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IL MEDIOEVO, PROFILO DI UN MILLENNIO – ALFIO CORTONESI

1. Il tramonto dell'Impero Romano


1.1. La crisi del III secolo
La deposizione di Romolo Augustolo per mano di Odoacre avviene nel 476, data cardine che
sancisce l'inizio del Medioevo. Tuttavia, si tratta soltanto del momento culmine di una crisi che
scuoteva l'Impero Romano da ormai un secolo.
Nel 200 l'Impero aveva confini molto ampi, che si affacciavano sul Mediterraneo e si estendevano
lungo l'Europa Occidentale e l'Oriente. Esso constava di 50 milioni di abitanti, vi era una
presenza culturale variegata, si parlavano diverse lingue e praticavano diverse religioni. Nonostante
questo, l'Impero era tenuto unito da alcuni fattori unificanti:
– la presenza di un forte potere amministrativo, presente in tutte le province;
– l'utilizzo del latino come lingua comune e lingua su cui era basato il diritto civile;
– la costruzione di opere di pubblico interesse;
– la concessione di libertà di culto;
– un ampio mercato su cui l'Impero basava il proprio prestigio commerciale.
In questo periodo iniziarono quei problemi che confluirono nella crisi del III secolo. Per quanto
riguarda la politica interna, questi problemi furono:
– perdita del potere senatoriale;
– militarizzazione del potere politico e successiva anarchia militare;
– carestie e pestilenze che portarono a un calo demografico;
– incapacità di sostenere guerre di conquista, che portò a un abbassamento del numero degli
schiavi e dunque della manodopera;
– problemi economici dettati da una contrazione dei mercati e dall'incremento della spesa
pubblica.
Per quanto riguarda la politica estera, questi problemi furono:
– ascesa della dinastia Sassanide al trono di Persia, che riprese le ostilità militari;
– invasioni a Oriente (Parti) e Occidente (Germani)
Questo clima di estrema insicurezza portò all'innalzamento delle Mura Aureliane, che cingevano
Roma.

1.2 Le riforme di Diocleziano


A questo clima di crisi cercò di rispondere Diocleziano, generale proveniente dalla Dalmazia.
Riforme importanti di Diocleziano:
– riforma militare: il suo legame con l'esercito lo spinse a una riforma militare, che prevedeva
la diminuzione del numero di legionari ma l'aumento del numero di legioni. Questo permise
di tenere sotto controllo le anarchie militari, evitando che troppi legionari fossero fedeli a
uno stesso generale;
– riforma fiscale-lavorativa: legò il figlio all'esercizio del potere paterno;
– riforma costituzionale: introduzione della tetrarchia. Diocleziano si rese conto che fosse
impossibile difendere i confini di un Impero così vasto da solo, dunque nominò anche il suo
braccio destro, Massimiano, con il titolo di Augusto. I due Augusti erano distinti in “primo”
e “secondo” Augusto, in modo da mantenere il potere imperiale. Avrebbero governato per
vent'anni al fianco di due Cesari, che sarebbero stati i loro successori: questo risolveva
anche le crisi dinastiche e le lotte interne per ottenere il potere militare;
– riforma amministrativa: divise il territorio in quattro prefetture (di Gallia, d'Illiria, d'Italia
e d'Oriente), divise in dodici diocesi (ognuna delle quali retta da un vicario) e 101 province.

1.3 Da Costantino alla divisione dell'Impero


La tetrarchia introdotta da Diocleziano cadde già con l'imperatore successivo, Costantino. Egli
infatti si scontrò con Massenzio (figlio di Massimiano) per accentrare il potere nelle sue mani. Nel
312 ebbe una visione secondo la quale, se avesse combattuto indossando il simbolo della croce,
avrebbe vinto: Costantino diede credito a tale visione ed effettivamente vinse, diventando così
imperatore. Nel 313, Costantino concesse libertà di culto anche ai Cristiani, che fino ad allora
erano stati perseguitati (editto di Milano). I motivi dietro questa scelta erano di carattere politico,
perché Costantino sperava di poter unificare l'Impero anche grazie al fattore religioso. Nel 325, egli
prese parte al Concilio di Nicea, che affrontava il tema della natura ontologica di padre e figlio. In
esso si scontravano la dottrina di Ario (che sosteneva la superiorità ontologica del padre rispetto al
figlio) e gli ortodossi (che sostenevano l'uguaglianza delle due nature). L'intervento dell'Imperatore
è un caso di Cesaropapismo, dettato dal desiderio di evitare una frattura interna al mondo Cristiano.
Oltre al fattore religioso, Costantino si occupò di una riforma monetaria (trimetallismo) e spostò
la capitale a Bisanzio, i cui confini erano difendibili con maggiore facilità.
Tuttavia, la crisi del III secolo continuò a dilagare e con essa la pressione delle tribù germaniche
lungo il limes. Unni e Visigoti spingevano sempre più lungo il confine e quest'ultimi vennero
affrontati dall'Impero ad Adrianopoli, nel 378 (Valente). L'esercito romano fu pesantemente
sconfitto e a seguito di quest'evento gli imperatori, incapaci di fermare le invasioni, cercarono di
adottare politiche basate sui due strumenti della hospitalitas (concessione agli occupanti di 1/3 o
più del territorio, in cambio di aiuto militare) e della foederatio (patto che lega popoli o città lungo
il confine).

1.4 La fine dell'Impero Romano d'Oriente


Tra IV e V secolo, la spinta delle popolazioni germaniche lungo il limes divenne sempre più
incontenibile.
– I Visigoti avevano penetrato la penisola, minacciando Milano e portando a spostare la
capitale a Ravenna (402);
– Alani, Svevi e Vandali invasero i confini nel 406;
– nel 410 i Visigoti, guidati da Alarico, compirono il sacco di Roma;
– per fermare l'avanzata degli Unni di Attila, Ezio utilizzò lo strumento dell'hospitalitas,
combattendo al fianco di Visigoti e Burgundi. Nonostante una sconfitta iniziale degli Unni,
furono proprio questi a determinare la fine dell'Impero Romano d'Occidente nel 476.
Odoacre depose infatti l'ultimo imperatore, Romolo Augustolo. Non si proclamò Re o
Imperatore, ma regnò per tredici anni con il titolo di “patrizio”.

2. Il Cristianesimo
2.1 La diffusione del Cristianesimo
I motivi alla base della crisi del III secolo confluirono anche nella diffusione di religioni provenienti
dall'Oriente, tra cui spicca in particolare il Cristianesimo. Il politeismo non è più in grado di
rispondere a quella condizione di crisi privata, mentre il cristianesimo è di consolazione
all'inquietudine spirituale. Esso infatti promette l'uguaglianza delle anime e la pace eterna nella
vita ultraterrena e si basa su un forte valore comunitario, grazie al quale si condividono le
sofferenze ma anche il benessere. Il primo incontro tra la politica romana e il cristianesimo è
negativo, tanto che sfocia in violente persecuzioni (fino a Diocleziano). Questo perché il
cristianesimo si basava su un valore egualitario lontano alla cultura romana dell'epoca, era legato al
mondo giudaico (che da sempre tentava di ribellarsi a quello romano) ma soprattutto perché
rifiutava il culto dell'imperatore, mettendo in discussione il prestigio imperiale.
Con Costantino, il Cristianesimo ottenne libertà di culto (313, editto di Milano) e nel 325 con il
Concilio di Nicea venne risolto un primo problema di fede (diatriba tra cristianesimo e ortodossia).
Nel 380, con l'editto di Tessalonica, il cristianesimo divenne infine religione di stato.

2.2 Episcopato e potere politico


Gli Imperatori, inizialmente in opposizione al Cristianesimo, scelsero di sostenerlo a partire da
Costantino, che si rese conto di come il fattore religioso potesse costituire una possibilità di unità.
Nel corso del IV secolo sorsero le sedi vescovili, soprattutto nelle città. A Roma, in quanto capitale
dell'Impero e sede del martirio di Pietro, venne riconosciuto un primato sulle questioni religiose
(Concilio di Calcidonia, 451).

2.3 Le grandi dispute teologiche


Il primo problema della dottrina cristiana riguardava la duplice natura di Cristo e il rapporto tra la
natura ontologica del padre e quella del figlio. Esso fu risolto con il concilio di Nicea del 325, al
quale presenziò anche Costantino. Nel 451 divenne necessario stabilire anche un primato nelle
questioni di fede, che fu riconosciuto alla chiesa di Roma (concilio di Calcidonia).

2.4 Il monachesimo
Il monachesimo cristiano iniziò a svilupparsi tra III e IV secolo in Asia Minore, particolarmente nei
deserti dell'Egitto. Nacque su iniziativa individuale, da persone di astrazione sociale varia che
scelsero di dedicarsi a una vita ascetica come eremiti. Iniziarono a formarsi così i primi gruppi di
eremiti, i cenobiti. Dall'Egitto, le comunità monastiche si diffusero poi in Siria e Palestina, fino ad
arrivare nel IV secolo anche a Occidente, dapprima nei territori della Gallia. In Italia fu
fondamentale l'esperienza benedettina: nel 540, a Montecassino, venne fondato il monastero di San
Benedetto da Norcia, basato sulla regola dell'ora et labora.

3. Le migrazioni e i regni latino-germanici


3.1 Caratteri dei regni latino-germanici
La commistione tra la popolazione autoctona e le tribù di barbari prese elementi caratterizzanti di
entrambe le civiltà. La popolazione romana mantenne l'utilizzo del diritto scritto e il potere
amministrativo, mentre le tribù barbare mantennero il controllo sull'esercito. Il regno sostituì la
tribù e il Re fu percepito come un capo militare.

3.2 Il regno iberico dei Visigoti


Dopo la vittoria di Adrianopoli, i Visigoti si erano stanziati come federati lungo il limes.
Saccheggiarono Roma nel 410 e successivamente occuparono la Gallia. Il loro espansionismo si
scontrò con i Franchi, contro i quali persero nel 507. I Visigoti restarono così stanziati in Spagna
fino al 711, quando vennero sconfitti dagli arabi.

3.3 Il regno dei Franchi

I Franchi erano pagani, organizzati in tribù; nel V secolo, Clodoveo divenne il primo sovrano
comune e si convertì al Cristianesimo. Nel suo lungo regno, Clodoveo fondò la capitale del regno
(l'odierna Parigi) e raccolse un codice di consuetudini del suo popolo (Lex salica). Sotto Clodoveo,
lo stato era concepito come un bene privato del Re. I Franchi furono abili nel permettere
l'integrazione della popolazione autoctona, basata sul principio di personalizzazione del diritto,
secondo cui ogni individuo manteneva il diritto proprio dell'etnia di appartenenza.

3.4 Altri regni latino-germanici


Nella prima metà del V secolo si formò il regno vandalo d'Africa, a seguito della cacciata dalla
penisola iberica. Questo regno ebbe come centro Cartagine e fu l'unico a essere dotato di una
propria flotta.

3.5 Il regno ostrogoto d'Italia


Teodorico, spinto verso l'Italia dall'imperatore d'Oriente Zenone, tentò una politica di convivenza
pacifica con la popolazione romana. Non vi fu tuttavia mai una vera e propria integrazione, poiché
il progetto di Teodorico fu ostacolato anche dagli altri regni, che temevano un asse ostrogoto-
romano.

4. L'IMPERO BIZANTINO E IL MONDO SLAVO


4.1 L'oriente romano tra V e VI secolo
Dopo Teodosio, l'unità tra Impero Romano d'Oriente e d'Occidente venne meno. Alla caduta
dell'Impero Romano d'Occidente, nel 476, quello d'Oriente resistette. Esso infatti aveva una realtà
più vivace e solida e contava sulla presenza di diverse città importanti. Inoltre, gli imperatori
d'Oriente furono abili nelle trattative diplomatiche contro gli incursori, che riuscirono a far
rivolgere verso altre mete (Visigoti, Spagna; Ostrogoti, Italia). L'impero Romano d'Oriente continuò
la sua storia fino al 1453, anno della conquista turca di Costantinopoli.

