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LA GRANDE GUERRA, LA RIVOLUZIONE

BOLSCEVICA E LA RIVOLUZIONE CINESE.


1. La Grande guerra.

La Grande guerra (Prima guerra mondiale) ha inizio nel luglio del


1914 e finisce nell’autunno del 1918; costituisce il primo grande
conflitto mondiale e deve essere studiata in relazione alla Seconda
guerra mondiale; le due guerre mondiali, prese insieme, costituiscono una
seconda guerra dei trent’anni, come quella che venne combattuta nel XVII
secolo (1618-1648) nel cuore dell’Europa per motivi essenzialmente
religiosi. La causa occasionale fu l’uccisione dell’Arciduca Francesco
Ferdinando da parte dello studente bosniaco Gravilo Princip; le cause
profonde, invece, sono essenzialmente due:
 I nazionalismi non ancora portati a termine in alcuni paesi.
 I contrasti inter-imperialistici fra le diverse potenze europee per la
conquista del pianeta.
Le conseguenze di questo conflitto furono essenzialmente quattro.
1. Il declino dell’Europa.
2. L’affermazione degli U.S.A, del Giappone e della Russia quali
nuove potenze.
3. Il crollo degli Imperi multinazionali per diritto divino (Austria-
Ungheria, Russia zarista e Impero Ottomano).
4. La crisi dello stato democratico, liberale e borghese e
l’affermazione di due nuovi modelli politici: Il Comunismo e il
Nazifascismo.
Nel cuore dell’Europa si trova il vecchio Impero multinazionale Austro-
Ungarico. Si trattava di un Impero molto vasto che si estendeva
dall’Austria fino ai Balcani, inglobando una miriade di etnie e di religioni
diverse. Queste numerose etnie erano desiderose di affermarsi come stati
nazionali (come era già successo con le due guerre balcaniche) e di
distaccarsi dall’ Impero. L’Austria si era annessa da poco la Bosnia-
Erzegovina che mal sopportava questa annessione. Il nazionalismo slavo
venne fuori nel momento in cui l’Arciduca Francesco Ferdinando venne in
visita a Sarajevo. Il 28 giugno del 1914, lo studente serbo Gravilo
Princip lo uccide, scatenando il conflitto. Le nazioni si erano già
schierate: da un lato avevamo la Triplice Alleanza, cui apparteneva
anche l’Italia; dall’altro lato esisteva l’Intesa Cordiale, poi diventata
triplice intesa nel 1907, tra Francia, Inghilterra e Russia. Dopo
l’attentato, l’Austria apriva un’inchiesta ponendo un ultimatum alla Serbia,
che non fornì i dovuti chiarimenti; per questo motivo, il 28 luglio del 1914,
le dichiarava guerra. A questo punto la Russia scendeva in campo
contro gli Imperi centrali e contro il vecchio nemico turco. Agli inizi di
agosto, la Germania dichiarava guerra alla Russia e alla Francia,
mentre l’Italia rendeva nota la propria neutralità. Il 4 agosto le truppe
tedesche entravano in Belgio, causando l’entrata in guerra dell’Inghilterra.
Nei mesi seguenti sarebbero entrati in guerra il Giappone contro la
Germania a causa della guerra coloniale nel Pacifico e la Turchia avrebbe
appoggiato gli Imperi centrali contro la Russia. Nel maggio del 1915
sarebbe stata la volta dell’Italia e nel 1917 la volta degli U.S.A,
ambedue contro gli Imperi centrali. Sarebbero poi entrate nel conflitto,
nell’autunno del 1914, la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali;
Grecia e Romania in aiuto dell’Intesa. La Serbia, circondata da ogni
lato, dovette arrendersi nell’autunno del 1915 e fu interamente occupata.
All’inizio tutti speravano in una guerra breve: a Natale a casa, si
diceva. Non fu così, perché le difese erano più forti degli attacchi e ne
derivò una guerra di trincea che contribuì alla stagnazione del conflitto. Si
trattò, ad ogni modo, di una carneficina, dal momento che causò circa dieci
milioni di morti e circa venti milioni di feriti in soli quattro anni e tre mesi.
