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La prima guerra mondiale

La catastrofe dell'Europa
-Con l'uscita di scena di Bismarck nel 1890, la Germania, rinnovata nel 1887 la Triplice alleanza
con Austria-Ungheria e Italia (il trattato era stato stipulato la prima volta nel 1882), si lanciò in un
«assalto al potere mondiale»;
-per reazione, Russia e Francia diedero vita, insieme all'Inghilterra, alla Triplice intesa (1904-
1907). A condurre la vecchia Europa verso la catastrofe, però, contribuirono anche altri fattori:
o il nazionalismo francese, ad esempio, che alimentava un sentimento di rivincita verso i
Tedeschi dopo la disfatta del 1870;
o l'espansionismo di Austria e Russia nei Balcani, dove l'impero turco agonizzava;
o la competizione in atto per il controllo del mercato mondiale.
o D insoddisfatta per esiguità proprio impero coloniale

Fu la questione balcanica a fare da detonatore.


-La Serbia, con il sostegno della Russia, sognava di creare un grande Stato degli slavi del Sud,
comprendente i territori slavi soggetti all'Austria-Ungheria (a cominciare dalla Bosnia-Erzegovina).
-Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, un nazionalista serbo uccise l'arciduca ereditario austriaco,
Francesco Ferdinando.
-Ritenendo la Serbia complice dell'assassinio, l'Austria-Ungheria inviò un ultimatum (48h):
- smantellare le organizzazioni patriottiche
- funzionari imperiali alle indagini sull’assassinio (non accettata)
con l’appoggio di Guglielmo II dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio).
Si mise allora in moto un meccanismo implacabile:
o la Russia ordina la mobilitazione generale che fa scattare
o mobilitazione della Francia
o la Germania dichiara guerra alla Russia e alla Francia (31 luglio; 3 agosto);
o l'Inghilterra, per l’invasione al Belgio, neutrale, alla Germania (4 agosto)
o Giappone alla D (interesse per possedimenti D in Estremo Oriente).
o a fianco di Germania e Austria si schierò anche la Turchia ( per paura aggressione russa)
o l'Italia, formalmente legata a Germania e Austria, proclamò invece la sua neutralità
(governo Salandra), motivandola con il fatto che la vecchia alleanza non aveva più valore
perché prevedeva l'intervento soltanto a scopo difensivo. In realtà, nel corso dell'età
giolittiana (Giolitti presidente del Consiglio dal 1903 al 1914), l'Italia aveva attenuato
l'orientamento fìlotedesco e si era avvicinata alla Francia.
Altre ragioni della scelta:
- Austria non disponibile a cedere le terre irridente (Trento e Trieste) come ricompensa
entrata in guerra
- modo per prendere tempo in quanto I impreparata militarmente
Forze politiche e opinione pubblica si dividono in:
neutralisti: Giolitti x fragilità economica industria italiana e dipendenza carbone GB; guerra
contro i due imperi militarmente più organizzati; possibili tensioni sociali. Cattolici il papa
denuncia orrori guerra. Partito socialista italiano guerra scontro tra opposti interessi
capitalistici, fonte di lutti e sofferenze per la classe operaia. Rimasto isolato dagli altri PS
europei decidono “Né aderire, né sabotare)
interventisti di sinistra: interventisti democratici per combattere autoritarismo di A e D.
Irridentisti, Sindacalisti e socialisti rivoluzionari: sconfitta Imperi centrali avrebbe creato
premesse per nascita movimento rivoluzionario
interventisti di destra: nazionalisti affermazione dell’I come grande potenza. Gruppi
industriali (Ansaldo, Fiat) occasione grandi profitti per forniture militari. Liberal-conservatori
per rafforzamento monarchia e mettere ordine nel paese ( appoggio del re e del Corriere
della sera, più importante organo di stampa)
La stampa, inizia martellante campagna per formare opinione pubblica favorevole, comizi
organizzati da intellettuali ( D’Annunzio, Marinetti, Soffici…) , sindacalisti nazionalisti e
politici interventisti (Mussolini) presentano neutralisti come traditori patria.
Dal 1914 IT trattative diplomatiche con Triplice Alleanza: imperatore A non disposto a cede-
re TS, vitale per accesso al mare. F e GB invece disposte ad accogliere tutte le richieste ter.
Ritoriali, quindi
26 aprile 1915 patto di Londra, (firmato da Salandra e Sonnino, d'intesa con il re, all'oscu-
ro del parlamento) e Triplice Intesa: I entra in guerra entro 30 gioni con F,GB e Russia. In
caso di vittoria I avrebbe ottenuto il Trentino, Sud Tirolo, Istria e Trieste,( territori austriaci
con maggioranza di italiani), parte della Dalmazia, il Dodecaneso, protettorato di Albania, il
bacino carbonifero in Turchia, possedimenti coloniali D in Africa.
Interventisti e principali organi di informazione scatenano le radiose giornate di maggio

