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PONTIFICIUM INSTITUTUM THEOLOGICUM

IOANNES PAULUS II

PRO SCIENTIIS DE MATRIMONIO ET FAMILIA

PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS

Elena MONTANI

LA NINNA NANNA:
dall’abbraccio materno all’abbraccio del Padre

Thesis ad Licentiam

Moderator: Prof. Giovanni Cesare PAGAZZI

Romae 2021
“La presenza di Gesù
si manifesta attraverso la tenerezza,
le carezze, l’abbraccio di una mamma, di un padre, di un figlio.
La famiglia è il luogo della tenerezza.”
(Papa Francesco)

2
SOMMARIO

PREFAZIONE…………………………………………………………………………4

CAPITOLO I: La ninna nanna: momento privilegiato e rituale costitutivo della relazione


………………………………………………………………………………………….11
CAPITOLO II: La spiritualità della tenerezza in Papa Francesco……………………36
CAPITOLO III: La ninna nanna per una prospettiva pastorale nuova………………. 53

APPENDICE…………………………………………………………………………..73
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………….101
SITOGRAFIA…………………………………………………………………….….105
ICONOGRAFIA……………………………………………………………….…….109
ANTOLOGIA…………………………………………...………………………...…110
INDICE……………………………………………………………………….………111

3
PREFAZIONE

Questo lavoro di tesi si innesta in un periodo difficile e complesso della nostra storia
contemporanea ferito dalla pandemia. Mentre mi accingevo a concludere questo
elaborato, mi sono accorta che la mia ricerca ha assunto forse un valore aggiunto, un
sapore nuovo e ancora più interessante rispetto alle finalità con cui era stata pensata. Ho
realizzato che l’argomento di cui mi sono interessata sembra fatto ad arte per portare una
certa serenità, un pizzico di dolcezza, quasi come un dolcificante, per la vita di tutti noi.
Parlare della ninna nanna, canticchiare una ninna nanna, riascoltare le melodie che fanno
parte dell’infanzia, momento in genere felice nel ricordo di molti, è sicuramente una fonte
rigenerante.
Questo tempo di pandemia ha segnato significativamente i ritmi delle giornate portando
tanti cambiamenti nella vita di tutti. Abbiamo assistito, sul piano mondiale, alle pesanti
conseguenze che questa emergenza sanitaria ha provocato sui sistemi sanitari, economici,
politici, sociali e religiosi. Ci siamo resi conto delle enormi difficoltà nel gestire situazioni
di calamità che colpiscono numeri consistenti della popolazione. Il turbamento è stato
molto intenso; la realtà della morte, così vera e ravvicinata, ha tolto il respiro: una specie
di apnea. Con il passare dei mesi abbiamo imparato a resistere a questa situazione o, per
usare una parola che è diventata un nuovo patrimonio culturale, abbiamo imparato la
“resilienza”. L’essere umano sembra adattarsi a tutto, prima o poi, ma forse non proprio
a tutto. Davanti ad una realtà schiacciante come quella della paura del contagio ad opera
di un virus che può anche condurre alla morte, l’uomo fa fatica ad accettare una sfida di
questa portata, si sente sconfitto, disarmato, impaurito.
La vita è diventata una strada in salita e, per molti, una salita molto ripida e al limite con
il precipizio. La paura di prendersi il virus ha piano piano trasformato le nostre abitudini,
i nostri comportamenti. Le espressioni degli occhi lasciano trapelare stati d’animo di
scoramento e gli sguardi, incorniciati dalle mascherine di varia foggia, tradiscono spesso
stanchezza e allarme.

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Due aspetti fondamentali per la nostra esistenza sono stati messi sotto inchiesta: la libertà
e la relazione.
La libertà di muoversi, di incontrarsi, di viaggiare; la libertà di andare a scuola,
all’università, in Chiesa; la libertà di entrare nei negozi, di visitare i musei, di prendere i
mezzi pubblici; la libertà di festeggiare dove e come si vuole; la libertà di assistere ad
un’opera teatrale, ad un concerto, alla proiezione di un film in una sala cinematografica;
la libertà di fare attività sportive, artistiche, musicali. La libertà di guardarsi in faccia, di
vedersi nel volto dell’altro, a viso scoperto, senza la schiavitù della mascherina. Questa
nostalgia del volto visibile dell’altro mi ha portato a considerare il secondo aspetto
fondamentale per l’esistenza umana: la relazione. Infatti, il volto dell’altro, anzi
l’”epifania del volto” dell’altro, tanto per prendere in prestito un’espressione cara ad
Emmanuel Levinas, la sua presenza che si impone davanti ai miei occhi pur non
conoscendolo personalmente, attesta l’innegabile esistenza di un altro come dato
oggettivo. L’esistenza umana è incontro tra un Io e un Tu ed è grazie ad un altro e agli
altri che io posso parlare di un noi e quindi di una relazione umana1. Essere con gli altri e
per gli altri, condividere la propria vita è la dinamica della relazione. La nostra esistenza
è rivolta agli altri, è legata agli altri ed è con gli altri che si realizza una comunione di
idee, di scopi, di sentimenti. Ora, questo sistema relazionale con le implicazioni
riguardanti le libertà considerate prima, risulta compromesso e fortemente sacrificato
dalle restrizioni e dalle procedure di contenimento imposte o raccomandate per ridurre la
diffusione del virus.
La necessità di contrastare e contenere questo fenomeno epidemico ha comportato una
trasformazione nei rapporti interpersonali, ha sacrificato il momento affettivo e di
vicinanza nella malattia, ha proibito alle persone ricoverate di avere accanto la
consolazione e l’assistenza delle persone famigliari, ha tenuto distanti gli affetti persino
nel momento della morte e dell’estremo saluto.
Molti hanno parlato di una opportunità davanti all’impossibilità di fare tutto come prima.
Si è voluta intravedere la riscoperta di piccole cose come un modo diverso di utilizzare il
tempo personale, nella valorizzazione di ciò che si ha, nell’affrontare le scelte e le
decisioni con nuove priorità. Tutti abbiamo dovuto imparare un nuovo modo di affrontare
le giornate, la vita, l’incontro con le persone, un nuovo linguaggio del corpo in grado di

1
Cfr. E. LEVINAS, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 1980, 64.

5
raggiungere l’altro attraverso la riscoperta di altre dinamiche che non siano solo quelle
fisiche.
Ma questa modalità alternativa di relazionarsi è riuscita a realizzare un pieno incontro con
il prossimo in tutte le situazioni? La mancanza di un linguaggio del corpo, che spesso
comunica proprio attraverso dei gesti concreti e fisici, è stata sostituita da qualcos’altro
in grado di soddisfare quella tipica relazione quotidiana fatta da strette di mano, da
abbracci, da una gestualità spontanea che accompagna le parole, da carezze e da “pacche
sulle spalle” che tanto incoraggiano nei momenti di sconforto?
Attraverso il corpo e le azioni corporali, l’uomo esprime molti significati e alcuni di questi
sono determinanti per una definizione olistica della persona umana nel suo insieme e per
la comunione con gli altri esseri umani verso i quali la nostra vita è orientata.
Il corpo è fondamentalmente dipendenza, è luogo di incontro con l’altro, è luogo e mezzo
di riconoscimento dell’altro2.
Il modo con il quale noi ci presentiamo agli altri, la nostra apparenza, manda dei messaggi
all’esterno; anche il modo in cui vestiamo il nostro corpo rivela chi vogliamo
rappresentare. Gli altri si fanno un’idea di noi per come ci presentiamo, per il linguaggio
che utilizziamo, per come gesticoliamo, ma anche per il linguaggio facciale, per il nostro
silenzio. Tutto parla di noi all’altro.
Nei primi anni dell’infanzia, alcuni gesti, alcune azioni corporali, sono fondamentali per
stabilire un contatto e una forma iniziale di comunicazione e di interazione tra il bambino
e l’adulto: le carezze, le coccole, gli abbracci, il respiro e il battito cardiaco. Questa fase
iniziale di contatto con il mondo esterno dimostra che il linguaggio può assumere diverse
forme e non è solo quello delle parole orali o scritte.
Penso si possa affermare tranquillamente che le espressioni o i diversi linguaggi della
nostra dimensione corporea sono insostituibili.
Di fronte alla sfida che il fenomeno epidemico ci ha obbligato ad affrontare, abbiamo
visto cadere tante certezze; ci siamo ritrovati fragili e bisognosi di tutto, anche delle cose
più elementari; anche se ci siamo chiusi nel nostro individualismo per necessità o per
paura, abbiamo dovuto riconoscere la nostra dipendenza dagli altri, la potenza della
solidarietà, la precarietà o l’inutilità delle cose materiali; abbiamo sentito il bisogno di
essere aiutati, confortati, coccolati.

2
J. GEVAERT, Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, ELLEDICI, Torino 2003, 68.

6
La mancanza dell’incontro con gli altri nella piena libertà, la lontananza dalle persone
care contagiate dal virus, la realtà di una morte non accompagnata e non celebrata, il
limite segnato dal distanziamento fisico consentito solo ad un metro di distanza gli uni
dagli altri, lo scambio della pace eliminato dalle funzioni liturgiche e tante altre
ristrettezze, hanno provocato stati di ansia, insonnia, malesseri generali.
Un aspetto piuttosto allarmante di questa situazione, palese di uno stato di angoscia e di
turbamento, lo si riscontra entrando nelle Farmacie. Bene in vista, collocati in genere
vicino alla cassa, si trovano i farmaci e i prodotti naturali per aiutare i bambini a dormire.
Questi prodotti sembrano essere diventati generi di prima necessità, di uso comune, per
gli adulti ma, cosa tristemente preoccupante, anche per i bambini. Questo dato non è la
risultanza di una semplice campagna pubblicitaria ma è l’evidenza di una necessità.
Nessuno si sente tranquillo, protetto, rassicurato. La condizione di sconforto che ci
avvolge ha enormi conseguenze sugli stati d’animo e provoca grandi disagi anche nella
fascia di età pediatrica.
In questo contesto epidemiologico, si rende ancora più evidente l’appello di una umanità,
manifestato in vari modi, alla ricerca della tenerezza e della dolcezza.
Per usare un’espressione che sa di scontato, tutti hanno bisogno di essere amati ma mai
come in questo tempo gli esseri umani, adulti e bambini, manifestano l’esasperato
bisogno di qualcosa che porti pace e tranquillità, che sia espressione di certezza e di
conforto, che sia molto di più di un medicinale o di una terapia per il corpo.
La tenerezza di cui tanto parla papa Francesco è diventato un elemento essenziale per
poter affrontare questa vita minata dall’incertezza, dalle paure, dalle contraddizioni, dalle
incoerenze, dai giudizi, dalle povertà economiche e umane di ogni genere.
Il Covid-19 ha fatto emergere le nostre mancanze e i nostri limiti. Ha evidenziato la
fortuna di avere un punto di riferimento nei legami famigliari e la necessità di ristabilire
un ordine nuovo di rapporti e di relazioni nel focolare domestico e nei luoghi dove si
concretizza la socialità, al lavoro, nella scuola, nelle parrocchie, nei luoghi di riferimento
per la vita sociale.
Il tema della ninna nanna non è un dilettantismo per curiosi. La mia tesi muove
dall’intenzione di abbracciare questa nostra umanità ferita con la tenerezza di una ninna
nanna, considerando ovviamente la diversità delle fasi caratterizzanti il ciclo di vita di

7
ogni persona, per aprirsi verso una prospettiva ambiziosa: c’è bisogno di inventare un
nuovo linguaggio per farsi ascoltare. Alla luce di questa pandemia, dobbiamo reinventare
dei linguaggi, delle modalità di comunicazione e anche di trasmissione della fede,
completamente diversi.
Punto di partenza di questo studio, è il rituale della Ninna Nanna come momento fondante
di aspetti affettivi e relazionali che trovano nel ritmo corporeo dato dal cullare, nel timbro
di voce, nel rituale calmo e puntuale, i presupposti per considerare il mondo esterno ai
genitori e alla propria casa come un luogo affidabile e ospitale, per spiegare come si possa
coniugare questo momento affettivo iniziale, nella sua valenza antropologica ed emotiva,
con alcuni aspetti che si ritrovano nella persona adulta che solo in quanto desiderata,
accolta, amata all'inizio del suo essere nel mondo è in grado di riconoscere questo senso
di fiducia e di affidabilità che ha vissuto "passivamente" già dal suo concepimento.
Approfondire l’evoluzione della persona, a partire da questa relazione primordiale, ha
come scopo di ulteriore riflessione, la ricerca di un legame con la dimensione religiosa
della persona. La cura, l'impegno, il modo, il tempo dedicato a ninnare una creatura,
contribuiscono a costruire dei segnali di fiducia, di riconoscenza, di promessa di bene.
Tappa conclusiva di questo percorso sulla ninna nanna è una prospettiva per una nuova
pastorale famigliare.
La mia attenzione si rivolge naturalmente al contesto famigliare in questo anno 2021-
2022 dedicato alla famiglia e all’approfondimento dell’Esortazione apostolica “Amoris
Laetitia” in attesa del X Incontro Mondiale delle Famiglie il 26 giugno 2022. La
valorizzazione della famiglia come Chiesa domestica e l’importanza dei legami tra
famiglie, saranno alla base per una nuova riflessione sulla preparazione al matrimonio,
sull’affettività dei giovani e sulla valorizzazione della santità degli sposi e delle famiglie
e su come renderle protagoniste della pastorale famigliare.
L’idea pretenziosa di questo mio lavoro di tesi è avanzare l’ipotesi di una proposta
nell’ambito della pastorale famigliare e della catechesi, volta a far riscoprire il calore del
momento domestico della ninna nanna, appartato e tenero, anche in sede di preparazione
ai Sacramenti del matrimonio e del battesimo. La tenerezza è una qualità sostenuta da
papa Francesco e ritengo che, mai come ora, ci sia bisogno di nuove proposte, meno
dogmatiche e più domestiche anche nella trasmissione della fede. Gesù aveva utilizzato
le parabole per far conoscere il Regno di Dio.

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Forse oggi, dove tutti pensano di sapere tutto e di non aver bisogno di niente, non basta
descrivere il Regno di Dio limitandosi ad una spiegazione dottrinale scontata ma ci vuole
una nuova attualizzazione, prendendo come spunto il vissuto semplice e profondo della
vita quotidiana. La ninna nanna potrebbe essere adottata come metodo e modalità della
narrazione. Come per il bambino, almeno fino al primo anno di vita, i movimenti e la
voce della madre, i gesti sensoriali, il prestare attenzione, il comunicare, il sentire, il fare
spazio, l’accogliere, il nutrire, il rispondere ai bisogni sono elementi fondanti del
prendersi cura e dell’educare, allo stesso modo, si può costruire l’incontro con la persona
adulta con la stessa cura e armonia di un momento domestico, tenero, accogliente.
La Ninna Nanna si può definire, allora, una filosofia e una teologia gestuale, vocale,
musicale, relazione umana primaria e metodo di educazione alla tenerezza per trasmettere
affidabilità, attendibilità, sicurezza. Per questa peculiarità ricca di tenerezza, la ninna
nanna può diventare un nuovo linguaggio per una nuova pastorale rivolta alla
preparazione dei sacramenti, in modo specifico per il matrimonio e per il battesimo. In
fin dei conti, sono poche le cose che toccano il cuore di ogni creatura, sono esperienze
basilari che appartengono all’essenza della natura umana da sempre: sentirsi amati,
amare, sentirsi accolti e desiderati, riconoscersi preziosi per qualcuno, trovare un senso
alla vita, essere orientati e incoraggiati lungo il cammino della vita sapendo che il meglio
deve ancora venire.
La presenza di una forma di ninna nanna nell’arco di vita della persona può tradursi nel
semplice ma sincero aprire il cuore all’ascolto e nell’accompagnare, a volte anche
silenziosamente ma con tenerezza, chi ha bisogno di conforto.
Le persone adulte hanno bisogno di qualcuno che canti loro una ninna nanna.
Si può concretizzare nel valorizzare il buono e il bello che c’è in ciascuna persona
incoraggiandola a scoprire quei germi di bontà che porta dentro come patrimonio genetico
e, da questo ritrovamento, aiutarla a costruire una storia segnata dall’amore. Certamente
c’è un amore umano minato dalla fragilità ma c’è anche la potenza dell’amore di Dio che
aspetta pazientemente l’uomo. Oserei dire che l’amore umano può abbracciare l’amore
divino anche attraverso una ninna nanna.

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La struttura di questa Tesi è proprio un percorso, dal grembo materno al momento ultimo
di questa esperienza terrena, quando il Padre ci accoglierà con il suo abbraccio
misericordioso, forse cantandoci una ninna nanna.
È un linguaggio che forse appare esageratamente puerile per argomentare filosoficamente
e teologicamente ma per incontrare e ascoltare un’umanità stanca e sfiduciata può
rivelarsi metodologicamente utile per far breccia nei cuori di chi vuol farsi piccolo in
questo mondo per accogliere la carezza di Dio e lasciarsi cullare da una ninna nanna.

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CAPITOLO I

LA NINNA NANNA:
MOMENTO EDUCATIVO PRIVILEGIATO
E RITUALE COSTITUTIVO DELLA RELAZIONE

Introduzione
Momento iniziale di questo capitolo è la definizione del rituale della Ninna Nanna come
momento fondante, per il “nuovo arrivato”, di quegli aspetti affettivi e relazionali che
trovano nel ritmo corporeo dato dal cullare, in un particolare timbro di voce, nel rituale
calmo e puntuale, i presupposti per sentirsi immessi in un mondo esterno alla propria casa
riconoscendolo affidabile e ospitale.
Dopo un primo paragrafo che presenta le definizioni, le origini e le caratteristiche di
questa tradizione popolare della ninna nanna, il capitolo offre una spiegazione di come si
possa coniugare il momento affettivo iniziale, nella sua valenza antropologica ed emotiva,
con alcuni aspetti che si ritrovano nella persona adulta che solo in quanto desiderata,
accolta, amata all'inizio del suo essere nel mondo è in grado di riconoscere questo senso
di fiducia e di affidabilità che ha vissuto "passivamente" già dal suo concepimento. La
cura, l'impegno, il modo, il tempo dedicato a ninnare una creatura possono contribuire a
seminare dei segnali di fiducia, di riconoscenza, di serenità verso l'esterno.
La vita è l'esperienza umana fondamentale. Nella nozione di “vita” è contenuta la
promessa del bene. Poiché il soggetto umano è costituito nella relazione, la coscienza si
riceve originariamente da altro e in particolare da una promessa di bene. Questo definisce
la passività della coscienza e precede l’agire3.
Da un buon incontro iniziale con l’altro, la madre in primis, si garantisce la consistenza
dell’Io del bambino che, sviluppandosi in tutte le dimensioni dell’essere umano, prende
fiducia verso il mondo e solo con questa identità personale formata è posto in grado di

3
M. CHIODI - M. REICHLIN, Morale della vita. Bioetica in prospettiva filosofica e teologica, Queriniana,
Brescia 2017, 214.

11
avvertire la realtà esterna al suo corpo, al corpo della madre e alla casa che lo protegge,
come affidabile, domestica, capace di provvedere alle sue necessità e alle sue aspettative.
Per converso, un disagio iniziale, una carenza nelle attenzioni iniziali, possono causare
dei traumi psicologici anche pesanti, concretizzandosi anche in gravi mutilazioni affettive
per l’Io, che adotterà verosimilmente atteggiamenti asociali, antisociali o addirittura di
devianza e di criminalità.
Quando si verifica una coincidenza positiva tra la primissima percezione della realtà e ciò
che è al di fuori nel mondo, cioè quando ciò che viene promesso dal legame materno e
dalla realtà domestica, trova un riscontro di affidabilità anche al di fuori di essi, le cose,
gli oggetti, le persone sconosciute, diventano affidabili come tutto quello che si vive
all’interno della propria casa e non si percepisce ciò che si trova all’esterno come ostile.
Non c’è paura, non c’è diffidenza o stati di difensiva.
Quello che si riceve passivamente nel grembo materno e quello che si vive subito nei
primi mesi di vita sono esperienze determinanti per la formazione della persona. Lo
sviluppo emozionale e fisico, le dinamiche relazionali, affettive e sociali, le percezioni,
nutrono e costruiscono l’identità dell’individuo e lo mettono in condizione di avere
un’identità autonoma in grado di rapportarsi con il mondo esterno con una fiduciosa
predisposizione.
La formazione e l’educazione di una persona sono, in un certo senso, il riflesso di quel
primo legame simbiotico avuto con la madre, ascoltando, vedendo, respirando quello che
accade nell’ambiente domestico. A partire da questa relazione primaria si gettano le basi
per stabilire i legami futuri, nella vita adulta. La dimensione interpersonale e sociale del
nostro essere nel mondo rappresentano un dato oggettivo. L’appartenenza al genere
umano è la nostra realtà nel momento in cui veniamo al mondo. Non si vive da soli, non
si vive per sé stessi. La vita è un’esistenza in evoluzione con gli altri nel mondo ed è
attraverso gli altri che ci definiamo come esseri viventi e come persone. La nostra
esistenza è coesistenza che si realizza nella relazione e nell’interazione, in un percorso
vitale caratterizzato dall’amore ricevuto e dall’amore donato.

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1.1 Definizioni, significato e caratteristiche della ninna nanna
Quando parliamo, utilizziamo i vocaboli in modo automatico e passivo dandone per
scontato il significato ma ignorandone il loro etimo. Per conoscere quello che costituisce
la realtà della ninna nanna, ad esempio, sono andata alla ricerca di tutte le ninne nanne
possibili, italiane e straniere, dedicando tempo al loro ascolto, leggendone i testi,
immaginandomi la scena di una madre concentrata a dare il meglio di sé mentre canta una
delle tante melodie alla sua portata per incoraggiare il suo piccolo ad addormentarsi. Dopo
aver riflettuto sul fatto che molti dei motivi musicali che si cantano ancora oggi, si
tramandano di generazione in generazione, ho approfondito le definizioni e ho fatto una
specie di viaggio nella storia dell’umanità, riscontrando come certe realtà sono parte
dell’essere umano, della propria comunità di appartenenza e sono custodite e inscritte
veramente nel patrimonio comune e universale dell’umana esistenza.
Di primo acchito, possiamo definire la ninna nanna come una melodia canticchiata vicino
alla culla o al lettino di un bimbo oppure tra le braccia della sua mamma per calmare il
piccolo dal pianto, per rasserenarlo e farlo addormentare. Dal Sito Web Wikipedia si
legge che, nel linguaggio infantile, sia “ninna” che “nanna” significano “sonno”. Le
parole ninna e nanna mostrano una evidente similitudine con il latino “nenia”, cioè
cantilena, canto funebre. Per indicare il canto rivolto ai bambini in culla i Latini usavano
“lallum” (da cui l’italiano “lallare” che indica la prima forma del linguaggio infantile). In
arabo “nanni” (tunisino) e “ninne” (egiziano) significano “dormire”. C’è inoltre un
termine indiano “navna” che indica la chiusura degli occhi e un altro, sempre indiano,
“nisna” che significa altalenare. Si potrebbero fare quindi diverse ipotesi etimologiche.
Le ninne-nanne rappresentano uno dei testi popolari più arcaici e in esse è evidente un
elemento: il rituale della ninna nanna contiene una speciale dimensione, quasi magica, in
quanto garantisce il risultato di fare addormentare il bambino. Il ritmo molto uniforme e
la ripetizione delle parole producono quasi un effetto ipnotico che ricorda l’antico rito
dell’incantamentum.
Nella ninna nanna sono contenuti tanti elementi: fiabeschi, folkloristici, grotteschi,
mostruosi, religiosi, fantastici, principeschi.

