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LA PRIMA GUE
MONDIALE
TRATTATI DI P
3.1 LA ROTTURA DEGLI EQUILIBRI
La fine dei giochi diplomatici
(900) L’Europa era divisa da rivalità economiche e spinte nazionalistiche in:
Triplice Intesa:
- Francia, in contrasto con la Germania dalla guerra franco-prussiana
- Inghilterra, il cui predominio navale era minacciato dalla marina militare tedesca
- Russia, i cui rapporti con Guglielmo II si erano deteriorati
Triplice Alleanza:
- La Germania di Guglielmo II
- Italia
- Austria

Le due crisi marocchine


Le rivalità peggiorano a causa della corsa alle colonie. La Francia si era accordata con
Italia e Inghilterra perché le lasciassero conquistare il Marocco, ma Guglielmo II decise
di difendere l’indipendenza del Marocco arrivando due volte quasi a scontrarsi con la
Francia (“crisi marocchine”). Alla fine ci fu un compromesso: la Francia ebbe il
protettorato sul Marocco. Alla Germania venne ceduta parte del Congo francese.

Le guerre balcaniche
Secondo il congresso di Berlino (1878), la Bosnia-Erzegovina era affidata
all’amministrazione di Vienna ma apparteneva ai turchi (impero ottomano). L’Austria
vìola l’accordo annettendo questa regione in un periodo in cui la Turchia era impegnata
con dei problemi interni causati dal movimento dei Giovani turchi. Questo fatto irrita la
Serbia che, appoggiata dalla Russia, vorrebbe riunire sotto di sé tutti gli stati slavi del
Sud o iugoslavi (causa sostenuta dal movimento “irridentista” in Serbia). Nel 1912
Serbia, Grecia, Montenegro e Bulgaria formano una coalizione e sottraggono la
Macedonia alla Turchia. Ne deriva la prima guerra balcanica, vinta dalla coalizione con
l’appoggio della Russia. I turchi firmano il trattato di Londra con il quale rinunciano a
tutti i possedimenti in Europa tranne Costantinopoli e gli Stretti. La pace dura poco: la
Bulgaria attacca Serbia e Grecia, scoppia la seconda guerra balcanica (1913), a cui si
uniscono Romania e Turchia. Alla fine dell’estate si firma la pace di Bucarest: alla Serbia
vanno il Kosovo e parte della Macedonia, il resto della Macedonia va alla Grecia, i turchi
recuperano la Tracia e nasce il regno indipendente di Albania.
La “polveriera balcanica”
Dopo le guerre balcaniche rimanevano molte questioni irrisolte:
- L’impero austriaco si sentiva minacciato dalla Serbia
- La Russia non era riuscita a conquistare gli Stretti turchi
- Gli stati balcanici erano ricchi di malumori per come erano stati trattati
- Italia e Austria erano in contrasto, entrambi volevano l’Albania e per alcune
terre italiane rimaste all’Austria (Trentino Alto Adige, Venezia Giulia, Fiume e
Dalmazia)

3.2 L’INIZIO DEL CONFLITTO E IL FALLIMENTO DELLA GUERRA-LAMPO


L’attentato di Sarajevo
Il 28 giugno 1914 a Sarajevo (Bosnia), l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo,
erede al trono d’Austria, e sua moglie Sofia vengono assassinati durante una visita
ufficiale da uno studente serbo, Gavrilo Princip, che aveva come obiettivo la nascita di
una “Grande Serbia”. Il 23 luglio l’Austria invia un ultimatum di 48 ore alla Serbia
contenente richieste molto dure e restrittive. La Serbia risponde nei termini ma rifiuta
alcune clausole. L’Austria dichiara quindi guerra alla Serbia il 28 luglio 1914.

Il sistema delle alleanze


Scatta il sistema di alleanze militari: la Russia entra in guerra in difesa della Serbia; la
Germania, alleata con l’Austria, dichiara guerra alla Russia e alla Francia. Scatta anche
un più complesso meccanismo di mobilitazione generale: non si coinvolgevano più solo
pochi soldati ma grandi masse di uomini che vennero tolti dal lavoro. All’epoca di
pensava che il conflitto si sarebbe risolto in tempi brevi.