Le vicende militari
-ll conflitto, nelle previsioni degli strateghi, sarebbe dovuto durare due, tre mesi al massimo.
I Tedeschi avevano elaborato il piano Schlieffen che prevedeva il rapido annientamento della
Francia attraverso l'invasione del neutrale Belgio e la successiva invasione della Russia.
Ma il piano fallì:
-4 agosto 1914 D invade B che resiste e F può organizzare la difesa, la prevista «guerra lampo»
si trasforma, dopo la prima battaglia della Marna (settembre 1914) nella quale francesi e inglesi
riescono a respingere i tedeschi, in un'estenuante guerra di trincea con il formarsi, lungo il fronte
occidentale, di 800 km di camminamenti scavati nel terreno, dalle Fiandre alla Svizzera. La guerra
di trincea fu imposta dall’adozione di nuove armi micidiali, come le mitragliatrici e i cannoni a tiro
rapido. Altre armi utilizzate per la prima volta, come i gas tossici (l’iprite) o i carri armati non si
rivelarono altrettanto decisive; assai più rilevanti, invece, furono i risultati ottenuti dall’aviazione,
sempre più impiegata, nel corso della guerra, come sostituto dell’artiglieria.
-Nel frattempo D ad est fronteggiano e vincono Russia ( Tannenberg e laghi Masuri, 23 agosto/13
sett ) che,a sua volta, vince A (a Leopoli e in Galizia 26 ag/11 sett)
- Turchia entra in guerra: Russia costretta a dividere forze e con sistema industriale inadatto a
supportare il conflitto, viene scofitta da A/De si ritira sino alla Beresina ( inizio 1915)
- sui mari: GB/D controllo mare del Nord, battaglia delle Fiandre (15 ott/15 nov) D sconfitto da
F/GB, GB impedisce a navi dei paesi neutrali di rifornire porti D. D reagisce con guerra sottomarina
per impedire rifornimenti, maggiormente USA a GB (affondamento transatlantico Lusitania GB.