4.2 Giustiniano e la riconquista dell'Occidente


Salito al potere nel 527, Giustiniano fu costretto ad affrontare svariati problemi interni, di cui i più
gravi furono rivolte dettate dalla pressione fiscale. Una delle più rilevanti fu la rivolta di Nika,
scoppiata all'Ippodromo (fazione degli Azzurri e dei Verdi) e conclusasi grazie alla concessione di
grazia da parte dell'imperatore. Giustiniano si occupò di combattere gli abusi dei funzionari e della
fortificazione dei confini, ma fu anche attivo dal punto di vista della politica estera. Dopo aver
facilmente sconfitto i vandali, iniziò una guerra con gli ostrogoti che durò dal 335 al 353. Il
comando della guerra fu affidato al generale Belisario, nei primi cinque anni fu possibile la
riconquista di molti territori italiani (Sicilia, Calabria, Napoli, Roma, Urbino). L'esercito imperiale
fu messo in difficoltà quando gli ostrogoti assoldarono schiavi e mercenari, ma nonostante questo
nel 553 riuscì a vincere. Dopo la guerra l'imperatore restituì le terre ai latifondisti e risarcì la chiesa
per i danni subiti.
Giustiniano si occupò della stesura del Corpus Iuris Civilis, fondamentale documento di testo che
codificava il diritto civile romano e poneva una distinzione tra incarichi civili e militari. Il testo era
diviso in quattro parti:
– Codex, 12 libri che raccoglievano le leggi emanate dai predecessori di Giustiniano;
– Digestas, che raccoglieva le sentenze e i commenti di giurisprudenza romana;
– Institutiones, computazione del diritto romano a uso scolastico;
– Novallae Institutiones, leggi emanate da Giustiniano.

4.3 Da Giustiniano all'iconoclastia


Dopo Giustiniano, furono Maurizio ed Eraclio a occuparsi delle strutture amministrative
dell'Impero. Maurizio unì il potere militare e civile nelle mani degli esarchi di Ravenna e
Cartagine, Eraclio si occupò di una riforma amministrativo-territoriale e riuscì a sconfiggere la
Persia. Gli arabi arrivarono però a minacciare il cuore dell'Impero, che riuscì a difendersi sotto
Leone III. Sotto Leone III si sviluppò il movimento iconoclasta, appoggiato dall'imperatore stesso.
Esso si caratterizzava per un'avversione verso l'adorazione di immagini sacre, che furono fatte
distruggere. La Chiesa si oppose all'iconoclastia e il papa, Gregorio III, scomunicò l'imperatore.
Questa frattura tra l'Impero bizantino e la Chiesa sarà fondamentale per la storia d'Italia, specie per
l'intervento longobardo davanti alla fragilità dell'Esarcato.

4.4 L'Italia bizantina


A seguito della conquista longobarda dei territori italici, l'Impero bizantino riuscì a mantenere il
controllo solo su pochi ducati, sottoposti all'autorità dell'esarca di Ravenna. Essi dovevano essere
costantemente difesi dalle aggressioni longobarde. Quando Agilulfo assalì il ducato di Roma, a
difenderlo fu il papa e non il duca. Nel corso del VII e VIII secolo, le conflittualità con i
Longobardi furono rese ancora più delicate da una crisi tra l'Impero e la Chiesa.

4.5 Rafforzamento del potere imperiale ed espansionismo territoriale


Nel corso di IX e X secolo, la fioritura di attività artigiane e mercantili diede un nuovo impulso alla
vita socio-economica dell'Impero. Città come Napoli, Amalfi e Bari svilupparono i loro traffici
commerciali, fungendo da snodo tra le terre.

4.6 Al confine dell’impero: gli slavi


Nel corso del VI secolo, lungo l'area balcanica dell'Impero, si insidiarono gli slavi. Si trattò dello
spostamento verso Ovest di una popolazioni con abitudini sedentarie, dedita all'agricoltura e alla
pastorizia. L'impero bizantino cercò di fermare l'avanzata degli slavi anche con azioni diplomatiche.
Grazie alla cristianizzazione si formarono i primi stati slavi (regno di Polonia, sotto la
giurisdizione papale e principato di Rus, con capitale Kiev).

5. I Longobardi
I Longobardi provenivano dalla Pannonia e sotto Giustiniano erano diventati foederati
dell'Impero. In un secolo e mezzo conquistarono una parte cospicua della penisola, che aveva come
punto focale del potere il Nord. Alcune regioni rimasero però in mano bizantina: ai Longobardi
mancò l'appoggio delle elites religiose e politiche (Roma e Ravenna erano in mano bizantina).
L'impatto tra i Longobardi e l'Italia è stato pensato a lungo in termini negativi. Esso viene descritto
da Gregorio Magno come apocalittico, da Tabacco come rottura definitiva della storia d'Italia. Con i
Longobardi ebbe fine l'aristocrazia senatoria e di molte istituzioni passate. Probabilmente l'Italia del
Nord rimase intoccata dalle violenze longobarde, che riguardarono principalmente le regioni del
centro: le città settentrionali riuscirono a mantenere la loro importanza. La maggiore difficoltà
nell'analizzare la storia longobarda sta nell'assenza di fonti. Una delle principali è quella di Paolo
Diacono, redatta due secoli dopo sotto Carlo Magno e riguardante principalmente la storia dei
territori del Nord.
Ricostruendo la storia longobarda si può analizzare che nel 568, sotto la guida del Re Alboino,
attraversarono le Alpi Giulie ed entrarono in Italia. Iniziarono a conquistare i territori con degli
assedi, scontrandosi con la potenza bizantina. Secondo le fonti archeologiche analizzabili, è
probabile che i longobardi si insediarono nel territorio occupando militarmente le città. In Italia non
è stata trovata traccia di insediamenti longobardi autonomi rispetto alla popolazione autoctona,
indice di un processo di fusione avviato già nel VII secolo (come osservabile anche tramite i
ritrovamenti funebri).
Nel 572, Alboino fu ucciso da una congiura (probabilmente di matrice bizantina) e al suo posto salì
al potere Clefi. Successivamente, per dieci anni, i Longobardi furono guidati dai duces e in questo
periodo vennero conquistati il Friuli, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e la Toscana. A Sud
vennero formati i ducati di Benevento e Spoleto. In questo periodo non è chiara la sorte
dell'aristocrazia e degli ecclesiastici: stando alle fonti molti nobili furono uccisi per cupidigia,
mentre nella maggior parte dei casi i vescovi funsero da mediatori (due sono i casi registrati di
vescovi fuggiti dalla loro sede: a Milano e Aquileia). La conformazione territoriale longobarda
appariva divisa e ai Longobardi mancava l'appoggio delle elites vescovili e politiche, poiché non
avevano conquistato né Roma né Ravenna.

5.1 La struttura sociale del popolo longobardo


A capo della società longobarda vi era il Re, che era capo militare di un popolo-esercito. Il Re era
eletto dall'assemblea degli arimanni, gli uomini liberi che si occupavano di fornire cavalli e armi in
base alle possibilità economiche. Gli arimanni avevano diritto-dovere di servizio militare. Alla base
dell'organizzazione sociale c'era la fara, ovvero l'insieme di famiglie: più fare obbedivano a uno
stesso duca. I Longobardi erano di religione ariana.
L'impatto tra gli autoctoni e i Longobardi fu duro, perché si tratta di un incontro tra due culture
molto diverse a livello religioso e politico. I Longobardi presero le terre della popolazione latina,
che fu costretta al versamento di tributi. Nel momento iniziale, la politica e l'esercizio delle armi fu
prerogativa dei Longobardi.
Le civitates erano inizialmente rette da duces (per le città più ampie) e gastaldi (per le città meno
ampie). I primi avevano potere amministrativo e militare, i secondi solo amministrativo.
Probabilmente vi era una differenza di importanza di famiglia d'appartenenza tra le due figure.

5.2 L'organizzazione del regno


Alla morte di Alboino (572) regnò Clefi, al quale seguì un periodo di dieci anni in cui regnarono i
duces. Successivamente fu eletto re Autari, figlio di Clefi, che rafforzò il potere regio. Ad Autari
seguì Agilulfo, che sposò Teodolinda (precedentemente sposa di Autari): la figura di Teodolinda è
chiave per la conversione alla religione cristiana. Nonostante un periodo iniziale di difficile
convivenza tra Longobardi e autoctoni, le città mantennero sempre il loro prestigio.
Un sovrano degno di nota è Rotari, che riorganizzò il regno e si occupò di promulgare un
documento, noto come editto di Rotari (643). Esso consta di 388 capitoli e mostra la teoria del
sistema longobardo, il cui diritto civile si discosta da quello romano. Nonostante il prologo faccia
riferimento alla storia e alle leggi longobarde, l'editto è scevro di connotazione etnica ed è rivolto a
tutti. Esso è stato scritto in un latino rozzo e aveva un duplice compito: da un lato arrestare la
violenza urbana, dall'altro lato rafforzare il potere regio. Un esempio del primo intento è dato da
uno dei passi chiave dell'editto, ovvero quello che sancisce il passaggio dal ricorso alla faida al
guidrigildo. La faida consisteva nel pagare un torto compiuto ricevendo un torto di egual misura,
mentre il guidrigildo consiste in un risarcimento economico (che varia in base al torto in sé e
all'astrazione economica). All'interno dell'editto si può analizzare anche l'elemento del mundio,
ovvero la subordinazione della donna all'uomo. Rotari aveva bisogno di rafforzare il potere regio,
specie perché solo i territori del Nord erano sotto il controllo effettivo del Re: il centro e il sud
apparivano infatti più difficili da controllare. Il Re viveva nel Palatium, cuore amministrativo e
politico del regno Longobardo (esso faceva parte della curtis regia, che comprendeva non solo le
terre e i beni fiscali e le persone che ne facevano parte; il termine indicava anche l'organo
amministrativo dei beni fiscali). Il suo potere era militare, amministrativo e fiscale.