L’invasione del Belgio e l’intervento dell’Inghilterra


La Germania voleva sconfiggere rapidamente la Francia per poter poi concentrarsi sul
fronte russo, visto che, a causa delle distanze, l’esercito russo sarebbe arrivato più tardi
al fronte. Per colpire i francesi alle spalle invasero il Belgio, violandone la neutralità.
Questo portò l’Inghilterra ad entrare in guerra a fianco della Francia.

Dalla guerra lampo alla guerra di posizione


I belgi opposero un’accanita resistenza per due settimane, dando tempo a francesi e
inglesi di organizzare una difesa e fermare i tedeschi giunti sul fiume Marna e spingerli
indietro sul fiume Aisne, dove quella che si pensava fosse una guerra di movimento
diventò una guerra di posizione. Sul fronte orientale i russi invasero la Prussia e i
tedeschi furono costretti a togliere uomini dal fronte occidentale per metterli al servizio
del generale Ludwig Hindenburg, che così sconfisse i russi nelle due grandi battaglie di
Tannenberg e dei laghi Masuri. Intanto però la Russia aveva costretto gli austriaci a
ritirarsi dalla Galiza. Iniziava anche su questo fronte una lunga guerra di trincea.
Gli scenari extraeuropei
Germania e Inghilterra danno avvio anche ad una guerra navale per impedire i
rifornimenti agli avversari. Questa guerra era combattuta da navi corsare che
attaccavano all’improvviso camuffate da mercantili neutrali. In breve tempo la guerra si
sposta anche ai territori coloniali fino a raggiungere dimensioni mondiali:
- Il 23 agosto il Giappone dichiara guerra alla Germania, perché era interessato ai
possedimenti tedeschi in Estremo Oriente. Il 7 novembre occupa il porto cinese di
Kiaochow (protettorato tedesco)
- La Triplice Intesa occupa le colonie tedesche dell’Africa sud-occidentale, il Togo, il
Camerun e l’Africa orientale tedesca.
- L’intesa dichiara guerra all’impero ottomano che aveva attaccato alcune città russe
nel Caucaso e si era alleato con la Germania.

3.3 1915: L’ITALIA DALLA NEUTRALITÀ ALLA GUERRA


La dichiarazione di neutralità
L’Italia il 2 agosto 1914 dichiara la neutralità. Gli avvenimenti l’avevano colta di
sorpreso visto che l’Austria si era consultata solo con la Germania prima di dichiarare
l’ultimatum.

Neutralisti e interventisti
In Italia si accesero discussioni tra neutralisti (cattolici e socialisti) e interventisti. Anche
secondo Giolitti la neutralità era la scelta migliore: l’Italia poteva arricchirsi vendendo i
beni necessari ai paesi in guerra.
Gli interventisti invece si potrebbero dividere in due gruppi:
- Gli “irredentisti”: ovvero i nazionalisti (tra cui Gabriele D’Annunzio) e coloro che
volevano riconquistare le regioni italiane in mano all’Austria (Trentino, Venezia-Giulia)
- i “democratici” che volevano entrare in guerra per aiutare Francia e Inghilterra.
Anche Benito Mussolini, dirigente del Psi era favorevole all’entrata in guerra.

Il patto di Londra con gli alleati dell’intesa


Il ministro degli esteri italiano Sidney Sonnino firmò un patto segreto con l’Intesa, il
patto di Londra (26 aprile 1915), in cui l’Italia garantiva il proprio intervento entro 30
giorni in cambio del Trentino Alto- Adige, Trieste, Gorizia, l’Istria (eccetto Fiume), la
Dalmazia e il Dodecaneso e di un equo compenso coloniale.Questo patto andava
approvato dal Parlamento e venne anche reso pubblico, con l’idea che gli interventisti
avrebbero contribuito ad accendere l’opinione pubblica per convincere i deputati a
votare.