-L'Italia entra in guerra, al comando del generale Cadorna, il 24 maggio del 1915 a fianco
dell'Intesa, costringendo l'Austria ad aprire un nuovo fronte lungo il Trentino e il fiume Isonzo.
Questo fatto produce col tempo un effetto di logoramento, che concorre a determinare la sconfitta
generale degli Austriaci. Nel corso di un anno l'IT sferra attacchi sull'Isonzo e sul Carso, respinge
la Strafexpedition austriaca (spedizione punitiva contro chi aveva tradito) attestata sull'altipiano di
Asiago, e conquista Gorizia (agosto 1916).
- Sul fronte occidentale situazione di stallo per tutto il 1915, per dare una svolta decisiva D
attacca piazzaforte di Verdun e le truppe F e GB sulla Somme , scontri lunghi, ma senza risultati.
- fronte orientale: A e D vincono R ,che deve lasciare gran parte della Polonia, e sconfiggono
definitivamente Serbia. - Turchia (entra in guerra con A e D) fronteggia lo sbarco dell'Intesa a
Gallipoli (anche qui la conquista si trasforma in guerra di posizione). Il governo ottomano, di
impronta fortemente nazionalista, dà inizio al genocidio armeno (accusati di aiuto alla Russia per
sottrarsi al dominio turco). 1916 ripresa della Russia che sfonda linee A e arriva sino ai Carpazi
intervento D evita la capitolazione a A e fa arretrare Russia. Romania entra a fianco Intesa (28
agosto) e viene subito sconfitta.
L' anno cruciale fu il 1917. La decisione tedesca di scatenare, mediante i sommergibili, la
«guerra sottomarina» a oltranza (febbraio) provocò l'intervento degli Stati Uniti (4 aprile), che,
divenuti la più grande potenza economica del mondo, non potevano tollerare che fosse ostacolata
la «libertà dei mari», ovvero il diritto di commerciare liberamente con l'Europa. Inoltre i prestiti fatti
all'Intesa sarebbero stati difficilmente esigibili in caso di sconfitta e, non per ultimo, l'aiuto alle
democrazie EU contro monarchie autoritarie. E’ l’intervento decisivo dopo tre anni di guerra,
quando iniziava a manifestarsi lo scontento dell’opinione pubblica e dei soldati: scioperi,
manifestazioni e diserzioni. Intervento del papa, Benedetto XV, per fermare “l’inutile strage”,
l’Intesa invece sfrutta l’intervento USA per accentuare il carattere ideologico della guerra.

-Viceversa, il ritiro della Russia, determinato dal tracollo dello zarismo e dalla rivoluzione
bolscevica (pace senza annessioni e senza indennità: lasciate province baltiche, Finlandia, P e
UK.), consentì agli austro-tedeschi di spostare truppe sul fronte italiano, che fu sfondato a
Caporetto, sull'Isonzo ( 24 ottobre 1917): ritirata disastrosa per 150 km. Paradossalmente la
disfatta si rivela “positiva” per le sorti del conflitto:
- generale Diaz, più attento alle esigenze delle truppe, sostituisce Cadorna
- le parti politiche si accordano: governo di coalizione nazionale sostenuto anche dai socialisti
- opera sistematica di propaganda: giornale di trincea e Servizio P per sollevare morale truppe
I, sostenuta da contingenti F e GB e dall’arruolamento dei ragazzi del ’99 resiste sul nuovo fronte
del Piave ( giugno 1918), lancia una controffensiva che porta alla vittoria finale sull'Austria (Vittorio
Veneto, ottobre 1918).
Inizio 1918 situazione ancora di equilibrio, la pace con Russia (3 marzo) libera il fronte D che può
attaccare l’Intesa che arretra sula linea della Marna; F, GB e USA contrattaccano: Amiens, prima
vera sconfitta della Germania (8-11 agosto). Segue un governo di coalizione per trattative pace
con Intesa che però vuole capitolazione D. Anche gli alleati cadono: Bulgaria e Turchia si
arrendono.
Il 4 novembre l'Austria firma l'armistizio con l'Intesa; a Kiel i marinai si ammutinano e con operai
formano consigli rivoluzionari, moti e sollevazioni in tutta D, Kaiser fugge in O, proclamazione della
repubblica. 11 novembre 1918 (resa della Germania) cessarono tutte le ostilità sul fronte
occidentale.

