Nel primo decennio del XX secolo l'Europa sembrava divisa da rivalità economiche e spinte nazionalistiche. Le relazioni internazionali erano influenzate in modo negativo dal dinamismo e dall'aggressività della Germania di Guglielmo II. La Francia, sin dalla guerra franco- prussiana era animata da un forte spirito di rivalità nei confronti della Germania. L'Inghilterra a sua volta sentiva minacciato il suo predominio navale dalla potente marina militare tedesca. La Russia infine si era avvicinata sia alla Francia e sia all’Inghilterra formando la triplice intesa nel 1907. A quel punto l'Europa si trovava praticamente divisa in due blocchi: da una parte vi era la triplice intesa e dall'altra la triplice alleanza formata da Germania, Austria e Italia. La rivalità tra le potenze si inasprì tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del 900 dalla corsa alle colonie. La Germania si era inserita nella competizione coloniale interferendo con gli interessi strategici e commerciali britannici e francesi. Era il caso ad esempio del Marocco che dalla seconda metà dell'Ottocento subiva la pressione della Francia. Dopo aver ottenuto il via libera dall'Italia e dall'Inghilterra il governo francese cercò di impadronirsi del paese. L'imperatore tedesco Guglielmo II si eresse allora difensore dell'indipendenza del Marocco, si oppose alle pretese francesi e portò per ben due volte la Germania a un passo dallo scontro armato, in occasione delle cosiddette crisi marocchine. Più o meno negli stessi anni un'altra grande crisi riempiva il continente europeo. Il grande impero ottomano era scosso da gravi problemi interni causati dal movimento nazionalista dei giovani turchi. L'instabilità ottomana diede nuovo slancio all'espansionismo austriaco che mirava a conquistare territori nella penisola balcanica. Nel 1908 l'Austria annesse la Bosnia Erzegovina violando le deliberazioni del Congresso di Berlino. L'iniziativa suscitò in particolare la reazione della Serbia la quale aspirava a riunire in un solo stato nazionale gli iugoslavi. Nel 1912 la situazione della penisola balcanica iniziò a precipitare. La guerra che ne derivò e che prese il nome di prima guerra balcanica durò solo pochi mesi e terminò con il pieno successo della coalizione favorita dall'appoggio della Russia. Si arriva così al trattato di Londra del maggio 1913. La pace però durò solo poche settimane a causa degli accesi contrasti emersi tra i vincitori nel corso della spartizione dei territori. Con l'attacco della Bulgaria a Serbia e Grecia scoppiò la seconda guerra balcanica. Alla fine dell'estate si arrivò alla pace di Bucarest. Nasceva anche un Regno indipendente in Albania. Il bilancio delle due guerre balcaniche risultava molto negativo non solo per l'impero austriaco ma anche per la Russia. Molto delusi erano anche gli Stati balcanici e non poteva gioire nemmeno l'Italia, sempre più in contrasto con l'Austria per le pretese sull'Albania. La regione balcanica costituiva dunque per l'Europa una vera polveriera sulla quale convergevano gli interessi slavi, austriaci e russi e nonché quelli italiani. 3.2 L'inizio del conflitto e il fallimento della guerra lampo In un quadro internazionale percorso da queste tensioni sarebbe bastato un piccolo incidente per far esplodere un conflitto sanguinoso. E la scintilla si accese il 28 giugno 1914. Quel giorno, durante una visita ufficiale, vennero uccisi a Sarajevo l'erede al trono di Austria Ungheria, l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e sua moglie Sofia. Il colpevole di questo attentato fu un giovane studente serbo, Gavrilov Princip. L'Austria colse subito l'occasione per dare una lezione alla Serbia e il 23 luglio inviò a Belgrado un ultimatum di 48 ore contenente delle richieste molto pesanti. Il governo di Belgrado si affrettò a rispondere ma respinse molte richieste. L'Austria non si ritenne soddisfatta e perciò il 28 luglio dichiarò guerra alla Serbia. L'iniziativa austriaca sconvolse tutta l'Europa che dai tempi di Napoleone non aveva più vissuto una cosa del genere. Si mise subito in moto il meccanismo delle alleanze militari e nel giro di pochi