L’Italia entra in guerra


Gli interventisti organizzarono molte manifestazioni come le “radiose giornate di
maggio”, dove D’Annunzio fece da oratore. Il Parlamento però era a maggioranza
neutralista, anche se sia Antonio Salandra che il re Vittorio Emanuele III erano
interventisti. Dopo le pressioni, tutto il Parlamento tranne i socialisti vota a favore dei
pieni poteri al governo Salandra in caso di guerra. Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara
guerra all’Austria.
3.4 1915-1916: LA GUERRA DI POSIZIONE
Il fronte occidentale
Quella che si pensava sarebbe stata una guerra-lampo era diventata una guerra di
posizione: il fronte occidentale andava dal Mar del Nord fino ai confini della Svizzera,
e dopo l’ingresso dell’Italia fino a Trentino e Venezia-Giulia.

Il sistema delle trincee


La trincea (simbolo della prima guerra mondiale) esprimeva la situazione di stallo che
c’era tra le nazioni. All’inizio le trincee erano nate per rifugiarsi, poi si svilupparono:
c’erano posti di comando, ospedali da campo, strade, ferrovie, filo spinato, feritoie,
tettoie, ecc. I soldati passavano lunghi periodi in trincea in un’attesa snervante, sotto il
tiro dei cecchini e senza poter uscire a recuperare i cadaveri rimasti tra le linee.

Il fronte orientale
L’Intesa aveva grandi difficoltà soprattutto sul fronte orientale. Gli austro-tedeschi
vennero appoggiati dalla Bulgaria e misero fuori combattimento la Serbia: così il fronte
orientale andava dal mar Baltico al mar Egeo.

Il fronte turco e il genocidio degli armeni


L’Intesa venne sconfitta dalla resistenza dei turchi sullo stretto dei Dardanelli, in una
manovra con cui Winston Churchill (ministro della marina britannica) cercava di
riaprire le vie per i rifornimenti russi. In questo contesto si verificò lo sterminio della
minoranza armena a causa delle persecuzioni di massa decise dal sultano dell’impero
ottomano. La situazione peggiorò quando salirono al potere i “Giovani Turchi”, che
volevano la costruzione di una “Grande Turchia”, che prevedeva la “turchizzazione
delle minoranze”. Gli armeni, cristiani e molto emancipati economicamente e
culturalmente, non erano assimilabili alla cultura turca e perciò vennero accusati di
collaborazione con i russi e uccisi o deportati, oppure fuggirono all’estero (“diaspora
armena”). Ancora oggi la Turchia non riconosce il genocidio armeno del 1915.

Il fronte italiano dell’Isonzo e del Carso


L’unico fatto positivo per l’Intesa nel 1915 fu l’entrata in guerra dell’Italia. Il
comandante Luigi Cadorna portò l’esercito oltre il confine austriaco e dovette
arrestarsi a Gorizia. Tra il giugno e il dicembre 1915 furono combattute le prime
quattro battaglie dell’Isonzo. Poi con il sopraggiungere dell’inverno anche sul fronte
italiano iniziò una guerra di posizione.
Il terzo anno di guerra
Nel 1916 non ci sono stati grandi cambiamenti sui fronti ma ingenti perdite e crescenti
difficoltà di approvvigionamento. Le battaglie di Verdun e Somme furono delle stragi
in cui furono utilizzati i primi lanciafiamme, bombe con gas asfissianti e carri armati,
che provocarono la morte di più di un milione e mezzo di soldati.
La guerra sul mare e la battaglia di Jutland
Oltre la guerra da terra, è stata molto importante anche quella sul mare. La Germania
iniziò una guerra sottomarina utilizzando i sommergibili. La Germania voleva rompere
il blocco navale delle flotte francesi e inglesi che aveva portato mancanza di materie
prime e generi alimentari. Nel 1916 la Germania sfida apertamente l’Intesa nella
battaglia dello Jutland nello stretto di Skagerrak. La Germania venne sconfitta e decise
di intensificare solo la guerra sottomarina, anche nell’Atlantico, irritando gli Stati Uniti
le cui navi commerciali venivano spesso affondate.

