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Gli eventi di luglio si inserivano in un contesto geopolitico abbastanza teso e con molte
questioni ancora aperte. L’Impero tedesco di Guglielmo II ambiva ad una politica di
conquista mondiale in quanto privo di possedimenti coloniali. La repubblica francese,
influenzata dal nazionalismo del presidente Raymond Poincaré, coltivava il sogno di
recuperare l’Alsazia e la Lorena. L’Impero russo di Nicola II voleva controllare gli stretti del
Bosforo e dei Dardanelli. L’Impero britannico puntava a conservare il dominio dei mari. La
crisi del luglio 1914 fu vista come l’opportunità per risolvere queste questioni.
In poche settimane furono mobilitati milioni di uomini grazie al massiccio uso delle reti
ferroviarie, tra i due schieramenti vennero aperti tre fronti di guerra:
➔ Sul versante balcanico l’Impero austro-ungarico preparò una spedizione punitiva
contro la Serbia riscontrando tuttavia una inaspettata opposizione che respinse
l’esercito fuori dai confini nazionali serbi.
➔ Sul versante occidentale l’Impero tedesco attaccò il belgio per farsi strada fino alla
Francia. Fino al 1905, il capo di Stato maggiore tedesco, Alfred von Schlieffen (1833-
1913), aveva elaborato un piano per evitare il rischio di guerra su due fronti, est e
ovest. Il piano Schlieffen prevedeva un’agile manovra di invasione dei Paesi Bassi e
del Belgio (entrambi neutrali) per conquistare rapidamente la Francia e per poi
rivolgere le truppe contro l’Impero russo. I tedeschi penetrarono rapidamente nella
regione delle Champagne puntando direttamente su Parigi. Quando l’esito
dell’invasione sembrava segnato, i francesi riuscirono a fermare l’avanzata tedesca
nella battaglia della Marna (affluente della Senna).
➔ Sul versante orientale la guerra era combattuta su spazi più ampi con una maggiore
mobilità rispetto al fronte occidentale. Le truppe tedesche grazie alla battaglia di
Tannenberg e a quella dei laghi Masuri riuscirono a consolidare le proprie posizioni
nella Prussia orientale. I russi invece sfondarono nella Galizia asburgica costringendo
gli austro-ungarici a una battaglia difensiva fino all’intervento dell’Impero tedesco
che non consentì di stabilizzare il fronte. In particolare, si svolse una lunga battaglia
intorno alla fortezza di Przemysl, nella Galizia meridionale, assediata dai russi dal
settembre 1914 al marzo 1915.
Sul fronte occidentale a metà settembre si giunse ad una situazione di stallo e la guerra di
movimento si trasformò durante l’autunno in una guerra di posizione. Dal Mare del Nord fino
al massiccio della Giuria, attraverso le Fiandre, furono scavati sui fronti contrapposti un
lungo reticolo di trincee, costituite da camminamenti e rifugi. Con la stabilizzazione dei fronti
assunsero un ruolo preminente le artiglierie. Tuttavia, le diverse linee di trincea rendevano
inutili quasi tutti i tentativi di sfondamento, poiché consentivano il ripiegamento delle forze
più esposte. La ripartizione di questi assalti decimò gli eserciti fomentando crescenti critiche
delle alte gerarchie militari. Neppure l’uso di armi nuove e dagli effetti devastanti, come i gas
sperimentati dai tedeschi a Ypres nell’aprile 1915 riuscì a sbloccare la situazione.
L’Italia verso la guerra
All’inizio di agosto del 1914, il Regno d’Italia proclamò la propria neutralità perché
considerava la Triplice Alleanza un patto di tipo difensivo. Inoltre, il governo italiano non era
al corrente dell'ultimatum inviato alla Serbia e quindi imputava agli Imperi centrali di aver
violato gli accordi. La scelta della neutralità era motivata soprattutto dall’impreparazione
tecnico-militare italiana, dal timore di rivolte sociali e da un’opinione pubblica con forti
posizioni antiaustriache e irredentiste. Infatti, l’Impero austro-ungarico rappresentava il
nemico storico dell’Italia risorgimentale che impediva il completamento dell’unificazione.
