;
• l’esercito cambiò con la nuova generazione e perse prestigio;
• la Chiesa soffrì della rivalità tra Azione cattolica e Opus Dei;
L’equilibrio fu sconvolto dal terrorismo dell’ETA (patria basca e libertà), che rivendicava
l’indipendenza delle province basche e nel 1973 uccise il Primo ministro Luis Carrero Blanco.
Nel 1975 morì Franco, gli succedette il nipote prescelto Juan Carlos di Borbone che riportò la
democrazia, i partiti e libere elezioni.

GIAPPONE – TUTELA AMERICANA


MIRACOLO ECONOMICO
Il 2 settembre 1945 il Giappone firmò la resa con gli Stati Uniti e venne poso sotto il governo del
Supreme Command of the Allied Powers (SCAP), guidato dal generale Douglas MacArthur.

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Venne garantita la continuità di governo, gli unici epurati furono gli alti gradi militari; vennero
liberati i prigionieri politici, restaurati i diritti civili e sindacali, il Partito comunista.
La rottura col passato fu pesante: l’imperatore rinunciò all’origine divina e la nuova Costituzione
s’ispirava al modello americano, garantendo la sovranità del popolo e i diritti individuali.
I sindacati si rafforzarono e in alcune fabbriche iniziò l’autogestione operaia che seguiva la
battaglia di MacArthur contro gli zaibatsu (corresponsabili della guerra).
Nel 1947 vennero approvate leggi antimonopolistiche e di decentramento industriale, ma crebbe
la conflittualità sindacale e lo SCAP nel 1946 limitò i diritti sindacali e di sciopero generale.
Nel 1948 a Tokyo venne istituito il tribunale militare internazionale per i crimini di guerra.
Con le elezioni del 1946-47 si creò la coalizione tra liberali, democratici e socialisti.
La guerra fredda impose al Giappone la posizione filoamericana e Washington mandò aiuti
economici per creare un nuovo mercato per esportare prodotti, ma per ciò era necessaria una
politica che creasse la domanda interna: nel 1947-48 venne promossa la riforma agraria, migliorò
la produttività e il livello di vita, incrementò l’urbanizzazione.
Alle elezioni del 1949 vinsero il Partito liberale e democratico che garantirono stabilità politica.
Nel 1950, gli Usa rinunciarono ai crediti di guerra e col Giappone venne firmato un patto di
sicurezza reciproca che stabiliva basi militari americane (Okinawa).
Con la guerra in Corea, la situazione precipitò in Giappone: ci fu una svolta a destra, “purghe
rosse” contro i comunisti, una politica deflattiva e licenziamenti.
Si consolidò la caratteristica dell’economia giapponese: la divisione in un settore “forte” con salari
alti e un settore “debole” precario e con bassi salari, così da contenere il costo del lavoro.
Dal 1955 iniziarono le shunto (offensive di primavera) per cui ogni anno, a turno, la categoria più
combattiva dei lavoratori faceva da guida nelle rivendicazioni durante gli scioperi.
La sviluppo industriale giapponese fu caratterizzato da uno specifico carattere culturale, infatti
la religiosità popolare delle diverse religioni, buddismo, confucianesimo, shintoismo e kami,
subirono un processo di secolarizzazione che produsse “familismo”: una civilizzazione diffusa e
condivisa che sovrapponeva i valori e le regole della famiglia nella sfera pubblica, per cui era
necessario obbedire alle norme della comunità e rispettare le gerarchie, per il bene comune
(
nihonjinron).
Anche la stabilità politica si può ricollegare al contesto culturale: nel 1955 liberali e democratici si
unirono nel Partito liberaldemocratico che garantì la stabilità, contro il comunismo.
Comunque era un sistema politico bloccato: bipartitico ma senza alternanza.
Dagli anni ’50, emersero i movimenti studenteschi, tra cui lo Zengakuren legato al Partito
comunista, di vocazione antiamericana.
Durante i movimenti del ’68 continuò ad esprimersi l’antiamericanismo e spiccò lo Zenkyoto,
non comunista, antiautoritario e radicale; la spinta era verso una maggiore indipendenza
nazionale.
Dal 1950-1973 lo sviluppo economico giapponese fu il più impetuoso, favorito dal retroterra
culturale di morale, lealtà e obbedienza, incline alla collaborazione e al sacrificio per il bene
comune, per cui anche i rapporti tra aziende erano regolati da obblighi morali (makoto).
Le industrie si basarono su principi comunitari, etici, di qualità totale, disponibilità, flessibilità e
coordinamento: “miracolo economico giapponese” (industria, commercio, servizi).
CAP 14
ITALIA REPUBBLICANA
1945
1970

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NASCITA DELLA REPUBBLICA
Dopo la guerra, in Italia si pose il problema dell’integrazione delle masse popolari nelle
istituzioni politiche che comportò l’ascesa dei partiti di massa e portò alla Costituzione elaborata
dall’Assemblea costituente eletta dal popolo.
Ma si trattava di un paese diviso:
• al Sud la guerra era finita prima e l’economia di pace aveva aumentato i prezzi, inoltre la
maggioranza era favorevole alla monarchia più che ai partiti antifascisti;
• al Nord la lotta partigiana aveva conferito potere al CLN diffondendo la paura di un
governo di sinistra tra industriali e agrari;
Anche i partiti erano cambiati, nel 1943 con lo scioglimento del Comintern (
Terza internazionale, organizzazione dei partiti comunisti) il Partito comunista di Palmiro Togliatti
era diventato il Partito comunista italiano (PCI) e il Partito socialista di Pietro Nenni Partito
socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). La Democrazia cristiana (DC, 1942) di Alcide
De Gasperi ambiva ad organizzare politicamente i cattolici; il Partito d’azione (PdA, 1942) era
nato dall’unione tra movimento liberalsocialista e Giustizia e libertà di Ferruccio Parri; il Partito
liberale e la Democrazia del lavoro costituivano la destra.
Nel 1944 a Roma era stato ricostruito un sindacato unico: la Confederazione generale italiana
del lavoro (CGIL).
PSIUP e PdA erano favorevoli a dare tutto il potere al Comitato di liberazione nazionale (CLN),
come strumento di rinnovamento dello Stato, ma questo spaventava gli Stati Uniti poiché lo
spostamento a sinistra avrebbe potuto portare l’Italia nell’orbita sovietica.
Nel 1945 il governo Parri si preoccupò dei problemi più gravi:
• tassazione dei profitti di guerra;
• epurazione dei fascisti;
• ristabilimento del potere centrale sull’Italia del Nord (governata dagli Alleati);
L’ultimo obiettivo fu l’unico raggiunto, a causa delle divisioni tra i partiti.
Nel Sud crebbe il movimento dell’Uomo qualunque, il “qualunquismo” di Guglielmo
Giannini: basato sul rifiuto della politica, dello Stato e delle tasse; mentre in Sicilia, mafia e
grande proprietà terriera alleate avevano ripreso il controllo e minacciavano la secessione.
Alcuni contrasti su quando tenere le prime elezioni politiche portarono alla sostituzione di Parri con
Alcide De Gasperi presidente del consiglio, favorevole ad un’alleanza tra partiti antifascisti e a
tenere l’Italia in una sfera d’influenza filoamericana.
Già durante la guerra i contadini meridionali rivendicavano la redistribuzione della terra, per cui
scatenarono manifestazioni e scioperi a cui rispose il ministro dell’agricoltura, subito ostacolato
dai proprietari terrieri e dalla mafia, che nel 1944 spararono sulla folla ad un comizio.
Anche nelle campagna del Centro-Nord, tra scioperi e proteste, si erano ricostituite le leghe.
Nel 1943-44 tra gli industriali del Nord si diffusero il protagonismo degli operai e i Consigli di
gestione: organi di governo d’impresa costituiti da operai e datori di lavoro, a cui non venne mai
riconosciuto potere legislativo e rappresentarono solo la protesta operaia.
In più, l’epurazione degli esponenti del fascismo venne ridotta con delle leggi proposte dai ministri
di sinistra nel 1945-47, aspetto molto criticato in quanto costituì continuità tra regime e repubblica.
Per quanto riguarda l’economia, imprenditori e proprietari erano favorevoli al liberismo, di cui si
occupò Luigi Einaudi che nel 1948 divenne presidente della Repubblica; tuttavia, la politica
deflattiva per stabilizzare la lira aumentò la disoccupazione e la conflittualità sociale.

ASSEMBLEA COSTITUENTE
Il 2 giugno 1946 il referendum istituzionale vide la vittoria della Repubblica, mentre le elezioni
per l’Assemblea costituente che avrebbe redatto la Costituzione affermarono la Democrazia
cristiana, il Partito socialista di unità proletaria e il Partito comunista.

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La Costituente rappresentò una svolta storica: per la prima volta si superò lo Statuto concesso
dall’alto e il popolo italiano scelse, dando vita ad un incontro di culture politiche diverse (cattolica,
liberale, marxista).
La Costituzione della Repubblica italiana entrò in vigore nel 1948, basandosi su principi
fondamentali dei diritti umani, del rifiuto della guerra, del lavoro e dell’uguaglianza.
Si trattava di una trasformazione dello Stato e della creazione di nuovi organismi:
• 1956, Corte costituzionale;
• Regioni per il decentramento amministrativo;
• parlamento bicamerale: Camera e Senato con funzioni legislative;
• indipendenza della magistratura;
• legge elettorale proporzionale;
L’unità democratica e antifascista venne messa in crisi dalla guerra fredda.
Il piano Marshall impedì l’ingresso tra le potenze dell’Occidente, ufficializzato nel 1949 con
l’adesione alla NATO: De Gasperi viaggiò negli Stati Uniti per definire l’asse privilegiato con loro,
che comportava l’esclusione delle sinistre filosovietiche dal governo.
Per cui, De Gasperi si distaccò dai partiti di sinistra e strinse alleanze con partiti laici minori:
repubblicani, liberali, socialdemocratici di Saragat dalla scissione del PSIUP.
Si costituì un equilibrio politico basato sui governi “centristi” e guidato dai democristiani,
all’opposizione monarchici, neofascisti, PCI e PSI.
In Sicilia le elezioni nel 1947 portarono alla vittoria del Blocco del popolo (PCI, PSI, PdA) per cui
i mafiosi di Salvatore Giuliano spararono su un comizio.
Alle elezioni del 1948 andava scelto campo Est o Ovest: il Piano Marshall rappresentava un
futuro basato sui consumi privati, mentre il colpo di stato di Praga evidenziava l’autoritarismo
sovietico; inoltre, la DC era sostenuta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, che avevano già preparato
un piano militare in caso di vittoria a sinistra, costituita dal Fronte democratico popolare (PCI,
PSI). La DC vinse con il 48,% così che De Gasperi continuò il governo di formula centrista.

CENTRISMO
La sconfitta della sinistra fu resa evidente dall’attentato a Togliatti il 14 luglio 1948.
I lavoratori scioperarono e sembrò iniziare una guerra civile, ma i dirigenti comunisti e socialisti
calmarono il paese; conseguenza immediata fu la scissione della CGIL in:
• Libera CGIL, corrente cattolica appoggiata dagli Usa, anticomunista;
Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori CISL (1950);
• Unione italiana del lavoro (UIL, 1950), socialdemocratica, repubblicana;
Sul piano economico proseguì la politica liberista di Einaudi, con interventi di sostegno
all’industria: piano Sinigaglia per la siderurgia e sovvenzioni che rafforzarono la produzione,

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dando il via a una politica economica basata su finanziamenti pubblici alle imprese private che
ridussero il costo della manodopera e contrastarono i sindacati.
Nel 1974 sono stati riconosciuti come perseguitati politici i licenziati tra il 1948-66, mentre la
Celere (polizia responsabile dell’ordine pubblico) di Mario Scelba fece molte vittime.
Nel 1949-50 il leader CGIL Giuseppe Di Vittorio lanciò un Piano del lavoro che ambiva alla
realizzazione di opere pubbliche che creassero occupazione, ma la risposta fu negativa.
Nel 1950 venne elaborata la Riforma agraria da Antonio Segni, che prevedeva distribuzione delle
terre e creazione di una piccola proprietà contadina.
Il potere politico e sociale dei notabili del Sud fu sostituito dal potere dell’esponente locale del
partito di governo che erogava risorse del potere centrale in cambio di appoggio clientelare, voti e
consenso; a sostenere questo “sottogoverno” ci fu anche la sinistra democristiana.
Tra questi Umberto Tupini e Amintore Fanfani che promossero piani per le opere pubbliche dei
comuni e per l’edilizia popolare, istituendo la Cassa per il Mezzogiorno nel 1950, ma il compito di
finanziare gli interventi per sviluppare il Sud non fu possibile: le risorse vennero perse tra
clientelismo e corruzione.
La riforma agraria comportò una crisi nel rapporto tra DC e grandi proprietari terrieri, così
emersero i partiti di destra alle elezioni del 1951-52.
Inoltre, nel Vaticano nacque un’opposizione conservatrice contro il laicismo e le politiche sociali
di De Gasperi che, per affrontare la crisi, propose una riforma elettorale che garantisse la
maggioranza centrista con una solida base parlamentare: avrebbe assegnato un premio di seggi allo
schieramento con più del 50% dei voti; la riforma venne approvata nel 1953, contro le sinistre.
Tuttavia, vinsero le formazioni di centrosinistra come Unità Popolare di Parri, la destra, PSI e
PCI, mentre la DC perse consensi.
La seconda legislatura, instabile, vide il rafforzamento dei partiti di sinistra ma senza che gli
equilibri internazionali (guerra di Corea) permettessero un’effettiva apertura.
Nel 1954 morì De Gasperi, sostituito da Amintore Fanfani che rafforzò il partito tramite enti
pubblici e politica economica di governo: nel 1952 venne istituito l’Ente nazionale idrocarburi
(ENI); e favorì libero mercato.
Il settore industriale di stato si espanse e venne centralizzato nel 1956 nel ministero delle
Partecipazioni statali (ENI, Ilva, Finsider), insieme crebbero gli investimenti pubblici.
A favorire l’export italiano il Mercato Comune Europeo nel 1957 (
libero commercio).
Era evidente la necessità di una guida politica nella trasformazione economica, tramite
programmazione, come propose Pasquale Saraceno dell’Associazione per lo sviluppo del
Mezzogiorno, e il ministro democristiano Ezio Vanoni che nel 1951 propose il Piano Vanoni: un
piano di sviluppo economico decennale con ruolo centrale agli investimenti produttivi statali.
Tuttavia, continuò il dominio della politica liberista nel capitalismo italiano.

