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1 - Le origini della guerra: le relazioni internazionali tra il

1900 e il 1914 e il clima ideologico-culturale


I primi anni del Novecento furono caratterizzati da un crescendo di tensioni tra le
grandi potenze, dato il dilagarsi di una forte competizione imperialistica incentivata
da nuovi e forti sentimenti nazionalistici.

In particolare:
● Francia: le forze politiche e militari sono animate da aspirazioni revansciste
(Guerra franco-prussiana del 1870, persa dai transalpini) contro la Germania;
● Gran Bretagna: si diffonde il nazionalismo in seguito alla pressante crescita
dell’imperialismo tedesco;
● Russia: nasce un sentimento anti-tedesco a causa del timore di essere ostacolati
nella politica espansionistica mediorientale dalla Germania.

Anche considerata la nascente crisi nei Balcani e nell’Impero Ottomano, il già di per
sé fragile equilibrio europeo cominciò a vacillare, con una conseguente corsa agli
armamenti.

Come già specificato, alla base dei timori della Gran Bretagna vi era la crescente e
costante crescita del regno di Guglielmo II, il quale diede avvio al cosiddetto “piano
Tirpitz” (dal nome del ministro della Marina Alfred von Tirpitz), che consisteva in
un miglioramento della flotta tedesca (antagonista della Royal Navy inglese) e per
motivi commerciali e per motivi bellici; per di più, la Germania avviò una politica
protezionistica per favorire la produzione nazionale e di conseguenza migliorare la
situazione economica, in accordo con i sentimenti nazionalistici divenuti popolari in
quegli anni.

La minaccia tedesca spinse quindi la Gran Bretagna ad allearsi con la Francia: così,
l’8 aprile 1904 venne stipulata l’Entente cordiale (“Intesa cordiale”), che comportò il
superamento delle fratture coloniali, poiché l’Inghilterra diede il proprio assenso al
controllo francese del Marocco e la Francia non sollevò questioni in merito al
controllo britannico dell’Egitto.

Tuttavia tale accordo suscitò una reazione indignata di Guglielmo II, il quale si recò a
Tangeri (città portuale marocchina) per difendere i propri interessi commerciali. Tale
controversia portò alla prima crisi marocchina, con conseguente convocazione di
una conferenza internazionale ad Algeciras, in Spagna, per risolvere l’alterco. Nella
conferenza si palesò l’atteggiamento di isolamento della Germania, che poteva contare
esclusivamente sull’appoggio dell’Austria-Ungheria, a differenza di Parigi che poteva
contare su Gran Bretagna, Russia e Italia. Si decise dunque che la Francia avrebbe
reso il Marocco un protettorato; tuttavia, nel 1911, la Francia occupò militarmente il
Marocco dando così vita alla seconda crisi marocchina, poiché la Germania,
considerando gli accordi violati, inviò un incrociatore minacciando lo scontro militare.
George, primo ministro inglese, fece sapere che avrebbe reagito duramente ad
un’ipotetica offensiva della Germania, così Berlino fece un passo indietro e riconobbe
il dominio francese sul Marocco.

L’isolamento tedesco divenne ancora più forte in occasione dell’avvicinamento tra


Gran Bretagna e Russia: in seguito alla caduta del governo zarista nel 1905, la Gran
Bretagna non aveva più motivo di diffidare della Russia; al contrario, non solo le
dispute coloniali vennero risolte (Persia alla Russia, Afghanistan alla Gran Bretagna e
disinteresse nei confronti del Tibet), ma vennero anche trovati degli obiettivi comuni
(come la volontà di contenere l’espansionismo giapponese o il sentimento
anti-tedesco), sulla base dei quali l’Entente cordiale potè estendersi finanche alla
russia, dando così vita alla “Triplice Intesa”, contrapposta alla Triplice Alleanza,
unione difensiva che fin dal 1882 vedeva legate Germania, Austria-Ungheria ed Italia.
L’Europa si trovava quindi divisa in due grandi blocchi antagonisti. La pace venne
mantenuta proprio in virtù di tali accordi, poiché si era intimoriti dalla possibilità che
un eventuale conflitto tra due Stati membri delle rispettive Alleanze potesse
degenerare in un conflitto su larga scala.

