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La formazione degli 

Stati Uniti, costituitisi in nazione indipendente alla fine del


XVIII secolo, trae le sue origini dalle esplorazioni geografiche avviate alla fine
del XV secolo con i viaggi di Cristoforo Colombo e di Giovanni Caboto. All'inizio
del XVI secolo i primi gruppi di coloni europei, provenienti principalmente
dalla Spagna, dalla Francia e dall'Inghilterra, si insediarono nei territori
nordamericani dove vivevano gruppi di indigeni seminomadi. Se si escludono le
regioni dell'attuale Messico, divenute possedimento degli
spagnoli, la colonizzazione europea rimase episodica fino alla fine del XVI secolo.
Le guerre europee tra Spagna e Inghilterra ebbero riflessi internazionali nel
momento in cui gli inglesi, spinti a contendere agli spagnoli la supremazia sui
mari, per impulso di Walter Raleigh promossero la formazione di colonie stabili
in Virginia.
I PRIMI INSEDIAMENTI NELLE COLONIE AMERICANE 
 
All'inizio del XVII secolo la Compagnia della Virginia, nata da un'associazione
di mercanti londinesi, dopo avere ottenuto dalla Corona i privilegi per lo
sfruttamento della costa atlantica dell'America del Nord, stabilì alla foce del
fiume James, nella baia di Chesapeake, il primo insediamento stabile,
Jamestown. Pressoché contemporaneamente esploratori francesi procedettero
alla ricognizione del territorio che includeva l'intera valle del fiume Mississippi,
ponendo le premesse per il controllo della vasta area compresa tra la regione dei
Grandi Laghi e il golfo del Messico, mentre coloni olandesi si stanziarono sulla
costa, fondando nel 1624 la città di Nuova Amsterdam (l'attuale New York). Nel
secondo decennio del XVII secolo la colonizzazione inglese venne favorita
dall'emigrazione di persone appartenenti a sette religiose, perlopiù di
orientamento puritano, le quali cercavano un luogo in cui potere liberamente
esercitare il proprio culto e costruire una società a misura dei loro ideali. Il
viaggio che nel 1620 i Padri Pellegrini, membri di una congregazione calvinista,
effettuarono a bordo della Mayflower e la fondazione della colonia di Plymouth,
nel New England, sarebbero divenuti eventi costitutivi dell'identità storica
degli Stati Uniti. La forte impronta religiosa, la libera iniziativa di individui uniti
da comuni valori etici, la forma democratica del governo della colonia, una
notevole autonomia da Londra, che si concretizzava in forme di autogoverno,
furono i tratti di fondo sui quali si costruì il modello coloniale nel territorio del
New England.
STORIA DELLE 13 COLONIE AMERICANE 
 
Nel corso del XVIII secolo si definirono le peculiarità delle tre grandi aree
nordamericane in cui erano inseriti gli stati coloniali inglesi, saliti al numero
di tredici: quella meridionale (Virginia, Maryland, South e North Carolina, e
Georgia), nella quale dominavano i latifondi agricoli riservati alla coltivazione di
riso, tabacco e cotone; quella centrale (New York, New Jersey, Delaware e
Pennsylvania), in cui cerealicoltura e commercio navale si integravano;
quella settentrionale (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New
Hampshire), cuore della prima colonizzazione inglese, anch'essa a economia
mista, agricola e manifatturiera, che aveva nel porto di Boston il suo centro
propulsore. 
GUERRA DI INDIPENDENZA AMERICANA: CAUSE 
 
La supremazia economica dell'Inghilterra nei commerci mondiali fu sanzionata
dall'espansione territoriale in America, conseguita con le vittorie militari a
danno prima della Spagna, nella guerra di successione spagnola (1701-1714) e poi
della Francia, nella guerra dei Sette anni (1756-1763), in seguito alla quale i
britannici ottennero il Canada, la Florida, la Louisiana orientale.
Intanto i tredici stati americani acquisivano posizioni di forza nel rapporto con la
madrepatria, perché le ragioni dello scambio commerciale volgevano a loro
favore: crescevano le esportazioni di legname, grano, tabacco, cotone, e il
numero delle navi fabbricate nei cantieri americani, mentre diminuiva
l'importazione di merci dall'Inghilterra. Erano i primi segni di una volontà di
indipendenza. La popolazione delle colonie era intanto salita da 250.000 abitanti
nel 1700 a oltre due milioni nel 1770. Anche sul piano politico il rapporto
tra colonie e madrepatria cambiò e quando il parlamento inglese nel 1764-65
impose il Sugar and Molasses Act (tassa sullo zucchero) e lo Stamp Act (tassa sugli
atti d'ufficio) nacquero le prime forme di resistenza delle tredici colonie, che
decisero per il boicottaggio delle merci inglesi. Si stava andando verso
l'indipendenza americana.
LA PROTESTA PER LA TASSA SUL TÈ A BOSTON 
 
A Boston, nel 1770, un contingente inglese sparò sulla folla che dimostrava
contro nuove tasse, provocando alcuni morti: l'episodio suscitò forte emozione e
contribuì ad aggravare la frattura tra il governo di Londra e i coloni americani.
Negli anni successivi le posizioni si radicalizzarono da entrambe le parti, mentre
continuava la protesta contro la tassa sul tè. Nel dicembre 1773 i coloni, per
protesta contro la concessione del monopolio della vendita del tè alla Compagnia
delle Indie Orientali, affondarono tre navi cariche di tè all'ancora nel porto di
Boston (Boston Tea Party). Seguirono ritorsioni da parte del governo di Londra a
cui i rappresentanti dei tredici stati risposero rafforzando la loro alleanza
e rivendicando l'autogoverno delle colonie nel primo Congresso continentale del 5
settembre 1774.
 
DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA AMERICANA: RIASSUNTO 
 
Poco tempo dopo, il conflitto politico si trasformò in scontro armato, intrapreso
inizialmente dallo stato del Massachusetts e divenuto una scelta generale
al secondo Congresso continentale (1775), quando i tredici stati votarono a favore
del reclutamento di un esercito, che affidarono al comando di George
Washington: era l'inizio della Rivoluzione Americana che avrebbe portato
l'indipendenza del Paese. Inoltre decisero l'emissione di una moneta americana e
assunsero le prerogative di autorità di governo delle colonie. Superando le
resistenze dei moderati e dei lealisti, contrari alla separazione dall'Inghilterra, i
rappresentanti più radicali si batterono fino a ottenere l'approvazione
della Dichiarazione d'indipendenza (4 luglio 1776), che rappresentò l'atto di
nascita degli Stati Uniti.
GUERRA D'INDIPENDENZA AMERICANA: CONSEGUENZE 
 
Dalla parte degli insorti americani e dopo la loro vittoria a Saratoga Springs nel
1777, scesero in campo la Francia, l'Olanda e la Spagna: i loro aiuti militari
(soprattutto dei francesi) e finanziari spostarono l'equilibrio del conflitto. Dopo
cinque anni di operazioni, segnate da rari scontri in campo aperto, perlopiù
conclusi a favore degli americani, e a seguito della sconfitta inglese a Yorktown
(1781), furono intavolate trattative di pace che, con la mediazione della Francia,
sfociarono nella firma del trattato di Parigi (1783) e nell'indipendenza delle
colonie americane.
Abbiamo parlato della Rivoluzione americana e della Guerra d'Indipendenza
americana, l'una conseguenza dell'altra. 
Ottenuta l'indipendenza, occorreva definire quale forma di governo le ex colonie
intendessero applicare. Ogni stato presentava proprie specifiche identità, non
facilmente integrabili tra loro, e profonde erano le divergenze politiche: per
questo motivo prevalse l'idea che ogni stato fosse libero di autodeterminarsi
adottando una propria costituzione. Si configurò un ventaglio assai diversificato
di opzioni generali, che andavano dal mantenimento di antiche carte redatte in
epoca coloniale all'adozione di moderne costituzioni (come nel caso della
Virginia) che sancivano i principi dell'eguaglianza, della libertà, della divisione dei
poteri e rifiutavano la schiavitù. Fu scelto un sistema federale, che conciliava le
tradizioni del particolarismo e della differenziazione religiosa, che
caratterizzavano i singoli stati, con le ragioni dell'interesse comune, della difesa
militare, dell'impulso allo sviluppo cementate dalla guerra di indipendenza.
IL TESTO DELLA COSTITUZIONE AMERICANA: RIASSUNTO 
 
Il testo della Costituzione degli Stati Uniti d'America, redatto nel Congresso di
Philadelphia del 1787, sanciva le idee dei federalisti: stabiliva infatti un rapporto
di elezione diretta tra cittadini e governo centrale e di sovranità diretta del
secondo sui primi nell'ambito di determinate competenze (finanze, politica
estera, guerra), fatta salva la garanzia di ampie autonomie ai singoli stati. Gli
organi principali del governo centrale furono fissati nel Congresso (costituito
dalla Camera, eletta a suffragio universale maschile e con sistema proporzionale,
e dal Senato, composto da due senatori per ogni stato), nel Presidente, eletto ogni
quattro anni con un sistema indiretto e dotato di forti poteri esecutivi, e
nella Corte Suprema, garante dell'unione federale.
DALLA COSTITUZIONE AMERICANA ALLE PRIME ELEZIONI: GEORGE WASHINGTON 
George Washington, 1° presidente degli Stati Uniti
d'America — Fonte: Getty-Images
Nelle prime elezioni, tenutesi il 4 febbraio 1789, fu eletto presidente George
Washington. Lo slancio economico che segnò gli anni di formazione degli Stati
Uniti fu favorito dalla colonizzazione di nuove terre a ovest, dove alla fine del
Settecento sorsero i nuovi stati del Vermont, del Kentucky, del Tennessee, seguiti
all'inizio dell'Ottocento da Ohio, Indiana, Michigan e Wisconsin. Iniziò allora
l'avanzamento della frontiera verso il Pacifico, che consegnò agli americani uno
spazio divenuto via via di dimensioni continentali, immenso serbatoio di terre e
di risorse agricole e minerarie.
STORIA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA: L'ELEZIONE DI JEFFERSON 