giorni il conflitto diventò mondiale: La Russia scese in campo in difesa della Serbia; la Germania, alleata dell'Austria, dichiarò guerra prima alla Russia e quindi anche alla Francia. Contemporaneamente i paesi coinvolti nel conflitto avviarono una mobilitazione generale e per la prima volta la guerra non coinvolse un numero limitato di soldati ma bensì masse enormi di uomini. Tuttavia si pensava che il conflitto potesse risolversi in tempi brevi invece questa guerra si rivelò molto più impegnativa. Il piano dello Stato maggiore tedesco mirava a mettere rapidamente fuori combattimento l'esercito francese per contrastare sul fronte orientale la mobilitazione della Russia. Per ottenere questa vittoria sul fronte occidentale però bisognava prendere alle spalle l'esercito francese schierato sulla frontiera e difeso dall'imponente sistema di fortificazioni che in seguito sarebbe stato denominato linea Maginot. A tal fine il generale Helmuth il 4 agosto 1914 diede il via all'invasione del Belgio violandone la neutralità. Questo atto costituì un gravissimo errore e indusse anche l'Inghilterra a scendere in campo con la Francia. Contro ogni previsione, i belgi opposero una forte resistenza e riuscirono a ostacolare l'avanzata tedesca per quasi due settimane. Ciò permise all'esercito francese di organizzare la difesa, fermare i tedeschi giunti al fiume Marna e respingerli verso il fiume Aisne. A partire da questo momento quella che era stata una guerra di movimento si trasformò in una logorante guerra di posizione che sarebbe durata per anni. Per quanto riguarda il fronte orientale ad agosto i russi avevano invaso la Prussia e per arginarla il comando tedesco si era visto costretto a prelevare molti reparti dal fronte occidentale. Quasi contemporaneamente la pressione russa costrinse gli austriaci a ritirarsi dalla Galizia. A questo punto la guerra si stabilizzò anche sul fronte orientale e ogni slancio aggressivo si esaurì in una lunga guerra di trincea. A partire dall'autunno del 1914 il conflitto si spostò anche sul mare. Questa guerra non fu combattuta da corazzate o incrociatori ma da navi corsare. Nel mentre, il 23 agosto 1914 anche il Giappone aveva dichiarato guerra alla Germania. La guerra a quel punto è stata raggiunta anche nei territori coloniali. In breve anche l'Africa fu coinvolta. L'intesa dichiarò guerra anche all'impero ottomano. Nel giro di pochi mesi dunque la guerra assunse dimensioni davvero mondiali. 3.3 1915: l'Italia dalla neutralità alla guerra Il governo italiano era stato colto di sorpresa da questi avvenimenti e il 2 agosto 1914 perciò l'Italia aveva dichiarato di voler restare neutrale. Nei 10 mesi che trascorsero dall'agosto 1914 al maggio 1915 in Italia si susseguirono accese discussioni fra neutralisti e interventisti. Le posizioni neutraliste erano sostenute sia dai cattolici e sia dai socialisti. Per questi ultimi, il proletariato non doveva diventare carne da macello in uno scontro combattuto per interessi nazionalistici e imperialistici. Era inoltre diffusa l'idea condivisa anche da Giolitti che l'Italia rimanendo neutrale avrebbe potuto trarre molti più vantaggi territoriali ed economici. Lo schieramento interventista era costituito da diversi gruppi: oltre ai nazionalisti, tra cui spiccava D'Annunzio, vi era chi auspicava la conquista delle regioni italiane ancora in mani austriache. Vi era poi un interventismo democratico, pronto a scendere in campo a fianco di Francia e Inghilterra. A favore dell'intervento si schierò anche il dirigente socialista Benito Mussolini secondo il quale il conflitto avrebbe sconvolto le relazioni internazionali e gli equilibri interni dei paesi, favorendo l'avvento di una rivoluzione e di una società nuova. Intanto anche le diplomazie dell'intesa si muovevano per attirare l'Italia dalla loro parte. Alla fine il governo, per mezzo del ministro degli Esteri Sidney Sonnino, si decise a firmare con le potenze dell'intesa il patto di Londra il 26 Aprile 1915, in base al quale l'Italia garantiva il proprio intervento entro 30 giorni. Il patto era segreto e tale rimase fino al 1917. Gli interventisti mobilitarono