A complicare ulteriormente la situazione intervenne una profonda crisi che si rivelò


essere tremendamente destabilizzante per l’Impero Ottomano. Nel 1908 scoppiò una
rivoluzione che portò al potere un gruppo di cospiratori nazionalisti, i Giovani turchi,
uniti nel partito Unità e Progresso. Nel 1909 i Giovani turchi, attraverso un golpe,
incoronarono Maometto V, fratello del precedente sovrano, e venne imposto un
regime costituzionale parlamentare. Tale rivoluzione indebolì l’Impero, così le diverse
nazionalità racchiuse in esso videro per la prima volta profilarsi la possibilità di
affermare la propria autonomia.

Data la crisi dell’Impero Ottomano, ci furono diversi cambiamenti:


● la Bulgaria si dichiarò regno indipendente;
● l’impero asburgico dichiarò l’annessione della Bosnia-Erzegovina;
● la Serbia, appoggiata dalla Russia, mirava ad espandersi annettendo le
popolazioni slave meridionali.
Quando l’Impero Ottomano riconobbe il dominio italiano sulla Libia, le popolazioni
slave vennero animate da un ancor più forte spirito di rivalsa e indipendentista:
dunque nel 1912 Serbia, Bulgaria, Grecia e Montenegro si unirono in una lega per
combattere contro l’Impero, dando dunque vita alla Prima guerra balcanica (ottobre
1912 - maggio 1913), con conseguente vittoria della coalizione slava.
Tuttavia le tensioni erano forti anche all’interno della stessa coalizione, in particolare
tra Bulgaria e Serbia: la prima era fortemente condizionata dall’impero asburgico ed
ottenne l’accesso sul mare; la seconda invece non si estese fino alle coste adriatiche
poiché Vienna decise di costituire il principato indipendente di Albania. Questa
forte rivalità determinò lo scoppio della Seconda guerra balcanica: fu la Bulgaria ad
aprire le danze, tuttavia fu la Serbia a chiuderle grazie all’appoggio ottenuto da
Romania, Grecia ed Impero Ottomano. Con la sconfitta della Bulgaria e la
conseguente pace di Bucarest si arrivò ad una spartizione dei territori.
La Serbia ne usciva decisamente rafforzata, al contrario della Russia, che non aveva
ottenuto i territori desiderati. I precari equilibri vennero inoltre messi in bilico dalle
rivendicazioni italiane sull’Albania, nonostante gli imperi centrali avessero subito
gravi colpi.

Il clima di tensione che andava sviluppandosi nei primi anni ‘10 del Novecento
comprendeva tuttavia anche la società civile, poiché tra i cittadini europei si
diffondevano sempre di più sentimenti nazionalistici, che si rivelarono la causa
principale dello scoppio della guerra, tanto temuta in un primo momento quanto
ricercata in un secondo, a causa dell’idea che un evento bellico potesse rappresentare
l’inizio di una palingenesi.
Essenziale a tal proposito fu la campagna propagandistica adottata dagli Stati, che
dirottavano l’ira e la frustrazione delle genti su un unico nemico: lo straniero.
Anche l’Europa intellettuale dovette esprimere il proprio parere: da una parte vi
erano gli intellettuali detrattori della guerra, dall’altra chi invece la bramava quasi con
ardore.

