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AVER CURA Della VITA - Riassunto del libro per l'esame di


pedagogia
Pedagogia sociale (Università degli Studi di Bergamo)

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AVER CURA DELLA VITA


CAP. 1 L’EDUCAZIONE NELLA PROVA
DIALOGHI A SCUOLA SUL VIVERE E SUL MORIRE
A scuola sembra che si elabori solo la vita scolastica e non quella sulla propria
identità. La scuola vive di una separazione.
Per esempio, di fronte alla morte di un compagno, emerge il bisogno di parola, i
ragazzi fanno fatica a ritrovarsi e a elaborare il passaggio tra emozioni e senso.
Pensiamo alla scuola come un luogo dove convivono percorsi personali, interessi
diversi e la parola tra persone diverse contiene la forza di star di fronte a ciò che le
accomuna, ossia la morte.
La morte, infatti, provoca linguaggi frammentati e separati negli adolescenti, n può
permettere l’ascolto e il reciproco ascolto dove ognuno è condotto al limite, non c’è
più ostentazione di segni distintivi, crollano le vecchie difese e i gruppi-appartenenze
di un tempo. Si ha solo il bisogno di stare in compagnie sempre più grandi. La morte
è come un evento fraternizzante.
È proprio nel racconto che si coglie il valore del tempo del vivere come risposta al
morire. Quando la scomparsa viene accolta nella comunicazione, questa persona
rimane ancora percepita come un tempo. La risposta degli adolescenti di fronte alla
morte riguarda l’amore per la vita.
Ci si chiede se si può costruire una comunicazione onesta e significativa attorno
all’esperienza del morire. La risposta è Sì, evitando un parlare eccessivo e sfacciato o
che oggettivizzi la morte come se avesse a che fare solo con gli altri. Spesso vi è la
convinzione che solo il discorso medico o sociologico siano gli unici discorsi che
possono affrontare un simile argomento. La morte è un mistero, per questo ne parla in
modo rispettoso.
!!! Si deve uscire da una logica che considera attinenti al privato i discorsi e la realtà
del morire.
PER LA TESSITURA DI UN’AZIONE EDUCATIVA
Prime tracce di lavoro:
1. Abitare la solitudine: la solitudine è anche un luogo necessario per
l’esperienza della finitudine e della singolarità, in essa ci si può cogliere come
unici.
2. Riattivare il confronto con la morte: non per contenere la paura ma per
ridelineare tratti di responsabilità e di libertà.

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3. Consegnarsi e dare fiducia: la fiducia si basa sul cogliere sul serio le nostre
parole e relazione mentre la responsabilità personale è costruire in libertà
quella fiducia.
4. Sentirsi in debito: esperienza del distacco da cose e persone nasce da dentro.
Nella solitudine e nella separazione che la morte crea, la nostalgia mostra come
l’esistenza d’altri ha contribuito a costruire la nostra. Sento debito e
gratitudine, sono consapevole di una solidarietà che resiste e questa nel tempo
diventa responsabilità.
5. La rabbia: articolata in uno spazio comune non origina solo sfoghi ma può
diventare un non sopportare la vittoria della morte sulla vita.
6. Scuola come comunità di senso: riappropriazione del diritto al dolore può
avvenire in contesti di gruppo dove non si attivano rapide rimozioni o circuiti
vittimistici.
7. Attenzione alle biografie: ci sono linguaggi e metodologie usati in luoghi
formativi extrascolastici che possono arricchire la capacità di cogliere e
indagare tratti esistenziali degli allievi. Raccogliere biografie ci comunica e
chiede un atteggiamento profondo di pudore e rispetto.
8. Stare in silenzio: silenzio che può capire e legare la diversità, occorre
recuperare il valore pedagogico del silenzio per l’assimilazione interiore.
Occorre creare una scuola dove si apprende a vivere, una scuola in cui si fa sazio
al mondo e si contrasta il narcisismo dell’uomo occidentale.
La scuola è il luogo d’incontro tra diverse generazioni e istituzioni dove spesso i
ragazzi possono essere portatori di puti di vista che fanno fatica a essere
considerati e valorizzati.
Nei modelli educativi tradizionali, sofferenza e morte non attengono al campo
scientifico quindi sono argomenti che non vengono trattati in classe ma rilegati al
privato. La morte smuove nuove soglie comunicative, c’è bisogno di parlare ma
spesso il linguaggio si rivela inadeguato.
“Cosa fare per i giovani che affrontano la morte e la sofferenza?”
Occorre offrir loro un terreno di prova per loro e con loro che eviti di fornire
spiegazioni, accogliere il loro messaggio di sofferenza senza pretesa di
consolazione ma accompagnando verso un’interpretazione e utilizzare un modo di
parlare che affianca ma non li illuda.
Di fronte alla sofferenza, ci può essere indurimento o affidamento e da qui partono
2 indicazioni pedagogiche che riguardano l’ascolto e il silenzio, in quanto ogni
comunicazione autentica e profonda nasce dal silenzio.