La guerra delle donne La guerra ha un fronte interno e le donne non possono più limitarsi ad
essere custodi della famiglia; ora, hanno un nuovo ruolo patriottico: lavorare in fabbrica per
sostituire gli uomini. La donna non è più solo moglie, madre, figlia: è una lavoratrice salariata e
viene impiegata anche in settori che fino a quel momento le erano preclusi, come l’industria
pesante.
Se la donna può dedicarsi a mansioni tradizionalmente considerate maschili lo si deve anche al
progresso tecnologico, ai macchinari sempre più avanzati che rendono meno necessaria la forza
muscolare. Peraltro, non è soltanto la mancanza di manodopera maschile a favorire l’ingresso in
fabbrica delle donne. Lo stato di guerra, infatti, ha prodotto la sospensione di quelle garanzie
sindacali che tutelano in modo specifico le donne e riguardano, ad esempio, la durata dell’orario di
lavoro. Senza più quelle limitazioni, gli industriali trovano conveniente assumere operaie, che
percepiscono, tra l’altro, salari più bassi.
Peraltro, le nuove responsabilità, il tempo trascorso fuori dalle mura domestiche, il contatto con
l’ambiente della fabbrica, stimolano anche la loro crescita politica e sindacale. Le donne si
rivelano, così, assai meno docili di quanto ci si aspettasse, addirittura meno propense dei loro
compagni maschi ad accettare la disciplina da caserma che la guerra impone alle fabbriche. Sono
anche meno ricattabili dei maschi, perché non temono di essere mandate al fronte in caso di
ribellione. Così, molte manifestazioni operaie di quegli anni, volte a ottenere pane e sussidi, sono
guidate proprio dalle donne.
Il fenomeno del lavoro femminile negli anni della guerra assume proporzioni notevoli e i numeri lo
dimostrano. In Inghilterra, sono circa 800.000 le donne che entrano in fabbrica e nei servizi
pubblici. In Italia, tra il 1916 e il 1917 le donne impiegate in fabbrica passano da 80.000 a 140.000.
Siamo di fronte a una vera svolta nella storia dell’emancipazione femminile.

I trattati di pace di Parigi (1919)


-Gli stati presenti alla Conferenza di Parigi furono trentadue, ma solo tre contarono davvero:
Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
L’Italia, che faceva parte delle potenze vincitrici, si accorse presto di non avere lo stesso peso
degli altri sulle decisioni finali.
Gli Stati Uniti erano rappresentati dal presidente Wilson;
la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia, rispettivamente, dai primi ministri Clémenceau, Lloyd George
e Orlando.
Gli sconfitti non furono ammessi ai lavori.
-Più o meno un anno prima, l’8 gennaio 1918 (a guerra non ancora finita) il presidente americano
Wilson aveva illustrato, in un celebre discorso, i fondamenti della futura pace, della quale gli Stati
Uniti dovevano essere gli arbitri.
I 14 punti di Wilson, come vennero chiamati, enunciavano temi cari alla politica americana come
o la libertà di navigazione in tutti imari
o soppressione delle barriere economiche
o la limitazione e il controllo degli armamenti,
o il diritto di autodeterminazione dei popoli,
o la costituzione di un organismo sovranazionale capace di regolare le controversie tra gli
stati (Società delle Nazioni).
o Inoltre, indicavano alcuni degli aggiustamenti territoriali indispensabili per rimettere ordine
in Europa, come la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, l’indipendenza della
Polonia, respingimento rivendicazioni italiane su Fiume.
o Alla base di tutto c’era l’idea di una pace senza vincitori, vale a dire senza vendette nei
confronti dei perdenti per porre fine alla logica imperialistica
-Nell’ultimo anno di guerra, gli alleati si erano di fatto identificati con questi principi, ma al momento
di metterli in pratica alla conferenza di Parigi F e GB vogliono pace punitiva per D
I cinque trattati sottoscritti a Parigi portano tutti il nome di luoghi (castelli, residenze dei reali di
Francia) situati nella periferia parigina:
Ad introdurre i trattati è lo Statuto della Società delle Nazioni.