2 - La Grande guerra: lo scoppio del conflitto e le reazioni


immediate
Il casus belli si presentò il 28 giugno 1914, quando l’erede al trono asburgico
Francesco Ferdinando, in visita a Sarajevo, venne ucciso da uno studente
diciannovenne di nome Gavrilo Princip, di origine serba.
L’azione di Princip venne considerata da Vienna come collegata ad un atto terroristico
riconducibile all’associazione di terroristi denominata “Mano nera”, ispirata
all’ideale di panslavismo.
L’Austria-Ungheria, dopo essersi accertata dell’appoggio della Germania, inviò il 23
luglio 1914 un ultimatum al governo di Belgrado. Questi rifiutò le condizioni di pace,
dunque il 28 luglio 1914 l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia.

Il coinvolgimento dell’impero asburgico fu determinante nella reazione delle alleanze


e degli Stati in conflitto:
● la Russia si mosse subito in favore della Serbia;
● la Germania inizialmente chiese alla Russia la revoca del provvedimento e alla
Francia di rimanere neutrale; tuttavia, quando non ottenne risposta, dichiarò
guerra ad entrambe con conseguente occupazione militare del Belgio e del
Lussemburgo per giungere fino in Francia;
● la Gran Bretagna, temendo l’enorme portata del potenziale conflitto, si
propose come conciliatrice, tuttavia fu subito costretta a dichiarare guerra alla
Germania.

Lo scoppio della guerra portò allo scoppio di una condizione di frenesia bellica, col
conflitto che assunse connotazioni idealiste ed eroiche; in particolare i giovani,
animati da un sentimento di solidarietà nazionale, accolsero a braccia aperte il
neonato conflitto, tuffandocisi a capofitto. Perfino il mondo intellettuale e politico era
entusiasta all’idea dei combattimenti, ad esclusione tuttavia di due soli partiti
socialisti: quello russo e quello italiano (che più che condannare, percorse la via della
neutralità, adottando la filosofia di pensiero del “né aderire né sabotare”).

3 - 1914: fronte occidentale e fronte orientale


Iniziata la guerra, iniziò anche la stesura di effettivi piani di combattimento. Ne è un
esempio il piano Schlieffen tedesco: la Germania, considerati tutti i meccanismi di
difesa tra Stati scattati alla dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria nei confronti
della Serbia, temeva di dover combattere contemporaneamente su contro la Francia ad
Ovest e contro la Russia ad Est. Il piano Schlieffen, che dava una soluzione proprio a
questo problema, prevedeva una guerra lampo contro la Francia così che, una volta
terminata, ci si potesse concentrare esclusivamente sul fronte russo. Fu in questa esatta
direzione che procedette il generale tedesco von Moltke, ma la realtà era ben diversa
da quanto ci si era prospettato: occupato il Belgio ed arrivati a 40 km da Parigi, le
truppe del Reich vennero fermate dalle truppe transalpine, comandate dal generale
Joffre nella tanto famosa quanto sanguinosa Battaglia della Marna, alla fine della
quale l’armata tedesca perse gran parte del terreno conquistato.

La Battaglia della Marna tuttavia finì con un esito neutrale, senza vincitori o vinti. I
due eserciti iniziarono a fronteggiarsi lungo delle linee parallele definite trincee; la
guerra, almeno sul fronte occidentale, divenne una vera e propria guerra di
logoramento, che puntava all’estenuazione dei soldati coinvolti al fine di riuscire a
guadagnare dei metri di vantaggio.