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Negli adolescenti, in particolar modo, avvertiamo la paura di ascoltare veramente


se stessi e gli altri, paura che può essere affrontata provando a valorizzare i
momenti di concentrazione in cui riunirsi con mente, cuore e corpo.
CAP 2 IL GESTO DI CURA E IL CORPO

LA CURA DELLA SALUTE


L’idea recente di vulnerabilità nel campo dell’etica rappresenta la precarietà di una
condizione segnata dalla possibilità della violazione e dal limite. Essa è stata
ridotta dalla modernità a qualcosa di non inerente alla condizione umana.
L’esperienza umana della malattia è quella attorno a cui si esprimono e si
organizzano saperi e gesti di cura per la persona vulnerabile. Anche se oggi,
sembra che le capacità delle persone di integrare la malattia nel disegno di vita
siano diminuite.
In questa epoca, la relazione di cura è asimmetrica perché c’è chi agisce il bene
(medico) e chi non sa e ha una patologia (paziente), inoltre l’ospedalizzazione e la
medicalizzazione chiudono l’asimmetria alla possibilità di interazione tra chi cura
e chi è curato. La vita di rinuncia di chi vive la malattia segna l’orizzonte della
relazione di cura perché le patologie riducono sia i diritti che l’apertura al dialogo.
Ciononostante, l’asimmetria della relazione di cura non impedisce che si provino
strategie per cercare di creare un rapporto dare-ricevere, in cui il ricevere è anche
da curanti. La cura è, infatti, resistenza perché permette di ri-esistere, di riaprire
alla libertà e all’intenzionalità come dedicazione. Malgrado presenza e cura a
volte non sono efficaci, esse aprono a scambi con parole e gesti che provano a
unire le persone.

CORPO BELLO E MORTALE


Si occulta il corpo in ogni ideologia della morte che nasce dalla non accettazione
del fatto che la nostra vita abbia un termine. Il corpo è evidenza del tempo e del
morire, ecco perché l’uomo cerca di nascondere il corpo mortale e a esaltare il
corpo bello ma bisogna accettare il corpo nella sua doppiezza. Infatti, la fuga dal
corpo mortale non fa più cogliere l’essenzialità del corpo bello e a causa del
vitalismo narcisistico dell’uomo moderno va nascosto l’ammalarsi e l’invecchiare.
La malattia chiede l’ascolto che ha 3 forme possibili:
1. PENSARE= intendere il senso, non spiegare
2. AGIRE= fare senza forza salvatrice, agire nel limite

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3. SENTIRE = invocare, sperare

SENTIRE L’ALTRO
Si porta ora l’esempio di momenti di formazione e di riflessione con gli anziani
perché gli anziani colgono il tempo di attesa e di astinenza perché devono
adeguare il desiderio alla realtà. Tutto questo svela i tratti di una nuova saggezza
del desiderio, che ritrova la bontà nelle relazioni e nei gesti curati del presente.
5 qualità nell’esperienza degli anziani:
1. NUOVA EVIDENZA DELLE RADICI dove è radicato il gusto e il senso del
vivere
2. SENSO DELLA CASA
3. SENSO DEL VIAGGIO che va vissuto come esperienza di scoperta e di
incontro
4. SCOPERTA DI UNA MEMORIA DI VITA che coniuga emozioni con
esperienze
5. GUSTO DI UNA STORICITÀ PIENA, è il senso di comunanza profonda,
consapevolezza di una storia comune a cui si è appartenuti e di cui si è
testimoni

