Sei sulla pagina 1di 14

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Conflitto di dimensioni intercontinentali, combattuto dal 1914 al 1918.


Innescata dalle pressioni nazionalistiche e dalle tendenze imperialistiche
coltivate dalle potenze europee a partire dalla seconda metà del 19° sec.,
coinvolse 28 paesi e vide contrapposte le forze dell’Intesa (Francia, Gran
Bretagna, Russia, Italia e loro alleati) e gli Imperi Centrali (Austria-Ungheria,
Germania e loro alleati). Assunse una dimensione mondiale anche dal punto
di vista dei teatri degli scontri: si combatté, oltre che in Europa, nell’Impero
ottomano, nelle colonie tedesche in Asia e su tutti i mari. Le battaglie decisive
si svolsero in Europa, su 5 fronti: quello occidentale, tra Francia e Germania,
lungo la Marna e la Somme; l’orientale, o russo, esteso e privo di barriere
naturali; il meridionale, o serbo; l’austro-italiano, sulle Alpi orientali e in Carnia;
il greco, a N di Salonicco.

CAUSE DEL CONFLITTO

Le cause della Prima guerra mondiale furono molteplici e di varia natura:


cause politiche, economiche, militari e socioculturali.
Le cause politiche: c’erano forti tensioni tra Francia e Germania, perché la
Francia voleva riprendersi l’Alsazia e la Lorena perse nel 1870 durante la
guerra franco-prussiana;
la secolare rivalità fra Austria e Russia per il predominio nell’area dei Balcani;
il malcontento delle varie nazionalità presenti all’interno dell’Impero
austro-ungarico e in particolare degli slavi e degli italiani del Trentino e della
Venezia Giulia;
la presenza di due schieramenti di Stati contrapposti: la Triplice Alleanza
(Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e
Russia).

Le cause economiche; la rapida crescita industriale della Germania accese


una forte rivalità economica tra questa e la Gran Bretagna;
la necessità da parte delle grandi potenze di rifornirsi di materie prime e di
garantirsi ampi mercati per favorire lo sviluppo industriale.

Le cause militari: la politica militarista intrapresa dalle grandi potenze;


la corsa agli armamenti dei Paesi europei più industrializzati.
Le cause socioculturali: la diffusione di una nuova ideologia, il nazionalismo,
ovvero la convinzione che la propria nazione fosse superiore a un’altra in tutto
e per tutto;
l’applicazione del darwinismo alle relazioni internazionali, cioè la convinzione
che la guerra tra gli Stati fosse l’equivalente della lotta per la sopravvivenza
della natura;
gli atteggiamenti favorevoli alla guerra diffusi tra i giovani. Essi vedevano nella
guerra l’occasione che avrebbe consentito loro di realizzarsi;
l’esaltazione della guerra e della violenza ad opera di movimenti culturali,
come il Futurismo, secondo i quali la guerra avrebbe ripulito il mondo da una
grande massa di uomini mediocri. Concetto ben sintetizzato dal noto detto
futurista: «La guerra, sola igiene del mondo».

LO SCOPPIO DELLA GUERRA

La causa scatenante della guerra fu l’assassinio, a Sarajevo, per mano di


un’organizzazione patriottica e nazionalista serba, dell’arciduca Francesco
Ferdinando d’Asburgo, erede al trono austro-ungarico (28 giugno 1914).

Dopo l’attentato, l’Austria-Ungheria, ottenuta mano libera dalla Germania,


lanciò un ultimatum (23 luglio 1914) alla Serbia, ritenendola corresponsabile.
Mentre le cancellerie europee, specie il ministro degli Esteri britannico E.
Grey, si impegnavano per trovare una soluzione pacifica, il 28 luglio l’Austria
dichiarò guerra alla Serbia. La catena delle alleanze fece precipitare la
situazione: la Russia rispose con una mobilitazione generale. La Germania
dichiarò guerra alla Russia, poi alla Francia, quindi violò la neutralità di
Lussemburgo e Belgio; questo atto di forza decise l’ingresso in guerra della
Gran Bretagna contro la Germania. Poche settimane dopo anche il Giappone
entrò nel conflitto, in quanto alleato della Gran Bretagna; Francia, Gran
Bretagna e Russia sanzionarono con il Patto di Londra (4 settembre 1914)
una vera e propria alleanza. La Turchia, timorosa della Russia e legata alla
Germania, decretò la chiusura degli stretti alla navigazione commerciale e si
unì agli Imperi centrali. Il Portogallo si schierò a fianco dell’Intesa. Sia in
Francia sia in Germania la soluzione militare fu appoggiata anche dai partiti
socialisti, inizialmente su posizioni neutraliste. Alleata degli Imperi centrali,
l’Italia rimase neutrale; la mancata consultazione da parte degli alleati e il
carattere offensivo della guerra ne giustificavano giuridicamente la posizione.
GLI SVILUPPI DEL 1914-15