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Nel Vocabolario della Lingua Italiana Devoto-Oli ho trovato le seguenti definizioni.
“Ninna”: il sonno nel linguaggio infantile; fare la ninna, dormire; anche la nenia per far
prendere sonno ai bambini. Come termine arcaico, ninna significa anche bambina,
mimma, bimba. “Ninnananna”: cantilena dalla cadenza monotona con la quale si cullano
i bambini; breve componimento musicale su motivi di nenie infantili popolari, di
movimento moderato e ritmo pari. “Ninnare”: cullare con l’accompagnamento di una
nenia atta a conciliare il sonno ai bambini.
Nella lingua francese si traduce “berceuse”, “lullabay” in inglese, “cancion de cuna” in
spagnolo, “Wiegenlied” in tedesco.
Queste definizioni ci introducono alla realtà della ninna nanna: dormire, sonno, bambini,
cadenza monotona, cullare, accompagnamento, movimento moderato, ripetitività, ritmo
pari.
Il rituale della ninna nanna è sempre stato presente nella civiltà umana e risale
probabilmente a più di un milione e mezzo di anni fa. Infatti, come viene sostenuto dalla
Professoressa Dean Falk, neuroantropologo, accademico americano specializzato
nell'evoluzione del cervello e della cognizione nei primati superiori, risulta che le madri
preistoriche emettevano dei vocalizzi quando erano costrette a mettere a terra i loro
neonati per occuparsi delle faccende quotidiane, contrariamente alle scimmie
antropomorfe, i cui piccoli potevano restare aggrappati al corpo della madre.
Probabilmente non era stata ancora pensata una soluzione come quella del marsupio e le
madri preistoriche tranquillizzavano il pianto del piccolo, momentaneamente separato dal
proprio corpo, con la loro voce. Secondo l’antropologa americana da queste prime
emissioni vocali e musicali sarebbe nato il linguaggio. Oggi i linguisti usano il termine
«maternese», per indicare questo momento iniziale fondamentale per l’apprendimento
delle abilità linguistiche e per la maturazione emotiva e sociale dell’uomo4.
Anche grazie agli studi condotti dalla Professoressa Gianfranca Ranisio, docente di
Antropologia Culturale presso l’Università di Napoli Federico II, apprendiamo
che le ninne nanne hanno origini antiche. Teocrito, IV-III sec. a.C., uno dei maggiori poeti
dell'età ellenistica, ideatore dell’idillio bucolico o poesia pastorale, in uno dei suoi Idilli,
il XXIV, riporta che Alcmena, la madre di Eracle (Ercole), cantava una ninna nanna ai

4
Cfr. D. FALK, Lingua madre. Cure materne e origini del linguaggio, trad. it. P. A. Dossena, Bollati
Boringhieri, Torino 2011.

14
suoi figli Eracle, mentre uccideva i mostruosi serpenti inviati da Era per divorarlo, e
Ificle5.
Gli eroi omerici spesso si rivolgevano a Hypnos, divinità onirica invocata (Iliade, Canto
XVI, versi 681-683) perché prendessero velocemente sonno riprendendosi dalle fatiche
delle battaglie in vista di nuove. Fu sempre Hypnos a dare ad Endimione, bellissimo
giovane amato da ninfe e dee, la facoltà di dormire a occhi aperti per difendersi dai molti
nemici.
Un altro contributo che attesta le antiche origini della ninna nanna ci viene dato dal
ritrovamento di una tavoletta sumerica, trovata a Nippur, a 160 chilometri
dall’odierna Baghdad (Iraq), risalente a un periodo attorno al 500 a. C. Sembra trattarsi
di uno degli esempi più antichi di ninna nanna, cantata verosimilmente da una balia. La
tavoletta è stata recuperata, insieme a un lotto di altri scritti in cuneiforme, presso
il tempio dedicato a Enlil. L’articolo, dal quale ho attinto questa notizia, spiega inoltre
come, oltre alle ninne nanne, per un corretto riposo dei genitori, spesso si compivano riti
apotropaici, cioè riti che allontanassero le negatività, tramite pratiche curiose: ad esempio
venivano spalmati gli occhi del bambino, che stentava ad addormentarsi, con polvere
raccolta in strada e impastata con acqua pura. Sembra inoltre che dalla ninna nanna di
Nippur si possano conoscere anche certe abitudini famigliari di quell’antica civiltà: si
prega affinché il piccolo, per cui si evoca il sonno, prima di addormentarsi non scoppi in
un pianto dirotto sia per rispetto del padre “che ne sarebbe disturbato” nella sua funzione
di capofamiglia, sia per la madre “a cui farebbe sgorgare a sua volta il pianto”, perché
spaventata dalle lamentele del piccolo, che allontanerebbe il Kusarikku, uno spirito del
focolare simpatico e protettivo, coperto di pelo e dalla forma di bisonte, che di fronte al
pianto dei bambini se ne andava e lasciava spazio alle forze maligne. Sempre dalla
tavoletta si viene a sapere che il bambino veniva minacciato evocando Lamashtu,
presenza inquietante, metà animale (uccello e asino) e metà umano, che poteva generare
cuccioli di maiale allattandoli con latte avvelenato: uno spirito, molto pericoloso, in grado
di rapire i bambini che tardavano ad addormentarsi6.

5
G. RANISIO, Immaginario e rappresentazioni simboliche nelle Ninne Nanne, “Nuovo Meridionalismo
Studi” Anno II – n.3/Ottobre 2016, 247.
6
A. MALNATI, Scoperta una ninna nanna di 2500 anni fa, in: https://www.quotidiano.net/cultura/stele-
degli-avvoltoi-1.4578670, Roma 7 maggio 2019 (ultima visita 5.02.2021).

15
La necessità di accompagnare il piccolo con il canto di una ninna nanna ha quindi origini
molto lontane. Tuttavia, indipendentemente dalle epoche, si ripropone sempre la necessità
che hanno le madri di tranquillizzare i propri figli dalla paura.
Un elemento intrinseco nella ninna nanna è proprio allontanare dal bambino la paura
dovuta al buio della notte che racchiude un significato più profondo quale è quello della
morte. I bambini temono che chiudere gli occhi significhi perdere il controllo delle
proprie cose, temono di non ritrovare la mamma e le persone che costituiscono la
sicurezza affettiva e la notte segna questo passaggio fra ciò che è certo e visibile e l’ignoto
del domani, anche in modo inconsapevole. La paura fa parte delle nostre emozioni.
Alcune paure sono inscritte in noi e altre paure possono essere la conseguenza di traumi.
La paura è un’emozione primaria che ci portiamo dentro alle volte senza riuscire a trovare
una vera causa che la origini.
Le paure sono proporzionate alla crescita di un individuo. All’inizio della sua esistenza,
il bambino non distingue sé stesso dalla madre: la mamma esiste solamente nel momento
in cui lo allatta e fornisce il calore, e si concretizza nella sensazione che il suo corpo riesce
a percepire. Come spiega il Professore Don Ezio Risatti, psicologo-psicoterapeuta e
Preside dell’Istituto Universitario Salesiano di Torino Rebaudengo, il bambino,
crescendo, sviluppa la paura di tutto ciò che non è familiare, la paura dell’isolamento, la
paura di stare con estranei. Intorno ai tre e ai sei mesi, il bambino riconosce ancora con
difficoltà i volti più familiari della mamma, del papà, e magari dei nonni e con paura o
semplicemente senza grande confidenza si abitua ad altre persone. Quando riconosce
nella madre la figura di riferimento rassicurante, la figura verso la quale si compie
l’attaccamento, si sente al sicuro, e quindi la paura che può subentrare in questa fase è
quella dell’abbandono: la paura che la mamma non possa più tornare a fornirgli sicurezza,
protezione, nutrizione. Aumentando la socializzazione, alcune paure vanno a sfumare ed
altre si aggiungono, come quella che si presenta dopo i due anni: la paura dell’ignoto.
Quando i bambini fanno tanti capricci per andare all’asilo significa che manifestano la
paura di un contesto in cui non c’è mamma e papà, non ci sono volti familiari: c’è una
situazione ignota che li preoccupa.
Tra i cinque e gli otto anni scatta la paura del buio, una paura ancestrale. Andare a
dormire, spegnere la luce e rimanere al buio e nel silenzio può generare uno stato di ansia
perché tutto diventa più confuso e anche la propria stanza appare estranea e minacciosa.

16
Avanzando con l’età si palesano altre paure: quella di non essere accettato nel gruppo dei
pari, la paura della società7. Nella realtà attuale, gli adolescenti e ancor più i giovani
esternano l’ansia per il futuro, l’incertezza per il domani perché la situazione economica
è incerta e confusa e il peso che sta portando con sé la realtà epidemiologica aggrava
ulteriormente la sensazione di precarietà, di incertezza e di disorientamento.
Nel corso della storia, nelle fasi evolutive dell’essere umano, fin dai primi giorni di vita,
davanti alle prime paure, la ninna nanna tranquillizza il bambino accompagnandolo ad
abbandonarsi al sonno.
In sintesi, sono tante le caratteristiche della ninna nanna: cantilene, componimenti brevi
sostenuti da un ritmo monotono e cadenzato, privi di particolare significato e di nessi
logici, eseguiti con toni alti e bassi, a volte sospirati, regolarità delle parole, semplicità
della struttura musicale. La ripetizione di questo rituale garantisce al bambino che
addormentarsi non porta verso l’ignoto. Dopo una notte il bambino può stare sicuro di
ritrovare i genitori, le proprie cose, i riferimenti domestici e questo passaggio notturno
non si traduce nel chiudere con questa vita per andare verso la morte.
Nell’esperienza del cullare sono implicite alcune tematiche basilari per un sano sviluppo
del bambino e della relazione affettiva circolare madre-bambino-madre. Esse sono: il
contatto, il contenimento, la fiducia, l'appoggio, il dondolare, il lamento8.
La storia di questa “coccola musicale” mostra che questa circolarità nella relazione
madre-figlio si costruisce sulle emozioni che si esprimono nelle reazioni emotive come i
sorrisi, i movimenti degli arti e le interazioni vocali. Il canto della ninna nanna, nella
famiglia patriarcale, veniva eseguito dalle donne della famiglia e non solo dalla mamma.
Oggi, a seguito di tante trasformazioni della società e di una nuova impostazione nel modo
di rapportarsi, c’è una partecipazione maggiore da parte dei padri alla vita e alla cura dei
figli e anche per il rituale dell’addormentamento si assiste ad un coinvolgimento più
evidente.
Le partiture musicali sono tantissime ma si può dire che c’è una bellezza aggiunta che
impreziosisce la pratica di questo rituale e consiste nel fatto che, di generazione in

7
E. RISATTI, Chi ha paura del lupo cattivo? Le paure dei bambini e degli adulti per vincerle bisogna
conoscerle, Relazione del Prof. Don Ezio Risatti psicoterapeuta e preside di IusTo Rebaudengo e del Dottor
Michele Abbruscato, in: https://www.chicercatrovaonline.it/phocadownloadpap/Risatti_Conferenze/2017-
12-06%20Risatti%20paure.pdf, 6 dicembre 2017 (ultima visita 5.02.2021).
8
G. PERSICO, La Ninna Nanna. Dall’abbraccio materno alla psicofisiologia della relazione umana,
Edizioni Universitarie Romane, Roma 2002, 49.

17
generazione, di mamma in mamma, c’è sempre una possibilità creativa che si impone sia
al movimento musicale sia ai testi.
Se poi, i fantasiosi tentativi di regolarizzare l’orologio biologico del proprio bambino,
dalla ninna nanna cantata tenendolo tra le braccia o cullandolo nel lettino alla regolarità
di orari nell’andare a dormire presto subito dopo la sequenza di bagnetto, allattamento o
biberon della buonanotte, non fossero funzionali a far cadere nel sonno, c’è sempre il
rituale giapponese suggerito da Etsuko Shimizu, fisioterapista e assistente all'infanzia a
Yokohama, in Giappone, specializzata in risvegli notturni, che ha messo a punto il suo
infallibile metodo per la nanna. La Shimuzu suggerisce un “doudou”, un pupazzetto
formato da una copertina con una testa al centro o ad un’estremità, nella forma di un
peluche morbido, che rassicuri il bambino nella culla come un sostituto della mamma.
Nel libro “Sogni d’oro per bambini e mamme”, inoltre, l’autrice consiglia di prendersi
in braccio il piccolo e di girare per casa salutando i vari oggetti disseminati nella casa 9.

1.2 Il grembo materno: la prima casa


Nei vari stadi di vita, l’essere umano riceve, ascolta, sente, apprende, prende
consapevolezza di ciò che lo circonda, della vita che si compie ogni giorno, dell’amore e
dei gesti con i quali questo si concretizza, dell’amore che riceve e dell’amore che può
donare.
John Bowlby, ricercatore, docente, psicoanalista e psichiatra infantile britannico, elaborò
la teoria dell’attaccamento incentrata sul legame del bambino con la madre, criticando la
teoria principale secondo cui l'attaccamento si baserebbe unicamente sulla funzione
nutrizionale del ruolo materno. Egli scollegò il concetto di attaccamento da quelli di cibo
e di sessualità e valorizzò come “attaccamento” quel comportamento che il bambino
manifesta verso una presenza che garantisce a lui una prossimità e una continuità
considerate tali da aiutarlo ad affrontare il mondo in modo adeguato. La funzione
biologico-psicologica insieme, garantite da questo specifico legame, forniscono
protezione e sono un riferimento in tutto l'arco della vita del soggetto10.

9
E. SHIMUZU, Il metodo giapponese per la nanna perfetta: 5 passi per non passare le notti in bianco,
in:https://www.huffingtonpost.it/entry/il-metodo-giapponese-per-la-nanna-perfetta-5-passi-per-non-
passare-le-notti-in-bianco_it_5d22f375e4b0f31256867916, 8 luglio 2019 (ultima visita 5.02.2021).
10
J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, trad. it. S. Viviani e C. Tozzi, Raffaello Cortina
Editore, Milano 1982, 133-143.

18
Donald Woods Winnicott, uno dei più autorevoli esponenti della psicoanalisi e della
psichiatria infantile, descrisse il percorso che il neonato deve affrontare nel progressivo
incontro con la realtà esterna fino a realizzare questo speciale adattamento in modo
autonomo e indipendente. L’autore britannico riconosce alla figura materna il compito di
offrire gli strumenti necessari per supportare questa naturale progressione all'autonomia.
Nel grembo materno e subito dopo la nascita, il bambino non ha consapevolezza dei
confini che separano il dentro e il fuori, è un tutt’uno con la madre e lei si adatta ai bisogni
del neonato e ne supporta il senso di onnipotenza. Nel corso del tempo, piano piano,
questa fusione cessa per permettere al bambino di comprendere che esiste un mondo
esterno che non può essere comandato. Winnicott parla di “oggetto transizionale”, per
evidenziare quegli oggetti che accompagnano il bambino nel distacco dalla
madre offrendo un'alternativa intermedia tra la madre e la totale assenza di lei. Questa
acquisizione di autonomia dalla madre, questo distacco, è un passaggio di crescita
importante e delicato per il bambino ma anche per i genitori e per realizzarlo occorre la
calma e il saper cogliere tempi e modi giusti per affrontare questo percorso in tutta
serenità. Lo sguardo dei genitori, la sensibilità e la conoscenza del proprio figlio sono gli
strumenti migliori per aiutare il bambino a distaccarsi con naturalezza dal rapporto
simbiotico con la madre. Winnicott asserisce che questo distacco del bambino per
diventare una persona, è garantito solo grazie ad una madre “normalmente devota”. Tra
madre e figlio c’è una comunicazione speciale che dipende dalle inflessioni della voce,
dal contenimento, dalla manipolazione, dal cullare, dal respiro, dal battito cardiaco da una
fusione di intimità che trasmettono attendibilità e amore. L’Io della madre facilita
l’organizzazione dell’Io del bambino. Come dice l’autore, alla fine, “il bambino diventa
capace di affermare la sua individualità e anche di provare un sentimento di identità”
(identificazione primaria)11.
Un contributo particolarmente interessante è quello che ho tratto dalla lettura di un
articolo della psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale didatta in formazione
PTSTA-P dell’EATA (European Association of Transactional Analysis), Dottoressa
Cinzia Chiesa che lavora con i bambini e gli adolescenti e collabora con il Centro di
Psicologia e Analisi Transazionale di Milano e con la cooperativa Terrenuove. Il titolo

11
D.W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, trad. it. M.L. Mascagni e R. Gaddini, Raffaello Cortina
Editore, Milano 1987, 2-9.

19
del suo Articolo ha attirato la mia attenzione: “Dipende da come mi abbracci: prospettive
teoriche sulla vita di un bambino e della sua famiglia”.
Lei si è interrogata sugli stili di accudimento, ovvero sulla funzione di “maternage”, in
relazione ai bisogni che il neonato esprime. Il pianto nel neonato, e nel bambino in genere,
esprime, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, la paura.
In particolare, nel neonato si tratta di “angoscia da perdita di contatto corporeo”:
“Il bambino, immediatamente dopo la nascita, non essendo in grado di riconoscere i confini tra il
proprio corpo e quello della madre, piange perché prova paura ed esprime in questo modo il senso
di pericolo che sta vivendo per aver perso la protezione e il contatto che aveva all’interno del
grembo materno. […]
Il bambino appena nato viene esposto a molteplici stimoli estranei, sconosciuti e provenienti
dall’ambiente esterno: stimoli acustici e visivi, cambiamenti di temperatura, senso di fame, dolore
fisico. I comportamenti innati, biologicamente determinati che gli permettono di placare il suo
pianto e di ripristinare uno stato di benessere nelle prime ore di vita sono due: recuperare il contatto
corporeo con la madre e insieme ricercare il seno, e ottenere attraverso la suzione, un conseguente
appagamento al senso di fame… Alla luce di queste considerazioni, il pianto che accompagna la
nascita può essere considerato sano, fisiologico e funzionale dal punto di vista biologico, in quanto
al servizio dell’istinto di sopravvivenza. Potremmo dire in altri termini, che il neonato appare
immediatamente competente, capace di utilizzare questa forma di proto-comunicazione per
chiamare a sé la madre e garantirsi, attraverso la relazione con lei, ciò di cui ha bisogno per
sopravvivere”12.

La Dottoressa Chiesa, per conoscenza professionale e per esperienza personale diretta,


considera il neonato come in grado di comunicare ciò di cui ha bisogno e di utilizzare il
corpo e il pianto per esprimerlo e il “caregiver” come capace di accogliere tali segnali e
di attivare un processo di ricerca per potervi rispondere. La sua testimonianza di vita in
quanto madre evidenzia come questo ambito relazionale che coinvolge il suo rapporto
con i figli e anche il suo rapporto con il marito, sia in realtà uno spazio prezioso di
creatività e di apprendimento continuo.
Il libro del Prof. Giovanni Cesare Pagazzi “Sentirsi a casa” conferma ed esplicita questo
percorso domestico dalla prima casa, nel grembo materno, alla casa dove la famiglia abita
come un’avventura umana fatta di tante accortezze, scrupolosamente segnata dalle
attenzioni materne, base sicura essenziale per la formazione dell’identità e dell’autonomia
dell’individuo.
L’identità si viene formando nel luogo in cui si abita: nel grembo della madre e
nell’habitat in muratura. Il passaggio tra questi due luoghi, se realizzato con
amorevolezza, rende affidabile la madre al figlio e rende affidabile la realtà esterna. Con

12
C. CHIESA, Dipende da come mi abbracci: prospettive teoriche sulla vita di un bambino e della sua
famiglia, in «Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane», 58, 2013, 45-72.

20
le giuste attenzioni e la guida da parte dei genitori, il bambino esplora piano piano gli
spazi e le cose nella casa che vengono riconosciuti come sicuri pur essendo esterni al
proprio corpo e al corpo della madre. Lo spazio domestico è sicuro come la mamma e
questa percezione buona è ancora più facilitata se c’è continuità nei posti, nella
sistemazione degli oggetti. Il luogo dove si abita, se presentato e ricevuto come habitat
sicuro, contribuisce alla costruzione dell’habitat interno del bambino e alla formazione
della sua identità. In questo luogo di accoglienza iniziale è contenuta una promessa di
sicurezza, di bellezza, di bene. Questa continuità tra interno ed esterno consente di
ritrovare una continuità del proprio sé nelle diverse situazioni della vita13.
L’abbraccio, il respiro, il silenzio sereno che viene trasmesso nel contatto fisico madre-
figlio, il gioco, il dondolio calmo e spontaneamente ritmato del cullare, lo sguardo, la
naturalezza con cui la madre risponde alle esigenze vitali del nuovo arrivato, sono solo
alcuni degli elementi che confermano l’importanza di un’intimità fondamentale per la
formazione dell’Io del bambino e lo rassicurano nel passaggio dal proprio ambiente
facilitante, dalla sicurezze apprese nella prima casa, all’ambiente reale esterno
riconoscendolo sicuro e affidabile.

1.3 Vita quotidiana e rituale della Ninna Nanna


La ninna nanna è un momento privilegiato di comunicazione tra madre e figlio ma anche
tempo dedicato al rilassamento del bambino e della madre e deve essere rispettato.
La ripetizione della melodia accompagnata dal movimento diventa una specie di
abitudine per il bambino, una certa promessa di bene attesa e quasi pretesa. Questo rituale
si compie nella quotidianità del focolare domestico.
Cosa intendiamo con il termine quotidiano? Si vive del quotidiano e nel quotidiano senza
pensarci troppo. Consultando il “Dizionario di sociologia e Antropologia culturale” ho
selezionato alcuni aspetti che caratterizzano il nostro essere al mondo e che offrono un
contributo interessante al tempo dedicato alla ninna nanna nel vissuto famigliare
quotidiano. La vita quotidiana è innanzitutto l’organizzazione, giorno per giorno, della
vita individuale degli uomini, la ripetizione di azioni vitali. Il quotidiano è il luogo dove
si formano e si interiorizzano quei saper individuali che ci permettono di comprendere la

13
Cfr. G.C. PAGAZZI, Sentirsi a casa. Abitare il mondo da figli, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna
2011.