Ritratto di Thomas Jefferson — Fonte: Istock


Il dibattito politico, inasprito dagli echi della Rivoluzione francese e dalle
opposizioni alla sovranità del potere federale, vide emergere il partito
repubblicano: a quest'ultimo apparteneva Thomas Jefferson, il quale,
eletto presidente nel 1800 e riconfermato nell'incarico nel 1804, interpretò la
volontà della grande massa dei piccoli proprietari terrieri (i farmers), spostando
l'equilibrio federale a favore dell'autogoverno locale. L'atto più importante della
sua presidenza fu l'acquisto della Louisiana, la cui annessione raddoppiò la
superficie degli Stati Uniti e ne orientò lo sviluppo verso la colonizzazione.
Tra il 1806 e il 1809 Jefferson decretò una serie di misure che vietarono lo
scambio commerciale con i paesi europei (Non-Importation Act, Embargo Act, Non-
Intercourse Act), allo scopo di protestare contro le violazioni dei diritti
commerciali dei paesi neutrali, compiute da Francia e Inghilterra nel corso
delle guerre napoleoniche.
DALLA COSTITUZIONE AMERICANA AL CONFLITTO CON L'INGHILTERRA 
 
Durante la presidenza di James Madison, le tensioni crescenti con la Gran
Bretagna nel 1812 portarono allo scoppio del conflitto anglo-americano, che si
protrasse fino al 1814 con sorti alterne, ma senza risolutive operazioni militari:
agli americani non riuscì il tentativo di sollevare il Canada, rimasto leale alla
Corona, mentre gli inglesi riuscirono a conquistare Washington, venendo poi
bloccati a Baltimora. Nel trattato di Gand, che pose fine al conflitto, i due paesi si
impegnarono a restituirsi i territori conquistati e a definire in successivi colloqui
la linea meridionale del confine canadese. Da quell'esperienza uscì rafforzato il
sentimento nazionale degli americani, ormai persuasi che il loro futuro dovesse
svincolarsi del tutto dalle vicende europee.
 
Nella prima metà del XIX secolo il territorio federale si accrebbe con l'ingresso
nell'Unione degli stati della Louisiana (1812), dell'Indiana (1816), dell'Illinois
(1818), dell'Alabama (1819) e della Florida (1819). Nel 1936 entrò a far parte
dell'Unione il Texas, staccatosi dal Messico; nel 1846 il territorio del Nord-Ovest,
che gli Stati Uniti ottennero in seguito a un trattato con la Gran Bretagna, e del
vasto Sud-Ovest, ottenuto con la guerra contro il Messico.
A metà Ottocento il confine occidentale era giunto al Pacifico e si contavano più di
trenta stati aderenti all'Unione. Un'economia fiorente e in rapido sviluppo
agevolò il precoce avvio dell'industrializzazione, che mise radici negli stati
atlantici, in particolare in quelli del Nord-Est, dove sorsero fabbriche moderne,
all'avanguardia nello sviluppo tecnologico. Gli americani furono tra i primi a
produrre, utilizzando la tecnologia del vapore e degli altiforni, i battelli a
propulsione meccanica e le locomotive. Si lanciarono quindi nella corsa alla
costruzione di strade ferrate in modo così intenso che la rete ferroviaria
americana nel 1860 risultava la più estesa al mondo. Il nuovo mezzo
di trasporto accompagnò e sostenne lo sviluppo economico, fornendo
l'intelaiatura infrastrutturale senza la quale non sarebbe stato possibile
organizzare uno spazio di quelle dimensioni. La rapidità di tale sviluppo risultò
più accentuata nel settore industriale, nel quale a metà secolo gli Stati Uniti si
collocavano al quarto posto nella graduatoria mondiale.

STORIA AMERICANA 1800: LA CRESCITA DEMOGRAFICA 


 
Altrettanto eccezionale fu la crescita demografica: la popolazione balzò dai 9,5
milioni di abitanti del 1820 agli oltre 31 milioni del 1860, con un tasso di
incremento che non aveva eguali nella storia. Significativa fu la quota
dello sviluppo demografico derivante dall'immigrazione: un flusso migratorio, a
crescita quasi esponenziale, mosse dall'Europa, principalmente dall'Irlanda,
dalla Germania e dalla Scandinavia. Numerosi giunsero anche gli africani,
deportati in schiavitù per essere sfruttati come forza lavoro nelle piantagioni di
cotone e di tabacco degli stati meridionali. Gli immigrati bianchi in parte si
stabilirono negli originari tredici stati, in parte si diressero verso ovest, là dove
un territorio vergine e sconfinato offriva un incessante richiamo allo spirito
d'avventura di coloni e di pionieri. La scoperta dell'oro in California nel 1849
spinse migliaia di persone a dirigersi all'Ovest e a popolare le coste del Pacifico.
Fu questo il contesto in cui nacque l'epopea del "Far West" (il "lontano Ovest"),
un'epopea dapprima di carattere contadino, ma ben presto personificata da
allevatori di bestiame, artigiani, commercianti, banchieri, costruttori di ferrovie,
giunti in massa al richiamo delle grandi potenzialità affaristiche offerte
dall'Ovest. A farne le spese furono le popolazioni indigene, che vennero
letteralmente sterminate.
STORIA DELL'AMERICA IN BREVE: LE TENDENZE ISOLAZIONISTE 