La “spedizione punitiva” austriaca contro l’Italia


Il 15 maggio gli austriaci sferrano un attacco in Trentino, detto Strafexpedition
(“spedizione punitiva”), per vendicare il fatto che l’Italia aveva tradito la Triplice
Alleanza. All’inizio gli austriaci stavano avendo successo ma poi intervennero i russi in
aiuto dell’Italia. Nei combattimenti vennero catturati diversi irredentisti tra cui: Cesare
Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa e Nazario Sauro.

Il ministro Boselli e l’offensiva sull’Isonzo


Il governo Salandra si dimise a causa dell’evidente debolezza e poca preparazione
dell’esercito italiano. Il nuovo governo del vecchio patriota Paolo Boselli, detto di
“concentrazione nazionale”, dichiarò guerra anche alla Germania il 28 agosto 1916,
pochi giorni dopo aver conquistato Gorizia.

Il fallimento delle proposte di pace


Il 21 novembre 1916 muore a Vienna l’imperatore Francesco Giuseppe e gli succede il
nipote Carlo I, convinto che la salvezza potesse venire solo dalla pace. Anche la
Germania cercava una via d’uscita dalla guerra e fece inviare dal papa Benedetto XV
delle proposte di accordo all’Intesa per far finire quella “inutile strage”. Ma in quel
momento in Inghilterra diventava primo ministro David Lloyd George, convinto
sostenitore della guerra a oltranza.

L’opposizione socialista alla guerra


Il movimento socialista stava attraversando una grande crisi. Tutti erano d’accordo sul
fatto che la guerra era deleteria per il proletariato ma:
- La maggioranza era a favore di una “pace senza vincitori né vinti” quindi “senza
annessioni e indennità”
- Una minoranza di estrema sinistra sosteneva la necessità di un “disfattismo
rivoluzionario”: sabotare la guerra infondendo sfiducia, in vista di una rivoluzione
comunista. Di questa idea erano gli “spartachisti” tedeschi, i membri della lega di
spartaco, fondata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, e anche i bolscevichi legati
a Lenin.
3.6 1917-1918: VERSO LA FINE DELLA GUERRA
Il ritiro della Russia
Nell’impero russo scoppia una nuova sommossa che porta all’abdicazione dello zar. La
rivoluzione, detta “d’ottobre” ha come conseguenza immediata il ritiro della Russia
dalla guerra. Il nuovo governo avvia le trattative di pace con l’Austria-Ungheria e con la
Germania: si arriva all’armistizio di Brest-Litovsk (1917) che si trasforma poi in pace nel
1918, anche se alla fine della guerra non se ne terrà conto perché i vincitori non
riconoscevano come legittimo il governo sovietico.

La disfatta di Caporetto
L’Intesa viene messa in grande difficoltà dal crollo del fronte russo, infatti le divisioni
militari austro-germaniche si spostano in massa sugli altri fronti. Questo mette in
difficoltà in particolare l’esercito italiano sull’alto Isonzo. Tra il 23 e il 24 ottobre 1917
austriaci e tedeschi infatti spezzano il fronte italiano a Caporetto. I soldati italiani
ripiegano con una ritirata scomposta e gli austriaci invadono l’Italia fino a Udine.

La difesa sul fronte del Piave


Boselli si dimette e si costituisce un governo di unità nazionale, presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando. Si inviano forza lavoro e risorse alle truppe italiane che si sono
stanziate sul Piave, guidate dal generale Armando Diaz. La difesa era affidata ai
veterani e alle giovani leve “i ragazzi del ‘99” (cioè i ragazzi nati nel 1899, allora
diciottenni) e insieme riescono a fermare i nemici e si preparano alla riscossa.
Sembrava che la guerra avesse contribuito allo sviluppo di una coscienza nazionale.
Anche i leader socialisti abbandono la linea antibellicista ed esortano alla difesa
nazionale.

