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INTRODUZIONE

Ciò che resta degli imperi coloniali è importante dal punto di vista politico: 16 territori (isole
Bermuda) non sono ancora indipendenti; i DOMTOM (dipartimento e territori d’oltremare).
Dal 1945 con 51 Stati membri dell’ONU al 2002 con 191 Stati (imperi coloniali dissolti) 
problema: i confini tracciati in modo arbitrario senza tener molto conto delle diversità etniche
(Africa). Eccezione: India  1947 indipendenza, Pakistan si separa, 1971 Bangladesh si separa da
Pakistan. Ad altri Paesi è solo stato cambiato il nome: Birmania  Myanmar. Gli Imperi erano
rappresentazione scenica, ostentazione, esibizioni di unità ma anche dimostrazioni di impegno
militare, uso delle armi…
CAPITOLO I
Due occasioni in cui l’impero coloniale riuscì a dare l’idea di unità e grandezza: 1924 Esposizione
internazionale a Londra, Wembley e 1931 Esposizione universale a Parigi. Rappresentazione di
diverse culture, popoli e ambienti insieme ordinato e ben organizzato che suscita ammirazione.
Altra prospettiva ispirata all’esperienza dei funzionari coloniali locali (district officer inglese o
commandant francese) che avevano il compito di mantenere la pax colonialis garantendo l’ordine
e riscuotendo le tasse. Questi funzionari aiutati da collaboratori locali con una certa influenza.
Ruolo importante svolto anche dagli interpreti. Ma il divario linguistico rendeva più ardua la
comprensione e manteneva separati socialmente e geograficamente i popoli indigeni dagli europei
colonizzatori. Convivere senza mescolarsi. Gli europei si consideravano completamente diversi
dagli indigeni che erano considerati primitivi, infantili, superstiziosi e irresponsabili. Impero
europeo rappresentato come la missione civilizzatrice / fardello dell’uomo bianco. Collegamento
tra sviluppo tecnologico e superiorità culturale. Tutto era determinato dagli europei: nomi e
nomenclatura (Congo belga…); il punto di vista, la storia (avviata appunto dagli europei).
L’aggettivo precoloniale descriveva il prima e aveva un’accezione primitiva. Distinzione tra
dominatori e dominati, tra colonizzatori e colonizzati. Sebbene questa visione fosse molto diffusa,
dopo la IGM nacque la nuova idea della necessità di sviluppo economico delle colonie a beneficio
di tutta l’umanità. Il contributo delle colonie durante le guerre, manodopera e prodotti fu
significativo ma agli occhi degli europei esisteva ancora il contrasto: avanzati vs arretrati. Durante
le due guerre, l’impero mostrò pochi segni di debolezza strutturale, massimo sviluppo, con la
sconfitta dell’impero tedesco e poi ottomano, inglesi, francesi e belgi spartirono territori dei paesi
sconfitti. Attraverso il sistema dei mandati paesi quali Siria furono posti sotto una nuova
amministrazione coloniale (prima erano tedeschi). Lo scopo del Mandato è favorire il progresso
attraverso una buona amministrazione, mantenimento dell’ordine e della pace e portare tali Paesi
all’autodeterminazione. Ma ben poco fu rispettato lo scopo del mandato da parte di inglesi e
francesi. Impero, imperialismo, dominazione. Nel periodo tra le due guerre un piccolo gruppo di
persone, sia in Europa che altrove ponevano in dubbio il colonialismo e la civiltà che lo rendeva
possibile, l’esperienza coloniale era destinata a fallire poiché era un esercizio di buone intenzioni
basato su false promesse. Lenin riteneva che l’imperialismo fosse la fase suprema del capitalismo
e che esso non coincideva soltanto con il capitalismo finanziario, ma era prodotto dalla spinta
verso la ricerca di nuovi mercati più redditizi e in cui investire. L’imperialismo venne attaccato
molteplici volte, vennero organizzate manifestazioni e proteste. Vi furono scioperi ad esempio in
Indocina. Le azioni militari e di polizia impiegate dai dominatori per mantenere il controllo erano
chiamate pacificazione, l’impero fu mantenuto con la spada (massacro di Amritsar in India nel
1919). Tuttavia si pensava che l’impero fosse destinato a restare ancora a lungo, cresceva la
tolleranza per la diversità, l’idea di impero unificato, un puzzle con pezzi che mantenevano
ciascuno le proprie particolarità era un desiderio di molti. Le esposizioni coloniali internazionali
erano vere e proprie dichiarazioni di unità nella diversità. Fino al termine della IIGM l’impero non
era considerato un tema cruciale a livello di politica interna ed estera. (le sole guerre coloniali
nell’epoca dell’espansione si svolsero tra europei e gli altri (guerra russo-giapponese 1904-1905);
guerra boera 1899-1902 conflitto tra bianchi  olandesi e inglesi. I boeri erano discendenti degli
olandesi che avevano stabilito colonia nella punta meridionale africana, gli inglesi tolsero la
colonia del Capo ai boeri che furono “costretti” a spostarsi in una regione a nord-est che presto si
rivelò ricca d’oro e quindi nuovo terreno di conflitto. Dopo tentativi di negoziati i boeri
dichiararono guerra, gli inglesi reagirono costruendo delle specie di campi di concentramento per
120 000 persone. La guerra fu vinta dagli inglesi ma i boeri continuarono a dominare e dopo la
IGM promossero politica razzista: apartheid, 1994 Repubblica Sudafricana di stampo
democratico.). La GB dopo la IGM si indebolì ma l’immagine dell’impero rimase motivo di orgoglio
nazionale tanto da ispirare racconti.
CAPITOLO II
Inizio dominazione marittima in Asia da parte di europei è nel 1498 con Vasco da Gama. Effetto
immediato a seguito della IIGM è l’ascesa dell’URSS e USA nella politica mondiale. Già alla fine
della IGM la marina americana era di gran lunga superiore alla Royal Navy britannica. La caduta di
Singapore e l’ascesa del Giappone  nuova geografia globale. La rapidità del successo giapponese
è commisurata alla fragilità degli imperi europei che prosperavano quando le relazioni
internazionali erano solo tra stati europei. (ma nel 1902 Giappone e GB avevano firmato patto in
cui accettavano i possedimenti reciproci nel Pacifico.) IIGM trasformò gli Stati europei in stati di
secondaria importanza  rovesciamento del dominio coloniale europeo più ascesa di nuove
grandi potenze quali USA che forniva armi a GB. Se prima le guerre si svolgevano su scala ridotta,
con l’arrivo di nuove potenze rivali, ben equipaggiate cambiò il paesaggio coloniale. Giappone
invase molte colonie del sud-est asiatico e del Pacifico. Durante la IIGM l’Africa settentrionale era
uno dei principali campi di battaglia, 1941-1942 nazisti occupano Tunisia, Libia e Egitto ovest, poi
inglesi espellono tedeschi e italiani dall’Egitto. Nel ’42 l’avanzata nazista e giapponese fu fermata e
avanzarono USA, URSS e GB. Il Giappone nei paesi in cui era riuscito a prendere il controllo aveva
destituito gli amministratori coloniali europei e cercato il sostegno dei leader locali. Ad alcuni stati
come Birmania venne pure concessa l’indipendenza formale da parte del Giappone. In modo
differente vennero trattate le isole, gli americani puntavano al mantenimento di basi per i
rifornimenti militari allo stesso tempo portarono significativi miglioramenti economici. Il Giappone
attaccò e indebolì i regimi coloniali incoraggiando i leader dei paesi colonizzati a protestare contro
i dominatori europei. Il ruolo globale degli USA è fondamentale come contrasto al colonialismo. Il
presidente F. Roosevelt aveva atteggiamenti anticoloniali, era critico ad esempio del
comportamento francese in Indocina… l’opposizione USA al colonialismo si dimostrava in due
modi: da un lato volevano la creazione di mandati internazionali di amministrazione fiduciaria dei
territori coloniali e dall’altro erano favorevoli alla futura indipendenza, tuttavia il controllo sulle
isole nel Pacifico, conquistate dai giapponesi, voleva essere mantenuto dagli americani per future
operazioni navali. La IIGM impose il cambiamento:
- Churchill della GB nel 1942, quando i giapponesi provarono ad occupare l’India, mando
Cripps a offrire all’India lo status di dominion e il diritto ad istituire un’assemblea
costituente dopo la guerra. Ma l’India, guidata anche da Gandhi non accettò poiché non
volevano più dominio degli inglesi sul territorio.