Il fronte occidentale: Il conflitto ebbe inizio con l’offensiva tedesca contro la


Francia attraverso il Lussemburgo e il Belgio, secondo il piano elaborato nel
1905 da A. von Schlieffen, accolto dal capo di Stato Maggiore von Moltke. La
Germania, impegnata su due fronti, mirava a conseguire una rapida vittoria
sul fronte occidentale, puntando su Parigi. Le offensive in Lorena e verso le
Ardenne e quella in direzione di Sarrebourg e di Morhange lanciate dal
generale francese Joffre fallirono. Nella battaglia delle frontiere, lungo il
confine franco-belga, la V armata francese e il corpo di spedizione britannico
furono battuti e costretti a ritirarsi. La capitale francese fu salvata dal
contrattacco di Joffre, che costrinse i Tedeschi a ripiegare a nord del fiume
Aisne. Dopo la battaglia dell’Aisne, che arrestò la spinta franco-inglese, le
forze contrapposte diedero inizio a una serie di manovre in direzione dello
Stretto di Calais, per guadagnare il controllo dei porti sulla Manica. La
cosiddetta ‘corsa al mare’ si arrestò nelle Fiandre: respinti fino allora dai
Tedeschi i tentativi di aggiramento franco-inglesi, nelle battaglie dell’Yser e di
Ypres, gli Alleati riuscirono a evitare lo sfondamento nemico e a stabilizzare il
fronte. Il bilancio delle perdite fu all’incirca di 200.000 uomini in ciascuno
schieramento. Il fronte occidentale si fissò su una linea trincerata che tagliò il
continente dalla costa belga fino alla neutrale Svizzera; alla guerra di
movimento dei primi mesi sarebbero seguiti circa 3 anni di guerra di
logoramento condotta dalle trincee e punteggiata da sortite offensive che si
concludevano in carneficine di inusuali proporzioni, senza significativi
avanzamenti militari.

Il fronte orientale: le forze russe avanzate nella Prussia orientale dopo la


vittoria di Gumbinnen subirono la catastrofe di Tannenberg (26-30 agosto), e
la battaglia dei Laghi Masuri (9-14 settembre) determinò la loro ritirata dalla
Prussia. Dopo la prima offensiva russa di Galizia, la gravità della disfatta
austriaca indusse i Tedeschi a intervenire accanto agli Austriaci, ma furono
costretti al ripiegamento (20 ottobre), mentre i Russi sferravano la seconda
offensiva in Galizia, fra Leopoli e Przemyśl. Con la seconda offensiva di
Polonia, culminata nella battaglia di Łódź, i Tedeschi impedirono l’invasione
del proprio territorio, bloccando nel contempo l’offensiva dell’avversario contro
gli Austriaci. Il 23 gennaio 1915 gli Austriaci, appoggiati dalle forze tedesche,
accerchiarono e distrussero la X armata russa ad Augustów (17 febbraio).
Caduta Przemyśl, la terza grande offensiva russa contro gli Austriaci,
culminata nella battaglia di Pasqua, costrinse l’armata a ripiegare dietro il
crinale dei Carpazi, dove si stabilizzò temporaneamente il fronte.

Il terzo fronte: Il 9 dicembre 1914 il governo italiano, in base all’art. 7 del


Trattato della Triplice, chiese all’Austria compensi territoriali per la sua
avanzata nei Balcani, che furono rifiutati. Dal settembre aveva intanto avviato
trattative con le potenze dell’Intesa, precisando le sue richieste territoriali (i
territori compresi entro l’arco alpino, fino al Quarnaro, e un certo regime di
autonomia per gli Italiani di Dalmazia), che il ministro degli Esteri S. Sonnino
portò poi avanti con maggiori pretese sull’Adriatico, per garantire all’Italia la
sicurezza marittima, fino alla conclusione del Patto segreto di Londra del 26
aprile 1915, con cui l’Italia si impegnò ad aprire le ostilità contro l’Austria entro
30 giorni dalla firma del protocollo. Denunciata il 3 maggio la Triplice Alleanza,
la guerra all’Austria fu dichiarata il 24. L’Austria aveva predisposto un solido
schieramento difensivo sulle posizioni di confine lungo l’Isonzo e le alture del
Carso e i mezzi offensivi dell’esercito italiano erano scarsi, per cui la guerra
assunse dall’inizio carattere di logoramento: 4 offensive sull’Isonzo, guidate
dal generale L. Cadorna, non spezzarono la difesa nemica, ma l’Austria fu
obbligata a inviare sul nuovo fronte forze sempre più numerose.