Diversa era invece la situazione sul fronte orientale: l’armata russa avanzava sempre
di più, costringendo Berlino a richiamare uomini dal fronte occidentale per spedirli al
fronte orientale; questa si rivelò essere una tattica vincente, tanto che i generali
tedeschi Hindenburg e Ludendorff sconfissero i propri avversari nelle battaglie di
Tannenberg e dei laghi Masuri. I russi ottennero tuttavia un momento di rivalsa nella
battaglia di Leopoli, nella quale inflisse una dura sconfitta ai tedeschi. Un barlume di
luce per i due paesi dell’Alleanza si ebbe con l’entrata in guerra dell’Impero
Ottomano al loro fianco, mettendo in estrema difficoltà i paesi dell’Intesa e
costringendo anche la Russia alla lotta su due fronti.
4 - L’intervento italiano
Allo scoppio della guerra il premier Antonio Salandra, facente parte dei conservatori
liberali, dichiarò la neutralità dell’Italia nell’evento bellico avvalendosi del carattere
difensivo dell'Alleanza con impero asburgico e tedesco (era stata l’Austria-Ungheria
la prima a dichiarare guerra, dunque l’Italia non aveva l’obbligo di prendervi parte).
La maggior parte degli esponenti politici e intellettuali si dimostrò di atteggiamento
neutrale nei confronti della guerra, come ad esempio i cattolici (a partire dallo stesso
papa Benedetto XV) o i liberali giolittiani; i socialisti disprezzavano invece
l’eventualità di entrare in guerra.

Fra le schiere dei socialisti si distinse invece la persona di Benito Mussolini, il quale
era totalmente favorevole ad un’eventuale entrata in guerra, ipotesi che sostenne
tramite il giornale da lui fondato: Il Popolo d’Italia. A causa delle sue posizioni
venne espulso dal partito.
Tra gli interventisti troviamo anche:
● i sindacalisti rivoluzionari;
● gli interventisti democratici (tra cui Gaetano Salvemini);
● i liberali di destra (dai quali proveniva lo stesso premier);
● la destra nazionalista.

La posizione di Salandra e del suo partito si rivelò essere decisiva, in quanto egli
annunciò che era arrivato il momento di prendere decisioni animate da un sano
egoismo, facendo intendere che sarebbe entrato in guerra al fianco dello schieramento
che avrebbe proposto le migliori ricompense per la penisola italica, accarezzando
perfino l’idea di una svolta autoritaria del paese.
Data la scarsa disponibilità dell’Austria a concedere territori all’Italia, soprattutto
considerata la questione mai risolta delle terre irredente, il primo ministro, affiancato
dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino, si recò, di nascosto al Parlamento, a
Londra, dove venne stipulato un accordo (patto di Londra) con i rappresentanti
dell’Intesa, all’interno del quale si decise che l’Italia sarebbe entrata in guerra
schierata con gli ex rivali.

Maggio 1915: pur trovandosi di fronte ad un parlamento a maggioranza neutralista,


Salandra godeva dell’appoggio del re e dei nazionalisti. Tuttavia si scatenò una
protesta che portò Salandra a rassegnare le dimissioni. Si profilò dunque la possibilità
che Vittorio Emanuele III assegnasse a Giolitti l’incarico di formare un nuovo
governo, ma fu proprio a quel punto che la protesta raggiunse le dimensioni di una
pseudo-rivoluzione (“radiose giornate di maggio”). Dunque il re decise di assegnare
l’incarico di nuovo a Salandra (e Sonnino mantenne il ministero). Il 20 maggio
Salandra riuscì a farsi assegnare i pieni poteri dal governo in materia bellica, così il 23
maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.
Nella decisione dell’intervento giocarono un ruolo fondamentale gli interessi
economici. L’intera economia divenne una vera e propria economia di guerra, a
partire dalle industrie. In particolare la FIAT si diede alla fabbricazione di
mitragliatrici, bersaglieri e motori di aviazione.

5 - 1915-1916: anni di carneficine e massacri


Sul fronte occidentale la situazione era rimasta pressoché invariata sin dal 1914: per
tentare di modificare tale situazione la Germania decise di adottare una tattica di
sfondamento, concentrando dunque le proprie forze a Verdun. In risposta a Verdun le
forze dell’Intesa schierarono le proprie armate sulla Somme in una sanguinosa
battaglia (con coinvolgimento dei carri armati). I vari risultati non modificarono la
situazione, rendendo invariato lo stallo.