1° trattato di Versailles (28 giugno 1919); riguardava la Germania, a cui vengono attribuite la
responsabilità della guerra e l’onere della ricostruzione, e comprendeva durissime clausole
territoriali, militari ed economiche.
Tra le clausole territoriali c’erano:
o la restituzione dell’Alsazia e della Lorena alla Francia;
o l’evacuazione del Belgio;
o rinuncia all’intero impero coloniale
o la cessione alla neonata Polonia, tra gli altri territori, di una striscia che consentiva
l’accesso al Baltico spaccando la Germania (corridoio di Danzica, dal nome della città
tedesca proclamata “città libera”);

Tra le clausole militari:


o l’abolizione del servizio militare obbligatorio,
o l’istituzione di un esercito professionale non superiore a centomila uomini,
o la limitazione e il controllo degli armamenti,
o la cessione della flotta (all’Inghilterra),
o la rinuncia all’artiglieria pesante, all’aeronautica e ai sommergibili,
o la smilitarizzazione fino a 50 km. della riva destra del Reno.
Le clausole economiche erano le cosiddette riparazioni, ovvero i risarcimenti dei danni provocati
dal conflitto, che prevedevano
o la cessione di materiale (navi, treni, macchinari, prodotti agricoli e industriali)
o pagamenti quantificabili in una cifra enorme (132 miliardi di marchi d’oro) da estinguere in
trent’anni.
Si trattava di clausole molto pesanti, imposte dal “duro” Clemenceau con l’intento di punire e
umiliare la Germania, dichiarata responsabile della guerra.

2°trattato di Saint-Germain (10 settembre 1919), firmato con l’Austria.


Dalla dissoluzione dell’impero austro-ungarico nacquero
o la Repubblica austriaca
o la Repubblica cecoslovacca,
o il Regno serbo-croato-sloveno, più tardi di Jugoslavia, (comprendente Serbia, Montenegro
e i territori slavi già asburgici).
Il trattato stabilì anche
o il passaggio dall’Austria all’Italia di Trento e Trentino, Alto Adige (o Sud Tirolo), Venezia
Giulia (con Gorizia e Trieste), Istria.
Peraltro, la completa definizione dei confini orientali dell’Italia restò sospesa a causa dei
contrasti con la neonata Jugoslavia che, appoggiata dagli Stati Uniti, voleva Fiume e la
Dalmazia, rivendicate dagli italiani. Tra aprile e maggio del 1919 l’Italia aveva addirittura
abbandonato clamorosamente la conferenza in segno di protesta per il sostegno dato da
Wilson alle posizioni jugoslave. Anche dopo la firma dell’Italia, peraltro, la questione continuò a
essere molto spinosa e foriera di clamorosi sviluppi.

3° trattato di Neuilly (27 novembre 1919)


- territori di BL a R, GR e YU

4° trattato del Trianon (4 giugno 1920)


- cessione dei territori dell’Ungheria

5° trattato di Sèvres
- riordino dei possedimenti turchi; nascono nuovi stati: Siria, Palestina, Transgiordania e
Mesopotamia (futuro Iraq), non del tutto indipendenti, ma assegnati come mandati a F (Siria) e GB

Le eredità della guerra


In poco più di quattro anni, morirono circa nove milioni di persone, in maggioranza tra i venti e i
trent’anni. Quasi un’intera generazione se n’era andata: la cosiddetta generazione perduta, la cui
assenza provocherà, in Europa, una diminuzione della natalità e, negli anni ’30, un vuoto di
popolazione giovane.
Ai morti in guerra vanno aggiunte le vittime delle epidemie, che si diffusero più rapidamente fra
popolazioni indebolite dai disagi e dalla cattiva alimentazione. Fra queste spicca la cosiddetta
spagnola, un’epidemia influenzale che, tra il giugno del 1918 e la primavera del 1919, provocò
circa venti milioni di morti, sei dei quali in Europa.
Non bisogna poi dimenticare le centinaia di migliaia di mutilati (oltre centomila nella sola Italia), che
rappresentavano un fenomeno di grande rilevanza sul piano assistenziale, sanitario e sociale. O i
sette milioni di prigionieri di guerra (fra cui due milioni e mezzo di tedeschi, due milioni e
duecentomila russi, novecentomila austriaci): nessuna tra le grandi potenze aveva previsto
un’evenienza del genere, né i problemi che essa poneva. Centinaia di migliaia di prigionieri
morirono di stenti, malattie, infezioni.

