All'inizio del Novecento l’Europa vive una situazione di tensione tra le grandi potenze:
La Francia manteneva intatto il proprio revanscismo (rivincita) nei confronti della
Germania, la quale nel 1870 aveva conquistato i territori della Lorena e dell’Alsazia. Austria-Ungheria e Russia si fronteggiavano nell’area balcanica, dove entrambe potevano trarre dei vantaggi dal punto di vista sia territoriale che economico: la Russia mirava alla conquista dello Stretto dei Dardanelli per uno sbocco sul Mar Mediterraneo; l’Austria-Ungheria, che nel Congresso di Berlino del 1878 aveva già ottenuto l’amministrazione temporanea della Bosnia-Erzegovina, aspirava ad un ulteriore rafforzamento della sua presenza sulla Penisola Balcanica; questo poneva l’Austria anche in contrasto con l’Italia, che rivendicava le cosiddette terre irredente dell’Alto Adriatico (Venezia, Giulia e Dalmazia); La Weltpolitik tedesca, che contendeva al Regno Unito il primato come potenza globale economica e militare, inaspriva le relazioni tra Berlino e Londra. La flotta tedesca imponente minacciò il navalismo inglese; Tutte le potenze europee erano in competizione per l’acquisizione di territori africani ed asiatici. I reciproci rancori erano sfociati nella costituzione delle due alleanze: la Triplice Alleanza (Germana, Austria-Ungheria e Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra, Russia), le quali si fronteggiarono per parecchi anni senza porre mano alle armi, mentre gli arsenali crescevano continuamente: lo Stato che investiva maggiormente in questi era il Regno Unito, seguito dalla Germania. Si può dire quindi come ogni tentativo di porre fine alla corsa degli armamenti, da ambo le parti, fallì (così come fallirono i discorsi di pace fatti da intellettuali o politici nelle varie potenze, come nel caso di Theodore Roosvelt negli Stati Uniti). Nonostante lo forti rivalità, le crisi dell’inizio secolo furono trattate diplomaticamente entro i confini locali, poiché i governi erano consapevoli dei danni che una grande guerra avrebbe causato. Nel 1905 la Francia e la Germania giunsero ad un quasi scontro per il Marocco: Berlino si pose in difesa dei territori marocchini e per dirimere la situazione fu necessaria una conferenza internazionale che garantì gli interessi economici di tutte le potenze europee nel Paese nordafricano a favore della Francia. Qualche anno dopo, la Francia occupò una cittadina marocchina e Guglielmo II minacciò di intervenire. In questa occasione, per determinazione britannica, la Germania recedette dalle proprie posizioni e concesse alla Francia di affermare lo Stato africano come protettorato (la protezione di uno Stato da parte di un altro) della Francia stessa, in cambio del Congo francese alla Germania. Mentre la situazione balcanica era più problematica: l’Austria-Ungheria procedette all’annessione della Bosnia-Erzegovina e i suoi interessi si scontrarono con la Serbia, la quale voleva unire le popolazioni slave della religione (serbi, bosniaci, croati e sloveni). La Serbia era sostenuta dalla Russia, che intendeva limitare l’espansionismo austriaco al fine di tutelare i propri traffici commerciali. Queste premesse ebbero come risultato lo scoppio delle due guerre balcaniche, combattute tra il 1912 e il 1913. La prima vittoria fu della Serbia, che si coalizzò con Bulgaria e Grecia contro l’Impero Ottomano che risultò indebolito dalla guerra in Libia da parte dell’Italia. Alla fine, L’impero controllava soltanto i Dardanelli, Istanbul e parte della Tracia. In questa occasione nacque il principato di Albania che impediva l’accesso al mare alla Serbia. Il secondo conflitto scoppiò dopo due settimane dalla fine dell’ultimo per l’insoddisfazione degli alleati della guerra precedente: Serbia e Bulgaria si contendevano