James Monroe, il 5° presidente degli Stati Uniti


d'America — Fonte: Istock
Dopo la guerra del 1812-1814 contro i britannici, si radicarono nella politica
americana le tendenze isolazioniste, favorite proprio dalla Gran Bretagna,
convinta che l'America, al riparo da qualsiasi ingerenza europea, si sarebbe
adattata a una posizione di dipendenza economica. Alla presidenza di James
Monroe si fa risalire la proclamazione ufficiale della linea isolazionista,
compendiata nella celebre formula "L'America agli americani". Sotto la
presidenza di Andrew Jackson (1829-1837), esponente di punta del partito
democratico, si posero le basi della democrazia americana, imperniata sulla
diffusa partecipazione popolare, sull'allargamento del suffragio (con l'esclusione
dei neri) e sul carattere elettivo di molte cariche istituzionali. Si stabilizzò
contemporaneamente il bipolarismo partitico: da una parte il partito democratico,
con forte insediamento sociale al Sud, espressione dello spirito libertario e
individualista degli uomini della frontiera, con venature radicali che lo
collocavano a sinistra; dall'altra il partito Whig, apparso nel 1834, espressione
degli interessi industriali e finanziari del Nord.
STORIA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA: LO SVILUPPO ECONOMICO 
 
Già alla fine del XVIII secolo le differenze economiche e politiche apparivano
polarizzate dal contrasto tra gli stati del Nord e quelli del Sud, un contrasto che
per diverso tempo si concentrò sulle tariffe doganali: gli stati meridionali erano
favorevoli al libero commercio perché le materie prime da loro prodotte, come il
cotone e il tabacco, non avevano rivali sul mercato internazionale. La libertà
commerciale costituiva la condizione per la prosperità dell'economia agricola
delle grandi piantagioni del Sud. Gli stati industriali del Nord, al contrario,
propugnavano misure protezionistiche per tutelare le loro merci dalla
concorrenza dei manufatti inglesi. Proprio in merito a questioni commerciali fu
lanciata la prima minaccia di secessione quando, nel 1828, il South Carolina si
dichiarò pronto a staccarsi dall'Unione se fosse stata approvata una tariffa
doganale considerata contraria agli interessi dei suoi coltivatori.
STATI UNITI D'AMERICA, IL CONTRASTO TRA NORD E SUD: VERSO LA GUERRA DI
SECESSIONE 
 
La causa fondamentale del contrasto risiedeva tuttavia nella schiavitù. La linea di
separazione tra stati schiavisti e stati antischiavisti, definita dal Compromesso del
Missouri (1820), correva tra il Missouri, il Delaware, il Maryland e il West
Virginia: a settentrione la schiavitù era proibita, a sud legalizzata. La questione
riguardava circa 4.000.000 di africani, oltre il 12% della popolazione. Il
contrasto si acuì in seguito all'ingresso nell'Unione dei nuovi stati del Texas,
dell'Oregon e della California, che metteva in discussione il Compromesso del
Missouri, e quindi alla legge sul Kansas e sul Nebraska, che stabiliva il principio
in base al quale ogni stato era libero di decidere sullo schiavismo,
indipendentemente dalla propria collocazione geografica. A contrastare le
tradizioni e gli interessi del fronte schiavista si formò negli anni Trenta
un movimento abolizionista, presto trasformatosi in forza politica a carattere
partitico, che prese nome di Free Soil Party, partito del "libero suolo", favorevole
al contenimento della schiavitù negli antichi confini. Da questo nucleo si costituì il
Partito repubblicano, nel quale emerse una corrente decisamente abolizionista.
I ritmi accelerati dell'industrializzazione e la rapida diffusione
del capitalismo finanziario e industriale, furono all'origine di conflitti sociali che
videro protagonisti i contadini e gli operai. Nelle campagne dell'Ovest la
pressione a cui erano sottoposti i piccoli coltivatori indipendenti (farmers)
dall'espansione delle grandi società capitalistiche scatenò una serie di proteste
anche violente, dalle quali derivò la formazione del People's Party. Si trattava di
un partito che voleva tutelare gli interessi dei farmers, ma che al tempo stesso
sapeva accogliere rivendicazioni e speranze della classe operaia, alleandosi
all'American Federation of Labour, la grande confederazione sindacale fondata
nel 1886. Il momento di massima influenza del Partito Populista si registrò alle
elezioni del 1896, nelle quali il candidato William Jennings Bryan si alleò ai
democratici sulla base di un programma che mirava alla riduzione del
monopolio fondiario, a una rigorosa legislazione "antitrust" e a una maggiore
equità fiscale.
La sconfitta subita a opera del repubblicano William McKinley segnò la crisi del
movimento populista e il trionfo dei valori del capitalismo
STORIA DELL'AMERICA IN BREVE: LA POLITICA ESTERA 
 