Sul piano geopolitico, la guerra cambiò profondamente il volto dell’Europa


Non c’era più l’impero austro-ungarico. Austria e Ungheria divennero due stati separati; nuove
nazioni nacquero dalla disintegrazione dell’impero: la Cecoslovacchia, la Jugoslavia. Quest’ultima
poteva essere vista come un’estensione della Serbia, una “Grande Serbia”. Per parte sua la
Romania, che era tra i paesi vincitori, si ingrandì con la Transilvania, la Bessarabia, la Dobrogia a
spese di Ungheria, Bulgaria, Russia.
Non c’era più l’impero ottomano. Si chiudeva una vicenda iniziata novecento anni prima (XI
secolo), quando i Turchi intrapresero la loro espansione in Anatolia. Con Trattato di Sèvres persero
tutti i possedimenti asiatici e la Turchia si ridusse alla sola Anatolia.
Non c‘era più l’impero russo. La rivoluzione del ’17 aveva abbattuto lo zarismo e la pace,
fortemente voluta da Lenin, ebbe come prezzo l’accettazione di pesanti decurtazioni territoriali.
L’ex impero russo venne così fortemente ridimensionato sul versante occidentale a vantaggio di
una grande Polonia e di nuovi stati come Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania.
Non c‘era più l’impero tedesco. La Germania aveva perduto i suoi possedimenti coloniali a
vantaggio soprattutto di Inghilterra e Francia. Inoltre, la rivoluzione del 9 novembre 1918 aveva
portato alla caduta del kaiser Guglielmo II e alla sostituzione dell’impero con la repubblica (detta
poi di Weimar, dal luogo in cui si riunì, dall’inizio del 1919, l’assemblea costituente).
A questo proposito, c’è un altro possibile piano su cui valutare le conseguenze della guerra. Ad
essere crollati, infatti, erano imperi autocratici o autoritari, a capo dei quali c’erano antiche dinastie
regnanti come i Romanov, gli Asburgo, gli Hohenzollern; anche il sultano degli Ottomani venne
deposto (dalla rivoluzione di Kemal “Atatürk”) e il califfato abolito. A vincere la guerra era stata
dunque la democrazia, che si impose anche in Germania e in Austria.

Le conseguenze economiche
Furono anzitutto le distruzioni causate dalle operazioni militari (abbattimenti di case e ponti,
interruzioni di linee ferroviarie ecc.). Il paese maggiormente colpito fu la Francia, sul cui territorio si
erano svolte le più feroci battaglie (La Marna, Verdun).
I commerci faticavano a riprendersi; l’agricoltura dovette fare i conti con i campi devastati o
abbandonati. L’industria era in difficoltà: quella bellica, che si era ovviamente sviluppata in tempo
di guerra, doveva ora cambiare produzione (riconversione); altre industrie erano distrutte o ferme
per mancanza di materie prime. I prezzi salivano, erodendo salari e risparmi (inflazione). Cresceva
ovunque la disoccupazione.
Sul piano finanziario, gli stati erano indeboliti. Per quattro anni, l’economia di guerra aveva
assorbito ingenti quantità di risorse costringendo i governi a ricorrere massicciamente al prestito.
Scoppiata la pace, quelle risorse inghiottite dalla guerra diventarono debiti che pesavano sul
bilancio pubblico. I governi aumentano le tasse ed emettono nuova carta moneta aggravando
l’inflazione. Pesava anche il debito estero, come quello che i Paesi alleati avevano contratto con gli
Stati Uniti. Un ulteriore onere per gli stati era rappresentato dalle indennità o pensioni da versare
agli ex combattenti o alle vittime della guerra.
Per i paesi vinti, la Germania soprattutto, a tutti questi oneri si aggiungevano le riparazioni imposte
dai trattati.