- FRANCIA: non aveva nessuna intenzione di rendere autonome e indipendenti le colonie
poiché l’impero era una delle fonti di grandezza
Quando la guerra si concluse vi erano tre diverse posizioni sulle colonie:
 L’internazionalizzazione (USA)
 Il decentramento di parte dell’Impero (GB)
 Il mantenimento dell’impero (FRANCIA)
Per le colonie non interessate dalla guerra (SPAGNA E PORTOGALLO) e quelle occupate dai
tedeschi (OLANDA e BELGIO) non si prevedeva alcun cambiamento. Le potenze coloniali però si
erano indebolite, la GB dipendeva dagli USA sebbene avesse comunque autorità nelle colonie. Con
la fine dell’occupazione giapponese però si creò un vuoto in Asia sud-orientale che venne colmato
da ???
Con la vittoria della IIGM gli americani non vedevano più sfavorevolmente GB e Francia, anzi il
principio di amministrazione fiduciaria era stato esteso alle ex colonie italiane e a territori già
oggetto di mandato. Per le colonie britanniche e francesi gli US lasciarono decidere GB e FR. Con
l’espansionismo sovietico (comunismo) gli US compresero ancora più il valore dell’impero
britannico contro il comunismo. Ambiguità e incoerenza della politica estera americana: contro il
colonialismo dove la Russia appariva come una minaccia e favorevole a GB e FR. Quindi solo la
IIGM mondiale fu disastroso per l’impero MA i sintomi di dissolvenza si possono individuare già da
prima.
CAPITOLO III
UK:
gli inglesi escono compiuto “grazie” dalla fase imperiale. E la Gran Bretagna stessa che smonta il
proprio impero: lascia l’India nel 1947, la Birmania nel 1948, abbandona il mandato sulla Palestina.
Cerca di creare una TRUSTEESHIP, un’amministrazione fiduciaria che mantenga dei legami con
l’impero. Ci riesce con:
- Ex dominazioni bianchi (Canada e Australia)
- India
- Giordania
- Colonie inglesi in Africa  dal 1960 con l’ondata di decolonizzazione (più tardiva e violenta
rispetto a quella dell’Asia) molti di questi rapporti verranno distrutti.
La Gran Bretagna comunque in generale riesce ad uscire con una certa eleganza flessibilità
mantenendo dei rapporti basati sulla comunanza (oggi diremmo “soft Power”).
FRANCIA:
rigidità. All’obiettivo di mantenere l’impero dopo la seconda guerra mondiale e anche la parte più
informale di esso (i mandati).
Teca francese dell’assimilazionismo ci aiuta a comprendere: il colonialismo francese è molto più
intrusivo perché non nasce da interessi economici ma da altri fattori (quali riteneva di prestigio,
bisogno di rifarsi dalle sconfitte). È un colonialismo molto più pensato rispetto a quello britannico.
 È abbastanza ovvio che sia così: Colonialismo francese nasce dall’alto, riflette l’atteggiamento
francese positivista, illuminista, rigido ed articolato perché lo Stato francese così (e anche oggi è lo
stato più centralista d’Europa).
La rigidità che riflette la concezione illuminista e positivista sia tradotta anche dell’impero:
siccome il modello francese era il migliore (perché è più razionale) e, non c’era motivo per cui
francesi non avessero dovuto donarlo agli altri  modello coloniale che riprende la rigidità
centrale, dando poco spazio alle particolarità locali.
Obiettivo: diffondere la cultura francese creerà una serie di problemi, tra cui la presenza di un
gruppo di persone in cui il processo di acculturazione è completamente fallito.
N.B. se il sistema rigido, fa fatica a sconnettersi: da qui sono nate le grandi tragedie del dopo
guerra francese:
a) guerra in Indocina (1946-1954): Francia KO
b) guerra in Algeria (1954-1962): ferita fortissima per la Francia
- nella situazione post bellica, oltre alla dinamica della colonizzazione e decolonizzazione, entra in
modo trasversale la GUERRA FREDDA.
 Dinamiche verticali: tentativo di allontanarsi dalla potenza colonizzatrice
 Dinamiche trasversali: guerra fredda, che impone un mondo bipolare basato sulla
contrapposizione ideologica.
 CONSEGUENZE:
a) Tutte le situazioni locali vengono ridotte ad una questione bipolare, tutto è inglobato in
questo scenario.
b) Questo mette in difficoltà gli USA (inizialmente contrari al colonialismo): una
decolonizzazione non governata avrebbe fatto crescere una serie di Stati indipendenti e
ostili all’Occidente.  basta colonizzazione fa sì che la posizione americana sì a volte
contraddittoria
- Patti di contenimento
- Tentativo di sostituirsi nelle aree in cui vigeva la pax britannica. Subentrare alle potenze
europee per mantenere la pace, all’interno di una logica bipolare.
 1957: DOTTRINA EISENHOWER
es. Indocina: dopo la sconfitta dei francesi in Indocina, subentrano gli americani come forza
per contrastare l’espansione comunista.
N.B. soprattutto in Africa, la lotta anticoloniale e feroce perché in Africa (così come Indocina) sono
territori “Shatter Belts” (concetto derivante dalla geologia: preso dalla geopolitica: “linee di
frattura”)
1. Capitolo OPINIONE PUBBLICA INTERNAZIONALE E DECOLONIZZAZIONE
 dopo la IIGM, ci si rende conto dell'esistenza di una opzione pubblica internazionale -> nel
mondo coloniale: giornali, riviste, radio e cinema nella quotidianità, rafforzano, diffondono le
attività delle élite intellettuale coloniale e generano una coscienza pubblica.
La decolonizzazione (così come la colonizzazione) è un fatto anche ideologico. Nel giro di pochi
anni: l'imperialismo da fattore visto come positivo, diventa fattore demonizzato ->colonialismo e
imperialismo = mali assoluti. Si ha un cambiamento di prospettiva molto forte, e ancora oggi questi
due termini hanno accezioni negative. Il cambiamento avviene molto rapidamente! si pensi che
nel 1931 a Parigi si stava mettendo in scena l'esposizione coloniale francese per celebrare
l'impero.
Alcuni PERSONAGGI che strutturano l’ideologia anticoloniale:
 GHANDI: (e poi NEHRU), Ideologo più radicale: non solo con testo l'imperialismo, anche il
modello socio economico e politico che il colonialismo porta con sé -> uno dei pochi a
guardare avanti appoggiandosi alla visione positiva di un passato semplice in cui erano i
filatoi a punteggiare le campagne e non impianti siderurgici.
 NASSER (presidente dell’Egitto): Campione dell'anticolonialismo soprattutto dopo il 1956
punto dopo che ci sarà l'ultima iniziativa di Inghilterra e Francia che cercano di prendere il
controllo del canale di Suez (ritenendosi provocati dalla nazionalizzazione del canale),
alleandosi con Israele -> intervento USA e URSS -> questa sconfitta europea diventa un
trionfo politico: Nasser propone un modello alternativo che è quello del PANARISMO ->
nella narrazione ideologica: arabi divisi perché ottomani prima e occidentali dopo li hanno
divisi.
 SUKARNO (presidente dell’Indonesia, coniato nel 1956 con un colpo di Stato)
Nehru, Sukarno e Nasser e poi Tito Invita al l'unico tentativo veramente organico di sfuggire alla
trappola del bipolarismo attraverso il movimento dei paesi non allineati: ideologia del
NEUTRALISMO. Nel 1955: Conferenza di BANDUNG (a cui partecipano i delegati di 29 stati che
rappresentavano il 56% della popolazione mondiale) che è il tentativo di sfuggire alla logica
conflittuale, ma fallisce. Dichiarazione finale affermava il principio di sovranità nazionale, del
rispetto dei diritti umani e dell'uguaglianza tra nazioni e popoli -> si cerca una via alternativa e la si
trova nel neutralismo, ideologia per eccellenza dei paesi non allineati, che formasse uno spirito di
cooperazione internazionale tra le nazioni del terzo mondo (definizione sorta in contrapposizione
con gli altri 2 mondi che componevano il sistema bipolare dell'epoca). In questa visione: Stati-
nazione = protettori della cultura e oppositori dell’imperialismo culturale.