21
realtà che ci circonda come evidente14. Si parla della routine del quotidiano, cioè della
ripetizione irriflessa, da parte del soggetto umano, di azioni particolari ed è grazie a questa
ripetizione che si radica il sapere quotidiano attraverso le interazioni avvenute con altri
soggetti umani. Queste interazioni sono organizzate secondo una “messa in scena” reale
o fittizia, dove sono presenti un attore, un pubblico e una scena. Questi tre elementi
definiscono una certa situazione reale. La percezione e la definizione della realtà sono il
risultato di una messa in scena psichicamente interiorizzata e routinizzata15.
Certi modi di sentire e di giustificare la ripetizione di alcune azioni sono conseguenza
della tradizione e anche della consuetudine. La gamma delle tradizioni è assai vasta e
complessa in quanto investe l'agire umano nella sua totalità, dai comportamenti quotidiani
alle mode letterarie e agli stili artistici, dalle consuetudini religiose alle correnti
filosofiche. A volte si tratta anche di tradizioni formatesi all'interno dei processi culturali
elaborati sistematicamente da singole personalità e diffuse attraverso gli strumenti
istituzionali dell’educazione come la scuola, la chiesa, la stampa, eccetera. Si parla anche
di tradizioni inconsce, affidate per lo più alla trasmissione orale e diffuse soprattutto tra i
ceti subalterni, e di tradizioni religiose16.
La ninna nanna, strutturata dalla melodia del canto ritmico e dal dondolio delle braccia
materne o della culla ai movimenti scomposti e senza direzione del bambino, impone una
direzione ed una scelta placandone così l’irrequietezza. Essa diventa per il bambino un
punto di riferimento volto a sedare le sue angosce, gli spaesamenti, le inquietudini. Ma,
oltre ad essere uno strumento di interiorizzazione e apprendimento dei processi
relazionali, è anche uno spazio di comunicazione intergenerazionale che veicola modelli,
stereotipi, attese, auspici e destini di genere. I canti della culla sono un campo privilegiato
di indagine non solo per la conoscenza della relazione madre-figlio, ma anche
dell’orizzonte di senso della vita femminile17.
Le ninne nanne, come i canti popolari, rappresentano beni culturali immateriali e
costituiscono anche uno spazio di espressività femminile. Infatti, il canto della ninna

14
A. BONDOLFI, La vita quotidiana, in: Dizionario di sociologia e antropologia culturale, diretto da S.
Acquaviva a cura di E. Pace, Cittadella Editrice, Assisi 1984, 617-618.
15
A. BONDOLFI, cit., 619.
16
C. PRANDI, Tradizione, in: Dizionario di sociologia e antropologia culturale, diretto da S. Acquaviva a
cura di E. Pace, Cittadella Editrice, Assisi 1984, 604.
17
Cfr. F. BORRUSO, Auspici, attese e prefigurazione di destini nelle ninne nanne della tradizione popolare
siciliana, in: http://hdl.handle.net/11590/153389, 2006 (ultima visita 5.02.2021).

22
nanna assume una certa ambivalenza: può essere un rilevatore di gioia ma anche di rabbia
e protesta; rivela uno spazio dove liberarsi dalle ansie e paure e dove esprimere i propri
stati d’animo di fronte alle proprie condizioni di vita.
In particolare, le parole e il movimento musicale di una ninna nanna fungono da specchio
dello stato d’animo della donna che canta e denunciano le condizioni di vita, specialmente
in alcuni contesti sociali e regionali, dando sfogo alle proprie frustrazioni. Gli studiosi
delle ninne nanne italiane hanno, ad esempio, osservato una certa differenza tra le ninne
nanne originarie dell’Italia del Nord e quelle dell’Italia del Sud, espressione di allegria e
di spensieratezza le prime e di dolore e fatica le seconde18.
La voce materna introduce il bambino nella cultura di appartenenza infondendogli il senso
del ritmo, ma non si tratta solo di un ritmo individuale, perché è il ritmo proprio del
contesto culturale nel quale il bambino viene inserito. La scelta dei temi contenuti nella
ninna nanna sono di tanti generi, dalle invocazioni al sonno, a quelle augurali, religiose o
contenenti elementi della quotidianità19.
Ritengo di notevole interesse, ai fini della comprensione dei significati che il canto della
ninna nanna regala al vissuto quotidiano, riportare quasi interamente il contributo
scientifico che la Professoressa Barbara De Angelis, Professore associato presso il
Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, ha
esposto in una sua pubblicazione del 2006, evidenziando che già dai primi mesi dal
concepimento il feto sviluppa l’apparato uditivo e che, a differenza dell’apparato visivo,
nel neonato l’udito è molto sviluppato e gli consente di percepire i suoni, riconoscere la
voce della mamma, gli fornisce la possibilità di relazionarsi con il mondo, rendendolo
predisposto all’ascolto della musica e del linguaggio.
“Il bambino percepisce somiglianze di suoni e strutture sonore e con il progredire dello sviluppo
la sua sensibilità uditiva gli permette di individuare un’ampia gamma di forme musicali e di
percepire il ritmo, solo dopo verrà il linguaggio come grammatica e semantica. Pertanto, la
relazione primaria con la madre avviene secondo regole musicali, cadenze di suoni e movimenti,
che si conformano a quello che è il patrimonio etnomusicale della cultura di appartenenza. Il
bambino si trova di fronte a un determinato tipo di forme musicali, proprie di una cultura e educa
il suo orecchio a quelle forme. La ninna nanna ha quindi un suo spazio fondamentale nel processo
di inculturazione con la sua musicalità, con le tonalità e con l’iterazione dei suoni.
La voce umana è un importante strumento di comunicazione caratterizzato da alcune qualità
naturali: il tono, il timbro e l'altezza. Gli esseri umani fin dalla nascita sono sensibili alla
modificazione di queste particolari qualità al punto che la variazione del tono usato per parlare con

18
G. PERSICO, La Ninna Nanna. Dall’abbraccio materno alla psicofisiologia della relazione umana,
Edizioni Universitarie Romane, Roma 2002, 29-38.
19
G. RANISIO, Immaginario e rappresentazioni simboliche nelle Ninne Nanne, “Nuovo Meridionalismo
Studi” Anno II – n.3/ottobre 2016, 246-257.

23
i bambini molto piccoli può trasformare lo stato d’animo e provocare benessere, eccitazione,
risveglio dell'attenzione, rilassamento. Come fenomeno naturale di tipo bio-acustico, la voce
coinvolge la mente, le emozioni, il corpo. Come mezzo di trasmissione della parola, è il canale
comunicativo privilegiato del linguaggio orale. Questo non significa che soltanto l'udito sia
coinvolto nell'interazione parlata: la voce è infatti strettamente legata allo stare insieme, alla
presenza corporea, alla mimica facciale, al movimento. La comunicazione orale ha bisogno di una
profonda interazione tra il parlante e l'ascoltatore, perché tendenzialmente è una comunicazione
che impegna tutto il corpo, è legata ad intensi momenti di socialità e soprattutto alla sfera
dell’affettività. In un certo senso, la voce trasmette significati solo all'interno di una situazione
comunicativa in cui il contatto tra i partecipanti è determinato da segnali partecipativi verbali ed
extra verbali di vario tipo, ma soprattutto dalla vicinanza corporea.
La comunicazione passa dalla mamma al bambino soprattutto attraverso il calore e il contatto
corporeo, l'abbraccio e il contenimento, il respiro, il canto, il dondolare-cullare del corpo materno
in sintonia con i suoni della voce. Di qui la magia della ninna nanna che modellandosi sulle
variabili corporee, sulla voce, sulla musica e sul ritmo del cullare, rivela l’importanza della
relazione circolare madre–figlio-madre come modulatore interno individuale delle relazioni
umane del futuro adulto”20.
In appendice a questo elaborato di Tesi ho riportato il testo del rituale della tribù indiana
degli Omaha, una delle tribù indiane d’America, che la Professoressa De Angelis ha
inserito nel suo articolo “La ninna nanna e il valore della voce” perché, secondo me,
esprime in modo eccellente il collegamento esistente tra il rituale della ninna nanna e la
vita quotidiana, dove la musica e il ritmo sono un mezzo per trasmettere, in questo caso
ai membri della tribù indiana di appartenenza, l’affetto e la dedizione dei genitori verso i
figli inserendo il nuovo nato nella vita dell’intera comunità, quasi come un piccolo passo
verso la sua integrazione nel mondo adulto.

1.4 Educazione e formazione della persona: relazione e interazione, corpo,


linguaggio, emotività
Dopo aver esaminato alcuni degli aspetti costitutivi della ninna nanna, è il momento di
inserire questo rituale nel contesto dell’educazione e della formazione della persona per
comprendere come questo rituale è parte di un complesso sistema di relazioni e di
interazioni strutturato intorno ad un linguaggio musicale capace di esprimere le emozioni
e di trasmettere i contenuti delle linee educative del nucleo famigliare di appartenenza e
che costruiscono la persona nella sua identità individuale e sociale. Per aprire questa
riflessione sull’educazione e sulla formazione, intendo iniziare con le definizioni
provenienti dal mondo del diritto.

20
B.DE ANGELIS, La ninna nanna e il valore della voce, in: http://hdl.handle.net/11590/156187, 2006
(ultima visita 5.02.2021).

24
Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani21. L’articolo 26 recita:
1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda
le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione
tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere
egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
2. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del
rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la
tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle
Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.
Nell’ambito della Convenzione sui diritti del bambino22, approvata dall'Assemblea
generale dell'ONU il 20 novembre 1989, un primo riferimento all’educazione si trova
all’art.18, dove si legge che gli Stati Parti faranno del loro meglio per garantire il
riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una
responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo. All’interno
dell’articolato della Convenzione, il diritto all’educazione viene sancito agli articoli 28 e
29:
Art. 28
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, ed in particolare, al fine di
garantire l’esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all’uguaglianza delle possibilità:
a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti;
b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale
che professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure
adeguate come la gratuità dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in
caso di necessità; c) garantiscono a tutti l’accesso all’insegnamento superiore con ogni
mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno;
d) fanno in modo che l’informazione e l’orientamento scolastico professionale siano
aperte ed accessibili ad ogni fanciullo;
e) adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la
diminuzione del tasso di abbandono della scuola.
2. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina
scolastica sia applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano
ed in conformità con la presente Convenzione.
3. Gli Stati parti favoriscono ed incoraggiano la cooperazione internazionale nel settore
dell’educazione, in vista soprattutto di contribuire ad eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel
mondo e facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche ed ai metodi di insegnamento
moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle necessità dei Paesi in via di sviluppo.
Art. 29
1. Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità:

21
Cfr. Dichiarazione Universale dei diritti umani in:
https://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
22
Cfr. Convenzione sui Diritti del bambino, in: https://www.unicef.it/convenzione-diritti-infanzia/

25
a) di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue
facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità;
b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e
dei principi consacrati nello Statuto delle Nazioni Unite;
c) di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua
e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive,
del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua;
d) di preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera,
in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di
amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le persone di origine
autoctona;
e) di inculcare al fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale.
2. Nessuna disposizione del presente articolo o dell’articolo 28 sarà interpretata in maniera da
nuocere alla libertà delle persone fisiche o giuridiche di creare e di dirigere istituzioni didattiche a
condizione che i principi enunciati al paragrafo 1 del presente articolo siano rispettati e che
l’educazione impartita in tali istituzioni sia conforme alle norme minime prescritte dallo Stato.
Per quanto concerne la nostra Costituzione Italiana23, all’articolo 34 così recita:
La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Dall’articolo 30 si apprende, inoltre, che: “È dovere e diritto dei genitori mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.
Per quanto concerne il campo dell’istruzione, a guisa di sintesi, riporto in questo paragrafo
un contributo autorevole sull’educazione. Il 28 novembre 2019 il filosofo Professore
Umberto Galimberti ha tenuto una Lectio Magistralis nell’Aula Magna “Gaetano
Salvatore” presso la Scuola di Medicina e Chirurgia - Università di Napoli Federico II, in
occasione di un simposio dedicato al seguente tema: “Istruire o educare? Questo è il
dilemma. Il ruolo del docente dalla scuola al mondo universitario”. La sua risposta mi
sembra perfettamente in linea con la spiegazione di ciò che viene inteso per educazione:
“Istruire significa trasmettere contenuti culturali per via intellettuale da una mente
all'altra: dall'insegnante al discepolo. Educare significa curare la dimensione emotivo-
sentimentale dei ragazzi aiutandoli a passare dalla pulsione (dove si arrestano i bulli)
all'emozione, che significa far acquisire una risonanza emotiva delle loro azioni e dei
loro comportamenti, e infine dei sentimenti che non sono dati per natura, ma si
apprendono per cultura, come ci insegna la storia dell'uomo che ha sempre ideato miti e
storie per l'acquisizione e la trasmissione dei sentimenti. L'istruzione non funziona se si

23
Cfr. Costituzione Esplicata, a cura di Federico del Giudice, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli 2019,
83-90.

26
trascura la parte emotivo-sentimentale. La mente non si apre se prima non si è aperto il
cuore” 24.
Proseguendo nel mio cammino di ricerca tra le definizioni, mi sono immersa nella lettura
dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa per trarre gli insegnamenti utili ad
approfondire meglio i contenuti e le differenze dei termini educazione, formazione e
istruzione.
Nella parte seconda del “Compendio della dottrina sociale della Chiesa”25, al capitolo V,
si sviluppa il tema della famiglia, cellula vitale della società. In particolare, al n. 242 viene
presentata la responsabilità della famiglia di offrire una educazione integrale che significa
molto di più di un apprendimento nozionistico e intellettuale perché include sempre una
caratterizzazione degli affetti e dei sentimenti dell'uomo. Si legge che la famiglia forma
l'uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella
sociale e quindi la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di
virtù sociali di cui tutte le società hanno bisogno.
Il Compendio riprende le indicazioni dell'Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II
“Familiaris consortio”, al n. 36, dove si legge come la famiglia trovi la sua realizzazione
nel compito educativo in quanto “l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e
pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei
valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il
più prezioso frutto dell'amore”.
Al n. 239 del Compendio si fa esplicito riferimento al diritto-dovere dei genitori di
educare la prole, qualificandolo come essenziale, connesso com’è con la trasmissione
della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per
l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed
inalienabile.
Attingendo alla Dichiarazione del Concilio Vaticano II sull’educazione cristiana
“Gravissimum educationis”, promulgata da papa Paolo VI il 28 ottobre 1965, il
Compendio ne riporta le affermazioni iniziali, dove si legge, al n. 1, che ogni vera forma

24
U. GALIMBERTI, Istruire o educare? Il ruolo del docente dalla scuola al mondo universitario, in: Ateneo,
http://www.unina.it/-/20092734-istruire-o-educare-il-ruolo-del-docente-dalla-scuola-al-mondo-
universitario, 2019 (ultima visita 5.02.2021).
25
Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della
Chiesa, Libreria Editrice Vaticana 2004, 117-143.

27
di educazione deve intendersi integrale e quindi promuovere “la formazione della persona
umana in vista del suo fine ultimo, e contemporaneamente per il bene della società di cui
l'uomo è membro e alle cui responsabilità, divenuto adulto, avrà parte”26. Questa
integralità viene ripresa e spiegata da Giovanni Paolo II, al n. 43 della “Familiaris
consortio”27, con l’affermazione che viene “assicurata dall' educazione al dialogo,
all'incontro, alla socialità, alla legalità, alla solidarietà e alla pace mediante la
coltivazione delle virtù fondamentali della giustizia e della carità”28.
Dal campo dell’antropologia pastorale ho scelto di selezionare alcuni vocaboli per avere
altre informazioni sulle dimensioni che qualificano e identificano la persona umana nel
suo processo educativo e formativo per un suo inserimento nel tessuto sociale.
L'educazione non è solamente un apprendimento di attitudini e abitudini in vista della vita
pratica o una ricezione di informazioni sul comportamento da tenere nei vari rapporti
interumani o un essere introdotti e progredire nei processi di socializzazione, bensì un
processo a suo modo creativo che coinvolge l'intera personalità in tutti i suoi aspetti un
impegno volto ad affrontare umanamente il futuro con riferimento al singolo ma anche
all'intera società per saper fronteggiare le difficoltà che si presentano29 . L’autore di questa
voce, Heinrich Pompey, commenta anche che l’istinto educativo naturale e le relative
capacità di educare per esempio di una madre hanno un rilievo superiore a qualsiasi
conoscenza pedagogica, psicologica e sociologica30.
L’emotività con la quale si vive e si affronta la vita e le situazioni concrete, talvolta ha lo
stesso significato di sentimento e comprende l'intero stato emozionale di un uomo con le
sue disposizioni di umore e con le accentuazioni tipiche del suo stato d'animo, o in
risposta agli stati d’animo altrui. Gli stati d’animo si classificano in graditi e sono
rappresentati da gioie, piacere, serenità, felicità, soddisfazione, sicurezza, allegria, pace e
altri. Ci sono stati d'animo sgradevoli: tristezza, avvilimento, incertezza, disperazione,
terrore, gelosia, eccetera. Alcuni stati d’animo emotivi risultano ambivalenti, come la
malinconia, la commozione e la rinuncia. L'emotività si considera come espressione della

26
PAOLO VI, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimun educationis, (28.10.1965), n.1.
27
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, (22.10.1983), n.36 e n.43.
28
Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della
Chiesa, Libreria Editrice Vaticana 2004, 134-137.
29
H. POMPEY, Educazione, in: Dizionario di antropologia pastorale, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna
1980, 352-353.
30
H. POMPEY, cit., 355.

28
corporeità personale e della personalità. A fondamento dell’emotività sussistono le
predisposizioni vegetative, umorali e morfologiche dell’intero organismo, che cooperano
nell’influire su di essa31.
Una voce importantissima per questo approfondimento, che trova nella ninna nanna la
possibilità di stabilire le basi per una relazione confidente verso il mondo esterno, è la
fiducia.
La fiducia è anzitutto fiducia in un altro, secondariamente fiducia in sé stessi come riflesso
della fiducia riposta in altri ma si ha fiducia solo in colui che si ama e si crede solo in una
persona che mostra di voler bene. Questo rapporto è talmente inscindibile che una carenza
di fiducia e di fede è anche segno di una mancanza di amore. La fiducia è il mezzo per
conservare l'amore. Solo la fiducia garantisce la continuità dell’amore. Tuttavia,
propriamente parlando, l'amore è all'origine della fiducia, è infatti un sentimento che non
si può obbligare. L’amore e la fiducia si originano dallo scambio fra due o più persone
ma è pur vero che si avverte amore e fiducia verso sé stessi anche in virtù dell'amore e
della fiducia che si riceve. L' accettare o il rifiutare un rapporto d'amore dipende dal
criterio della fiducia32.
In precedenza, ho avuto modo di evidenziare come attraverso il corpo e le azioni
corporali, l’uomo esprime molti significati e alcuni di questi sono determinanti per una
definizione olistica della persona umana nel suo insieme e per la comunione con gli altri
esseri umani verso i quali la nostra vita è orientata. Il modo con il quale noi ci presentiamo
agli altri, la nostra apparenza, il linguaggio che utilizziamo, come gesticoliamo, tutto parla
di noi all’altro.
Corpo, interazione e linguaggio ci espongono, ci rappresentano, ci inseriscono nel mondo.
Dal primitivo stato di indifferenziazione tra sé e il mondo in cui vive ogni bambino, si fa
strada, nel tempo, la sua percezione del mondo esterno separato dal suo corpo. Il bambino,
attraverso l'esperienza fondamentale del toccare e del manipolare, si appropria della
percezione del sé dal non sé e sperimenta la separazione dal mondo circostante e dalla
madre. Così, piano piano, apprende che il suo corpo è dotato di una struttura di varie parti
in relazione tra loro che lo connettono con la dimensione relazionale. L’aspetto dialogico

31
E. PAKESCH, Emotività, in: Dizionario di antropologia pastorale, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna
1980, 375.
32
S. ANDREAE, Fiducia, in: Dizionario di antropologia pastorale, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna
1980, 446-447.

29
dello sviluppo del sé è un importante fattore del processo di costituzione dell'identità.
Attraverso le diverse fasi della vita dell’individuo, il corpo diventa lo strumento
privilegiato del dialogo intersoggettivo con cui stabilire relazioni mature.
L'interesse per gli elementi non verbali del comportamento interpersonale, oltre a
sottolineare l'importanza del corpo nella comunicazione, ha ampliato la conoscenza sulla
comunicazione verbale ma anche sulla comunicazione non verbale, approfondendo tutti
gli aspetti non linguistici del discorso che vanno dal comportamento spaziale, allo studio
del significato del movimento e della gestualità all'aspetto esteriore, alle espressioni del
volto e persino alla direzione dello sguardo33.
Con la parola interazione viene inteso il processo di relazione fra individui, definibile
come il primo, elementare ma anche complesso, fatto sociale. In esso entrano in gioco le
personalità individuali, si mettono in luce le reciproche aspettative, la definizione degli
status, i ruoli, eccetera. Gli individui, interagendo fra di loro, si incontrano e si modificano
allo stesso tempo. Nello specifico, la psicologia e in special modo la psicologia sociale,
ricercano la modificazione che l'interazione produce sulla personalità individuale mentre
la sociologia si occupa della forma sociale che sgorga dalla molteplicità delle interazioni
fra soggetti. Un tempo la sociologia si differenziava dalla psicologia sulla base del diverso
campo di studio: la coscienza collettiva interessava la sociologia, la coscienza individuale
la psicologia. Oggi la sociologia accoglie l’idea che l'interazione possa trovare una
spiegazione sia soggettiva che oggettiva per cui ammette che ci sia una dimensione
sociologica, in quanto osservabile, che studia le manifestazioni esteriori e sociali
specifiche ma che debba anche essere completata con la ricerca del senso che i soggetti
danno al loro agire e a quello altrui34.
Un altro aspetto, che risponde alla modalità di interagire e di vivere in relazione con altri
soggetti nel mondo, è il linguaggio. Ferdinand de Saussure, linguista e semiologo
svizzero, separò il concetto di lingua da parola, distinguendo ciò che è sociale da ciò che
è individuale, ciò che secondo lui era essenziale da ciò che era accessorio e più o meno
accidentale. La lingua è un prodotto sociale che l’individuo registra passivamente, mentre

33
D. CAVANNA, Corpo, in: Dizionario di sociologia e antropologia culturale, diretto da S. Acquaviva a cura
di E. Pace, Cittadella Editrice, Assisi 1984, 142-146.
34
A. SCAGLIA, Interazione, cit., 259-262.

30
la parola suppone un atto di volontà e di intelligenza individuale mediante il quale il
soggetto parlante può esprimere il suo pensiero personale35.
Concludo questo breve accenno a ciò che è parola e ciò che è linguaggio con una
suggestiva riflessione di Heidegger:
“L'uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non
proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o
leggiamo, ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio. In un modo o nell'altro parliamo
ininterrottamente. Parliamo, perché il parlare ci è connaturato. Il parlare non nasce da un
particolare atto di volontà. Si dice che l'uomo è per natura parlante, e vale per acquisito che
l'uomo, a differenza della pianta e dell'animale, è l'essere vivente capace di parola. Dicendo
questo, non si intende affermare soltanto che l'uomo possiede, accanto ad altre capacità, anche
quella del parlare. S’intende dire che proprio il linguaggio fa dell'uomo quell’essere vivente che
gli è in quanto uomo. L'uomo è in quanto parla”36.