5.3 L'VIII secolo: maturità e caduta del regno Longobardo


La conversione al cattolicesimo, i matrimoni misti e le comuni condizioni di vita avevano permesso
a una fusione tra autoctoni e Longobardi. Questo fattore è analizzabile dai siti archeologici reperiti
(assenza di fortificazioni longobarde, elementi di commistione nel sistema funebre).
Nell'VIII secolo, si trova la figura fondamentale del re Liutprando. A inizio secolo il re ordinò
un'inchiesta relativa alla zona di confine tra le civitates di Arezzo e Siena: il problema era quello di
stabilire l'appartenenza di alcune diocesi all'una o all'altra città. Gli uomini del contado senese-
aretino erano inquadrati dalle strutture territoriali ecclesiastiche alle quali facevano riferimento. I
testimoni, sia ecclesiastici che laici (membri dell'esercito), affermano che l'azione senese sia stata
una violenza. Nonostante il re avesse mostrato una preferenza per Arezzo, la questione non si
concluse. Da questa discussione emerge però un dato importante: gli abitanti non identificavano se
stessi come romani o longobardi, bensì come senesi o aretini: abitanti delle città dunque, non
membri di un popolo.
Da un punto di vista politico, Liutprando regolamentò i figli illegittimi e permise la successione
ereditaria femminile. Tentò inoltre di regolare l'uso del duello per risolvere le questioni private,
ma senza risultati sensibili. L'azione del re fu importante anche da un punto di vista religioso, dato
che permise al cattolicesimo di entrare a far parte della vita quotidiana del regno. Liutprando
introdusse infatti le donazioni “pro anima”, fatte in punto di morte e rivolte a monasteri e diocesi:
esse avevano motivazioni economiche e patrimoniali.
L'età di Liutprando ha lasciato in eredità un testo che permette di osservare uno squarcio sull'attività
commerciale del regno, il patto con i mercanti di Comacchio (715). Tramite esso è possibile
analizzare l'importanza dei centri costieri bizantini e la ricchezza dell'aristocrazia longobarda.
Sarebbe azzardato affermare l'esistenza di un mercato longobardo, ma è certa l'esistenza di un
mercato locale padano, basato sul sale e sulle spezie. Questo documento attesta anche l'esistenza di
prestiti di denaro, sebbene ancora rivolta solo ai ceti più alti. L'attività di prestito è documentata
presso la famiglia di Totone di Campione, tramite il documento si evince la presenza di
acquisizione schiavili. Gli schiavi erano probabilmente usati come manodopera. La famiglia di
Totone appare anomala, perché basata su colture specializzate (vigneti) e traffico di denaro e
schiavi. Nonostante la sua proprietà sembri essere di tipo fondiario, manca una prova concreta del
suo legame con il potere regio. Alla fine della sua vita, Totone elargì una donazione pro anima, ma
la quantità della sua eredità non è stata riportata per esteso.
Liutprando approfittò della crisi tra la Chiesa e l'Impero bizantino (dettata dal fenomeno
iconoclasta) e riprese l'espansione del regno. Saccheggiò le terre bizantine dell'Esarcato nel 717, per
poi invaderle nel 727 nella zona emiliana e su parte della Pentapoli. Si scontrò però con il papa, che
era deciso a convincerlo a non occupare Roma. I rapporti tra papato e longobardi erano stati scarsi
tra VI e VII secolo, perfino l'opera di conversione della regina Teodolina non fu particolarmente
presa in considerazione. Per quanto si possa considerare una mancanza di rapporti tra i vertici
pontefici e longobardi, non si può comunque negare un contatto che è riscontrabile anche dalle fonti
archeologiche, che sottolineano un legame economico.
L'offensiva di Liutprando riuscì a conquistare Ravenna, la quale restò in mano longobarda solo per
poco tempo. Fu l'intervento del papa a essere decisivo: Liutprando, di fede cattolica, ascoltò l'invito
di Gregorio II ma invece di restituire il castello di Sutri all'Impero lo donò al papa (728),
riconoscendo implicitamente la sovranità pontificia su quei territori. Il castello di Sutri è il primo
possedimento territoriale papale, la pietra su cui svilupperà lo Stato Pontificio. Il conflitto con
l'Impero fu ripreso da Liutprando, che nel 739 assediò Roma. Fu tuttavia costretto ad abbandonare il
suo progetto per aiutare nella difesa contro l'avanzata araba.
Dopo Gregorio II fu eletto papa Gregorio III, si alleò con il duca di Spoleto, che cercava di ottenere
l'indipendenza dal regno longobardo. Tramite quest'alleanza, il papa ottenne Gallese. Liutprando
reagì dapprima sopprimendo il tentativo di indipendenza, motivo per cui il duca spoletino cercò
rifugio a Roma; successivamente, il re longobardo conquistò alcuni territori della campagna
romana. Dopo Gregorio III fu eletto papa Zaccaria, con il quale intraprese dei rapporti inizialmente
positivi. Liutprando invaso alcuni territori dell'Esarcato, ma fu chiamato a preservare lo status quo
dal papa. Liutprando e Zaccaria si incontrarono nel 742 a Terni, incontro in cui Zaccaria cercò di
ottenere le quattro città del ducato romano. Nel 743 si incontrarono nuovamente a Pavia, dove si
legittimarono vicendevolmente.
A Liutprando successe Ratchis, che stipulò una pace ventennale con Zaccaria ma nonostante questo
riprese le ostilità, tentando di raggiungere Perugia. Il re si rifugiò in convento quando il fratello
Astolfo pretese il titolo regio. La politica di Astolfo fu molto aggressiva, tanto che il regno
longobardo riuscì a conquistare e annettere Ravenna. Stefano II cercò un'alleanza con i Franchi
pipinidi, la cui risposta non era tuttavia scontata. Tra pipinidi e longobardi esistevano rapporti
positivi, stretti da legami dinastici. Tuttavia, il papa ottenne l'aiuto dei pipinidi garantendo a Pipino
III il titolo regio, Stefano II unse il Re e i due figli come difensori della cristianità. Pipino III scese
in Italia due volte, sconfiggendo i Longobardi. Nel 754, dopo la prima discesa, Astolfo fu costretto a
firmare una pace che prevedeva la restituzione delle città oggetto di contesa (città dell'Esarcato e
della Pentapoli), ma che non fu rispettata. Così nel 756 Pipino III scese nuovamente in Italia,
sconfiggendo i Longobardi di Astolfo.
Alla morte di Astolfo, a seguito di un incidente a caccia, successe Desiderio, il quale provò a
prendere il potere con un colpo di stato. Inizialmente la pretesa del re sul trono non era molto forte,
perché essa non era stata formalizzata e il re non aveva raggiunto Pavia: a Desiderio si oppose
infatti Ratchis, forte dell'appoggio con l'aristocrazia del Nord. Tuttavia, fu proprio la legittimazione
da parte di Stefano II a garantire il potere al re. La figura di Desiderio appare una figura dai contorni
storici sfuggenti: secondo il Liber Pontificalis era un inviato di Astolfo in Tuscia, secondo gli
Annales franchi era un funzionario regio (stalliere). Quale che fosse la sua origine, Desiderio passò
alla storia per essere stato l'ultimo sovrano longobardo. Il re fu in grado di instaurare un'importate
politica matrimoniale, grazie alla quale diede in sposa una delle sue figlie a Carlo. Stefano II si
oppose inizialmente a questo matrimonio, che tuttavia andò lo stesso in porto.
Paolo I succedette Stefano II nel 757. Il Liber pontificalis lo descrive come un uomo pio e buono,
un “papa santo”. A Roma vi fu una frattura politica, dettata da motivi interni (relativi all'accesso al
potere) e da motivi di politica estera (relativi all'atteggiamento da tenere nei confronti dei
longobardi). Subito dopo la sua incoronazione, Paolo I si rivolse a Pipino il Breve (invece che
all'imperatore bizantino), quasi a sottolineare il legame ormai spezzato con l'impero d'Oriente e
quello invece rinnovato con i pipinidi. La tradizione attribuiva al pontificato di Paolo I la redazione
della “donazione di Costatino”, ma si tratta di un falso – come dimostrato nel XV secolo da
Lorenzo Valla (essa infatti è stata redatta sotto il papato di Leone III). Desiderio aveva donato delle
città a Paolo I per la sua elezione, ma di fatto era il re longobardo a continuare a esercitare il
controllo su di esse. Inoltre il re aveva anche recuperato il ducato di Benevento e di Spoleto, che si
erano ribellate precedentemente ai longobardi, forse proprio su istigazione papale. Desiderio e
Paolo I si incontrarono a Roma e in quest'incontro il re chiese al papa di intercedere per lui presso
Pipino il Breve, per la restituzione dei prigionieri ceduti sotto Astolfo. Il papa scrisse allora due
missive: nella prima, si mostrava favorevole e ben disposto nei confronti del re longobardo e
intercesse per lui, chiedendo la restituzione degli ostaggi. La seconda lettera, segreta, smentiva ogni
valore della precedente. Davanti alla malattia di Paolo I iniziò a crearsi il problema della
successione. Il duca Totone, esponente militare dela Tuscia, sostenuto da truppe armate e dai tre
fratelli, marciò verso Roma. Riuscì a imporre l'elezione del fratello Costantino, che era laico.
Intervenne il re longobardo Desiderio, nella speranza di ottenere un papato favorevole al suo regno:
aiutò così Cristoforo per estromettere Costantino. Gli sconfitti furono mutilati o uccisi, il popolo
romano che aveva preso la comunione da Costantino fu multato e fu decretato che per poter essere
eletti papi bisognasse completare prima un percorso ecclesiastico. Un'elezione popolare portò al
pontificato di Stefano III, nonostante i longobardi sostenessero Filippo. A Stefano III seguì Adriano
I. Desiderio nel frattempo aveva occupato Istria, Faenza, Ferrara e Comacchio, territori che la
chiesa rivendicava sulla base di concessioni di Pipino III. Con la morte di Carlomanno, tuttavia, si
ebbe un'importante svolta politica. La vedova di Carlomanno si rifugiò presso Desiderio insieme ai
suoi figli, che avevano perso i loro diritti. Carlo, nel frattempo, si era fatto giurare fedeltà dai
vassalli del defunto fratello e aveva allontanato la sposa longobarda (della quale non si ricorda il
nome, damnatio memoriae). Desiderio aveva nel frattempo in scacco Venezia, dominando così i
mercati verso l'Oriente e chiudendoli a proprio piacimento.
I rapporti tra Desiderio e il papato si inasprirono, al punto che Adriano I richiese un intervento
militare franco. Carlo valicò le Alpi nel 773, ottenendo una vittoria alle Chiuse e assediando Pavia.
Nel frattempo, altre città longobarde cadevano davanti all'esercito franco e in un anno, nel 774,
Carlo ottenne la definitiva vittoria. Grande assente della difesa longobarda, in quest'occasione, fu il
duca di Benevento (genero di Desiderio). I sovrani, Desiderio e Ansa, furono detronizzati e fatti
prigionieri in Francia. Adelchi trovò rifugio nell'impero bizantino e provò a tornare al potere con
l'appoggio di Bisanzio e dei duchi di Friuli, Spoleto e Benevento, ma il tentativo fallì. Nelle varie
città, il passaggio dal regno longobardo a quello franco avvenne dapprima ai vertici di potere
(esclusi i vescovi).
Nonostante il regno franco e quello longobardo fossero entrambi importanti ed evoluti, il motivo
per cui in vent'anni i longobardi furono sconfitti per tre volte dai franchi va ricercato nella struttura
dell'esercito. Quello franco era un esercito professionista, dedito alla guerra, mentre stando alle
poche fonti che si possono analizzare sembra che l'esercito longobardo dell'VIII secolo non fosse
prettamente tale.
La fine del regno longobardo aveva acceso dei focolai di resistenza (soprattutto a opera dei duchi
del Friuli), per cui nel 776 Carlo tornò in Italia, sottomettendo militarmente i ribelli e concedendo il
mantenimento delle loro posizioni in cambio di giuramento di fedeltà.

5.5 I Longobardi del Sud


Nonostante la caduta del regno Longobardo, il ducato di Benevento e quello di Salerno
sopravvissero. La frammentazione e i conflitti si inasprirono, mentre il Sud era oggetto di scontri tra
impero carolingio, bizantino e i saraceni. La realtà del Sud risulta dunque politicamente
frammentata fino all'XI secolo, quando il Sud arriverà a una dominazione unitaria sotto i Normanni.

6. Gli arabi e l'espansione islamica


6.1 L'Arabia prima di Maometto
La penisola arabica si trova nei pressi della Mesopotamia ed è caratterizzata da un vasto deserto nel
quale spiccano alcune oasi. Le città inizialmente sorgevano attorno a queste oasi ed erano dunque
diffuse a macchia di leopardo. Prima di Maometto, la penisola era divisa tra la giurisdizione politica
bizantina e quella persiana, eccezion fatta per i nomadi beduini. Da un punto di vista economico,
nella parte Sud era presente l'agricoltura mentre nel Nord si allevavano cammelli, ma la maggior
fonte di ricchezza era data dai traffici commerciali. Fondamentale era a tal proposito la città de La
Mecca, snodo commerciale e centro di vita religiosa. Da un punto di vista religioso, gli arabi erano
dediti al politeismo e all'animismo, ma nei centri urbani erano presenti anche ebrei e cristiani.

6.2 Maometto e l'Islam


Maometto nacque a La Mecca nel 570, da una famiglia di mercanti. Rimasto orfano e cresciuto
dallo zio, si dedicò inizialmente all'attività mercantile. Durante una meditazione nel deserto, una
visione dell'arcangelo Gabriele lo spinse a farsi messaggero della parola dell'unico Dio (Allah).
Grazie al matrimonio con una ricca donna, Maometto si dedicò esclusivamente alla vita religiosa e
alla predicazione, che fece molti proseliti soprattutto nel ceto sociale medio-basso (inizialmente a
restare lontani dalla nuova religione furono proprio i mercanti). Maometto e i suoi seguaci furono
costretti alla fuga nel 622, perché la nuova religione sembrava risultare dannosa per i potenti
mercanti. I fuggiaschi organizzarono le loro forze a Medina e nel 630 La Mecca fu conquistata,
con seguente distruzione degli idoli e proclamazione del culto dell'unico Dio. Nel 653 le rivelazioni
fatte da Dio a Maometto vennero raccolte nel Corano, che divenne il testo sacro della religione.
Essa si basa su cinque pilastri:
– professione di fede monoteistica, non esiste altro Dio all'infuori di Allah di cui Maometto è
profeta;
– obbligo di pregare cinque volte al giorno, avendo come riferimento La Mecca;
– digiuno nel mese di Ramadan;
– pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita;
– elemosina rituale, a cui i benestanti devono sottoporsi per aiutare i più bisognosi.
Il Dio islamico è lo stesso cristiano ed ebraico. Testi sacri sono anche la Torah, i Salmi di David e i
Vangeli. Gerusalemme è una città sacra anche per la religione islamica.

6.3 I “quattro califfi” (632-661) e la prima espansione dell’islam


Alla morte di Maometto, seguì il problema della successione al ruolo di califfo (“successore
dell'inviato di Dio”). Le fazioni iniziali erano tre:
– compagni di Maometto, secondo cui il ruolo di califfo sarebbe spettato a uno dei discepoli;
– legittimisti, secondo cui il ruolo sarebbe spettato a un discendente di sangue;
– omayyadi, i ricchi di La Mecca, secondo cui il ruolo sarebbe spettato a uno tra loro.
I primi tre califfi furono scelti tra i seguaci di Maometto, ma il terzo califfo fu assassinato da Alì
(cugino e genero di Maometto). Alla fine dell'età dei quattro califfi, gli arabi avevano conquistato
Siria, Egitto, Palestina, Iraq e Persia: i territori furono organizzati in province, affidate al governo di
un emiro. A cristiani ed ebrei fu permesso di professare la loro fede. Venne a presentarsi
nuovamente il problema della successione, articolato questa volta in:
– sciiti, pensavano che il ruolo spettasse a un discendente di sangue di Maometto;
– sunniti, evidenziavano altre caratteristiche come quelle necessarie per essere califfo.
A salire al potere fu la dinastia omayyade, sunnita.