Tra le battaglie più importanti ricordiamo quella della Marna nel
settembre del 1914, dove i francesi riuscirono a fermare i tedeschi e a
salvare Parigi, permettendo agli inglesi di schierarsi. Ricordiamo poi le
due battaglie del Tannenberg e dei laghi Masuri tra agosto e
settembre del 1914, dove i tedeschi fermarono i russi. Sul fronte
occidentale i tedeschi avevano occupato il Belgio e parte della Francia. Sul
fronte orientale, i russi persero parte della Polonia ma recuperarono parte
della Galizia austro-ungarica. L’Italia intanto prendeva tempo per
capire da quale parte stare. La Triplice Alleanza era, dopotutto, solo un
patto difensivo e nulla ci obbligava a scendere in guerra al loro fianco. Il
nostro Parlamento si trovò presto spaccato e condizionato da
un’Opinione pubblica sempre più forte. Da un lato, c’erano i partiti
interventisti certamente minoritari ma molto attivi, sostenuti dagli
industriali. Dall’altro lato c’erano i partiti pacifisti numericamente
più forti ma meno incisivi come i repubblicani mazziniani e i socialisti
riformisti. Tra i deputati socialisti, si fece notare Benito Mussolini che, da
posizioni pacifiste, divenne un interventista già dall’autunno del 1914 e
per questo espulso dal partito. Nonostante la maggioranza neutralista,
Salandra (capo del governo) e Sonnino (Ministro degli Esteri) diedero
inizio, segretamente, a delle trattative per l’entrata in guerra. Anche per
noi c’erano due motivazioni fondamentali per l’entrata in guerra: il
Nazionalismo e l’Imperialismo. Per quanto riguarda la prima, all’Italia
mancavano dei pezzi per completare l’Unità del paese, ovvero le terre
irredente: Trento, Trieste e la città di Fiume. La Seconda riguardava
l’Imperialismo e si poneva la questione coloniale che, fra le due, costituiva
la più forte. Gli Imperi centrali, anche in cambio della sola neutralità,
offrivano tutti i territori di lingua italiana del Friuli e del Trentino,
escluse Gorizia e Trieste ed un protettorato sull’Albania. L’Intesa
offriva di più: Tirolo meridionale, la Venezia Giulia e la Dalmazia ma
non Fiume che restava una città libera. Dal punto di vista coloniale
l’Italia avrebbe avuto il protettorato sull’Albania, la Libia e il
Dodecaneso, oltre alla possibilità di espandersi in Africa Orientale. Per
questo motivo, dopo la sottoscrizione dei patti di Londra, nella
primavera del 1915, l’Italia entrava in guerra, il 24 maggio dello stesso
anno, a fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali, dichiarando
guerra prima all’Austria e poi alla Germania. L’Esercito italiano
attraversava il Piave, attaccando gli austriaci in direzione di Trieste.
Ricordiamo la celebre battaglia di Caporetto, alla fine di ottobre del
1917, dove le linee difensive del nostro paese furono sfondate. Il
generale Cadorna lasciò il posto ad Armando Diaz, che ricostituì l’esercito,
promettendo terre ai soldati- contadini. Caporetto fu una disfatta; l’Italia
perse numerosi soldati e quasi tutto il Veneto. Solo con la battaglia di
Vittorio Veneto dell’ottobre del 1918, le truppe italiane vinsero contro
gli austriaci. Il conflitto si era stagnato in una sanguinosissima guerra di
trincea. La Germania era molto vicina alla vittoria dopo la battaglia dello
Jutland contro gli inglesi. L’Inghilterra mantenne il controllo dei mari e
la Germania fece un gravissimo errore: iniziò una tremenda battaglia
sottomarina contro gli U.S.A. Questi ultimi si decisero ad entrare in
guerra contro la Germania in aiuto dell’Intesa, nell’aprile del 1917.