L’offensiva austro-tedesca: Dopo lo sfondamento tedesco sul fronte e la


successiva riconquista di Przemyśl e Leopoli, il 25 agosto cadde anche
Brest-Litovsk, massima fortezza del versante occidentale dell’Impero russo. Il
capo di Stato Maggiore ordinò a gruppi dell’esercito tedesco di passare sulla
difensiva a causa della pressione prodotta dall’offensiva francese nella
Champagne e della necessità di forze disponibili nei Balcani. La Germania
aveva conseguito un grande successo: i Russi avevano perso circa la metà
degli effettivi, con relativi armamenti, e avevano dovuto abbandonare circa
500.000 km2 di territorio; tuttavia, non erano stati indotti alla pace separata,
come speravano i generali. L’ingresso della Bulgaria in guerra a fianco degli
Imperi centrali segnò il crollo della Serbia con la battaglia di Kosovo, attaccata
da ogni parte. Fallite in primavera anche le azioni franco-inglesi nei Dardanelli
e a Gallipoli, progettate da W. Churchill in primo luogo per aprire una via di
comunicazione diretta con la Russia, il 1915 si chiuse con il rafforzamento
delle posizioni degli Imperi centrali a oriente.
GLI SVILUPPI DEL 1916

Il fronte occidentale: Mentre gli Anglo-Francesi erano costretti ad attendere


l’inizio dell’estate per lanciare un’offensiva sulla Somme (per difetto di
materiali bellici e non essendo in grado gli alleati russi e italiani di prestare
loro aiuto prima), Falkenhayn prese l’iniziativa di una grande battaglia di
logoramento sul fronte di Verdun, tenuto dai Francesi, nella persuasione che
la Francia, demoralizzata, avrebbe chiesto la pace. La battaglia di Verdun,
svoltasi fra il 21 febbraio e il 24 giugno 1916, risultò una grande vittoria
difensiva francese e simbolo dell’invincibilità dell’Intesa, anche se la Germania
inflisse all’esercito nemico molte più perdite di quante ne subì, riducendo
insieme la partecipazione dei Francesi alla battaglia della Somme. Il
disimpegno di Verdun venne dall’offensiva scatenata dagli Anglo-francesi il 1°
luglio, nella quale i mezzi messi in opera si rivelarono i maggiori fino ad allora
impegnati e apparve un’arma nuova, il carro armato. La battaglia della
Somme (1° luglio-23 novembre 1916) comportò perdite imponenti di uomini e
mezzi, mentre in nessun punto si avanzò più di 5 km, su un fronte di 8-9 km.

Il fronte italiano: Il maresciallo austriaco Conrad avviò in aprile una grande


offensiva sul Trentino contro gli Italiani, con la finalità di sfondare il fronte
dell’Isonzo. L’offensiva fu bloccata dalla difficoltà dell’artiglieria pesante a
seguire, in terreno difficile, il progresso della fanteria; il 14 giugno iniziò la
controffensiva italiana, conclusasi il 25 con il ripiegamento generale degli
Austriaci. Superata la minaccia sul Trentino, Cadorna spostò uomini e mezzi
dal Trentino sull’Isonzo e attaccò di sorpresa gli Austriaci, le cui forze erano
relativamente scarse anche per i prelevamenti fatti a favore del fronte
orientale. La sesta battaglia dell’Isonzo portò alla conquista di Gorizia, senza
perdere però il suo carattere di battaglia di logoramento. Venuta meno la
rottura del fronte a est di Gorizia, la settima, l’ottava e la nona battaglia
dell’Isonzo rientrarono nello schema degli impegni di logoramento.

Il fronte orientale: tra il 4 giugno e il 27 agosto su un fronte di 350 km fu


sferrata la quarta e ultima grande offensiva russa, concepita in origine in
funzione di alleggerimento del fronte italiano. I risultati, quasi nulli contro il
settore tedesco, furono grandiosi contro gli Austriaci, a danno dei quali i Russi
conseguirono notevoli vantaggi territoriali e soprattutto militari. Intanto
avvenivano importanti mutamenti nell’alto comando delle potenze centrali:
Falkenhayn fu sostituito il 27 agosto da von Hindenburg e Ludendorff,
esponenti della concezione strategica dell’annientamento.
Entrata la Romania in guerra contro gli Imperi centrali il 27 agosto 1916, il
comando russo si preparò a un attacco d’impeto con il concorso delle truppe
romene contro l’Ungheria e la Galizia con la speranza di infliggere alle
potenze centrali una sconfitta decisiva. Conformemente alla strategia del
comando russo, i Romeni portarono il massimo sforzo offensivo in
Transilvania. Ma Hindenburg aveva formato due potenti gruppi di armate: uno
in Transilvania, e uno sul Danubio. Minacciato di invasione sulla sua frontiera
meridionale, lo Stato Maggiore romeno arrestò l’offensiva in Transilvania e
trasferì parte delle sue truppe verso il fronte meridionale. Falkenhayn il 29
settembre passò all’offensiva e in 18 giorni, dopo tre battaglie, la Transilvania
era liberata. Nonostante la ripresa dell’offensiva russa, delle operazioni
francesi per la riconquista del territorio perduto intorno a Verdun, e di azioni
italiane con l’ottava e la nona battaglia dell’Isonzo, lo Stato Maggiore tedesco
diede inizio a una vasta operazione che, dopo la battaglia dell’Argeş e il
ricongiungimento delle due grandi armate, si concluse con l’occupazione di
Bucarest nel 6 dicembre.