6.4 L'islam sotto la dinastia omayyade


La capitale fu spostata a Damasco, posizione migliore che permetteva un controllo delle coste
mediterranee. Nella città fu costruita una moschea. Da Damasco iniziarono diverse campagne
belliche, atte ad ampliare i confini arabi. Tra queste, fondamentale fu la conquista della penisola
iberica (711) e successivamente il tentativo di espandersi verso la Gallia. Esso fu arrestato
dall'esercito franco guidato da Carlo Martello, gli arabi vennero sconfitti a Poitiers nel 732: questa
sconfitta segna la crisi della dinastia omayyade.

6.5 Il califfato abbaside


A seguito della sconfitta a Poitiers e di tensioni interne, la dinastia omayyade cadde a favore di
quella abbaside, sciita. Fondarono la nuova capitale, Baghdad. Conquistarono le terre del Tigri e
dell'Eufrate. La figura del califfo era centrale, accompagna da quella dei visir a cui spettava potere
amministrativo. Iniziò a venire meno il privilegio dell'etnia araba, realizzandosi una comunità i cui
membri avevano lo stesso valore davanti allo Stato. La dominazione abbaside portò a una fioritura
delle scienze e delle arti, ma anche dei commerci e delle conoscenze geografiche.

6.6 La fine dell'unità islamica


Alcune spinte interne iniziarono a minare la stabilità del califfato abbaside, tra cui in particolare la
fondazione dell'emirato di Cordova da parte di un esponente omayyade. Nonostante le tensioni
interne, la dinastia abbaside restò al potere fino al 1258, anno della conquista mongola della capitale
Baghdad.

7. L'impero carolingio
7.1 L'ascesa dei pipinidi
Nel VI secolo le lotte di successione avevano portato a un indebolimento del potere regio nel regno
franco, mentre di contro era aumentato il potere dei maggiordomi (detti anche maestri di palazzo).
I Pipinidi appartenevano a una famiglia di maggiordomi dell'Austrasia, proprietari fondiari che
disponevano di una clientela armata. Il vassaticum si rifaceva alla commendatio romana, era un
contratto tramite il quale un uomo libero senza mezzi di sostentamento si commendava (cioè
raccomandava) a un grande proprietario, mettendosi sotto la sua protezione e offrendo in cambio il
proprio servizio. In cambio di questo servitium, il vassallo riceveva un beneficium. Nell'VIII secolo
con il termine vassus si andò a designare una persona di condizione agiata, che prestava un servizio
armato alle famiglie principali dell'aristocrazia franca. L'utilizzo del vassaticum aveva permesso
l'ascesa dei pipinidi, culminata con la vittoria sulla Neustria da parte di Pipino II. La grandezza dei
pipinidi si confermò con Carlo Martello, che nel 732 aveva respinto gli arabi a Poitiers: questo
aveva permesso ai pipinidi di guadagnare il titolo di difensori della cristianità. Fu con Pipino III il
Breve che i pipinidi vennero incoronati, spodestando la dinastia merovingia.

7.2 Da Pipino il Breve a Carlo Magno


Pipino III riprese l'espansionismo franco. Conquistò i territori dell'Esarcato e li consegnò al papa.
Alla morte di Pipino, il regno franco fu diviso tra i figli Carlo e Carlomanno. Quest'ultimo morì nel
771, tre anni dopo il padre, lasciando il regno interamente nelle mani del fratello. Carlo aveva
sposato una nobildonna longobarda, che ripudiò a seguito della morte del fratello: si poneva come
unico difensore della cristianità e dati i rapporti complessi tra Chiesa e Longobardi, il matrimonio
con una donna longobarda poteva diventare problematico.
Inizialmente, Carlo si dedicò a una guerra contro i Sassoni che vennero conquistati e convertiti al
cristianesimo. Conquistò successivamente gli avari e si spostò verso la penisola iberica, dalla
quale fu costretto a ritirarsi a causa di una ribellione dei Sassoni. Sulla via del ritorno, a
Roncisvalle, la retroguardia fu massacrata dai baschi (si tratta della battaglia in cui perse la vita il
paladino Rolando). Solo nell'813 Carlo riuscì a creare un distretto di confine, conquistando la
Navarra. Episodio cardine della storia di Carlo è la conquista del regno longobardo nel 774, che
sancisce l'alleanza tra pipinidi e Chiesa. Adriano I aveva chiesto l'aiuto di Carlo dopo che Desiderio
aveva occupato alcune città delle Marche e dell'Umbria, minacciando poi il ducato di Roma. Carlo
assediò Pavia, conquistò altre città longobarde e depose Desiderio e la moglie Ansa. Il figlio di
Desiderio, Adelchi, cercò riparo presso i Bizantini mentre il ducato di Benevento riuscì a preservare
la sua indipendenza.

7.3 L'incoronazione di Carlo Magno


La conquista del regno longobardo permise un'alleanza decisiva tra Franchi e papato, grazie alla
quale la notte di Natale dell'800 Carlo si fece incoronare da Leone III imperatore del Sacro
Romano Impero. Si trattava di un'istituzione sacra, perché legittimata dall'incoronazione del papa;
era definito romano, perché ripresa del potere dell'impero romano; impero, perché una vasta unità
territoriale nelle mani di un'unica persona.
7.4 L'organizzazione amministrativa dell'impero carolingio
Carlo Magno organizzò l'impero con una struttura politicamente centralizzata. I distretti territoriali,
detti comitati, furono affidati ai comites (funzionari regi). I conti rispondevano direttamente al
sovrano e amministravano la giustizia in suo nome. Alle frontiere vennero invece istituiti ducati e
marche (più a organizzazione militare). Il palatium era il centro del governo ed era sia la reggia sia
l'insieme del sovrano e dei funzionari di corte. Carlo scelse come residenza Aquisgrana. L'attività
legislativa era capillare e si concretizzava nei “capitolari” (leggi composte da brevi articolari). Carlo
Magno ricorse a rapporti vassallatico-beneficiari, per vincere le forze centrifughe dell'aristocrazia e
rafforzare la subordinazione dei funzionari con il giuramento di fedeltà vassallatica. Il servitium era
costituito sia dall'aiuto militare che dall'esercizio di una carica pubblica nel nome del re: conti,
duchi e marchesi venivano scelti tra i vassalli, ossia i grandi proprietari che lo avevano supportato
nelle campagne militari. Inoltre, Carlo istituì alcuni sistemi a supporto del regno, come l'Istituto di
Immunità, nato per tutelare gli enti ecclesiastici.

7.5 La rinascita carolingia


Carlo istituì la Schola palatina, accademia sorta presso la corte di Aquisgrana dove venivano
formati intellettuali che provenivano da ogni parte d'Europa. Si intensificò lo studio dei testi
cristiani e degli autori classici e contemporaneamente si diffuse una nuova scrittura, la “minuscola
carolina”.

7.6 Dopo Carlo Magno: la frammentazione dell'Impero


Nell'806 Carlo divise l'Impero tra i suoi tre figli, dei quali sopravvisse solo Ludovico detto il Pio.
Nell'817 pubblicò l'Ordinatio Imperii, con la quale a sua volta divideva i territori tra i suoi tre
figli: l'impero spettava a Lotario, la Baviera a Ludovico e l'Aquitania a Pipino. Successivamente
iniziò a preferire Carlo, figlio di un altro matrimonio. Alla morte di Pipino, Carlo e Ludovico si
allearono e costrinsero Lotario al trattato di Verdun, dividendo così l'Impero in tre parti: a Carlo il
Calvo andò la parte occidentale, a Ludovico il Germanico quella orientale, a Lotario quella di
mezzo. I territori si riunificarono tramite Carlo III il Grosso, ma il potere imperiale si era ormai
indebolito. Carlo il Grosso non resistette all'offensiva di saraceni, ungari e normanni.

8. Ambiente, economia, popolamento. Secoli VI-X


8.1 Demografia e ambiente
Tra IV e VI secolo le migrazioni germaniche avevano portato a un impoverimento delle condizioni
di vita della popolazione. Guerre, saccheggi, carestie ed epidemie avevano rotto gli equilibri sociali.
Le città avevano subito un enorme calo demografico, alcune si erano spopolate del tutto. Diverse
furono le cause di questa crisi:
– le azioni di guerra che avevano caratterizzato il periodo delle invasioni, alzando il tasso di
mortalità e abbassando il numero della popolazione;
– le calamità naturali che colpirono il territori, tra cui epidemie e carestie.
Avanzarono così le terre incolte, a danno di quelle coltivate. Solo con il miglioramento delle
condizioni di vita dato dai Carolingi fu possibile riscontrare anche un successivo aumento
demografico.

8.2 Ordinamento della curtis e proprietà fondiaria


Il sistema curtense caratterizzò l'Europa Occidentale. La curtis si sviluppò nelle zone della Loira e
del Reno, espandendosi grazie alle conquiste carolinge. Questo sistema era fondato:
– sull'esistenza di un centro amministrativo costituito dalla residenza padronale, dai
laboratori artigianali e dalle dimore dei servi;
– sulla bipartizione dei terreni in un settore a gestione padronale diretta (dominicio) e uno a
gestione indiretta (massaricio). La conduzione dominicia avveniva tramite prestazioni
servili gratuite (corvees).
Ciò che si sa sul funzionamento delle curtis è stato ricavato grazie ai “polittici”, gli inventari dei
beni. Le merci più commercializzate erano l'olio, il sale e il ferro.

8.3 La contrazione dei commerci


Tra VI e VIII secolo i commerci con l'Oriente si fecero sempre più radi e constavano solo delle
merci più pregiate (spezie e tessuti). Secondo la tesi di Pirenne l'alterazione dei tratti fondamentali
della civiltà urbana non è da ricercarsi nelle invasioni barbariche, bensì nell'espansione degli arabi e
nel loro domini sui mari. La tesi non è completamente accolta dai medievalisti, perché:
– l'urbanesimo e l'economia urbana erano già in crisi da prima dell'espansione araba;
– i commerci tra Occidente e Oriente non si spensero del tutto.

9. Le seconde invasioni e l'Europa post-carolingia


9.1 Le incursioni ungare e saracene
Tra IX e X secolo, una nuova ondata di incursioni investì l'Europa:
– Europa centrale: Ungari, popolo nomade arrivato in Pannonia. Furono contrastati con la
diffusione della cavalleria leggera e respinti da Ottone I. Si convertirono al cristianesimo;
– Mediterraneo: Saraceni, popolazione islamizzata dell'Africa del Nord. Conquistarono la
Sicilia e saccheggiarono Roma;
– Russia, Scozia e Inghilterra: Normanni, popolazione proveniente dal Nord che si insediò in
Francia, nel ducato che perse il nome di Normandia. Nel X secolo il loro insediamento in
Francia venne legittimato e nel 1066 Guglielmo, duca di Normandia, ottenne la corona
inglese.

9.2 La Francia post-carolingia


Dopo la deposizione di Carlo il Grosso (877), il regno franco si frammentò. La corona fu presa dai
conti di Parigi, che però riuscivano a governare effettivamente solo i territori tra Parigi e Orleans.

9.3 Il regno italico


Il regno d'Italia era legato alla dinastia carolingia, motivo per cui anch'esso subì una crisi dinastica
lungo mezzo secolo. Ugo di Provenza riuscì a tenere stabilmente la Corona per vent'anni,
appoggiato dai marchesi di Toscana. Ugo abdicò al favore del figlio Lotario, al quale successo
Berengario II, che successivamente fu costretto a sottomettersi a Ottone I.

9.4 Il regno di Germania e la restaurazione dell'Impero


Nella parte orientale dell'Impero, dopo Carlo il Grosso il potere passò ad Arnolfo di Carinzia. Alla
morte di Arnolfo, l'aristocrazia laica si contese il potere fino all'elezione di Enrico I di Sassonia.
Enrico I si occupò di rafforzare le strutture del regno e i ducati. Suo figlio, Ottone I, portò avanti i
propositi del padre e riprese l'idea di universalismo dell'impero.

9.5 Gli imperatori sassoni


Il regno d'Italia risultava debole, il papato aveva bisogno di sostegno imperiale e il Sud era
minacciato dalle continue incursioni musulmane. Ottone I scese più volte in Italia, dove ottenne la
corona del regno e si fece incoronare imperatore. Nel 962 promulgò il Privilegium Othonis, con il
quale affermava la signoria del papa su Roma, ma subordinava l'elezione papale alla conferma
dell'imperatore. Ottone II dovette combattere nuovamente per il controllo del Mezzogiorno, ma
morì senza lasciare eredi e per questo salì al potere Enrico di Sassonia. Egli rivolse la sua attenzione
in Germania, abbandonando un progetto universale.