Sul fronte orientale l’intervento della Bulgaria (alleata dell’Alleanza) in guerra si


rivelò incredibilmente ostico per lo schieramento russo, e portò inoltre alla completa
sconfitta della Serbia.
La Russia tuttavia riuscì a riorganizzarsi e a sferrare una potente controffensiva,
evento che convinse la Romania a schierarsi di fianco all’Intesa, cosa che in realtà si
rivelò controproducente, data l’inadeguatezza dell’esercito rumeno, che venne
sbaragliato in fretta dagli Imperi Centrali che a loro volta occuparono il Paese.

Sul neonato fronte mediorientale invece la situazione era decisamente a vantaggio


dell’Intesa: i britannici aizzarono palestinesi, arabi e siriani a ribellarsi all’Impero
Ottomano (essenziale fu il ruolo di Lawrence d’Arabia, agente segreto inglese che
riuscì a guidare la guerriglia in medio Oriente e acquistò di conseguenza una fama
leggendaria).

Sul fronte balcanico l’esercito britannico, rafforzato da truppe australiane e


neozelandesi, tentò di aprire un varco che giungesse fino ad Istanbul tramite una
campagna militare nella penisola di Gallipoli. La tattica si rivelò in realtà fallimentare
e i britannici furono costretti a ritirare le truppe nel 1916.

Nell’esatto momento dell’offensiva inglese nei territori ottomani si consumò il tragico


genocidio degli armeni. Gli armeni, che avevano vissuto in pace fino al XIX secolo,
videro la propria tranquillità svanire nel momento in cui espressero la propria
solidarietà nei confronti della Russia nel momento delle proprie mire espansionistiche,
poiché i russi erano considerati come dei “fratelli” a causa della comune religione
ortodossa. Questi, dal canto loro, offrirono aiuto ai fratelli armeni quando vennero
espresse le istanze indipendentiste. I turchi ottomani da quel momento in poi
iniziarono a vedere gli armeni come dei veri e propri traditori, dei nemici interni. I
Giovani Turchi, in quel momento al governo, inaugurarono una campagna
propagandistica contro di loro, procedendo verso l’eliminazione sistematica e la
deportazione in campi di concentramento. Oltre un milione e mezzo di persone
morirono.

Sul fronte italiano la situazione si rivelò essere ben più complicata di quanto ci si
aspettasse. L’amministrazione del (blando) esercito italiano venne affidata al generale
Luigi Cadorna (scelto non per meriti militare ma per censo, scarsamente sensibile
alle esigenze dei soldati), con l’assenza di figure intermedie come sottufficiali e senza
un’effettiva preparazione militare dei soldati, i quali erano in larga parte dei contadini
senza nessuna precedente esperienza e per lo più ignari delle effettive cause della
guerra. Le truppe si diressero verso l’Austria, instaurando una guerra di posizione col
solo risultato dell’occupazione di Gorizia.

Consapevoli della manchevolezza dell’esercito italico, gli austriaci organizzarono una


spedizione punitiva (Strafexpedition) per punire gli italiani “traditori”. L’esercito
italiano tuttavia riuscì a organizzare una controffensiva in tempi sorprendentemente
rapidi e arrestò l’avanzata nemica. La spedizione austriaca ebbe però come effettiva
conseguenza la caduta del governo Salandra, sostituito da un governo di unità
nazionale guidato dal liberale Paolo Boselli. Il nuovo governo estese la
dichiarazione di guerra alla Germania. Cadorna conservò la carica di generale
dell’esercito, e reagì con repressione alla sfiducia dell’esercito, attuando la cosiddetta
decimazione.

Nel biennio ‘15-16 si venne persino a creare una sorta di fronte marittimo che vide
impegnate la Royal Navy britannica contro la flotta tedesca. Fin dai primi tempi di
guerra la Gran Bretagna attuò un blocco navale nella Manica per impedire la
circolazione delle navi tedesche, al quale Berlino decise di reagire con una guerra
sottomarina illimitata, talmente funzionale che i sommergibili tedeschi affondarono
il transatlantico inglese “Lusitania” nel 1915. Un anno più tardi ci fu la definitiva resa
dei conti nella Battaglia dello Jutland, ossia il più grande confronto navale della
Grande Guerra. La sconfitta per i tedeschi fu talmente grande che evitarono lo scontro
in mare aperto per tutti i restanti anni di guerra.