il territorio macedone e l’Impero Ottomano e la Romania sostennero le ambizioni serbe contro la Bulgaria. Le guerre balcaniche si configurarono come guerre locali, che non coinvolsero l’Austria-Ungheria e la Russia; tuttavia la Triplice Alleanza risultò indebolita dall’inasprirsi del contrato tra l’Italia e l’Austria-Ungheria. Risultava chiaro che le ambizioni delle potenze del territorio entravano in contrasto tra loro, tanto da farsi bastare una piccola fiamma per dare fuoco all’intera regione. Tale piccola fiamma venne accesa nel 28 giugno 1914, l’arciduca ed erede al trono d’Austria-Ungheria, Francesco Ferdinando, fu ucciso insieme alla moglie mentre erano in visita a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina. L’attentatore fu uno studente serbo, nazionalista e sostenitore dell’annessione della Bosnia alla Serbia. L'Austria-Ungheria attribuì la responsabilità dell’atto alla Serbia, che sosteneva le organizzazioni panslaviste nei territori asburgici, e, forte del sostegno tedesco, inviò a Belgrado un durissimo ultimatum, che prevedeva l’invio in territorio serbo di inquirenti austriaci per l’indagine sull’assassinio dell’arciduca. L’Austria-Ungheria e la Germania si mossero convinte di poter sostenere la guerra più di quanto potesse farlo la Russia, e quindi di poter ricavare maggiori vantaggi dal conflitto. L'ultimatum fu formulato in modo tale da essere inaccettabile per la Serbia, e che condusse quindi alla dichiarazione di guerra da parte dell’Austria. La Russia si schierò in difesa della Serbia, facendo scattare il meccanismo di difesa della Triplice alleanza e della Triplice intesa, che erano state stipulate proprio per l’intervento di Stati per la difesa di altri. Cosi la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia. Di conseguenza anche il Regno Unito, dopo aver tentato inutilmente di fermare codesta corsa allo scontro, dichiarò guerra all’Austria-Ungheria e alla Germania. Il 4 agosto 1914 l’esercito tedesco invase il Belgio, territorio neutrale, per aggredire la Francia da nord-est dove aveva meno difese. Anche il Giappone prese parte al conflitto, schierandosi a fianco dell’Intesa, nel tentativo di impadronirsi dei territori marittimi tedeschi del Pacifico. Le varie popolazioni non avevano comunque inteso la pericolosità del conflitto, scendendo anzi in piazza per manifestare a favore di questo: in particolare i nazionalisti sostennero la Grande Guerra, spinti dal desiderio di incrementare la potenza del proprio Paese e per combattere le istituzioni liberali. Quanto ai socialisti riformisti, questi non riuscirono a contrastare l’avanzata dei nazionalisti. Al contrario: i deputati del Partito social-democratico votarono a favore dei crediti di guerra chiesti dal governo di Berlino, con la motivazione di proteggere i propri confini perchè attaccati dalle truppe russe. Allo stesso modo, anche i socialisti francesi sostennero la guerra dopo l’uccisione del leader del loro partito da parte di un nazionalista. L'Italia dalla neutralità all’ingresso in guerra Il 2 agosto 1914 l’Italia di Salandra dichiarò la propria neutralità, rifiutando di scendere in campo con il pretesto dell’attacco partito da Vienna, che aveva dichiarato per primo la guerra alla Serbia: pertanto il patto stipulato con la Triplice Alleanza non fu tanto valido da essere messo in atto. In realtà la maggioranza dei cittadini non voleva affrontare questa grande battaglia. Inoltre, parecchi politici erano convinti che, in quella fase, era conveniente negoziare pacificamente con tutte le potenze ricavandone un’alleanza dalla quale l’Italia avrebbe tratto più vantaggi possibili. Tra il 1914 e il 1915 però, a causa dalle pressioni dell’Intesa e degli Imperi Centrali affinchè l’Italia si schierasse, si aprì un ampio dibattito