Conclusione
In questo primo capitolo sono state riportate le definizioni, i significati, le origini della
ninna nanna, cercando di offrire una spiegazione alle conseguenze che le canzoni della
culla hanno sullo sviluppo del bambino, trasformando la sua identificazione primaria in
un’autonomia della persona in grado di affrontare il distacco tra la prima casa, il grembo
materno, e la realtà esterna. La fiducia, l’appoggio, il contatto, l’allattamento, la voce, il
calore, la relazione di reciprocità circolare madre-bambino-madre, affetto, emozioni,
sentimento, tutti elementi che passano spontaneamente al bambino trasmettendogli la
sicurezza necessaria per affrontare il passaggio dall’attaccamento all’autonomia. La ninna
è un genere letterario apparentemente senza senso ma che aiuta a rendere domestico il
mondo esterno. Le poche parole ripetute con una cadenza ritmica che associa il linguaggio
musicale al linguaggio del movimento dondolante, evocativo dell’esperienza del feto nel
grembo materno, hanno una funzione terapeutica per il bambino e anche per la mamma.
Quello che mi è sembrato importante evidenziare, ai fini di questo elaborato, è l’approccio
interdisciplinare attraverso il quale la prospettiva antropologica si intreccia con quella
musicologica e psicologica, tralasciando volutamente il contributo di un’analisi di tipo
musicale, essendo un settore che richiederebbe un lavoro di tesi a parte solo per conoscere
i diversi tipi musicali e le relative aree di diffusione delle ninne nanne. Approfondire i
brani trascritti sul pentagramma nei loro tipi musicali, scale, intervalli, profilo melodico,
ritmo, variazioni, è una notevole impresa e richiederebbe un’ampia trattazione.

35
E. CARONTINI, Linguaggio, in: Dizionario di sociologia e antropologia culturale, diretto da S. Acquaviva
a cura di E. Pace, Cittadella Editrice, Assisi 1984, 287.
36
M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, a cura di A. Caracciolo, Mursia, Milano 1973, 27.

31
A conclusione di questo primo capitolo, mi sembra interessante osservare come
l’aspirazione etica alla vita buona è favorita dall’esperienza che si fa della casa nei
primissimi anni della vita vissuta in termini di fiducia, sicurezza, benevolenza verso il
mondo esterno, perché tanto più è valida tanto più forma e garantisce l’identità buona
dell’uomo.
Il filosofo Alasdair MacIntyre, nel suo libro “Animali razionali dipendenti. Perché gli
uomini hanno bisogno delle virtù”, presenta tanti elementi sull’evoluzione della persona
umana che mi sembra adatto per una sintesi alle pagine scritte in questo capitolo. Osserva
come il nostro comportamento iniziale nei confronti del mondo è originariamente un
comportamento animale che poi, sotto la guida dei genitori e di altre persone, elaboriamo
e correggiamo con l’educazione, imparando a gestire i bisogni corporali. La famiglia, la
società, le strutture educative modellano la natura primordiale, la nostra prima natura. La
nostra seconda natura, così formata sulla base culturale dell’uso del linguaggio, è una
serie di parziali trasformazioni della nostra natura umana iniziale. Il bambino piccolo, che
non ha ancora la capacità di parlare, esplora l’ambiente circostante, studiandone i dettagli,
gli oggetti, distinguendo e classificando. Questo tipo di agire si basa su alcune credenze.
Noi restiamo dei soggetti animali con identità animali. Per vivere bene c’è bisogno di
sviluppare le capacità proprie e caratteristiche della specie alla quale si appartiene.
Ovviamente, nella fase iniziale della vita, il bene coincide con la soddisfazione dei
desideri corporali. Superare questo stadio vuol dire riconoscere una gamma più vasta di
beni ma anche una scelta più ampia di tipi di bene. Con la crescita, si valuta se agire per
soddisfare un certo desiderio sia la cosa migliore oppure no. Il bambino piccolo agisce
sulla base dei suoi desideri, trovando in essi le ragioni della sua azione, come fanno i
gorilla e i delfini. Il bambino impara dagli altri a comprendere, a distinguere, a non
seguire i propri desideri se non sono finalizzati a ciò che è un bene per lui. L’essere umano
per comprendere ciò che significa vivere bene per gli uomini e diventare un individuo
razionale indipendente e autonomo passa attraverso diversi stadi evolutivi, aiutato dalle
persone che lo circondano. Si tratta di passare dalle iniziali capacità animali alle capacità
proprie di agenti razionali indipendenti. Per soddisfare i propri desideri, il bambino si
attacca anche agli oggetti che definiscono la prima forma di relazione sociale. Attraverso
le sue esperienze di attaccamento affettivo, il bambino impara che, per soddisfare i propri
desideri, deve compiacere la sua mamma e altre figure di adulti. Nel gioco, ad esempio,

32
la fiducia che il bambino ripone nell’adulto libera le capacità creative fisiche e mentali
sfociando in una consapevolezza del proprio io che consente di accrescere l’indipendenza
nel ragionamento pratico. Nella fase iniziale della vita è “la buona madre” (D.W.
Winnicott) che dà al bambino un ambiente dove sentirsi sicuro per sperimentare, anche
facendo dei danni. Lei è una educatrice. Il bambino nell’ambiente proposto dalla madre
diviene consapevole di sé come oggetto di riconoscimento da parte di una madre che è
sensibile ai suoi bisogni. L’interazione/relazione con sua madre lo rende capace di
acquisire un senso adeguato della realtà esterna e del suo io.
Chi riesce a svolgere sapientemente il ruolo e la funzione di un buon genitore porta il
bambino ad una sorta di docilità educabile anche da parte di una serie diversificata di altri
formatori: questo rappresenta il primo passo perché il bambino arrivi a ragionare in
maniera indipendente. All’inizio, il bambino ha bisogno di imparare a riconoscere le
caratteristiche tipiche di ciascuna situazione, quali sono i beni, i danni e i pericoli e, se
viene seguito con premurosa cura e attenzione, impara ad agire virtuosamente il che
implica un qualcosa in più di seguire semplicemente una regola.
Nel corso della vita non si smette mai di essere dipendenti da altri individui.
MacIntyre ci ricorda anche che nell’esperienza pratica, tutti noi viviamo in una rete di
relazioni di dare e ricevere e, in genere, quanto possiamo dare dipende da quanto e da
come abbiamo ricevuto.
Quando si viene al mondo non si scelgono i genitori, il luogo di nascita, i parenti, la casa,
gli amici, eppure all’inizio tutto dipende da quello che si riceve da questo mondo affettivo.
Poi, questo bagaglio di conoscenze, di sapere, di pratiche, di modi comportamentali, viene
elaborato e fatto proprio. C’è un legame tra il dare e ricevere e la dimostrazione di affetto
e comprensione. Quando si è fatto proprio, nel dare e ricevere, il senso di responsabilità
nei confronti degli altri, della famiglia in modo particolare e di tutte le sfere relazionali
ove si opera, si è diventati persone adulte pronte a interagire virtuosamente con il mondo
esterno. Una curiosità molto istruttiva sul vivere bene e per una vita buona, ci viene a
tribù indiana lakota che usa l’espressione “wancantognaka” per definire la virtù degli
individui che riconoscono le responsabilità nei confronti della loro famiglia diretta, della
loro famiglia estesa e della tribù. Usare questa espressione “wancantognaka” indica una
generosità dovuta agli altri i quali, a loro volta, la debbono a me. Non essere consapevoli
di questo “dovuto” vuol dire venir meno alla giustizia e alla generosità. Vivere

33
virtuosamente comporta adottare azioni che spesso sono contemporaneamente giuste,
generose, misericordiose. Questo modo di agire è frutto di una educazione che insegna
relazioni prive di calcolo nel dare e di eleganza nel ricevere. È un’educazione che
comprende gli affetti, i sentimenti, le inclinazioni. Questa educazione entra in gioco
quando spontaneamente non siamo portati, in certe situazioni, ad agire a comando
andando incontro all’altro ma ecco che, allenati da un tipo di educazione virtuosa,
possiamo controllare e finalizzare le nostre disposizioni anche quando non ci sarebbe uno
lancio spontaneo del momento. Anche l’affetto, l’affetto per i propri figli, deve essere
rafforzato dal dovere altrimenti, in tante occasioni, la cura, l’attenzione, il legame
educativo verrebbe meno. Un’altra virtù che istruisce molte azioni è la misericordia: è lo
stesso stato di bisogno che impone quello che deve essere fatto. Ora, il solo sentimento
non guidato dalla ragione diventa sentimentalismo e questo è indice di fallimento morale.
San Tommaso considerò la misericordia come uno degli effetti della carità. La carità è
una delle virtù teologali ma la carità intesa nella forma della misericordia si ritrova in
opera già nel mondo secolare. San Tommaso affermò che la misericordia è afflizione o
dispiacere per la sofferenza di qualcun altro, proprio nella misura in cui uno intende
l’altrui sofferenza come propria. Questo comporta il riconoscimento dell’altro come
nostro prossimo.
Per arrivare a questo livello di consapevolezza c’è bisogno delle virtù e di essere educati
e allenati ad esercitarle37.
Concludo questa riflessione sul ragionamento filosofico di MacIntyre facendo i
complimenti alla tribù indiana lakota e alla espressione “wancantognaka” che significa
responsabilità, riconoscenza, gratitudine verso gli altri. Questa esortazione richiama il
testo del rituale della tribù indiana degli Omaha, una delle tribù indiane d’America, citato
dalla Professoressa De Angelis nel suo articolo “La ninna nanna e il valore della voce”,
che inserisco come appendice di questa tesi, perché, secondo me, esprime in modo
eccellente il collegamento esistente tra il rituale della ninna nanna e la vita quotidiana,
dove la musica e il ritmo sono un mezzo per trasmettere, in questo caso ai membri della
tribù indiana di appartenenza, l’affetto e la dedizione dei genitori verso i figli inserendo
il nuovo nato nella vita dell’intera comunità, quasi come un piccolo passo verso la sua

37
Cfr. A. MACINTYRE, Animali razionali dipendenti. Perché gli uomini hanno bisogno delle virtù,
traduzione di Marco D’Avenia, Vita e Pensiero, Milano 2001.

34
integrazione nel mondo adulto. Queste considerazioni sulla ninna nanna, strumento ideale
per trasmettere linguaggi, credenze, emozioni, significati relazionali nel bambino, sono
la premessa per il successivo capitolo dove, alla vita adulta virtuosa fondata sulla
generosità, sulla carità, sulla giustizia, sulla responsabilità nei confronti del nostro
prossimo, si aggiunge un’altra virtù definita tale da papa Francesco: la tenerezza.

35
CAPITOLO II

LA SPIRITUALITA’ DELLA TENEREZZA

IN PAPA FRANCESCO

Introduzione
Sono rimasta particolarmente colpita dalla risposta che papa Francesco ha dato
sull’aborto ai giornalisti nel viaggio di ritorno dalla GMG di Panama:
Il messaggio della misericordia è per tutti. Anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo
aver fatto questo fallimento c'è misericordia pure. Ma una misericordia difficile perché il problema
non è dare il perdono, ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di aver abortito. Sono
drammi terribili. Dico la verità, bisogna essere nel confessionale e tu devi lì dare consolazione.
Per questo io ho aperto la potestà di assolvere l'aborto per misericordia, perché tante volte devono
incontrarsi con il figlio. Io consiglio tante volte quando hanno questa angoscia: “Tuo figlio è in
cielo, parla con lui. Cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli”. E lì si trova una via di
riconciliazione della mamma con il figlio. Con Dio c'è già il perdono, Dio perdona sempre. Ma la
misericordia, che lei elabori questo. Il dramma dell'aborto, per capirlo bene, bisogna essere in un
confessionale38.
Sono parole molto forti e toccano in termini di infinita tenerezza il cuore della persona.
Nel corso della mia vita, ho ascoltato varie volte, e in vari contesti, parlare di famiglia, di
matrimonio, di suggerimenti e di impegni da prendersi come Chiesa, come Diocesi, come
persone di buona volontà. Ci sono sempre stati preoccupazione e impegno, sia sul piano
sociale sia apostolico, per incontrare l’uomo di oggi, per aiutare le famiglie in crisi, per
comprendere come presentare dei modelli senza risultare autoreferenziali o astratti.
La grande maggioranza della gente affronta la propria esistenza senza troppi
ragionamenti, senza entrare in merito alle questioni filosofiche o teologiche, vive e basta.
Poi c’è la Chiesa, con la sua proposta per l’uomo di tutti i tempi, con la sua presenza nella
storia e le tante storie di esemplari testimonianze. Ci sono inoltre alcuni credenti, quelli
attivi, che si danno tanto da fare per puntare il dito contro una umanità sbagliata e ci sono,
invece, di quelli che sono semplicemente presenze silenziose e accoglienti, i “santi della

38
M. MUOLO, Aborto, il Papa: misericordia sempre, cantate la ninna nanna ai figli in cielo, in:
https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-ritorno-da-gmg-di-panama, lunedì 28 gennaio 2019 (ultima
visita 5.02.2021).

36
porta accanto”. Noi siamo chiamati all’umiltà, a non giudicare, a non sentirci dei
privilegiati solo perché ci sembra di stare nel giusto. Il tema della ninna nanna mi sembra
particolarmente interessante per capire come si possa accompagnare l’esistenza umana
con una melodia specifica per ogni età. Si tratta veramente di rendere attuali le parole di
Gesù “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete
nel regno dei cieli” (Matteo 18, 3). Non è ovviamente un’esortazione all’infantilismo, ma
piuttosto un invito ad essere immediati, spontanei come i bambini, pronti a cercare la
pecora smarrita, a fidarci di Dio con lo sguardo trasparente dei bambini. I bambini
insegnano la tenerezza, ci riportano all’incanto e allo stupore della vita. “Io invece resto
quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato
è in me l'anima mia” (salmo 131, 2 dal Testo CEI 2008). La ninna nanna può essere
eseguita con la seguente melodia: un impegno. Forse il “linguaggio musicale” valido per
qualsiasi età si attualizza nel capire quanto bisogno di amore c’è in tutte le persone e
dedicarsi a questo, ognuno con le sue capacità, con la sua posizione sociale, con le sue
competenze, nel proprio stato di vita.
Questo capitolo presenta l’approccio caritatevole, la tenerezza come modalità e
linguaggio per abbracciare il nostro prossimo, grazie agli insegnamenti che Papa
Francesco indica sulla via della misericordia e della tenerezza. Con questa intenzione, ho
selezionato alcuni discorsi di papa Francesco per sostenere la spiritualità della tenerezza
come via per la famiglia e per l’intera umanità. Il Papa ha adottato più volte
l’amorevolezza della ninna nanna come metodo di amore tenero con il quale accogliere e
ascoltare il nostro prossimo.
Dopo il precedente capitolo dedicato alle definizioni si apre questo capitolo incentrato sui
contenuti fondamentali dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” e sulla spiritualità
della tenerezza.

2.1 La spiritualità della tenerezza nell’amore famigliare e il metodo narrativo


L’approfondimento di una dimensione di spiritualità coniugale ha inizio già tra fine 1500
e inizio 1600 , con San Francesco di Sales e la sua proposta contenuta nella “Introduzione
alla vita devota” dove viene sviluppata un’ampia trattazione della vita coniugale che
mette al centro la relazione amorosa della coppia, evitando ogni assolutizzazione del fine
della procreazione come contenuto nel Catechismo del Concilio di Trento ed attribuendo

37
piena dignità allo stato di vita del matrimonio come “via alla santità”. In realtà, fino al
Concilio Vaticano II l’interesse per il tema dell’amore era prevalentemente incentrato sul
matrimonio e sui suoi fini.
Con la costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, infatti, si conferisce una svolta decisiva
al tema matrimonio e famiglia, grazie al perseguimento di due fondamentali istanze: la
valorizzazione del ruolo centrale dell’amore umano e la considerazione della vita
matrimoniale come via ordinaria alla santità, vocazione e stato di vita. Anche la
costituzione dogmatica “Lumen Gentium” ha portato un ulteriore contribuito collocando
il matrimonio nel contesto del sacerdozio comune dei fedeli, riconoscendo la funzione
salvifica del matrimonio come via ordinaria alla santificazione. Un nuovo percorso nella
storia della Chiesa, quindi, che ha aperto la strada ad una nuova dignità del matrimonio
valorizzata nell’amore tra Cristo e la chiesa. Vengono evidenziati nuovi percorsi che
sostengono il ruolo e la presenza della famiglia come “Chiesa domestica”, la “magna
charta” del Vaticano II39.
In realtà, con papa Giovanni XXIII per certi aspetti e con Giovanni Paolo II per altri, ci
siamo abituati a sentire discorsi, omelie, catechesi sull’amore umano e, ancora di più in
questi anni, con Papa Francesco è diventato quasi scontato e abituale sentirlo parlare di
mamma, di papà, di nonni, della famiglia come luogo della tenerezza. Ma i passi che si
compiono per avviare e consolidare i cambiamenti di mentalità sono sempre tanti e
richiedono tempi lunghi.
Parlare di tenerezza, provare tenerezza, sono espressioni riconducibili essenzialmente ad
un’esperienza che afferisce alla nostra dimensione sentimentale. Per avere un’idea della
tenerezza basta semplicemente osservare un bimbo sorridente in braccio alla sua mamma
o un bimbo che osserva con curiosità ed eccitazione il movimento di coniglietti colorati
posizionati in un meccanismo a carillon, di quelli che si montano sui lettini dei bambini
per intrattenerli e stimolare la loro fantasia osservando il girotondo e ascoltando una dolce
melodia. Quanta tenerezza c’è in quegli sguardi vivaci e gioiosi!
La tenerezza è tuttavia anche una scelta, un modo di vedere il nostro prossimo, è una
predisposizione ma anche un impegno quotidiano con il quale stabilire e vivere le
relazioni.

39
G. MARENGO, Generare nell’amore. La missione della famiglia cristiana nell’insegnamento ecclesiale
dal Vaticano II a oggi, Cittadella Editrice, Assisi 2018, 108-109.

38
Mons. Carlo Rocchetta, ad esempio, ha fatto della sua vita una missione per portare la
tenerezza agli altri e in particolare alle famiglie. Ex docente di sacramentaria alla
Pontificia Università Gregoriana di Roma e alla Facoltà Teologica di Firenze, docente
attualmente all’istituto teologico di Assisi, è socio fondatore della società italiana per la
ricerca teologica (SIRT), e dell’accademia internazionale della spiritualità matrimoniale
(INTAMS) con sede a Bruxelles e direttore del corso di teologia sistematica di Bologna.
Ad un certo punto della sua vita e del suo impegno ministeriale ha sentito il bisogno di
dedicarsi totalmente alla famiglia, specialmente alle coppie in crisi e si è appassionato a
questa nuova missione. Per lui la famiglia è una comunità di tenerezza ad immagine
dell’amore trinitario. Lui afferma che “la tenerezza è l’amore che si manifesta al di là
delle parole, si manifesta attraverso una carezza, un gesto, uno sguardo, una parola. La
tenerezza è quel sentimento profondo che è scritto in tutti noi, che ci fa sentire di amare
e di essere amati. Il termine tenerezza è così tanto evocativo perché esprime quello che è
l’essere più profondo di tutti noi. Noi siamo esseri di tenerezza perché siamo creati ad
immagine e somiglianza di Dio, infinita tenerezza”. La parola tenerezza sembra derivi
dal latino “tenerum” che significa “movimento verso”. Questa dinamica nel “tendere
verso”, spiega Mons. Rocchetta è un protendersi verso l’altro inteso sia con la “a”
minuscola, ogni altro, sia con la “A” maiuscola, Assolutamente Altro. La tenerezza
implica questa duplice coordinata e comporta un uscire dal proprio sé per protendersi
verso l’altro e desiderare il suo bene40.
Vivere la tenerezza, scegliere questa storia di tenerezza, significa guardare il mondo con
lo stupore di un bambino, significa vivere con gratitudine, animati da sentimenti positivi
e di benevolenza.
“Se la coppia, se due sposi imparano l’arte della tenerezza, imparano questo linguaggio
carezzevole, se a loro volta sono tenerezza per i figli, ecco che la comunità familiare si edifica
come comunità della tenerezza ad immagine della trinità. Ma bisogna che ci sia questa scelta di
fondo. Sapete che l’educazione dei figli è come un triangolo rovesciato. È la relazione marito-
moglie che educa i figli, se la relazione è di tenerezza già questo è educativo per i figli perché
respirano la tenerezza. Se la relazione invece è conflittuale, di rabbia o ansiosa o triste questo
respirano i figli. L’educazione è un triangolo rovesciato e questo è fondamentale perché la
comunità familiare si edifica su questo lievito fondamentale che è la tenerezza. E naturalmente il
fondamento teologico della famiglia comunità di tenerezza va ricercato in quella che è la sorgente
stessa della nostra fede, il mistero di Dio Amore, di Dio Trinità. […] La tenerezza vera, la tenerezza

40
Cfr. C. ROCCHETTA, La famiglia: comunità di tenerezza ad immagine di Dio Trinità, incontro con le
famiglie, in: www.parrocchiasanfrancescolecco.it/pdf/Rocchetta_famiglia.pdf, Lecco-Castello, 24/01/2008
(ultima visita 5.02.2021).

39
come sentimento, non il sentimentalismo, la tenerezza non è il tenerume, la tenerezza è un
sentimento di forza, di forte amore, di capacità di donare sé stessi” 41.
Mons. Rocchetta sostiene che l’amore coniugale e la dimensione affettiva della relazione
sono un legame inscindibile, riconoscendo la tenerezza come il cuore dell’amore degli
sposi e il suo fiorire nella loro vita per cui un amore senza tenerezza sarebbe un amore
asettico o addirittura un amore anaffettivo.
Al n. 28 dell’Amoris Laetitia, firmata il 19 marzo 2016 da papa Francesco e pubblicata il
successivo 8 aprile, si afferma: “Nell’orizzonte dell’amore, essenziale nell’esperienza
cristiana del matrimonio e della famiglia, risalta anche un’altra virtù, piuttosto ignorata
in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali: la tenerezza”42.
È estremamente innovativo ed entusiasmante accogliere questa nuova virtù e sviluppare
attorno ad essa il punto di forza dell’amore coniugale e della stabilità famigliare.
L’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” vuole sottolineare il riferimento alla gioia, la
gioia dell’amore. La gioia è un tema molto sentito da papa Francesco ed è presente nella
precedente esortazione, la “Evangelii gaudium” che annuncia la gioia del vangelo. La
gioia ha una precisa origine: solo il Signore può donare la gioia.
Papa Francesco, nell’ “Amoris Laetitia” descrive alcune caratteristiche fondamentali di
una spiritualità specifica che si sviluppa nel dinamismo delle relazioni della vita familiare,
perché nella famiglia, come abbiamo già evidenziato, si realizza una comunità della
tenerezza e questa è frutto di una spiritualità. Al n. 315 del IX capitolo, si legge: che la
spiritualità coniugale e familiare è «fatta di migliaia di gesti reali e concreti»: è un
percorso. Si parla dei momenti di gioia, di riposo o di festa, della sessualità come
partecipazione alla vita piena della Sua Risurrezione (AL 317); si parla di preghiera
insieme, di spiritualità della cura, della consolazione e dello stimolo. «Tutta la vita della
famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita
dell’altro» (AL 322), scrive il Papa. “E’ una profonda esperienza spirituale contemplare
ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei. Questo richiede una
disponibilità gratuita che permetta di apprezzare la sua dignità” (AL 323).
Il capitolo nono dell’”Amoris Laetitia” è dedicato interamente alla spiritualità personale

41
C. ROCCHETTA, cit., 7-8. – Vedi anche C. ROCCHETTA, Il Matrimonio: parabola di tenerezza alla luce
dell’Amoris Laetitia, in: https://www.diocesisora.it/istituto/il-matrimonio-parabola-di-tenerezza-alla-luce-
dellamoris-laetitia/ in occasione della seconda giornata del Convegno Pastorale diocesano di Sora, 11
giugno 2016 (ultima visita 5.02.2021).
42
FRANCESCO, Esortazione apostolica Amoris Laetitia, (19.03.2016).