MIRACOLO ECONOMICO
Tra il 1951-61, il processo di industrializzazione portò all’aumento dell’industria, dei servizi,
però senza riuscire a compensare la perdita di lavoro nell’agricoltura e concentrandosi nel triangolo
industriale Torino-Milano-Genova, poi Veneto ed Emilia: nel 1950-73 la disoccupazione italiana
fu la più alta di tutta Europa.
Con la guerra di Corea l’aumento dei prezzi colpì tutto l’Occidente, quindi anche l’Italia, entrata nel
contesto internazionale e nel processo di industrializzazione grazie alla liberalizzazione degli
scambi, affermandosi in particolare nel consumo durevole (auto, elettrodomestici, tv), nel settore
chimico, infrastrutture ed edilizia, godendo delle esportazioni, che portarono al “boom”, alla
crescita di produzione e consumi.

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Comunque, tra 1955-1971 vi furono grandi flussi migratori interni, principalmente dal Sud
verso il triangolo industriale, segno di uno sviluppo squilibrato e spopolamento dell’agricoltura;
crebbero quartieri-dormitorio, spesso luogo di scontri per il problema dell’interazione sociale.
Mentre nell’Italia centrale entrò in crisi la mezzadria (patto agrario tra contadino-imprenditore) a
causa del cambio generazionale: i giovani lasciarono le campagne per lavorare nel commercio,
portando alla diffusione di piccole industrie sul territorio, quindi alla nascita di una “campagna
urbanizzata”, di nuovi distretti industriali.

Dopodiché, la trasformazione dei comportamenti degli italiani, che presero a modello lo stile di vita
dell’americano medio tramite la televisione (1954), con la quale l’italiano divenne la lingua
ufficiale e si avviò un processo di secolarizzazione, per cui si ridimensionò il peso della religione,
sempre più influenzati dal cinema, dalla pubblicità; nacquero nuovi status symbol, i giovani
divennero target di mercato specifici, così come la donna, che acquistò crescente autonomia.
Il miracolo economico aumentò il divario tra Nord e Sud, ma anche il reddito pro capite.
Tuttavia, dal 1963 la crescita del “boom” economico iniziò a rallentare e calarono gli investimenti,
tutto ciò a causa della politica: le riforme di centro-sinistra vennero subordinate ad interessi privati.

ANNI ’60 – CENTROSINISTRA


Negli anni ’60, la debole politica del governo centrista determinò una fase di blocco che venne
superata solo in seguito ai cambiamenti nelle relazioni internazionali, come il miglioramento dei
rapporti tra Usa e Urss (
Europa: politica interna x politica estera).
I rapporti tra PSI e PCI si ruppero quando Chruscev denunciò i crimini di guerra di Stalin e
l’Urss invase l’Ungheria.
Si aprì una nuova fase politica, propensa ad un’”apertura a sinistra”: una collaborazione tra DC
e PSI; questo perché il mondo cattolico conobbe il nuovo papa Giovanni XXIII, aperto al mondo
laico, e gli Stati Uniti di Kennedy non era più così intransigenti.
Dal 1956 i partiti socialisti di Nenni e Saragat si riavvicinarono, rivendicando una collaborazione
con la DC e partiti di centro minore: un governo centrosinistra.
Tuttavia, le forze conservatrici (dal Vaticano a Washington) si opposero per paura di un ritorno dei
comunisti in parlamento, tanto che nel 1960 il Partito liberale uscì dalla maggioranza.
Per cui, iniziò il governo “monocolore” democristiano di Filippo Tambroni, che sfruttò anche i
voti della destra neofascista del Movimento sociale italiano: nel 1960 scoppiarono violente
rivolte popolari che vennero duramente represse.
La crisi politica si chiuse con la sconfitta delle destre e col nuovo governo Fanfani, mentre il
segretario della DC Aldo Moro parlò di un cauto spostamento a sinistra del partito
(“convergenze parallele”) confermato nel 1962 col nuovo governo Fanfani e nel 1963 il primo
esecutivo centrosinistra di Moro con i socialisti, che non ottenne grande consenso popolare.
Alle elezioni del 1963 furono premiate le opposizioni: comunisti, liberali.
Comunque, le riforme dei nuovi governi si preoccuparono dell’intervento statale:
1. 1962, nazionalizzazione del settore dell’energia elettrica (tra i più produttivi del paese),
idea diffusa a sinistra e tra i liberali, convinti che l’interesse privato non avrebbe garantito
sviluppo al paese: l’ENI venne nazionalizzata tramite la costituzione di un apposito ente
statale, l’Ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL) e buona parte dei capitali venne
investita in operazioni finanziari che ampliarono la base imprenditoriale.
2. 1962, la riforma scolastica per favorire la scolarizzazione di massa e formare
culturalmente e professionalmente una nuova forza lavoro appartenente al terziario;
per cui, venne esteso l’obbligo scolastico a 14 anni e cancellate la scuole medie

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professionali che portavano i ragazzi poveri a lavorare precocemente senza possibilità di
ascesa; non vennero alterati la dura selezione, il tradizionalismo e l’autoritarismo;
Il governo di centrosinistra portò l’opposizione a sinistra:
• PSI si scisse in PSIUP chiedendo più riforme politiche e sociali;
• PCI di Giorgio Amendola chiese più riforme del PSI nel governo;

Nonostante il miracolo economico, il capitalismo italiano restava legato ai rapporti privilegiati


tra politica e grandi famiglie industriali, proprietarie.
Infatti, fin da subito ci furono ostacoli all’attuazione delle riforme di centrosinistra: negli anni ’60
Ugo La Malfa aveva proposto un programma centrato sullo sviluppo industriale del
Mezzogiorno, “Nota aggiuntiva”, basato sui consumi collettivi (servizi pubblici, scuola, sanità),
ma era stato ignorato e ostacolato dalla resistenza dei poteri forti di economia e finanza.
I limiti del governo si resero più evidenti con il rallentamento dell’economia e la scarsità di
risorse necessarie per le riforme, mentre gli obiettivi proposti da Moro tra il 1964-66 (Regioni,
programmazione economica, sviluppo urbano, edilizia) non vennero raggiunti, favorendo
l’affermazione dell’opposizione conservatrice e lasciando spazio alla mafia al Sud.
Sempre più determinante fu il peso dell’attività illegale di alcuni organi statali, spesso ostacolo
delle riforme e spreco di risorse, ad esempio il “piano Solo” (1964) del comandate dell’Arma dei
carabinieri Giovanni De Lorenzo, che aveva pianificato l’intervento dell’Arma (solo di essa) in
caso di disordini per arrestare gli oppositori e occupare gli organi dello Stato; scoperto nel 1968,
intimidì ulteriormente le forze riformatrici che favorirono compromessi.
Con questo emergeva la debolezza della democrazia italiana, disponibile ad agire illegalmente
per perseguire determinati obiettivi politici tramite ricatto e delegittimazione, caratteristiche
fondamentali dell’Italia repubblicana.
Dal 1964 il miracolo economico s’indebolì portando alla richiesta di assistenza statale piuttosto
che alla competizione internazionale, strumento dei governi democristiani per ottenere consensi.

CONTESTAZIONE GIOVANILE, RIFORME, CONFLITTI SOCIALI


Negli anni ’60, anche in Italia la baby boom generation, figlia del miracolo economico e della
crescita culturale, iniziò le lotte studentesche, principalmente nelle università di Torino, Milano,
Roma e Trento, avviando la primavera del ’68 una contestazione dell’autoritarismo, dei metodi
selettivi dell’insegnamento, contro la guerra in Vietnam e l’imperialismo americano.
A queste si accompagnarono le lotte operaie, l’ “autunno caldo” del 1969: proteste di giovani
operai del Sud; dal 1968-74 si riaccese la conflittualità operaia, radicalmente in Italia, sia per
aumenti salariali che per ottenere i Consigli di fabbrica, un monte-ore retribuito per studio e
formazione e il rifiuto del lavoro in ambienti nocivi per la salute.
Il più ampio ciclo riformatore, il ’68, trasformò radicalmente la società italiana:
• secolarizzazione e modernizzazione;
• 1969, sistema delle pensioni allargato e incrementato;

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• leggi a tutela della maternità e legalizzazione divorzio;
• 1970, le Regioni;
• approvazione dello Statuto dei lavoratori: democrazia nelle fabbriche, consigli di fabbrica;
• 1971, sistema fiscale basato sull’imposta sul reddito (IRPEF) con criterio di progressività;
• 1974, servizio sanitario nazionale, universale e gratuito;
Anche il sistema politico cambiò: nel 1974 la DC propose un referendum sulla legge istitutiva del
divorzio per cancellare la legge ma fu vinto dall’opposizione, segno di un paese secolarizzato.
Il cambiamento portò conflitti sociali che negli anni ’70 confermarono la violenza e il terrorismo
come lotta politica negli scontri tra movimenti di massa e forze dell’ordine:
• 1969, una bomba scoppiò nella Banca nazionale dell’agricoltura di Milano e la polizia
accusò gli anarchici, tuttavia dalle inchieste si scoprì che i responsabili erano
organizzazioni neofasciste promosse dai servizi segreti dello stato per creare un clima di
tensione e spostare l’equilibrio politico a destra;
• 1974, altri attentati neofascisti e dei servizi segreti deviati: durante un comizio sindacale a
Brescia, sul treno Italicus; 1980, la stazione di Bologna; 1984, treno Roma-Milano;
Al “terrorismo nero” risposero frange dell’estrema sinistra cresciute nel ’68, come Brigate
Rosse, Prima linea, Gruppi comunisti combattenti, che negli anni ’70 colpirono i simboli dello
Stato repressivo (dirigenti, magistrati, giornalisti).
Gli anni ’70 furono dilaniati da spinte contrapposte: tra la recessione economica, la crisi
petrolifera del 1973, la disoccupazione, il terrorismo.
Nel 1975 PCI e PSI vinsero alle elezioni amministrative.
Nel 1973, dopo il colpo di stato in Cile, appoggiato dagli Stati Uniti, il segretario del PCI Enrico
Berlinguer elaborò una nuova strategia: il “compromesso storico”, un patto di solidarietà
nazionale come quello della Liberazione, un accordo tra le forze democratiche popolari, ovvero
comunisti, socialisti, cattolici.
In un contesto di fine della guerra in Vietnam e delle dittature di Spagna, Grecia e Portogallo, la
proposta comunista poteva avere sviluppi internazionali: comunisti italiani, francesi e spagnoli
proposero una via socialista lontana da quella sovietica, basata su pluralismo e democrazia,
l’eurocomunismo.
Alle elezioni del 1976 vinse il compromesso storico: il governo DC e PCI, tuttavia i comunisti
escludevano l’alternanza, favorevoli all’accordo, mentre tra i democristiani questo progetto era
appoggiato solo da Moro, così che il sistema politico rimase bloccato e in un clima di conflittualità
sociale e terrorismo.

CAP 15
IL MONDO COMUNISTA

UNIONE SOVIETICA – STALIN


CHRUSCEV
L’Unione Sovietica, devastata dalla guerra, puntò sull’industria cresciuta con la guerra e sui
territori occupati a occidente che tra il 1947-48 vennero sovietizzati con regimi monopartitici
subordinati all’Urss sul piano economico, politico, militare.
Nel 1946 iniziò il quarto piano quinquennale con l’obiettivo di superare il 50% della produzione,
al contempo venne sviluppata l’industria pesante (acciaio, petrolio, elettricità, carbone) e rimasero
le spese militari; a risentirne furono l’agricoltura e il tenore di vita: erano minimi gli investimenti
per i beni di consumo e i generi alimentari.