interno tra neutralisti (coloro che erano a favore della neutralità italiana): 1. I cattolici, che seguivano l’insegnamento della Chiesa e non potevano accettare la violenza come soluzione ai problemi internazionali; inoltre, la Chiesa stessa, con papa Benedetto XV, era preoccupata anche di una guerra cattolica contro l’Austria- Ungheria; 2. I socialisti riformisti, che sostenevano che i lavoratori non dovevano partecipare alla guerra voluta da governi economici imperialisti; 3. Giolitti e i liberali giolittiani, i quali erano convinti di arrivare ad un punto d’incontro anche senza combattere: si poteva contrattare con l’Austria affinchè questa potesse annettere all’Italia il territorio del Trentino, che, essendo in fronte di una grande guerra, avrebbe accettato per ottenere vantaggi. Inoltre Giolitti era preoccupato per l’armata militare del proprio Paese, ancora fortemente abbattuta dalla guerra in Libia. e gli interventisti (coloro che incitavano alla guerra): 1. I liberali conservatori, guidati da Salandra e dal ministro degli Esteri Sonnino, i quali vedevano la guerra come un momento di esaltazione della potenza italiana; 2. I nazionalisti, diviso internamente da gruppo da sollecitazioni diverse: inizialmente furono favorevoli ad intervenire accanto alla Triplice alleanza, ma in seguito sostennero la decisione di schierarsi con l’Intesa, in nome del compimento dell’Unità d’Italia. Su queste idee convergono i futuristi, come Gabriele D’Annunzio, i quali sostenevano che “la guerra fa il vuoto perché si respiri meglio”; 3. Gli irredentisti, fra i quali Cesare Battisti, convinti che la guerra avrebbe permesso l’annessione all’Italia di territori irridenti (Trentino e Venezia Giulia); 4. I sindacalisti rivoluzionari di Labriola e i socialisti rivoluzionari di Benito Mussolini, convinti che la guerra avrebbe permesso alle masse lavoratrici di tutta Europa di scardinare il capitalismo e avviare il proprio dominio sulla società. Fin dal 1914, Sonnino e Salandra avevano contatti segreti con l’Intesa, e dopo varie trattative con Vienna fallimentari, Roma firmò, nel 1915, il Patto di Londra, con il quale si impegnava a sostenere la guerra contro gli Imperi Centrali. L'accordo fu tenuto segreto fino al 1917, quando fu inopinatamente reso pubblico dai rivoluzionari russi. Mentre in piazza si manifestava a favore della guerra, nelle denominate radiose giornate di maggio, il parlamento dovette affrontare il rischio di una crisi costituzionale, in quanto la Camera dei deputati si riteneva ancora neutrale, fino alla loro votazione dei pieni poteri di Salandra. Il 24 maggio 1915 Vittorio Emanuele III annunciò agli italiani l’entrata in guerra del Paese a fiano della Triplice Intesa. Quattro anni di sanguinoso conflitto Il piano del Kaiser Guglielmo II prevede una guerra lampo con cui conquistare la Francia in sole otto settimane ( Piano Schlieffen ); si contava sul fatto che ad est i russi avrebbero impiegato molto tempo a mobilitare il loro immenso esercito. Tuttavia non fu così: i belgi opposero resistenza, e i francesi fermarono l’avanzata tedesca sul fiume Marna, mentre i russi attaccavano la Prussia, sconfitti poi sui Laghi Masuri. Anche se la Germania prevedeva la vittoria, dopo poche settimane dalla dichiarazione di guerra, si ritrovò a combattere su due fronti: ad ovest, quindi, il conflitto entrò in una dimensione del tutto nuova, passando alla guerra di posizione in trincea. Nell'autunno 1914, tedeschi, inglesi e francesi si attestarono su una linea che dalla costa delle Fiandre volgeva fino alla frontiera svizzera, in cui scavarono le loro trincee, preparandosi ad una guerra di logoramento che nessuno aveva previsto, e della quale erano spaventati per i tributi altissimi di uomini e materiali. Gli uomini vivevano