Mentre in altri paesi la scelta della guerra era maturata nelle alte sfere delle forze armate e
dei governi, l’intervento italiano divenne materia di un infuocato dibattito pubblico.
La popolazione era in maggioranza ostile alla guerra specialmente gli ambienti cattolici, i
quali erano inclini al neutralismo per ragioni di principio. Anche in parlamento la
maggioranza giolittiana aveva un orientamento neutralista. Decisamente ostile era il Partito
socialista che però non riuscì a mobilitare un'opposizione attiva, preferendo una politica di
equidistanza con il motto «né aderire, né sabotare». A spingere per l’entrata in guerra c’era
una minoranza attiva e ben organizzata, concentrata nei centri urbani e con posizioni politiche
variegate ma concentrate nell’avversione per il sistema giolittiano. Anche le grandi testate,
come il Corriere della Sera, si fecero portavoce di posizioni interventiste. Gli interventisti
democratici (Salvemini o Bonomi) erano interessati alla sconfitta del militarismo prussiano,
al trionfo della democrazia francese e al coronamento degli ideali risorgimentali. I
nazionalisti aspiravano ad una guerra di espansione e conquista che andasse oltre gli obiettivi
irredentisti. Vicini a queste posizioni furono i principali gruppi industriali (Ansaldo e Breda),
che contavano sui proventi delle commissioni statali per la produzione bellica. Fra gli
interventisti vi erano anche sindacalisti rivoluzionari, anarchici e futuristi che guardavano alla
guerra come un evento capace di avviare una rivoluzione interna. Con gli interventisti
rivoluzionari si schierò anche il direttore del quotidiano socialista “L’Avanti”, Benito
Mussolini, che nell’ottobre 1914 passò da una posizione neutralista a una interventista.
Nonostante ple prevalenti posizioni neutraliste nella società e nel parlamento, il 26 aprile
1915 il presidente del Consiglio Antonio Salandra e il ministro degli esteri Sidney Sonnino
firmarono a Londra un patto segreto con Francia e Regno Unito, con cui l'Italia si impegnava
ad entrare in guerra contro L’Impero austro-ungarico in cambio di ampie ricompense
territoriali. L'Intervento in guerra doveva essere approvato dal parlamento dove prevalevano
però posizioni neutraliste allora interventisti e nazionalisti organizzarono una serie di
agitazioni di piazza. Nelle cosiddette “radiose giornate” di maggio ebbe un ruolo preminente
Gabriele D’Annunzio, autore di un celebre discorso in favore della guerra pronunciato il 5
maggio sullo scoglio di Quarto. A Roma, fra il 13 e il 16 maggio, gli scontri di piazza
provocarono un clima di tensione e di intimidazione nei confronti dei neutralisti. Il governo
Salandra annunciò le sue dimissioni, che furono però respinte dal re Vittorio Emanuele III.
Per evitare una pericolosa crisi istituzionale il parlamento fu forzato ad approvare l’intervento
e i relativi crediti di guerra. Il 24 maggio le truppe italiane oltrepassarono il Piave e
attaccarono le linee nemiche sul Carso e in Trentino
I fronti di guerra del 1915-16
Tra il 1915 e il 1916 il fronte occidentale si mosse di soli 8km, una serie di battaglie
sanguinose dimostrò quanto fosse inutile la sequenza di offensive e controffensive. La
battaglia di Ypres di combatté dall’ottobre 1914 fino all’aprile 1918 in quattro fasi diverse
senza mutamenti del fronte. La battaglia di Verdun (febbraio-dicembre 1916) , con la
partecipazione di truppe britanniche, costò la vita di oltre 800.000 soldati. La battaglia della
Somme (luglio-novembre 1916) costituì la prima operazione congiunta tra le forze francesi e
britanniche, causando oltre 1.200.000 di vittime.
