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Nella prima metà del secolo XX secolo molti paesi furono attraversati
dalla Rivoluzione. Le rivoluzioni ebbero luogo all’esterno del
continente europeo: Cina, Persia, Turchia, Russia e Messico, con lo
scopo specifico di modernizzare la società e di includere le masse nelle
istituzioni politiche. Queste rivoluzioni furono di tre tipi: nazionaliste,
democratiche e socialiste. In questa sede approfondiremo le rivoluzioni
russa e cinese. La rivoluzione russa (chiamata anche bolscevica) tentò di
mettere in pratica i principi filosofici del marxismo, realizzando una
società socialista. L’effetto della rivoluzione russa fu il comunismo, che,
negli anni successivi, si diffuse in molti paesi del pianeta,
rappresentando un’alternativa al modello capitalista. Il regime zarista
si stava lentamente disfacendo e non era più in grado di saper gestire i
cambiamenti che si stavano verificando in Russia. Nel 1905 la città di
Pietroburgo fu teatro di una grande manifestazione pacifica, appoggiata
dalla chiesa ortodossa e da una folta schiera di operai e da gente comune.
Alcuni delegati chiesero un incontro con lo Zar per illustrare la terribile
situazione sociale ed economica in cui versavano contadini ed operai. Lo
zar Nicola II rifiutò e il popolo organizzò una manifestazione a cui fece
seguito una terribile reazione e l’esercito fu incaricato di reprimere la
sommossa con la forza; ci furono centinaia di morti. Qualche anno prima,
nel 1898, si era affermato in Russia il Partito Socialista su iniziativa di
Georgij Plechanov. In un congresso a Bruxelles del 1903 il partito si
spaccò in due fazioni. La prima era maggioritaria (in russo
bolscevica), benché fosse in minoranza; e la seconda era minoritaria
(menscevica), con un maggior seguito di base. Bolscevichi e
menscevichi avevano una visione diversa in merito alla rivoluzione del
proletariato. I bolscevichi erano inclini ad una linea rivoluzionaria
immediata; i menscevichi erano, invece, attendisti e gradualisti,
auspicavano certamente ad una dittatura del proletariato passando, però,
attraverso una fase transitoria democratica. A capo della fazione
bolscevica vi era Nikolai Lenin (1870-1924), grande guida carismatica.
Nel 1905 si formarono i soviet, ovvero assemblee o consigli di delegati
delle fabbriche in lotta. Il primo soviet nacque nel giugno del 1905 e, dopo
di allora, ne sorsero dovunque in Russia. Il Soviet di Pietroburgo, fedele
alla linea menscevica, tentò di innescare la rivoluzione ma i suoi membri
furono arrestati. A Mosca, invece, il soviet (vicino ai bolscevichi) riusciva
a dare luogo ad un’effimera ma violenta insurrezione che, ben presto, a
causa della mancanza di organizzazione, venne bloccata e, nel 1906, in
Russia era tornata la calma. La rivoluzione del 1905 ebbe l’effetto di
indurre il governo a concedere una Costituzione; per la prima volta
vennero indette delle elezioni per formare la cosiddetta “Duma” a cui
sarebbe spettato il potere legislativo, limitato dal veto dello zar. La
Duma fu sciolta a più riprese ma costituì l’atto di nascita di una nuova
coscienza politica russa. La Rivoluzione si ripresentò qualche anno più
tardi, in forma più matura ed organizzata, precisamente alla fine del
1917, quando iniziarono scioperi e manifestazioni contro il regime
zarista che, questa volta, crollò. Nell’immediato, si determinò un
dualismo fra i Soviet e la Duma che si protrasse per diversi mesi: i due
organi avevano una visione politica diversa. La Duma pensava ad una
monarchia costituzionale, i soviet speravano nell’affermazione
definitiva del socialismo. I Soviet, al loro interno, erano formati da tre
grandi correnti:
i socialisti rivoluzionari.
I menscevichi.
I bolscevichi.
Le prime due anime erano più moderate, fondandosi sull’idea di una
democrazia rivoluzionaria; i bolscevichi erano più radicali, chiamati
anche «Rivoluzionari di professione», pensavano che il potere politico
dovesse essere affidato direttamente alla classe operaia, senza
intermediazioni di nessuna sorta. Le personalità più importanti
all’interno dei soviet erano quattro: c’era Lenin che incarnava la figura
del rivoluzionario di professione. Si trovava in esilio in Svizzera, perché
ritenuto dal regime zarista un pericolo sovversivo. Tornò in Russia nel
‘17 e divulgò le sue famosissime tesi di aprile, in cui prospettava la sua
idea di rivoluzione proletaria. A contrastare il suo punto di vista c’erano
altre personalità di spicco; ovvero, Kamenev e Stalin che non si fidavano
troppo delle capacità della classe operaia, schierandosi a favore della
concezione menscevica. Lenin aveva dalla sua parte invece Lev Trockij e
Zinov’ev, compagno esule di Lenin in Svizzera. I contrasti fra la Duma e
il Soviet (e all’interno del soviet stesso tra le sue diverse anime)
peggiorarono; si cercò di uscire dall’impasse nominando a capo del
governo Kerenskij ma, oramai, la rivoluzione non poteva essere bloccata
e la linea bolscevica si impose come maggioritaria all’interno dei soviet.
Lenin e Trockij ritenevano che tutto fosse pronto per la rivoluzione
che scoppiò fra il 6 e il 7 novembre del 1917 (fine di ottobre per il
calendario russo); la guardia rossa occupò la posta, le stazioni
ferroviarie, le centrali elettriche, la centrale telefonica. L’incrociatore
«Aurora» sparò alcune cannonate sul «Palazzo d’Inverno» degli zar.