nei loro rifugi, combattendo il fango, il freddo, e i bombardamenti nemici, attendevano l’avanzata avversaria per poi contrattaccare: la maggior parte di quelli cadeva sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici. Nell'aprile del 1915 fece la sua comparsa una nuova arma già utilizzata dall’Italia in Libia: il gas tossico, che veniva lanciato dagli aerei tedeschi per far crollare le trincee francesi. Dopo pochi mesi divenne chiaro che la guerra l’avrebbe vinta l’esercito che resisteva di più; e l’opinione pubblica iniziò a vacillare nel suo sostegno della guerra nel momento in cui le truppe esaurivano le loro risorse fisiche e psicologiche (si andò a sviluppare anche un’opposizione vera e propria alla guerra da parte dei soldati stessi, i quali si autolesionavano per non essere mandati in battaglia). Le battaglia cardine sul fronte occidentale, tra il 1916 e il 1917, furono: la Battaglia per Verdun, della Somme, di Passchendaele. Poiché risultava impossibile arrivare alla vittoria via terra, sia Regno Unito che Germania cercarono la strada del successo in mare, impiegano le loro grandi flotte che si scontrarono a largo della penisola dello Jutland (Danimarca) nel Mare del Nord, ma nessuna delle due prevalse e da allora in poi le navi tedesche rimasero sempre in porto. Di conseguenza, gli inglesi istituirono un blocco navale che impedì alla Germania e all’Austria-Ungheria di ricevere materie prime. Berlino rispose con una guerra sottomarina, che distrusse flotte mercantili inglesi, ma che non misero in difficoltà le sue industrie. Nonostante le rimostranze degli Stati Uniti, che condussero Berlino a ridurre tali guerre, ci fu un secondo U-boot (Unterseeboot) che affondò una tonnellata di navi britanniche, ma che permise agli Stati Uniti di schierarsi con l’Intesa e scendere in battaglia. Il fronte orientale e il crollo della Russia A differenza dell’Occidente, l’Oriente combatteva una guerra in movimento: i russi, che avevano attaccato Prussia e Galizia, si dimostrano inadeguati alla battaglia, sia per l’addestramento che per le capacità di comando degli ufficiali; pertanto furono penetrati dalle truppe nemiche, con alleata la Bulgaria, mentre la Romania decise di intervenire affianco dell’Intesa, ma fu invasa successivamente. La guerra a est conobbe una fine del tutto inaspettata: nel 1917, la rivoluzione scoppiata in Russia, determinò la caduta dello zar Nicola II e la fine della dinastia Romanov, la rivolta iniziò l’8 marzo con la sollevazione degli operai di San Pietroburgo, che durante la rivolta venne chiamata Pietrogrado. Così le truppe russe si rifiutarono di combattere, fraternizzando oltretutto con le truppe nemiche. Pochi mesi più tardi, quando al potere salirono i bolscevichi di Lenin, questi abbandonarono la lotta contro la Germania e l’Austria-Ungheria. Ufficialmente firmarono l’armistizio nel 1917 e la pace nel 1918. L'accordo fu siglato con gli inviati degli Imperi Centrali a Brest-Litovsk, sul confine con la Polonia, e prevedeva delle gravi perdite territoriali della Russia (Finlandia, Paesi Baltici, Polonia, Bierlorussia e Ucraina). Il fronte dei Balcani. Più a sud, nei Balcani, i delicati equilibri che si erano stabiliti prima dello scoppio del conflitto furono rotti dall’entrata in guerra dell’Impero Ottomano a fianco dell’Austria-Ungheria e della Germania, una decisione presa dal nuovo governo dei Giovani Turchi, che vedeva un vantaggio daparte della Germania, l’unica potenza europea a non avere interessi coloniali nel Medio Oriente, e la Germania stessa, d’altra parte, desiderava sollecitare una rivolta interna nei confronti dell’Inghilterra e della Francia. Gli inglesi decisero di sbarcare nello Stretto dei Dardanelli per appropriarsene, causando lo scoppio della Battaglia di