Nell’agosto dello stesso anno, gli U.S.A, l’Inghilterra e la Francia iniziano
la loro controffensiva contro le divisioni tedesche, anche grazie all’aiuto
dei carri armati e dell’aviazione. In poco tempo riconquistano il Belgio e
battono i tedeschi. Il 4 novembre del 1918 l’Italia avviava l’armistizio
con l’Austria e l’11 novembre la Germania, ormai sconfitta, avviava
trattative di pace. Nel marzo del 1918, a causa della rivoluzione, la
Russia firma la pace di Brest-Litovsk con la Germania, accettando la
sua sconfitta e si avviava verso il Comunismo. Oramai le due coalizioni
erano stanche ed anche il Papa dell’epoca, Benedetto XV, iniziava a
parlare di una strage inutile. La società civile dei paesi coinvolti mostrava
segni di insofferenza nei confronti della guerra, tramite scioperi e
disordini. Le conferenze di pace si riunirono a Parigi a partire dal
Gennaio del 1919 e i diversi trattati furono firmati in diverse sedi della
periferia parigina tra il ‘19 e il ‘20. Fu il trattato di pace firmato fra
Francia e Germania: quest’ultima restituiva l’Alsazia-Lorena alla
Francia, dove cinquant’anni Bismarck aveva umiliato i francesi; inoltre,
in base a questo trattato, la Germania restituiva alcuni territori orientali
alla Polonia e la città di Danzica rimaneva città libera.Lo stesso trattato
stabiliva che la regione della Saar veniva occupata temporaneamente dai
francesi. Il trattato faceva ricadere sui tedeschi la responsabilità del
conflitto e questi ultimi per molti anni avrebbero dovuto pagare una
enorme indennità di guerra, fra carbone, bestiame e denaro. L’Impero
Austro-Ungarico, Russo ed Ottomano crollavano e, sui loro territori,
sorgevano nuove nazioni come la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia, la
Lituania, la Polonia, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Al posto
dell’Impero Austro-Ungarico nascevano l’Austria e l’Ungheria.
L’Austria firmava con l’Intesa il trattato di Saint-Germain che la
riduceva ad 1/8 del suo vecchio impero, privandola di uno sbocco sul
mare a causa della cessione della città di Istria all’Italia. Il trattato di
Trianon riguardò invece l’Ungheria che subiva uno scacco molto duro,
delle amputazioni territoriali e l’obbligo di forti indennità di guerra.Il
trattato di Sèvres riguardò, invece, la Turchia che cessava di esistere
come Impero Ottomano e veniva ricollocata entro i confini della
penisola Anatolica; la Turchia perdeva, inoltre, l’Armenia e tutto il
mondo arabo, spartito con dei protettorati fra Francia ed Inghilterra;
questi territori erano: la Siria, la Palestina, Transgiordania, Iraq e
Arabia, oltre allo Yemen. L’Italia guadagnava meno del previsto, tant’è
che si parlò, nell’immediato, di vittoria mutilata. Dalla guerra
guadagnava, in Dalmazia, solo la città di Zara; dalla Turchia non
otteneva nulla se non il Dodecaneso e la Libia (già conquistata nel ‘12).
La città di Fiume veniva dichiarata, come Danzica, città libera. Nel
gennaio del 1918, il Presidente americano Wilson fa nascere un
organismo internazionale per la difesa della pace, chiamato appunto
società delle nazioni (League of the Nations). Il programma della
società verteva su 14 punti: in questi punti il Presidente americano
sottolineava la necessità della trasparenza e dell’azione diplomatica, il
disarmo e la soppressione delle barriere alla navigazione e al
commercio. La società aveva sede a Ginevra e cominciò a lavorare dal
gennaio del 1920. Era formata da un’Assemblea dei rappresentanti di tutti i
paesi degli stati membri e di un Consiglio permanente capeggiato dalle
cinque potenze vincitrici: U.S.A, Gran Bretagna, Francia, Italia e
Giappone. Negli anni ‘20 anche la Germania e la Russia sovietica
entrarono a far parte della Società delle nazioni. Negli anni ‘30 la
situazione precipita: nuove guerre e l’avvento del nazifascismo fecero
naufragare le speranze di pace nel mondo. Nel ‘31, il Giappone
aggredisce la Cina e, nel ‘35, l’Italia attacca l’Etiopia: la società delle
nazioni falliva nel suo compito di mantenere la pace.
2. La rivoluzione bolscevica e il terrore staliniano.

Nella prima metà del secolo XX secolo molti paesi furono attraversati
dalla Rivoluzione. Le rivoluzioni ebbero luogo all’esterno del
continente europeo: Cina, Persia, Turchia, Russia e Messico, con lo
scopo specifico di modernizzare la società e di includere le masse nelle
istituzioni politiche. Queste rivoluzioni furono di tre tipi: nazionaliste,
democratiche e socialiste. In questa sede approfondiremo le rivoluzioni
russa e cinese. La rivoluzione russa (chiamata anche bolscevica) tentò di
mettere in pratica i principi filosofici del marxismo, realizzando una
società socialista. L’effetto della rivoluzione russa fu il comunismo, che,
negli anni successivi, si diffuse in molti paesi del pianeta,
rappresentando un’alternativa al modello capitalista. Il regime zarista
si stava lentamente disfacendo e non era più in grado di saper gestire i
cambiamenti che si stavano verificando in Russia. Nel 1905 la città di
Pietroburgo fu teatro di una grande manifestazione pacifica, appoggiata
dalla chiesa ortodossa e da una folta schiera di operai e da gente comune.