Il sogno neutralista finisce subito: i pilastri su cui si fondava (non aggressione, reciproco vantaggio,
non interferenza e autodeterminazione) vanno in crisi perché:
 la lotta anticoloniale si sposta sempre più contro l'occidente virgola in particolare dopo il
’56. Il fatto che il comunismo fosse manifestatamente anticoloniale lo fa sviluppare e far sì
che i paesi comunisti siano visti come i paesi più vicini. Alla conferenza successiva a quella
del ‘55 viene invitata come osservatori anche l’URSS.
 1962: i due principali Paesi del neutralismo (Cina e India) si fanno la guerra: ancora ribadita
l’intenzione di rimanere a distanza dalla Guerra Fredda. Dichiarazione finale invitava a:
coesistenza pacifica, riduzione tensione Est-Ovest, rispettare l’integrità e l’indipendenza di
tutti gli Stati. 14 punti su 27 vanno diretti contro l’imperialismo e il colonialismo.
 Pivot, questione principale del FALLIMENTO: con l’eccezione di Ghandi, tutti questi leader
che hanno un’ideologia anti-imperialista e anti-occidentale, non arrivano a contestare
(come modello anacronistico) il modello europeo portato dal colonialismo.
In Europa con il colonialismo diffonde anche dei concetti e dei modelli come ad esempio quello di
Stato nazionale, che è stato fatto proprio dai colonizzati (anche se molto spesso fa a pungo con la
realtà). Non viene contestato neanche il modello di organizzazione sociale ed economico-> tutti
puntano sull’industrializzazione e modernizzazione intesa in maniera accidentale (=crescita del PIL,
livello di industrializzazione).
Chiama contestato ma vengono accolti acquisite completamente quelle caratteristiche. Ad
esempio, l'Iraq di oggi e stato nazionale dell'Iraq. Spesso agiscono e pensano come se i loro Stati
fossero Stati nazionali autentici, quando in realtà i loro Stati sono stati spesso creati tracciando dei
confini con il righello.
Si pongono le premesse per le diverse esperienze post-coloniali, soprattutto in Africa dive ci
saranno continui e terribili scontri. Con la decolonizzazione non c’è una CONTESTUALE RINUNCIA
DEL MODELLO DI STATO EUROPEO, che è un modello che viene applicato a tutto il mondo.
18 novembre 2019
L’ideologia è il problema che anche chi combatte duramente l’imperialismo e lo contrasta non ha
in realtà una vera alternativa da offrire in termini di modello di organizzazione socio-economico.
L’unico che l'aveva tentata è stato Ghandi che proponeva un modello ma che era un modello
oggettivamente anacronistico rispetto alle esigenze. Il modello che voleva Ghandi era quello
basato sul rifiuto al filato industriale. Tutti gli altri sono dentro nel frame concettuale della società:
modello capitalistico. Tanto che tutti puntano sull’industrializzazione pesante cosa che creerà in
molti Paesi decolonizzati delle grandi catastrofi. Ma soprattutto, le nuove élite politiche non
riescono ad uscire dal modello di Stato Nazionale. Questa è la trappola che si diffonde moltissimo
con il colonialismo e l’imperialismo. Quando escono questi Paesi escono spesso con confini
artificiali, spesso costruiti su comunità e società fortemente frammentate con gruppi etnici,
popolazioni ora divise dai confini, ora messe insieme con popolazioni che si detestano e non c’è
una elaborazione diversa rispetto al modello di Stato-Nazione. Tanto che nascerà e ci sarà una
quantità di guerre per i confini o di guerre civili in cui una minoranza cerca di staccarsi, la
maggioranza cerca di creare un modello che sia uguale per tutti. si rifiuta quindi l’imperialismo ma
si rimane dentro le strutture statuali, nazionali, concettuali, di confine che l’imperialismo ha dato a
queste regioni.
2. Capitolo
uno degli effetti più profondi, più radicati è quello della capacità che ha avuto il modello coloniale
e le attività imperiali di trasformare, piegare, condizionare il territorio. Il territorio stesso viene
fortemente alterato dall’impatto con il colonialismo. Vengono radicalmente mutate tanto le città
quanto le campagne. Le campagne sono molte evidenti perché nelle campagne vi è una fortissima
trasformazione che è una trasformazione territoriale, ecologica ma anche socio-economica data
dal fatto che molto spesso il colonialismo crea sistemi delle grandi monoculture per esportazioni.
Cioè, trasforma le agricolture tradizionali, spesso basate sull’autosufficienza o che avevano una
produzione, surplus agricolo minimo, in grandi colture collegate ai beni che si vogliono produrre
per l’esportazione (perché hanno dei ritorni economici molto più alti) o per le esigenze, gli
interessi della madrepatria. Uno dei casi più eclatanti è stato il caso dell’Indonesia dove gli
olandesi propongono e impongono monoculture votate all’esportazione che avevano un’alta
redditività rendendo estremamente dipendenti le popolazioni locali. Questo ha anche un impatto
demografico perché se hai una forza lavoro obbligata per produrre spezie, zucchero, caffè, hai
bisogno di manodopera che lavori per produrre beni di sostentamento. Quindi, hai la pressione ad
aumentare ad esempio il numero di figli. Ti rende inoltre, fortemente dipendenti agli squilibri: se
crolla il prezzo delle materie prime o c’è una cattiva annata si ha la carestia. Questo avviene a
grandi livelli: la regione che ha subito i maggiori disastri ecologici al mondo (Asia centrale posto-
sovietica). In questo caso gli zaristi dopo la conquista dell’Asia centrale (seconda metà del ‘800), la
trasformano in un grande produttore di cotone approfittando della guerra civile americana che
blocca la produzione americana e si sconnette con il mercato. L’URSS estremizza questo fatto: il
cotone è difficile da coltivare e necessita di moltissima acqua e per rafforzarlo i sovietici hanno
deviato due dei principali fiumi dell’Asia centrale pe dare maggiore acqua alle coltivazioni
dell’Uzbekistan. Quasi tutte le colonie vengono sfruttate soprattutto però dove si hanno delle
risorse minerarie, in questo caso si scarta l’agricoltura e si punta ad avere l’estrazione di minerali.
Si ha quindi un cambiamento che è significativo. C’è anche un cambiamento nelle città: qui è più
evidente perché la città è per eccellenza il luogo dove si vede maggiormente la presenza europea
tranne qualche colonia di popolamento dove la presenza è più sparsa nel territorio. In generale
però si trovano nei centri urbani e qui si ha una grande trasformazione: innanzitutto perché si
creano le città dei bianchi dentro le città, ossia ci sono le zone dei colonizzatori spesso nettamente
separate dagli altri (a Gibuti ancora oggi c’è il muro che li separava fisicamente). La città è quella
che Betts chiama “i palcoscenici degli imperi”, l’impero ha bisogno di un palcoscenico dove essere
rappresentato e vengono rappresentate (Victoria Station, casa del vice-re, il palazzo del
governatore, etc…) nelle strutture che da un lato dovrebbero manifestare la superiorità europea
sui colonizzati e dall’altro lato creano un spazio diverso, profondamente trasformato. La città
diventa nei Paesi colonizzati il simbolo della modernità e diventerà anche una maledizione. Questo
perché quasi tutti i Paesi usciti dal colonialismo sono Paesi che soffriranno dell’enorme problema
dell’inurbamento (crescita popolazione, modernizzazione che richiama le persone in città, nelle
campagne si vive peggio che nelle città, etc…), ma anche la creazione di megalopoli (quasi tutte le
capitali amministrative che diventano capitale degli Stati indipendenti soffrono di questo
problema: sono vittime del loro successo. Le città e soprattutto le capitali costruite con una forte
impronta occidentale (più modernità) diventano un attrattore incontenibile che viene accentuato
anche dall’ossessione dell’ideologia: tanto più i regimi esaltano la modernità, tanto più la
popolazione cerca di infilarsi nella modernità e per farlo si sposta nelle città. Si crea quindi una
disarticolazione. Con l’aumento delle tensioni interne all’impero si crea un’ulteriore frattura
perché nelle città si sviluppa spesso l’idea anticoloniale. Nella città si creano le ideologie, si
formano i leader della lotta contro l’imperialismo europeo. Ma, la lotta anticoloniale quando si
combatte, la si combatte soprattutto nelle campagne: è la periferia il primo territorio in cui
l’impero perde il controllo. Fino quasi alla fine dell’esperienza imperiale di uno Stato, uno Stato è
in grado di mantenere il controllo almeno sulla città principale. Ma è nelle campagne dove si
combatte più duramente, nelle città ci sono le manifestazioni. Quando cade la città è un qualcosa
che sta accadendo. La campagna è il segnale primo che dice che l’esperienza imperiale sta
giungendo al termine, quando gli europei non possono più circolare liberamente nelle campagne
ma devono rintanarsi nelle città: non hanno più il controllo del territorio. Mentre le campagne
mutano soprattutto per motivi economici, produttivi (devono rendere secondo i tuoi modelli e i
tuoi interessi), il mutamento che si ha nelle città avviene anche per motivi estetici (città devono
ricordare, assomigliare alla madrepatria).