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Venne abolito il razionamento e perciò una riforma monetaria svalutò il rublo, questo azzerò il
debito pubblico ma aumentò i prezzi.
Inoltre, la concentrazione dello sviluppo nell’industria ritardò l’edilizia popolare in un contesto di
problema della casa, soprattutto nelle città.
Per quanto riguarda l’agricoltura, vennero estese le terre coltivate e promosse opere pubbliche di
rimboschimento, irrigazione, centrali idroelettriche, ma furono rafforzati i controlli sui kolchoz e sui
sovchoz, oltre alla pressione fiscale sugli appezzamenti personali, mentre i prezzi dei prodotti
agricoli vennero abbassati, perciò non aumentò la produttività.
Nel 1951 Stalin annunciò i miglioramenti dovuti al piano quinquennale:
• aumentò della produzione industriale;
• dotazione della bomba atomica;
• stabilizzazione dell’industria;
• approvvigionamento energetico;
Per cui promosse il quinto piano quinquennale, aumentando ulteriormente la produzione
industriale. I consumi privati vennero compressi e giustificati da una propaganda sul sacrificio
per la lotta alla sopravvivenza del socialismo contro il capitalismo, oltre che contro i nemici
interni: le persecuzioni tornarono a recludere persone nei Gulag e una campagna antisemita
venne interrotta solo con la morte di Stalin.
Il 5 marzo 1953 Stalin morì lasciando il regime in preda a lotte per il potere nel gruppo dirigente:
il capo della polizia politica Lavrentij Berija, protetto di Stalin e organizzatore dei Gulag, venne
ucciso, liberando la società sovietica dall’oppressione; infine, il governo di Georgij Malenkov,
favorevole allo sviluppo dei beni di consumo, si scontrò con le forze armate, difensori del
complesso militare-industriale.
Dal conflitto tra governo e militari emerse il leader del Partito Chruscev che nel 1956, al XX
Congresso del PCUS, affermò una linea di coesistenza pacifica con il mondo capitalista e sminuì
il potere dei militari; inoltre, basandosi su un rapporto segreto riservato ai presenti al Congresso,
denunciò i crimini di Stalin, il culto della personalità e le violazioni di legalità: il rapporto venne
pubblicato sul New York Times, sconvolgendo i comunisti di tutto il mondo.
Incolpare Stalin serviva a garantire importanza alle strutture del potere sovietico, ma la
destalinizzazione ebbe molte conseguenze:
• scioglimento del Cominform;
• repressione delle tendenze riformatrici in Polonia e Ungheria da parte dell’Armata Rossa;
• smantellamento dei Gulag;
• riorganizzazione della polizia politica nel KGB, guidato da funzionari di partito;
• limitazione delle forze armate;
• promozione della ricerca scientifica e tecnologica in campo nucleare e missilistico; nel
1957 lanciò il primo satellite dalla Terra, lo Sputnik.
I buoni rapporti col complesso militare-industriale permisero a Chruscev di superare la crisi dopo
gli eventi in Polonia e Ungheria e la sua politica di bilanciamento si concentrò sull’equilibrio tra i
centri di potere, finché nel 1958 non divenne capo di governo e segretario del Partito.
Con Chruscev al governo iniziò l’ “età del disgelo”, la distensione dei rapporti tra il potere
politico monopartitico e la società:
• la burocrazia venne sottoposta a rotazione periodica degli incarichi;
• venne ripristinata la libertà di autolicenziamento che consentì di cambiare lavoro;
• introdotto un piano settennale meno rigido negli obiettivi di produzione;
• le macchine agricole dello Stato vennero vendute ai kolchoz, favorendo buoni raccolti e
aumento della produzione agricola.
Tuttavia, rimase il problema dei consumi, ancora di più con la crescita demografica e
l’urbanizzazione che raggiunse l’apogeo nel 1959.

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In più, i successi tecnologici non risolsero il problema del reddito pro capite basso.
A ciò si aggiunsero i problemi in politica estera, tra cui la frattura tra Urss e Cina: l’Unione
Sovietica ripresa rapporti con la Jugoslavia, ma i comunisti cinesi di Mao Zedong seguivano una
lotta all’imperialismo americano e non ammettevano la coesistenza pacifica di Chruscev.
Nel 1959, Chruscev ruppe la collaborazione nucleare con la Cina, ritirando tecnici e consiglieri.
All’interno del paese, nel 1964 Chruscev venne deposto per il suo personalismo e sostituito da una
trojka composta da Leonid Breznev, segretario del Partito, Aleksej Kosygin, capo del governo,
Nikolay Podgorij capo dello Stato.

RESTAURAZIONE BREZNEVIANA
Il nuovo governo era un compromesso tra i poteri forti (partito, esercito, sindacato) che ambivano
ad uno sviluppo più tranquillo; vennero separate le cariche di governo e di partito e si tornò alla
collegialità per prendere le decisioni, tuttavia emerse la supremazia di Breznev, che pose fine
all’età del disgelo ricominciando la repressione poliziesca che costrinse gli intellettuali alla
clandestinità.
Chiusura culturale accompagnò l’apertura economica del “piccolo benessere brezneviano”:
• investimenti nei beni di consumo;
• autonomia alle direzioni aziendali per aumenti salariali;
• costruzione di alloggi;
• 1969, diritto di pensione ai contadini dei kolchoz;
• collaborazione commerciale con gli Usa (1963) e con Italia (Fiat, 1966);
La stabilizzazione costituì il nuovo patto sociale che garantiva ai cittadini casa, lavoro, sanità,
scuola, sebbene la preminenza restò alle spese militari e perciò si ridussero gli investimenti:
aumentò la pace sociale ma al contempo calò la produttività.
Garante del patto sociale era la nomenklatura: la burocrazia di Stato e di partito, detenente il
potere e la responsabilità nella pianificazione economica, oltre che privilegiata nella
retribuzione. Questa “nuova classe”, caratterizzata da assenza di controlli e trasparenza, diffuse
corruzione e nepotismo, perdendo autorità e portando allo sviluppo della “seconda economia”:
il mercato nero, fornitore di valuta straniera e prodotti non reperibili a causa di prezzi o divieti
dello Stato, alimentando la criminalità organizzata.
Nel 1970 l’economia sovietica entrò in crisi a causa di cattivi raccolti, esaurimento delle risorse,
crescita demografica, dipendenza dalle importazioni, crisi di approvvigionamento, inflazione e
mercato nero, oltre che mancanze tecnologiche che impedivano una veloce estrazione di petrolio.

BLOCCO ORIENTALE – CRISI E STAGNAZIONE


Nel blocco sovietico, nel 1949 venne creato il Comecon che sovrintendeva le relazioni
economiche vista la politica di integrazione commerciale; tuttavia, dal 1950 le esportazioni
sovietiche erano le maggiori: si trattava di un rapporto coloniale di sfruttamento, di scambio
ineguale basato sull’esportazione di prodotti e l’importazione di materie prime e prodotti agricoli.
La grande proprietà terriera era in crisi in Bulgaria, Polonia e Jugoslavia, dove si era sperimentato
forme di sfruttamento familiare della terra senza successo.
Nel 1955, preoccupata da possibili intese bilaterali fuori dai propri interessi, Mosca promosse il
Patto di Varsavia, trattato di cooperazione e assistenza, oltre che sintomo di crisi.
Si diffusero i primi moti di insubordinazione in Cecoslovacchia e Germania Est: le due nazioni
industrialmente più sviluppate ma subordinate agli interessi sovietici.
La Cecoslovacchia, esportatrice di prodotti industriale, era stata indebolita dalle scelte per
l’industria pesante a scapito di consumi interni e produttività.
Per risolvere la crisi ed evitare l’inflazione, nel 1953 il governo Gottwald decise la svalutazione
monetaria: scoppiarono rivolte contro le condizioni di vita e di lavoro degli operai in

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Cecoslovacchia e Germani Est, l’Armata Rossa intervenne ma i governi furono comunque
costretti ad aumenti salariali e riduzione del lavoro.
In Ungheria, mancava un leader capace di unificare il Partito e la lotta per la destalinizzazione
contrappose il segretario del Partito, Màtyàs Ràkosi (fedele di Stalin), e l’opposizione di Jànos
Kàdàr e dell’ex Primo ministro Imre Nagy (espulso dal Partito).
Ràkosi venne destituito, ma il Partito rimase diviso tra conservatori e innovatori.
Nel 1956 venne organizzata una manifestazione di studenti e lavoratori che chiedevano Nagy al
governo: il Partito lo nominò Primo ministro, ma chiese all’Armata Rossa di riportare l’ordine,
creando scontri violenti nella folla.
Nagy recuperò il controllo: il ritiro delle truppe sovietiche, lo scioglimento della polizia segreta e la
formazione di un nuovo governo, nel quale entrò Maléter, un capo dei manifestanti.
Tuttavia, il governo di Nagy proclamò l’uscita dell’Ungheria dal Patto di Varsavia: i leader
sovietici, preoccupati dal pericolo di divisioni nel blocco orientale mandarono l’Armata Rossa
contro gli insorti, provocando migliaia di morti.
Nagy e i suoi ministri vennero arrestati e condannati a morte nel 1958, mentre il governo andò a
Kàdàr che ricostituì la polizia segreta e avviò la “normalizzazione” del paese.
Comunque, la repressione in Ungheria non ebbe ripercussioni sui rapporti tra Urss e Usa, perché
entrambe favorevoli alla stabilità e al mantenimento del controllo, ma la crisi all’Est continuava a
farsi sentire a causa della chiusura nei confronti di una liberalizzazione politica, subordinata alla
parziale modernizzazione industriale che tuttavia non migliorava i consumi o i redditi.
Nel 1968 ripresero le rivolte in Polonia e Cecoslovacchia: in Cecoslovacchia iniziò il governo del
leader comunista Alexander Ducek che iniziò la “primavera di Praga”.
Il programma dei riformatori proponeva un socialismo umano, la separazione tra Partito e Stato,
l’autonomia delle nazionalità, l’abolizione della censura e la libertà di critica; ottenendo consensi
di massa e senza mettere in discussione l’appartenenza al Patto di Varsavia o il comunismo.
Tuttavia, il Cremlino del benessere brezneviano e dei poteri militari volle conquistare una
vittoria, mentre gli Stati Uniti combattevano in Vietnam.
Dubcek venne sostenuto da Tito e Ceausescu che si recarono a Praga per scongiurare l’attacco
sovietico, ma fu questo ad incrementare la paura di Breznev di una leadership alternativa nel mondo
comunista: il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia imposero un regime di occupazione
militare e iniziarono una lunga trattativa che finì nel 1969 con il governo di Gustav Husak.

REPUBBLICA POPOLARE CINESE


La Repubblica popolare cinese del 1949 era governata dal consiglio centrale guidato da Mao
Zedong a cui partecipavano esponenti del Guomindang.
Il regime maoista si proponeva come nuova democrazia, autonoma e alternativa al modello
sovietico in quanto fondata sull’alternanza tra forze politiche.
La Cina era a maggioranza contadina, per cui il primo provvedimento di Mao fu la prosecuzione
della riforma agraria (motivo di consensi durante la guerra di liberazione).
Con la riforma agraria del 1950 promossa da Liu Shaoqi si ebbe:
• l’esproprio delle terre non coltivate dai proprietari;
• esclusione dei latifondisti dai diritti civili, politici;
• libertà per i possessori che coltivavano la propria terra;
Venne estromesso dal potere il ceto di notabili e possidenti e le terre estromesse vennero distribuite.
Tuttavia, la radicalizzazione del regime contro la grande proprietà terriera ostacolò i propositi della
nuova democrazia.

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I valori di democrazia e pluripartitismo venivano sostenuti da alcuni intellettuali, ma
effettivamente nelle grandi città il Partito accentrò i compiti di assistenza, istruzione, polizia; e il
permesso di residenza venne legato al posto di lavoro.
L’emancipazione derivava da esercito o Partito comunista, strumenti di reclutamento e
formazione della nuova classe dirigente.
Questo blocco di potere diffuse campagne di propaganda come:
• tre contro: corruzione, spreco, burocratismo;
• cinque contro: evasione fiscale, frode, furto ai danni dello Stato, corruzione, aggiotaggio;
Si trattava di forme di coazione collettiva, controllo e repressione sociale basate sull’uso
dell’ideologia e della negazione del dissenso, che favorì abusi e violenze.
Nel 1950 la donna ottenne una prima conquista sull’emancipazione grazie alla legge che riconobbe
il diritto di divorzio, inoltre, tramite suffragio universale, venne eletta un’assemblea nazionale
per redigere la nuova Costituzione del 1954, con la quale si costituì la nuova repubblica
presidenziale con parlamento monocamerale.
Nel 1950 venne firmato un patto trentennale di mutua assistenza con l’Urss, mentre Stati Uniti e
ONU si opposero alla partecipazione alla guerra di Corea e all’invasione del Tibet, sostituendo la
Cina comunista con la Cina nazionalista di Taiwan.
Nel 1953-58 venne avviato il primo piano quinquennale su modello sovietico:
• sviluppo programmato centralmente;
• sviluppo dell’industria pesante;
• sacrificio dei beni di consumo;
• processo di nazionalizzazione di miniere e produzione di acciaio, cemento, macchinari;
Mentre, nelle campagne Mao avviò una politica di modernizzazione graduale:
• impiego dei ceti poveri nelle opere pubbliche;
• scolarizzazione di base;
• prezzo politico per i generi di prima necessità;
Dal 1952-56 la produzione industriale crebbe e le spese militari restarono basse.
Un miglioramento avvenne anche in politica interna ed esterna, infatti la Cina conobbe un
allentamento della pressione internazionale e interna: nel 1955 partecipò alla conferenza di
Bandung dei paesi non allineati dimostrandosi favorevole a negoziazioni per il problema con
Taiwan; mentre la destalinizzazione in Urss concesse maggiore autonomia alla politica interna.

Nel 1957 venne lanciata la politica dei “cento fiori” nel tentativo di liberalizzare la vita culturale,
nel confronto di diverse scuole di pensiero, tuttavia divenne una campagna contro la destra.
Nel 1958-63 venne rilanciata l’iniziativa statale nell’economia con il “Grande Balzo in avanti”,
con l’obiettivo di raddoppiare la produzione annuale; per cui le cooperative rurali vennero
sostituite con la comuni del popolo: aziende agrarie dirette da un organo di governo elettivo e
autonomo che controllava la produzione e la squadra di lavoranti nel villaggio.
Spesso gestivano anche scuole, ospedali e la difesa militare; mentre il lavorante era retribuito in
base ai punti della squadra.
Tuttavia, questa forzatura volontaristica fu disastrosa: per Mao doveva rappresentare la
rivoluzione attraverso i contadini, invece la moderna industria pesante non raggiunse gli obiettivi
decisi e i contadini non lavorarono più i campi, facendo crollare la produzione agricola e
provocando cattivi raccolti, siccità e inondazioni (40 milioni di morti).
Oltre al disastro economico, la Cina si distaccò dall’Urss per colpa della sua politica di disgelo.
Negli anni ’60, Mao cercò di trovare una via alternativa al socialismo totalitario sovietico e riprese
la lotta all’imperialismo delle superpotenze, promuovendo il ruolo delle masse; in realtà era una

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risposta all’offensiva dei suoi oppositori, guidati dal segretario del Partito Deng Xiaoping a
causa del disastro del Grande Balzo, favorevoli al ritorno alla proprietà privata e libero commercio.
Da questo scontro politico, nel 1965-66 nacque la “rivoluzione culturale”: Mao fece appello agli
organismi studenteschi che avevano protestato contro la burocrazia e l’autoritarismo delle
università e convinse i giovani ad estendere questa lotta a tutti i settori della società (“bombardate
il quartier generale”); da ciò nacque il movimento delle “guardie rosse” (dal “libretto rosso” di
Mao) e la persecuzione, Den Xiaoping e Liu Shaoqi vennero imprigionati e la rivoluzione culturale
provocò un milione e mezzo di morti.
Nel paese, nel caos e nell’incertezza, crebbe il peso dell’esercito riorganizzato e politicizzato dal
ministro della Difesa Lin Biao, nacquero comitati rivoluzionari di studenti, soldati e contadini,
attorno al culto del presidente Mao e si sviluppò una nuova rete di potere.
Nel 1969 al IX congresso del Partito comunista cinese, l’esercito proclamò la necessità di ordine.
Nel 1971, Lin Biao morì improvvisamente, forse ucciso perché accusato di fascismo, così si chiuse
la fase destabilizzante della rivoluzione culturale.
Mao riabilitò gli intellettuali e tutti gli epurati, tra cui Den Xiaoping (
Primo ministro nel 1975).
Nel 1970 la Cina popolare fu ammessa all’ONU e nel 1972, con una visita del presidente Nixon
in Cina, iniziarono nuovi rapporti con gli Stati Uniti, sempre nel distacco dall’Urss.