40
e battesimale, coniugale e familiare, vissute in una dinamica di circolarità.
276. La famiglia è l’ambito della socializzazione primaria, perché è il primo luogo in cui si impara
a collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare, a rispettare, ad aiutare, a
convivere. Il compito educativo deve suscitare il sentimento del mondo e della società come
“ambiente familiare”, è un’educazione al saper “abitare”, oltre i limiti della propria casa. Nel
contesto familiare si insegna a recuperare la prossimità, il prendersi cura, il saluto. Lì si rompe il
primo cerchio del mortale egoismo per riconoscere che viviamo insieme ad altri, con altri, che
sono degni della nostra attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto. Non c’è legame
sociale senza questa prima dimensione quotidiana, quasi microscopica: lo stare insieme nella
prossimità, incrociandoci in diversi momenti della giornata, preoccupandoci di quello che interessa
tutti, soccorrendoci a vicenda nelle piccole cose quotidiane. La famiglia deve inventare ogni giorno
nuovi modi di promuovere il riconoscimento reciproco.
Nel sentire la responsabilità dell’educazione verso i figli, in questa cura affettuosa vissuta
nel quotidiano del focolare domestico si realizza un luogo teologico dove l’amore umano,
pur nelle fragilità e nei limiti della debole natura umana è icona e dimora vivente di Dio
Trinità di amore. Queste attenzioni, questa propensione fra coniugi e verso figli,
rappresentano la ninna nanna che accompagna il vivere quotidiano. Questa speciale ninna
nanna consiste nel prendersi cura gli uni degli altri, nello spirito di consolazione e di
stimolo, nell’accoglienza intesa nell’apertura all’ospitalità43. Con queste azioni
domestiche si compie la spiritualità della tenerezza.
Generare la vita ed essere aperti all’ospitalità sono “riflesso della Trinità, è in realtà ciò
che unifica il senso spirituale della famiglia e la sua missione all’esterno di sé stessa,
perché rende presente il kerygma con tutte le sue esigenze comunitarie. La famiglia vive
la sua spiritualità peculiare essendo, nello stesso tempo, una Chiesa domestica e una
cellula vitale per trasformare il mondo” (AL 324).
Jean-Pierre Sonnet nel libro “Generare è narrare”, espone quanto la trasmissione della
fede e il generare sono legati. Questo significa che l’alleanza nuziale è generativa, non
solo biologicamente, ma anche spiritualmente, cioè è generativa dell’esperienza di fede,
specialmente attraverso la narrazione.
Sonnet evoca il “carattere sacro dell’atto di raccontare, portatore di una fecondità
segreta quando è operato di un padre e di una madre”44.
Papa Francesco, il 24 gennaio 2020, in occasione della 54ma Giornata Mondiale delle
Comunicazioni, a proposito della narrazione disse:
“Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazione, perché credo che per non
smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che
distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella

43
C. ROCCHETTA, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris Laetitia, Edizioni
Dehoniane Bologna, Bologna 2017, 242-246.
44
J.P. SONNET, Generare è narrare, Vita e Pensiero, Milano 2015, 13.

41
confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana,
che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi
con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili
coi quali siamo collegati gli uni agli altri.
L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo.
Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la
nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato
in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre
convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo”45.
La famiglia è quindi una comunità di tenerezza e una comunità narrativa, luogo
privilegiato per la trasmissione della fede46. La narrazione biblica unifica la nostra storia
alla luce di una storia più grande e in questo modo la famiglia può sentirsi inserita, nella
fragilità della sua storia, nella storia della salvezza. L’Antico Testamento ci presenta la
famiglia come il luogo della trasmissione della fede. Se prendiamo in considerazione il
mondo ebraico, notiamo come la casa, l’ambito familiare, siano sentiti come un ambito
liturgico. Basti ripercorrere il rito della Cena pasquale, il sèder, dove la mensa familiare
viene considerata come un altare e i genitori presiedono come i sacerdoti celebranti. I figli
rivolgono le domande al padre e ricevono spiegazioni narrative.
“Quando è in gioco il mistero di Dio e del suo Cristo, lo scambio tra il padre e suo figlio o figlio,
tra la madre e i suoi ragazzi è uno scambio che non ha confronti. Altre figure, altri testimoni
intervengono certamente nella vita dei figli. A scuola o all’università, in parrocchia, nei movimenti
giovanili, queste figure e questi testimoni danno anch’essi le loro risposte, tute utili e preziose. Ma
ciò che un padre e una madre dicono di Dio è senza uguali per il figlio che cresce, per l’adolescente,
per il giovane adulto. La parola dei genitori è portatrice di un carico di vita che gli stessi genitori
sono lungi dall’immaginare. Per quanto fragile e minacciata sia la famiglia contemporanea, essa è
comunque il santuario di uno scambio insostituibile, vitale oggi come lo era nel mondo della
Bibbia; e questo semplicemente perché le parole dei genitori sono innestate su un dono – il dono
di sé stessi che fanno al figlio dandogli la vita, o adottandolo” 47.
Concludo questo paragrafo tratteggiando una breve sintesi su ciò che fonda, alimenta e
realizza la comunione di tenerezza. Luogo privilegiato per cantare una ninna nanna è
naturalmente la famiglia e questa speciale ninna nanna si esegue ogni volta che si
manifesta affetto, consolazione, cura, accoglienza, ascolto e narrazione della Parola di
Dio che viene raccontata, ripetuta e attualizzata alla luce del vissuto quotidiano
famigliare.
Al n. 287 dell’Amoris Laetitia leggiamo:
La trasmissione della fede presuppone che i genitori vivano l’esperienza reale di avere fiducia in

45
FRANCESCO, messaggio per la 54ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “Perché tu possa
raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia, presso San Giovanni in Laterano, nel
Giorno della Memoria di San Francesco di Sales, Roma (24 gennaio 2020), in:
http://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/communications/documents/papafrancesco_202001
24_messaggio-comunicazioni-sociali.html (ultima visita 5.02.2021).
46
J.P. SONNET, Generare è narrare cit., 36.
47
J.P. SONNET, Generare è narrare, cit., 10-11.

42
Dio, di cercarlo, di averne bisogno, perché solo in questo modo «una generazione narra all’altra le
tue opere, annuncia le tue imprese» (Sal 144,4) e «il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà»
(Is 38,19). […] «si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della
catechesi […]. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i
giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria
famiglia».
Leggendo l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” ho avuto l’impressione che il papa
abbia voluto regalarci una ricca catechesi narrata sull’amore, una storia vera che dopo
una analisi di tanti aspetti, si preoccupa di avere come lieto fine l’incoraggiamento, la
misericordia, la tenerezza e la famigliarità melodiosa di una ninna nanna.

2.2 La Ninna Nanna di Dio nelle omelie di Papa Francesco


In occasione della Messa del 12 dicembre 2013 a Casa Santa Marta, Papa Francesco prese
spunto dal brano di Isaia (41, 13-20) per descrivere il modo in cui il Signore si avvicina
a noi e ci parla: come dei genitori che si avvicinano amorevolmente al proprio figlio per
consolarlo durante la notte quando si sveglia spaventato.
“Quando guardiamo un papà o una mamma che parlano al loro figliolo, noi vediamo che loro
diventano piccoli e parlano con la voce di un bambino e fanno gesti di bambini. Uno che guarda
dal di fuori può pensare: ma questi sono ridicoli! Si rimpiccioliscono, proprio lì, no? Perché
l’amore del papà e della mamma ha necessità di avvicinarsi, dico questa parola: di abbassarsi
proprio al mondo del bambino. Eh sì: se papà e mamma gli parlano normalmente, il bambino
capirà lo stesso; ma loro vogliono prendere il modo di parlare del bambino. Si avvicinano, si fanno
bambini. E così è il Signore. […] E poi, il papà e la mamma dicono anche cose un po’ ridicole al
bambino: ‘Ah, amore mio, giocattolo mio …’, e tutte queste cose. Anche il Signore lo dice:
‘Vermiciattolo di Giacobbe’, ‘tu sei come un vermiciattolo per me, una cosina piccolina, ma ti
amo tanto’. Questo è il linguaggio del Signore, il linguaggio d’amore di padre, di madre. Parola
del Signore? Sì, sentiamo quello che ci dice. Ma anche vediamo come lo dice. E noi dobbiamo
fare quello che fa il Signore, fare quello che dice e farlo come lo dice: con amore, con tenerezza,
con quella condiscendenza verso i fratelli […] Questa è la musica del linguaggio del Signore, e
noi nella preparazione al Natale dobbiamo sentirla: ci farà bene sentirla, ci farà tanto bene.
Normalmente, il Natale sembra una festa di molto rumore: ci farà bene fare un po’ di silenzio e
sentire queste parole di amore, queste parole di tanta vicinanza, queste parole di tenerezza … ‘Tu
sei un vermiciattolo, ma io ti amo tanto!’. Per questo. E fare silenzio, in questo tempo in cui, come
dice il prefazio, noi siamo vigilanti in attesa”48.
In un’altra occasione, per la Messa mattutina a Santa Marta l’11 dicembre 2014, Papa
Francesco paragonò Dio ad una mamma che canta la ninna nanna al suo bambino,
prendendo lo spunto un brano del profeta Isaia. Ne riporto alcuni passaggi:
“È tanta la vicinanza, che Dio si presenta qui come una mamma, come una mamma che dialoga
con il suo bambino: una mamma quando canta la ninna nanna al bambino e prende la voce del
bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo
se uno non capisse cosa c’è lì di grande: ‘Non temere, vermiciattolo di Giacobbe’. Ma, quante
volte una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza, eh? Ecco, ti rendo come una
trebbia acuminata, nuova… ti farò grande… E lo carezza, e lo fa più vicino a lei. E Dio fa così. È

48
FRANCESCO, Quando il silenzio è musica, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae
Marthae, da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 286, (venerdì 13/12/2013).

43
la tenerezza di Dio. È tanto vicino a noi che si esprime con questa tenerezza: la tenerezza di una
mamma”. […] “La grazia di Dio – ha sottolineato - è un’altra cosa: è vicinanza, è tenerezza. Questa
regola serve sempre. Se tu nel tuo rapporto con il Signore non senti che Lui ti ama con tenerezza,
ancora ti manca qualcosa, ancora non hai capito cos’è la grazia, ancora non hai ricevuto la grazia
che è questa vicinanza”. […] ‘Io sono giusto se faccio questo, questo, questo. Se non faccio questo
non sono giusto’. Ma tu sei giusto perché Dio ti si è avvicinato, perché Dio ti carezza, perché Dio
ti dice queste cose belle con tenerezza: questa è la giustizia nostra, questa vicinanza di Dio, questa
tenerezza, questo amore. Anche a rischio di sembrarci ridicolo il nostro Dio è tanto buono. Se noi
avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, quanta libertà spirituale
avremmo! Quanta! Oggi, se avete un po’ di tempo, a casa vostra, prendete la Bibbia: Isaia, capitolo
41, dal versetto 13 al 20, sette versetti. E leggetelo. Questa tenerezza di Dio, questo Dio che ci
canta a ognuno di noi la ninna nanna, come una mamma”49.
Il 27 giugno 2014, in occasione della meditazione mattutina nella Cappella di Santa
Marta, in occasione della ricorrenza del Sacro Cuore, papa Francesco ha usato delle parole
molto speciali per dire che Dio è innamorato di questa umanità. Il testo riportato di seguito
è tratto dall’articolo dell’Osservatore Romano:
“Abbiamo un Dio «innamorato di noi», che ci accarezza teneramente e ci canta la ninnananna
proprio come fa un papà con il suo bambino. Non solo: lui ci cerca per primo, ci aspetta e ci insegna
a essere «piccoli», perché «l’amore è più nel dare che nel ricevere» ed è «più nelle opere che nelle
parole». […] due volte (Dio) ci parla dei piccoli. Infatti, nella prima lettura, tratta dal libro del
Deuteronomio (7, 6-11), «Mosè spiega perché il popolo è stato eletto e dice: perché siete il più
piccolo di tutti i popoli». Poi, nel Vangelo di Matteo (11, 25-30), «Gesù loda il Padre perché ha
nascosto le cose divine ai dotti e le ha rivelate ai piccoli» […] per capire l’amore di Dio è necessaria
questa piccolezza di cuore. Del resto, Gesù lo dice chiaramente: se non diventerete come bambini
non entrerete nel regno dei cieli. Farsi bambini, farsi piccoli, perché soltanto in quella piccolezza,
in quell’abbassarsi si può ricevere l’amore di Dio. E difatti Dio lo ricorda al popolo: «Ricordati,
io ti ho insegnato a camminare come un papà fa con il suo bambino». Si tratta proprio di «quel
rapporto da papà a bambino». […] Il Signore è innamorato di noi … usa pure parole che sembrano
una ninnananna. «Non temere, vermiciattolo di Israele, non temere!». E ci accarezza, appunto,
dicendoci: «Io sono con te, io ti prendo la mano» …se noi ci sentiamo forti, mai avremo
l’esperienza delle carezze tanto belle del Signore. […] anche lui, il Figlio di Dio, si abbassa per
ricevere l’amore del Padre. […] Dio per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro
abbassarsi. E ha bisogno anche del nostro stupore quando lo cerchiamo e lo troviamo lì ad
aspettarci. […] Il Signore, dia a ogni cristiano la grazia di capire, di sentire, di entrare in questo
mondo così misterioso, di stupirci e di avere pace con questo amore che si comunica, ci dà la gioia
e ci porta nella strada della vita come un bambino tenuto per mano”50.
Riporto di seguito la trascrizione della bellissima Catechesi sulla famiglia che
papa Francesco ha rivolto ai partecipanti all’udienza generale di mercoledì 7
gennaio 2015:
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Oggi continuiamo con le catechesi sulla Chiesa e
faremo una riflessione sulla Chiesa madre. La Chiesa è madre. La nostra Santa madre
Chiesa.
In questi giorni la liturgia della Chiesa ha posto dinanzi ai nostri occhi l’icona della
Vergine Maria Madre di Dio. Il primo giorno dell’anno è la festa della Madre di Dio, a

49
FRANCESCO, La ninna nanna di Dio, da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.283,
(venerdì 12/12/2014).
50
FRANCESCO, La ninna nanna di Dio, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae
Marthae, (27 giugno 2014), da L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.145, (sabato
28/06/2014).

44
cui segue l’Epifania, con il ricordo della visita dei Magi. Scrive l’evangelista Matteo:
«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo
adorarono» (Mt 2,11). È la Madre che, dopo averlo generato, presenta il Figlio al mondo.
Lei ci dà Gesù, lei ci mostra Gesù, lei ci fa vedere Gesù.
Continuiamo con le catechesi sulla famiglia e nella famiglia c’è la madre. Ogni persona
umana deve la vita a una madre, e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza
successiva, della formazione umana e spirituale. La madre, però, pur essendo molto
esaltata dal punto di vista simbolico, - tante poesie, tante cose belle che si dicono
poeticamente della madre - viene poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco
considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta della
disponibilità delle madri a sacrificarsi per i figli per “risparmiare” sulle spese sociali.
Accade che anche nella comunità cristiana la madre non sia sempre tenuta nel giusto
conto, che sia poco ascoltata. Eppure, al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di
Gesù. Forse le madri, pronte a tanti sacrifici per i propri figli, e non di rado anche per
quelli altrui, dovrebbero trovare più ascolto. Bisognerebbe comprendere di più la loro
lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia;
bisognerebbe capire meglio a che cosa esse aspirano per esprimere i frutti migliori e
autentici della loro emancipazione. Una madre con i figli ha sempre problemi, sempre
lavoro. Io ricordo a casa, eravamo cinque figli e mentre uno ne faceva una, l’altro pensava
di farne un’altra, e la povera mamma andava da una parte all’altra, ma era felice. Ci ha
dato tanto.
Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. “Individuo”
vuol dire “che non si può dividere”. Le madri invece si “dividono”, a partire da quando
ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere. Sono esse, le madri, a odiare
maggiormente la guerra, che uccide i loro figli. Tante volte ho pensato a quelle mamme
quando hanno ricevuto la lettera: “Le dico che suo figlio è caduto in difesa della patria…”.
Povere donne! Come soffre una madre! Sono esse a testimoniare la bellezza della vita.
L’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero diceva che le mamme vivono un “martirio
materno”. Nell’omelia per il funerale di un prete assassinato dagli squadroni della morte,
egli disse, riecheggiando il Concilio Vaticano II: «Tutti dobbiamo essere disposti a morire
per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore… Dare la vita non
significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel
silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita
quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con
la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo
allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. È dare la vita. È martirio». Fino a qui la
citazione. Sì, essere madre non significa solo mettere al mondo un figlio, ma è anche una
scelta di vita. Cosa sceglie una madre, qual è la scelta di vita di una madre? La scelta di
vita di una madre è la scelta di dare la vita. E questo è grande, questo è bello.
Una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno
testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza
morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa:
nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara, è inscritto il
valore della fede nella vita di un essere umano. È un messaggio che le madri credenti
sanno trasmettere senza tante spiegazioni: queste arriveranno dopo, ma il germe della fede
sta in quei primi, preziosissimi momenti. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi
fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo. E la Chiesa
è madre, con tutto questo, è nostra madre! Noi non siamo orfani, abbiamo una madre! La
Madonna, la madre Chiesa, e la nostra mamma. Non siamo orfani, siamo figli della
Chiesa, siamo figli della Madonna, e siamo figli delle nostre madri.
Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla
Chiesa e al mondo. E a te, amata Chiesa, grazie, grazie per essere madre. E a te, Maria,

45
madre di Dio, grazie per farci vedere Gesù. E grazie a tutte le mamme qui presenti: le
salutiamo con un applauso!”51.
Nel 2017, sempre in occasione di una meditazione mattutina a Casa Santa Marta,
Papa Francesco ha ripreso il tema della tenerezza, del canto della ninna nanna, del
modo con il quale Dio è vicino alla nostra umanità nel corso della vita, con la cura
che hanno i genitori quando rispondono al proprio bambino, con la cura tenera e
premurosa del buon samaritano quando si avvicina a guarire le nostre piaghe, la
nostra fragilità tanto bisognosa di essere sanata e confortata. Riporto di seguito il
testo trascritto da “L’Osservatore Romano”:
Il brano tratto dal libro della consolazione di Israele del profeta Isaia (41, 13-20),
evidenzia un tratto del nostro Dio, un tratto che è la definizione propria di lui: la
tenerezza...anche nel salmo 144: «La sua tenerezza si espande su tutte le creature».
Questo passo di Isaia incomincia con la presentazione di Dio: “Io sono il Signore, tuo
Dio, che ti tengo per la destra e ti dico: Non temere, io ti vengo in aiuto”. «Non temere,
vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele». Dio parla come il papà al bambino». E infatti,
ha fatto presente, quando il papà vuol parlare al bambino, rimpiccolisce la voce e, anche,
cerca di farla più simile a quella del bambino». Di più, «quando il papà parla con il
bambino sembra fare il ridicolo, perché si fa bambino: e questa è la tenerezza».
Dio ci parla così, ci carezza così: «Non temere, vermiciattolo, larva, piccolo». Sembra
che il nostro Dio voglia cantarci la ninna nanna…il nostro Dio è capace di questo, la sua
tenerezza è così: è padre e madre. […] Ma quanto è bello fare questa contemplazione
della tenerezza di Dio! Quando noi vogliamo pensare soltanto nel Dio grande, ma
dimentichiamo il mistero dell’incarnazione, quell’accondiscendenza di Dio fra noi, venire
incontro: il Dio che non solo è padre ma è papà. […] Io sono capace di parlare con il
Signore così o ho paura? Ognuno risponda. Ma qualcuno può dire, può domandare: ma
qual è il luogo teologico della tenerezza di Dio? Dove si può trovare bene la tenerezza di
Dio? Qual è il posto dove si manifesta meglio la tenerezza di Dio? La risposta è la piaga:
le mie piaghe, le tue piaghe, quando s’incontra la mia piaga con la sua piaga. Nelle loro
piaghe siamo stati guariti. […] Mi piace pensare a cos’è successo a quel povero uomo che
era caduto nelle mani dei briganti nel cammino da Gerusalemme verso Gerico, a cosa è
accaduto quando lui riprese la coscienza e si trova sul letto. Domandò sicuramente
all’ospedaliere: “cosa è successo?”. Lui, povero uomo, lo ha raccontato: “Sei stato
bastonato, hai perso la coscienza” — “Ma perché sono qui?” — “Perché è venuto uno che
ha pulito le tue piaghe. Ti ha guarito, ti ha portato qui, ha pagato la pensione e ha detto
che tornerà per aggiustare i conti se c’è da pagare qualcosa di più”. Questo è il luogo
teologico della tenerezza di Dio: le nostre piaghe» ha affermato il Papa. Cosa ci chiede il
Signore? “Ma vai, dai, dai: fammi vedere la tua piaga, fammi vedere le tue piaghe. Io
voglio toccarle, Io voglio guarirle”». Ed è «lì, nell’incontro della piaga nostra con la piaga
del Signore che è il prezzo della nostra salvezza, lì c’è la tenerezza di Dio. 52

51
FRANCESCO, Udienza Generale, Aula Paolo VI, 7 gennaio 2015 in:
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150107_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
52
FRANCESCO, Tenere conto delle piccole cose, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae
Marthae, (giovedì, 14 dicembre 2017), da L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.287,
(15/12/2017).