le piazze organizzando molte manifestazioni durante quelle che furono poi chiamate le radiose giornate di maggio e che ebbero come oratore Gabriele D'Annunzio. L'interventismo sembrava tuttavia destinato all'insuccesso a causa della maggioranza ancora neutralista e legata alle posizioni di Giolitti. Il primo ministro Salandra era invece favorevole all'intervento. Il 20 maggio la situazione si capovolse e il Parlamento votò quasi all'unanimità di conferimento dei pieni poteri al governo Salandra in caso di guerra con la sola opposizione dei deputati socialisti. Filippo Turati pronunciò una ferma protesta per il metodo antiparlamentare e antidemocratico seguito dal sovrano e dal governo per portare il paese alla guerra, ma non ebbe alcun effetto: prima inviò un ultimatum e poi il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò guerra all'Austria. 3.4 1915 – 1916: la guerra di posizione Al termine del primo anno del conflitto il progetto tedesco di una guerra veloce era fallito. Dopo la battaglia della Marna, il fronte occidentale si stabilizzò lungo una linea che attraversava l'Europa dal Mare del Nord fino ai confini della Svizzera e che dopo l'ingresso in guerra dell'Italia si estese. Il conflitto divenne quindi una guerra di posizione combattuta nel fango delle trincee. La trincea esprimeva la situazione che si era creata e nella quale nessuno dei paesi sembrava in grado di risolvere a proprio favore il conflitto. I soldati erano ammassati nelle trincee che per quattro anni solcarono l'Europa occidentale per centinaia e centinaia di chilometri, diventandone il triste simbolo della guerra. All'inizio nate come rifugio provvisorio le trincee erano fossati che con il tempo si fecero sempre più ampi sofisticati, attrezzati e più profondi. Qui si trascorrevano lunghi periodi di snervante immobilità, in spazi ristretti, sotto il tiro dell'artiglieria o la minaccia dei cecchini che rendevano quasi impossibile anche il recupero dei cadaveri rimasti tra le linee. Una volta stabilizzatosi il fronte occidentale, le maggiori difficoltà per l'Intesa arrivarono nel versante orientale. L'intesa subì un altro insuccesso nel corso della spedizione navale dei Dardanelli. Ideata dal ministro della marina britannica Winston Churchill per forzare il blocco ottomano sugli stretti e riaprire le vie di rifornimento alleate alla Russia, l'impresa però dovrà essere abbandonata a causa nella resistenza dei turchi. In questo contesto si verificò uno degli episodi più oscuri del conflitto cioè lo sterminio della minoranza armena. Gli armeni sono una popolazione dell'Asia occidentale con una specifica identità etnica, linguistica, culturale e religiosa. Nel 1878, la Russia con il pretesto di difendere le rivendicazioni indipendentisti armene, penetrò in territorio turco e fu sconfitta; il sultano così accusò gli armeni di tradimento e ne ordinò la persecuzione di massa. La situazione si aggravò nei primi anni del 900 con l'avvento del potere dei giovani turchi dove il nuovo governo ambiva alla costruzione di una grande Turchia e questo progetto prevedeva inoltre una turchizzazione delle minoranze come quella armena. L'unico elemento positivo per l'Intesa nel corso del secondo anno di guerra fu l'entrata in guerra dell'Italia. L'esercito italiano comandato da Luigi Dorna entrò in azione proprio mentre era in atto la rottura del fronte russo. Le truppe italiane avanzarono oltre il confine austriaco ma dovettero arrestarsi presso Gorizia a causa della resistenza austriaca. Tra il giugno e il dicembre 1915 furono combattute le prime quattro battaglie dell'Isonzo, risoltesi con moltissime morti. Il 1916 fu un anno molto duro per tutti i soldati: sui fronti non si ebbero cambiamenti importanti, ma le perdite furono enormi e sorsero crescenti difficoltà di approvvigionamento. Le battaglie di Verdun e della Somme si risolsero in terribili carneficine. Benché si combattesse soprattutto sulla terraferma molto importante fu anche la guerra sul mare. Vista la potenza della flotta inglese, la Germania evitò lo scontro di superficie e fece largo ricorso ai sommergibili. In questo modo il comando militare