CAP 16
LA SVOLTA

CESURA EPOCALE
La golden age (1945-73) incrementò l’interdipendenza e la globalizzazione del mondo; la guerra
fredda semplificò gli equilibri politici nella logica bipolare coinvolgendo anche i paesi periferici,
soprattutto in seguito al processo di decolonizzazione; per cui, aumentarono gli scambi
internazionali, lo sviluppo dell’industria e lo sfruttamento di risorse, finché verso la fine degli
anni ’60 questo processo entrò in crisi, così come la centralità di Stati Uniti e Unione Sovietica.
Il dollaro statunitense entrò in crisi, tornò il protezionismo e aumentarono gli stati-nazione.
Si diffusero teorie “della dipendenza” sulla necessità di un metodo di sviluppo per i paesi del
“Terzo mondo” diverso da quello occidentale, in quanto la stessa arretratezza di questi paesi era
prodotto del capitalismo; in Occidente, la nuova generazione di giovani si ribellò contro le
ingiustizie, l’autoritarismo; emerse l’evidenza dei limiti della crescita economica, l’esaurirsi di
risorse naturali; nel 1968 il primo allarme sulla crescita demografica; nel 1970 primo Earth Day.
La svolta del 1968-73 diede vita a trasformazioni che posero fine all’equilibrio bipolare e alla
contestazione giovanile del ’68, le superpotenze reagirono in modo diverso:

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• Stati Uniti puntarono tutto sul settore terziario;
• Unione Sovietica invase la Cecoslovacchia e l’involuzione autoritaria arrivò fino alla crisi
dell’Urss e alla sua disgregazione nel 1989-91.
La deindustrializzazione dell’Occidente corrispose all’industrializzazione in Asia, delle “quattro
tigri” (Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan, Singapore) e poi delle “anatre volanti” (Vietnam,
Thailandia, Malysia).

BABY BOOM GENERATION – ‘68


Dopo le guerre, a metà anni ’60, arriva una nuova generazione, la baby boom nata nel periodo di
esplosione delle nascite 1945-50, cresciuta nella golden age.
Le università divennero il principale strumento di mobilità sociale e professionale di una
generazione capace di pensare il proprio futuro migliore di quello dei genitori.
Nei primi anni ’70 l’età per votare divenne di 18 anni.
Le università divennero luogo di agitazioni studentesche giovanili, per vari motivi:
• Praga, riscaldamento mancante nei dormitori;
• New York, Parigi, apertura dei dormitori alle studentesse;
• Dacca, protesta contro l’imposizione di una lingua straniera;
• Ankara, divieto di portare il velo a lezione;
• Città del Capo in Sudafrica, licenziamento di un professore di colore;
Ne scaturirono scontri con le forze di polizia e la protesta divenne politica.
La baby boom fu la prima generazione a crescere all’ombra della bomba atomica, in un clima di
terrore, razzismo e guerra che ne alimentarono la rivolta.
In Occidente fu una rivolta libertaria, contro la gerarchia, l’autoritarismo, il puritanesimo.
Si diffuse la musica rock dei Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan, veicolo di aspirazione al
cambiamento; i blue jeans, i capelli lunghi, minigonne; sessualità libera, anticoncezionali.
Negli Stati Uniti la contestazione giovanile si accompagnò alla protesta contro la segregazione
razziale e la guerra del Vietnam:
• 1964, gli studenti di Berkeley costituirono il Free Speech Movement per ottenere il diritto
di riunirsi ed esprimersi liberamente;
• 1965, il ghetto nero di Watts esplose nella rivolta più violenta del dopoguerra;
In Cina tra il 1966-69 Mao mobilitò gli studenti nella “rivoluzione culturale” che fece molte
vittime.
Simboli e ideologie del ’68 furono diversi: i giovani cinesi travestiti da guardie rosse con il
“libretto rosso” di Mao divennero simbolo di rivoluzione in Occidente; così come il Vietnam che
sconfiggeva gli Stati Uniti.
La rivolta giovanile si oppose particolarmente al bipolarismo imposto dalla guerra fredda, alla
guerra in Vietnam, all’autoritarismo dei regimi comunisti e l’imperialismo statunitense.
Tra le ideologie si diffuse il “terzomondismo” a sostegno dei popoli asiatici, africani e
latinoamericani contro il dominio delle superpotenze.
Figure mitiche della rivoluzione divennero il nordvietnamita Ho Chi Min e il guerrigliero
Ernesto “Che” Guevara.
Nel 1968 gli studenti giapponesi protestarono contro le basi militari statunitensi, gli studenti di
polacchi contro la censura del regime comunista, gli studenti cecoslovacchi partecipavano alla
“primavera di Praga”, gli studenti francesi per spazio di libero dibattito.
Manifestarono contro l’università capitalista, tecnocratica, neutrale, in Gran Bretagna, Italia,
Germania, Spagna.
In aprile 1968 il leader pacifista nero Martin Luther King venne assassinato e scoppiò una rivolta
violenta in più di cento ghetti statunitensi.

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L’epicentro della contestazione si spostò a Parigi, dove sconvolse la città per mesi in nome di
slogan come “tutto è possibile”, “vietato vietare”, “siate realisti, chiedete l’impossibile”.
Il’68 non produsse effetti tangibili nell’immediato, riforme o ordinamenti; e spesso provocò lo
spostamento a destra dell’elettorato (
De Gaulle, Francia).
Tuttavia, produsse trasformazioni profonde nella mentalità e nei costumi: liberalizzazione dei
rapporti di potere, nelle istituzioni e nelle famiglie, affermazione dei diritti civili e umani e
accettazione delle differenze; democratizzazione della società.

INSTABILITA’ INTERNAZIONALE, STAGLFAZIONE, INNOVAZIONE


La fine degli anni ’60 segnò la fine dell’egemonia economica degli Stati Uniti a causa della crescita
economica di altri paesi; la disoccupazione aumentò e si diffusero le filiali estere per evitare
imposte e restrizioni.
Nacquero gli “eurodollari”; i dollari circolanti all’estero non erano controllati, nonostante il
sistema di Bretton Woods assicurava la conversione in oro.
Dal 1948-1970 Usa andarono incontro a una crisi di insolvenza e nel 1970 le importazioni
superarono le esportazioni (deficit commerciale).
Nel 1971 venne sospesa la convertibilità del dollaro (fine di Bretton Woods) e i paesi della CEE,
nel 1972 si accordarono per un “serpente monetario”: a ogni moneta europea vennero fissati limiti
di oscillazione nel cambio con le altre valute.
L’Ostpolitik del cancelliere tedesco Brandt, nel 1975 portò all’Atto di Helsinki tra i paesi europei,
che stabiliva l’inviolabilità dei confini, la non ingerenza negli affari e la rinuncia all’uso della forza:
fu l’apogeo della déténte tra Usa e Urss e l’Europa prese forma come soggetto.
Usa e Urss reagirono firmando il primo trattato Salt (Strategic Armaments Limitation Talks) nel
1972, che prevedeva il non utilizzo degli arsenali nucleari per cinque anni.
Tuttavia, la pace venne interrotta nel 1973 dalla guerra del Kippur (Yom Kippur: festa
dell’espiazione ebraica) che scatenò Anwar-al Sad, capo di governo dell’Egitto, per vendicarsi.
(1967
guerra dei sei giorni, Israele occupa Sinai, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Golan).
La situazione era costituita da regimi autoritari e scossa dal terrorismo dell’OLP: nel 1972,
uccisero 15 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco.
Nel 1973 Israele venne colpita nel Sinai dai Siriani e nella regione del Golan, mentre i paesi arabi
decretavano il blocco delle forniture petrolifere in occidente.
Dopodiché, si raggiunse un accordo e vennero ripristinati i confini antecedenti al 1967: il Sinai
tornò all’Egitto.
Nel 1978 vennero firmate delle trattative con la supervisione degli Stati Uniti: la pace di Camp
David, tra Sadat e Menachem Begin; per la prima volta uno stato arabo riconosceva Israele.
Tuttavia, l’Egitto venne espulso dalla Lega dei paesi arabi e nel 1981 Sadat venne ucciso da un
attentato dei Fratelli Musulmani: i paesi arabi rimasero isolati.
Con la guerra del Kippur emerse un nuovo soggetto in politica internazionale: l’OPEC, dalle cui
importazioni dipendevano i paesi industrializzati; con lo shock petrolifero del 1973,
danneggiando i paesi filoisraeliani, incrinarono l’economia mondiale in generale e il petrolio
divenne prezioso.
Ne derivò un’inflazione che dagli Stati Uniti si diffuse nel resto dell’Occidente: nel 1974 i prezzi
aumentarono, la domanda interna e la produzione industriale si compressero, il PIL crollò.
L’inflazione determinò la stagnazione delle economie occidentali, per cui si usa il neologismo
“stagflazione”.
La stagflazione accelerò due fenomeni:

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1. l’aumento del prezzo del petrolio portò ai paesi esportatori enormi capitali, i
“petrodollari”. L’impiego di questi capitali divenne importante anche per gli equilibri
globali di finanza internazionale: potevano essere spesi sul mercato nazionale o
internazionale, facilitando una redistribuzione di ricchezza, mentre spesso venivano
risparmiati in depositi presso banche straniere.
I petrodollari si sommarono con gli eurodollari, gonfiando il capitale liberamente
circolante su scala globale: si creò una bolla di carta priva di rapporto con la ricchezza
reale a causa dei “derivati”, scommesse sul corso dei titoli, quotazioni di valute, ma erano
scommesse gestite con denaro non posseduto, preso in prestito da banche o società
finanziarie. I capitali presero la strada della speculazione, anziché degli investimenti
produttivi: i guadagni rimasero in possesso di una ristretta schiera di investitori e
l’ineguaglianza di redditi dilagò.
2. la contrazione dei posti di lavoro industriali nelle economie avanzate che alimentarono i
conflitti sociali, gli scioperi aumentarono e in risposta al calo dei profitti; le multinazionali
occidentali intensificarono il processo di delocalizzazione per spostarsi nei paesi asiatici,
laddove erano minori i salari, le resistenze sindacali, le imposte da pagare e le norme
ambientali: nel 1970, il baricentro produttivo del mondo divenne l’Oriente.
Comunque, la deindustrializzazione occidentale, nelle economie dei paesi ricchi venne
compensata con lo sviluppo del settore terziario: negli Stati Uniti venne promossa la “società
dell’informazione” e quindi l’importanza dei mass media; nel 1970 faceva parte del settore il 40%
della popolazione attiva.
In questa nuova “società postindustriale” nacque la rivoluzione informatica: nel 1975, negli Stati
Uniti, venne messo in commercio il primo personal computer (PC), l’Altair 8800 (400$) che si
diffuse nelle comunità giovani anticonformiste in California, eredi del ’68.
Alla base della rivoluzione vi era la filosofia “democratica” dell’accesso popolare all’innovazione
tecnologica e venne perseguita da altri giovani della baby boom, come Steve Jobs che nel 1977.
La svolta 1968-73 fu quindi: finanziarizzazione, delocalizzazione, terziarizzazione,
informatizzazione e mise in crisi l’autorità di Stato-nazione e il lavoro in fabbrica.
Nel 1975 venne convocato l’incontro del Group of six (G6) tra i capi di governo dei sei stati
maggiori: Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone; a Rambouillet.
Emersero le divergenze dei capitalismi nazionali: la Germania era favorevole a una politica
deflattiva, gli Stati Uniti a una ripresa delle esportazioni, mentre il Giappone, basato sulle
esportazioni, cercava di contrastare la svalutazione e la ripresa delle esportazioni.

CAP 17
ETA’ DI TRANSIZIONE

MONDO INSTABILE
Il ’68 e lo shock petrolifero del 1973 determinarono instabilità a livello mondiale.
Stati Uniti e Gran Bretagna optarono per politiche economiche neoliberiste di lotta
all’inflazione tramite contenimento della spesa pubblica, dei prezzi e dei salari; mentre la
liberalizzazione dei mercati favorì piccoli paesi asiatici come Corea del Sud, Taiwan, Singapore,
Hong Kong, specializzati nell’esportazione di prodotti finiti a basso costo.
Inoltre, gli Stati Uniti si rivelarono colpevoli del diretto coinvolgimento della CIA nel golpe di
Pinochet in Cile dopo un’inchiesta del 1976, oltre che della dittatura brasiliana e argentina.
Nel 1976 la presidenza andò al democratico Jimmy Carter, favorevole ad una riforma nei
rapporti internazionali basata su principi di libertà e rispetto dei diritti umani, per cui
ridimensionò i servizi segreti americani, l’appoggio ai regimi sudamericani e criticò l’Urss per la
sua repressione.