NELL’EMPATIA IN ATTO
Se rompo la centratura su di me, percepisco l’ambiguità di un vissuto proprio in
cui se ne manifesta un altro, io mi trasformo perché nel mio vissuto entrano
emozioni altrui. Tra me e l’altro si crea lo spazio di una nuova esperienza, ossia
ospito il vissuto di altre persone e questo allarga la mia esperienza. Si tratta di
un’acquisizione emotiva della realtà che fa cogliere che esiste l’altro.
Si può definire l’empatia come un atto attraverso il quale la persona si costituisce
attraverso l’esperienza dell’alterità. Oggi però, c’è sempre più scomparsa della
comprensione di ciò che accade all’altro.
Nell’incontro, si tende a uscire dai confini dell’io, in questa esperienza può
apparire un’empatia in atto osservabile in 6 caratteri:
1. Arricchimento del nostro sentire
2. Più chiara conoscenza del conoscente e del senziente
3. Posso vivere valori che il mio vissuto non ha e scopro livelli correlativi della
mia persona così risveglio dimensioni di valore sopite e chiariamo ciò che non
siamo pur non essendo a ciò estranei
4. Disporre del mondo come esperienza degli atti con cui le persone si scambiano
significati e emozioni

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5. Attenzione
6. Se sono stanco e arido non faccio posto dentro di me a ciò che vivo, serve un
momento di recettività

Mantenere aperta la strada sulla quale conservare i 6 tratti dell’empatia pratica è un


cammino verso ciò che non conosciamo, andiamo verso l’ignoto per lasciarci formare
da esso.
Perché i luoghi della formazione si rivelino meno vuoti e aridi, occorre scoprire i
legami vitali delle idee con le esperienze, seguendo il loro andamento di costruzione
attraverso le elaborazioni, gli urti e le ricomposizioni.
CAP 3 L’AVVENTURA UMANA NELL’ESPERIENZA DELLA MALATTIA E
DEL CONGEDO

IMPARARE DALLA SOFFERENZA


Ciò che l’uomo deve imparare attraverso la sofferenza è capire i limiti dell’uomo,
oggi occorre ritrovare il senso del dolore e della sofferenza nell’educazione. Per i
ragazzi, è duro il confronto con la vulnerabilità e l’incertezza che avviene nella
scoperta del proprio corpo mortale.
La sofferenza espone ognuno di noi all’altro, anche se è un sentimento vissuto da
ciascuno in modo unico. La malattia è una delle esperienze di sofferenza degli uomini
ma diventa simbolo e figura del soffrire perché chiede di tenere assieme la
spiegazione di qualcosa con la comprensione di qualcuno. La malattia svela paesaggi
interiori della gente, crea lo spazio dell’alleanza e della prossimità.

CONVIVERE CON LA MALATTIA E PRENDERE CURA


Oggi i successi medici contro le malattie hanno allungato la vita media e la
composizione per età delle società ricche del nord del mondo. Invalidità e cronicità
sono rallentate e tenute sotto controllo quindi di deve imparare a convivere con la
malattia. Ecco perché essa ha un nuovo peso nella vita dei singoli e nelle relazioni.
La crescita della possibilità di diagnosi e di cura ha portato ad assumere un’ottica
clinica che però ha portato ad accrescere l’esposizione alla solitudine del malato.
Emerge dunque nell’esperienza umana della malattia, la tensione tra la voglia di
rimozione e il bisogno di elaborazione.

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Oggi il malato è espropriato dal controllo delle terapie, è più dipendente dall’apparato
medico e c’è più peso psicologico della malattia. Oggi, la malattia sorprende e
sospende la vita.
Oggi la rivelazione del morire è improvvisa, non si basa su un’evidenza di un corpo
malato visibilmente ma rimane il dolore e l’angoscia nel vedere decadere le
possibilità di agire. Negli ospedali non si accettano i troppo malati o i troppi vecchi,
ecco perché si creano nuovi spazi che richiamano la famiglia e la dedizione
volontaria assistenziale.
Ci sono diversi modelli per cogliere la malattia:
 Modello ontologico: salute e malattia hanno una loro costituzione
 Modello relazionale-funzionale: malattia è alterazione di un equilibrio dentro
di sé e con il mondo
 Modello endogeno: malattia come radici genetiche da cui parte un processo
degenerativo
 Modello esogeno: malattia come un’invasione
 Modello additivo: presenze estranee che intrudono
 Modello sottrattivo: perdita e sottrazione
 Modello malefico: malattia come corrosione
 Modello benefico: malattia porta a più conoscenza di sé e a diversi stili di vita
 Modello antagonistico: combattere contro la malattia
 Modello omeopatico: attiva processi di riattivazione
 Modello esorcistico: guarire è come strappar fuori il male
 Modello adorcistico: guarire è come un processo iniziatico e educativo.