3. Capitolo
i problemi dell’indipendenza. La decolonizzazione non risolve i problemi in Asia e Africa. In realtà
quasi senza eccezione, quello che caratterizza l’indipendenza e la fine dell’imperialismo era una
crescita incredibile di enormi speranze e aspettative che vanno tutte o quasi deluse. La fase post-
coloniale porta con sé il fallimento delle speranze e delle aspettative. Questo deriva anche perché
tutta l’élite post-coloniale aveva creato un’ideologia in cui denunciava il carattere rapace,
oppressivo dell’imperialismo. Uno degli autori molto popolare negli anni ’60-’70-’80 è Fanon “i
dannati della terra”: libro che ha avuto un forte impatto. Fanon diceva che la ricchezza dell’Europa
è stata costruita su una politica di furto e rapina: gli europei sono ricchi perché hanno derubato i
popoli coloniali. Quindi bisognava lottare contro l’imperialismo per rientrare in possesso delle
proprie ricchezze. Storicamente le cose però sono più complicate di cose perché se fosse solo così
non si capisce perché i finlandesi fossero più ricchi dei portoghesi (maggiore impero coloniale mai
avuto). Però, quando si dice che lo stato di miseria in cui vivono i popoli colonizzati dipende solo
dal fatto che gli europei li derubino delle risorse, che manchi la libertà, si ha la concezione che con
la fine dell’imperialismo si avrà libertà e ricchezza, quando rompi le catene dell’imperialismo ti
ritrovi senza né libertà né ricchezza. Tutto questo avviene per una serie di motivi perché un conto
è abbattere il dominio imperiale, ma un altro è cambiare i meccanismi economici mondiali. Le élite
post-coloniali si accorgono quasi sempre che l’indipendenza non porta né la pace (nascono
violenze e scontri: non sorprende perché molti Stati sono stati creati artificialmente unendo
popolazioni diverse e il modello è quello dello Stato Nazionale che afferma che tutti sono una
Nazione ma non sono preparati a gestire un’intera Nazione) e in quasi tutti i Paese che diventano
indipendenti scoppiano o guerre civili o fra Stati o avvengono colpi di Stato che danno vita a
dittature (Siria: Repubblica di colpi di Stato). C’è un fallimento molto forte di quasi tutte le élite.
l’elemento militare indipendente diventa spesso una serie di colpi di Stato. Questo perché spesso
in Stati molto deboli/fragili caratterizzati da violenze le forze armate ritengono di essere l’unico
elemento che tiene insieme questi Stati indipendenti. Visto che c’è l’attenzione sulla
modernizzazione le forze armate che devono essere moderne per definizione si autoproclamano
l’elemento portante per la modernizzazione, sono al contempo l’unico collante che tiene insieme
questi Stati e si autoproclamano i catalizzatori della modernità. Non sorprende che vogliano essi
stessi diventare i gestori di questi Paesi: se li proteggo e li modernizzo allora mi sostituisco al
potere civile. Si hanno grandi aspettative che falliscono: la quasi totalità dei Paesi che escono dalla
decolonizzazione diventano dei regimi dittatoriali, corrotti profondamente. La povertà aumenta al
posto che diminuire: ad esempio lo Zimbabwe era uno dei Paesi più avanti dell’Africa e ad oggi è
uno dei più poveri. L’Egitto, Paese in cui il cotone ha assunto una rilevanza fondamentale, litiga
con gli inglesi (1956) e nazionalizza tutta la produzione del cotone e per due anni i tecnici egiziani
che non sanno gestire la produzione del cotone sbagliano e con i fertilizzanti bruciano
completamente la produzione di cotone: si erano affidati ai russi. Vi è una crescita delle dittature
personali in molti Paesi: strutture claniche, strutture tribali si insinuano dentro la struttura formale
dello Stato e lo dominano. Si creano quello che viene definito come lo “Shade of State”: c’è uno
Stato ufficiale e uno di ombra fatto dal dittatore, dai suoi famigliari, dai legami tribali e clanici,
legami territoriali delle varie zone. Questo ha molto a che fare anche con il concetto di
“personalizzazione del potere” che spesso in Oriente è molto importante. Da noi il potere è basato
sull’ufficio ossia la carica che rivesti, mentre nel mondo tribale/ tradizionale è diverso, si svolge
una funzione perché sei tu e non perché ricopri una carica, quindi le autorità tradizionali hanno
molto più potere delle autorità ufficiali. In India con la morte di Nehru questo viene succeduto da
una donna, Indira Ghandi, perché è figlia di Nehru e quando lei viene uccisa dalle sue guardie del
copro le succede per un breve periodo come capo del Partito del Congresso Ghandi Rajiv figlio di
Indira Ghandi e quando pochi anni dopo viene ucciso gli succede come Presidente del Partito
Nazionale del Congresso Sonia Ghandi (italiana): a capo del Partito del Congresso c’è il figlio di
Sonia Ghandi. Tutto questo perché sono della famiglia Ghandi. È la famiglia che conta. Tutto
questo produce spesso dittature personali che vanificano tutti gli sforzi.
25 novembre 2019
4. Capitolo
Meccanismi socio economici dell’imperialismo avevano modificato. La fine dell’impero fu
traumatico per molte nazioni, poiché l’impero garantiva di essere sotto una stessa realtà: se stai
sotto la Corona Britanni poco cambia. La fine dell’impero (india) porta al fatto che milioni di
persone sono costrette a spostarsi, è uno spostamento di comunità che spesso vivevano in un
territorio da secoli. Un altro problema è che spostamento ha a che fare con l’identità delle
persone. (Ruanda e Burundi identità Hutu e Tutsi  genocidio in questi due stati  più alto
tasso di uccisioni, 1 milione di vittime in 100 giorni) la fine del colonialismo spinge alcuni coloni ad
entrare, in alcuni casi sono obbligati (ad esempio quando Congo si libera dal Belgio (colonialismo
peggiore) o si scappava dal Congo o si moriva) in altri casi coloni e comunità di europei (che
vivevano in asia) resistono. Le vicende postcoloniali (con l’aumento dello scontro tra mondo
occidentale e popoli ex colonizzati, spingerà a rientrare e questo sarà un fortissimo problema
anche per il paese colonizzato, perché spesso, andandosene le comunità europee se ne vanno
anche tecnici e specialisti, più in generale è un impoverimento). (Alessandria città cosmopolita con
comunità internazionale) Algeria coloni ricreavano un pezzo di Francia, con la fine della
decolonizzazione questo tende ad interrompersi brutalmente o in caso non sia violento tende a
sbiadire. Tripoli italiana, Tunisi francese  Oggi questi paesi sono molto meno internazionali, è
venuto meno il mondo cosmopolita. Quindi si spostano i coloni, in Libia molti coloni italiani
rimangono fino al ‘69 quando Gheddafi impone caccia a tutti gli italiani dalla Libia (48 ore). Altro
problema che ne crea peggiori tutte le realtà coloniali, il modo meno programmatico, forgiano
delle élite (popolazioni) che non sono più colonizzate o colonizzanti. La Francia vuole vendere il
modello culturale francese e lo vuole imporre, lingua, cultura, modo di ragionare. Ciò crea una
serie di individui che collaborano con l’amministrazione coloniale francese e che finita non può più
stare lì (oggetto di rappresaglie) lì si forma un gruppo di persone che a livello identitario non sanno
più chi sono, devono lasciare il loro paese, devono andare in Francia  la loro cultura è francese.