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Nel 1979 con la rivoluzione sandinista (
capo rivoluzionario Sandino, ucciso da Somoza nel 1934) in Nicaragua, operata dal Frente
sandinista, venne attuato un programma di trasformazioni sociali a favore di educazione, sanità e
politica agraria.
A metà anni ’70 i regimi dittatoriali di Spagna, Portogallo e Grecia finirono, tuttavia rimasero di
orientamento filoamericano, così l’Urss approfittò delle colonie del Portogallo per estendere la
propria influenza, a partire da Angola e Mozambico dove impose una presenza militare.
Inoltre, nel 1974, con la morte del negus Selassiè in Etiopia s’insediò il governo militare
filosovietico di Hayla Mariam Menghistu.
Nel 1979, in Iran, crollò lo shah Reza Pahlavi in seguito a delle manifestazioni guidate
dell’ayatollah (autorità religiosa sciita) Ruhollah Khomeini: divenne una repubblica islamica
fondata sui precetti del Corano e l’ambasciata Usa a Teheran venne tenuta in ostaggio.
L’Urss intervenne per bloccare un possibile estendersi della rivoluzione iraniana ai propri confini,
così che in dicembre 1979 attaccò militarmente l’Afghanistan, fino al 1988.
Fu un disastro militare e rovinò i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti.
Nel 1988 le truppe sovietiche sconfitte furono costrette a ritirarsi ma lasciarono il paese nella
guerra civile: la guerriglia dei mujahidin afgani (
combattente impegnato nel jihad - guerra santa - patriota) venne appoggiata dagli Stati Uniti e fu
un’efficace propaganda per i movimenti fondamentalisti islamici.

NEOLIBERISMO
Nel 1976 morì Mao e Deng Xiaoping divenne la guida del Partito comunista cinese; nel 1978
avviò la politica delle “quattro modernizzazioni”, agricoltura, industria, scienza, difesa:
• nelle campagne venne applicato il sistema della responsabilità familiare che liberalizzò il
commercio privato;
• sulla costa orientale nacquero “zone economiche speciali” per la sperimentazione di forme
di cooperazione con i mercati internazionali e gli investimenti esteri;
• la “politica del figlio unico” fissò quote locali obbligatorie per il contenimento delle
nascite;
• all’industria di stato venne lasciata autonomia e responsabilità nel reinvestimento di
profitti;
Tutto ciò dimostrò la consapevolezza del fallimento dei modelli comunisti di politiche economiche.
Venne mantenuto il regime monopartitico, ma la Cina si aprì all’economia di mercato e al profitto
individuale, che portò molti contadini ad uscire dalla povertà.

Nel 1979, in Gran Bretagna per la prima volta una donna divenne Primo ministro (1979-90):
Margaret Thatcher, la “lady di ferro”, leader dei conservatori inglesi.
Contraria all’invadenza e alla preminenza dello Stato sui cittadini, quindi anche alla forma di
welfare state, si dimostrò favorevole al rilancio dell’economia capitalistica basata sulla ricerca del
profitto da parte degli individui: questo le garantì il consenso dei conservatori ma anche di piccola
e media borghesia urbana, intenzionata ad aumentare il proprio profitto; mentre si opposero le
centrali sindacali, sconfitte tra il 1979-85 con delle trattative.
La Thatcher impose una politica di deregulation: eliminò i vincoli dello Stato nel mercato,
eliminando le restrizioni in economia per poter favorire le operazioni del mercato stesso, e
privatizzò la maggior parte delle industrie dello Stato, aumentando le disparità retributive.
Al contempo, animò il sentimento nazionale del paese quando nel 1982 ci fu la guerra delle isole
Falkland: quando la dittatura militare argentina occupò le isole, a cui rispose un corpo di
spedizione navale che ripristinò la sovranità inglese.

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Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il presidente Carter mantenne una linea di distensione con
l’Urss, firmando il trattato Salt II nel 1979, ulteriore limitazione degli armamenti.
Tuttavia, con l’invasione dell’Afghanistan, gli Usa risposero con un’offensiva diplomatica,
boicottando le Olimpiadi e spingendo l’Urss a rafforzare la repressione sui paesi del blocco.
La politica di Carter fu eterodossa, basata su criteri ideali, democrazia e diritti umani, e non su
considerazioni realistiche: fu l’evidenza della crisi degli Stati Uniti.
La “seconda guerra fredda” riportò le incertezze, simboleggiate nel 1980 dai ritrovamenti di rottami
degli elicotteri statunitensi inviati clandestinamente a recuperare gli ostaggi americani a Teheran.
Quell’evento influenzò le elezioni del 1980, quando divenne presidente il repubblicano Ronald
Reagan (1980-88), promettendo di risolvere la crisi e “far tornare di nuovo grande l’America”.
In politica economica la svolta fu il rialzo dei tassi di interesse attuato dal presidente della
Federal Reserve Paul Volcker, ovvero l’aumento del costo dei prestiti, quindi minori investimenti.
Reagan si dimostrò forte licenziando i responsabili di uno sciopero non autorizzato, e favorevole a
riaprire il mercato a una politica di deregulation, all’iniziativa privata e alla diminuzione del
carico tributario sui redditi medio-alti, che prese il nome di Reaganomics.
La nuova libertà economica avrebbe dovuto ampliare i profitti e quindi gli investimenti:
produzione e occupazione; mentre lo Stato non si sarebbe più occupato di assistenza sociale e
istruzione, lasciandole al privato, così da concentrarsi nel settore della difesa.
In realtà, sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti la spesa pubblica crebbe e gli unici successi
furono contro l’inflazione e la disoccupazione, che al contrario crebbe in Gran Bretagna: la
deregulation non fu in grado di risanare i conti pubblici e sostenere la domanda interna.
Per il governo di Reagan, immagini di consenso furono individualismo e antistatalismo, così
come l’anticomunismo, ottenendo l’appoggio di repubblicani e democratici.
Negli Stati Uniti emerse una nuova generazione, quella degli young urban professionals:
yuppies, giovani consacrati al lavoro – in opposizione a quelli del ’68 – informatico e borsistico.

EUROPA – ANNI ’80


In Francia, il presidente d’Estaing dal 1974 tentò di rispondere alla crisi petrolifera con la
produzione di energia nucleare e riducendo il ruolo dello Stato a costo di grandi licenziamenti, per
cui si crearono tensioni sociali e l’unione delle sinistre, socialisti e comunisti di nuovo insieme.
Nel 1981, divenne presidente il socialista Francois Mitterand che insieme ai ministri comunisti
avviò molte riforme:
• abolizione pena di morte;
• decentramento amministrativo;
• “reddito minimo di inserimento” per i giovani in cerca di lavoro;
• nazionalizzazione delle banche e delle industrie;
In Germania, i socialdemocratici di Brandt e poi di Schmidt cercarono di risolvere la crisi senza
successo, finché la scarsità di risorse non causò l’opposizione degli imprenditori: nel 1982 il Partito
liberale uscì dalla coalizione e emerse il governo democristiano di Helmut Kohl.
Anche la Germania optò per una politica di rigore monetario tagliando le prestazioni sociali per
risanare il bilancio e la produzione di macchinari industriali (punto forte dell’economia tedesca)
venne rilanciata.

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In politica estera Kohl mantenne il suo impegno europeista e quindi un asse privilegiato con la
Francia di Mitterand.
Nel 1973 entrarono a far parte dell’Unione Europea Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia e
Danimarca; mentre nel 1972 si creò il Sistema monetario europeo (SME), in vigore dal 1979.
Nel 1979 ci furono le prime elezioni a suffragio universale nel parlamento europeo e tra 1981-85
entrarono Grecia, Spagna e Portogallo.
Nel 1985 l’Unione Europea raggiunse la compiutezza quando il presidente della Commissione
Jacques Delors promosse la liberalizzazione dei movimenti di persone, merci e capitali.
Comunque, rimase il problema dell’indipendenza militare, soprattutto in seguito alla seconda guerra
fredda, quando le due superpotenza tornarono al comando.
Infatti, l’Urss avviò un piano di dispiegamento di nuovi missili con bersaglio l’Europa e gli Usa di
Reagan reagirono con lo stesso recupero della forza militare: nel 1979 insieme ai ministri europei
venne decisa l’installazione di 500 missili americani su suolo europeo, gli “euromissili”, approvati
dai governi tedesco, belga, olandese e italiano nel 1982-83, contro l’opinione pubblica
antiamericana o pacifista.

RIARMO
Nel 1981 a Ginevra iniziarono i negoziati Usa-Urss per gli euromissili, ma le trattative vennero
rallentate a causa della fase di transizione al Cremlino in seguito alla morte di Breznev nel 1982,
i cui successori furono Andropov e Cerneko, e delle divisioni nel gruppo dirigenti; mentre nel
1984 Reagan venne eletto presidente col secondo mandato.
Nell’Urss diminuì la crescita economica e le spese militari iniziarono a pesare, si trattava delle
condizioni di tutto l’Est europeo.
Ad esempio, in Polonia nel 1976 vennero alzati i prezzi, per cui nacque un’organizzazione operaia,
il Solidarnosc, a carattere solidaristico; mentre nel 1978 venne eletto papa il polacco Karol
Woytila, Giovanni Paolo II; infine, nel 1981 l’ala riformatrice di Jaruzelski optò per il colpo di
stato.
Nel 1986 la rottura di un reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina, causò l’evacuazione e la
contaminazione di massa: fu la massima espressione dell’arretratezza tecnologica dell’Urss, che
poteva competere sol sul piano militare.
La situazione di crisi portò alla vittoria delle elezioni di Partito il giovane riformatore Mikhail
Gorbacev nel 1985.
Dal 1983-88 le spese militari statunitensi aumentarono: Reagan cercava di indebolire l’Urss
facendogli saltare i bilanci; in più, attuò un bluff con il piano Strategic Defense Initiative (SDI) nel
1983, ribattezzato “guerre stellari”, secondo cui un sistema di armi satellitari proteggeva gli Usa.
Infine, durate i negoziati di Ginevra Reagan annunciò l’ “opzione zero”, ovvero l’annullamento
dell’istallazione dei missili: fece riemergere diffidenze in Europa e dimostrò la sua autosufficienza.

OCCIDENTE – VITTORIE E INCERTEZZE


La crisi dell’ala militarista del Cremlino portò all’ascesa di Gorbacev, consapevole della necessità
di trattative con gli Stati Uniti e di riforme radicali: la riconversione della spesa pubblica alla
produzione dei beni di consumo, il decentramento delle scelte di politica economica e il rilancio di
agricoltura e tecnologia.
Per prima cosa doveva interrompere il riarmo, per cui chiese a Reagan di rinunciare al progetto di
SDI dichiarando la propria inferiorità.
Iniziarono una serie di incontri tra Reagan e Gorbacev, a partire dal 1985 a Ginevra.
Nel 1987 un nuovo incontro portò alla firma di un trattato che prevedeva l’eliminazione di
maggior parte dell’arsenale missilistico di entrambe; infine, l’Urss ridimensionò la repressione
interna e nel 1989 ritirò le truppe in Afghanistan.

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In realtà la nuova distensione era la richiesta di Gorbacev di aiuto economico e nell’attuare le
riforme interne in cambio della rinuncia di superpotenza.
Per questo, nel 1988 Gorbacev annunciò il ritiro delle forze armate sovietiche dai paesi del Patto
di Varsavia, aprendo un ciclo di rivoluzioni pacifiche fino al crollo del muro di Berlino (1989) e la
riunificazione della Germania; tuttavia, Reagan non offrì una reale collaborazione e neanche una
dichiarazione di uscita dalla guerra fredda.
Inoltre, gli Stati Uniti continuarono con le ingerenze oltre i propri confini:
• 1983, intervento nell’isola di Grenada, dove stava per instaurarsi uno Stato marxista-
leninista;
• 1986, bombardamento delle città libiche di Tripoli e Bengasi, contro sospetti atti
terroristici di Gheddafi;
• 1989, a Panama, arrestarono il generale Manuel Noriega per traffico di droga
internazionale.
Per cui, la giustificazione fu la lotta al terrorismo per la sicurezza dei cittadini, in realtà era la
volontà di esercitare un controllo globale.
Nel 1988 George Bush divenne il nuovo presidente degli Usa, inoltre, nel 1987 la Borsa di New
York aveva registrato un crollo dei titoli azionari a causa delle manovre speculative e le
Reaganomics avevano aumentato le differenze sociali, la povertà delle minoranze etniche, che
scatenarono disordini nel 1992 nei ghetti di Los Angeles; la disoccupazione raggiunse anche i ceti
impiegatizi.

MEDIO ORIENTE – FASE DI PASSAGGIO


Gli anni ’80 furono una fase di passaggio e la guerra del Kippur del 1973 dimostrò la vulnerabilità
di Israele, per cui alle elezioni vinse la destra, il Partito Likud di Meachem Begin.
La pace di Camp David del 1979 garantiva l’integrità delle frontiere tra Israele ed Egitto, a cui era
stata restituita la penisola del Sinai nel 1982, mentre la parte araba di Gerusalemme e la regione del
Golan andarono ad Israele.
Il nuovo governo di Begin s’irrigidì maggiormente nei confronti delle popolazioni arabe della
Palestina e favorì la colonizzazione israeliana dei territori conquistati.
Nel 1977 Siria e Libia insieme all’OLP costituirono il Fronte della fermezza contro Israele.
A catalizzare le tensioni fu il Libano, da sempre diviso tra musulmani e cristiani e invaso da
profughi palestinesi, perciò era scoppiata una guerra civile a metà anni ’70, indirettamente
sostenuta da Siria e da Israele (interessato ad eliminare i campi profughi da cui riceveva attacchi).
Nel 1982 l’esercito israeliano intervenne nel conflitto assediando Beirut.
Per cui intervenne una forza multinazionale di pace che evacuò le milizie dell’OLP ma non riuscì
ad impedire il massacro dei civili palestinesi da parte dei cristiani libanesi.
In seguito a numerosi attentati la forza multinazionale si ritirò nel 1984 e a seguire l’esercito
israeliano, lasciando la situazione libanese alla Siria.
Nel 1987 ricominciarono le proteste di massa delle popolazioni palestinesi nei territori occupati
da Israele, con scioperi e disobbedienza civile e il movimento di protesta Intifada esponeva la
bandiera palestinese come simbolo di lotta e autogoverno.