Il teatro di guerra italo-austriaco riprodusse la natura statica del fronte occidentale. La prima
offensiva, guidata dal generale Luigi Cadorna, si doveva svolgere lungo tre direttrici: la
principale sul fronte del fiume Isonzo tesa a muovere verso Gorizia, le secondarie verso il
Cadore e la Carnia e verso il Trentino. Le dodici battaglie dell’Isonzo, furono combattute tra
il maggio 1915 e l’ottobre 1917, portarono ad enormi perdite di vite umane a fronte di
irrilevanti acquisizioni territoriali. Solo dopo il trasferimento delle truppe austriache verso il
fronte orientale l’esercito italiano riuscì a raggiungere Gorizia senza riuscire però a sfondare
il fronte. Le forze austro-ungariche nell'agosto 1916, sull’Altopiano di Asiago, lanciarono la
Strafexpedition (spedizione punitiva), che doveva punire gli italiani per aver tradito la
Triplice Alleanza. Nel maggio 1916, gli scarsi risultati della guerra portarono Salandra alle
dimissioni e il governo venne affidato a Paolo Boselli.
Visti i numerosi possedimenti coloniali degli Imperi in Africa e in Asia era inevitabile un
coinvolgimento delle colonie nel conflitto. L’esercito britannico fu in grado di occupare gran
parte dei territori tedeschi in Africa orientale. Inoltre l'ingresso dell’Impero ottomanoa fianco
degli imperi centrali nel maggio 1914 trasformò il Medio Oriente in un teatro di importanti
operazioni belliche. Nell’aprile 1915 le truppe britanniche sbarcarono a Gallipoli, sullo stretto
dei Dardanelli, con l’intento di occupare Costantinopoli ma fallirono. Negli anni successivi,
mentre l’avventuriero Thomas Lawrence spingeva le tribù arabe a ribellarsi contro il sultano,
le truppe dell’Intesa si concentrarono in zone periferiche dell’Impero ottomano. I francesi
occuparono il Libano, gli inglesi Gerusalemme e poi Baghdad e i russi costrinsero ai turchi il
Caucaso. Nel maggio 1916, gli accordi di Sykes-Picot, firmati da Francia e Regno Unito,
definirono le linee essenziali del Medio Oriente confermando la politica dei “mandati”. Nel
novembre 1917, con la dichiarazione Balfour (nome del ministro degli esteri) , il governo
britannico dichiarò la propria disponibilità a creare una “sede nazionale” ebraica nei territori
della Palestina sottratta agli ottomani.
Un altro importante teatro di guerra furono i mari, utilizzati soprattutto per interrompere gli
approvvigionamenti delle nazioni nemiche. L’unica vera battaglia tra corazzate (inglesi e
tedesche) si combatté al largo della penisola dello Jutland nel maggio 1916. La flotta
britannica si concentrava soprattutto in azioni di pattugliamento che miravano a creare un
blocco totale delle economie nemiche. Con la stessa intenzione, L’Impero tedesco avviò una
serie di attacchi sottomarini condotti con i sommergibili U-Boot contro navi civili e
mercantili. Importante fu l’episodio del transatlantico Lusitania che , sospettato di trasportare
armi, il 7 maggio 1915 fu affondato da un sommergibile tedesco al largo delle coste irlandesi
causando migliaia di morti civili, fra cui molti cittadini statunitensi.
Tra il 1916 e il 1917 il malcontento sempre più diffuso al fronte e nelle retrovie si trasformò
in aperta ribellione contro la guerra. A Dublino le proteste contro la guerra andarono ad
aggiungersi alla preesistente questione della Home Rule, provocando un’insurrezione che
pose fine alla collaborazione tra cattolici e protestanti. Il gruppo della Fratellanza irlandese
repubblicana, che mirava all'indipendenza dal Regno Unito, fu represso nel sangue
dall’intervento dell’esercito britannico nella cosiddetta “rivolta di Pasqua”. Sul fronte
francese dello Chemin des Dames le truppe abbandonarono la prima linea, smettendo di
combattere. Le rivolte non erano dovute alla propaganda pacifista all’esasperazione per la
costante esposizione al pericolo di morte. Le automutilazioni, le diserzioni e gli
ammutinamenti erano all’ordine del giorno e venivano puniti con straordinaria brutalità.