Alcuni delegati chiesero un incontro con lo Zar per illustrare la terribile
situazione sociale ed economica in cui versavano contadini ed operai. Lo
zar Nicola II rifiutò e il popolo organizzò una manifestazione a cui fece
seguito una terribile reazione e l’esercito fu incaricato di reprimere la
sommossa con la forza; ci furono centinaia di morti. Qualche anno prima,
nel 1898, si era affermato in Russia il Partito Socialista su iniziativa di
Georgij Plechanov. In un congresso a Bruxelles del 1903 il partito si
spaccò in due fazioni. La prima era maggioritaria (in russo
bolscevica), benché fosse in minoranza; e la seconda era minoritaria
(menscevica), con un maggior seguito di base. Bolscevichi e
menscevichi avevano una visione diversa in merito alla rivoluzione del
proletariato. I bolscevichi erano inclini ad una linea rivoluzionaria
immediata; i menscevichi erano, invece, attendisti e gradualisti,
auspicavano certamente ad una dittatura del proletariato passando, però,
attraverso una fase transitoria democratica. A capo della fazione
bolscevica vi era Nikolai Lenin (1870-1924), grande guida carismatica.
Nel 1905 si formarono i soviet, ovvero assemblee o consigli di delegati
delle fabbriche in lotta. Il primo soviet nacque nel giugno del 1905 e, dopo
di allora, ne sorsero dovunque in Russia. Il Soviet di Pietroburgo, fedele
alla linea menscevica, tentò di innescare la rivoluzione ma i suoi membri
furono arrestati. A Mosca, invece, il soviet (vicino ai bolscevichi) riusciva
a dare luogo ad un’effimera ma violenta insurrezione che, ben presto, a
causa della mancanza di organizzazione, venne bloccata e, nel 1906, in
Russia era tornata la calma. La rivoluzione del 1905 ebbe l’effetto di
indurre il governo a concedere una Costituzione; per la prima volta
vennero indette delle elezioni per formare la cosiddetta “Duma” a cui
sarebbe spettato il potere legislativo, limitato dal veto dello zar. La
Duma fu sciolta a più riprese ma costituì l’atto di nascita di una nuova
coscienza politica russa. La Rivoluzione si ripresentò qualche anno più
tardi, in forma più matura ed organizzata, precisamente alla fine del
1917, quando iniziarono scioperi e manifestazioni contro il regime
zarista che, questa volta, crollò. Nell’immediato, si determinò un
dualismo fra i Soviet e la Duma che si protrasse per diversi mesi: i due
organi avevano una visione politica diversa. La Duma pensava ad una
monarchia costituzionale, i soviet speravano nell’affermazione
definitiva del socialismo. I Soviet, al loro interno, erano formati da tre
grandi correnti:
 i socialisti rivoluzionari.
 I menscevichi.
 I bolscevichi.
Le prime due anime erano più moderate, fondandosi sull’idea di una
democrazia rivoluzionaria; i bolscevichi erano più radicali, chiamati
anche «Rivoluzionari di professione», pensavano che il potere politico
dovesse essere affidato direttamente alla classe operaia, senza
intermediazioni di nessuna sorta. Le personalità più importanti
all’interno dei soviet erano quattro: c’era Lenin che incarnava la figura
del rivoluzionario di professione. Si trovava in esilio in Svizzera, perché
ritenuto dal regime zarista un pericolo sovversivo. Tornò in Russia nel
‘17 e divulgò le sue famosissime tesi di aprile, in cui prospettava la sua
idea di rivoluzione proletaria. A contrastare il suo punto di vista c’erano
altre personalità di spicco; ovvero, Kamenev e Stalin che non si fidavano
troppo delle capacità della classe operaia, schierandosi a favore della
concezione menscevica. Lenin aveva dalla sua parte invece Lev Trockij e
Zinov’ev, compagno esule di Lenin in Svizzera. I contrasti fra la Duma e
il Soviet (e all’interno del soviet stesso tra le sue diverse anime)
peggiorarono; si cercò di uscire dall’impasse nominando a capo del
governo Kerenskij ma, oramai, la rivoluzione non poteva essere bloccata
e la linea bolscevica si impose come maggioritaria all’interno dei soviet.