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Nel 1988 l’OLP proclamò la nascita dello Stato palestinese a Gaza e Cisgiordania,
riconoscendo Israele; tuttavia il Likud non fece niente.
Alle elezioni israeliane del 1992 salì al governo il laburista Ytzhak Rabin e nel 1993 Israele e
OLP firmarono gli accordi di Oslo formalizzando il riconoscimento reciproco e l’Autorità
nazionale palestinese (ANP): governo autonomo nei territori occupati, che si costituì nel 1994.
Nel 1996 si tennero le prime elezioni palestinesi a suffragio universale che confermarono Arafat
come presidente dell’Autorità nazionale.
Nel 1979 la rivoluzione iraniana (
Khomeini, repubblica islamica) aveva rilanciato l’integralismo religioso, in Egitto, Marocco,
Algeria, Sudan.
Dal 1980-88 venne combattuta la guerra in Iran, attaccato dall’Iraq di Saddam Hussein.

“MIRACOLO ASIATICO”
Negli anni ’80 nacquero nuovi poli di sviluppo dell’economia mondiale, a partire dal Giappone,:
questo capitalismo venne chiamato “toyotismo”:
• piena occupazione e valori comunitari (attaccamento alla nazione e all’azienda);
• qualità totale per soddisfare il cliente;
• metodo just in time di controllo e programmazione, coordinamento dei lavoratori in pool;
• presenza competitiva nei mercati esteri, esportazioni e protezione del mercato interno;
Il Giappone trascinò con sé piccoli paesi asiatici come Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea del
Sud: le tigri asiatiche, Newly Industrializing Countries (NICS), forti di produzione industriale
destinata alle esportazioni mondiali, basso costo della forza lavoro ma altamente qualificata;
riforme agrarie contro l’ineguaglianza; ruolo attivo dello Stato che promosse un sistema di
istruzione capace di formare molti laureati; protezione dell’industria nazionale; repressione delle
conflittualità e delle libertà sindacali.
L’ascesa dei NICS contraddiceva l’idea che capitalismo e democrazia fossero legati: infatti, in
questi paesi vi erano limitazioni di diritti e libertà, così divennero un nuovo modello di capitalismo.
Ad esempio in Cina il dinamismo economico accompagnò la politica autoritaria.

CASO ITALIANO
Dal 1969-87 il terrorismo politico sconvolse l’Italia a causa di difficoltà sociali ed economiche,
stagflazione, inflazione, conflittualità sindacale e instabilità governativa.
Il compromesso storico non dava risultati, dal 1975-80 le spese per l’assistenza sociale erano
aumentate e per affrontare il deficit di bilancio si ricorse all’espansione del debito pubblico
tramite Buoni ordinari del tesoro (BOT) molto convenienti.
La disoccupazione continuava a salire e nel 1977 ci furono nuove agitazioni universitarie.
Consapevoli della necessità di cambiamento, nel 1978 alle elezioni vinse il governo del
democristiano Giulio Andreotti, con l’astensione dei comunisti.
Nelle stesse ore Aldo Moro venne rapito e ucciso dalle Brigate rosse, al termine di una vicenda
che dimostrò divisioni tra vertici dello Stato e servizi segreti.
Così nacque il governo di “solidarietà nazionale”, con l’obiettivo di stroncare il terrorismo.
Chiamati “anni di piombo” ebbero una svolta solo nel 1980, adottando decreti che premiavano con
riduzione di pena i collaboratori di giustizia usciti dai gruppi terroristici: i “pentiti”; sotto la
guida del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’azione dello Stato riacquisì efficacia.
Per quanto riguarda la collaborazione tra DC e PCI, già nel 1980 Berlinguer dichiarò esaurita la
fase della solidarietà nazionale e la necessità di un governo onesto e capace.
La mancanza di alternanza di governo bloccava il sistema dei partiti, impediva il ricambio di
politici alla gestione del potere, sempre nelle mani di gruppi inamovibili e incontrollabili: questo

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favorì la corruzione e il clientelismo nel governo italiano, scambiando favori con i poteri
economici.
Negli anni ’80 uscirono due inchieste giudiziarie che rivelarono gli scandali:
1. 1980, la gestione clientelare dei fondi per l’Irpinia in seguito al terremoto, che coinvolse
anche una componente della DC;
2. 1981, emerse la loggia massonica segreta P2, intenzionata a spostare a destra la situazione
politica tramite relazioni clientelari tra affari e politica; a questa appartenevano le forze
armate e i servizi segreti, responsabili del caso Moro;
Dopodiché il PCI tornò all’opposizione, la DC continuò a governare ma indebolita, così che alle
elezioni del 1983 – dopo due governi del repubblicano Giovanni Spadolini – si costituì il governo
socialista di Bettino Craxi con una maggioranza di pentapartito: DC, PSI, PRI, PSDI, PLI.
PSI sembrava il più adeguato alla modernizzazione del paese.
Come in Gran Bretagna, Craxi isolò il movimento sindacale, in particolare la corrente comunista
della CGIL, dopodiché nel 1984 propose la “scala mobile”: i salari adeguati allo stile di vita; e lo
stesso anno morì Berlinguer.
Il PCI iniziò manifestazioni e una battaglia parlamentare che portò al referendum abrogativo
nel 1985, nel quale ottennero una vittoria.
Tuttavia, la spesa pubblica continuò a salire, così come l’inflazione e debito pubblico.
Il disegno modernizzatore del PSI si dimostrò insufficiente e il debito pubblico continuò ad
aumentare anche a causa del pubblico impiego garantito a vita e privo di controlli o qualità.
Parassitismo, inefficienza e clientelismo caratterizzavano l’Italia.
Infatti, gli investimenti pubblici nelle aree arretrate come il Mezzogiorno venivano sfruttati dalla
criminalità organizzata per interessi privati: riprese vigore la mafia, che nel 1982 uccise Dalla
Chiesa e a fine anni ’80 riuscì a fare il 10% del prodotto interno lordo italiano, tutto legato ad
attività illegali, dal traffico della droga, all’edilizia, alle opere pubbliche, di cui erano
responsabili la camorra napoletana, la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese, la sacra corona
unita pugliese.
La malavita governava la vita civile e amministrativa di intere zone, esercitando potere politico.

Per quanto riguarda l’economia, in seguito alla perdita di competitività e dei posti di lavoro, il
lavoro operaio si trasferì all’industria leggera, soprattutto in nuovi poli industriali in Veneto,
Emilia, Toscana e Marche: quella che venne definita la “terza Italia” e responsabile della crescita
del PIL.
Tuttavia, negli anni ’80 la situazione apparve stabile e gli italiani non avvertirono il peggioramento:
i titoli di stato erano vantaggiosi, il servizio sanitario scadente ma gratuito, le pensioni basse ma
garantite, il lavoro autonomo e con facile possibilità di evasione fiscale.
I risultati elettorali rispecchiavano l’illusoria stabilità: il PSI in ascesa, DC e PCI in declino.
Allora, il cambiamento arrivò dall’esterno: col crollo dei regimi comunisti e della guerra
fredda, quando i partiti politici di massa dovettero rifondarsi su nuove basi, il ceto di governo
corrotto e inefficiente perse l’inamovibilità e finì l’alternanza di governo.
Per cui, seguirono crisi e trasformazione del sistema politico italiano: emerse un nuovo partito
regionale, la Lega Nord, che acquistò consensi grazie al programma autonomista; nel 1991 il
Partito comunista si scisse in Partito democratico della sinistra e Rifondazione comunista.
La magistratura iniziò le indagini sul finanziamento dei partiti, la corruzione e il clientelismo,
avviando una “decapitazione” giudiziaria di un intero ceto politico: da Craxi – che scappò in
Tunisia – per concussione, ad Andreotti per collusione con la mafia (assolto nel 1999).
Un movimento trasversale di politici e intellettuali promosse un referendum per modificare il
sistema elettorale proporzionale in senso maggioritario, così da ridurre il numero di partiti e
inaugurare una democrazia bipolare fondata sull’alternanza: nel 1993 venne approvato.

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CAP 18
FINE DEL COMUNISMO

BLOCCO SOVIETICO – BREZNEV


GORBACEV
L’Urss al di là di essere una potenza militare, era un paese con produttività agricola e industriale in
calo dal 1970, con un aumento delle importazioni da Occidente e col solo sostegno delle
esportazioni di petrolio, di cui avevano aumentato il prezzo.
Tra la popolazione e la nomenklatura di Breznev nacque un patto: una scarsa qualità della vita in
cambio di servizi semigratuiti, tolleranza alla corruzione e ai privilegi della casta politica.
Società civile e Partito si distanziarono sempre più, così come le disuguaglianze socio-
economiche.
Nel 1982 Breznev venne sostituito da Andropov che favorì i giovani rinnovatori nel Partito, tra cui
Gorbacev, morto nel 1983 gli succedette un esponente del vecchio apparato, Cerneko, ma nel 1985
da quella crisi interna emerse Michail Gorbacev come segretario del Partito.
La crisi del mondo comunista era evidente per vari motivi:
• 1981, il colpo di stato in Polonia era stato represso e tutti i partecipanti arrestati;
• 1977, in Cecoslovacchia nacque il movimento Charta 77 per difendere i cittadini, diretto
da Vaclav Havel, poi perseguitato e arrestato;
• Ungheria, veniva perseguita una cauta riforma economica per controllare l’opposizione;
• Romania, il regime di Ceasescu si basava su nazionalismo e repressione;

GORBACEV – RIFORMA IMPOSSIBILE

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FINE URSS
In Occidente, ignoranti degli sviluppi, ritenevano il regime sovietico immutabile.
Gorbacev propose il ritorno alle origini della rivoluzione – perciò si parla di neo-leninisti – con la
quale promuovere riforme per risolvere la crisi, a partire dalla riforma agraria.
Da una parte ottenne il consenso della maggior parte della società sovietica interessata a favorire la
produttività, la qualità dei consumi e soddisfare i propri bisogni; dall’altra, la nomenklatura
oppose resistenza per paura di perdere i propri privilegi.
La politica riformatrice di Gorbacev si divise in:
1. perestroijka (ristrutturazione): rivitalizzare l’economia concedendo responsabilità e
autonomia ai dirigenti e concedendo libertà ai produttori per favorire il mercato;
2. glasnost (trasparenza): interrompere la corruzione e la sfiducia tra governo e società,
riducendo il peso dell’ideologia comunista e democratizzando l’informazione, per cui
venne abolita la censura e si cercò sempre più libertà d’espressione e verità.
Tuttavia, fu proprio la glasnost e la conquistata libertà d’espressione a riaccendere nei paesi baltici
il nazionalismo antirusso mai superato; inoltre, più aumentava la libertà della società e più
aumentavano le resistenze dei vecchi poteri brezneviani: forze armate, burocrazia e partito.
Gorbacev ottenne fiducia e prestigio all’estero, ma all’interno dell’Urss la popolazione non era in
grado di distinguere tra riformatori e nomenklatura, evitando di dare appoggio attivo al governo.
Sempre grazie alla trasparenza dell’informazione, il benessere dell’occidente era sempre più
visibile tramite i media.
Per quanto riguarda la perestrojka, la ristrutturazione dell’economia:
• 1986, venne favorita la mobilitazione civile tramite incentivi al lavoro autonomo e alle
cooperative;
• 1987, venne promosso il decentramento delle unità produttive e di gestione, ma questo
favorì la corruzione;
• i contadini, dopo anni di imposizione violenta, rifiutarono le responsabilità imprenditoriali
preferendo la protezione a basso livello delle strutture del regime.
Questa fu la principale differenza tra il comunismo e la ristrutturazione di Cina e Urss, dove si
respirava un clima di cinismo, distacco e apatia che ostacolò la perestrojka e spiegò il carattere
non violento del successivo crollo dell’intero regime; inoltre, il mercato nero copriva il 40% delle
spese dei cittadini.
Fino al 1990, col bluff di Reagan, Gorbacev non riuscì a ridurre le spese militari per aumentare il
bilancio, continuando a subordinare il potenziale scientifico e tecnologico.
Tra il 1970-80 l’indebitamento estero aumentò evidenziando la dipendenza del blocco orientale
alle importazioni commerciali e ai crediti finanziari occidentali che determinava il vincolo tra
economia e politica; anche per questo Gorbacev rifiutò sempre la violenza come strumento, in
quanto in caso di scontri militari gli stati occidentali avrebbero potuto usare ritorsioni economiche.
Il mancato sostegno della società civile non favorì la produttività, rendendo incapaci le riforme.
Perciò, sempre in ambito perestrojka, Gorbacev propose una sola profonda riforma del Partito e
dello Stato: nel 1989 si tennero le prime elezioni a candidatura multipla del Congresso dei
deputati del popolo che permise l’entrata di cittadini della società civile nelle istituzioni; nel 1990
il Congresso elesse Gorbacev presidente dell’Urss.
Tuttavia, anche il pluralismo politico favorì le idee del nazionalismo secessionista e si
accentuarono i conflitti nazionali contro la tendenza imperiale e russocentrica del regime.
La conquistata libertà d’espressione portò alla lotta delle repubbliche sovietiche per
l’Indipendenza, in paesi come Moldavia, Armenia, Georgia, Ucraina, paesi baltici (Estonia,
Lettonia, Lituania).
Nel 1988-89 alle elezioni di Estonia, Lettonia e Lituania vinsero le forze separatiste che
emendarono le costituzioni col fine dell’Indipendenza.