I fronti minori: Nel Caucaso, in Iran e in Mesopotamia, Russi e Britannici


agivano in direzione di Baghdad. Gli eserciti dello zar avanzarono, in seguito a
più successi, fino ai laghi di Van e Urmia (Iran), mentre i Britannici, spintisi fino
a Kut al-Amarah, sulla sponda sinistra del fiume Tigri, vi furono accerchiati e
battuti il 26 aprile 1916. I Turchi nel 1915-16 incontrarono tre insuccessi nel
tentativo d’insediarsi sul Canale di Suez; dopo l’ultimo scacco (agosto 1916), i
Britannici passarono alla controffensiva, giungendo alle soglie della Palestina.

La guerra sui mari: In conseguenza dell’accordo franco-britannico del


novembre 1913, la flotta britannica, la Grand fleet, ebbe la difesa di tutti gli
oceani, in particolare del Mare del Nord, del Passo di Calais e del bacino
orientale del Mediterraneo; alla flotta francese fu affidata la difesa della
Manica occidentale e del bacino occidentale del Mediterraneo. Il 29 luglio
1914, la flotta da battaglia britannica aveva raggiunto Scapa Flow, base adatta
per intervenire tempestivamente contro la flotta tedesca.

Nel 1914 ebbero luogo la battaglia di Coronel (Cile), nella quale venne inflitta
ai Britannici una dura sconfitta, e quella delle Falkland, in cui furono
annientate le unità tedesche.

Nella guerra sul mare i Tedeschi si avvalsero di una nuova arma, quella del
sottomarino (Unterseeboote, da cui U-Boot), che fece la prima comparsa il 22
settembre 1914, all’altezza di Hook of Holland, dove tre incrociatori corazzati
britannici furono affondati in pochi minuti. La guerra sottomarina si rivelò più
fruttuosa di quella di corsa, ma dopo l’affondamento del piroscafo statunitense
Lusitania, per evitare complicazioni con gli USA la Germania la sospese sulle
coste occidentali delle isole britanniche e nella Manica, mantenendola solo nel
Mediterraneo. Nel 1916 si svolse la battaglia dello Jütland, la sola grande
battaglia navale del conflitto. La marina tedesca inflisse alla Grand Fleet più
danni di quelli ricevuti, ma l’effetto strategico della battaglia fu a favore della
Gran Bretagna, perché la flotta tedesca non si arrischiò più in mare aperto. La
guerra contro il traffico sul mare sarà ripresa in grande dalla Germania il 31
gennaio 1917, ma per opera dei soli sommergibili, impiegati per la prima volta
senza restrizioni.

GLI SVILUPPI DEL 1917

Il fronte occidentale: L’offensiva generale prevista dalle potenze dell’Intesa


per la primavera del 1917 non poté contare sul concorso della Russia,
sconvolta dalla rivoluzione di febbraio: l’attacco russo, finalizzato alla rapida
rottura del fronte tedesco, ne rimase irrimediabilmente compromesso. I
Francesi si impossessarono dello Chemin-des-Dames a prezzo di sacrifici tali
che l’offensiva, lungi dal raggiungere lo scopo, demoralizzò profondamente
l’esercito; non si riuscì nemmeno a concentrarlo con l’azione sul fronte
italiano, dove la decima battaglia dell’Isonzo fu sferrata dopo la fine
dell’offensiva franco-britannica. Gli Inglesi, molto più forti dei Francesi,
insistettero per la continuazione della lotta con finalità di sfondamento, ma il
nuovo comandante in capo delle truppe francesi Pétain vi si oppose. Fra le
operazioni parziali intraprese dai Francesi, furono importanti la ripresa del
Mort-Homme, presso Verdun e la battaglia della Malmaison. Gli Inglesi,
pressati dalla guerra sottomarina a oltranza, avevano interesse ad allontanare
i Tedeschi dalle coste del Belgio e, forti dell’aiuto fornito loro dall’Impero
coloniale, furono in grado di assumere da soli l’iniziativa: le truppe britanniche
non realizzarono che progressi locali, ma il comando e l’esercito tedesco ne
risultarono duramente provati. L’attacco di Cambrai consentì di realizzare
un’avanzata di 10 km di profondità in 10 ore; ma la controffensiva tedesca
annullò di colpo i vantaggi conseguiti dagli avversari.