46
2.3 Le udienze generali del mercoledì dal 17 dicembre 2014 al 24 giugno 2015
Papa Francesco ha dedicato una particolare attenzione al tema della famiglia, ai legami
famigliari nella concretezza del quotidiano comunicando, con grande semplicità, le
dinamiche affettive caratterizzanti il focolare domestico. Di seguito riporto alcuni
passaggi dei suoi discorsi tenuti in occasione delle udienze generali del mercoledì, dal 17
dicembre 2014 al 24 giugno 2015, nei quali emergono l’approccio caritatevole e la
tenerezza come modalità e linguaggio in grado di abbracciare ogni situazione famigliare,
con uno stile famigliare.
Dall’udienza di mercoledì 17 dicembre 201453:
Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso […] Non era una
famiglia finta, non era una famiglia irreale. La famiglia di Nazareth ci impegna a riscoprire la
vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia. E, come accadde in quei trent’anni a
Nazareth, così può accadere anche per noi: far diventare normale l’amore e non l’odio, far
diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia. Non è un caso, allora, che
“Nazareth” significhi “Colei che custodisce”, come Maria, che «custodiva nel suo cuore tutte
queste cose» (cfr Lc 2, 19.51). Da allora, ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo
mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che
viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo. Questa è la grande missione della
famiglia: far posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del
marito, della moglie, dei nonni… Gesù è lì. Accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente in quella
famiglia.
Dall’udienza di mercoledì 7 gennaio 201554:
Una società senza madri sarebbe disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei
momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche
il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione
che un bambino impara, è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano. È un
messaggio che le madri credenti sanno trasmettere senza tante spiegazioni: queste arriveranno
dopo, ma il germe della fede sta in quei primi, preziosissimi momenti.
Dall’udienza di mercoledì 28 gennaio 201555:
L’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che
possono essere anche gravi. Le devianze di bambini e degli adolescenti si possono in buona parte
ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e guide autorevoli nella loro vita di ogni
giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri. È più profondo di quel
che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani. Sono orfani in famiglia, perché i papà
sono assenti, anche fisicamente, da casa, ma soprattutto perché, quando ci sono, non si comportano
da padri, non dialogano con i loro figli, non adempiono il loro compito educativo, non danno ai
figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di
vita di cui hanno bisogno come del pane. La qualità educativa della presenza paterna è tanto più

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FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 17 dicembre 2014,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papafrancesco_20141217_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
54
FRANCESCO, Udienza Generale, Aula Polo VI, 7 gennaio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150107_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
55
FRANCESCO, Udienza Generale, Aula Polo VI, 28 gennaio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150128_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).

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necessaria quanto più il papà è costretto dal lavoro a stare lontano da casa. A volte sembra che i
papà non sappiano bene quale posto occupare in famiglia e come educare i figli. E allora, nel
dubbio, si astengono, si ritirano e trascurano le loro responsabilità, magari rifugiandosi in un
improbabile rapporto “alla pari” con i figli. È vero che tu devi essere “compagno” di tuo figlio, ma
senza dimenticare che tu sei il padre! Se ti comporti come un compagno alla pari del figlio, questo
non farà bene al ragazzo.
Dall’udienza di mercoledì 11 febbraio 201556:
Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché bello, o perché è così o cosà; no, perché è figlio!
Non perché la pensa come me o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da
noi ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera. Di qui
viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di
scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. È la bellezza di
essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Quante volte trovo le mamme in piazza
che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione … questi bimbi sono amati prima di
venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore
di Dio che ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo, prima
di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione
fondamentale per conoscere l’amore di Dio, che è la fonte ultima di questo autentico miracolo.
[…] La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce! I
figli imparano a farsi carico della loro famiglia, maturano nella condivisione dei suoi sacrifici,
crescono nell’apprezzamento dei suoi doni. L’esperienza lieta della fraternità anima il rispetto e la
cura dei genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza.
Dall’udienza di mercoledì 18 febbraio 201557:
Il legame di fraternità che si forma in famiglia, se avviene in un clima di educazione all’apertura
agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza
umana, come si deve convivere in società. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio
la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità,
nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa
sull’intera società e sui rapporti tra i popoli. La benedizione che Dio, in Gesù Cristo, riversa su
questo legame di fraternità dilata un modo inimmaginabile, rendendolo capace di oltrepassare ogni
differenza di nazione, di lingua, di cultura e persino di religione.
Dall’udienza di mercoledì 4 marzo 201558:
Benedetto XVI, visitando una casa per anziani, usò parole chiare e profetiche: «La qualità di una
società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro
riservato nel vivere comune» (12.XI.2012). È vero, l’attenzione agli anziani fa la differenza di una
civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà
avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani. In una civiltà in cui non c’è posto
per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della
morte […]
Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa
strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini
e donne dai quali abbiamo ricevuto molto. L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra
poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a

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FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 11 febbraio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150211_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
57
FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 18 febbraio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150218_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
58
FRANCESCO, Udienza Generale, 4 marzo 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150304_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).

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trattare bene gli anziani, così tratteranno a noi. Fragili siamo un po’ tutti, i vecchi. Alcuni, però,
sono particolarmente deboli, molti sono soli e segnati dalla malattia. Alcuni dipendono da cure
indispensabili e dall’attenzione degli altri. … Li abbandoneremo al loro destino? Una società senza
amore, dove l’amore è l’affetto senza contropartita ... va scomparendo, è una società perversa. ...
Una comunità cristiana in cui prossimità e gratuità non fossero più considerate indispensabili,
perderebbe con esse la sua anima. ...
Dall’udienza di mercoledì 11 marzo 201559:
Quando sono stato nelle Filippine, il popolo filippino mi salutava dicendo: “Lolo Kiko” – cioè
nonno Francesco - “Lolo Kiko”, dicevano! Una prima cosa è importante sottolineare: è vero che
la società tende a scartarci, ma di certo non il Signore. Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama
a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera
vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Cari nonni, cari anziani, mettiamoci nella scia
di questi vecchi straordinari, (il "vecchio" Simeone e la "profetessa" Anna)! Diventiamo anche noi
un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle
che ci insegna la Parola di Dio.’ un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli
anziani! La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una
grande iniezione di saggezza per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo
indaffarata, troppo presa, troppo distratta. Qualcuno deve pur cantare, anche per loro, cantare i
segni di Dio, proclamare i segni di Dio, pregare per loro! Guardiamo a papa Benedetto XVI, che
ha scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita! E’ bello
questo! Un grande credente del secolo scorso, di tradizione ortodossa, Olivier Clément, diceva:
“Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è
terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è
data per questo.

Dall’udienza di mercoledì 18 marzo 201560:


I bambini ci ricordano un’altra cosa bella; ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno
diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di
sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli. Questo ci riporta sempre al fatto
che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo
regalo che abbiamo ricevuto. ...Rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo i
padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di
grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo
e rimaniamo figli. ... Ma ci sono tanti doni, tante ricchezze che i bambini portano all’umanità. Ne
ricordo solo alcuni. Portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e puro. Il
bambino ha una spontanea fiducia nel papà e nella mamma; ha una spontanea fiducia in Dio, in
Gesù, nella Madonna. Nello stesso tempo, il suo sguardo interiore è puro, non ancora inquinato
dalla malizia, dalle doppiezze, dalle “incrostazioni” della vita che induriscono il cuore. Sappiamo
che anche i bambini hanno il peccato originale, che hanno i loro egoismi, ma conservano una
purezza, e una semplicità interiore. Ma i bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono,
dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori, dicendo
davanti alle altre persone: “Questo non mi piace perché è brutto”. I bambini dicono quello che
vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che
noi adulti purtroppo abbiamo imparato. I bambini inoltre - nella loro semplicità interiore - portano
con sé la capacità di ricevere e dare tenerezza. Tenerezza è avere un cuore di carne e non di pietra
(cfr Ez 36,26).

59
FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 11 marzo 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150311_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
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FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 18 marzo 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150318_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).

49
Dall’udienza di mercoledì 29 aprile 201561:
La famiglia è in cima a tutti gli indici di gradimento fra i giovani; ma, per paura di sbagliare, molti
non vogliono neppure pensarci; pur essendo cristiani, non pensano al matrimonio sacramentale,
segno unico e irripetibile dell’alleanza …. Forse proprio questa paura di fallire è il più grande
ostacolo ad accogliere la parola di Cristo, che promette la sua grazia all’unione coniugale e alla
famiglia. La testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano è la vita
buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del
sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che
Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita
coniugale e familiare… Cari fratelli e sorelle, non abbiamo paura di invitare Gesù alla festa di
nozze, di invitarlo a casa nostra, perché sia con noi e custodisca la famiglia. E non abbiamo paura
di invitare anche la sua Madre Maria! I cristiani, quando si sposano “nel Signore”, vengono
trasformati in un segno efficace dell’amore di Dio. I cristiani non si sposano solo per sé stessi: si
sposano nel Signore in favore di tutta la comunità, dell’intera società.
Dall’udienza di mercoledì 6 maggio 201562:
…La rotta è così segnata per sempre, è la rotta dell’amore: si ama come ama Dio, per sempre.
Cristo non cessa di prendersi cura della Chiesa: la ama sempre, la custodisce sempre, come sé
stesso. Cristo non cessa di togliere dal volto umano le macchie e le rughe di ogni genere.
Commovente e tanto bella questa irradiazione della forza e della tenerezza di Dio che si trasmette
da coppia a coppia, da famiglia a famiglia. Ha ragione san Paolo: questo è proprio un “mistero
grande”! Uomini e donne, coraggiosi abbastanza per portare questo tesoro nei “vasi di creta” della
nostra umanità, sono - questi uomini e queste donne così coraggiosi - sono una risorsa essenziale
per la Chiesa, anche per tutto il mondo!
Dall’udienza di mercoledì 13 maggio 201563:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La catechesi di oggi è come la porta d’ingresso di una serie di riflessioni sulla vita della famiglia,
la sua vita reale, con i suoi tempi e i suoi avvenimenti. Su questa porta d’ingresso sono scritte tre
parole, che ho già utilizzato diverse volte. E queste parole sono: “permesso?”, “grazie”, “scusa”.
Infatti, queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono
parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la
forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece, la loro mancanza, a
poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare.
Noi le intendiamo normalmente come le parole della “buona educazione”. Va bene, una persona
ben educata chiede permesso, dice grazie o si scusa se sbaglia. Va bene, la buona educazione è
molto importante. Un grande vescovo, san Francesco di Sales, soleva dire che “la buona
educazione è già mezza santità”. Però, attenzione, nella storia abbiamo conosciuto anche un
formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo e
il disinteresse per l’altro. Si usa dire: “Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini”.
Nemmeno la religione è al riparo da questo rischio, che fa scivolare l’osservanza formale nella
mondanità spirituale. Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere e cita le Sacre Scritture,
sembra un teologo! Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità
dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo

61
FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 29 aprile 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150429_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
62
FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 6 maggio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150506_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).
63
FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 13 maggio 2015,
http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papafrancesco_20150513_udienza
-generale.html (ultima visita 5.02.2021).

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stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La
famiglia vive di questa finezza del voler bene.
La prima parola è “permesso?”. Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello
che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della
convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della
nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il
rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è
intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra
la porta del suo cuore. A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro
dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la
porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Anche il Signore chiede il permesso
per entrare! Non dimentichiamolo. Prima di fare una cosa in famiglia: “Permesso, posso farlo? Ti
piace che io faccia così?”. Quel linguaggio educato e pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle
famiglie.
La seconda parola è “grazie”. Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle
cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo
dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come
un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel
grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine,
alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita
famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un
credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato
la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua
di Dio. Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a
ringraziare (cfr Lc 17,18). Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto
buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: “La gratitudine è una pianta che
cresce soltanto nella terra delle anime nobili”. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio
nell’anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine. È il fiore di un’anima nobile. È una bella cosa
questa!
La terza parola è “scusa”. Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole
crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella
preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che riassume tutte le domande essenziali per la
nostra vita, troviamo questa espressione: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai
nostri debitori» (Mt 6,12). Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che
si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non
siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci
si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti,
tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”.
Nella vita matrimoniale si litiga, a volte anche “volano i piatti”, ma vi do un consiglio: mai finire
la giornata senza fare la pace! Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori?
Avete litigato forte? Non va bene, ma non è il vero problema. Il problema è che questo sentimento
sia presente il giorno dopo. Per questo, se avete litigato, mai finire la giornata senza fare la pace
in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una
cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata
in famiglia senza fare la pace! Capito questo? Non è facile, ma si deve fare. E con questo la vita
sarà più bella.
Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno
sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione,
forse, le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella
nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile.
E adesso vi invito a ripetere tutti insieme queste tre parole: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Tutti
insieme: (piazza) “permesso”, “grazie”, “scusa”. Sono le parole per entrare proprio nell’amore
della famiglia, perché la famiglia vada rimanga. Poi ripetiamo quel consiglio che ho dato, tutti
insieme: Mai finire la giornata senza fare la pace. Tutti: (piazza): Mai finire la giornata senza fare
la pace. Grazie.

51
Conclusione
A completare questo capitolo, riporto un altro notevole contributo grazie alle parole di
Mons. Pierangelo Sequeri, preside del Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II”
per le scienze del matrimonio e della famiglia”, pronunciate in occasione del convegno
svoltosi ad Assisi dal 14 al 16 settembre 2018 presso la Domus Pacis dedicato alla
teologia della tenerezza in Papa Francesco.
“La ‘rivoluzione della tenerezza’, simbolicamente rilanciata da Papa Francesco, deve essere intesa
anche come un ribaltamento dei suoi significati correnti, ai quali, non raramente, è stato associato
– erroneamente – anche lo stile della misericordia e della carità cristiana. […] La tenerezza non è
un’emozione passiva e debole dell’amore per la vita: è la forza gentile della sua giustizia, la forma
estetica della sua verità: ossia, l’evidenza dell’amore come deve essere. […] Esprime la nostra
capacità di plasmare uno stile personale e relazionale ispirato all’etica degli affetti umani, che
mette in circolazione il piacere e la bellezza della loro qualità spirituale. […] E così, diventa
habitus virtuoso della convivenza, che resiste con serena fermezza al dilagare della rozzezza del
desiderio pulsionale, e restituisce forza alla prossimità che generano e rigenera la vita fra gli
uomini. […] La comunità cristiana deve diventare il luogo della riabilitazione di questa forza
gentile, che il Figlio Gesù ha mostrato come lo stile proprio dell’amore di Dio”64.
Argomentare sulla spiritualità della tenerezza come forza vitale per la famiglia e per la
comunità sociale, arricchisce e abbellisce i termini della relazione umana.
Il modo di esprimersi di Papa Francesco, il linguaggio semplice e schietto, la gioia e la
tenerezza con le quali abbraccia l’umanità nell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”,
sono sostenuti dal metodo narrativo dei suoi interventi. In particolare, le tre parole-chiave
della famiglia: “permesso?”, “grazie”, “scusa” offrono un ottimo consiglio per impostare
una spiritualità famigliare, per aprire la strada per vivere bene e in pace nella famiglia.
Sarebbe una buona idea musicare una ninna nanna con queste tre parole.

64
P. SEQUERI, La tenerezza come estetica spirituale dell’amore in Papa Francesco , in:
https://www.agensir.it/quotidiano/2018/9/17/teologia-della.tenerezza, 15 settembre 2018 (ultima visita
5.02.2021).

52
CAPITOLO III

LA NINNA NANNA
PER UNA PROSPETTIVA PASTORALE NUOVA

Introduzione
“Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero;
qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si sia affrettata stasera –
osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo […] La mia persona conta niente, è un fratello
che parla a voi, diventato Padre per la volontà di Nostro Signore, ma tutt’insieme: paternità e
fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto! Continuiamo, dunque, a volerci bene, a volerci bene così, a
volerci bene così, guardandoci così nell’incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte
quello - se c’è – qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà. […] Tornando a casa, troverete
i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete
qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente
nelle ore della tristezza e dell'amarezza. E poi, tutti insieme ci animiamo cantando, sospirando,
piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuare e
riprendere il nostro cammino”65.
Quanta tenerezza in queste parole di papa Giovanni XXIII, quanta umanità. Sembra che
con l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II ci fosse già qualche accenno al
linguaggio della tenerezza. Rileggendo ma anche ascoltando questo famoso discorso “a
braccio”, come si suol dire, ho ritrovato lo stile e l’effetto emotivo che svolge la ninna
nanna sul bambino che si abbandona alla tregua della notte addormentandosi tranquillo,
perché si sente protetto, sicuro, amato e sereno nella sua casa.
Il rituale della ninna nanna esteso come valore simbolico che si presta ad assumere nella
vita di tutti, a qualsiasi età, come esperienza che può concretizzarsi nelle nostre relazioni,
nelle situazioni di sofferenza e di abbandono, nel modo con cui semplicemente ascoltiamo
il nostro prossimo, nel nostro atteggiamento in famiglia, si rivela un metodo efficace di
interazione.
Nel capitolo che segue, sulla scia di quanto affermato nel precedente, viene specificata
un’altra modalità della tenerezza che oltre ad essere frutto di una spiritualità coniugale e
famigliare caratterizzata dalla narrazione come modalità di interazione fra generazioni,
rappresenta un criterio di trasmissione della fede.

65
GIOVANNI XXIII, Saluto del Santo Padre Giovanni XXIII ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in
occasione dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, in: http://www.vatican.va/content/john-
xxiii/it/speeches/1962/documents/hf_j-xxiii_spe_19621011_luna.html, Giovedì, 11 ottobre 1962 (ultima
visita 5.02.2021).

53
Vengono presentati, inoltre, alcuni progetti sulla ninna nanna a dimostrare che
l’apprezzamento di questo rituale non è un virtuosismo per curiosi, bensì un genere
letterario che racchiude tradizioni, storie, consuetudini, radicate nel vissuto delle
generazioni e può dimostrarsi un utile modello per trasmettere la fede, per aprire nuovi
snodi nelle ossidate formule di un’ora di catechismo, ad esempio. Si tratta di pensare a
tutta la forza creativa e comunicativa che ha in sé la ninna nanna per guardare con occhi
diversi alle modalità da scegliere per la preparazione ai sacramenti in special modo al
Matrimonio e al Battesimo, dove c’è tanto bisogno di imparare la dimensione affettiva
della tenerezza per educarsi e per educare. Per questo aspetto educativo e di trasmissione
della fede si presentano a sostegno gli insegnamenti contenuti nell’esortazione apostolica
“Amoris Laetitia”.
Infine, la potenza della ninna nanna deve potersi tradurre e trovare applicazione concreta
nel quotidiano per abbracciare l’umanità nelle diverse tappe di questo percorso
esistenziale nella nostra “casa comune”.
Ci sono tanti sacerdoti, parroci e parrocchie che portano avanti iniziative sbalorditive
anche in questo tempo provato dalla pandemia; c’è una capacità creativa in grado di
reinventarsi davanti ai limiti e alle restrizioni dovute a motivi di precauzione e di
prudenza. Il desiderio di accogliere, di ascoltare, di annunciare il Vangelo, di aiutare chi
si trova in particolari situazioni di difficoltà esalta, in certi casi, la voglia di portare il
Kerygma a tutti, anche ai più lontani.
Ma forse, oltre alle cose da fare e ai programmi da rispettare, ci vuole un’attenzione e una
cura verso la famiglia ma non tanto per portarla in Chiesa, come si dice in termini rudi,
ma per accompagnarla a sentirsi Chiesa in cammino.
Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica “Familiaris consortio” al n. 65 così scrisse:
“Perciò è da sottolineare una volta di più l'urgenza dell'intervento pastorale della Chiesa a sostegno
della famiglia. Bisogna fare ogni sforzo perché la pastorale della famiglia si affermi e si sviluppi,
dedicandosi a un settore veramente prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione, in futuro,
dipende in gran parte dalla Chiesa domestica. […] L'azione pastorale della Chiesa deve essere
progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo a passo nelle
diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo”66.
Papa Francesco riprende e amplia la riflessione sulla pastorale famigliare al capitolo VI
dell’“Amoris Laetitia” tracciando un percorso nuovo, più comprensivo delle varie

66
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, (22.11.1981).

54
situazioni concrete nelle quali vivono le famiglie, avvalendosi di parole come rispetto,
gioia, umiltà, accompagnamento, perdono.
Abbracciare le famiglie con lo stile di una ninna nanna, ripetitivo, che non si stanca, che
trova continui adattamenti nel cullare, che modula il tono della voce in base allo stato
d’animo, che si adatta al tipo di inquietudine, che porta calore e dolcezza al cuore, che
testimonia una dolce umanità e una dedizione premurosa, è la via per una pastorale
famigliare. Gesù si è abbassato per amare questo mondo. Noi, solo facendoci piccoli come
bambini possiamo essere testimoni di questo amore gratuito, tenero e accogliente. Solo
tornando piccoli come bambini si cresce nell’amore perché si ha un cuore libero di
ricevere e di donare la tenerezza. Così è Dio, “come una mamma che canta una ninna
nanna”.

3.1 Ninna Nanna e trasmissione della fede?


La spiritualità dell’amore famigliare è fatta di gesti reali e concreti che costruiscono,
giorno dopo giorno, la comunione nella casa dove si abita. In tutti i focolari domestici
Dio trova la propria dimora. Come viene osservato da Mons. Carlo Rocchetta 67,
nell’”Amoris Laetitia” al n. 317 papa Francesco rimanda al numero 42 della “Vita
Consecrata”, esortazione apostolica di papa Giovanni Paolo II, dove viene ribadito che
la dimensione di comunione fraterna acquista speciale significato nella vita di una
comunità ma “non è estranea né agli Istituti Secolari né alle stesse forme individuali di
vita consacrata”. Inoltre, anche tra gli stessi discepoli di Gesù non c’era unità vera “senza
questo amore reciproco incondizionato, che esige disponibilità al servizio senza
risparmio di energie, prontezza ad accogliere l'altro così com'è senza «giudicarlo» (cfr
Mt 7, 1-2), capacità di perdonare anche «settanta volte sette» (Mt 18, 22)68.
Papa Francesco ci ricorda che la famiglia è l’ambito della socializzazione primaria, primo
luogo dove impariamo ad interagire con l’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare,
a rispettare, ad aiutare, a convivere. “Il compito educativo deve suscitare il sentimento del
mondo e della società come ‘ambiente familiare’, è un’educazione al saper ‘abitare’,

67
C. ROCCHETTA, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris Laetitia, Edizioni
Dehoniane Bologna, Bologna 2017.
68
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica all’Episcopato e al clero, agli Ordini religiosi e
Congregazioni religiose, alle Società di Vita Apostolica, agli Istituti secolari e a tutti i fedeli circa la vita
consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, Vita Consecrata, (25 marzo 1996).

55
oltre i limiti della propria casa. Nel contesto familiare si insegna a recuperare la
prossimità, il prendersi cura, il saluto. Lì si rompe il primo cerchio del mortale egoismo
per riconoscere che viviamo insieme ad altri, con altri, che sono degni della nostra
attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto. Non c’è legame sociale senza
questa prima dimensione quotidiana…” (AL, 276).
Ancora nell’”Amoris Laetitia”, dal n. 287 al n. 290, il Papa afferma che la trasmissione
della fede presuppone dei genitori che vivono la fiducia in Dio, che lo cercano che
pregano, che lo celebrano perché solo in questo modo «una generazione narra all’altra le
tue opere, annuncia le tue imprese» (Sal 144,4). Nella famiglia, i genitori sono strumento
di Dio e possono far cogliere le ragioni e la bellezza della fede: “è bello quando le mamme
insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Vergine. Quanta tenerezza
c’è in quel gesto!” (AL 287). Per passare la fede ai figli c’è bisogno di simboli, di gesti,
di racconti. “È fondamentale che i figli vedano in maniera concreta che per i loro genitori
la preghiera è realmente importante. Per questo i momenti di preghiera in famiglia e le
espressioni della pietà popolare possono avere maggior forza evangelizzatrice di tutte le
catechesi e tutti i discorsi” (AL 288). La famiglia può rivelarsi come soggetto dell’azione
pastorale attraverso varie forme di testimonianza: “la solidarietà verso i poveri,
l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e
materiale verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la
promozione del bene comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali
ingiuste, a partire dal territorio nel quale essa vive, praticando le opere di misericordia
corporale e spirituale» (AL 290).
Come ha ricordato papa Francesco, trasmettere la fede presuppone che ci sia una fiducia
in Dio, perché solo conservando almeno questo legame con il trascendente, la comunione
fraterna all’interno della famiglia cresce, matura, si corona di una particolare bellezza. Da
questo riconoscimento e gratitudine verso Dio si avvia il percorso cristiano che apre ai
sacramenti dell’iniziazione cristiana. Ma ci vuole questo terreno fecondo. Nella vita di
tutti i giorni, una mamma e un papà che si svegliano facendo un segno di croce, che
prendono le manine del figlio piccolo e le muovono su di lui per insegnare a ripetere il
gesto del segno di croce, che pregano insieme, che partecipano dell’Eucarestia almeno
nelle grandi feste liturgiche, già sono dei piccoli passi per un’educazione cristiana, per un
primo annuncio fatto da una semplice testimonianza.