Lenin e Trockij ritenevano che tutto fosse pronto per la rivoluzione
che scoppiò fra il 6 e il 7 novembre del 1917 (fine di ottobre per il
calendario russo); la guardia rossa occupò la posta, le stazioni
ferroviarie, le centrali elettriche, la centrale telefonica. L’incrociatore
«Aurora» sparò alcune cannonate sul «Palazzo d’Inverno» degli zar.
Per la Russia iniziava un periodo completamente nuovo: si formò un
nuovo governo presieduto da Lenin, Trockij e Stalin i quali si apprestarono
a firmare la pace di Brest-Litovsk, in virtù della quale la Russia usciva
dalla guerra, perdendo delle importantissime zone del suo impero: Polonia,
i paesi baltici, la Finlandia, una parte dell’Ucraina. La capitale fu trasferita
da Pietrogrado a Mosca e le risorse del paese furono nazionalizzate; il voto
degli operai veniva ad assumere un’importanza decisiva e impiegati, preti,
proprietari e funzionari venivano esclusi dall’elettorato. Il Congresso del
partito bolscevico fu convocato nella primavera del 1918 ed assunse il
nome di «Comunista». Nel 1919, i bolscevichi davano vita ad una III
Internazionale e l’ideologia comunista dilagava in Europa. Nascevano
così i primi partiti comunisti: in Ungheria, in Polonia e in Germania; in
Francia il primo partito comunista nasce nel 1920 e in Italia nel 1921. I
fondatori del partito comunista italiano (PCI), nato da un’ala del partito
socialista, furono Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro
Togliatti, che, alla morte di Gramsci, sarebbe diventato il futuro segretario
del partito. I bolscevichi, denominati oramai comunisti, davano vita, sotto
la guida di Lenin, nel 1922, all’U.R.S.S, ovvero all’Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche che assumeva un ruolo egemone
nella guida di tutti i paesi comunisti. Lenin moriva nel 1924 e si apriva
un’aspra battaglia per la successione tra Trockij e Stalin. Si trattava di
due grandissime personalità. Il primo era stato centrale nella rivoluzione
d’ottobre; il secondo godeva di maggior prestigio all’interno del partito.
Trockij era fautore della cosiddetta “Rivoluzione permanente” da
estendere in chiave internazionalista a tutti i proletari ed anche ai popoli
oppressi. La sua idea non attecchì e finì per prevalere la linea staliniana.
Tockij fu perseguitato e costretto a fuggire all’estero, prima in
Turchia e poi in Messico, da dove diede vita ad una quarta
internazionale a cui aderirono molti intellettuali da tutto il mondo;
venne assassinato nel 1940 da agenti stalinisti che gli stavano dando la
caccia. Stalin rimase solo al potere e diede vita ad una delle dittature
più spietate del ‘900. Il partito comunista diventava l’unico partito e
Stalin diventava un autocrate, una figura autoritaria che lavorava per
costruire l’ascesa dell’Urss. Stalin intrattenne relazioni stabili ed
amichevoli con la Germania, uscita sconfitta e penalizzata dalla Grande
guerra. Dal punto di vista della politica interna, pianificò l’economia
attraverso dei piani quinquennali con cui stabilì gli obiettivi da
raggiungere nel medio e lungo periodo. L’effetto di questi piani (che
sostituirono la NEP pensata dai rivoluzionari bolscevichi) fu quello di
aumentare la produzione industriale e di raddoppiarla, soprattutto per
quanto riguarda l’industria pesante. Nel 1937, la produzione sovietica
diventò la seconda al mondo e l’Urss viveva in piena autarchia. Il modello
comunista rappresentava, dal punto di vista economico, un’alternativa
all’esasperato liberismo capitalista ma, come contraltare, presentava il
difetto di pianificare l’economia e di isolare l’Unione sovietica. La
dittatura staliniana, ben presto, presentò il suo aspetto disumano, fondato
sull’eliminazione fisica di qualsiasi forma di opposizione politica ed
ideologica. Nel 1923, nelle isole Solovki, nell’Artico, fu creato il primo
campo, chiamato Lager e poi Gulag; negli anni della dittatura
staliniana i campi proliferarono e vi finirono tra i 10 e i 20 milioni di
oppositori, di cui buona parte non sopravvisse in condizioni estreme di
maltrattamento. Lo stalinismo raggiunse il suo apice di spietatezza tra
il 1937 e il 1938, gli anni delle cosiddette grandi purghe. Stalin morirà
nel marzo del 1953 e per l’Urss si aprirà la stagione della
destalinizzazione.