Il fronte orientale: L’attacco russo sferrato il 1° luglio nonostante il graduale


dissolvimento dell’esercito il 19 luglio, si arrestò del tutto sotto l’azione della
controffensiva degli Imperi centrali e l’occupazione tedesca di Riga (3
settembre) segnò lo sfacelo definitivo dell’esercito russo. Il 26 novembre i
bolscevichi saliti al potere chiesero di trattare l’armistizio, stipulato il 15
dicembre. I negoziati di pace si conclusero il 3 marzo 1918: con la pace di
Brest-Litovsk la Russia rinunciava alle province baltiche, alla Polonia e
all’Ucraina. L’8 febbraio anche l’Ucraina concluse la pace, e il 7 maggio la
Romania.

Intervento USA: La ripresa della guerra marina illimitata da parte dei


Tedeschi affrettò l’intervento in guerra degli USA, che una stretta comunanza
di interessi economici legava alle potenze dell’Intesa; il 6 aprile 1917 il
governo di Washington dichiarò guerra alla Germania.

Mentre i sondaggi di pace da parte degli Imperi centrali fallivano per


mancanza di accenni concreti alle rivendicazioni italiane, gli esponenti delle
nazionalità dell’Impero austro-ungarico premevano in senso antiasburgico e il
20 luglio 1917 il Patto di Corfù fissava le linee per la creazione di uno Stato
serbo-croato-sloveno. In Germania il desiderio di pace trovò espressione nella
mozione votata al Reichstag il 19 luglio 1917 e anche il papa Benedetto XV
invocò la conclusione della pace (1° agosto 1917). Ma i punti di vista erano
ancora troppo lontani perché si giungesse a un accordo. L’Intesa, che con i
Quattordici punti formulati dal presidente degli Stati Uniti Wilson, si era data
un programma di grande efficacia propagandistica e morale e si era orientata
verso la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, riuscì a respingere
l’estremo sforzo austro-tedesco concentrato sui fronti francese e italiano,
determinando finalmente il prevalere degli ambienti politici tedeschi favorevoli
alla pace.
Un peso non indifferente in questi sviluppi politico-militari aveva avuto la
politica militare delle nazionalità, svolta soprattutto da Russia, Francia e Italia,
con la costituzione e l’impiego di unità nazionali polacche, ceche, romene,
iugoslave, formate con prigionieri di guerra.

Il fronte italiano: Il generale Cadorna intraprese nella primavera l’offensiva


stabilita con gli Alleati, ma la decima battaglia dell’Isonzo, pur superando di
gran lunga, sotto ogni riguardo, le precedenti, non conseguì lo sfondamento.
Nell’undicesima battaglia, l’attacco fece realizzare una penetrazione di 10 km
nella difesa austriaca. Le perdite degli Italiani risultarono maggiori di quelle del
nemico, che, tuttavia, ne risentì più duramente per il progressivo affievolirsi
delle risorse generali dopo tre anni di guerra. Mentre in Austria, per i
complementi, si doveva ricorrere soprattutto ai feriti guariti, in Italia vi erano
ancora larghe risorse nelle classi giovanissime e nelle anziane (senza
considerare le risorse materiali, sterminate dopo l’intervento statunitense).
Una massiccia offensiva austro-tedesca finalizzata ad allontanare il pericolo
su Trieste e respingere gli Italiani di là dalla frontiera dell’Isonzo ebbe inizio il
24 ottobre: l’attacco austro-germanico penetrò in profondità, travolgendo le
difese e raggiungendo lo stesso giorno Caporetto. Cadorna diede l’ordine di
ritirata e la linea d’arresto fu stabilita, dopo il convegno interalleato di
Peschiera e la sostituzione di Cadorna con A. Diaz, sul Piave; gli Italiani
riuscirono ad arrestare l’offensiva austro-tedesca scatenata il 10 novembre
sull’altopiano d’Asiago e sviluppatasi sul Piave e sul Monte Grappa.

Fra le varie conferenze militari interalleate, particolare importanza aveva avuto


quella di Chantilly in cui si era deciso il principio del mutuo appoggio tra i fronti
occidentali, italiano e balcanico. Così, nell’ottobre 1917 fu inviata in Italia
un’armata anglo-francese, che si attestò sul Mincio a imbastirvi una linea di
difesa su cui combattere, nel caso di un ulteriore cedimento di quella del
Piave.

L’offensiva austro-tedesca aveva mostrato l’importanza di un’unione sempre


più stretta fra gli Alleati; nel convegno di Rapallo del 7 novembre, i tre primi
ministri di Gran Bretagna, Francia e Italia decisero l’istituzione di un Consiglio
superiore della guerra interalleata, nuovo passo lungo la via dell’unità di
comando.

I fronti minori: Nel settore balcanico il solo avvenimento importante sul piano
strategico fu l’entrata in guerra della Grecia a fianco delle forze dell’Intesa il 27
giugno. In Mesopotamia, gli Inglesi occuparono Baghdad. In Palestina il
generale E. Allenby, travolta la linea turca di Bersabea, prese Gaza, Giaffa e
Gerusalemme. L’avanzata di Allenby sulla Palestina era stata appoggiata
efficacemente dall’azione di guerriglia condotta nella regione da Lawrence,
animatore della rivolta araba contro l’Impero ottomano.