Gallipoli, dopo mesi i scontri violentissimi. Quando la Bulgaria si schierò a fianco di Germania e Austria-Ungheria, la situazione della Triplice intesa nei Balcani peggiorò: la Serbia, che era stata accusata di aver dato vita al conflitto, fu invasa e sconfitta, dando ai francesi ed inglesi un territorio di sbarco nella zona orientale in meno. I popoli arabi sostennero l’avanzata dell’Intesa con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza e arrivarono a conquistare Baghdad. Mentre in Turchia, il conflitto mondiale introdusse un elemento in più di barriere: la persecuzione dei popoli oppressi. Gli armeni, di fede cristiana e concentrati al nord della Turchia, furono accusati dai turchi di essere il nemico interno, e quindi di tramare contro l’Impero, di allearsi con la Russia zarista e di volere l’indipendenza. Nonostante il genocidio armeno, non vi fu nessuna reazione da parte dei Paesi occidentali. Il fronte italiano. Le truppe italiane furono dispiegate lungo il fiume Isonzo e l’Altopiano del Carso, tra il Friuli e Trentino; volsero i loro attacchi ad est contro le difese austriache, delle quali truppe colsero di vista gli italiani sul fronte attaccando il Trentino, ma con la cosiddetta Strafexpedition, la spedizione punitiva con cui Vienna voleva colpire Roma per il suo tradimento, fu fermata dall’Altopiano di Asiago, in Veneto. le truppe erano guidate dal generale Luigi Cadorna, impreparato ad affrontare i problemi della guerra di posizione, che egli cercava di risolvere semplicemente alimentando il fronte con la quantità maggiore possibile di uomini; esercitava un comando autoritario e imponeva una disciplina inflessibile, incurante delle sofferenze dei fanti in prima linea, e continuamente accusò di disfattismo e tradimento il fronte interno, in particolare la propaganda pacifista e neutralista. La sua posizione divenne però indifendibile nel 1917, quando gli austriaci sfondarono il fronte dell’Isonzo, all’altezza di Caporetto. Per comprendere tale disfatta, bisogna fare attenzione al contesto nel quale il conflitto mondiale continuava a vivere: dappertutto e in molteplici forme si esprimevano i segni di stanchezza per una guerra che era diventata una carneficina e aveva imposto sacrifici a tutta la popolazione. Il malcontento trovò espressione nelle parole di papa Benedetto XV che invitò le parti belligeranti a porre fine all’”inutil strage”. In questo quadro, la Germania e l’Austria-Ungheria elaborarono un attacco contro l’Italia che avrebbe dovuto essere sostenuto dalle truppe russe per poter concludere la guerra. I soldati austro-ungarici scatenarono l’offensiva con l’appoggio i sette divisioni tedesche: spezzarono il fronte Isonzo in due lo schieramento italiano. L'esercito italiano, quindi, cedette all’assalto delle truppe nemiche, che riuscirono a penetrare in territorio italiano. Gli ordini contraddittori degli Stati maggiori italiani aggravavano la situazione: Cadorna cercò di scaricare sulle truppe la responsabilità del disastro, provocando uno sciopero militare. Il generale si rifiutò inoltre di prestare qualunque tipo di assistenza a coloro che cadevano in mano nemica, così da costringerli a rimanere sul fronte. Le redini del governo furono successivamente affidate al liberale Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna fu sostituito con il generale Armando Diaz. Con quest’ultimo, l’esercito fu riorganizzato: ai soldati vennero promesse riforme sociali e concessioni di terre e Diaz stesso si mostrò più flessibile nei confronti delle esigenze dei suoi uomini, che ebbe una valida finalità in quanto quegli ultimi riuscirono a fermare l’avanzata austriaca sul Piave. L'intervento degli Stati Uniti L'intervento statunitense fu provocato dalla guerra sottomarina tedesca, che colpiva navi