RELAZIONI SOCIALI CON IL MALATO


Ci sono due immagini per definire il tempo della malattia:
1. Il deserto perché il tempo in essa ristagna
2. Il labirinto perché le dimensioni del tempo si aggrovigliano.
Per il malato, il tempo cambia e la padronanza del tempo nel dolore è un atto
terapeutico essenziale per dominare l’essere paziente del malato.
Tra medico e malato c’è una relazione primaria di fiducia reciproca, una relazione
pratica nella quale il sapere teorico e pratico del primo è per quel paziente mentre la
stessa persona malata è chiamata a contribuire al processo terapeutico.
Le relazioni sociali e il lavoro chiedono al malato di dimostrare di essere non malato,
non deve far sentire il penso del suo male sugli altri, non deve parlarne altrimenti
viene considerato al di fuori della vita, cioè malato.

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Il malato viene sospesa dalle leggi e dalle normative, vive un periodo parziale di non
vita e quando la malattia è grave comporta un isolamento dalla vita normale con
internamento e degenza in strutture specializzate.
Si pensa che la relazione di cura sia sincronica, si pensa che il tempo vissuto nella
sofferenza sia sincronico al tempo della diagnosi e della terapia ma in realtà, la
relazione di cura è non-coincidenza. La cura si da come relazione quando nasce dalla
consapevolezza del tempo diverso in cui l’altro si trova.
CAP 4 APPRENDERE A VIVERE IL TEMPO DI UN NUOVO INIZIO
Gli adolescenti segnalano agli adulti che non trovano spazio, ascolto per poter
elaborare la loro debolezza e confessare la paura, così sono arrabbiati fuori mentre
dentro provano sensi di colpa e di disistima. La solitudine, che è recupero e
accoglimento in sé, diventa senso di abbandono se non ci si sente affidati.
Alcuni studi rinviano i suicidi adolescenziali al fallimento del processo di
separazione, sicuramente vi è un legame con le rappresentazioni mentali del sé e del
corpo e con le differenze tra realtà e fantasia. Quando le sensazioni interiori non
trovano elaborazione e non si traducono in progetti di futuro, si pensa di non riuscire
più a ridescriversi allora si avverte il bisogno di far tacere il corpo.
Il dover lasciare è una caratteristica dell’adolescenza, gli psicologi parlano di diversi
momenti di elaborazione del lutto:
- Collera dell’abbandono
- Illusione che nulla sia cambiato e che il distacco non sia reale
- Memoria di quel che vi è stato di buono
- Accettazione, ossia apprendere a vivere la sofferenza, capacità di condurre un
dialogo in assenza
! Le elaborazioni pubbliche e condivise della sofferenza e della morte non sono
reali.
Già dall’infanzia, si parla di apprendimento della perdita e occorre che sia sviluppata
progressivamente. L’angoscia della separazione ha una forza particolare nell’infanzia
e il pensiero della morte è presente ma i bambini non possono dedicare tutte le
energie al lutto. Una parte di questo resta non elaborato e si risveglia nell’adolescenza
in occasione di altre perdine. È importante ricordare però che anche altri sono passati
attraverso esperienze simili e parlare con loro può aiutarci.
SAPERSI LEGARE PER ESSERE AUTONOMI
I ragazzi devono imparare a vivere rapporti di vicinanza-distanza, di non simbiosi
totale con le persone perché la simbiosi impedisce la riflessione interiore, la capacità
di star da soli e il raccoglimento in sé.

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La società d’oggi spinge gli individui verso l’autonomia, l’autosufficienza che è uno
dei disagi della modernità diventando così individui privi di legami. Il sentimento di
futuro nei ragazzi è caratterizzato dall’incertezza, dalla convinzione che esso riguardi
leggi necessarie piuttosto che volontà e progetti condivisi. Molti adolescenti si
confrontano con ingiustizia, sofferenza di uomini e donne e su queste realtà si vive il
vero dolore e si sviluppa la riflessione.
Nei racconti dei ragazzi emerge la fatica di assumere e tradurre tutto questo in scelte
professionali e in decisioni e parole civili e sociali.
RISPETTO DELL’INDICIBILE
I giovani vengono visti come una cultura a sé, quasi a escluderli dalle comunità che li
hanno partoriti, così gli adolescenti creano i propri linguaggi e i propri modi di
descrivere la realtà.
L’esperienza della transizione (da scuola a lavoro, da dipendenza a autonomia) è una
situazione frequente tra i giovani. La pressione a costruirsi identità in autonomia,
vivere la libertà come autodeterminazione spinge molti a dipendenze e verso
l’anomia.
Ci sono 2 possibili cammini esposti allo smarrimento:
- Verso l’interno: ricerca di sé, società vista come una minaccia potenziale,
occorre liberarsi da legami e condizionamento e prendere distanze da ruoli e
relazioni
- Verso l’esterno: apertura verso identità temporanee contestuali