56
Ripercorrendo la mia esperienza personale, mi ricordo benissimo di alcuni momenti della
giornata, di alcune espressioni che sentivo in famiglia che, automaticamente, diventavano
una verità buona perché “lo dicevano” o “lo facevano” i miei genitori. Mio padre mi
raccontava spesso di suo padre che tutte le sere recitava la preghiera del Santo Rosario e
della gioia che lui provava quando la domenica mattina andavano insieme a sentire la
prima Messa mattutina, molto molto presto, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo al
Celio oppure nella basilica di Santa Maria in Domnica, nota anche come Santa Maria alla
navicella. Dal suo racconto, mi sembrava una vera narrazione di qualcosa di bello, di
importante, una specie di avventura esclusiva, quasi mistica direi oggi, con il suo papà.
Un altro ricordo personale. La mia famiglia ha condiviso la casa con la nonna paterna,
fino alla sua morte. Lei, nonna Maria, era un’altra luce di fede. Ogni sera, prima di andare
a dormire, richiamava me e mio fratello per darci la benedizione: tutte le sere! Per quanto
riguarda mia madre, penso che lei abbia trasmesso la fede attraverso la spiegazione di
alcune opere d’arte. Lei è un’appassionata di pittura e di alcuni artisti in modo particolare,
Caravaggio ad esempio. Quando eravamo piccoli io e mio fratello andavamo con mamma
a visitare i musei di Roma e alcune chiese dove sono esposti i ben noti capolavori che
illustrano le storie della Santa Famiglia e i racconti biblici. Poi, con l’avvicinarsi del
Natale c’era il pomeriggio dedicato all’allestimento, quasi artistico, del Presepe,
rigorosamente l’8 dicembre. In questa occasione, mia madre ci raccontava, ogni volta,
finché eravamo alle scuole elementari, la storia di Gesù. Per me era un momento
emozionante, una festa. Poi, con la Prima Comunione, si è affiancato il percorso
sacramentale e di fede vissuto grazie alla parrocchia. Ne avrei tante di cose da ricordare.
Un’ultima ancora. C’era nel condominio dove abitavo un signore che, ogni volta che
usciva da casa e si avviava verso il portone, faceva il segno della croce. Mi ricordo che
con gli altri amici con i quali giocavamo nel giardino, facevamo dell’ironia su quel gesto
plateale, scenico. Ma crescendo, ho capito che era un segno bellissimo di profonda fiducia
verso Dio al quale, quel signore, consegnava la sua giornata.
Sono queste le piccole cose, i piccoli segni che si notano, che interrogano, che rimangono
e rappresentano una testimonianza, una certezza, una fede provata e vissuta, non una
dottrina.

57
Nel mese di maggio 2018, papa Francesco ha presentato una bellissima meditazione
mattutina a Casa Santa Marta, sulla fede che si tramanda in famiglia e credo sia bello, per
valorizzare questa dimensione, riportare alcune parti e lasciare la parola a lui:
“Nelle grandi città sono sempre più spesso le badanti straniere a fare da seconde mamme e a
trasmettere con la concretezza dell’amore e della testimonianza la fede ai bambini. E forse i
genitori, presi da mille impegni di lavoro, dovrebbero riscoprire la bellezza del loro ruolo nel
trasmettere la fede ai loro figli e non aspettare il catechismo in parrocchia o qualche saltuaria
partecipazione alla messa. […] Nel passo della lettera di san Paolo ai Corinzi si parla della
trasmissione della fede: «A voi, infatti, ho trasmesso anzitutto quello che anche io ho ricevuto».
Ed è proprio così che va trasmessa la fede: do quello che ho ricevuto e Paolo recita quello che ha
ricevuto. Ma la fede non è soltanto la recita del Credo: …trasmettere la fede non è dare
informazioni, ma fondare un cuore, fondare un cuore nella fede in Gesù Cristo…trasmettere la
fede non si può fare meccanicamente, dicendo: prendi questo libretto, studialo e poi ti battezzo…È
un altro il cammino per trasmettere la fede: è trasmettere quello che noi abbiamo ricevuto. Questa
è la sfida di un cristiano: essere fecondo nella trasmissione della fede…è anche la sfida della
Chiesa: essere madre feconda, partorire dei figli nella fede… non è un’esagerazione: lo diciamo
nella cerimonia del Battesimo: la Chiesa che “partorisce”, che è “madre”. […] La Chiesa è madre
se trasmette la fede nell’amore, sempre con aria di amore… non si può trasmettere la fede senza
questa aria materna. […] Nell’amore, nell’amore della famiglia: lì si trasmette la fede, non solo
con parole, ma con amore, con carezze, con tenerezza.
[…] Se il primo atteggiamento per la trasmissione della fede è l’amore, un altro atteggiamento è
la testimonianza. Trasmettere la fede non è fare proselitismo: è un’altra cosa, è più grande ancora.
Bene lo ha detto Benedetto XVI: “La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione”. La
fede si trasmette, ma per attrazione, cioè per testimonianza. […] La testimonianza provoca
curiosità nel cuore dell’altro e quella curiosità la prende lo Spirito Santo» che inizia a lavorarci
dentro…la Chiesa crede per attrazione, cresce per attrazione, e la trasmissione della fede si dà con
la testimonianza, fino al martirio. …Quando si vede questa coerenza di vita con quello che noi
diciamo, sempre viene la curiosità: Ma perché questo vive così? Perché porta una vita di servizio
agli altri? E quella curiosità è il seme che prende lo Spirito Santo e lo porta avanti, e la trasmissione
della fede ci fa giusti, ci giustifica. […] Tante volte a casa si sente dire: quando andrà a catechismo
imparerà”69.

3.2 Alcuni progetti sulla Ninna Nanna


Sono numerose le iniziative e i progetti che ruotano intorno al genere letterario della ninna
nanna. Molto interessate sono le scuole, in special modo quelle dell’infanzia, che hanno
manifestato in diversi modi una sensibile attenzione per valorizzare questo antico rituale.
Ci sono state anche iniziative sul piano europeo, come quella co-finanziata dall’Unione
europea che ha creato il progetto “Lullabies of Europe” per raccogliere tutte le ninne nanne
della Comunità con lo scopo di valorizzarle e preservarne il patrimonio culturale. Si tratta

69
FRANCESCO, La fede si tramanda in famiglia, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae
Marthae, giovedì 3 maggio 2018, da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.100,
(04/05/2018).

58
di un elenco delle ninne nanne raccolte e tradotto in sette lingue (inglese, ceco, danese,
italiano, romeno, greco e turco)70.
In questo contesto, intendo descrivere due bellissime iniziative che hanno attirato la mia
attenzione perché mi sembrano esprimere e rappresentare le emozioni che suscita il canto
della ninna nanna nei suoi significati terapeutici, culturali e religiosi.
La prima si riferisce al “Progetto Ninna Nanna” della Scuola dell’infanzia “Stella del
mattino”, a Codroipo, realizzato in collaborazione con la Diocesi di Udine. Una scuola
con una gestione piuttosto singolare e interessante. Nata come scuola comunale “Caduti
per la patria”, nel 1991. Gestita dall’ “Associazione dei genitori dei bambini della scuola
materna”, aderisce alla Federazione Nazionale Scuole Materne.
Inizialmente, il personale interno era esclusivamente religioso, successivamente viene
inserito il personale laico. Nel 2000 le viene riconosciuta la parità scolastica dal M.P.I e
poi l’autonomia scolastica. Dal primo settembre 2008 la scuola dell’infanzia “Caduti per
la patria” di Codroipo cambia gestione: da comunale diventa parrocchiale ed il suo
Presidente è il Parroco di Codroipo. Coinvolgendo i genitori e la comunità parrocchiale
di Codroipo si è deciso di chiamarla “Stella Del Mattino”. Il cambiamento è divenuto
ufficiale con decreto del M.P.I: del 20 febbraio 2014.
Questa scuola ha portato avanti un progetto, realizzato nell’anno scolastico 2018-2019
con lo scopo di esporre i bambini a molteplici sonorità in modo da stimolare lo sviluppo
naturale dell’area cerebrale adibita al linguaggio durante il riposino pomeridiano, nella
consapevolezza che l’esperienza del rituale della ninna nanna, ripetendosi puntualmente
ad ogni sonno, sempre ugualmente rassicurante, sempre totalmente differente, va ad
alimentare il senso di sicurezza personale e di fiducia in sé e nell’altro, costruendo la
capacità di aprirsi e di porsi in relazione attiva verso gli altri negli anni a venire.
“Attraverso le ninne nanne i bambini iniziano a conoscere le strutture linguistiche e musicali, l’uso
delle parole e dei modi di dire, i personaggi, le abitudini, le tradizioni del proprio ambiente
familiare e culturale, immergendosi, forniti di guida, nell’universo simbolico di significati che li
circonderà da adulti. Un apprendimento che, tuttavia, non può prescindere dalla dimensione
relazionale in cui avviene, proprio a partire dal contatto con la figura protettrice di turno per
propiziare il sonno. Non va peraltro dimenticato che studi recenti confermano la capacità del
bambino di cogliere già alla nascita le modificazioni vocali, in termini di tono, altezza e timbro e
di reagire a queste variazioni, esprimendo senso di benessere, eccitazione, attenzione,
rilassamento. La voce coinvolge quindi la mente, l’emozione e il corpo. Sembra che ad oggi gli
studiosi individuano tre “finestre temporali” per l’acquisizione del linguaggio, corrispondenti ad
altrettante fasi di maturazione cerebrale: la prima infanzia (0-3 anni); la seconda infanzia (4-8
anni); la terza infanzia (9-22 anni). Nei primi due periodi, in particolare, il cervello del bambino è

70
LULLABIES OF EUROPE, in: http://lullabies-of-europe-org.joel-josephson.org/IT/ITindex.htm (ultima
visita 5.02.2021).

59
caratterizzato da un’elevatissima plasticità neuronale, capacità mnemoniche implicite che
favoriscono l’interiorizzazione spontanea di aspetti fonetici e morfosintattici, ricettività
neurosensoriale che permette di acquisire una lingua attraverso l’esperienza; tali caratteristiche
permettono di sviluppare dei momenti privilegiati per l’esposizione a più lingue” 71.
Il progetto prevedeva la proposta di alcune ninna nanne tratte dalla tradizione italiana e
friulana, affiancate da alcune originarie di altre tradizioni del mondo, inserendole con un
determinato ritmo settimanale, ad esempio il lunedì in italiano, il martedì in friulano, il
mercoledì in inglese ecc. per caratterizzare il rituale della ninna nanna di una
connotazione identitaria, multiculturale e educativa. In base alle Indicazioni Nazionali il
progetto ha avvalorato i seguenti aspetti:
• promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza e
avviandoli alla cittadinanza.

• Consolidare l’identità significa vivere serenamente tutte le dimensioni del proprio io, stare
bene, essere rassicurati nella molteplicità del proprio fare e sentire, sentirsi sicuri in un
ambiente sociale allargato, imparare a conoscersi e ad essere riconosciuti come persona unica
e irripetibile.

• Negli anni della scuola dell’infanzia il bambino osserva l’ambiente che lo circonda e coglie
le diverse relazioni tra le persone; ascolta le narrazioni degli adulti, le espressioni delle loro
opinioni e della loro spiritualità e fede; è testimone degli eventi; partecipa alle tradizioni della
famiglia e della comunità di appartenenza, ma si apre al confronto con altre culture e costumi;
si accorge di essere uguale e diverso nella varietà delle situazioni, di poter essere accolto o
escluso, di poter accogliere o escludere.

• I bambini prendono coscienza del proprio corpo, utilizzandolo fin dalla nascita come
strumento di conoscenza di sé nel mondo. Muoversi è il primo fattore di apprendimento:
cercare, scoprire, giocare, saltare, correre a scuola è fonte di benessere e di equilibrio psico-
fisico. L’azione del corpo fa vivere emozioni e sensazioni piacevoli, di rilassamento e di
tensione, ma anche la soddisfazione del controllo dei gesti, nel coordinamento con gli altri;
consente di sperimentare potenzialità e limiti della propria fisicità, sviluppando anche la
consapevolezza dei rischi di movimenti incontrollati.

• La musica è un’esperienza universale che si manifesta in modi e generi diversi, tutti di pari
dignità, carica di emozioni e ricca di tradizioni culturali. Il bambino, interagendo con il
paesaggio sonoro, sviluppa le proprie capacità cognitive e relazionali, impara a percepire,
ascoltare, ricercare e discriminare i suoni all’interno di contesti di apprendimento significativi.
Esplora le proprie possibilità sonoro-espressive e simbolico-rappresentative, accrescendo la
fiducia nelle proprie potenzialità. L’ascolto delle produzioni sonore personali lo apre al
piacere di fare musica e alla condivisione di repertori appartenenti a vari generi musicali.

• La scuola dell’infanzia ha la responsabilità di promuovere in tutti i bambini la padronanza


della lingua italiana, rispettando l’uso della lingua di origine: I bambini vivono spesso in

71
PARROCCHIA di CODROIPO, Progetto Ninna Nanna: pisolino in giro per il mondo, in:
http://www.parrocchiacodroipo.it/scuolamaterna/2018_2019/progetti/Progetto%20ninna%20nanna.pdf
(ultima visita 5.02.2021).

60
ambienti plurilingui e, se opportunamente guidati, possono familiarizzare con una seconda
lingua, in situazioni naturali, di dialogo, di vita quotidiana, diventando progressivamente
consapevoli di suoni, tonalità, significati diversi.

Il progetto è stato portato avanti in un arco di tempo di cinque mesi, invitando gli alunni
di tutte le classi a ricercare e cantare le ninna nanne che conoscevano nella loro lingua
madre. Poi sono state registrate le loro esecuzioni nell’aula di musica. Gli alunni hanno
poi trascritto e tradotto le ninne nanne con l’aiuto dei loro genitori o dei loro nonni.
Successivamente sono stati invitati a scuola i genitori, per far loro eseguire e registrare
ninne nanne ed altre storie e racconti della loro tradizione. Tutto il materiale raccolto è
stato registrato e trascritto, per poi essere rielaborato e montato nel prodotto finale. A
conclusione del lavoro svolto, i ragazzi del coro e del laboratorio di chitarra hanno
eseguito un medley di alcune delle ninne nanne raccolte.
Questo progetto scolastico di raccolta delle ninne nanne si è rivelato un’occasione
importante di conoscenza e di condivisione. È servito per comprendere che, anche se
esistono delle caratteristiche peculiari ai repertori dei diversi paesi, vi sono degli elementi
comuni e degli argomenti universalmente trattati: caratteristiche musicali, timbriche e
formali sono presenti nelle diverse tradizioni; l’atto del dondolare e del vogare, alcuni
elementi e personaggi legati alla tradizione religiosa, mitologica, magica e propiziatoria.
Inoltre, grazie a questa esperienza conoscitiva, è stata valorizzata l’apertura al dialogo tra
culture in un’ottica di integrazione intesa come condivisione delle proprie radici.
Integrarsi non significa dimenticare la propria lingua e le proprie tradizioni, poiché
integrazione non significa omologazione, ma condivisione. I brani condivisi al momento
dell’esecuzione sono diventati di tutti e, nell’incontro tra culture e lingue diverse, si sono
trasformati in qualcosa di nuovo72.
La seconda iniziativa che ho scelto è stata realizzata a Bergamo nel 2019: “Ninnalana–
Ninnananna alla Capanna”. Un concorso, sostenuto da “Eppen” e da “L’Eco di Bergamo”.
Consisteva nel far preparare dei video intonando la propria ninnananna preferita per poi
inviarli alle redazioni. Da questo progetto emergeva il desiderio di riscoprire le nenie di
Bergamo e del mondo, favorendo un momento di condivisione, rimettendo al centro quelle
piccole filastrocche che legano i bambini ai loro genitori e ai loro nonni. La cerimonia

72
PARROCCHIA di CODROIPO, Progetto Ninna Nanna: pisolino in giro per il mondo, in:
http://www.parrocchiacodroipo.it/scuolamaterna/2018_2019/progetti/Progetto%20ninna%20nanna.pdf
(ultima visita 5.02.2021).

61
conclusiva, per accogliere la ninnananna vincitrice, ha avuto luogo il 21 dicembre 2019 in
occasione della “Festa Ninnananna alla Capanna”, in via Sentierone a Bergamo. Ci sono
stati menzioni e riconoscimenti per diverse categorie, oltre alla ninnananna vincitrice:
• ninnananna della culla: la ninna nanna dei bimbi
• ninnananna dal mondo: la ninna nanna straniera
• ninnananna della stalla: la ninnananna della tradizione
Alle ore 15.00 del 21 dicembre 2019, i partecipanti al concorso e alla festa si sono ritrovati
alla Capanna per cantare insieme ai bambini e ai loro genitori alcune ninnananne insieme
ai piccoli pastori che offrivano a tutti i gomitoli di lana delle loro pecorelle, per tessere le
calde coperte della veglia natalizia. La premiazione è stata accompagnata dagli
zampognari e dal “Coro del Sorriso”. Il premio ricevuto dai vincitori è stato davvero
speciale: una coperta di lana di pecora bergamasca mentre, a tutti i partecipanti, è stato
donato un piccolo gomitolo di lana. Perché questa lana in regalo? “Gli oggetti che ogni
giorno usiamo”, spiega nel suo articolo Luca Barachetti, “sono tutti il frutto di una storia.
Anche nel tempo della globalizzazione che sembra aver spazzato via tutto: le tradizioni,
l’immaginario, le radici. La poesia di una bella cosa, unica e inimitabile, che testimonia
la cultura di un luogo, ovvero vite, idee, lavoro. Storie appunto”. L’idea è stata quella di
esprimere dissenso contro la merce e la mercificazione, per rivitalizzare le attività locali
di un tempo e i loro prodotti, valorizzando artigiani e piccoli imprenditori.
Ecco perché, in occasione di questo concorso, che ha valorizzato il canto della culla con
tutti i suoi significati e le sue storie, “la capanna di Natale diventa un di piccolo faro per
ricordare che c’è ancora bisogno di relazioni e incontri. Un bisogno di tenerezza che vive
nelle piccole cose sincere, come un canto sottovoce, una morbida coperta avvolta intorno
al corpo di ognuno di noi, a proteggerci dal freddo”. In modo particolare, regalare una
coperta di lana di pecora bergamasca, è significato andare a scoprire la storia che c’è dietro
queste coperte ruvide ma molto calde. La pecora bergamasca è una varietà di pecora che
non viene allevata solo a Bergamo, ma ad esempio anche in Alto Adige e Valtellina. È un
animale di grossa taglia, utile soprattutto per la carne e per il latte: viene tosata due volte
l’anno per ragioni di salute (la pelle della pecora ha bisogno di respirare) e produce una
lana ruvida, non di grande qualità, che però è utile per realizzare tappeti e moquette. A
causa della concorrenza con la lana dell’Australia e della Nuova Zelanda, molti lanifici
sono stati costretti a chiudere per i costi maggiori che incontra la produzione della lana

62
bergamasca, costretta a diversi trattamenti per offrire una finalità diversa da essere tappeto
o moquete. Così, alcuni imprenditori della Valgandino si sono messi insieme per riuscire
nuovamente a piazzare sul territorio italiano le coperte bergamasche, portando avanti con
intraprendenza e coraggio una tradizione di quelle terre73.
La tradizione della lana, con la sua storia, le persone, le famiglie coinvolte in questa
specifica attività si è sposata con l’iniziativa legata ad un’altra tradizione: la ninna nanna.
Protagonista di questo “coniugio bergamasco” è stato Don Gianmario Della Giovanna,
consigliere spirituale, direttore dell’ufficio diocesano pastorale per la famiglia e consulente
ecclesiastico della Fism (Federazione italiana Scuole Materne) e dell’ADASM
(Associazione degli Asili e delle Scuole Materne):
“Dentro ‘Ninnalana’ ci sono alcuni aspetti molto forti per ridare un valore umano, relazionale, civile
e religioso alla festa del Natale… L’evento raccoglie quelle esigenze educative capaci di rimettere
al centro le questioni più profonde del tempo natalizio, riunendo le tradizioni del pastore, della lana,
della ninnananna in un modo unico. […] In un clima di denatalità dove la sfiducia nella vita, le
difficoltà a livello sociale, economico, finanziario portano a una iperconcentrazione su sé stessi,
ricollocarsi davanti al mistero del nascere pone tutti nella condizione di ripensare scelte che ormai
si impongono alla vita di una coppia, spingendo verso una difficoltà sempre più grande alla
generazione dei figli … in tutte le confessioni religiose il senso ultimo del bambino è di essere un
dono del mistero divino e di Dio”.
La ninnananna è presentata da Don Gianmario Della Giovanna come “un elemento
universale, una tradizione bellissima che deve essere recuperata a tutti i livelli e che
coinvolge anche un piano relazionale tra bambino, padre e madre”.
Con le difficoltà di tipo economico che affronta la nostra società, occorre “continuare a
creare le condizioni per cui un uomo e una donna legandosi e generando figli possano
essere una cellula di umanità da custodire; è una sfida, un compito e una responsabilità
per tutti”.
Nel corso dell’intervista, il sacerdote aggiunge: “Oggi c’è un dramma educativo. Le
condizioni sono rosicchiate e un genitore fa doppiamente fatica a portare avanti ciò che
ha più nel cuore. In questo senso le istituzioni civili e le comunità cristiane devono essere
di grande supporto e di aiuto perché le coppie oggi e le famiglie domani trovino un
sostegno reale per svolgere il loro compito”74.

73
L. BARACHETTI, in: https://www.ecodibergamo.it/stories/eppen/extra/altro/storia-local-della-lana-di-
pecora-bergamasca-e-di-un-gruppo-di-imprenditori-co_1329288_11/ (ultima visita 5.02.2021).
74
G. DELLA GIOVANNA in: https://www.ecodibergamo.it/stories/eppen/bambini/che-significato-ha-oggi-
una-ninnananna-davanti-alla-capanna_1329832_11/ (ultima visita 5.02.2021).