La guerra portò, in tutta Europa, ad un intervento dello Stato nella società e nell’economia;
incrementando l’efficienza bellica, limitando la nascita di movimenti antimilitaristi e
limitando o addirittura sospendendo l’attività parlamentare (Impero austro-ungarico).
L’esigenza di mobilitare l’intera società ai fini dell’impegno bellico implicò una
compenetrazione tra il potere civile e quello militare. I capi di Stato maggiore dell’esercito
assunsero un peso decisivo nelle scelte dei governi, gli stessi però dovettero assumersi le
responsabilità delle gravissime perdite.
Il nuovo ruolo dello Stato fu quello dell’organizzazione economica, gli ingenti costi della
guerra (munizioni, trasporto, risorse) richiedevano uno sforzo logistico colossale che
contribuì ad estendere le funzioni dell’autorità pubblica. Si trattò di organizzare una
economia di guerra, in cui produzione e distribuzione erano poste totalmente al servizio
dell’esercito. Per non ostacolare la produzione fu imposta una severa disciplina militare al
lavoro in fabbrica. Le donne dovettero assumere nuovi e più importanti ruoli al lavoro.
Essendo i costi della guerra altissimi, gli stati iniziarono a stampare grandi quantità di denaro
con una conseguente svalutazione e una crescita incontrollata dell’inflazione. Il sistema
monetario internazionale (gold standard), secondo cui ogni unità monetaria corrispondeva ad
una quantità fissa di oro, venne meno. Mentre il rincaro dei prezzi sui prodotti di prima
necessità fomentò le agitazioni sociali condotte soprattutto dalle donne.
Il numero quotidiano di vittime al fronte era altissimo, in media 900 francesi e 1300 tedeschi
al giorno. Nemmeno i civili furono risparmiati specialmente sul fronte orientale. Gli stranieri
che che si trovavano nei confini nazionali e considerati culturalmente legati a Stati nemici,
furono sottoposti a regimi di discriminazione ed espulsione. Quando si trattava di comunità di
migliaia di stranieri, le autorità arrivarono ad attuare detenzioni o deportazioni di massa;a
questo scopo furono aperti campi di internamento.
Vennero sperimentate nuove armi come: mitragliatrici, artiglieria, i primi aerei, i carri armati
e anche il gas. L'utilizzo di queste tecnologie determinò gravi effetti psicologici e sociali,
soprattutto la continua esposizione ai combardamenti provocò conseguenze gravi e durature
per i soldati. Dall’altra parte l'esperienza bellica contribuì a rafforzare il senso comunitario
dei soldati, in Italia si crearono i presupposti per una reale fusione delle frammentate culture
dialettali in un senso di unità nazionale.
In tutti paesi fu essenziale il ricorso alla propaganda con volantini e manifesti ma soprattutto
con la radio e il cinema. Complementarmente fu essenziale il ricorso alla censura per un
rigido controllo dell’informazione. Molto importante fu anche la mobilitazione degli
intellettuali incitando alla lotta eroica. Il nemico veniva rappresentato come un “barbaro” ,
spesso lo scontro portava a galla le diverse tonalità religiose facendo rivivere l’antico spirito
di crociata.
A dare un svolta decisiva al corso della guerra furono: le rivoluzioni russe e l’intervento
militare statunitense.
➔ Nell'Impero russo una rivolta a San Pietroburgo portò al crollo dello Stato; il tutto
iniziò con una rivolta per la mancanza di pane il 23 febbraio che si estese via via,
anche grazie al rifiuto dell’esercito di sparare sulla folla, portando lo zar Nicola II ad
abdicare. Il nuovo governo provvisorio rassicurò l’Intesa di mantenere il proprio
impegno bellico. Alla fine di ottobre la dissoluzione imperiale fu accelerata da una
seconda rivoluzione che portò Lenin e i bolscevichi al potere. Il vuoto di potere
facilitò l’avanzata tedesca che avanzò fino in Bielorussia e Ucraina. Lev Trockij avviò
le trattative di pace con l’Impero tedesco, il 3 marzo 1918 fu firmato il Trattato di
Brest-Litovsk che imponeva durissime condizioni ai bolscevichi.