Dalla dirompente crescita della produzione e dai processi di concentrazione
capitalistica scaturirono spinte imperialistiche analoghe a quelle che
giustificavano la contemporanea colonizzazione dell'Africa, operata dalle potenze
europee. Tuttavia l'imperialismo americano, a differenza di quello europeo, non si
orientò all'occupazione militare di spazi extranazionali né al loro controllo
diretto, basandosi piuttosto su forme indirette di condizionamento. Fu
la presidenza McKinley a inaugurare una politica estera coerente con queste
premesse: nel 1898, dopo l'affondamento di una corazzata americana
all'Avana, gli Stati Uniti mossero guerra alla Spagna appoggiando un movimento
cubano anticoloniale. La rapida sconfitta della Spagna consentì a Cuba di
rendersi indipendente e agli Stati Uniti di rafforzare la loro presenza sull'isola.
Avendo contemporaneamente ottenuto Puerto Rico e le Filippine e annesso le
isole Hawaii, gli americani si ritagliarono in brevissimo tempo un grande spazio
di egemonia, candidandosi a esercitare un ruolo di potenza mondiale.
prima moderna legislazione per la difesa dei consumatori contro le
frodi alimentari e medicinali e per la protezione dell'ambiente. In politica
estera Roosevelt attuò la politica del big stick, favorendo la separazione del
Panamá dalla Colombia (1903).

 
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Roosevelt si impegnò per convincere
Congresso e opinione pubblica della necessità di fornire aiuti agli stati aggrediti
da Adolf Hitler. Dopo la terza elezione a presidente, Roosevelt rinsaldò i legami
con le democrazie occidentali firmando con Winston Churchill la Carta
atlantica (1941), che riaffermava l’autodeterminazione dei popoli.
 
Quando i giapponesi bombardarono il porto di Pearl Harbor, nelle Hawaii gli
USA decisero di entrare in guerra. Alle operazioni di guerra si correlò un'intensa
attività diplomatica, condotta da Roosevelt e Churchill nelle Conferenze del
Cairo, di Teheran e di Jalta, che ebbero effetti risolutivi sia per le sorti della
guerra sia per la sistemazione geopolitica del dopoguerra.
 
IL PIANO MARSHALL 
 
La guerra segnò l'espansione planetaria degli Stati Uniti. In Europa con il piano
Marshall (1946) furono distribuiti grandi aiuti finanziari e materiali, necessari a
rimettere in sesto l'economia postbellica. Si trattava di una necessità prioritaria
per gli stessi Stati Uniti perché un'Europa in ripresa avrebbe potuto divenire un
mercato per l'economia americana.

Il contrasto che già nell'immediato dopoguerra divise Stati Uniti e Unione


Sovietica, assunse un carattere totale: fu un conflitto ideologico, strategico, politico
ed economico. Il democratico Harry Truman, presidente dal 1945 al 1953, fu
artefice di una linea politica tendente all'arretramento del comunismo nel mondo,
nella quale si collocarono sia il piano Marshall di aiuti all'Europa, esteso a livello
mondiale col programma detto del "Quarto punto", sia il patto atlantico di
alleanza militare dei paesi occidentali (NATO). Il clima di contrapposizione quasi
religiosa che si respirava negli anni della cosiddetta Guerra Fredda contagiò
anche la politica interna americana, con la campagna anticomunista
(il maccartismo, dal nome del suo promotore, il senatore Joseph McCarthy), che
colpì soprattutto artisti, intellettuali e sindacalisti. In Corea, Truman non esitò a
inviare un corpo di spedizione per ricacciare le forze comuniste dal Sud: la
guerra che derivò coinvolse anche URSS e Cina e costituì il primo episodio di
conflitto regionale combattuto con l'intervento diretto delle superpotenze.
EISENHOWER E GUERRA FREDDA 
 
Il successore di Truman, Dwight David Eisenhower, governò tra il 1952 e il 1960,
in un periodo di contraddizioni: da una parte l'economia raggiunse livelli record,
dimostrando agli americani come il sistema capitalistico consentisse a milioni di
persone di raggiungere il benessere e di incrementare i consumi; dall'altra
emersero conflitti razziali che sembravano appartenere al passato. Gravi
disordini portarono alla luce la questione dei neri, che denunciarono
la discriminazione razziale e la povertà della loro condizione di vita. In politica
estera Eisenhower estese la presenza militare americana in Asia, fornendo aiuti
militari al Laos e patrocinando la costituzione della SEATO (organizzazione
militare di difesa dei paesi non comunisti del Sud-Est asiatico). Nel corso
della crisi di Suez (1956) tenne una condotta prudente che di fatto smentiva
l'azione militare di forza anglo-francese, pensata in risposta alla
nazionalizzazione del canale da parte dell'Egitto, ma sospese gli aiuti finanziari
promessi al presidente Nasser.
 