3. La rivoluzione cinese.

La Cina era sede di una monarchia plurimillenaria, situata al di fuori dei


cambiamenti del mondo contemporaneo. Agli inizi del nuovo secolo
subiva la pressione imperialista delle potenze straniere, contro la
quale era nato il movimento xenofobo dei «Boxers». Le potenze
straniere intervennero con la forza per sedare la ribellione dei giovani
combattenti cinesi, umiliando ulteriormente il paese. In questo
delicatissimo periodo di passaggio nasce un fortissimo partito nazionalista,
chiamato «Kuomintang». Il primo Gennaio del 1912 si verifica un
passaggio istituzionale fondamentale: venne proclamata la
Repubblica, guidata prima da Sun Zhonshan, poi da Yuan Shi-K’ai.
Nel maggio del ’19, a Pechino, una manifestazione popolare costituì l’atto
di nascita del primo nucleo del partito comunista cinese, per il momento
inserito nel partito nazionalista il Kuomintang. Nel 1921, nasce
ufficialmente il partito comunista cinese e Sun Zhonshan viene rieletto
presidente. Alla morte di Sun, nel 1925, Chiang Kai-shek (principale
capo militare dell’esercito nazionalista) inizia la liberazione del paese,
riuscendo a conquistare il nord tenuto sotto scacco dalle potenze
straniere. Nel 1927, l’esercito repubblicano conquista Shangai e prosegue
la sua marcia per la liberazione del nord della Cina, riuscendo ad unificare
il paese ma Chiang Kai-shek rompe, clamorosamente, l’alleanza tra il
Kuomintang e il partito comunista, ordinando il massacro degli operai
a Shangai, dove il partito comunista si era fortemente radicato. Nel 1927
si concludeva la prima parte della rivoluzione cinese e il partito
nazionalista del Kuomintang saliva al potere rompendo col partito
comunista. Fu solo con un nuovo protagonista Mao Zedong che il
comunismo cinese si riorganizzò fondando la propria visione su tre
punti:
 Il comunismo doveva essere fatto dai contadini e non dal proletariato
urbano.
 Fondarsi sull’autogoverno popolare e sulla ripartizione delle risorse.
 Unire il popolo e non dividerlo.

All’inizio degli anni ’30, si combatté in Cina una lotta ferocissima tra i
nazionalisti del Kuomintang e i comunisti guidati da Mao. I nazionalisti
di Chiang Kai-shek attaccarono per anni i comunisti di Mao, che
seppero resistere all’assedio fino al 1934, anno in cui furono scacciati.
In quell’anno iniziò la «Lunga marcia» dei comunisti cinesi, che
attraversarono tutto il paese per diecimila chilometri al fine di
insediarsi nel povero nord della Cina, ai confini con la Manciuria,
zona ambita anche dai nipponici. Nel 1938, infatti il Giappone dichiara
guerra alla Cina, lanciandosi alla conquista della Manciuria. Dopo la lunga
marcia, la Cina era spaccata in due zone: il sud in mano ai nazionalisti
del Kuomintang e il nord ai comunisti. Pur incarnando ideologie
differenti, il Kuomintang e il Partito comunista si avvicinarono per
fare lega e difendersi dall’attacco giapponese. Dopo la sconfitta del
Giappone alla fine del secondo conflitto mondiale, Mao poté
finalmente portare a termine la rivoluzione cinese. Batté i nazionalisti
(costringendoli a capitolare sull’isola di Taiwan) e proclamò la nascita
della Repubblica Popolare nell’ottobre del 1949. Mao morirà nel 1976
ma ancora oggi è vivo il contrasto tra i nazionalisti e i comunisti.

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