L’intervento degli Stati Uniti


Nei primi mesi del 1917 scendono in campo gli Stati Uniti a fianco dell’Intesa. Il
presidente Woodrow Wilson aveva infatti ottenuto dal Congresso l’autorizzazione a
dichiarare guerra alla Germania in nome della “libertà” e del “diritto” dei popoli
all’autogoverno. Questo evidenzia ancora di più lo stacco tra il fronte democratico e
quello autoritario e militarista. L’arrivo di materie prime, viveri e uomini dagli Stati Uniti
determina un forte indebolimento dei paesi dell’Alleanza.

Le ultime offensive degli imperi centrali


Verso la fine del marzo 1918 i tedeschi sferrano un attacco verso gli anglo-francesi e
riescono a far arretrare l’Intesa fino alla Marna. Era presente lo stesso Guglielmo II,
infatti prese il nome di battaglia del Kaiser. Il comandante francese Ferdinand Foch
sferra una potente controffensiva (seconda battaglia della Marna) con l’appoggio di
aeroplani, carrarmati e militari americani. I tedeschi iniziano la ritirata che, dopo la
battaglia di Amiens (8-11 agosto, “giornate nere” dell’esercito tedesco), continuò
inesorabile fino alla resa. Anche gli austriaci fanno un ultimo disperato tentativo di
attacco sul Piave ma senza successo.
La battaglia di Vittorio Veneto e l’armistizio di Villa Giusti
A fine settembre l’impero ottomano e la Bulgaria, ormai sfiniti, fanno una richiesta di
pace agli austro-tedeschi. Il generale Diaz, vedendo un momento di crisi dell’Alleanza,
sferra un’offensiva il 24 ottobre per dividere le truppe nemiche avanzando verso
Vittorio Veneto. In pochi giorni sfonda il fronte austriaco e le truppe battono la ritirata.
Il 3 novembre 1918 le truppe italiane entrano a Trieste. A Villa Giusti, nei pressi di
Padova, l’Austria firma l’armistizio con l’Italia. Oltre alla fine della guerra per l’Austria
questa data segna anche la disgregazione politica dell’Austria-Ungheria.

La fine della guerra e gli imperi centrali


Il Kaiser abdica e si ripara in Olanda, il 9 novembre in Germania viene proclamata la
repubblica. Il governo socialdemocratico tedesco, guidato da Friedrich Ebert, firma
l’armistizio l’11 novembre a Compiègne. Il 12 novembre, dopo la rinuncia di Carlo I ai
poteri, in Austria si costituisce un governo repubblicano. Il 13 novembre l’Ungheria
diventa una repubblica indipendente.

3.7 I TRATTATI DI PACE E LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI


La conferenza di pace di Parigi
Il 18 gennaio 1919 le potenze vincitrici si riuniscono a Parigi. Alla conferenza di pace
partecipano i delegati di tutti i paesi vincitori ma chi aveva effettiva autorità erano i 4
grandi: l’americano Woodrow Wilson, il presidente del consiglio francese Georges
Clemenceau, il primo ministro inglese David Lloyd George e il presidente del consiglio
italiano Vittorio Emanuele Orlando. L’italia viene presto emarginata per via di dissidi
con Wilson sulla Dalmazia.

I “Quattordici punti” di Wilson e la Società delle Nazioni


Secondo il nuovo orientamento democratico Wilson fissa in Quattordici punti i principi
fondamentali a cui doveva ispirarsi la pace: tra essi quello di autodeterminazione dei
popoli (il diritto di uno stato di non essere sottoposto alla sovranità di un altro contro la
sua volontà) e quello di nazionalità (ogni entità caratterizzata da lingua, religione e
costumi dovrebbe potersi costituire in uno stato indipendente). Questi principi non
furono del tutto rispettati. Il 28 aprile 1919 viene creata la Società delle Nazioni, con
sede a Ginevra, che avrebbe dovuto regolare le controversie tra stati. Questa
organizzazione non riuscì a funzionare efficacemente diventò presto uno strumento in
mano a Francia e Inghilterra poiché per adottare una decisione serviva l’unanimità e
poiché gli Stati Uniti non vi aderirono (perché il Congresso americano tornò verso la
sua politica isolazionista e non firmò i trattati di pace di Wilson).
Il trattato di Versailles e l’umiliazione della Germania
Dalla conferenza di Parigi scaturirono cinque trattati. Il più importante è il trattato di
Versailles, che imponeva clausole punitive e umilianti all’impero tedesco:
- ingenti perdite territoriali tra cui Alsazia e Lorena che tornavano alla Francia, le
regioni orientali tedesche e il “corridoio di Danzica” (che separava Germania e
Prussia) che andavano alla neonata repubblica della Polonia;
- pesanti condizioni militari: riduzione dell’esercito e della flotta;
- sanzioni economiche ai vincitori e al Belgio;
- cessioni minerarie, di materiale navale, ferroviario e industriale per 10 anni.