KENNEDY E GUERRA FREDDA 
 
Il programma elettorale battezzato "Nuova frontiera" con cui John F.
Kennedy vinse le elezioni del 1960, frutto della collaborazione con gli intellettuali
democratici, suscitò speranze in patria e nel mondo perché indicava la necessità
di superare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, e di migliorare le relazioni
internazionali. Una volta presidente, Kennedy sostenne la costituzione dei Corpi
della Pace (associazioni di volontari impegnati per lo sviluppo nei paesi del Terzo
Mondo), varò il piano di "Alleanza per il progresso", per aiutare l'economia
latinoamericana, e misure per l'integrazione dei neri, fortemente volute dal
fratello Robert, allora ministro della Giustizia. Proprio in America latina, a Cuba,
Kennedy appuntò la sua attenzione temendo che la rivoluzione castrista aprisse le
porte a un avamposto del comunismo, tanto pericoloso quanto più era prossimo
ai confini americani. Quando la minaccia si concretizzò con l'installazione dei
missili sovietici, Kennedy decretò il blocco dell'isola, sfidando la reazione
sovietica. Il ritiro dei missili da Cuba scongiurò quella che era parsa la minaccia
di una terza guerra mondiale.
 
Guerra fredda: riassunto dei principali eventi

GUERRA FREDDA: LA POLITICA DEL PRESIDENTE LYNDON B. JOHNSON 


 
La morte di Kennedy (1963), in un attentato compiuto a Dallas (Texas) in
circostanze mai del tutto chiarite, portò alla presidenza Lyndon B. Johnson, il
quale estese la politica d'integrazione razziale, turbata da gravi tumulti che
sconvolsero alcune grandi città e dall'assassinio del leader nero Martin Luther
King (1968). Sotto la presidenza Johnson, l'impegno americano
in Indocina crebbe considerevolmente e iniziarono anche i bombardamenti di
città nordvietnamite (Guerra del Vietnam). Ma l'impopolarità della guerra,
contro la quale si levò la protesta dei pacifisti con risonanza nell'opinione
pubblica occidentale, e la consapevolezza di non poterla risolvere militarmente
indussero ad avviare le trattative per una soluzione concordata. Nel frattempo,
nel luglio 1969, la NASA lanciò con successo la missione lunare dell'Apollo 11,
con a bordo gli astronauti Neil Armstrong, Edwin Eugene Aldrin e Michael
Collins.
Per un periodo di tempo per coltivare le piantagioni americane venne impiegata
la manodopera delle popolazioni locali, ma a causa della fame queste popolazioni
si estinsero. A quel punto gli europei, avendo bisogno di manodopera, così,
deportarono africani nelle piantagioni americane: iniziò la “tratta degli schiavi”.
In due secoli questo fenomeno provocò 15 milioni di africani deportati e morti
nelle piantagioni americane.
Dopo che i paesi africani si liberarono dai loro colonizzatori molti immigrati
europei rimasero in Africa e svilupparono una società totalmente divisa da quella
nera. Già discriminati nella vita economica e politica, i cittadini di colore
potevano “liberamente” circolare nelle zone riservate ai bianchi solo se muniti
del “necessario” lasciapassare. Inoltre, per ridurre statisticamente il numero dei
neri nel paese e per sfruttarli meglio nel lavoro, il governo bianco aveva istituito
10 bantustans o patrie tribali, territori assegnati a varie etnie nere: erano vere e
proprie riserve cui era concessa un’ampia autonomia, solo teorica. In effetti la
loro economia e quindi la loro esistenza politica dipendevano dal Sudafrica: gli
abitanti di quegli “stati-fantoccio” continuavano a cercare lavoro nel Sudafrica,
ma come stranieri: non potevano così godere dei benefici assicurati ai cittadini
Sudafricani di qualsiasi colore. Solo nel 1984, in seguito a un referendum
riservato ai bianchi, il Sudafrica si dotò di un parlamento di tre camere elette da
bianchi, meticci e asiatici: i neri (70% della popolazione) ne erano esclusi.
L’effettivo smantellamento dell’apartheid cominciò nel 1990. Furono abolite le
leggi pilastro del razzismo. Finalmente nel 1993 minoranza bianca e maggioranza
nera elaborarono insieme la nuova costituzione, che stabilisce l’uguaglianza tra
bianchi e neri: così le prime elezioni a suffragio universale hanno portato
Mandela alla presidenza.
Un consiglio in più

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NELSON MANDELA 
 
Nelson Mandela nacque a Umtata nel 1918. Egli si interessò della politica quando
era ancora studente; insieme a Olivier Tambo, da allora suo fedele compagno di
lotta, partecipò nel 1940 ad alcuni scioperi studenteschi che gli costarono
l’espulsione dal college. Nel 1950 diventò presidente dell’African National
Congress (ANC). Mandela nel corso della campagna di disobbedienza auspicò
l’azione congiunta di tutti i gruppi razziali nella lotta contro la segregazione
razziale. Nel dicembre 1952 venne arrestato e condannato a nove mesi di carcere
ma la pena fu sospesa. Nel dicembre 1956 fu accusato di tradimento con altre
156 persone: il processo durò fino al 1961, ma nessuno venne condannato.
In seguito al massacro di Sharpeville nel 1960, nel quale la polizia sudafricana
uccise 67 civili durante una manifestazione contro l’apartheid, l’ANC venne
messo fuorilegge. Mandela andò in Nigeria dove si addestrò alla guerriglia,
dopodiché andò a Londra dove incontrò gli altri leader della resistenza politica
Sudafricana. Tornato in Sudafrica fu arrestato per aver lasciato illegalmente il
paese. Mandela fu condannato all’ergastolo Nel 1985 Mandela rifiutò la libertà
condizionata. Il presidente De Clerk liberò Mandela nel febbraio 1990; nel 1991 il
governo revocò l’ultima legge che regolava l’apartheid.