Le conseguenze sociali
Anche la società dovette fare i conti con le conseguenze del conflitto. Decine di milioni di soldati
tornarono a casa umanamente segnati dall’esperienza in trincea, mal adattandosi al ritorno alla
normalità. Inoltre, per molti di loro la guerra era divenuta un “abito mentale” e la violenza il più
efficace strumento per la soluzione dei problemi: non stupisce quindi che provassero un’istintiva
ostilità nei confronti dei partiti, dei politici (imbelli per definizione), delle istituzioni parlamentari
(inconcludenti). La parte più decisa e organizzata degli ex combattenti si avviava a diventare, in
diversi paesi, una forza politica determinante.
La guerra e la crisi economica avevano aggravato le disparità sociali. C’erano i nuovi ricchi, che
avevano lucrato sulla guerra (produttori e mercanti di armi, commercianti, speculatori); e c’era la
gente impoverita dalla guerra e dalla crisi economica: operai, contadini, piccoli borghesi a reddito
fisso, piccoli risparmiatori. Per questo, gli anni del dopoguerra furono caratterizzati in tutta
Europa, anche se in diverso grado a seconda dei paesi, da agitazioni, scioperi, tentativi
rivoluzionari.

Il lutto e la memoria
La prima guerra mondiale fu anche la prima esperienza della morte di massa, un fenomeno
che caratterizzerà l’intero Novecento. Per elaborare il lutto di quegli eventi, le classi dirigenti
europee procedettero alla creazione di un grande apparato simbolico, avente lo scopo di nutrire il
sentimento nazionale e di trasmettere alle generazioni future il ricordo degli “eroi della patria”. E’ a
questi luoghi e a questi monumenti che si deve in buona misura la costruzione del mito della
Grande Guerra.
A narrare la guerra sono anzitutto, tra marmi e bronzi, le lapidi e, soprattutto, i monumenti ai
caduti:ne sorgono ovunque, nelle piazze, nei parchi di paesi e città e presentano spesso, oltre ai
nomi dei concittadini morti, iscrizioni solenni e spesso retoriche. Fra le varie tipologie di monumenti
ce n’è una di particolare interesse, perché rappresenta una straordinaria invenzione del
Dopoguerra: il Milite Ignoto (il monumento al soldato di cui non si conosce il nome o il luogo di
sepoltura).
In Italia, il più celebre di questi monumenti è a Roma, all’Altare della Patria, sotto la statua della
Dea Roma. Nel 1921, la bara che contiene la salma scelta fra quelle di undici sconosciuti caduti al
fronte, viene trasportata in treno dal Friuli alla Capitale su un vagone scoperto, ricevendo
l’omaggio delle folle nelle varie stazioni.
Ci sono poi i cimiteri di guerra, dove ogni anno si svolgono celebrazioni ufficiali. Il più importante
sacrario militare italiano è il complesso monumentale di Redipuglia (dallo sloveno "sredij polije" =
terra di mezzo), presso Gorizia, dove si trova l’imponente Scalinata che custodisce le salme di
100.000 soldati italiani, di cui soltanto 40.000 identificati.
Un’altra straordinaria “invenzione” della cultura patriottica del Dopoguerra sono i Parchi della
Rimembranza. Si tratta di veri e propri cimiteri senza tombe, luoghi silenziosi consacrati al ricordo
dei caduti. L’obiettivo di questi parchi è sottrarre all’oblio i nomi dei caduti in guerra. Così, ogni
soldato morto viene ad avere il suo albero, con il nome sul tronco. Uno dei più vasti, quello del
Colle della Maddalena sulla collina torinese, presenta oltre 6000 piante, scelte a suo tempo da
specialisti di botanica e giardinaggio, recanti i nomi di altrettanti caduti della città.

(Testo di Aldo Gianluigi Salassa)

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