tedesco pensava di riuscire a rompere il blocco navale imposto dalle flotte di Inghilterra e Francia. La guerra sottomarina che è scatenata dalla Germania mise a durissima prova l'Intesa. Il 31 maggio 1916 la Germania cercò di dare una svolta alla guerra marittima sfidando le forze dell'Intesa nella battaglia dello Jutland, svoltosi nello stretto dello Skagerrak. La flotta inglese subì delle perdite grandissime però alla fine le navi tedesche dovettero abbandonare il mare e ritirarsi. Da quel momento in poi i tedeschi rinunciarono a far uscire la flotta intensificando invece la guerra sottomarina e questa strategia però finì con l'esasperare ulteriormente gli Stati Uniti. Nel maggio 1916 si riprese a combattere anche sul fronte italiano. Il 15 maggio infatti gli austriaci arrivarono in Trentino. L'intenzione dell'Austria era quella di vendicare il tradimento dell'Italia, che aveva abbandonato la triplice Alleanza per l'Intesa. Nel corso dei combattimenti sul fronte italiano caddero prigionieri dell'Austria, Cesare Battisti e Fabio Filzi, entrambi irredentisti di cittadinanza austriaca che vennero giustiziati come traditori nel castello del Buonconsiglio di Trento; la stessa sorte toccò ad altri irredentisti di cittadinanza austriaca, come il Trentino Damiano Chiesa e l'istriano Nazario Sauro. Di fronte al grave pericolo corso nel Trentino il governo Salandra si dimise. Il nuovo governo era presieduto da un vecchio patriota Paolo Boselli il quale il 28 agosto 1916 dichiarò guerra alla Germania. Pochi giorni prima l'esercito italiano aveva iniziato una poderosa offensiva sull'Isonzo e il 9 agosto aveva conquistato Gorizia. Nonostante il successo conseguito dall'Intesa sul fronte italiano le sorti della guerra rimanevano comunque incerte. Il 21 novembre 1916 morì a Vienna il vecchio imperatore Francesco Giuseppe e gli succedette il nipote Carlo I il quale era convinto che la salvezza della monarchia potesse trovarsi solamente nella pace. Anche la Germania non era contraria a cercare una via d'uscita da questo conflitto e perciò prese l'iniziativa di fare arrivare ai paesi dell'Intesa delle proposte di accordo attraverso il pontefice Benedetto XV, successore di Papa Pio X che a guerra appena iniziata aveva più volte tentato di porre fine alla prima guerra di massa, che egli definiva l'inutile strage. Un simile passo avvenne in un momento sfavorevole, quando in Inghilterra diventava primo ministro David Lloyd George convinto sostenitore della guerra. Il movimento socialista internazionale stava attraversando una crisi profonda, dal momento che i maggiori partiti socialisti nazionali, nei rispettivi paesi avevano accettato al conflitto. Tuttavia il dibattito sulla guerra rimaneva ancora aperto. La maggioranza indicò una possibile soluzione in una pace dove non vi erano né vinti e né vincitori, si delineò inoltre una minoranza di estrema sinistra che proclamava la necessità di un disfattismo rivoluzionario: si trattava di sabotare la guerra anche a costo della sconfitta del proprio paese. Su questo versante si collocavano i cosiddetti spartachisti tedeschi, cioè i membri della Lega di Spartaco fondata nel 1916 da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg nonché i bolscevichi che da lì a poco avrebbero dato origine alla rivoluzione in Russia. 3.5 Il fronte interno e l'economia di guerra La trasformazione del conflitto in una lunga guerra impose grandi trasformazioni anche all'interno dell'organizzazione economica e sociale dei paesi. Da un lato, tutta l'economia dovette essere rivolta alle necessità militari; dall'altro furono invece più curati gli aspetti propagandistici e ideologici del conflitto, sia per giustificarlo all'opinione pubblica, sia per tenere alto lo spirito della nazione: questo era il cosiddetto fronte interno. In questa occasione per la prima volta l'Europa si misurava con una Guerra totale dove tutti i contendenti erano disposti a tutto pur di ottenere la vittoria. I governi si trovarono ben presto alle prese con carenza di armi e altri materiali. Inoltre in ogni nazione vi erano difficoltà nel provvedere i beni di prima necessità a causa