6 - La guerra “totale”
Il conflitto che imperversava nel mondo negli anni ‘10 del Novecento era un nuovo
tipo di conflitto, dalla portata mastodontica, senza precedenti (salvo che per la Guerra
dei Trent’anni, da molti considerato come il primo vero conflitto “mondiale”).
A fianco dell’Alleanza v’erano schierati Impero Ottomano e Bulgaria; di fianco
all’Intesa vi erano invece Brasile, Nicaragua, Liberia, Giappone ed in seguito Cina e
Stati Uniti.

La guerra portò ad una vera e propria mobilitazione di massa: la quasi totalità dei
cittadini maschili venne obbligata ad unirsi al fronte, e le donne, per la prima volta
nella storia, presero il posto dei rispettivi mariti nelle occupazioni o in organizzazione
come, ad esempio, la Croce Rossa.

La potenza bellica era senza precedenti, e milioni di uomini vennero massacrati,


incidendo non solo sul piano fisico ma anche e soprattutto su quello psicologico e
morale.

Alla popolazione vennero chiesti numerosissimi ed immani sacrifici, come prestiti di


guerra e un generale aumento delle tasse. Il provvedimento portò ad una diffusissima
denutrizione (con un conseguente aumento della mortalità infantile del 50%), alla
creazione di un mercato nero e alla riduzione dei diritti sindacali. Tutto ciò si può
racchiudere generalmente sotto l’espressione “Fronte interno”.

La propaganda ebbe un ruolo fondamentale, e vennero adottate le stesse tecniche di


persuasione adoperate dalla nascente pubblicità commerciale. Ci fu un generale
aumento della limitazione delle libertà, così come della censura e dell’omologazione
al pensiero unico.

Anche la produzione industriale e la ricerca tecnico-scientifica vennero indirizzate


alla causa militare.

7 - 1917: l’anno della svolta


Al termine del biennio ‘15-’16 iniziò un progressivo rallentamento dell’impeto sui
fronti di battaglia. Affiorò la stanchezza e le economie di guerra si trovarono ad
affrontare una fase calante. La situazione della Russia in particolare era critica, poiché
i soldati iniziavano a dare segni di cedimento. A quel punto in Russia iniziarono a
dilagare dei moti rivoluzionari che portarono alla nascita di un nuovo governo
guidato da Lenin, il quale iniziò subito le trattative per uscire dalla guerra: nel
dicembre del 1917 concluse un armistizio, mentre il 3 marzo 1918 uscì
definitivamente dalla guerra con il trattato di Brest-Litovsk.

La situazione non era migliore in altri Stati:


● in Francia la fanteria organizzò una protesta che venne duramente repressa, e
l’esecutivo venne affidato a Georges Clemenceau;
● in Italia insorse la città di Torino, aizzata dalle donne; perfino il papa
Benedetto XV, da sempre contrario alla guerra, inviò un appello che venne
tuttavia ignorato;
● in Germania si stava delineando una forte opposizione operaia alla guerra, ma
Hindenburg e Ludendorff assunsero un potere quasi dittatoriale.

