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L’imperialismo è un modo di porsi diverso nei confronti degli altri stati, diventa un
controllo politico e militare. Le nazioni vogliono espandere la propria egemonia in
latri territori, tutto questo non lo fanno con lo scopo di difendersi, bensì di
conquistare per avere risorse, ricchezza, per avere un incremento dei mercati e più
materie prime. Un altro motivo è il desiderio di avere il controllo politico e militare,
e quindi sfruttare le risorse altrui. Con il termine colonialismo facevamo riferimento
alle nuove potenze che volevano colonizzare vari territori, con l’imperialismo è
utilizzata anche la forza. Con il processo di industrializzazione, ogni Nazione ha
bisogno di nuovi sbocchi per produrre di più, si ha bisogno di risorse, giacimenti e si
ha bisogno di cercare nuovi punti per esportare i propri prodotti per migliorare la
produzione. Queste nazioni cominciano a fare uso di manodopera a basso costo, per
loro conquistare significava dare nuovi posti di lavoro. Giolitti si trova di fronte a
un’Italia che si era trovata in disparte per quanto riguardava l’imperialismo, ma che
adesso comincia ad emergere, si diffuse ben presto la convinzione che bisognasse
rischiare per inserirsi nel contesto mondiale. Però verso gli inizi del 900 la politica di
Giolitti attraversa un periodo di crisi, a causa delle lamentele da parte dei grandi
colossi dell’industria pesante, le quali non avevano sufficienti domande di
produzione. Anche le banche, le quali erano fonti di risorse e capitali, non si
sentivano inserite nel contesto internazionale, e quindi chiedevano che l’Italia non
prendesse una posizione di egemonia ma di entrare in competizione con le altre
potenze mondiali.
Il fronte italiano
L’Italia quando entrò in guerra si concentrò sul fronte orientale al confine tra Regno
d’Italia e Impero austro-ungarico. Il conflitto si trasforma subito in una guerra di
posizione, ma si tratta di una guerra senza senso sia pratico che morale: pratico perché
ogni conquista innescava la reazione avversaria, senza vantaggi da parte dell’uno o
dell’altro, morale perché gli stati maggiori sembrano del tutto incuranti delle perdite
umane, causò fenomeni di insubordinazione, i quali vennero repressi in modo spietato.
Nella seconda metà del 1915 il generale Luigi Cadorna, capo dell’esercito italiano,
disponendo di un esercito superiore di numero rispetto a quello austriaco, ordinò ben 4
offensive sul fiume Isonzo, che non si rivelarono solo inutili, ma anche terribili in quanto
a perdite umane. I limiti della strategia tedesca emersero quando il generale francese
Joffre nel tentativo di distrarre il nemico tedesco, sollecita italiani e russi a compiere
azioni diverse sui rispettivi fronti, che impedissero al nemico di praticare la tecnica
dell’usura. Cadorna nonostante i tentativi falliti, ordinò una quinta offensiva sull’Isonzo,
anche questa volta gli italiani vennero respinti, provocando l’ira dell’Austria, la quale le
dichiarò guerra, ma la Russia interviene vincendo lo scontro. Questo scontro era finito,
ma di certo non per merito dell’esercito italiano, anzi aveva dato prova di fragilità e
debolezza, ciò portò alla caduta del governo Salandra.