Pezzo di Francia con cittadini francesi che però non vengono considerati francesi, e non si
considerano loro stessi
5. Capitolo
Spazio e lingua  problema principale perché la lingua e la categorizzazione linguistica sta alla
base della nostra definizione, come noi ci definiamo. Se non avessimo una nostra lingua, non
avremmo la capacità di definirci, esprimerci. Il linguaggio non è mai netto, ma è uno strumento di
dominazione. (nelle università americane: gender equality  man kind, umanità il fulcro è che
Il linguaggio è sempre una forma di dominazione, lo è stato a livello gender (soprattutto per una
cultura maschilista  generata da cristianesimo e islamismo principalmente ma non solo. Anche a
livello politico. Infatti il primo mezzo per eliminare l’identità di un popolo è negarne il linguaggio.
In Francia se un professore insegnava usando l’occitano veniva licenziato  linguaggio è stato
usato spesso come primo veicolo di identità di un popolo  gli italiani sono quelli che parlano
italiano questa era solo un’ideologia!!! Tuttora la gente non sa parlarlo) il linguaggio è uno
strumento di dominazione soprattutto tra colonizzatori e colonizzati poiché non solo impongo no
linguaggio ma anche categorie con cui ti definisci. Quanto siamo legati ai concetti della post
modernità  fatto fortissimo di dominazione, siamo molto legati all’inglese. Oggi è un grande
vantaggio, ma finché esistono i rapporti coloniali se vuoi imparare del tuo paese lo devi imparare
nella lingua dei dominatori. In India il sistema di high education o il sistema giuridico più alto è in
lingua inglese. Le definizioni e termini che non sono mai in neutro ma fanno parte di un atto di
potere. Nasce quindi una corrente culturale che sarà un estraniarsi dallo sguardo dell’impero.
L’impero ti guarda e la cosa più difficile sarà non guardare come l’impero guarda. I canoni del tuo
vedere non sono stabiliti da te ma dal tuo dominatore. Lo sguardo imperiale è entrato ed è stato
completamente assimilato. Quindi il tentativo di sottrarsi allo sguardo imperiale come
estraniandosi come l’occidente ti ha guardato e catalogato. L’incapacità di creare un modello
alternativo di dire “i cittadini”. Il Kazakistan (crolla impero zarista, Lenin e comunisti non sanno che
farsi e fanno unione delle repubbliche socialiste sovietiche legate al concetto di nazionalità
concetto tipicamente occidentale per cui Kazakistan significa “terra dei Kazaki”) nel ’91 diventa
indipendente, censimento fatto nel ’91 prima di indipendenza, il 38% di Kazaki 42% dei kazaki
erano russi e slavi e non si consideravano kazaki. Finché c’era Unione Sovietica no problems non
cambia niente, ma quando il Kazakistan diventa indipendente: i kazaki sono una minoranza, i russi
(chi cacchio sono) non vogliono essere considerati kazaki, non sanno la lingua, non sono
musulmani  si sentono russi. Il governo li considera ospiti, cittadini di serie B o li vuole
assimilare? Il Kazakistan è uno dei pochi paesi che trova una via d’uscita, un po’ arrampicandosi sui
vetri, invertendo il problema: gli abitanti del Kazakistan si chiamano kazakistani  i kazaki sono i
kazaki etnici! Ciò funziona perché i kazakistani sono tutti patrioti che vivono in Kazakistan e che
amano il K indipendentemente dalla loro etnia. L’identità si fa scivolo.
In Iraq, nato su interessi britannici, i curdi non sono arabi, non si riconoscono tali. Quindi se l’Iraq è
paese arabo loro non si considerano. Però se loro vogliono considerarsi iracheni, allora l’Iraq non
può considerarsi arabo. Il modo in cui noi li abbiamo guardati diventa una trappola da cui non
possono uscire perché gli manca un linguaggio. C’è una letteratura di autori post coloniali che
esprimono questo estraniamento. Non si riconoscono più nell’impero ma non sanno parlare altra
lingua da quello dell’impero. Il mantenimento dei legami della dominazione post coloniale. La
comprensione che i meccanismi imperiali e coloniali hanno molte forme tra cui alcune dirette e
altre indirette (culturali che sono quelle più pervasive). Una prima reazione finito l’impero è quello
di tornare all’arabo e rinunciare al francese (lingua del dominatore), cercare di purificare lingua da
interferenze imperiali. Oggi c’è il fenomeno: non rifiutarsi della lingua dell’impero, ma
impossessarsi di questa lingua. Ci sono autori africani, creoli che dicono: perché smettere di
parlare la lingua (francese) in cui si esprimono? Non è il francese che si è appropriato di loro ma
loro si appropriano della lingua inserendo termini locali  chiamato dai francesi imbastardimento.
Ma questa è la riappropriazione di una lingua riadattandola. Mezzo per invertire lo sguardo
imperiale non è la negazione. Avviene meno con l’inglese.
UK:
gli inglesi escono compiuto “grazie” dalla fase imperiale. E la Gran Bretagna stessa che smonta il
proprio impero: lascia l’India nel 1947, la Birmania nel 1948, abbandona il mandato sulla Palestina.
Cerca di creare una TRUSTEESHIP, un’amministrazione fiduciaria che mantenga dei legami con
l’impero. Ci riesce con:
- Ex dominazioni bianchi (Canada e Australia)
- India
- Giordania
- Colonie inglesi in Africa  dal 1960 con l’ondata di decolonizzazione (più tardiva e violenta
rispetto a quella dell’Asia) molti di questi rapporti verranno distrutti.
La Gran Bretagna comunque in generale riesce ad uscire con una certa eleganza flessibilità
mantenendo dei rapporti basati sulla comunanza (oggi diremmo “soft Power”).
FRANCIA:
rigidità. All’obiettivo di mantenere l’impero dopo la seconda guerra mondiale e anche la parte più
informale di esso (i mandati).
Teca francese dell’assimilazionismo ci aiuta a comprendere: il colonialismo francese è molto più
intrusivo perché non nasce da interessi economici ma da altri fattori (quali riteneva di prestigio,
bisogno di rifarsi dalle sconfitte). È un colonialismo molto più pensato rispetto a quello britannico.
 È abbastanza ovvio che sia così: Colonialismo francese nasce dall’alto, riflette l’atteggiamento
francese positivista, illuminista, rigido ed articolato perché lo Stato francese così (e anche oggi è lo
stato più centralista d’Europa).
La rigidità che riflette la concezione illuminista e positivista sia tradotta anche dell’impero:
siccome il modello francese era il migliore (perché è più razionale) e, non c’era motivo per cui
francesi non avessero dovuto donarlo agli altri  modello coloniale che riprende la rigidità
centrale, dando poco spazio alle particolarità locali.
Obiettivo: diffondere la cultura francese creerà una serie di problemi, tra cui la presenza di un
gruppo di persone in cui il processo di acculturazione è completamente fallito.
N.B. se il sistema rigido, fa fatica a sconnettersi: da qui sono nate le grandi tragedie del dopo
guerra francese:
a) guerra in Indocina (1946-1954): Francia KO
b) guerra in Algeria (1954-1962): ferita fortissima per la Francia
- nella situazione post bellica, oltre alla dinamica della colonizzazione e decolonizzazione, entra in
modo trasversale la GUERRA FREDDA.
 Dinamiche verticali: tentativo di allontanarsi dalla potenza colonizzatrice
 Dinamiche trasversali: guerra fredda, che impone un mondo bipolare basato sulla
contrapposizione ideologica.
 CONSEGUENZE:
c) Tutte le situazioni locali vengono ridotte ad una questione bipolare, tutto è inglobato in
questo scenario.
d) Questo mette in difficoltà gli USA (inizialmente contrari al colonialismo): una
decolonizzazione non governata avrebbe fatto crescere una serie di Stati indipendenti e
ostili all’Occidente.  basta colonizzazione fa sì che la posizione americana sì a volte
contraddittoria
- Patti di contenimento
- Tentativo di sostituirsi nelle aree in cui vigeva la pax britannica. Subentrare alle potenze
europee per mantenere la pace, all’interno di una logica bipolare.