PRATICHE DI NOMINAZIONE
Tra adulti e adolescenti servono pratiche di nominazione che aprono all’incontro e al
conflitto non distruttivo. Tra generazioni vi è la fatica di far fronte alla paura e
all’ansia.
Acquisire di nuovo la consapevolezza del proprio nome significa essere accolti o
chiamati in contesti formativi e sociali in cui si prova che “si è di qualcuno”, perché
c’è chi ha bisogno di noi.
UNA GENERAZIONE VITALE
Il gruppo di pari, l’innamoramento, le esperienze e i pensieri attorno alla morte e
all’amicizia sono luoghi di risimbolizzazione affettiva profonda di sé, dei genitori, del
contesto di vita e del mondo.
Il lutto e la sua elaborazione sono uno dei fili rossi dell’adolescenza, vi è una nuova
nascita che comporta dolore per la perdita e per la separazione. Lutti gravi e delicati

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sono per esempio gli abbandoni, le lacerazioni delle famiglie e le delusioni


sentimentali.
Occorre riconquistare ciò che si sente ferito e torna incerto il valore dello stare
insieme, del sentirsi ospitati e accolti nei pensieri e negli affetti degli altri.
POSTFAZIONE
La pandemia ha certamente scosso le relazioni tra le generazioni. Molti adulti si sono
riscoperti capaci di responsabilità e di fedeltà mentre molti giovani hanno partecipato
a esperienza di volontariato e di servizio sociale e civile.
Il dono in tempo di pandemia è il dono della presenza, dono del lavoro come nei
servizi alla salute, sociali, educativi e di garanzia dei beni essenziali, il dono della
cura del futuro d’altri e del fragile. Il dono non è solo dare ma un ricevere nel dare.
È la preoccupazione per il mondo da lasciare dopo di noi a chiedere un continuo
lavorio sullo sguardo e sulla disciplina interiore, la disciplina che stiamo scoprendo
come valore è la capacità interiore di un buon orientamento delle energie per cercare
se stessi nel buono e nel giusto.
Prima della pandemia, c’era già uno sfibramento dei legami, oggi c’è dissolvenza dei
profili del futuro sul piano economico e occupazionale, una cultura che fatica a
fronteggiare risentimenti, rancori, spinte alla separazione e all’esclusione.
Una società non può funzionare se le disuguaglianze non permettono più il
riconoscimento reciproco. Occorre dimostrare che si può vivere insieme e cercare la
felicità.
Il fronte di contatto tra le generazioni è rappresentato dall’esperienza scolastica. Per
ritrovare la scuola nei mesi della pandemia, ci si è dovuti cercare, insegnanti e
dirigenti hanno dovuto cercare gli studenti, contattare le famiglie, cercare forme
nuove, usare altri strumenti e nuove didattiche. Ci si è dovuti cercare e a volte non ci
si è trovati, qualcuno si è sottratto, altri non avevano gli strumenti o le possibilità.
La scuola si è così riscoperta un luogo di incontro, di rielaborazione di vissuti.
Oltre all’alternanza scuola-lavoro, occorre sviluppare un’alternanza scuola-servizio
civile per i giovani tra i 16-18 anni, esperienze di volontariato e di utilità sociale per
rafforzare l’appartenenza a una comunità, per essere consapevoli, per sviluppare
competenze, saperi nell’organizzazione di convivenza, istituzioni e servizi.
La scuola deve diventare luogo di pratica dell’immaginazione del futuro, altrimenti vi
è una catastrofe educativa, ossia l’incapacità di assumere una prospettiva
intergenerazionale. Nella scuola ci deve essere un traboccamento verso il futuro, a
volte però essa si concentra solo sull’apprendimento, sulla tecnica e questo apre la
catastrofe educativa.

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La scuola vive in rincorsa rispetto alla velocità del modificarsi delle tecnologie e del
mondo del lavoro ma LA SCUOLA DEVE ESSERE IN ANTICIPO.

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