La guerra sui mari: La guerra sottomarina illimitata ripresa il 1° febbraio 1917


raggiunse il massimo dell’intensità in aprile, quando fu affondato circa un
milione di tonnellate di naviglio mercantile. Se i sommergibili avessero potuto
continuare con un tale ritmo di distruzione, la Gran Bretagna non avrebbe
potuto sopravvivere e gli USA non avrebbero potuto trasportare in Europa gli
eserciti, i viveri e i materiali, che furono poi fattore essenziale di vittoria nel
1918. Ma i mezzi di difesa si mostrarono sempre più efficaci; il trasporto
dell’esercito statunitense in Europa costituì il trionfo del sistema dei convogli
scortati. Dall’estate 1917 i mezzi offensivi aumentarono i rischi dei sottomarini:
nel Mare del Nord fu stabilito uno sbarramento di mine su un’estensione di
400 km; speciali navi pattuglia munite di ecogoniometri scaricavano contro i
sottomarini tedeschi granate esplodenti.

GLI SVILUPPI DEL 1918

Il fronte occidentale: Dopo l’eliminazione della Russia e della Romania dal


conflitto, il comando tedesco passò alla messa a punto di un piano strategico,
elaborato da Ludendorff, per conseguire l’annientamento del nemico
attraverso una serie di battaglie preparatorie. Tra marzo e giugno furono
lanciate tre offensive, con grande dispiegamento di uomini e mezzi che
tuttavia non portarono a nessuno degli obiettivi strategici intravisti da
Ludendorff: né la separazione degli Inglesi dai Francesi, né la sconfitta degli
Inglesi sui porti della Manica, né la conquista di Amiens, né il controllo della
valle dell’Oise. Nel frattempo gli Statunitensi, per la pressione alleata,
decuplicavano gli effettivi in Europa: tra maggio e giugno sbarcarono in
Francia 520.000 soldati. Da marzo si era realizzato il comando unico nella
persona del generale F. Foch, al quale furono affidate anche ‘facoltà di
coordinamento’ sul fronte italiano.

La prima offensiva iniziò il 21 marzo con un attacco in Piccardia che in 15


giorni di battaglia guadagnò ai Tedeschi un’avanzata di 60 km su circa
altrettanti di larghezza, con 300.000 uomini perduti dai soli Inglesi.

Il 9 aprile Luderdorff scatenò un attacco nelle Fiandre, con obiettivo la


conquista dei porti del passo di Calais; nella nuova offensiva di Ypres sul
principio il successo fu notevole; ma il 25, dopo la conquista del Monte
Kemmel, con l’affluire delle riserve, in gran parte francesi, i Tedeschi
sospesero l’offensiva.

Per assestare un nuovo colpo ai Francesi, nella parte opposta a quella dove
era dislocato il grosso degli Alleati, Ludendorff scelse la posizione dello
Chemin-des-Dames, naturalmente forte, ma debolmente occupata.
L’offensiva, iniziata il 27 maggio nel tratto compreso fra Soissons e Reims,
riuscì in pieno, anche per l’impiego di iprite, e il 1° giugno i Tedeschi
giungevano sulla Marna minacciando la stessa capitale francese: Foch fermò,
tuttavia, l’avanzata concentrando la riserva lungo le principali direttrici d’urto
del nemico. Sebbene la situazione strategica non fosse sostanzialmente
migliorata per la Germania, i tre successi di primavera avevano scosso
l’opinione pubblica, specie in Francia, che li considerava presagi di vittoria
definitiva. Mentre si compivano i preparativi per il quarto attacco, gli Austriaci
scatenarono l’offensiva sul fronte italiano.

La battaglia del piave: In febbraio-marzo 1918 le unità dell’esercito italiano


potevano considerarsi ricostituite: 300.000 uomini e 3000 cannoni avevano
rafforzato il fronte. Il giorno dell’attacco, gli Austriaci avanzarono
contemporaneamente sul fronte montano e su quello del Piave; sul primo, la
difesa italiana impose al nemico di desistere dall’offensiva in grande già la
sera stessa del 15; sul secondo fronte, la sera del 16 giugno l’intervento delle
riserve italiane bloccò anche l’attacco austriaco sul Montello, dove il 19 ebbe
inizio la controffensiva di A. Diaz, che in pochi giorni indusse il nemico alla
ritirata. Gli Italiani avevano perduto 90.000 uomini, gli Austriaci 150.000, con
enorme consumo di materiali bellici.