dell'interruzione degli scambi commerciali, del blocco navale e dell'abbandono dei campi da parte dei contadini che sono stati chiamati a combattere. Fu quindi necessario sia coordinare tutte le attività industriali, sia pianificare la politica agricola. Allora in tutti i paesi furono istituiti appositi organismi di Stato per dirigere l'economia di guerra. Infine per finanziare le spese crescenti gli Stati istituirono i prestiti di guerra, cioè l'inserimento di buoni del Tesoro da far sottoscrivere ai propri cittadini per finanziare il conflitto. Questo stato di cose determinò un accentramento di poteri nelle mani dello Stato. I partiti e le minoranze che si opponevano alla guerra furono relegati ai margini del dibattito politico, mentre le forze e gli ambienti favorevoli al conflitto si coalizzarono. Fra questi ultimi vi erano i grandi gruppi industriali che trassero dei vantaggi da questi assetti. Affinché la produzione industriale funzionasse era fondamentale affrontare il problema della scarsità di manodopera. Molti operai specializzati furono chiamati dal fronte ma ciò non bastò e si dovette ricorrere a un massiccio impiego di forza lavoro femminile. Le donne si trovarono a svolgere mansioni fino ad allora impensabili. Anche sul piano dei diritti sindacali il fenomeno ebbe le sue ripercussioni: in Gran Bretagna nel timore che una volta finita la guerra la manodopera femminile avrebbe prevalso a causa dei salari molto più bassi, i sindacati ottennero la parità di retribuzione tra uomini e donne. Alla fine della guerra i tassi di occupazione femminile tornarono ad essere quelli precedenti al 1914. La guerra era stata accolta ovunque con grandi entusiasmi, ma il conflitto si rivelò ben presto un'esperienza terribile. Mantenere alto la partecipazione dei civili divenne sempre più complicato e richiese un crescente controllo sull'informazione e una propaganda sempre più forte. La guerra si configurò sempre più come uno scontro di civiltà: le potenze dell'intesa si presentavano come i difensori del regime parlamentare liberaldemocratico contro l'autoritarismo e il militarismo degli imperi centrali. Allo stesso tempo furono creati degli uffici di censura per soffocare ogni tipo di protesta o dissenso. La tenuta dell'organizzazione bellica fu messa a dura prova durante il 1917. La lunga guerra stava ormai logorando i soldati di tutti i paesi mentre la propaganda pacifista si diffondeva tra il popolo e le truppe. Queste ultime si abbandonavano sempre più spesso a manifestazioni di insofferenza e di insubordinazione e proprio per questo motivo si moltiplicavano i casi di diserzione e quelli di autolesionismo ma anche di ammutinamento contro una disciplina che aveva assunto dei caratteri brutali. Ad accrescere l'insofferenza si aggiungeva la constatazione degli enormi profitti ricavati da industriali e speculatori di ogni tipo. Il senso di stanchezza che si era ampiamente diffuso tra il popolo assunse in alcuni casi forme di protesta. L'Italia, nell'estate del 1917, fu scossa da una grande rivolta svoltasi a Torino, una manifestazione per reclamare la distribuzione del pane sfociò in una sommossa. Alla richiesta del pane si affiancò però quella della pace ma furono proprio i soldati a reprimere questa insurrezione con una cinquantina di morti tra i rivoltosi e un'altra decina tra i militari e temporaneamente placate per le ragioni della guerra queste tensioni politiche sarebbero esplose nuovamente dopo la fine del conflitto sia in Italia che in tutto il resto d'Europa. 