Il ritiro della Russia dal conflitto aveva tuttavia messo in una grave condizione di
svantaggio l’Italia: l’Austria era ormai libera di spostare truppe dal fronte orientale per
far sì che raggiungessero il confine con la penisola. Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre
1917 dunque gli Imperi Centrali sferrarono un attacco alle truppe italiche, causando
una vera e propria carneficina nei pressi di Caporetto (da cui il nome: disfatta di
Caporetto). Il Friuli ed il Veneto caddero in mani asburgiche, tuttavia l’armata
italiana riuscì ad indietreggiare fino al Piave. La grave sconfitta sollevò l’opinione
pubblica: Boselli fu sostituito dal liberale Vittorio Emanuele Orlando. Anche Luigi
Cadorna venne sostituito dal napoletano Armando Diaz, ben più attento ai bisogni dei
soldati: fece molte concessioni alle truppe, cosa che permise di risollevare il morale
dell’esercito, e ristrutturò l’esercito e introdusse nuove cariche.

L’evento fondamentale del 1917 fu però l’entrata in guerra degli Stati Uniti, che già da
tempo intrattenevano relazioni commerciali con i paesi dell’Intesa. Il Paese, che fino a
quel punto fece l’interesse proprio e dei cittadini (anche considerato che il presidente
Woodrow Wilson era assolutamente contrario alla guerra), uscì dal proprio
isolazionismo solo quando i sommergibili tedeschi silurarono tre mercantili
statunitensi. Wilson dichiarò quindi guerra alla Germania in nome dei valori liberali e
democratici, sdoganando l’ideale di una “guerra per la democrazia”.

8 - 1918: la fine del conflitto


Decidendo di affrettare i tempi ed approfittando del ritiro della Russia, Hindenburg e
Ludendorff decisero di sferrare un’offensiva in grande stile per distruggere ciò che
rimaneva delle potenze nemiche. L’attacco venne sferrato a San Quintino, regione
francese. I due generali arrivarono di nuovo alla Marna, dove giunsero nel 1914,
tuttavia l’Intesa riuscì a respingere i tedeschi per l’ennesima volta, fermando quindi
definitivamente l’armata dei tedeschi (grazie al generale francese Ferdinand Foch, il
quale coordinò un esercito franco-britannico).
Nell’estate del 1918 fu quindi possibile sferrare l’ultima, grande offensiva contro
l’esercito tedesco, questo grazie all’arrivo dei soldati statunitensi, nella seconda
battaglia della Marna e nella battaglia di Amiens. La guerra, per i tedeschi, era
ormai irrimediabilmente persa.

Per quanto riguarda il fronte italiano, l’esercito nostrano, forte dell’appoggio dei
“ragazzi del ‘99”, vinse definitivamente contro gli austro-ungarici nella battaglia di
Vittorio Veneto. L’armistizio venne firmato il 3 novembre del 1918; il generale Diaz
annunciò la vittoria il 4 novembre 1918.

Contemporaneamente gli Inglesi vincevano definitivamente anche contro l’Impero


Ottomano: l’armistizio venne firmato il 30 ottobre 1918.

L’impero asburgico, infine, iniziò a smembrarsi: venne dichiarata l’indipendenza della


Repubblica cecoslovacca, dello Stato iugoslavo e dell’Ungheria. In Austria si
affermò invece un governo repubblicano.
La Germania invece affidò il governo provvisorio ad Friedrich Ebert dopo che la
flotta tedesca si ammutinò (evento che diede avvio alla “settimana rossa”, settimana
di proteste operaie).

Il bilancio di perdite umane fu di circa 17 milioni, esclusi tutti i mutilati e i feriti.


Subito dopo la fine della guerra, l’Europa venne flagellata dalla comparsa
dell’influenza “spagnola” (definita così poiché furono gli spagnoli i primi a
denunciarne la comparsa, data la censura presente negli altri Stati), che provocò un
numero di vittime compreso tra i 40 ed i 50 milioni.

9 - I problemi della pace


Mentre la guerra era ancora in corso, il presidente statunitense Wilson annunciò un
programma per la pace, divenuto celebre come i “Quattordici punti”, i quali
riguardavano questioni territoriali ed interesse dei popoli:
● evacuazione delle truppe tedesche dal Belgio;
● riconoscimento dei diritti di Romania e Serbia;
● restituzione della Francia di Alsazia e Lorena;
● creazione di uno Stato polacco indipendente;
● sviluppo autonomo dei Paesi dell’ex impero asburgico e dell’ex Impero
Ottomano;
● principio di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli;
● diplomazia;
● abolizione di barriere del commercio;
● armamenti nazionali ridotti al minimo;
● rivendicazioni coloniali affrontate con spirito di equità;
● istituzione di una Società delle Nazioni.