Controffensiva e vittoria alleata: Alla quarta offensiva tedesca contro i


Francesi sferrata il 15 luglio contemporaneamente sulla Marna e a est di
Reims e arrestata con forti perdite, il 18 Foch oppose un attacco contro la
sacca nemica dello Chemin-des-Dames-Marna: l’unica via di comunicazione
per le armate tedesche della Marna, quella Soissons-Fismey, era
all’improvviso minacciata dal nemico. Ludendorff riuscì ad attuare un
ripiegamento progressivo sulla Vesle e l’Aisne e quando (3 agosto) Foch
ordinò la sospensione della controffensiva i Tedeschi avevano perduto quasi
tutti i guadagni realizzati con l’attacco dello Chemin-des-Dames del 1917.

Prima che l’offensiva generale sul fronte occidentale avesse inizio, sul fronte
dei Balcani il 15 settembre fu sferrata l’offensiva che costrinse i Bulgari a
chiedere l’armistizio, firmato il 29. In conseguenza di questo evento tutto il
fianco meridionale dell’Impero austro-ungarico era aperto all’invasione
dell’armata d’oriente. In una situazione generale così favorevole Foch iniziò
l’offensiva, preceduta da attacchi preparatori che determinarono la crisi morale
dell’esercito nemico (più reparti si ammutinarono, molti si impegnarono
debolmente): tra il 26 e il 29 settembre le armate alleate (forze ingenti
statunitensi e britanniche erano ormai in Francia), eseguirono offensive
concentriche dal Mare del Nord alla Mosa; il 10 ottobre la linea di fortificazione
Hindenburg era spezzata e superata ovunque. Tra ottobre e novembre gli
Alleati respinsero progressivamente le forze tedesche da tutto il fronte
occidentale.
L’offensiva finale italiana: L’attacco scatenato sul fronte italo-austriaco dalle
forze italiane il 24 ottobre incontrò resistenza sui monti a causa del terreno e,
fino al 28, anche in pianura, per la piena del Piave, che paralizzò l’azione.
Attraversato il fiume grazie a una brillante manovra del generale Caviglia, il 29
stesso fu liberata Vittorio Veneto. Il comando austriaco iniziò immediatamente
trattative per la resa incondizionata, mentre le forze italiane raggiungevano
Trento e, via mare, Trieste.

Le operazioni in medio oriente: In Turchia, il crollo russo aveva incoraggiato


le mire dei Giovani Turchi lungo la fascia euroasiatica a nord dell’Anatolia: a
fine giugno, truppe turche occuparono Batum, Ardahan, Tabriz e Urmia; a
settembre tolsero agli Inglesi il centro petrolifero di Baku. Sul fronte della
Mesopotamia, a novembre le forze britanniche occuparono la regione di
Mossul. In Palestina, il 19 settembre il generale Allenby sferrò l’offensiva tra
Rafaāt e il mare: caduti Tiberiade, Damasco, Beirut e Aleppo, i Turchi
sottoscrissero la resa incondizionata.

Gli armistizi e i trattati di pace: La Bulgaria concluse l’armistizio il 29


settembre 1918, seguita dalla Turchia. Il governo tedesco, su sollecitazione
dello Stato Maggiore, iniziò il 3 ottobre le trattative di pace sulla base dei
Quattodici punti; ottenuto il consenso generico di T.W. Wilson a nome degli
Alleati, il governo costituitosi dopo l’abdicazione di Guglielmo II firmò
l’armistizio l’11 novembre. Il 3 a Villa Giusti, presso Padova, era stato firmato
l’armistizio italo-austriaco; l’11 l’imperatore Carlo I, dopo un estremo tentativo
di trasformare l’Impero in uno Stato federale sulla base di 4 regni nazionali,
abdicò e il 12 fu proclamata la repubblica in Austria, il 16 in Ungheria. Le varie
nazionalità si davano governi autonomi, sicché il vecchio Impero asburgico
cessava di esistere.

Per stabilire le condizioni di pace fu riunita la Conferenza di Parigi, che ebbe


inizio a metà gennaio 1919. Vi erano rappresentati tutti gli Stati vincitori, ma
solo alle grandi potenze – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone
– era riservato di deliberare su tutte le questioni, mentre i minori intervenivano
solo se direttamente interessati. Il programma di pace britannico, sostenuto da
D. Lloyd George, mirava a rendere innocua la Germania e a prenderle le
colonie; quello francese, impersonato da G. Clemenceau, tendeva a inferire
un colpo decisivo al tradizionale nemico tedesco, che vendicasse il 1870 e
desse alla Francia durevoli garanzie; quello statunitense, propugnato da
Wilson, si concretava in una pace ispirata ai principi dei Quattordici punti, ma
urtava contro una rete d’interessi che ne rendevano difficile l’applicazione;
quello italiano tendeva ad assicurare all’Italia il confine alpino, la supremazia
in Adriatico, una sfera d’influenza balcanica, compensi coloniali. Il poco
entusiasmo mostrato, in nome dei grandi sacrifici sofferti, per i principi
wilsoniani, finì con il creare all’Italia una situazione diplomatica difficile.