neutrali, tra le quali americane, nel tentativo di impedire agli inglesi di rifornirsi di materiale bellico. Gli Stati Uniti, con presidente Wilson, riuscirono a vincere le forti correnti isolazioniste (favorevoli al disimpegno degli Stati Uniti nelle questioni europee) e il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania, con una posizione politica ben esposta nei Quattordici punti che il presidente illustrò al Congresso dell’8 gennaio. Wilson: 1. Rifiutava l’autoritarismo degli Imperi Centrali, ma anche l’imperialismo delle democrazie liberali; 2. Affermava il principio di autodeterminazione dei popoli; 3. Chiedeva l’abolizione della diplomazia segreta (Patto di Londra); 4. Sosteneva la piena libertà di navigazione sugli oceani, il libero scambio commerciale; 5. Proponeva una soluzione alle questioni coloniali di Asia e Africa; 6. Auspicava la creazione di un’assemblea generale degli Stati, la Società delle Nazioni, incaricata di discutere il futuro delle controversie internazionali perché venissero risolte pacificamente. Il crollo della Germania e Austria-Ungheria L'ultimo attacco tedesco sul fronte occidentale scattò nel marzo 118, poco prima che i soldati americani fossero inviati in Europa: fu scelto come punto di sfondamento la linea francese che si saldava a quella inglese. Tuttavia, le truppe del Kaiser furono costrette a retrocedere senza sosta: decisiva fu la battaglia di Amiens che sancì il crollo dell’esercito tedesco. Ai primi di novembre i tedeschi speravano comunque di ottenere una pace onorevole; in effetti, nessuno straniero era riuscito a violare il territorio della Germania. A crollare fu tuttavia il fronte interno, la cui resistenza era allo stremo: la rivoluzione divampò nelle fabbriche e nelle città di tutto il Paese. Guglielmo II dovette fuggire in Olanda e il 9 novembre a Berlino fu proclamata la Repubblica, sotto la presidenza di Ebert. Due giorni dopo i tedeschi firmarono l’Armistizio di Rethondes, arrendendosi senza condizioni. Nacque allora il mito della “pugnalata alle spalle”: i generali credevano fortemente che la loro sconfitta dipendesse dai politici e non dai militari, perchè questi sarebbero stati capaci di sconfiggere sia le armate francesi ed inglesi, sia quelle americane. Più a sud. L'Austria- Ungheria lanciò il suo attacco decisivo sul fronte italiano sulla linea del Piave, ma fu respinta. L'esercito italiano, oltretutto, lanciò un’ultima offensiva all’anniversario della disfatta di Caporetto: i militari di Diaz distrussero di austriaci a Vittorio Veneto: l’armistizio fu firmato nei pressi di Padova, entrato in vigore il giorno successivo, mentre gli italiano occupavano Trento con l’esercito e Trieste con la marina. Carlo I abbandonò l’Austria, che divenne una repubblica. Come si era predetto all’inizio della battaglia, vinse chi resistette più a lungo. Con l’eccezione degli Stati Uniti, tuttavia, lo sforzo compiuto schiacciò vincitori e vinti, riducendoli a una comune condizione di estrema debolezza, dalla quale avrebbero tardato a risollevarsi. I trattati di pace La Conferenza di pace iniziò a Parigi nel gennaio 1919 con la presenza di 2 nazioni ad esclusione dei Paesi sconfitti, che furono chiamati esclusivamente nel firmare i trattati imposti loro dai vincitori. Tra i presenti vi furono dunque: Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Italia. Ciononostante le trattative furono complesse in quanto; erano crollati i quattro grandi Imperi (austriaco, tedesco, russo e ottomano), bisognava conciliare il principio dell’autodeterminazione dei popoli e il rispetto delle nazionalità con le ambizioni territoriali delle democrazie liberali e l’istituzione di una Società delle nazioni. Infine, anche la psicologia sociale ebbe il suo peso: la Francia, che aveva