Per l’impegno dimostrato nel processo di democratizzazione del paese e di


pacifica convivenza multirazziale, Mandela e De Clerk nel 1993 ricevettero
il premio Nobel per la pace. Nel 1994 Mandela divenne il primo presidente nero
del Sudafrica. Nel 1996 varò la nuova costituzione del Sudafrica. Nel 1999
Mandela lasciò la scena politica.
ABRAHAM LINCOLN 

Abraham Lincoln — Fonte: Getty-Images


Abraham Lincoln nasce a Hodgenville, Kentucky, nel 1806. Nato da una famiglia
di pionieri, intraprese gli studi giuridici, guadagnandosi ben presto una solida
reputazione per la sua onestà. Nel 1833 fu eletto deputato al Parlamento
dell'Illinois nelle file del Partito Whig. Ben presto divenne uno dei leader del
partito e propose il trasferimento della capitale dello stato a Springfield, dove si
stabilì nel 1837. Eletto al Congresso nel 1846, si oppose fermamente ma senza
successo alla guerra con il Messico. In materia di schiavitù, pur essendo un
antischiavista convinto, non condivise mai appieno la posizione degli
abolizionisti: ciò cui egli aspirava era soprattutto la prevenzione di un'ulteriore
diffusione della schiavitù, ma era un fermo assertore del diritto dei singoli di
gestire i propri affari interni.
Nel 1856 entrò nel Partito repubblicano e nel 1858 ne divenne il candidato al
Senato contro il democratico Douglas. Nel 1860 i repubblicani lo designarono
come candidato alla presidenza, proponendo un programma politico fondato
sulla restrizione della schiavitù, la concessione delle terre ai privati e la riforma
dei dazi doganali. Lincoln ottenne la maggioranza dei voti elettorali ed entrò alla
Casa Bianca. Subito dopo la vittoria, il South Carolina, seguito da altri sei stati
del Sud, intraprese i primi passi per staccarsi dall'Unione. Lincoln si mostrò
aperto al dialogo ma rifiutò di prendere in considerazione un'eventuale
estensione della schiavitù. Il Crittenden Compromise, la soluzione di
compromesso da lui proposta, non ottenne risultati favorevoli e nel febbraio del
1861 sette stati sudisti si separarono formalmente dall'Unione e costituirono
la Confederazione degli Stati Uniti d'America. 
Il 22 luglio del 1862, sia in risposta alle richieste più radicali, sia per esigenze
diplomatiche, il presidente informò il Gabinetto della sua intenzione di emettere
il proclama di emancipazione. Il proclama fu emanato tre mesi più tardi, il 22
settembre, dopo la battaglia di Antietam. L'emancipazione, che entrò in vigore il
1° gennaio 1863, liberò gli schiavi nelle regioni controllate dai ribelli e autorizzò
la creazione di unità militari di colore. Lincoln, però, era determinato a porre
l'emancipazione su una base permanente e nel 1864 propose l'introduzione di
un emendamento contro la schiavitù nella Costituzione. Tale emendamento venne
accettato dopo la sua rielezione, quando egli stesso utilizzò tutti i suoi poteri per
assicurarne l'approvazione da parte della Camera dei rappresentanti (31 gennaio
1865).
Poche settimane dopo l’inizio del suo secondo mandato, Lincoln annunciò
pubblicamente il suo sostegno al suffragio limitato per i neri in Louisiana. Tale
aperta presa di posizione contro i conservatori non poté che rafforzare i piani del
fanatico sudista John Wilkes Booth, famoso attore che da tempo tramava contro
il presidente. Preoccupato dall'eventualità che i neri potessero ottenere il diritto
di voto, egli decise di procedere e il 14 aprile del 1865 ferì mortalmente Lincoln
nel Ford's Theatre a Washington.