3.6 1917-1918: verso la fine del conflitto Il prolungamento della guerra era motivo di tensioni molto gravi all'interno dell'impero russo. Nel Febbraio 1917 scoppiò una nuova sommossa che portò in poco tempo all'abdicazione dello zar e in seguito a l'instaurazione di un governo rivoluzionario comunista guidato da Lenin. La rivoluzione, detta d’ottobre, ebbe come conseguenza il ritiro della Russia dal conflitto. Il nuovo governo infatti procedette subito a esporre delle trattative di pace con la Germania e l'impero austro-ungarico: nel dicembre 1917 si arrivò l'armistizio di Brest-Litovsk poi trasformato in pace nel Marzo 1918. Il crollo del fronte russo costituì un duro colpo per gli Stati dell'Intesa, dal punto di vista militare si trovarono infatti a dover affrontare oltre 40 divisioni austro-germaniche, ma il peso maggiore della nuova costituzione dovette essere sopportato dall'esercito italiano, attestato sull'alto Isonzo. E proprio qui, tra il 23 e il 24 ottobre 1917, gli austriaci aiutati dai tedeschi, scatenarono un'improvvisa e potente controffensiva spezzando il fronte italiano a Caporetto, costringendo più di 350.000 soldati italiani e altrettanti civili a scappare. L'Italia reagì con fermezza alla disfatta. Dopo le dimissioni di Boselli, si costituì un governo di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, egli procedette alla mobilitazione di tutta la forza lavoro disponibile per riempire tutte le perdite subite e alimentare la resistenza delle truppe. Le guidava ora il generale Armando Diaz che aveva sostituito Cadorna al comando. La difesa del nuovo fronte fu affidata ai veterani e alle giovanissime reclute delle ultime leve, i ragazzi del 99 cioè coloro nati nel 1899 i quali riuscirono a contrastare ogni tentativo di ulteriore sfondamento nemico. Intanto nei primi mesi del 1917, si era registrata una novità molto importante per le sorti del conflitto: in aprile gli Stati Uniti erano scesi in campo a fianco dell'Intesa dopo che il presidente Wilson avevo ottenuto dal Congresso l'autorizzazione a dichiarare guerra alla Germania. Nel giro di pochi mesi gli Stati Uniti fecero arrivare in Europa grandi quantità di viveri, di mezzi e di uomini contribuendo in maniera decisiva a colmare i vuoti che si erano creati durante questo tempo. D'altra parte questo intervento determinò un forte indebitamento dei paesi dell'intesa verso gli Stati Uniti. Nella primavera del 1918 Germania e Austria cercarono di giocare il tutto per tutto benché la loro situazione interna stesse vacillando. I tedeschi sferrarono il loro attacco agli Anglo- francesi verso la fine del mese di marzo alla presenza dello stesso Guglielmo II per far arretrare di nuovo il fronte nemico. Ma a questo punto come nel 1914 essi non poterono più avanzare, soprattutto per merito del comandante francese Ferdinand Foch il quale a luglio lanciò una potente controffensiva che fu definita seconda battaglia della Marna. Le truppe francesi ebbero l'appoggio massiccio di aeroplani, di carri armati e dei primi militari giunti d'oltreoceano. Così iniziò per i tedeschi quel movimento di ritirata che dopo la battaglia di Amiens sarebbe continuato lento fino alla resa definitiva. Nel mese di giugno anche l'Austria giocava l'ultima carta, attaccando con decisione sul Piave ma senza successo. L'esercito austriaco si manteneva sempre saldo e compatto ma in realtà al suo interno l’impero asburgico viveva una profonda crisi. Alla fine di settembre a peggiorare la situazione intervennero le richieste di pace dell'impero ottomano e della Bulgaria ormai sfinite. Fu allora che il generale Diaz decise di dare corso a una grande offensiva con un’avanzata verso Vittorio Veneto. L'offensiva scattò nella notte del 24 ottobre e nel giro di pochi giorni determinò lo sfondamento del fronte austriaco e la precipitosa ritirata del nemico. Il 3 novembre 1918 l'Austria firmò l'armistizio con l'Italia. Il giorno successivo il generale Diaz annunciò la vittoria alla nazione. L'armistizio non segnò solo la fine della guerra sul fronte italiano ma anche la disgregazione politica dell'impero austro-ungarico. Al culmine di una settimana di agitazioni rivoluzionarie che avevano indotto il Kaiser ad abdicare e a ripararsi in Olanda, il 9 novembre in Germania veniva proclamata la Repubblica. Al nuovo governo provvisorio, vi era il socialdemocratico Friedrich Ebert, toccò il delicato compito di portare a termine le trattative di pace già in corso nei paesi dell'Intesa: l'armistizio fu firmato l'11 novembre in un vagone ferroviario. Lo stesso giorno in cui finiva la guerra, in Austria l'imperatore Carlo I rinunciava al potere e il 12 novembre si costituiva un governo repubblicano; il 13 anche l'Ungheria diventa una Repubblica indipendente.