10. L'affermazione dei poteri locali. Secoli X-XI


10.1 La disgregazione delle circoscrizioni pubbliche carolinge
Nel regno franco dell'VIII secolo, i legami vassallatico-beneficiari erano stati lo strumento della
creazione di una clientela militare e funzionari pubblici. Dalla fine del IX secolo, con la crisi della
dinastia carolingia, l'autonomia dei grandi signori fondiari aumentò.

10.1 L'incastellamento
Nel IX secolo si diffusero i castelli, nuclei insediativi cinti da mura (castra). I fattori all'origine di
questo fenomeno sono:
– il clima di insicurezza che si diffuse a seguito delle nuove incursioni;
– l'iniziativa privata dei proprietari terrieri, che fortificarono i territori circostanti;
– le rivalità locali, soprattutto in Italia;
– motivazioni economiche, perché il castello permise il popolamento di terre prima incolte.

10.2 L'affermazione dei poteri signorili


Il potere signorile si articola come potere fondiario o territoriale. La signoria fondiaria è l'insieme
dei poteri che un proprietario deteneva su chi risiedeva nella pars dominicia e sui coloni; la signoria
territoriale, detta anche da banno, si estendeva a una circoscrizione territoriale e si estendeva su
chiunque ne facesse parte. Al signore erano versati nello specifico alcuni tributi, che potevano
essere di natura pubblica o signorile.

10.3 La città vescovile


Nelle campagne si affermavano i poteri signorili, nelle città emergevano nuove forme di economia.
Si sviluppò sempre più l'importanza dei vescovi, che con Ottone I furono investiti anche di poteri
amministrativi.

11. Crescita demografica e sviluppo agrario. Secoli XI-XIII


11.1 Incremento demografico
La crescita demografica interessò sia le città sia le campagne, soprattutto in Francia, Italia,
Spagna e Paesi Bassi. La presenza delle città non erano uniformemente distribuita (in Italia, ad
esempio, c'erano poche città nel Mezzogiorno e nelle regioni periferiche del Nord).

11.2 L'espansione delle superfici coltivate: l'Europa


Aumentò anche la domanda agricola, a seguito dell'aumento della popolazione. Aumentò la
cerealicoltura e la viticoltura.

11.3 L'espansione delle superfici coltivate in Italia


Fin dal IX secolo il Nord fu caratterizzato da opere di diboscamento e bonifica, dopo il Mille si
iniziò ad arginare i fiumi e scavare i canali.

11.4 Nuovi insediamenti, mobilità rurale, rinnovamento dei patti di lavoro


Nascono due nuove tipologie di patto agrario: la soccida (affidamento di animali da un proprietario
a un allevatore) e la mezzadria (si diffuse in Toscana, riguardava la ripartizione tra proprietario e
mezzadro dei prodotti ricavati dalle terre).

11.5 Fra continuità e innovazione: strumenti e tecniche agricole


Vennero ideate nuove tecniche agricole, tra cui l'aratro a versoio. Mutò anche la trazione animale,
perché il bue venne sostituito dal cavallo nei terreni cerealicoli. Mutò anche il sistema di attacco
degli animali. Altrettanto importante fu l'adozione della rotazione dei cicli colturali. Essa poteva
essere biennale (metà del terreno lasciata a maggese ogni anno, mentre nell'alta si coltivava il
cereale) o triennale (solo un terzo della terra veniva lasciato a maggese).

12. Lavoro artigiano e ripresa dei commerci. Scoli XI-XIII


12.1 Il lavoro artigiano e l'organizzazione delle arti
Con l'aumento demografico nelle città, divenne fondamentale anche il lavoro artigianale. La
bottega era il luogo in cui si trovava il maestro artigiano insieme agli apprendisti. Nel XII secolo
nascono le prime corporazioni artigiane, grazie alle quali si riunirono le persone che praticavano
lo stesso mestiere e controllare il monopolio mercantile. Anche le arti si organizzarono in maniera
più precisa e si legarono ben presto alla politica, specie in Italia.

12.2 I settori della produzione


Fondamentale divenne il settore tessile, specie la produzione della lana. A esso si legò la ripresa
dei commerci, sia su piccola che su ampia scala. La Padania aveva contatti con la fiera di
Champagne, mentre Amalfi e Venezia avevano avviato un ricco mercato con Costantinopoli.

12.3 Il lavoro delle donne


Il lavoro femminile era diffuso anche oltre l'ambito domestico. Le donne si dedicavano al settore
della manifattura tessile, lavoravano come balie o levatrici, ma il loro salario era inferiore rispetto
a quello degli uomini.

13. Le monarchie feudali e la ricostruzione politica dell'Occidente


13.1 La costruzione delle nuove monarchie: coordinamento feudale e territoriale
Negli XI e XII secoli, si affermarono rapporti e ordinamenti politici più stabili. Mutamento della
concezione di feudo, dettato da:
– Constitutio de feudis, che divennero patrimonio familiare;
– riduzione degli obblighi a cui tenuto il vassallo, specie quello del servizio militare. Questo
portò alla prassi di servire più signori.
Si venne a formare una connessione tra nuclei di potere che sfociò nella piramide feudale. Era
necessario differenziare il potere monarchico da quello degli altri signori, motivo per cui la regalità
fu considerata sacra e questa sacralità veniva espressa tramite l'incoronazione.

13.2 L'Inghilterra dalla conquista normanna alla Magna Charta


I normanni sperimentarono l'efficacia dei rapporti vassallatici. Nel 1066 Guglielmo, duca di
Normandia, conquisto l'Inghilterra. Guglielmo assegnò i manors (unità fondiarie con castelli) ai
suoi vassalli, distribuendole con distanze precise che gli permettessero di mantenere il controllo
diretto in ogni regione. Per prevenire iniziative private da parte dei baroni, fu avviato un censimento
dei manors noto come Doomesday book (1086), che registrava tutte le proprietà fondiarie del
regno. Guglielmo lasciò il regno ai suoi figli, si ebbe una riunificazione grazie a Enrico I, che operò
in campo giudiziario. Alla sua morte, la crisi dinastica fu risolta da Enrico II il Plantageneto.
Enrico II aveva ereditato dal padre il ducato d'Angiò e dal matrimonio con Eleonora d'Aquitania
l'Aquitania. Questo, oltre al ducato di Normandia, permetteva al re inglese di avere ben tre
possedimenti francesi.
Riccardo cuor di Leone, impegnato nella terza crociata, fu assente dall'Inghilterra ma riuscì lo
stesso a mantenere il potere, grazie anche alla politica lungimirante messa in piedi da Enrico II.
Giovanni senza Terra non fu in grado di fronteggiare l'avanzata del re di Francia Filippo Augusto,
che riuscì a riprendersi la maggior parte dei territori francesi sotto la dominazione politica inglese.
Lo scontro avvenne a Bouvines (1214) e Giovanni fu sconfitto. Al suo ritorno in Inghilterra fu
costretto a fronteggiare una rivolta dettata dalla pressione fiscale. Nel 1215 firmò un documento, la
Magna charta libertatum, che confermava libertà e privilegi di chiese, aristocrazia e comuni:
nasceva così una limitazione ai poteri del sovrano.

13.3 La Francia dei capetingi. XI-XII secolo


Nell'XI secolo, il regno di Francia appariva politicamente frammentato: in esso spiccavano signorie
minori, incentrate sul possesso dei castelli. Nel 987 erano saliti al trono i Capetingi (con Ugo
Capeto), ma questi dominavano soltanto sulla regione attorno a Parigi. Fu Luigi VI ad accrescere il
potere regio, grazie al sostegno degli ecclesiastici. Luigi VII si pose alla guida del contingente
francese nella seconda crociata, aumentando ancora l'importanza della corona, che però vacillò
quando l'ex moglie Eleonora d'Aquitania sposò il re inglese Enrico II, fornendo a quest'ultimo il
dominio sull'Aquitania.

13.4 I normanni nell'Italia meridionale


Già dall'XI secolo i Normanni arrivarono nel Sud Italia e vennero assoldati come mercenari sia da
longobardi che da bizantini (i domini longobardi di Capua, Salerno e Benevento coesistevano con i
domini bizantini in Puglia, Basilicata e Calabria). Papa Leone IX intervenne inutilmente in
soccorso di Benevento, minacciata dai Normanni. Il papato, in una situazione complessa dettata
dalla lotta con l'impero e lo scisma della chiesa greca, fu portato a firmare un accordo grazie a cui
Riccardo d'Aversa, dopo aver giurato fedeltà al papa, ottenne l'investitura feudale del principato di
Capua e Roberto il Guiscardo fu nominato duca di Puglia, Calabria e Sicilia. Roberto e il
fratello Ruggero iniziarono a conquistare l'Adriatico, cacciando i saraceni dalla Sicilia. L'obiettivo
era di conquistare anche l'altra sponda del mare, in particolare Costantinopoli, ma l'impero
bizantino e l'appoggio di Venezia a quest'ultimo non lo resero possibile. Oltretutto, il Guiscardo fu
costretto ad abbandonare questo proposito e tornare in Italia a seguito della cattura di papa
Gregorio VII, che era stato assediato a Castel Sant'Angelo dall'imperatore Enrico IV.
Tutta l'Italia Meridionale era sotto il controllo normanno, eccetto per Benevento che era stata
ceduta al papa.

13.5 Il Mezzogiorno d'Italia da Ruggero a Guglielmo II


Ruggero II riorganizzò i suoi domini, che comprendevano lingue, culture e religioni differenti. Si
mostrò tollerante verso le differenze religiose e rafforzò il suo potere:
– rafforzò l'apparato burocratico;
– iniziò relazioni vassallatico-feudali con l'aristocrazia laica;
– si affidò ai funzionari regi per un maggior controllo territoriale;
Alla sua morte, i successori affrontarono le rivolte delle città che chiedevano più autonomia.
Guglielmo II consolidò i rapporti con il papato e stipulò una pace trentennale con l'impero
bizantino. Il matrimonio della zia Costanza ed Enrico di Svevia (figlio di Federico I) portò al
passaggio alla corona in mano agli svevi, in quanto Guglielmo II morì senza lasciare eredi.

13.6 La reconquista e i regni iberici


La maggior parte dei territori iberici erano stati resi province del califfato omayyade, mentre la
resistenza si articolava sui Pirenei. Nel IX secolo gli Stati cristiani eressero dei castelli per
difendere gli insediamenti nella Castiglia, intensificando l'azione anti-musulmana solo dopo la
caduta del califfato omayyade. I regni presenti erano tre: Navarra, Aragona e Castiglia (questi due si
occuparono della reconquista). Essa aveva motivazioni politiche tanto quanto religiose. A metà XIII
secolo la reconquista si poteva dire ormai conclusa, l'ultimo baluardo musulmano nel territorio
iberico restava l'emirato di Granada.
14. Fermenti religiosi e riforma della Chiesa
14.1 Le istanze di rinnovamento religioso
Nell'XI secolo si registrò un'incombenza laica nel mondo ecclesiastico, che portò a un'esigenza di
rinnovamento nella Chiesa. Il legame tra papato e impero aveva portato alla crescita di chiese e
monasteri, ma aveva anche subordinato il mondo spirituale a quello temporale (specie dal
Privilegium Othonis in poi). A riprova di come il mondo laico incombesse su quello religioso, si
registra in questo periodo il fenomeno delle ecclesiae propriae (cappelle fondate dalle famiglie
aristocratiche con intenti politici).

14.2 Nuovo monachesimo e rinnovamento della Chiesa


L'esigenza di riforma partì dai monasteri, in particolare dall'abbazia benedettina di Cluny. La regola
benedettina venne reinterpretata: infatti il lavoro manuale fu affidato ai servi, così da permettere ai
monaci di dedicarsi allo studio e alla preghiera. Il mondo monastico sostenne anche l'esigenza di
rifiutare la ricchezza e il potere, per un ritorno alla povertà evangelica. Si diffuse l'ideale eremitico e
nacquero in questo periodo nuovi ordini religiosi, in particolare:
– i certosini, presero il nome dalle certose in cui vivevano, erano dediti alla vita solitaria;
– i cistercensi, osservavano alla lettera la regola benedettina, dediti all'isolamento e al lavoro
manuale;

14.3 L'impero e la riforma della Chiesa


L'imperatore Enrico III appoggiò la riforma religiosa, cercò di aiutare il papato a emanciparsi
dall'aristocrazia romana e propose come papa un suo candidato, eletto poi come Clemente II. Sia
Clemente II che i suoi successori, sebbene eletti dall'imperatore, si impegnarono nella riforma
ecclesiastica. L'esigenza di indipendenza si concretizzò con Leone IX, che fece approvare due
canoni dal concilio di Reims, affermando l'indipendenza degli ecclesiastici dai poteri laici e il
primato della sede romana della Chiesa. Quest'ultimo punto inasprì i rapporti già tesi con la Chiesa
d'Oriente e nel 1053 iniziò lo scisma d'Oriente. Leone IX si oppose ai Normanni e alla loro
avanzata nel Mezzogiorno d'Italia, ma fu preso prigioniero. I suoi successori stipularono un accordo
con i Normanni.
Alla morte di Enrico III ebbe fine la collaborazione tra papato e impero, che si concretizzò nel 1057
con l'elezione di un papa senza l'autorizzazione imperiale.