 1957: DOTTRINA EISENHOWER
es. Indocina: dopo la sconfitta dei francesi in Indocina, subentrano gli americani come forza
per contrastare l’espansione comunista.
N.B. soprattutto in Africa, la lotta anticoloniale e feroce perché in Africa (così come Indocina) sono
territori “Shatter Belts” (concetto derivante dalla geologia: preso dalla geopolitica: “linee di
frattura”)
6. Capitolo OPINIONE PUBBLICA INTERNAZIONALE E DECOLONIZZAZIONE
 dopo la IIGM, ci si rende conto dell'esistenza di una opzione pubblica internazionale -> nel
mondo coloniale: giornali, riviste, radio e cinema nella quotidianità, rafforzano, diffondono le
attività delle élite intellettuale coloniale e generano una coscienza pubblica.
La decolonizzazione (così come la colonizzazione) è un fatto anche ideologico. Nel giro di pochi
anni: l'imperialismo da fattore visto come positivo, diventa fattore demonizzato ->colonialismo e
imperialismo = mali assoluti. Si ha un cambiamento di prospettiva molto forte, e ancora oggi questi
due termini hanno accezioni negative. Il cambiamento avviene molto rapidamente! si pensi che
nel 1931 a Parigi si stava mettendo in scena l'esposizione coloniale francese per celebrare
l'impero.
Alcuni PERSONAGGI che strutturano l’ideologia anticoloniale:
 GHANDI: (e poi NEHRU), Ideologo più radicale: non solo con testo l'imperialismo, anche il
modello socio economico e politico che il colonialismo porta con sé -> uno dei pochi a
guardare avanti appoggiandosi alla visione positiva di un passato semplice in cui erano i
filatoi a punteggiare le campagne e non impianti siderurgici.
 NASSER (presidente dell’Egitto): Campione dell'anticolonialismo soprattutto dopo il 1956
punto dopo che ci sarà l'ultima iniziativa di Inghilterra e Francia che cercano di prendere il
controllo del canale di Suez (ritenendosi provocati dalla nazionalizzazione del canale),
alleandosi con Israele -> intervento USA e URSS -> questa sconfitta europea diventa un
trionfo politico: Nasser propone un modello alternativo che è quello del PANARISMO ->
nella narrazione ideologica: arabi divisi perché ottomani prima e occidentali dopo li hanno
divisi.
 SUKARNO (presidente dell’Indonesia, coniato nel 1956 con un colpo di Stato)
Nehru, Sukarno e Nasser e poi Tito Invita al l'unico tentativo veramente organico di sfuggire alla
trappola del bipolarismo attraverso il movimento dei paesi non allineati: ideologia del
NEUTRALISMO. Nel 1955: Conferenza di BANDUNG (a cui partecipano i delegati di 29 stati che
rappresentavano il 56% della popolazione mondiale) che è il tentativo di sfuggire alla logica
conflittuale, ma fallisce. Dichiarazione finale affermava il principio di sovranità nazionale, del
rispetto dei diritti umani e dell'uguaglianza tra nazioni e popoli -> si cerca una via alternativa e la si
trova nel neutralismo, ideologia per eccellenza dei paesi non allineati, che formasse uno spirito di
cooperazione internazionale tra le nazioni del terzo mondo (definizione sorta in contrapposizione
con gli altri 2 mondi che componevano il sistema bipolare dell'epoca). In questa visione: Stati-
nazione = protettori della cultura e oppositori dell’imperialismo culturale.
Il sogno neutralista finisce subito: i pilastri su cui si fondava (non aggressione, reciproco vantaggio,
non interferenza e autodeterminazione) vanno in crisi perché:
 la lotta anticoloniale si sposta sempre più contro l'occidente virgola in particolare dopo il
’56. Il fatto che il comunismo fosse manifestatamente anticoloniale lo fa sviluppare e far sì
che i paesi comunisti siano visti come i paesi più vicini. Alla conferenza successiva a quella
del ‘55 viene invitata come osservatori anche l’URSS.
 1962: i due principali Paesi del neutralismo (Cina e India) si fanno la guerra: ancora ribadita
l’intenzione di rimanere a distanza dalla Guerra Fredda. Dichiarazione finale invitava a:
coesistenza pacifica, riduzione tensione Est-Ovest, rispettare l’integrità e l’indipendenza di
tutti gli Stati. 14 punti su 27 vanno diretti contro l’imperialismo e il colonialismo.
 Pivot, questione principale del FALLIMENTO: con l’eccezione di Ghandi, tutti questi leader
che hanno un’ideologia anti-imperialista e anti-occidentale, non arrivano a contestare
(come modello anacronistico) il modello europeo portato dal colonialismo.
In Europa con il colonialismo diffonde anche dei concetti e dei modelli come ad esempio quello di
Stato nazionale, che è stato fatto proprio dai colonizzati (anche se molto spesso fa a pungo con la
realtà). Non viene contestato neanche il modello di organizzazione sociale ed economico-> tutti
puntano sull’industrializzazione e modernizzazione intesa in maniera accidentale (=crescita del PIL,
livello di industrializzazione).
Chiama contestato ma vengono accolti acquisite completamente quelle caratteristiche. Ad
esempio, l'Iraq di oggi e stato nazionale dell'Iraq. Spesso agiscono e pensano come se i loro Stati
fossero Stati nazionali autentici, quando in realtà i loro Stati sono stati spesso creati tracciando dei
confini con il righello.
Si pongono le premesse per le diverse esperienze post-coloniali, soprattutto in Africa dive ci
saranno continui e terribili scontri. Con la decolonizzazione non c’è una CONTESTUALE RINUNCIA
DEL MODELLO DI STATO EUROPEO, che è un modello che viene applicato a tutto il mondo.
18 novembre 2019
L’ideologia è il problema che anche chi combatte duramente l’imperialismo e lo contrasta non ha
in realtà una vera alternativa da offrire in termini di modello di organizzazione socio-economico.
L’unico che l'aveva tentata è stato Ghandi che proponeva un modello ma che era un modello
oggettivamente anacronistico rispetto alle esigenze. Il modello che voleva Ghandi era quello
basato sul rifiuto al filato industriale. Tutti gli altri sono dentro nel frame concettuale della società:
modello capitalistico. Tanto che tutti puntano sull’industrializzazione pesante cosa che creerà in
molti Paesi decolonizzati delle grandi catastrofi. Ma soprattutto, le nuove élite politiche non
riescono ad uscire dal modello di Stato Nazionale. Questa è la trappola che si diffonde moltissimo
con il colonialismo e l’imperialismo. Quando escono questi Paesi escono spesso con confini
artificiali, spesso costruiti su comunità e società fortemente frammentate con gruppi etnici,
popolazioni ora divise dai confini, ora messe insieme con popolazioni che si detestano e non c’è
una elaborazione diversa rispetto al modello di Stato-Nazione. Tanto che nascerà e ci sarà una
quantità di guerre per i confini o di guerre civili in cui una minoranza cerca di staccarsi, la
maggioranza cerca di creare un modello che sia uguale per tutti. si rifiuta quindi l’imperialismo ma
si rimane dentro le strutture statuali, nazionali, concettuali, di confine che l’imperialismo ha dato a
queste regioni.
7. Capitolo
uno degli effetti più profondi, più radicati è quello della capacità che ha avuto il modello coloniale
e le attività imperiali di trasformare, piegare, condizionare il territorio. Il territorio stesso viene
fortemente alterato dall’impatto con il colonialismo. Vengono radicalmente mutate tanto le città
quanto le campagne. Le campagne sono molte evidenti perché nelle campagne vi è una fortissima
trasformazione che è una trasformazione territoriale, ecologica ma anche socio-economica data
dal fatto che molto spesso il colonialismo crea sistemi delle grandi monoculture per esportazioni.