➔ Il 2 aprile 1917, il Congresso degli Stati Uniti approvò la decisione del presidente
Thomas Woodrow Wilson di entrare in guerra. La causa fu il moltiplicarsi di navi
civili e mercantili affondate dai tedeschi ma anche l’opportunità per gli statunitensi di
riportare la pace nel mondo. Inoltre se l’Intesa avesse perso la guerra, Francia e Regno
Unito non avrebbero restituito agli USA gli ingenti prestiti. L’8 gennaio 1918 Wilson
enunciò al Senato i ”14 punti”, sulla base dei quali egli voleva ridefinire l’assetto
europeo del dopoguerra.
Dopo il Trattato di Brest-Litovsk si intensificò il conflitto a Ovest dove gli Imperi centrali
furono in condizione di trasferire le proprie truppe dal fronte russo. Dopo una lunga fase di
stallo, l’esercito italiano del generale Cadorna subì una pesantissima sconfitta a Caporetto il
24 ottobre 1917, più di 300.000 soldati vennero fatti prigionieri e altrettanti persero l’unità di
appartenenza. Cadorna per occultare le proprie responsabilità accusò i soldati di essersi arresi
al nemico senza combattere. Le truppe austro-ungariche avanzarono per decine di chilometri
fino alla linea difensiva italiana sul Piave. Dopo la disfatta di Caporetto il presidente Paolo
Boselli si dimise e il nuovo presidente Vittorio Emanuele Orlando insieme al nuovo
comandante in capo, generale Armando Diaz, dovette impegnarsi nel raccogliere tutte le
energie patriottiche.
Visti gli inesistenti progressi, nel 1918 i generali compresero la necessità di pianificare
l’azione congiunta di fanteria e artiglieria insieme a quella di carri armati e aeroplani. Il 21
marzo 1918 le truppe tedesche mossero dalle linee della Somme costringendo gli anglo-iglesi
a retrocedere verso Amiens. Tuttavia, il generale Ludendorff spinse troppo avanti senza
garantire il supporto alle retrovie; il 5 aprile l’offensiva aveva perso d’identità. A fine giugno
l’Intesa riuscì a riorganizzare una controffensiva decisiva rafforzata dall’intervento degli
americani.
Nell’autunno 1918 per l’Impero tedesco sul fronte occidentale si prospettava un esito
catastrofico vista la veloce avanzata degli eserciti dell’Intesa. Tuttavia le truppe dell’Intesa
non arrivarono mai a combattere sul suolo tedesco. Intanto all’interno del Reich, gli
ammutinamenti dei marinai di Kiel e le rivolte di Monaco di Baviera condussero alla
proclamazione della Repubblica tedesca il 9 novembre 1918, Guglielmo II dovette abdicare e
andare in esilio in Olanda. La Germania aveva perso la guerra senza aver mai subito una
sconfitta decisiva sul campo di battaglia. L’11 novembre 1918 fu firmato l’armistizio tra i
generali francesi e tedeschi su una carrozza nella foresta a Compiègne.
Dopo oltre 10 milioni di morti si era finalmente giunti ad una pace, ma ciò avvenne solo in
occidente. Nell’Europa centrale e orientale vi furono conflitti di diverso tipo fino alla
primavera del 1921. Tra il gennaio e il giugno del 1919 la Conferenza di Versailles elaborò
un nuovo assetto di pace e stabilità per l’Europa. A svolgere un ruolo decisivo furono gli Stati
Uniti mentre l’Impero tedesco, ritenuto il principale responsabile, non fu invitato al tavolo di
pace. A dover riordinare il quadro postbellico furono Wilson, il PdC francese Georges
Clemenceau, il premier britannico David Lloyd George e il PdC italiano Orlando (ruolo
secondario). Mentre Lloyd George era interessato a garantire la libertà nel continente,
Clemenceau voleva una rivincita sulla Germania. Orlando invece voleva affermare
l’espansione italiana nell’Adriatico secondo i patti di Londra. Il vero protagonista fu Wilson
con il suo principio dell’autodeterminazione, secondo il quale ogni popolo era libero di
riunirsi in Stati sovrani, sovvertendo di fatto la mappa geopolitica europea.