14.4 Enrico IV e Gregorio VII


Gregorio VII centralizzò le istituzioni ecclesiastiche e rafforzò il primato assoluto del papa. Egli
depose i vescovi e promulgò un decreto tramite cui vietava alle autorità laiche di concedere
l'investitura vescovile. Con la bolla nota come Dictatus papae negò la subordinazione della Chiesa
all'impero, affermandone l'indipendenza e superiorità. Enrico IV rispose a queste azioni
convocando due concili, uno a Worms e uno a Piacenza, con i quali depose Gregorio VII. Il papa
scomunicò l'imperatore (gesto senza precedenti) e sciolse i principi elettori tedeschi dal giuramento
di fedeltà a Enrico IV. Data la ribellione dei feudatari tedeschi, Enrico IV fu costretto a un accordo
con il pontefice. Per questo motivo scese in Italia, precisamente a Canossa dove il papa era ospite
della nobildonna Matilde di Canossa. L'imperatore fu umiliato (umiliazione di Canossa) a restare
per tre giorni in attesa, indossando la veste di penitenza. Dopo tre giorni fu ricevuto dal papa e
assolto dalla scomunica. Tornato in Germania riuscì a sedare la rivolta dei principi tedeschi,
legandoli nuovamente a sé e riprendendo le ostilità contro il papato. Gregorio VII scomunicò
nuovamente l'imperatore, sperando che i principi tedeschi gli si rivoltassero ancora una volta
contro; ciò non avvenne e l'imperatore depose il papa, nominando l'antipapa Clemente III. Nel
1081 Enrico IV approfittò dell'assenza di Roberto il Guiscardo, intento alla conquista della sponda
bizantina dell'Adriatico, per l'assedio di Roma. A seguito dell'assedio, Gregorio VII fu costretto alla
fuga e si barricò a Castel Sant'Angelo, mentre l'imperatore si faceva incoronare da Clemente III.
L'imperatore lasciò Roma prima dell'arrivo dei Normanni, ritirati dall'Adriatico per aiutare il papa.
Roberto il Guiscardo liberò Gregorio VII e lo portò a Salerno, dove morì poco dopo.

14.5 Il concordato di Worms e la libertas Ecclesiae


Per risolvere il problema tra papato e impero serviva chiarire la questione delle investiture
vescovili. Un primo tentativo fu quello di Urbano II, che tenne conto della duplice natura
(spirituale e temporale) del potere vescovile e sostenne che il papa avrebbe dovuto nominare i
vescovi, mentre l'imperatore avrebbe dovuto assegnare loro i beni temporali. Furono Enrico V e
Pasquale II a trovare una prima intesa, nota come compromesso di Sutri (1111). Enrico V
rinunciava alle investiture e la Chiesa a tutti i beni materiali. Nel 1116, con il concilio lateranense,
Pasquale II riaffermò il diritto della Chiesa al possesso dei beni temporali. Nel 1122 avvenne il
definitivo accordo tra Chiesa e impero con il concordato di Worms, con il quale l'imperatore
rinunciava all'investitura dei vescovi ma conservare il diritto di investirli di funzioni e beni temprali.
Il papato si liberava della subordinazione all'impero, affermando uno dei principi della riforma: la
libertas Ecclesiae.

15. Le Crociate
15.1 Alle origini della crociata
Nell'XI secolo era aumentato il pellegrinaggio nei luoghi sacri, soprattutto Roma, Gerusalemme e
Santiago de Compsotela. Nel 1095, durante il concilio di Clermont, il papa Urbano II invitò i
fedeli ad abbandonare le lotte intestine per dedicarsi alla cacciata degli infedeli in Terra Santa. I
motivi alla base del fenomeno delle Crociate furono molteplici:
– religiosi: riconquistare i territori sacri in mano islamica;
– sociali: indirizzare la violenza fuori dai confini europei;
– politici: aumentare il potere regio grazie alla partecipazione alle spedizioni;
– economici: sviluppare nuove rotte commerciali verso l'Oriente.

15.2 Le prime spedizioni e la conquista di Gerusalemme


L'appello di Urbano II trovò immediato riscontro nella popolazione. Nel 1096 una folla di poche
migliaia di persone si mise in marcia verso Gerusalemme. Si trattava di una spedizione spontanea
e mal organizzata (della quale facevano parte anche donne e bambini) che fu facilmente sconfitta.

15.3 La prima crociata (1097-1099)


La prima crociata ebbe inizio nel 1097, subito dopo la spedizione spontanea. Le spedizioni presero
il nome di crociate per via del simbolo della croce indossato dai combattenti. Il re di Francia e
l'imperatore non parteciparono alla spedizione, perché entrambi scomunicati; Pisa e Genova invece
furono di fondamentale aiuto, l'organizzazione della spedizione fu affidata a Goffredo di Buglione.
Dopo cinque settimane di assedio, fu presa Gerusalemme, che divenne capitale dell'omonimo regno.
I signori feudali conquistarono i territori degli infedeli e fondarono i regni di Antiochia, Edessa e
Tripoli. Gli stati latini d'Oriente risultavano però deboli, a causa della divisione del gruppo
dominante, dello scarso numero di crociati e della piccola estensione dei territori. Essi erano sorti
per motivazioni prettamente economiche, soprattutto per permettere uno sbocco commerciale
privilegiato con l'Oriente. Per la difesa di questi stati risultarono fondamentali i nuovi ordini
religiosi nati a Gerusalemme, ovvero: i Cavalieri del Santo Sepolcro, i Cavalieri teutonici, i
Cavalieri Templari e i Cavalieri di Malta.

15.4 La seconda crociata (1147-1148)


La difesa dei monaci-cavalieri non fu sufficiente a impedire al turcomanno Zinki il recupero dei
territori. Alla seconda crociata parteciparono il re di Francia Luigi VII, il re di Sicilia Ruggero II e
l'imperatore Corrado III. Gli occidentali persero a causa dello scarso coordinamento. Saladino
unificò la Siria e l'Egitto in un unico regno e riuscì a riprendere il dominio su Gerusalemme.

15.5 La terza crociata (1190-1192)


La caduta di Gerusalemme in mano araba rese necessaria una terza crociata, alla quale presero parte
l'imperatore Federico I, il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Francia Filippo
Augusto. Gerusalemme non fu liberata e la capitale del regno latino d'Oriente fu spostata a San
Giovanni d'Acri.

15.5 La quarta crociata (1202-1204)


Perché vi fosse una quarta spedizione fu necessaria la morte di Saladino e la frammentazione del
suo regno. Alla quarta crociata partecipò anche Venezia, le cui navi furono fondamentali (in cambio
chiese l'aiuto dei guerrieri crociati nella riconquista di Zara). La vittoria dei crociati e la riconquista
di Gerusalemme permise la fondazione dell'Impero latino d'Oriente.

15.6 La quinta crociata (1217-1221)


Innocenzo III promosse un'altra crociata, che venne organizzata dal suo successore. Era necessario
conquistare l'Egitto per poter arrivare alla Palestina, ma i risultati della crociata non furono
significativi.
15.7 La sesta (1248-1254) e la settima crociata (1270)
Le due crociate successive non ebbero esiti positivi. La figura di spicco di entrambe le spedizioni fu
il re di Francia Luigi IX il Santo, che si impegnò nel tentativo di riconquistare Gerusalemme. Fu
catturato durante la prima spedizione e rilasciato dietro il pagamento di un riscatto, mentre nella
seconda spedizione morì.

15.8 L'avvento dei mamelucchi


Già alla fine del XIII secolo, il tentativo di riconquista dei luoghi santi da parte dei Cristiani si
rivelò fallito. I mamelucchi avevano preso possesso dei territori spartiti dagli eredi di Saladino e di
quelli conquistati dai cristiani. Nel 1291 cadde definitivamente anche San Giovanni d'Acri.

16. La rinascita culturale del XII secolo


16.1 Il rinnovamento del sapere
Dall'XI secolo in poi si visse una rinascita del sapere. Lo sviluppo delle comunicazioni e dei
traffici avevano permesso un incontro tra culture diverse, specie nelle città. Quest'ultime divennero
il cuore dello sviluppo culturale e della scrittura, specie per la diffusione dei documenti burocratici.

16.2 Nuovi protagonisti della cultura


Si svilupparono nuove figure, come quella del notaio, fondamentale nei rapporti commerciali e
nello sviluppo delle istituzioni comunali.

16.3 L'organizzazione delle scuole laiche


Nell'Alto Medioevo la scuola era inizialmente sotto il controllo ecclesiastico e gli insegnamenti, di
tipo elementare, si tenevano presso i monasteri. L'insegnamento si basava sulle sette arti liberali del
trivio (grammatica, dialettica, retorica) e quadrivio (matematica, geometria, musica, astronomia).
Lo studio era diviso in lectio (lettura e analisi di un testo) e desputatio (estrapolazione dei contenuti
filosofici dal testo). Nel XII secolo crebbe il numero di scuole laiche, il cui insegnamento era diviso
in tre gradi:
– scuola di base, dove si insegnava a leggere e scrivere;
– scuola di grammatica;
– trivio e quadrivio;
L'incontro con l'oriente permise l'aumento delle conoscenze matematiche.

16.4 La nascita delle università


Nel XII secolo, nella Francia settentrionale, alcuni maestri iniziarono a proporre lezioni innovative
(Abelardo). A Bologna, già nell'XI secolo, il giurista Pepone aveva avviato l'insegnamento del
diritto romano (basato sulle Digestas del Corpus Iuris Civilis). Tra XII e XIII secolo, a Bologna e
Parigi si svilupparono delle associazioni spontanee di studenti e insegnanti che prendono il nome di
univeritates. A Bologna sorse la prima università degli studenti, presa a esempio in tutta Europa.
Federico II fondò nel 1224 l'università di Napoli, la prima a nascere non per iniziativa di docenti e
studenti, ma di un sovrano.

17. Trasformazioni sociali e autonomie cittadine


17.1 Nobiltà e cavalleria
Le signorie locali avevano affermato un potere basato sulla ricchezza e non sul servizio militare ed
erano diventate chiuse, ad accessione ereditaria: si venne così a formare la nobiltà di diritto. Si
sviluppò la cavalleria, della quale facevano parte oltre ai nobili gli esponenti dei gruppi sociali in
ascesa. Nasce la divisione in tre ordini: oratores, bellatores, laboratores.

17.2 Contadini, signori, comunità rurali


Si affermarono i piccoli e medi proprietari terrieri e si registrò una miglioria nella condizione di vita
dei servi.
17.3 La rinascita delle città
I centri urbani si svilupparono economicamente, politicamente e socialmente. Le città romane
avevano continuato a svolgere un ruolo importante anche nell'Alto Medioevo, in quanto sedi
vescovili. Si erano formati funzionari, notai e giudici, ma anche sviluppate le attività mercantili e
artigianali.

17.4 Autonomie cittadine e affermazione dei comuni


Dall'XI secolo comparvero in Italia e Francia alcune nuove forme di governo, le cui premesse sono
da cercare nella contrapposizione antagonistica di diversi gruppi sociali. Si sviluppò una reazione al
potere territoriale dei signori e gruppi sociali diversi portarono a organizzare il comune. Si tratta di
un'autonomia cittadina che si sviluppò in maniera autonoma nelle varie città d'interesse. Più che
ricercare elementi di omologazione nella storia comunale, è importante sottolinearne le differenze:
– nell'Europa centrale e settentrionale, ad avviare il comune furono mercanti e artigiani;
– in Francia si distingue tra città di comune (dove il re concedeva i cittadini a formare
un'associazione) e città di franchigia (dove il re permetteva il controllo a un signore);
– in Inghilterra le autonomie furono contenute;
– in Italia, ad avviare il comune furono i mercanti e l'aristocrazia militare.

18. Eresie e ordini mendicanti


18.1 Il problema delle eresie
Nel XII secolo aumentò la richiesta di un ritorno alla semplicità e alla povertà evangelica. Si definì
l'eresia come qualcosa di penalmente perseguibile, tanto che nel 1199 Innocenzo III paragonò
l'eresia al crimine di lesa maestà (pena capitale, rogo).