Tra le grandi nazioni europee tuttavia prevalse la volontà di penalizzare la


Germania, vista come unica responsabile del conflitto. L’8 gennaio 1919 si aprì a
Versailles la conferenza generale per la pace:
● la Francia volle addebitare ai tedeschi le spese della ricostruzione e rivendicò
l’Alsazia e la Lorena;
● la Gran Bretagna, che aveva già raggiunto i propri obiettivi durante la guerra,
decise di accondiscendere alle richieste della Francia per ottenere l’assenso
transalpino alle successive richieste di spartizione dei territori.
La pace di Versailles imponeva alla Germania:
● la cessione di tutte le colonie e la restituzione di Alsazia e Lorena alla Francia;
● concessione di diversi territori alla Polonia;
● la concessione alla Francia dello sfruttamento per 15 anni del bacino
minerario della Saar;
● imponenti riparazioni di guerra;
● smilitarizzazione della Renania;
● smantellamento quasi totale della flotta e dell’aeronautica;
● esercito che non superasse le 10.000 unità.

L’Austria occupò un territorio di gran lunga minore alla fine della guerra e cedette
territori alla Polonia, alla Romania e all’Italia (Trattato di Saint-Germain). Sorsero
nuove nazioni: Ungheria (Trattato del Trianon); Repubblica cecoslovacca e Regno
di Jugoslavia. L’Italia prese le Terre Irredente e l’Istria. Venne riconosciuta
l’indipendenza della Bulgaria (Trattato di Neuilly).

Col Trattato di Sèvres si stabilì che la Turchia sarebbe stata ridimensionata e avrebbe
compreso la sola Istanbul, ed avrebbe inoltre ceduto il controllo di Palestina e Iraq
alla Gran Bretagna (insieme a penisola araba, Yemen e Transgiordania), di
Libano e Siria alla Francia. Altri territori passarono alla Grecia.

La Russia perse Ucraina (solo momentaneamente, dato che la riacquisterà con la


conferenza di pace di Parigi), Polonia, le province baltiche e Finlandia. Questo con
l’obiettivo di isolare e contenere il fenomeno del comunismo.

Il 28 aprile 1919 venne firmato il patto che sanciva la nascita della Società delle
Nazioni, amministrata da un Consiglio formato da 5 membri permanenti (Stati Uniti,
Gran Bretagna, Italia, Francia e Giappone) ed altri 4 membri eletti dall’assemblea. Se
una nazione non avesse rispettato quanto sancito dai Quattordici Punti, sarebbe stata
sanzionata economicamente. Tale Società si rivelò tuttavia fallimentare: si sentiva la
mancanza di un esercito permanente e tutte le questioni dovevano essere approvate
all’unanimità, cosa che rese estremamente comuni gli stalli. Gli Stati Uniti tuttavia
non aderirono, e vennero escluse Russia e Germania.

Nei trattati di pace vi erano però molti limiti:


● la formazione di nuovi stati non eliminò la presenza di minoranze nazionali
inglobate a forza all’interno di nuovi Stati, creando così difficili situazioni di
convivenza;
● l’umiliazione inflitta alla Germania sarebbe stata determinante nei successivi
eventi europei, fino ad arrivare allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale;
● la Società delle Nazioni si rivelò un fallimento;
● la fine degli imperi plurisecolari (zarista, asburgico e ottomano) creò una nuova
situazione di instabilità politica internazionale, in particolar modo per gli effetti
a lungo termine che la Rivoluzione Russa ebbe.

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