 
Tesina su sport e razzismo
JOHN FITZGERALD KENNEDY 

J.F.Kennedy — Fonte: Getty-Images
John Fitzgerald Kennedy (Brookline, Massachusetts 1917 - Dallas 1963), 35°
presidente degli Stati Uniti (1961-1963). Nato in una ricca famiglia dell'alta
borghesia cattolica, si laureò ad Harvard nel 1937; combatté con valore
nella seconda guerra mondiale e al termine del conflitto aderì al Partito
democratico, candidandosi con successo alla Camera dei rappresentanti nel
1946. Nel 1952 ottenne un seggio al Senato e nel 1960, quando ormai aveva
assunto la leadership del partito, si candidò alla presidenza del paese in coppia
con il vice Lyndon B. Johnson. Alle elezioni sconfisse il candidato
repubblicano Richard Nixon e si insediò alla Casa Bianca.
Sul piano della politica interna il neoeletto presidente si impegnò nella lotta alla
disoccupazione con un imponente programma sociale di sussidi e aumenti
salariali; vennero incrementati anche gli investimenti nella ricerca scientifica e
nei programmi spaziali e le spese per la difesa militare, con la conseguente
crescita delle commesse per le industrie belliche.
Nell'autunno del 1963 il presidente cominciò a organizzare la campagna per la
propria rielezione; l'impegno per favorire l'integrazione razziale e garantire il
diritto di voto ai neri aveva suscitato un crescente malcontento e gruppi di
ispirazione razzista avevano provocato gravi episodi di violenza. Il 22 novembre,
mentre attraversava la città di Dallas a bordo di una limousine scoperta,
Kennedy venne colpito e ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato da lunga
distanza.
La notizia del suo assassinio suscitò un'immensa emozione sia nel paese sia nel
mondo intero. Poche ore dopo la sua morte, venne arrestato un ex marine, Lee
Harvey Oswald, che due giorni più tardi fu a sua volta assassinato mentre veniva
trasferito da un carcere ad un altro. Nel settembre del 1964 il presidente della
Corte Suprema Earl Warren pose fine alle indagini stabilendo che il presidente
era stato ucciso da Oswald, che aveva agito da solo, ma la sentenza non mancò di
sollevare molti dubbi, tuttora insoluti. Fra le varie ipotesi, confermate anche
dalle dichiarazioni di numerosi testimoni, si fece strada quella di un complotto a
fini politici ordito forse dalla mafia o da esuli cubani.

MARTIN LUTHER KING 


 
Martin Luther King (Atlanta 1929 - Memphis 1968), pastore battista e uomo
politico statunitense, uno dei più importanti leader del movimento dei neri
americani per i diritti civili e principale sostenitore della resistenza non violenta
alla segregazione razziale. Ordinato pastore nel 1947, durante gli studi si imbatté
nelle opere di Gandhi, le cui idee divennero il nucleo della sua filosofia di
protesta non violenta. Nel 1954 accettò la nomina di pastore di una chiesa
battista a Montgomery (Alabama). In quello stesso anno, la Corte Suprema degli
Stati Uniti decretò illegittima la segregazione razziale nelle scuole statali e, in
attesa di quella decisione, la segregazione venne sfidata in tutti i luoghi pubblici
degli stati del Sud.
Nel 1955 King guidò il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery: lo scopo
era quello di protestare per l'arresto di Rosa Parks, una donna di colore che si
era rifiutata di cedere il proprio posto a un passeggero bianco. Nel corso della
protesta, durata 381 giorni, King fu arrestato e imprigionato, e fu minacciato di
morte più volte. Il boicottaggio terminò nel 1956 con la sentenza della Corte che
dichiarava illegale la segregazione razziale sui trasporti pubblici della città:
l'evento rappresentò una grande vittoria per il movimento di protesta non
violenta e il prestigio di Luther King aumentò notevolmente.
Recatosi in India nel 1959, egli comprese più chiaramente la satyagraha, il
principio della persuasione non violenta sostenuto da Gandhi, che King era
deciso a utilizzare quale principale strumento di protesta sociale. L'anno
seguente rinunciò al suo incarico a Montgomery per diventare pastore della
chiesa battista di Ebenezer, ad Atlanta, ciò che gli permise di dedicarsi più
attivamente alla direzione del nascente movimento per i diritti civili. In quello
stesso periodo la leadership nera, che in precedenza si era limitata a promuovere
cause e a proporre la riconciliazione, stava subendo una profonda
trasformazione e chiedeva il cambiamento "con ogni mezzo possibile". Emersero
nuovi movimenti e gruppi più radicali, come i Black Muslims di Malcolm X,
il Black Power e le Black Panthers, portatori di differenti ideologie e metodi di
lotta contro il razzismo. Tuttavia il prestigio di King garantiva che la non
violenza, per quanto non universalmente accettata, restasse il metodo ufficiale di
resistenza.
Nel 1963 Luther King condusse un'intensa campagna per i diritti civili a
Birmingham, in Alabama, e altre in tutto il Sud, che aveva come obiettivi
l'iscrizione dei neri nelle liste elettorali, l'abolizione della segregazione razziale, il
miglioramento della qualità dell'istruzione e degli alloggi. Durante queste
dimostrazioni non violente, il leader fu arrestato più volte. Il 28 agosto 1963 guidò
la storica marcia su Washington e pronunciò il famoso discorso che iniziava con
le parole "I have a dream" (Ho un sogno). Nel 1964 fu insignito del premio Nobel
per la pace. Il 4 aprile del 1968 venne assassinato a Memphis, nel Tennessee, da
un sicario; le circostanze della sua morte sono ancora oscure.

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