Le conseguenze della pace punitiva


I vincitori fecero quattro errori che invocarono lo spirito di rivincita tedesco:
- non discutere ma imporre i trattati di pace;
- richiedere di pagare riparazioni così alte da impedire la ripresa economica dei
paesi sconfitti;
- sistemazioni territoriali non sempre rispettose delle varie nazionalità;
- dare eccesivo peso agli interessi delle nazioni vincitrici aumentando le differenze
tra nazioni ricche e povere.

Le conquiste territoriali dell’Italia


Il 10 settembre 1919 viene firmato il trattato di Saint-Germain, in base al quale
l’Austria era costretta a cedere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e l’alto bacino
dell’Isonzo fino allo spartiacque alpino. Siccome l’Italia non aveva ottenuto la Dalmazia
e Fiume, come da accordi di Londra, alcuni cominciarono a parlare di “vittoria
mutilata”.

La fine degli imperi multinazionali e la formazione di nuovi stati


Con la guerra erano finiti 4 grandi imperi: tedesco, austro-ungarico, russo e ottomano.
Con il trattato di Saint-Germain l’impero austro-ungarico fu smembrato e al suo posto
sorsero 4 stati indipendenti: le repubbliche di Austria, Ungheria e Cecoslovacchia e il
regno di Iugoslavia. Inoltre fu riconosciuta l’indipendenza dell’Albania. Sul Mar Baltico
nascevano i stati indipendenti di Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania. Con il trattato
di Neuilly veniva riconosciuta l’indipendenza della Bulgaria (paese sconfitto) ma privata
di Tracia (data alla Grecia), Macedonia (alla Iugoslavia) e Dobrugia (alla Romania).

Dall’impero ottomano alla Turchia di Atatürk


Il trattato di Sèvres del 10 agosto 1920 riduce l’impero ottomano a un modesto Stato
entro i limiti della penisola anatolica e lo priva di tutti i territori arabi, dell’isola di
Cipro, dello stretto del Bosforo e di quello dei Dardanelli. Prevede inoltre il pagamento
di pesanti riparazioni di guerra e l’istituzione di “capitolazioni” (servitù a vantaggio
delle potenze vincitrici nei territori sottratti ai turchi). Tutte queste condizioni
portarono ad una rivolta nazionale capeggiata dal generale Mustafà Kemal, che riesce
a respingere le truppe dell’Intesa, soprattutto quelle greche. Nel novembre 1922 viene
proclamata la repubblica turca e viene eletto presidente lo stesso Kemal, che rimase in
carica fino alla morte. Egli dispose dei peni poteri per avviare un piano di riforme e
modernizzazione seguendo i principi derivati dal movimento dei “Giovani turchi” di:
nazionalismo, laicismo (l’Islam non era più religione di stato), repubblicanesimo e
statalismo. L’istruzione divenne pubblica e fu adottato l’alfabeto latino. Il progetto di
Kemal di portare la Turchia al livello delle potenze occidentali gli valse il titolo di
Atatürk (“padre dei turchi”). Il diritto di voto venne esteso alle donne e furono
promossi l’abbandono dell’uso del velo e l’adozione di abiti di foggia europea.
L’autoritarismo di Kemal precedette però un’esasperata turchizzazione a discapito
delle minoranze etniche, soprattutto nei confronti dei curdi (una popolazione che
ancora oggi rivendica la costituzione di un Kurdistan indipendente che è invece una
ragione politicamente divisa tra Turchia, Iran, Siria e Armenia).

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