Cioè, trasforma le agricolture tradizionali, spesso basate sull’autosufficienza o che avevano una
produzione, surplus agricolo minimo, in grandi colture collegate ai beni che si vogliono produrre
per l’esportazione (perché hanno dei ritorni economici molto più alti) o per le esigenze, gli
interessi della madrepatria. Uno dei casi più eclatanti è stato il caso dell’Indonesia dove gli
olandesi propongono e impongono monoculture votate all’esportazione che avevano un’alta
redditività rendendo estremamente dipendenti le popolazioni locali. Questo ha anche un impatto
demografico perché se hai una forza lavoro obbligata per produrre spezie, zucchero, caffè, hai
bisogno di manodopera che lavori per produrre beni di sostentamento. Quindi, hai la pressione ad
aumentare ad esempio il numero di figli. Ti rende inoltre, fortemente dipendenti agli squilibri: se
crolla il prezzo delle materie prime o c’è una cattiva annata si ha la carestia. Questo avviene a
grandi livelli: la regione che ha subito i maggiori disastri ecologici al mondo (Asia centrale posto-
sovietica). In questo caso gli zaristi dopo la conquista dell’Asia centrale (seconda metà del ‘800), la
trasformano in un grande produttore di cotone approfittando della guerra civile americana che
blocca la produzione americana e si sconnette con il mercato. L’URSS estremizza questo fatto: il
cotone è difficile da coltivare e necessita di moltissima acqua e per rafforzarlo i sovietici hanno
deviato due dei principali fiumi dell’Asia centrale pe dare maggiore acqua alle coltivazioni
dell’Uzbekistan. Quasi tutte le colonie vengono sfruttate soprattutto però dove si hanno delle
risorse minerarie, in questo caso si scarta l’agricoltura e si punta ad avere l’estrazione di minerali.
Si ha quindi un cambiamento che è significativo. C’è anche un cambiamento nelle città: qui è più
evidente perché la città è per eccellenza il luogo dove si vede maggiormente la presenza europea
tranne qualche colonia di popolamento dove la presenza è più sparsa nel territorio. In generale
però si trovano nei centri urbani e qui si ha una grande trasformazione: innanzitutto perché si
creano le città dei bianchi dentro le città, ossia ci sono le zone dei colonizzatori spesso nettamente
separate dagli altri (a Gibuti ancora oggi c’è il muro che li separava fisicamente). La città è quella
che Betts chiama “i palcoscenici degli imperi”, l’impero ha bisogno di un palcoscenico dove essere
rappresentato e vengono rappresentate (Victoria Station, casa del vice-re, il palazzo del
governatore, etc…) nelle strutture che da un lato dovrebbero manifestare la superiorità europea
sui colonizzati e dall’altro lato creano un spazio diverso, profondamente trasformato. La città
diventa nei Paesi colonizzati il simbolo della modernità e diventerà anche una maledizione. Questo
perché quasi tutti i Paesi usciti dal colonialismo sono Paesi che soffriranno dell’enorme problema
dell’inurbamento (crescita popolazione, modernizzazione che richiama le persone in città, nelle
campagne si vive peggio che nelle città, etc…), ma anche la creazione di megalopoli (quasi tutte le
capitali amministrative che diventano capitale degli Stati indipendenti soffrono di questo
problema: sono vittime del loro successo. Le città e soprattutto le capitali costruite con una forte
impronta occidentale (più modernità) diventano un attrattore incontenibile che viene accentuato
anche dall’ossessione dell’ideologia: tanto più i regimi esaltano la modernità, tanto più la
popolazione cerca di infilarsi nella modernità e per farlo si sposta nelle città. Si crea quindi una
disarticolazione. Con l’aumento delle tensioni interne all’impero si crea un’ulteriore frattura
perché nelle città si sviluppa spesso l’idea anticoloniale. Nella città si creano le ideologie, si
formano i leader della lotta contro l’imperialismo europeo. Ma, la lotta anticoloniale quando si
combatte, la si combatte soprattutto nelle campagne: è la periferia il primo territorio in cui
l’impero perde il controllo. Fino quasi alla fine dell’esperienza imperiale di uno Stato, uno Stato è
in grado di mantenere il controllo almeno sulla città principale. Ma è nelle campagne dove si
combatte più duramente, nelle città ci sono le manifestazioni. Quando cade la città è un qualcosa
che sta accadendo. La campagna è il segnale primo che dice che l’esperienza imperiale sta
giungendo al termine, quando gli europei non possono più circolare liberamente nelle campagne
ma devono rintanarsi nelle città: non hanno più il controllo del territorio. Mentre le campagne
mutano soprattutto per motivi economici, produttivi (devono rendere secondo i tuoi modelli e i
tuoi interessi), il mutamento che si ha nelle città avviene anche per motivi estetici (città devono
ricordare, assomigliare alla madrepatria).
8. Capitolo
i problemi dell’indipendenza. La decolonizzazione non risolve i problemi in Asia e Africa. In realtà
quasi senza eccezione, quello che caratterizza l’indipendenza e la fine dell’imperialismo era una
crescita incredibile di enormi speranze e aspettative che vanno tutte o quasi deluse. La fase post-
coloniale porta con sé il fallimento delle speranze e delle aspettative. Questo deriva anche perché
tutta l’élite post-coloniale aveva creato un’ideologia in cui denunciava il carattere rapace,
oppressivo dell’imperialismo. Uno degli autori molto popolare negli anni ’60-’70-’80 è Fanon “i
dannati della terra”: libro che ha avuto un forte impatto. Fanon diceva che la ricchezza dell’Europa
è stata costruita su una politica di furto e rapina: gli europei sono ricchi perché hanno derubato i
popoli coloniali. Quindi bisognava lottare contro l’imperialismo per rientrare in possesso delle
proprie ricchezze. Storicamente le cose però sono più complicate di cose perché se fosse solo così
non si capisce perché i finlandesi fossero più ricchi dei portoghesi (maggiore impero coloniale mai
avuto). Però, quando si dice che lo stato di miseria in cui vivono i popoli colonizzati dipende solo
dal fatto che gli europei li derubino delle risorse, che manchi la libertà, si ha la concezione che con
la fine dell’imperialismo si avrà libertà e ricchezza, quando rompi le catene dell’imperialismo ti
ritrovi senza né libertà né ricchezza. Tutto questo avviene per una serie di motivi perché un conto
è abbattere il dominio imperiale, ma un altro è cambiare i meccanismi economici mondiali. Le élite
post-coloniali si accorgono quasi sempre che l’indipendenza non porta né la pace (nascono
violenze e scontri: non sorprende perché molti Stati sono stati creati artificialmente unendo
popolazioni diverse e il modello è quello dello Stato Nazionale che afferma che tutti sono una
Nazione ma non sono preparati a gestire un’intera Nazione) e in quasi tutti i Paese che diventano
indipendenti scoppiano o guerre civili o fra Stati o avvengono colpi di Stato che danno vita a
dittature (Siria: Repubblica di colpi di Stato). C’è un fallimento molto forte di quasi tutte le élite.
l’elemento militare indipendente diventa spesso una serie di colpi di Stato. Questo perché spesso
in Stati molto deboli/fragili caratterizzati da violenze le forze armate ritengono di essere l’unico
elemento che tiene insieme questi Stati indipendenti. Visto che c’è l’attenzione sulla
modernizzazione le forze armate che devono essere moderne per definizione si autoproclamano
l’elemento portante per la modernizzazione, sono al contempo l’unico collante che tiene insieme
questi Stati e si autoproclamano i catalizzatori della modernità. Non sorprende che vogliano essi
stessi diventare i gestori di questi Paesi: se li proteggo e li modernizzo allora mi sostituisco al
potere civile. Si hanno grandi aspettative che falliscono: la quasi totalità dei Paesi che escono dalla
decolonizzazione diventano dei regimi dittatoriali, corrotti profondamente. La povertà aumenta al
posto che diminuire: ad esempio lo Zimbabwe era uno dei Paesi più avanti dell’Africa e ad oggi è
uno dei più poveri. L’Egitto, Paese in cui il cotone ha assunto una rilevanza fondamentale, litiga
con gli inglesi (1956) e nazionalizza tutta la produzione del cotone e per due anni i tecnici egiziani
che non sanno gestire la produzione del cotone sbagliano e con i fertilizzanti bruciano
completamente la produzione di cotone: si erano affidati ai russi. Vi è una crescita delle dittature
personali in molti Paesi: strutture claniche, strutture tribali si insinuano dentro la struttura formale
dello Stato e lo dominano. Si creano quello che viene definito come lo “Shade of State”: c’è uno
Stato ufficiale e uno di ombra fatto dal dittatore, dai suoi famigliari, dai legami tribali e clanici,
legami territoriali delle varie zone. Questo ha molto a che fare anche con il concetto di
“personalizzazione del potere” che spesso in Oriente è molto importante. Da noi il potere è basato
sull’ufficio ossia la carica che rivesti, mentre nel mondo tribale/ tradizionale è diverso, si svolge
una funzione perché sei tu e non perché ricopri una carica, quindi le autorità tradizionali hanno
molto più potere delle autorità ufficiali. In India con la morte di Nehru questo viene succeduto da
una donna, Indira Ghandi, perché è figlia di Nehru e quando lei viene uccisa dalle sue guardie del
copro le succede per un breve periodo come capo del Partito del Congresso Ghandi Rajiv figlio di
Indira Ghandi e quando pochi anni dopo viene ucciso gli succede come Presidente del Partito
Nazionale del Congresso Sonia Ghandi (italiana): a capo del Partito del Congresso c’è il figlio di
Sonia Ghandi. Tutto questo perché sono della famiglia Ghandi. È la famiglia che conta. Tutto
questo produce spesso dittature personali che vanificano tutti gli sforzi.