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L’impulso riformatore sovietico si diffuse anche in Oriente, dove venne represso con la violenza
(
1989, piazza Tian’anmen) a cui Gorbacev si oppose.
Nel 1990 a causa degli avvenimenti interni, Gorbacev rimase nell’indecisione: propose il
Programma dei Cinquecento Giorni per promuovere il mercato e la liberalizzazione dei prezzi,
ma poi lo ritirò per paura dell’inflazione e del malcontento sociale, suscitando l’opposizione.
Così come riguardo la crisi del Baltico, nel 1990 Gorbacev concesse diritto di secessione alle
repubbliche baltiche, ma nel 1991 le forze armate sovietiche uccisero 16 dimostranti in Lituania.
Perciò, nel 1991 alle elezioni Boris El’cin divenne presidente della repubblica russa con
suffragio universale.
Il contagio secessionista si diffuse, per cui Gorbacev promosse un nuovo trattato per
ridimensionare i poteri del centro, scatenando l’opposizione dei conservatori, legati all’Urss e al
comunismo.
Nell’agosto del 1991, gli 8 uomini più potenti della repubblica sovietica tentarono un colpo di
stato, costituendo un “Comitato per lo stato d’emergenza”: andarono due volte a casa di
Gorbacev a chiedergli di assumere la guida del governo, ottenendo un fermo diniego; anche la
polizia si rifiutò di arrestare il nuovo presidente, le truppe golpiste esitarono a sparare il golpe fallì.
In dicembre 1991, Russia, Ucraina e Bielorussia decretarono la fine dell’Urss e costituirono la
Comunità di stati indipendenti (CSI) formata da 8 repubbliche; per cui, Gorbacev dichiarò le
dimissioni come presidente di uno stato inesistente.
L’ideologia nazionalista scaturì dalle riforme di Gorbacev vinse, ma senza di lui non ci sarebbe
stato cambiamento.

EUROPA ORIENTALE – CROLLO DEI REGIMI COMUNISTI


La percezione dell’indebolimento del potere centrale di Mosca indebolì tutti i governi dell’Est,
segno che il dominio dell’Armata Rossa aveva dominato sulla radici popolari e nazionali; anche i
sostenitori dei movimenti separatisti rimasero colti di sorpresa dalla non violenza del crollo dei
regimi comunisti nel 1989.
Gorbacev continuò la sua opposizione alla violenza e alla repressione cercando di favorire la
perestrojka riformatrice nell’Est europeo.
In Polonia, nel 1989 Gorbacev, il leader di Solidarnosc e il ministro dell’Interno ristabilirono il
pluralismo sindacale e introdussero riforme economiche e parlamentari; con le prime elezioni
libere vinse Solidarnosc in Senato e alla Camera l’opposizione; Jaruzelski divenne presidente
della repubblica e Tadeusz Mazowiecki guida del governo non comunista.
In Ungheria, nel 1985 la contestazione del governo Kàdàr da parte di una nuova generazione di
riformatori aveva portato libere candidature alle elezioni e nel 1986 (
trentennale rivolta del 1956) la televisione favorì un dibattito: venne appoggiata la politica di
austerità per uscire dalla crisi economica in cambio di libera informazione, abolizione delle
restrizioni sui viaggi e nascita di nuove associazioni politiche indipendenti, tra cui il Forum
democratico; nel 1989 il governo favorì il mercato stipulando un accordo economico con la
CEE, si ricostituirono i partiti e alle elezioni vinse il Forum democratico e venne attuata la
revisione costituzionale.
In Cecoslovacchia nel 1987 la visita di Gorbacev ottenne grande consenso popolare ma scatenò le
opposizioni che nel 1989 sfidarono il regime con uno sciopero generale: si costituì il governo di
unità nazionale a maggioranza non comunista, venne sciolta la polizia politica, Dubcek eletto
presidente del parlamento e Havel presidente della repubblica.

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Solo in Romania ci fu violenza, proteste di massa in Transilvania; ma l’opposizione al regime
guidata da vecchi esponenti della nomenklatura e dalle forze armate arrestò Ceausescu e lo
giustiziò in diretta tv; nel 1990 si costituì il nuovo governo ad elezioni libere di Ion Iliescu.
Nel 1989 Gorbacev approvò la liberalizzazione delle frontiere verso l’Austria e
successivamente, venne dichiarata in diretta televisiva l’apertura della porta di Brandeburgo –
confine tra le due Germanie – per cui, dal 7 al 9 novembre crollò il muro di Berlino.
Nella Germania dell’Est veniva festeggiato Gorbacev e cresceva l’opposizione per il presidente
Erich Honecker, finché con manifestazioni giovanili e nuove associazioni, a ottobre 1989
Honecker dovette lasciare la guida di Stato, Partito e esercito e a novembre un milione di berlinesi
chiesero riforme, libertà, scioglimento della STASI (polizia politica): il 7 novembre iniziarono la
distruzione del muro.
In dicembre venne introdotto il multipartitismo e sciolta la polizia politica, mentre con le elezioni
del 1990 vinsero i cristiano-democratici e iniziò la riunificazione della Germania.
In Jugoslavia la transizione fu drammatica a causa dei nazionalismi.
Nel 1980 morì Tito, che era riuscito a tenere insieme 24 gruppi etnici diversi e a favorire la
crescita economica, che comunque non aveva ridotto il divario tra Nord e Sud arretrato.
Morto Tito iniziò la crisi economica che accentuò le distanze tra Slovenia e Croazia.
Il collasso dell’Urss, che da sempre favoriva il gruppo etnico maggiore dei serbi, favorì le spinte
autonomistiche, alimentò le tensioni interne e i contrasti nazionalistici.
Fin quando nel 1991, con la nascita dei partiti nazionalisti, Slovenia e Croazia proclamarono
l’Indipendenza; a seguire, uscirono dalla Federazione jugoslava anche Bosnia-Erzegovina e
Macedonia, facendo scoppiare una guerra etnica.

COMUNISMO IN CINA
Nel 1976 morì il primo ministro Zhou Enlai e Mao Zedong, per cui iniziò una lotta di
successione che vide la sconfitta di Deng Xiaoping a favore di una figura scelta da Mao ed emersa
durante la rivoluzione culturale: Hua Guofeng, che iniziò una politica di compromesso.
Tuttavia, continuò la lotta per la successione, finché non venne sconfitta la “banda dei quattro”: la
parte più radicale della rivoluzione culturale, guidata dalla moglie di Mao. Jiang Qing e dirigenti
contro la modernizzazione; infatti, nel 1978 Deng Xiaoping divenne Primo ministro su richiesta
popolare.
Deng Xiaoping aveva l’appoggio dei militari e dei maoisti moderati favorevoli a una parziale
liberalizzazione economica accompagnata al saldo controllo politico.
Propose di restaurare l’autorità centrale sui “quattro principi” della dittatura proletaria:
socialismo, centralità del Partito, marxismo-leninismo-maoismo, politica economica.
Perciò, nel 1978 lanciò la politica delle “quattro modernizzazioni”, industriale, agricola,
scientifica, militare:
• introdusse esami selettivi di ammissione nelle università;
• eliminò i comitati rivoluzionari;
• gli stipendi vennero diversificate in base a meritò\qualifiche;
• la rete delle istituzioni amministrative dei servizi pubblici venne separata da quella
economica;
• ripristinò la proprietà privata che vincolava i contadini alla terra con un “contratto di
responsabilità” secondo il quale dovevano allo Stato un prezzo fisso di determinati prodotti
agricoli, mentre il resto poteva essere venduto;

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Deng riuscì quindi a modernizzare la Cina, il reddito raddoppiò, così come la produttività e la
qualità della vita; iniziarono a differenziarsi i ceti sociali e il paese si aprì ai capitali stranieri,
autonomia gestionale, incentivi materiali dalle imprese private.
Però, la differenziazione sociale limitò il controllo delle autorità e mise in crisi i valori del paese.
Deng riuscì a stabilire compromessi con la fazioni conservatrici, mentre aumentava l’inflazione e
la disoccupazione; emerse una nuova linea sostenitrice del “più democrazia più mercato”.
Nel 1989, durante una visita di Gorbacev – simbolo delle riforme – piazza Tian’anmen si riempì di
studenti che chiedevano libertà e una pacifica democratizzazione della Cina fondata sul rispetto,
la tolleranza e il dibattito.
Emerse un’interazione tra Partito-Stato e società civile e da ciò nacque la mobilitazione politica
degli studenti a Pechino, che nel 1989 scesero in piazza Tian’anmen, dove nella notte tra il 3-4
giugno vennero massacrati dai carri armati; la repressione colpì università, studenti e professori.
Il comunismo cinese sopravvisse in questo modo: liberalizzazione economica e potere politico
totalitario.
Nel 1992 venne abolito ogni controllo sui prezzi e la Cina divenne la seconda economia
mondiale, mantenendo il controllo sulle aziende strategiche e con la diffusione delle township and
village enterprises; tuttavia, al contempo aumentarono le disuguaglianze sociali.

CAP 19
MONDO POSTBIPOLARE

NUOVI NAZIONALISMI
La fine della guerra fredda determinò il problema di un nuovo ordine mondiale; infatti, la logica
bipolare aveva semplificato i rapporti internazionali e ogni instabilità veniva gestita dalle due
superpotenze, su principio di responsabilità globale.
Adesso, erano numerosi gli stati con obiettivi di natura regionale e nazionalista, così come i punti
di tensione, non più controllabili da Usa, Urss o Onu. Instabilità, frammentazione politica e
nazionalismo caratterizzavano il nuovo mondo multipolare.
Le ex repubbliche sovietiche restarono indecise tra imitazione del capitalismo e statalismo.
L’Urss era crollata a causa della mancata liberalizzazione economico-politica del regime, ma
soprattutto a causa della frammentazione nazionalistica al suo interno.
Nel 1992 la Federazione Russa era divisa da conflitti armati interni: la delegittimazione di
governi a favore di nuovi soggetti politico-militari che in assenza di cultura politica e civile si
appellavano a tradizione etnica o religiosa, da qui il nazionalismo.
In Russia, il governo di El’cin ebbe un’involuzione autoritaria, tanto che nel 1993 sciolse
l’autorità del parlamento e intorno a lui si consolidò il potere e il clientelismo tra clan rivali della
criminalità organizzata, incrementando corruzione e inefficienza dell’apparato statale, oltre che
povertà e diseguaglianze sociali.
Perciò, alle elezioni del 2000 vinse l’ex dirigente dei servizi segreti Vladimir Putin, nazionalista
e intenzionato a restaurare la potenza sovietica, perciò represse i moti indipendentistici (
Cecenia) e promosse le spese militari.

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Inoltre, la debolezza di El’cin era stata sfruttata per espandere la NATO verso est, per cui nel
2004 aderirono Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, stati baltici, Bulgaria, Romania, Slovacchia,
Slovenia; Putin risposte in modo neoimperiale e nel 2014 appoggiò la rivolta secessionista in
Ucraina, annettendo la Crimea al proprio territorio e scatenando uno stato di guerra continua.
Comunque, la situazione economica era migliorata e le ineguaglianze ridotte.
Tuttavia, il nazionalismo si diffuse e nel 1990 il dittatore iracheno Saddam Hussein invase la
regione del Kuwait, sceiccato indipendente ricco di petrolio; inoltre, con ciò mirava a imporsi
come il leader arabo del Medioriente. Per il resto del mondo fu un’azione ingiustificata e nacque
la paura di una concentrazione di risorse preziose, soprattutto nelle mani di una persona
inaffidabile.
Gli Stati Uniti intervennero, cercando di risolvere la crisi senza l’Urss per la prima volta.
Bush decise di rispettare il ruolo dell’Onu che chiese il ritiro delle truppe e il ripristino della
sovranità, mentre Hussein otteneva l’appoggio solo di Libia e OLP, i più radicali.
L’Onu impose un blocco commerciale e un ultimatum il 15 gennaio 1991: iniziò la Guerra del
Golfo, autorizzata dall’Onu e gestita militarmente dagli Stati Uniti; questi vennero aiutati
dall’Arabia Saudita e iniziarono un’offensiva aerea, vincendo dopo la morte di molti civili.
Mentre Saddam Hussein ne usciva sconfitto ma indenne, la popolazione in Iraq venne colpita dalla
denutrizione e dalle malattie in seguito al blocco commerciale.
L’Iraq rimase diviso tra maggioranza sunnita di Saddam, minoranza sciita a Sud e minoranza curda
a Nord (
sottoposti a repressione in Turchia e scappati dall’Iraq).

NUOVE GUERRE
La guerra del Golfo restituì autorità all’Onu, ma all’ombra dell’egemonia militare statunitense.
Nonostante il successo statunitense, alle elezioni del 1992 vinse il democratico Bill Clinton, sia
per l’emergenza della situazione economica, sia per la disoccupazione che aveva colpito anche tra
i “colletti bianchi”.
Clinton propose l’estensione delle assicurazioni sociosanitarie e il controllo sulla vendita delle
armi, ma il Congresso oppose resistenza a favore dei repubblicani.
Comunque, nel 1996 Clinton venne rieletto grazie a una mossa economica favorevole contro la
disoccupazione; tuttavia, restavano le contraddizioni della società statunitense: l’ineguaglianza
sociale, le tasse diminuite per imprese e redditi individuali alti e non per quelli medio-bassi, la
differenza economica nella differenza razziale, il numero degli omicidi e della popolazione
carceraria, a maggioranza nera o latinoamericana.
La preminenza militare non sembrava sufficiente a reggere il ruolo egemonico, in una situazione
di instabilità delle relazioni internazionali, ad esempio nella ex Jugoslavia.
Nel 1991 l’Indipendenza di Slovenia e Croazia venne riconosciuta dalla Comunità europea sul
principio di autodeterminazione dei popoli, mentre la repubblica serba di Slobodan Milosevic
(leader comunista) aspirava alla creazione di una grande Serbia capace di governare i Balcani;
tuttavia, nemmeno la reazione armata riuscì ad impedire l’indipendenza di Slovenia e Croazia.
Nel 1992 fu la Bosnia-Erzegovina ad uscire dalla Federazione jugoslava, ma senza l’appoggio
della comunità europea: ne scaturì una guerra che uccise molti civili.
Nel 1995 a Srebenica, in Bosnia, le truppe serbe uccisero 700 profughi inermi davanti agli occhi
di un contingente di pace dell’Onu; mentre dal 1992-1995 Sarajevo venne tenuta sotto assedio.