subito la pesante presenza degli eserciti tedeschi sul proprio territorio, voleva l’umiliazione e l’annientamento della Germania. I Paesi vincitori speravano di spartirsi come colonie i territori vinti. Dunque ci fu bisogno di cinque trattai di pace: 1. Trattato di Versailles 28 giugno 1919: dettò alla Germania condizioni molto dure, suscitando nei tedeschi rancore nei confronti dei Paesi vincitori (venne definita Diktat perché vista come un’imposizione). Questa dovette restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia, lo Schleswing alla Danimarca, Alta Slesia e Posnania alla Polonia i Sudeti alla Cecoslovacchia; deve inoltre cedere le colonie extraeuropee ai vincitori (ma, essendo che questo contrastava con il principio wilsoniano dell’autodeterminazione dei popoli, fu creato il mandato: una sorta di affidamento temporaneo, simile al protettorato, ma che corrispose a un concreto dominio coloniale), pagare un enorme debito di guerra, ridurre l’esercito e dare alla Francia il mandato della riva sinistra del Reno e delle miniere della Saar: 2. Trattato di Saint-Germain-en-Laye (Austria) e del Trianon (Ungheria) settembre 1919 e giugno 1920: Austria e Ungheria erano ormai due Stati separati, mentre nasce la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, lo Stato degli slavi del sud. Una particolare clausola del Trattato di Saint-Germain vietò all’Austria di unirsi alla Germania, divenuta, in seguito alla guerra, di dimensioni molto ridotte. Mentre l’Ungheria si affermava come repubblica, perse molti territori (Croazia, Slovacchia, Transilvania e Fiume); 3. Il trattato di Neuilly novembre 1919: riduce il territorio della Bulgaria; 4. Il trattato di Sévres 10 agosto 1920: L’impero ottomano deve cedere i suoi possedimenti in medio oriente a Francia e regno unito; per quanto riguarda la Palestina affidata al regno unito, era stata già oggetto di grande novità: il ministro degli esteri britannico, Balfour, impegnava il governo britannico a costruire una national home (patria) per il popolo ebraico in questo territorio. Dal canto suo, il nuovo Stato turco non accettó mai le durissime condizioni del trattato e negli anni successivi ciò causò ancora guerre e mutamenti territoriali. Le nazionalità e la vittoria mutilata dell’Italia I trattati di pace non riusciremo a risolvere tutti problemi emersi al termine del conflitto. In primo luogo, non sempre fu possibile applicare il principio di autodeterminazione dei popoli: mentre i popoli di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia ebbero il riconoscimento di aspirazioni spesso plurisecolari, in altre circostanze la soluzione dei vecchi problemi etnici generò nuove tensioni. Fu questo, per esempio, il caso delle ingentissime minoranze tedesche e ucraine presenti all’interno dei confini polacchi, ma anche dei gruppi etnici croati e sloveni integrati nel regno jugoslavo. Proprio la creazione della Jugoslavia originò a Parigi particolare discussioni con l’Italia, già insoddisfatta per essere stata esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche. Con quanto previsto dal patto di Londra, la Dalmazia doveva essere ammessa l’Italia, però quest’ultima e Fiume passarono al governo di Belgrado, mentre All’Italia furono assegnate solo Trieste e l’Istria. La delusione italiana fu tale che Vittorio Manuele Orlando abbandonò per breve tempo la conferenza di pace. Nonostante che l’Italia ottenesse senza problemi il Trentino e l’Alto Adige, infelice conclusione della questione dalmata crea nel paese il mito della vittoria mutilata. Secondo una propaganda nazionalista il sacrificio dei soldati italiani non era stato giustamente ricompensato al tavolo della pace. Nacquero così gravi problemi di politica estera che avrebbero gravato sull’Italia nel dopoguerra