18.2 I movimenti ereticali


In Italia l'eresia è strettamente collegata alla proprietà ecclesiastica. Esempi di eresia:
– arnaldisti, seguaci di Arnaldo da Brescia, predicò contro l'attaccamento della Chiesa ai
beni terreni e fu espulso dalla sua città. Trovò rifugio in Francia e successivamente a
Viterbo. Le sue critiche verso i costumi ecclesiastici vennero accolte anche dai laici, fin
quando Arnaldo non fu condannato al rogo;
– valdesi, o poveri di Lione, seguaci di Lione Valdo. Si dedicarono alla predicazione, cosa
mal vista dal clero. Furono pertanto espulsi dalla diocesi di Lione, ma la rottura definitiva
con la curia romana avvenne quando permisero la predicazione alle donne. Alla morte di
Lione il Valdo, parte dei seguaci tornarono all'ortodossia;
– gli Umiliati, movimento che si sviluppò in Italia tra i tessitori di lana, successivamente
riappacificati con l'ortodossia.

18.3 L'eresia catara e i nuovi strumenti di repressione


L'eresia catara nacque in Oriente e nell'XI secolo si diffuse in Germania, Italia e Francia. I catari
proponevano uno stravolgimento della Chiesa a livello dottrinale, dato che era vicina al
manicheismo. I catari fondavano la loro visione del mondo su due principi, Bene e Male
(rappresentati da Dio e Satana) e rifiutavano i beni temporali. Furono considerati nemici della fede.
Il papa Lucio III e l'imperatore Federico I strinsero un'alleanza per reprimere le eresie. Contro i
catari in particolare venne organizzata da Innocenzo III una guerra santa, che li sterminò. Un altro
strumento di repressione delle eresie furono i tribunali dell'Inquisizione.

18.4 Gli ordini mendicanti


Innocenzo III non si dedicò solo alla repressione, ma anche al rinnovamento ecclesiastico. Furono
riconosciuti alcuni ordini monastici, detti ordini mendicanti. Essi includono:
– i Frati minori (o francescani), seguaci di Francesco d'Assisi, figlio di un ricco mercante
che scelse di spogliarsi dei propri beni e dedicarsi a una vita di povertà e predicazione.
Nonostante le diffidenze iniziali da parte degli organi ecclesiastici, la fedeltà al papato di
Francesco gli permise di avere sostegno. Francesco ebbe un forte seguito da ogni parte
d'Italia e grazie all'adesione di Chiara, l'ordine si aprì anche alle donne (Clarisse);
– i Predicatori (o domenicani), seguaci di Domenico da Guzman, che dedicò la sua vita a
combattere le eresie in Francia (specie contro gli albigesi). I domenicani divennero i primi
titolari dei tribunali d'Inquisizione, successivamente affiancati dai francescani.

19. I comuni italiani e l'impero


19.1 I comuni italiani
I comuni cittadini nacquero in Italia tra XI e XII secolo. Le prime esperienze comunali sono quelle
di Pisa, Arezzo e Ferrara, seguite da Cremona, Lucca, Bergamo e Bologna. I comuni iniziarono
a svilupparsi al Nord, perché vi mancava un forte potere centrale (rappresentato nel centro dallo
Stato Pontificio e nel Sud dai Normanni). In Italia l'esperienza comunale fu possibile grazie
all'intervento di mercanti e artigiani, ma anche dei feudatari. I processi che portarono alla
formazione dei comuni sono vari e particolareggiati. A Milano il processo fu innescato da un
conflitto tra i vassalli della Chiesa e i valvassori, che rivendicarono l'eredità dei loro benefici.
Corrado III intervenne nella contesa, per indebolire l'aristocrazia ed emanò la Constitutio de
feudis, con la quale permetteva l'ereditarietà dei feudi dei valvassori. Si accese la lotta tra la
cavalleria e il popolo, che risultò inizialmente vittorioso. All'inizio dell'esperienza comunale, a
Milano erano presenti ventitré consoli, tra cavalleria e ceti mercantili. I consoli restavano in carica
per sei mesi o per un anno e avevano il compito di prendere decisioni politiche, ratificate poi
dall'assemblea di cui facevano parte i maschi adulti della città. Trattandosi di un meccanismo
politico troppo ampio, fu sostituito da consigli ristretti quasi subito.

19.2 Federico I Barbarossa e la politica italiana


La nobiltà tedesca era divisa tra due schieramenti: ghibellini (filo-svevi) e guelfi (filo-bavaresi). Il
conflitto fu risolto quando, alla morte di Corrado III, fu eletto re Federico I Barbarossa, che era
svevo da parte di padre e bavarese da parte di madre. Federico I riuscì a rafforzare l'autorità regia,
recuperando i diritti del concordato di Worms (elezione vescovile) e si concentrò sull'Italia, dato che
i comuni avevano fatto proprie delle prerogative imperiali. Federico intendeva recuperare gli iura
regalia (battere moneta, nominare pubblici ufficiali, provvedere alla difesa e muovere guerra). La
prima discesa di Federico I in Italia fu nel 1154 e durante la dieta di Roncaglia l'imperatore negò ai
Milanesi il riconoscimento dei diritti regi. Durante questa prima discesa, l'imperatore fu incoronato
a Roma da Adriano IV.

19.2 Dallo scontro impero-papato alla pace di Costanza


Nel 1158 Federico I discese nuovamente in Italia e assediò Milano, cuore della resistenza anti-
imperiale. Con la seconda dieta di Roncaglia, Federico emanò due Constitutiones:
– Constitutio de regalibus, elencava le prerogative imperiali e stabiliva che i comuni e i
signori potessero esercitarle solo se concesso dell'imperatore;
– Constitutio pacis, vietava le leghe cittadine e le guerre private.
Federico tentò di legare a sé i signori tramite rapporti vassallatico-feudali, ma risultò fallimentare. I
comuni continuarono a schierarsi contro l'impero e sorse la Lega Veronese, unitasi poi ai comuni
lombardi nella Lega lombarda. Alessandro III appoggiò la Lega in funzioni anti-imperiale, così
l'imperatore discese una terza volta in Italia. La pace fu siglata a Costanza nel 1183 e si giunse a un
compromesso: ogni potere pubblico discendeva dall'imperatore, che si impegnava ad accordare ai
comuni i diritti di cui ormai si erano appropriati. Questo accordo era inizialmente valido solo per le
città della Lega lombarda, ma si estese per tutti i comuni. I rapporti tra papato e impero si
risanarono grazie alla necessità di combattere le eresie. Federico I aveva attuato una politica
matrimoniale lungimirante, facendo sposare al figlio Enrico la figlia di Ruggero II, Costanza. In
questo modo, alla morte di Guglielmo III senza eredi, Enrico pote avanzare pretese sulla corona di
Sicilia.
19.4 L'evoluzione sociale e politica dei comuni
Dopo la pace di Costanza, i comuni si svilupparono maggiormente. L'intervento vescovile fu
eliminato e si vennero a creare due schieramenti: quello popolare (a prevalenza mercantile e
artigianale) e quello nobiliare. Questo conflitto portò a turbamenti nella vita consolare, per questo la
figura del console fu sostituita a quella di un podestà. Il podestà proveniva da una città differente
rispetto a quella in cui esercitava il proprio potere (così da evitare conflitti interni), deteneva potere
esecutivo, legislativo e militare, oltre a una funzione mediatrice, il suo mandato durava sei mesi.
Nel XIII secolo anche in Italia iniziò la contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini. Essa prese tuttavia
una sfumatura differente: i Guelfi erano lo schieramento filo-papale, i Ghibellini quello filo-
imperiale. Le lotte interne e la dispersione dei centri di potere indebolirono i comuni.

19.5 Il comune e il popolo


A Bologna e Firenze le lotte interne portarono a un governo popolare, in cui il podestà era
affiancato al capitano del popolo.

20. Impero e papato


Alla morte senza eredi di Guglielmo III, il trono sarebbe dovuto passare allo svevo Enrico VI, che
aveva sposato Costanza. Tuttavia, questa successione incontrò resistenze da parte del papato e del re
d'Inghilterra Riccardo cuor di Leone, che preferirono sostenere Tancredi conte di Lecce. Alla
morte di Tancredi nel 1194, Enrico VI si impadronì definitivamente del regno e iniziò i suoi
propositi universalistici, stroncati dalla sua morte improvvisa. Il figlio, Federico, aveva all'epoca
solo quattro anni. Inizialmente il papa preferì appoggiare Ottone di Brunswick, che fu incoronato
imperatore ma che non mantenne gli accordi presi con il papa e avanzò pretese sui territori del
centro Italia, motivo per cui venne scomunicato dal papa. Dopo la promessa di non unificare la
corona imperiale e quella del regno di Sicilia, il papa scelse di sostenere Federico come imperatore.
Nel 1214 a Bouvines si scontrarono due fazioni:
– quella a sostegno di Ottone, appoggiato dal re inglese Giovanni senza Terra e da feudatari
francesi;
– quella a sostegno di Federico, appoggiato dal re francese Filippo Augusto e dal papa.
A vincere fu Federico.

20.2 Il pontificato di Innocenzo III


Innocenzo III era stato determinante nell'elezione di due imperatori, aveva svolto un ruolo politico
fondamentale. Fu anche abile nello sviluppo del nuovo assetto territoriale dello Stato della Chiesa.

20.3 Federico II e il consolidamento del regno imperiale


Federico II si assicurò la fedeltà e l'appoggio dei principi tedeschi nel 1213, con la Bolla d'Oro,
rinunciò ai diritti di elezione vescovile. L'imperatore sistemò la struttura del regno di Sicilia,
punendo i baroni che avevano approfittato della sua assenza per usurpare le prerogative regie.
Federico II si occupò di aiutare l'economia del regno di Sicilia e fondò a Napoli la prima università
statale d'Europa (1224). Sempre da un punto di vista culturale, fondamentale fu lo sviluppo della
scuola siciliana (di cui facevano parte intellettuali del calibro di Iacopo da Lentini).

20.4 Federico II, la crociata e i comuni italiani


Gregorio IX chiamò alla crociata l'imperatore, che fu costretto a rimandare la partenza dapprima
per un epidemia scoppiata in seno all'esercito, successivamente per rivolte interne nel regno di
Sicilia. Questo tergiversare gli costò la scomunica e nel 1228 il sovrano partì alla volta dell'Oriente.
Federico conosceva bene la cultura araba e ne parlava la lingua, cosa che gli permise un approccio
diverso rispetto alle precedenti crociate. Si trattò di un approccio più diplomatico che militare e
grazie alle negoziazioni, riuscì a ottenere la corona del Regno di Gerusalemme e permise agli arabi
di frequentare i luoghi di culto in comune. Il papa, contrario a quest'atteggiamento, scelse di indire
una crociata contro Federico II dalla quale però uscì sconfitto e fu pertanto costretto a revocare la
scomunica fatta all'imperatore. Federico II tornò in Italia, a seguito di una rivolta del figlio Enrico,
che fu imprigionato e privato dei diritti di successione.
Federico II dovette anche affrontare i comuni italiani, riuniti nella Lega lombarda. Ne uscì
vittorioso e nel 1239 iniziò un conflitto tra impero e papato. Fu in questo clima aspro e di sospetto
che vennero mietute vittime illustri, tra cui Pier della Vigna. Federico morì nel 1250.

20.5 Dalla fine della dinastia sveva alla pace di Caltabellotta


Corrado IV successe al padre Federico II, ma morì pochi anni dopo. Il trono imperiale passò a
Rodolfo d'Asburgo, quello del regno di Sicilia a Manfredi, figlio illegittimo di Federico II. La
politica di Manfredi si sposò con il ghibellinismo italiano e Manfredi aiutò i ghibellini senesi
durante la battaglia di Montaperti (1260) che si concluse con la disfatta guelfa. Il papa Urbano IV
scelse di appoggiare i Normanni nella figura di Carlo, conte d'Angiò: Manfredi venne sconfitto e
ucciso in battaglia, ma quando Carlo saccheggiò il regno di Benevento (sotto la tutela papale), il
papa prese le distanze da lui. I ghibellini d'Italia si appoggiarono a Corradino di Svevia, che fu
però sconfitto.
Il Meridione fu acceso dalle rivolte anti-angioine, tra cui spicca quella del 1282 a Palermo (rivolta
del Vespro), scaturita dalla pressione fiscale atta a mantenere la Chiesa e dal malcontento nel ceto
aristocratico verso i feudatari francesi. I conflitti si chiusero nel 1302 con la pace di Caltabellotta,
tramite la quale la Sicilia veniva affidata a Federico III e alla sua morte sarebbe tornata agli angioini
(cosa che però non accadde, perché la corona restò al ramo cadetto della famiglia). Pertanto la
Sicilia restò politicamente separata dal resto del Sud.

21. Il consolidamento delle monarchie nazionali


21.1 Gli stati monarchi dell'Occidente europeo nel XIII secolo
Nel XIII secolo si rafforzarono gli ordinamenti monarchici e i sovrani assunsero piena autorità sugli
stati.