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In Europa tornò lo spettro della pulizia etnica, della deportazione, dei massacri e dello stupro
di massa, laddove pesarono anche le differenze religiose: Serbia e Slovenia cattoliche, Serbia
ortodossa e Bosnia musulmana, con minoranze serve e croate.
Nel 1995 gli accordi Dayton finirono il conflitto dividendo il paese in Bosnia-Erzegovina e
Repubblica serba di Bosnia.
Allora, nel 1996 Milosevic puntò sul Kosovo, regione a maggioranza albanese da sempre
caratterizzata da rivendicazioni indipendentiste. Iniziata la guerra del Kosovo (1996-99), questa
si concluse con l’intervento militare della NATO che bombardò Serbia e Belgrado, finché l’Onu
non prese sotto amministrazione il Kosovo.
Nel 1996 venne costituito il Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra e nel
2000, sconfitto alle elezioni, Milosevic venne arrestato e condannato, tuttavia venne trovato
morto nel 2006, all’Aja.
Le nuove guerre della fase postbipolare, nel contesto della globalizzazione, sono dovute alla
frammentazione\privatizzazione della violenza organizzata a opera di bande paramilitari; gli
obiettivi sono l’affermazione etnica o religiosa e il mezzo per ottenere il controllo di un territorio
sono le popolazioni civili prese in ostaggio.

FONDAMENTALISMI RELIGIOSI
Le contraddizioni nella politica estera degli Stati Uniti emersero ancor di più negli anni ’90,
quando in Medio Oriente prevalse l’involuzione.
La pace che si era stabilita con gli accordi di Oslo (
1993, OLP e Israele) era stata indebolita dal persistente stato di inferiorità dell’ANP,
dall’esclusione dalle risorse naturali come l’acqua, dalla dipendenza dall’economia israeliana e
dalla continua colonizzazione degli israeliani nei territori palestinesi di Cisgiordania e
Gerusalemme Est; tutto ciò indebolì le componenti moderate e laiche di Arafat, garanti della pace.
Perciò nacque il movimento islamista palestinese Hamas (Movimento islamico di resistenza), che
si opponeva all’OLP e negava il diritto di Israele.
A ciò risposero le forze reazionarie e integraliste israeliane: nel 1995 un estremista di destra
uccise il premier israeliano Rabin, favorendo uno spostamento a destra dell’elettorato.
Nel 1996 alle elezioni vinse il governo di Likud, per cui il processo di pace rimase fermo mentre
l’Hamas continuava con gli attentati terroristici.
Nel 1999 alle elezioni vinse il governo laburista di Ehud Barak, favorevole alla pace.
Nel 2000 si tenne l’incontro tra Arafat, Barak e Clinton a Camp David, ma sia il premier
palestinese che quello arabo erano indeboliti dalle rispettive opposizioni dell’opinione pubblica,
per cui non si raggiunse un vero accordo.
Verso la fine del 2000 l’Hamas ricominciò gli attentati iniziando la seconda intifada nei territori
palestinesi, mentre a Israele tornava a governare la destra, di Ariel Sharon.
La pace sembrava definitivamente interrotta.
A questo punto emersero due nuovi soggetti religiosi e politici: i coloni israeliani e il
fondamentalismo islamico.

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Nel 2006 Hamas vinse le elezioni nella Striscia di Gaza, anche se nel 2005 le truppe e i coloni
israeliani erano stati ritirati; inoltre, Hamas espulse i rappresentanti dell’ANP.
A Sud del Libano nacque un’altra formazione militare islamista sciita legata alla Siria:
Hezbollah, che minacciò il lancio di missili su Israele. Per tutta risposta, nel 2006 Israele occupò
le zone libanesi di Hezbollah ma intervenne l’Onu col cessate il fuoco.
In Iran (leader dell’islamismo politico), dopo la morte di Khomeini nel 1989, vi era una fase di
transizione: infine emerse l’ala laica e moderata di Rafsanjani e Khatami, che divenne
presidente nel 1997 grazie al voto delle donne e dei giovani, a cui erano stati resi diritti e libertà.
Ma l’Iran divenne terreno di confronto tra tendenze culturali e politiche opposte.
Il successore di Khomeini, Ali Khamenei, raggruppò la fazione dell’ortodossia religiosa che
controllava la polizia e riuscì a vincere le elezioni nel 2005, quando divenne presidente il sindaco
di Teheran Ahmadinejad.
Alle elezioni del 2009 brogli e violenze portano alla rivolta di giovani e studenti che vennero
repressi violentemente, finché nel 2013 non divenne presidente il riformatore Rouhani.
In Afghanistan nel 1992 iniziarono conflitti tra diverse tribù, finché nel 1994 non si affermò il
gruppo dei taleban del ceppo etnico pashtun sostenuto dal Pakistan, che acquisì il controllo della
capitale instaurando il regime integralista talebano, basato sulla rigida legge coranica che vietò
musica, televisione cinema; e impose barba lunga per gli uomini e burqa per le donne.
Inoltre, l’Afghanistan era il primo produttore mondiale di oppio e perciò si ritrovò
nell’isolamento dalla comunità internazionale, anche per l’accoglienza dello sceicco saudita
Osama Bin Laden, responsabile di attacchi terroristici alle ambasciate statunitensi nel 1998.

11 SETTEMBRE 2001
L’11 settembre 2001 un attacco terroristico senza precedenti dirottò alcuni aerei di linea
statunitensi contro due luoghi simbolo del potere americano: le torri gemelle del World Trade
Center a New York e il Pentagono a Washington, uccidendo più di 3000 civili.
Si trattava di terrorismo suicida capace di colpire i punti nevralgici della società occidentale.
Gli Usa interpretarono l’attacco come una dichiarazione di guerra e i servizi segreti statunitensi
individuarono Al Qaeda, l’organizzazione clandestina di Osama Bin Laden, come responsabile.
Nel 2000 George W. Bush venne eletto presidente dopo il padre e proclamò la guerra al terrore,
difatti iniziando la guerra in Afghanistan.
Organizzò un’ampia coalizione diplomatica (paesi arabi moderati, Cina, Russia, Europa,
Giappone, Pakistan) e l’offensiva militare attaccò l’Afghanistan, considerato sostenitore del
terrorismo, e fu diretta dalle truppe statunitensi e britanniche.
Due mesi di bombardamenti fecero cadere il regime dei talebani e tornarono i mujahidin, tuttavia
senza riuscire a catturare bin Laden o a smantellare la rete terroristica.
Nel 2003, Bush decise di terminare ciò che aveva iniziato il padre in Iraq: all’Assemblea delle
Nazioni Unite il segretario di stato Colin Powell sostenne che Saddam Hussein era collaboratore
di bin Laden e in possesso di armi chimiche di “distruzione di massa”; tutto ciò non era vero,
Saddam Hussein invitò pure a fare delle ispezioni internazionali, si trattava solo di un pretesto per
una guerra convenzionale contro l’Iraq di Saddam che non venne sostenuta né dall’Onu né dagli
alleati della NATO. Usa e Gran Bretagna conquistarono Bagdad e imposero un governo sciita,
mentre Saddam Hussein venne arrestato a condannato a morte nel 2006.
Tuttavia, negli anni seguenti la vecchia direzione di Hussein e la maggioranza sunnita opposero una
resistenza terroristica.
Inoltre, i media occidentali denunciarono le torture dei soldati statunitensi sui prigionieri, nel
carcere iracheno di Abu Ghraib e nella base militare di Guantanamo.

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Tutto ciò contribuì alla vittoria del primo presidente nero della storia degli Stati Uniti Barack
Obama, nel 2008, che ritirò le truppe in Afghanistan.
Comunque, dietro al terrorismo s’iniziò a intravedere il sostegno finanziario e militare delle due
potenze in Medio Oriente: Iran e Arabia Saudita, preoccupata di un possibile isolamento e di non
poter più contare sull’esportazione di petrolio con gli Usa.
Infine, nel 2010 un venditore ambulante tunisino si suicidò, innescando un ciclo di agitazioni che
dalla Tunisia si diffusero in Egitto, Libia, Yemen, Siria; le cosiddette “primavere arabe”: masse
di giovani delle élites della borghesia urbana scesero in piazza contro corruzione e autoritarismo.
Nel 2014 nacque un nuovo soggetto autoproclamatosi Stato Islamico, che conquistò una larga area
dell’Iraq settentrionale, radunando gli insorti siriani e la resistenza irachena sunnita.
Proclamando la restaurazione del Califfato sostituì la rete di bin Laden (ucciso nel 2011 dalle forze
speciali statunitensi) come riferimento dell’islamismo radicale.
Dopo numerosi attentati in Europa e i raid aerei di Usa, Russia e Francia si è ridotto.

terrorismo in Europa
conflitto generazionale dei figli che rimproverano i padri di aver abbandonato la propria fede e
aver tradito le radici religiose per un’integrazione in una società occidentale che comunque li
lascia poveri ed emarginati.

EUROPA DELL’EURO
Nel 1992 i paesi dell’Unione Europea sottoscrissero il trattato di Maastricht: un piano di
integrazione monetaria europea che prevedeva la creazione della moneta unica entro il 1999; le
economie europee arrivarono faticando al 2002, quando venne introdotto l’euro e adottato da tutti i
paesi europei tranne la Gran Bretagna.
Tuttavia, era ancora lontana l’autonomia militare e in politica estera: gli Usa restavano preminenti.
L’unificazione europea si presenta come:
1. formazione intergovernativa, con ruolo privilegiato alle periodiche riunioni dei capi di
stato;
2. istituzione sovraordinata ai governi nazionali, con indipendente capacità di scelta,
espressa nel parlamento eletto a suffragio universale dal 1979 e nella Commissione
europea, un esecutivo di cui sono stati presidenti leader politici di diversi paesi dal 1985; ad
essi si aggiungono altri organismi come la Corte di giustizia, la Banca centrale, la corte dei
conti, il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni e la Banca di investimento;
Nel 2005 venne proposta la Costituzione europea, ma l’idea venne bocciata; mentre nel 2007 il
trattato di Lisbona conferì maggiore peso al presidente della Commissione europea eletto dal
parlamento per due anni e mezzo di mandato.
Il più importante paese fuori dalla moneta unica era la Gran Bretagna, questo perché la crisi
economica e la svalutazione della sterlina nel 1992, oltre al problema della disoccupazione e del
terrorismo irlandese, avevano rafforzato le correnti contrarie all’integrazione comunitaria.
Nel 1997, alle elezioni vinse il New Labour di Tony Blair che propose la lotta alla criminalità e
cercò di risolvere la questione di Scozia e Irlanda.
In Scozia la maggioranza si oppose alla secessione dal Regno Unito, mentre in Irlanda del Nord
nel 2005 un accordo con l’IRA stabilì la consegna delle armi e l’abbandono della lotta violenta.
L’Italia con un referendum nel 1993 passò al sistema politico bipolare.

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Il collasso dei partiti di governo produsse un aumento del numero dei partiti.
Alle prime elezioni a sistema maggioritario del 1994 vinse la nuova formazione politica Forza
Italia dell’imprenditore televisivo Silvio Berlusconi, il cui monopolio televisivo privato era
minacciato dalla scomparsa dei socialisti e dei democristiani a causa degli scandali, che fino ad
allora avevano impedito una legislazione antitrust.
Il governo di Silvio Berlusconi (1994-96) ereditò l’elettorato di PSI e DC e creò una coalizione
con Lega Nord, ex democristiani e eredi del Movimento sociale italiano (
Alleanza nazionale).
Tuttavia, il suo governo finì nel 1996, senza riuscire a cambiare il sistema pensionistico o avviare la
privatizzazione delle industrie di stato.
Con le elezioni del 1996 iniziò il governo centrosinistra di Romano Prodi (1996-2001), con
l’appoggio di Rifondazione comunista, PDS, Verdi, Partito popolare e gruppi minori; che riuscì
a far raggiungere all’Italia l’obiettivo di entrare a far parte del sistema a moneta unica europeo.
A causa delle divisioni interne perse il governo con il ritiro di Rifondazione e alle elezioni del
2001 venne sconfitto dal nuovo governo Berlusconi: il sistema politico italiano aveva acquisito
l’alternanza ma mancava di unità programmatica.
Fino al 2010 centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza riuscire ad approvare le riforme
necessarie per risolvere la situazione del paese, dove ormai il debito pubblico superava del 100% il
prodotto lordo.

Nel 2011 la Banca centrale europea inviò una lettera al premier Berlusconi vincolando l’acquisto
dei titoli di stato del debito pubblico italiano al varo di urgenti riforme:
• liberalizzazione delle professioni;
• privatizzazione di entri, servizi, beni pubblici;
• flessibilità per assunzioni e pensionamenti;
Berlusconi venne accusato per frode fiscale e si dimise, mentre nel iniziò il governo tecnico di
Mario Monti (2011-13) per applicare le riforme: privatizzazione e aumento dell’età pensionabile.
Nel 2014 emerse il nuovo leader del Partito democratico Matteo Renzi come premier, ma la
coalizione era ancora fragile e si stava distinguendo un nuovo soggetto politico, il Movimento
Cinque Stelle, basato su un programma ecologista, lotta alla corruzione e messa in discussione dei
vincoli europei.
In molti paesi europei iniziarono a diffondersi partiti e movimenti a favore di maggiore e piena
sovranità degli stati nazionali e iniziarono a chiudersi i fronti ai flussi migratori.
La reazione nazionalista alla globalizzazione segnò l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione
europea con un referendum nel 2016.

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Downloaded by: Aaria (a.strappafelci1@student.unisi.it)
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