25 novembre 2019
9. Capitolo
Meccanismi socio economici dell’imperialismo avevano modificato. La fine dell’impero fu
traumatico per molte nazioni, poiché l’impero garantiva di essere sotto una stessa realtà: se stai
sotto la Corona Britanni poco cambia. La fine dell’impero (india) porta al fatto che milioni di
persone sono costrette a spostarsi, è uno spostamento di comunità che spesso vivevano in un
territorio da secoli. Un altro problema è che spostamento ha a che fare con l’identità delle
persone. (Ruanda e Burundi identità Hutu e Tutsi  genocidio in questi due stati  più alto
tasso di uccisioni, 1 milione di vittime in 100 giorni) la fine del colonialismo spinge alcuni coloni ad
entrare, in alcuni casi sono obbligati (ad esempio quando Congo si libera dal Belgio (colonialismo
peggiore) o si scappava dal Congo o si moriva) in altri casi coloni e comunità di europei (che
vivevano in asia) resistono. Le vicende postcoloniali (con l’aumento dello scontro tra mondo
occidentale e popoli ex colonizzati, spingerà a rientrare e questo sarà un fortissimo problema
anche per il paese colonizzato, perché spesso, andandosene le comunità europee se ne vanno
anche tecnici e specialisti, più in generale è un impoverimento). (Alessandria città cosmopolita con
comunità internazionale) Algeria coloni ricreavano un pezzo di Francia, con la fine della
decolonizzazione questo tende ad interrompersi brutalmente o in caso non sia violento tende a
sbiadire. Tripoli italiana, Tunisi francese  Oggi questi paesi sono molto meno internazionali, è
venuto meno il mondo cosmopolita. Quindi si spostano i coloni, in Libia molti coloni italiani
rimangono fino al ‘69 quando Gheddafi impone caccia a tutti gli italiani dalla Libia (48 ore). Altro
problema che ne crea peggiori tutte le realtà coloniali, il modo meno programmatico, forgiano
delle élite (popolazioni) che non sono più colonizzate o colonizzanti. La Francia vuole vendere il
modello culturale francese e lo vuole imporre, lingua, cultura, modo di ragionare. Ciò crea una
serie di individui che collaborano con l’amministrazione coloniale francese e che finita non può più
stare lì (oggetto di rappresaglie) lì si forma un gruppo di persone che a livello identitario non sanno
più chi sono, devono lasciare il loro paese, devono andare in Francia  la loro cultura è francese.
Pezzo di Francia con cittadini francesi che però non vengono considerati francesi, e non si
considerano loro stessi
10. Capitolo
Spazio e lingua  problema principale perché la lingua e la categorizzazione linguistica sta alla
base della nostra definizione, come noi ci definiamo. Se non avessimo una nostra lingua, non
avremmo la capacità di definirci, esprimerci. Il linguaggio non è mai netto, ma è uno strumento di
dominazione. (nelle università americane: gender equality  man kind, umanità il fulcro è che
Il linguaggio è sempre una forma di dominazione, lo è stato a livello gender (soprattutto per una
cultura maschilista  generata da cristianesimo e islamismo principalmente ma non solo. Anche a
livello politico. Infatti il primo mezzo per eliminare l’identità di un popolo è negarne il linguaggio.
In Francia se un professore insegnava usando l’occitano veniva licenziato  linguaggio è stato
usato spesso come primo veicolo di identità di un popolo  gli italiani sono quelli che parlano
italiano questa era solo un’ideologia!!! Tuttora la gente non sa parlarlo) il linguaggio è uno
strumento di dominazione soprattutto tra colonizzatori e colonizzati poiché non solo impongo no
linguaggio ma anche categorie con cui ti definisci. Quanto siamo legati ai concetti della post
modernità  fatto fortissimo di dominazione, siamo molto legati all’inglese. Oggi è un grande
vantaggio, ma finché esistono i rapporti coloniali se vuoi imparare del tuo paese lo devi imparare
nella lingua dei dominatori. In India il sistema di high education o il sistema giuridico più alto è in
lingua inglese. Le definizioni e termini che non sono mai in neutro ma fanno parte di un atto di
potere. Nasce quindi una corrente culturale che sarà un estraniarsi dallo sguardo dell’impero.
L’impero ti guarda e la cosa più difficile sarà non guardare come l’impero guarda. I canoni del tuo
vedere non sono stabiliti da te ma dal tuo dominatore. Lo sguardo imperiale è entrato ed è stato
completamente assimilato. Quindi il tentativo di sottrarsi allo sguardo imperiale come
estraniandosi come l’occidente ti ha guardato e catalogato. L’incapacità di creare un modello
alternativo di dire “i cittadini”. Il Kazakistan (crolla impero zarista, Lenin e comunisti non sanno che
farsi e fanno unione delle repubbliche socialiste sovietiche legate al concetto di nazionalità
concetto tipicamente occidentale per cui Kazakistan significa “terra dei Kazaki”) nel ’91 diventa
indipendente, censimento fatto nel ’91 prima di indipendenza, il 38% di Kazaki 42% dei kazaki
erano russi e slavi e non si consideravano kazaki. Finché c’era Unione Sovietica no problems non
cambia niente, ma quando il Kazakistan diventa indipendente: i kazaki sono una minoranza, i russi
(chi cacchio sono) non vogliono essere considerati kazaki, non sanno la lingua, non sono
musulmani  si sentono russi. Il governo li considera ospiti, cittadini di serie B o li vuole
assimilare? Il Kazakistan è uno dei pochi paesi che trova una via d’uscita, un po’ arrampicandosi sui
vetri, invertendo il problema: gli abitanti del Kazakistan si chiamano kazakistani  i kazaki sono i
kazaki etnici! Ciò funziona perché i kazakistani sono tutti patrioti che vivono in Kazakistan e che
amano il K indipendentemente dalla loro etnia. L’identità si fa scivolo.
In Iraq, nato su interessi britannici, i curdi non sono arabi, non si riconoscono tali. Quindi se l’Iraq è
paese arabo loro non si considerano. Però se loro vogliono considerarsi iracheni, allora l’Iraq non
può considerarsi arabo. Il modo in cui noi li abbiamo guardati diventa una trappola da cui non
possono uscire perché gli manca un linguaggio. C’è una letteratura di autori post coloniali che
esprimono questo estraniamento. Non si riconoscono più nell’impero ma non sanno parlare altra
lingua da quello dell’impero. Il mantenimento dei legami della dominazione post coloniale. La
comprensione che i meccanismi imperiali e coloniali hanno molte forme tra cui alcune dirette e
altre indirette (culturali che sono quelle più pervasive). Una prima reazione finito l’impero è quello
di tornare all’arabo e rinunciare al francese (lingua del dominatore), cercare di purificare lingua da
interferenze imperiali. Oggi c’è il fenomeno: non rifiutarsi della lingua dell’impero, ma
impossessarsi di questa lingua. Ci sono autori africani, creoli che dicono: perché smettere di
parlare la lingua (francese) in cui si esprimono? Non è il francese che si è appropriato di loro ma
loro si appropriano della lingua inserendo termini locali  chiamato dai francesi imbastardimento.
Ma questa è la riappropriazione di una lingua riadattandola. Mezzo per invertire lo sguardo
imperiale non è la negazione. Avviene meno con l’inglese.

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