Per la Russia iniziava un periodo completamente nuovo: si formò un
nuovo governo presieduto da Lenin, Trockij e Stalin i quali si apprestarono
a firmare la pace di Brest-Litovsk, in virtù della quale la Russia usciva
dalla guerra, perdendo delle importantissime zone del suo impero: Polonia,
i paesi baltici, la Finlandia, una parte dell’Ucraina. La capitale fu trasferita
da Pietrogrado a Mosca e le risorse del paese furono nazionalizzate; il voto
degli operai veniva ad assumere un’importanza decisiva e impiegati, preti,
proprietari e funzionari venivano esclusi dall’elettorato. Il Congresso del
partito bolscevico fu convocato nella primavera del 1918 ed assunse il
nome di «Comunista». Nel 1919, i bolscevichi davano vita ad una III
Internazionale e l’ideologia comunista dilagava in Europa. Nascevano
così i primi partiti comunisti: in Ungheria, in Polonia e in Germania; in
Francia il primo partito comunista nasce nel 1920 e in Italia nel 1921. I
fondatori del partito comunista italiano (PCI), nato da un’ala del partito
socialista, furono Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro
Togliatti, che, alla morte di Gramsci, sarebbe diventato il futuro segretario
del partito. I bolscevichi, denominati oramai comunisti, davano vita, sotto
la guida di Lenin, nel 1922, all’U.R.S.S, ovvero all’Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche che assumeva un ruolo egemone
nella guida di tutti i paesi comunisti. Lenin moriva nel 1924 e si apriva
un’aspra battaglia per la successione tra Trockij e Stalin. Si trattava di
due grandissime personalità. Il primo era stato centrale nella rivoluzione
d’ottobre; il secondo godeva di maggior prestigio all’interno del partito.
Trockij era fautore della cosiddetta “Rivoluzione permanente” da
estendere in chiave internazionalista a tutti i proletari ed anche ai popoli
oppressi. La sua idea non attecchì e finì per prevalere la linea staliniana.
Tockij fu perseguitato e costretto a fuggire all’estero, prima in
Turchia e poi in Messico, da dove diede vita ad una quarta
internazionale a cui aderirono molti intellettuali da tutto il mondo;
venne assassinato nel 1940 da agenti stalinisti che gli stavano dando la
caccia. Stalin rimase solo al potere e diede vita ad una delle dittature
più spietate del ‘900. Il partito comunista diventava l’unico partito e
Stalin diventava un autocrate, una figura autoritaria che lavorava per
costruire l’ascesa dell’Urss. Stalin intrattenne relazioni stabili ed
amichevoli con la Germania, uscita sconfitta e penalizzata dalla Grande
guerra. Dal punto di vista della politica interna, pianificò l’economia
attraverso dei piani quinquennali con cui stabilì gli obiettivi da
raggiungere nel medio e lungo periodo. L’effetto di questi piani (che
sostituirono la NEP pensata dai rivoluzionari bolscevichi) fu quello di
aumentare la produzione industriale e di raddoppiarla, soprattutto per
quanto riguarda l’industria pesante. Nel 1937, la produzione sovietica
diventò la seconda al mondo e l’Urss viveva in piena autarchia. Il modello
comunista rappresentava, dal punto di vista economico, un’alternativa
all’esasperato liberismo capitalista ma, come contraltare, presentava il
difetto di pianificare l’economia e di isolare l’Unione sovietica. La
dittatura staliniana, ben presto, presentò il suo aspetto disumano, fondato
sull’eliminazione fisica di qualsiasi forma di opposizione politica ed
ideologica. Nel 1923, nelle isole Solovki, nell’Artico, fu creato il primo
campo, chiamato Lager e poi Gulag; negli anni della dittatura
staliniana i campi proliferarono e vi finirono tra i 10 e i 20 milioni di
oppositori, di cui buona parte non sopravvisse in condizioni estreme di
maltrattamento. Lo stalinismo raggiunse il suo apice di spietatezza tra
il 1937 e il 1938, gli anni delle cosiddette grandi purghe. Stalin morirà
nel marzo del 1953 e per l’Urss si aprirà la stagione della
destalinizzazione.
3. La rivoluzione cinese.
All’inizio degli anni ’30, si combatté in Cina una lotta ferocissima tra i
nazionalisti del Kuomintang e i comunisti guidati da Mao. I nazionalisti
di Chiang Kai-shek attaccarono per anni i comunisti di Mao, che
seppero resistere all’assedio fino al 1934, anno in cui furono scacciati.
In quell’anno iniziò la «Lunga marcia» dei comunisti cinesi, che
attraversarono tutto il paese per diecimila chilometri al fine di
insediarsi nel povero nord della Cina, ai confini con la Manciuria,
zona ambita anche dai nipponici. Nel 1938, infatti il Giappone dichiara
guerra alla Cina, lanciandosi alla conquista della Manciuria. Dopo la lunga
marcia, la Cina era spaccata in due zone: il sud in mano ai nazionalisti
del Kuomintang e il nord ai comunisti. Pur incarnando ideologie
differenti, il Kuomintang e il Partito comunista si avvicinarono per
fare lega e difendersi dall’attacco giapponese. Dopo la sconfitta del
Giappone alla fine del secondo conflitto mondiale, Mao poté
finalmente portare a termine la rivoluzione cinese. Batté i nazionalisti
(costringendoli a capitolare sull’isola di Taiwan) e proclamò la nascita
della Repubblica Popolare nell’ottobre del 1949. Mao morirà nel 1976
ma ancora oggi è vivo il contrasto tra i nazionalisti e i comunisti.