Si giunse così ai vari trattati: di Versailles con la Germania, di Saint-Germain


con l’Austria, di Neuilly con la Bulgaria, del Trianon con l’Ungheria, di Sèvres
con la Turchia. La Germania perse le colonie, la flotta militare e mercantile e
alcuni distretti minerari; le fu imposto l’obbligo delle riparazioni e il divieto di
tenere un esercito superiore a 100.000 uomini. Sorsero nuovi Stati: la Polonia,
la Cecoslovacchia, la Iugoslavia, la Finlandia, la Lituania, la Lettonia,
l’Estonia, l’Albania; e altri subirono profondi mutamenti di frontiere. L’Italia
ottenne il confine alpino, ma rimasero insolute la questione adriatica con il
nuovo Stato iugoslavo e quella dei compensi coloniali. Molte questioni furono
rinviate e molte decisioni vennero modificate negli anni successivi, con
conseguenti motivi di persistente agitazione e irrequietezza.

LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA

Sul terreno della strategia militare la Prima guerra segnò una svolta epocale a
motivo, in primo luogo, della diffusione delle armi automatiche che resero
estremamente dispendioso in termini di vite umane il tradizionale attacco di
fanteria o di cavalleria alle postazioni nemiche; ciò determinò l’evoluzione
dalla guerra di movimento alla guerra di posizione o di logoramento: luogo
privilegiato dell’aspetto militare del conflitto fu dunque la trincea. Sul piano
delle innovazioni tecnologiche nacque in questo periodo uno dei protagonisti
dei futuri conflitti, il carro armato, adottato dai Britannici nel 1916. Tra le altre
novità relative agli armamenti vi furono i gas asfissianti (che imposero
l’obbligo della maschera antigas), l’aeroplano (sebbene armato di
mitragliatrice, fu usato prevalentemente a scopo ricognitivo), il sottomarino.
L’esigenza di coordinare e muovere enormi contingenti su un fronte molto
ampio diede luogo allo sviluppo delle telecomunicazioni e al massiccio
impiego dei mezzi motorizzati.

La leva di massa (furono mobilitati complessivamente 65 milioni di uomini) e


le spese militari determinarono il fenomeno, in quella misura inedito, della
mobilitazione totale del paese belligerante: dalla produzione industriale
stimolata dalle commesse statali al razionamento dei generi alimentari, dalla
programmazione della produzione agricola alla censura sulla stampa, fino
all’identificazione del territorio patrio come ‘fronte interno’, la guerra penetrò in
tutti i gangli sociali delle nazioni, determinando in particolare l’inasprimento del
controllo repressivo statale. Questo assunse forme e contenuti
particolarmente rilevanti attraverso la propaganda, l’imperio sui meccanismi
produttivi, l’arresto dei dissidenti o dei pacifisti.

L’adesione delle popolazioni alle rispettive politiche nazionali non fu


omogenea né continua nel tempo: il 1917 fu l’anno di maggior tensione
sociale in molti Stati europei (inclusa l’Italia); in Russia il malcontento popolare
si legò ai disastri del fronte e alla determinazione dei rivoluzionari generando
la Rivoluzione d’ottobre.

Il disagio del dopoguerra, connesso al venir meno del controllo sociale e alle
difficili riconversioni delle economie di guerra, investì nuovamente le società
europee nel loro insieme. Oltre alle rivendicazioni del movimento operaio (che
assunsero ampiezza e radicalità inedite), vanno considerati i movimenti degli
ex combattenti, i partiti e i movimenti contadini (soprattutto in Europa
orientale), i movimenti delle donne (che avevano diffusamente sostituito alla
produzione gli uomini mobilitati), le nuove formazioni politiche. In vari paesi
(tra i quali l’Italia, dove l’esplosione dei movimenti di massa segnò la fine del
regime liberale e fu all’origine del fascismo), l’insieme di queste tensioni causò
scompensi politici e istituzionali.

L’Europa nel suo complesso uscì dal conflitto indebolita dalle vittime (circa 8
milioni di morti e 20 milioni di feriti), dalle distruzioni, dai debiti. Sulla scena
mondiale, gli Stati Uniti per la prima volta erano usciti dall’isolazionismo (per
rientrarvi con la sconfitta del partito di Wilson nel 1920) coinvolgendosi nelle
vicende politiche europee, mentre la Russia sovietica rispondeva al tentativo
di soffocamento durante la guerra civile con la fondazione dell’Internazionale
comunista (1919).

I trattati di pace non superarono le rivalità nazionali che erano state all’origine
della guerra, creando le premesse per ulteriori conflitti; in particolare, la
dissoluzione dell’Austria-Ungheria e le condizioni di resa imposte alla
Germania riversarono le tensioni nazionali su molti dei nuovi Stati. Densi di
tensioni si presentavano anche i rapporti tra le potenze vincitrici e la
Germania, cui furono imposte condizioni politiche, economiche e militari
talmente aspre da rivelarsi presto irrealistiche.

Potrebbero piacerti anche