21.2 Il regno di Francia


Lo scontro militare di Bouvines portò a modifiche tanto per la Francia quanto per l'Inghilterra. La
Francia riuscì a riprendere il pieno controllo delle Fiandre. Con Luigi VIII e Luigi IX si
consolidarono gli apparati governativi e la figura del re assunse caratteri sacrali. Filippo IV il Bello
si occupò anche delle finanze dello stato, grazie a una tassazione dalla quale furono coinvolti anche
gli ecclesiastici. Questo portò a uno scontro con il papa Bonifacio VIII, che denunciò con una bolla
la scelta del re di tassare i prelati. Nel 1300 Bonifacio VIII tiene il primo giubileo, ma i conflitti
con la Francia si riaccendono e Filippo il Bello convoca per la prima volta gli Stati Generali, che
saranno poi importanti durante la Rivoluzione. Sono gli Stati Generali a determinare che la sacralità
della figura del re dipenda direttamente da Dio e non dal papa, affermazione al seguito della quale il
papa promulga una bolla secondo cui il potere del papa è superiore rispetto a quello di ogni altro
sovrano. Questa bolla riscontra delle resistenze nella Chiesa stessa. Il re di Francia decise di indire
un processo al papa dinanzi al tribunale francese e si alleò con i Colonna di Roma. Sorprese il papa
ad Anagni e lo catturò per tre giorni e schiaffeggiato, fu il popolo a liberarlo. Alla sua morte gli
succedette Clemente V, che per timore di seguire le orme del predecessore sposta la sede papale ad
Avignone: ha inizio la cattività avignonese.

21.3 Il regno d'Inghilterra


Dopo la promulgazione della Magna Charta, anche in Inghilterra si sviluppò l'assemblea
rappresentativa, che aveva diritto di collaborare con il re. La Magna Curia divenne un'assemblea
regolare sotto Enrico II il Plantageneto.

21.4 I regni iberici


I regni iberici cattolici erano Portogallo, Castiglia, Aragona e Navarra. Si svilupparono le cortes,
assemblee rappresentative dell'aristocrazia, del clero e delle comunità cittadine.

21.5 Gli aragonesi, la Sardegna e la “via delle isole”


Gli aragonesi acquisirono la Sicilia, mentre la Corsica rimase sotto il controllo di Genova.
Successivamente gli aragonesi si impegnarono nella conquista della Sardegna, per la quale
dovettero scontrarsi con Pisa e Genova. La Sardegna venne divisa in quattro regni (detti giudicati) e
la sua conquista fu una tappa fondamentale dell'affermazione della corona aragonese nel Sud.

22. Il Trecento. Dalla crisi verso nuovi equilibri


Tra X e XIII secolo vi furono molti cambiamenti: aumentarono le terre coltivate e la popolazione,
cambiò il paesaggio rurale, iniziò una forte urbanizzazione e si intensificarono le attività artigianali
e manifatturiere. Questa forte crescita si arrestò nella seconda metà del XIII secolo. Si sviluppò una
crisi frumentaria dettata dal cattivo raccolto, la quale degenerò in diverse ondate di carestia. In
aggiunta, giunse in Europa la peste nera: essa si sviluppò a partire dal 1347 in Italia, a seguito del
ritorno di alcune galee genovesi dal Mar Nero. Si diffuse velocemente in tutta Europa, portando a
un abbassamento dell'aspettativa di vita e a un forte calo demografico. Scoppiarono in Europa
rivolte contadine (come quella in Catalogna, iniziata dai contadini costretti a pagare il signore se
avessero voluto abbandonare il coltivo delle terre) e rivolte urbane (iniziate dai lavorati salariati. Si
ricorda il tumulto dei ciompi a Firenze, iniziato dai lavorati della produzione laniera che si
allearono con gli artigiani per chiedere dei diritti, tra cui la partecipazione attiva alla vita politica).

23. Papato e cristianità tra XIV e XV secolo


23.1 Il papato avignonese
Nel 1309 Clemente V trasferì la sede papale ad Avignone, dove sarebbe rimasta fino al 1377: questo
periodo è noto come cattività avignonese. questa lunga lontananza decretò una diminuzione del
potere ecclesiastico su Roma, ma anche un aumento dell'economia avignonese. A Roma si sviluppa
il governo di Cola di Rienzo, che dopo una rivolta popolare prende il potere con il titolo di tribuno.
Dato che il suo governo stava diventando sempre più estremo, fu una sommossa popolare stessa a
costringerlo alla fuga. Fu con Gregorio XI che si pose fine al papato avignonese, nel 1377.

22.2 Lo scisma d'Occidente e il conciliarismo


Nel 1378 Urbano II divenne papa, ma i cardinali francesi elessero come loro papa Clemente VII,
la cui nomina fu riconosciuta dal re francese. Lo scisma d'Occidente si risolse solo nel 1417, ma
fino ad allora il mondo occidentale fu diviso tra l'obbedienza romana e quella francese e si registrò
la presenza di più papi contemporaneamente. Dopo il concilio di Costanza fu eletto papa un
Colonna.

22.3 Istanze riformistiche in Europa: il movimento ereticale inglese e boemo


Esperienze riformistiche radicali si svilupparono sia in Inghilterra che in Boemia.
In Inghilterra vennero condannate le indulgenze ed elaborate delle tesi che ridimensionavano il
ruolo degli ecclesiastici nelle comunità cristiane. Questi eretici presero il nome di lollardi e
anticiparono alcuni dei nuclei cardine della riforma protestante. A partire proprio da queste teorie si
andò a sviluppare anche in Boemia un movimento ereticale, noto come hussitismo e importante
perché permise di identificarsi in una coscienza nazionale. L'hussitismo era diviso tra moderati e
radicali, ma entrambe le fazioni concordavano sugli “articoli di Praga”:
– ritorno alla povertà ecclesiastica;
– predicazione in ceco e non in latino;
– possibilità per i laici di celebrare l'eucarestia

24. Gli stati europei nei secoli XIV e XV


24.1 Francia e Inghilterra, la Guerra dei Cent'anni
La guerra dei cent'anni fu un conflitto secolare, durato dal 1337 al 1453. Esso coinvolse Francia e
Inghilterra, le cui corone erano legate da forti interessi inglesi su territori geograficamente francesi.
A dare inizio al conflitto fu una crisi dinastica n Francia, dove con la morte di Carlo IV si concluse
l'esperienza capetingia (1328). Edoardo III d'Inghilterra rivendicò la corona francese, poiché figlio
di Isabella i Francia, ma gli oppose Filippo IV di Valois, al quale andò la corona.
Il conflitto tra le due nazioni si aprì ufficialmente nel 1337, quando Filippo IV confiscò a Edoardo
III le terre d'Aquitania e quest'ultimo in risposta sbarcò in Francia e si auto-proclamò re. La prima
fase del conflitto fu favorevole agli inglesi, nonostante fossero in svantaggio numerico. Questi
infatti utilizzavano le armi da fuoco, innovative sul campo di battaglia. Fu necessario siglare un
trattato di pace a causa del diffondersi della peste nera, questo trattato stipulava la sovranità di
Edoardo III su un terzo del territorio francese, a patto che il re inglese rinunciasse al diritto di trono
sulla Francia.
Il conflitto riprese nel 1369 e il nuovo re di Francia, Carlo V, riuscì a riprendere la maggior parte di
territori precedentemente sottratti grazie a una guerra di logoramento. La malattia mentale di Carlo
VI pose la Francia davanti a un conflitto interno, caratterizzato dalle due figure di spicco di Luigi
d'Orleans e Filippo di Borgogna: le due fazioni in gioco erano gli orleanisti (o ammagnacchi) e i
borgognoni. Il re inglese Enrico V appoggiò i borgognoni, ai quali concesse aiuto militare.
Alla morte di Carlo VI la Francia era divisa nel regno franco-inglese di Enrico VI e nei territori del
centro-sud che spettavano al delfino di Carlo VI. Fu centrale il ruolo svolto da Giovanna d'Arco,
contadina originaria della Lorena che convinse Carlo VII a riprendere il conflitto, animata da un
forte misticismo. Le fu affidato un battaglione, che le permise di riprendere la città di Orleans e
portò all'incoronazione di Carlo VII come re di Francia. L'anno successivo Giovanna d'Arco fu
catturata dai Borgognoni e venduta agli inglesi, che la processarono e condannarono al rogo. Nel
1453 finirono ufficialmente le ostilità e successivamente anche il porto di Calais tornò alla Francia.
La Francia uscì vittoriosa dalla guerra dei cent'anni, mentre l'Inghilterra dovette affrontare
un'instabilità economica e politica alla quale seguì un conflitto interno tra due rami cadetti della
famiglia reale, gli York e i Lancaster. Questo conflitto fu denominato guerra delle due rose, perché
simbolo di entrambe le famiglie era una rosa (rossa per i Lancaster, bianca per gli York). A risolvere
la situazione fu Enrico Tudor, membro della famiglia Lancaster, che si impose come vincitore e
sposò Elisabetta di York, unendo così le due casate.

25. Signorie, regimi oligarchici e Stati regionali in Italia alla fine del Medioevo
25.1 Origini e prime sperimentazioni del regime signorile
La coesistenza di varie realtà politico-sociali rendeva instabili i comuni. Dal corpus stesso dei
comuni nacquero le signorie. Le signorie nacquero per contrastare le lotte tra i vari comuni, infatti a
causa di questa competizione molti comuni affidarono il potere nelle mani di un singolo, per
accrescere il proprio prestigio. Le signorie legittimavano il loro potere dall'alto, non dal popolo,
bensì dal papa o dall'imperatore.

25.2 Le spedizioni militari in Italia e la fine del sogno ghibellino


Fondamentali per la storia italiana furono le figure di due imperatori: Enrico VII di Lussemburgo
e Ludovico IV il Bavaro.
Enrico VII era visto come il solo salvatore dalle lotte interne in Italia. Nel 1310 ricevette a Milano
la corona d'Italia e a Roma quella di Imperatore. Signorie e comuni gli furono ostili e il sovrano
morì, spezzando così le speranze del sogno ghibellino italiano.
Gli successe Ludovico IV il Bavaro, il quale scese a sua volta in Italia.

25.3 Verso gli Stati regionali


Le cinque maggiori potenze signorili furono:
– lo stato principesco dei Savoia, nell'area subalpina;
– lo stato principesco dei Visconti (a cui seguirono gli Sforza) in Lombardia;
– lo stato-repubblica di Genova;
– lo stato-repubblica di Venezia;
– lo stato-repubblica di Firenze.

I principati comprendevano:
– stati signorili che avevano un solo distretto urbano, come quello dei Gonzaga a Milano;
– ducati, come quello estense;
– stati principeschi maggiori, come quello visconteo-sforzesco e quello sabaudo.
Lo stato visconteo si estese dal XIV secolo, comprendendo l'intera Lombardia e comuni del
Piemonte e dell'Emilia. La massima estensione si raggiunse con Gian Galeazzo. L'estensione
viscontea preoccupava le potenze del centro, che diedero vita a una lega anti-viscontea. Alla morte
di Filippo Maria Visconte si visse una breve esperienza oligarchia (repubblica ambrosiana), alla
quale seguì il duca Francesco Sforza.
Il ducato sabaudo si estese, arrivando a comprendere comuni, signorie e terre feudali. I Savoia
erano stati incoronati principi da Enrico VII ed erano pertanto equiparabili ai principi tedeschi.
Anche Firenze estese la propria area di influenza durante il XIV secolo. Conquistarono Pisa,
guadagnando così uno sbocco sul mare e sottomisero Livorno. Il potere centrale era nelle mani di
un'oligarchia, regolata dai rappresentanti delle arti maggiori. Il rapporto tra popolo grasso e nobili si
incrinò e il potere si concentrò su poche famiglie. A seguito del tumulto dei ciompi, si delineò
un'oligarchia. Emerse in particolare la famiglia Medici, che con Cosimo il Medici instaurò in città
una cripto-signoria: il quadro istituzionale non mutò, ma furono i Medici a guidare di fatto lo Stato.
Firenze conobbe un periodo di massimo splendore nel XV secolo, grazie a Lorenzo detto il
Magnifico. Lorenzo e il fratello Giuliano rafforzarono il potere della famiglia e fu proprio grazie a
Lorenzo e alla sua diplomazia che si riuscì a preservare un equilibrio tra le particolareggiati realtà
italiane. Nonostante il prestigio dei Medici, la lotta interna continuò e sfociò in una congiura
organizzata dai Pazzi, a seguito della quale fu ucciso Giuliano de Medici.
Nel centro si sviluppò particolarmente lo Stato pontificio, che era una monarchia guidata dal papa.
La carenza economica dettata dallo scisma spinse i papi a interessarsi all'amministrazione dei
territori sotto il loro controllo.

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