63
Queste testimonianze apportano un interessante contributo alla funzione che la ninna
nanna svolge come prima forma di linguaggio e nella trasmissione dei valori umani, delle
credenze, delle tradizioni culturali e popolari, nonché nella trasmissione della fede.
Dopo aver delineato la spiritualità della tenerezza, mi piace concludere questo breve
percorso tra i progetti sulla ninna nanna, con le parole trovate nell’intervista di “Eppen”
con Don Gianmario Della Giovanna, a proposito del significato della ninna nanna “primi
passi di un’educazione alla dolcezza, sguardo originario sulle cose del mondo”.

3.3 Una pratica pastorale


Nel VI capitolo dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” dal n. 199 al n. 258, papa
Francesco indica alcune prospettive pastorali. Al n. 202 afferma che “Il principale
contributo alla pastorale familiare viene offerto dalla parrocchia, che è una famiglia di
famiglie, dove si armonizzano i contributi delle piccole comunità, dei movimenti e delle
associazioni ecclesiali”. Viene prospettata la necessità di una formazione più adeguata
per i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, per i catechisti e per gli altri agenti di
pastorale. Per quanto riguarda i ministri ordinati, si fa presente che spesso non hanno una
formazione adeguata nel trattare i complessi problemi attuali delle famiglie e quindi,
potrebbe essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei
sacerdoti sposati. A proposito dei seminaristi, al n. 203, propone la necessità di una
formazione interdisciplinare più ampia sul fidanzamento e il matrimonio, e non solamente
sulla dottrina. Per papa Francesco è importante “la formazione di operatori laici di
pastorale familiare con l’aiuto di psicopedagogisti, medici di famiglia, medici di
comunità, assistenti sociali, avvocati per i minori e le famiglie, con l’apertura a ricevere
gli apporti della psicologia, della sociologia, della sessuologia e anche del counseling”
(AL 204).
Per le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare in una società complessa come
questa contemporanea, si richiede un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per
la preparazione dei nubendi al matrimonio, ricordando l’importanza delle virtù. Si è
evidenziata “la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al
matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e
approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare” (AL 206).

64
L’accompagnamento dei fidanzati deve essere fatto evidenziando che essi sono una
risorsa preziosa all’interno della comunità e non si tratta di dare loro tutto il Catechismo,
né di saturarli con troppi argomenti, ma di definire delle priorità “insieme ad un rinnovato
annuncio del kerygma” e trasmettere i contenuti in modo attraente e cordiale (AL 207).
Occorre trovare i modi, attraverso le famiglie missionarie, le famiglie stesse dei fidanzati
e varie risorse pastorali, per offrire una preparazione remota che faccia maturare l’amore
dei fidanzati con un accompagnamento ricco di vicinanza e testimonianza. Magari
possono essere inseriti in gruppi di fidanzati e incoraggiati a partecipare a conferenze su
una varietà di temi che interessano realmente ai giovani. Per papa Francesco non si deve
nemmeno ignorare il contributo della pastorale popolare. “Per fare un semplice esempio,
ricordo il giorno di San Valentino, che in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai
commercianti che non dalla creatività dei pastori” (AL 208). Papa Francesco indica tante
linee guida per strutturare un impegno pastorale. Ad esempio, non dimenticare di proporre
ai fidanzati e agli sposi la Riconciliazione sacramentale; si preoccupa di un’attenzione nel
modo con cui accompagnare dopo le rotture e i divorzi; ricorda l’accompagnamento alla
morte ricordandoci di un Dio che ci ha creato per amore, e che ci ha fatto in modo tale
che la nostra vita non finisce con la morte (cfr Sap 3,2-3). Ricorda, a questo proposito, il
prefazio della Liturgia dei defunti: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola
la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma
trasformata». Infatti «i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci
assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio» (AL 256).
Questi sono alcuni passaggi dell’esortazione apostolica, che ho semplicemente
tratteggiato, ai quali affianco alcuni spunti di riflessione che ho sottolineato negli
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 perché sono
rimasta attirata dal titolo del programma: “educare alla vita buona del Vangelo”. Mi
sembra una sfida notevole.

65
Questo documento è giunto dopo gli orientamenti pastorali pubblicati nel 2001 dedicati a
“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”75 e dopo la Nota pastorale del 2004 “Il
volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”76.
Nel mese di ottobre 2006 si è svolto a Verona il IV Convegno ecclesiale nazionale durante
il quale si è riflettuto su “un popolo in cammino nella storia, posto a servizio della
speranza dell’umanità intera, con la multiforme vivacità di una comunità ecclesiale
animata da una sempre più robusta coscienza missionaria”77.
Con la programmazione 2010-2020, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha
ulteriormente messo a fuoco l’intenzione di voler definire il mondo in cui viviamo, le sue
attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico e circa il metodo da
utilizzare aveva scelto quanto contenuto nella costituzione dogmatica “Gaudium et Spes”
al n. 4: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i
segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a
ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso
della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»78. A seguire, si leggono le
caratteristiche della realtà in cui viviamo, come la molteplicità dei riferimenti valoriali, la
globalizzazione delle proposte e degli stili di vita, la mobilità dei popoli, gli scenari resi
possibili dallo sviluppo tecnologico, le nuove solitudini ed esclusioni sociali, i flussi
migratori, i rapporti con culture ed esperienze religiose diverse, timori e diffidenze, ecc.
In occasione della 61a Assemblea Generale della CEI, il 27 maggio 2010, papa Benedetto
XVI, a proposito dell’educazione, dichiarò che non può risolversi in un insieme di
tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi; il suo scopo è, piuttosto, quello di
“formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti
di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio
di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore

75
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali
dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Città del Vaticano, (27 maggio 2010), 5. Cfr.
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il
primo decennio del 2000, 29 giugno 2001.
76
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 6. Cfr. Nota pastorale, Il volto missionario delle parrocchie
in un mondo che cambia, 30 maggio 2004.
77
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali
dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Città del Vaticano, (27 maggio 2010), 7.
78
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 7-8.

66
condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita,
orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio”79.
Un’affermazione molto suggestiva, riportata nel documento CEI 2010-2020, riguarda la
Chiesa che educa in quanto madre, grembo accogliente, comunità di credenti in cui si è
generati come figli di Dio e si fa l’esperienza del suo amore. A lei si rivolgeva
Sant’Agostino: “Oh Chiesa cattolica, oh madre dei cristiani nel senso più vero… tu
educhi ed ammaestri tutti: i fanciulli con tenerezza infantile, i giovani con forza, i vecchi
con serenità, ciascuno secondo l’età, secondo le sue capacità non solo corporee ma anche
psichiche. Chi debba essere educato, ammonito o condannato, tu lo insegni a tutti con
solerzia, mostrando che non si deve dare tutto a tutti, ma a tutti amore e a nessuno
ingiustizia” 80.
Per quanto riguarda più specificamente la famiglia, al n. 27 del documento CEI, troviamo
scritto:
“Esiste un nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa s’innesta nell’atto generativo
e nell’esperienza di essere figli. L’uomo non si dà la vita, ma la riceve. Allo stesso modo, il
bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti. Si inizia da una relazione accogliente,
in cui si è generati alla vita affettiva, relazionale e intellettuale. Il legame che si instaura all’interno
della famiglia sin dalla nascita lascia un’impronta indelebile. L’apporto di padre e madre, nella
loro complementarità, ha un influsso decisivo nella vita dei figli. Spetta ai genitori assicurare loro
la cura e l’affetto, l’orizzonte di senso e l’orientamento nel mondo. Oggi viene enfatizzata la
dimensione materna, mentre appare più debole e marginale la figura paterna. In realtà, è
determinante la responsabilità educativa di entrambi. È proprio la differenza e la reciprocità tra il
padre e la madre a creare lo spazio fecondo per la crescita piena del figlio. Ciò è vero perfino
quando i genitori vivono situazioni di crisi e di separazione. Il ruolo dei genitori e della famiglia
incide anche sulla rappresentazione e sull’esperienza di Dio. Il loro compito di educare alla fede
si inserisce nella capacità generativa della comunità cristiana, volto concreto della Chiesa madre.
Pure in questo ambito, si tratta di avviare un processo che dal battesimo si sviluppi in un percorso
di iniziazione che accompagni, nutra e porti a maturazione”81.
Al n. 38 si trova un’altra indicazione pastorale rivolta alla famiglia:
“La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i
figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturisce
dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che
si prende cura di ogni suo figlio. Corroborate da specifici itinerari di spiritualità, le famiglie devono
a loro volta aiutare la parrocchia a diventare «famiglia di famiglie» (CEI, Comunione e comunità
nella Chiesa domestica, 1° ottobre 1981, n. 24). Gruppi di sposi possono costituire modelli di
riferimento anche per le coppie in difficoltà, oltre che aprirsi al servizio verso i fidanzati e i genitori
che chiedono il battesimo per i figli, verso le famiglie segnate da gravi difficoltà, disabilità e
sofferenze. Si sente il bisogno di coppie cristiane che affrontino i temi sociali e politici che toccano
l’istituto familiare, i figli e gli anziani. Sostenere adeguatamente la famiglia, con scelte politiche
ed economiche appropriate, attente in particolare ai nuclei numerosi, diventa un servizio all’intera
collettività”82.

79
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 9.
80
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 15.
81
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 19.
82
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 25.

67
La Chiesa educa con la catechesi, la liturgia e la carità.
Tra gli obiettivi e le scelte prioritarie, si legge:
La lettura della prassi educativa, alla luce dei cambiamenti culturali, stimola nuove scelte di
progettazione, riferite ad alcuni ambiti privilegiati.
a. L’iniziazione cristiana mette in luce la forza formatrice dei sacramenti per la vita cristiana,
realizza l’unità e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità, e favorisce alleanze educative.
Occorre confrontare le esperienze di iniziazione cristiana di bambini e adulti nelle Chiese locali,
al fine di promuovere la responsabilità primaria della comunità cristiana, le forme del primo
annuncio, gli itinerari di preparazione al battesimo e la conseguente mistagogia per i fanciulli, i
ragazzi e i giovani, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e
dell’Eucaristia, l’attenzione alle persone disabili, la catechesi degli adulti quale impegno di
formazione permanente. In questo decennio sarà opportuno discernere, valutare e promuovere una
serie di criteri che dalle sperimentazioni in atto possano delineare il processo di rinnovamento
della catechesi, soprattutto nell’ambito dell’iniziazione cristiana. È necessario, inoltre, un
aggiornamento degli strumenti catechistici, tenendo conto del mutato contesto culturale e dei nuovi
linguaggi della comunicazione.
b. Percorsi di vita buona Ogni ambito del vissuto umano è interpellato dalla sfida educativa.
Dobbiamo domandarci come le indicazioni maturate nel Convegno ecclesiale di Verona siano state
recepite e attuate in ordine al rinnovamento dell’azione ecclesiale e alla formazione dei laici,
chiamati a coniugare una matura spiritualità e il senso di appartenenza ecclesiale con un amore
appassionato per la città degli uomini e la capacità di rendere ragione della propria speranza nelle
vicende del nostro tempo. - Tra i processi di accompagnamento alla costruzione dell’identità
personale, merita particolare rilievo l’educazione alla vita affettiva, a partire dai più piccoli 83.
Nel documento si suggerisce la promozione di nuove figure educative.
“Occorre promuovere una diffusa responsabilità del laicato, perché germini la sensibilità ad
assumere compiti educativi nella Chiesa e nella società. In relazione ad ambiti pastorali specifici
dovranno svilupparsi figure quali laici missionari che portino il primo annuncio del Vangelo nelle
case e tra gli immigrati; accompagnatori dei genitori che chiedono per i figli il battesimo o i
sacramenti dell’iniziazione; catechisti per il catecumenato dei giovani e degli adulti; formatori
degli educatori e dei docenti; evangelizzatori di strada, nel mondo della devianza, del carcere e
delle varie forme di povertà”84.
Come chiusura della programmazione CEI 2010-2020, si trova una preghiera alla Vergine
Maria per affidarsi a lei come guida nel cammino dell’educazione e si sottolineano,
ancora una volta, l’importanza e la centralità della famiglia nell’educazione:
“Il volto di un popolo si plasma in famiglia. È qui che i suoi membri acquisiscono gli insegnamenti
fondamentali. Essi imparano ad amare in quanto sono amati gratuitamente, imparano il rispetto di
ogni altra persona in quanto sono rispettati, imparano a conoscere il volto di Dio in quanto ne
ricevono la prima rivelazione da un padre e da una madre pieni di attenzione. Soprattutto grazie
alla donna è possibile riscoprire i valori che rendono umana la società: ella conserva l’intuizione
profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua
crescita, alla sua protezione”85.
Confrontando i contenuti di questi due documenti, ho trovato la conferma di quanto sia
necessario rinnovare i metodi educativi e di trasmissione della fede. In famiglia, nella
Chiesa e nella società si vivono le relazioni. Quanto più è stato buono e costruttivo il

83
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 33.
84
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 35.
85
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, cit., 36.

68
legame famigliare altrettanto convincente sarà l’incontro con il mondo esterno e
riconosciuta la sua affidabilità. Per educare e per trasmettere la fede ci vogliono persone
formate, che siano testimoni attendibili perché soltanto nella coerenza tra la fede pregata
e quella vissuta è possibile annunciare il kerygma e narrare, di generazione in
generazione, gli eventi della storia della salvezza, attualizzandoli anche nel 2021.
I testi esaminati mettono in luce parole come testimonianza, vicinanza,
accompagnamento con la necessaria missione svolta da educatori, formatori,
accompagnatori. Un elemento che, mi sembra fondamentale per una prospettiva pastorale
nuova, è evitare frasi del tipo: “si è sempre fatto così”.
La vita è cambiamento, adattamento, rinnovamento continuo. Semmai bisogna fare
attenzione a saper “scrutare i segni dei tempi”.
Nei due documenti viene caldeggiata la necessità di rinnovare il percorso di iniziazione
cristiana e si legge il desiderio di un percorso di accompagnamento nelle varie fasi della
vita, per trasmettere la centralità e la bellezza dell’Eucarestia e il valore dei Sacramenti
per “educare alla vita buona del Vangelo”.
Grazie alle indicazioni pastorali di papa Francesco, la prospettiva pastorale indicata per
abbracciare l’umanità è quella che si realizza mettendo in pratica la virtù della tenerezza.
Dal grembo materno all’incontro finale con Dio, quando il nostro bisogno di dare e
ricevere amore troverà un pieno appagamento, abbiamo bisogno di tenerezza, di essere
abbracciati, di sentire che qualcuno canti per noi una ninna nanna, così come una mamma
fa con il suo piccolo.
Per educare ai Sacramenti possiamo prendere esempio dal canto della ninna nanna per
trasmettere la fede e la tenerezza di Dio. Questa potrebbe essere una nuova pratica
pastorale. Ecco allora che il Battesimo può essere spiegato come l’amore di Dio che ti
accompagnerà sempre senza mai deludere e per questo si viene immersi nell’acqua
benedetta per rinnovare questo legame di tenerezza infinita ed eterna. L’acqua, in fondo,
culla quando ci immergiamo in essa, ci tiene a galla se siamo tranquilli, rilassati, fiduciosi.
Si può rinnovare il linguaggio per spiegare la materia del sacramento. Il Battesimo non è
affare privato. “Il nascere comporta un immersione nel mondo delle relazioni che
permettono di vivere e il battesimo è immersione nella comunità dei figli del Padre che
hanno il suo stesso Spirito”86. Per fare un esempio di pratica pastorale applicata ai

86
C.M. MARTINI, Sul corpo, Centro Ambrosiano, Milano 2000, 81.

69
sacramenti, che unisce il metodo narrativo, la tenerezza e la dolcezza di una ninna nanna
nella spiegazione, basta prendere uno dei tanti libretti o sussidi per il catechismo dei più
piccoli. Per fortuna ce ne sono di autori che sanno già cantare la ninna nanna
nell’iniziazione cristiana. C’è un libricino intitolato “I magnifici Sette” che mette a
confronto la definizione classica dei Sacramenti: “segni efficaci della grazia, pensati da
Gesù per santificarci”, con una spiegazione più quotidiana: “L'amore, il bene che ti vuole
la tua mamma è invisibile, c'è ma non si vede. Quando però la tua mamma ti dà un bacio,
ti abbraccia, ti fa una carezza tu sai che quelli sono segni del bene che ti vuole e te lo
fanno sentire davvero. I sacramenti sono come baci, abbracci e carezze di Dio. Con essi
non solo ti mostra il suo amore: te lo dà realmente. Sono segni efficaci del suo amore!”87.
Il canto della culla, il rituale della ninna nanna esprimono la tenerezza dell’amore, con la
musica e il dondolio aiutano a rilassare e ad avere fiducia nella madre e in tutto quello
che ci attende. Perché non si può studiare un linguaggio nuovo adatto anche alla
spiegazione dei Sacramenti rivolta agli adulti e rendere “più quotidiana” la dottrina?
Forse, la pratica del rituale della ninna nanna può veicolare una pratica pastorale perché
esprime proprio quella virtù che papa Francesco ci sta insegnando: la tenerezza.

Conclusione
L’attenzione rivolta alla famiglia è un percorso iniziato con il Concilio Vaticano II e
proprio in questo anno 2021-2022 avrà luogo un’ulteriore riflessione grazie
all’approfondimento sui temi indicati nell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”.
Avremo modo di sentire più da vicino il tema della famiglia alla quale sarà dedicata una
giornata di festa in occasione del X Incontro Mondiale delle Famiglie il 26 giugno 2022.
La spiritualità della tenerezza di papa Francesco incoraggia ad avanzare nuove ipotesi per
una proposta nell’ambito della pastorale famigliare e della catechesi, volte a far riscoprire
il calore del momento domestico e la modalità della ninna nanna, come pratica da
strutturare anche nella formulazione di percorsi in preparazione ai Sacramenti del
matrimonio e del battesimo in modo particolare. C’è sicuramente bisogno di nuove
proposte, meno dogmatiche e più domestiche anche nella trasmissione della fede.
Non si tratta solo di scrutare i segni dei tempi. Gesù aveva utilizzato le parabole per far
conoscere il Regno di Dio. Oggi bisogna porre nuovi segni che siano più vicini alle

87
A. GELARDI, I magnifici Sette. I Sacramenti, Junior Edizioni Dehoniane Bologna, Ferrara 2012, 6-7.

70
situazioni concrete del vissuto quotidiano. La ninna nanna potrebbe essere adottata come
metodo e modalità della narrazione.
In questo elaborato, la Ninna Nanna si è rivelata come una filosofia e una teologia
gestuale, vocale, musicale, relazione umana primaria e metodo di educazione alla
tenerezza per trasmettere affidabilità, attendibilità, sicurezza.
Attraverso i Sacramenti il cristiano prende consapevolezza che Qualcuno ci ama sempre
e da sempre e, alla fine di questo percorso terreno, ci attende ancora l’Amore.
Credo che il rituale della ninna nanna possa essere riscoperto, approfondito e utilizzato
conformandolo alle situazioni concrete che caratterizzano ogni tappa della nostra vita,
come un faro, una specie di impalcatura che sostiene e abbraccia l’esistenza, per rendere
domestico questo mondo e addolcire le relazioni che viviamo.
Del resto, mi sembra piuttosto plausibile applicare un rituale come la ninna nanna alla
pratica di un’azione pastorale rivolta alle famiglie. Nel tardo Medio Evo e ancor prima,
la fede e la conoscenza degli episodi salienti della Bibbia, venivano appresi dal popolo,
prevalentemente incolto, grazie all’osservazione dei dipinti e degli affreschi, di tele e
icone presenti nelle chiese o addirittura attraverso veri e propri libri contenenti una serie
di immagini con scene contrapposte fra Antico e Nuovo Testamento: la “biblia
pauperum”. Ai nostri giorni, papa Francesco ricorda di non sottovalutare una certa
“pastorale popolare” come strumento per mantenere vivo il legame con il trascendente.
Nella mia vita, come ho accennato sopra, l’esperienza del sacro e l’incontro con Gesù è
avvenuto in famiglia. Anch’io, ai miei figli, ho cantato le ninne nanne, da quelle
tradizionali, alle canzoni della famosa manifestazione canora italiana del “Piccolo Coro
dell’Antoniano”, lo “Zecchino d’oro”, a quelle che inventavo al momento, passeggiando
in casa, da una stanza all’altra, alla ricerca di una sintonia fra il mio corpo e il loro, per
rilassarci insieme con tenerezza. Spesso, ho cantato anche le melodie dei salmi che si
cantano nelle parrocchie e i canti natalizi tradizionali come “Tu scendi dalle stelle” o
“Fermarono i cieli” ovvero la “Ninna Nanna a Gesù” di Alfonso Maria de’ Liguori, la
ninna nanna di Brahms, oppure “Astro del ciel”, il noto canto natalizio tedesco “Stille
Nacht, heilige Nacht” musicata da Franz Xaver Gruber. Sono certa che la loro fede, il
loro personale incontro con la tenerezza di Dio, siano iniziati in quei momenti di grande
semplicità e intimità domestica.

71
La dinamica dell’annuncio cristiano vissuta concretamente nella preghiera, nella
comunione, nell’incontro con la vita degli altri, si sostiene sui Sacramenti. La ninna nanna
può diventare una modalità efficace nella pratica pastorale, per presentare i Sacramenti
nella logica della tenerezza accompagnando la vita di tutti dal grembo materno
all’abbraccio con il Padre.

72
APPENDICE

NINNA NANNA
NELL’ARTE PITTORICA

Figura 1 - “Madonna della Tenerezza” 1491, di Andrea Mantegna (1431-1506), Padova


Musei Civici degli Eremitani.

73
Figura 2 - “La Madonna della Loggia” 1467-70, di Sandro Botticelli (1445-
1510), Gallerie degli Uffizi.

74
Figura 3 - “Riposo durante la fuga in Egitto”1597, di Michelangelo Merisi da Caravaggio
(1571-1610), Galleria Doria Pamphilj di Roma.

75
Figura 4 - “La nonna” 1865, di Silvestro Lega (1826-1895), collezione privata.

76
Figura 5 - “La culla” 1872, di Berthe Morisot (1841-1895), Musée d'Orsay, Parigi

77
Figura 6 - “Prime carezze” 1866, di William-Adolphe Bouguereau (1825-1905).

78
Figura 7 - “Young mother child contemplating” 1871 di William-Adolphe Bouguereau
(1825-1905) .

79
Figura 8 - “Berceuse” (“Ninna Nanna”) 1872, di William-Adolphe Bouguereau (1825-
1905).

80
Figura 9 - “Giovane donna che culla il bambino” 1881, di Odoardo Borrani (1833-1905)

81
Figura 10 - “Sleeping Mother” 1883- Christian Krohg (1852 – 1925)

82
Figura 11 -“La culla” 1917-1918, di Gustav Klimt (1862-1918), National Gallery of
Art di Washington.

83
Figura 12 - “Madonna col Bambino nella culla” 1966, di Trento Longaretti (1916-2017).

84
Figura 13 – Miniatura a tempera e oro. Libro d’Ore, Besançon, 1450 ca.
L’immagine è tratta dal manoscritto Fitzwilliam MS 69 folio 48r.Si tratta di una miniatura
a tempera e oro, da un Libro d’Ore composto a Besançon, attorno al 1450 ca.: ritrae Maria
che studia la Torah, mentre Giuseppe culla il Bambino. Una scena natalizia che stravolge
molti luoghi comuni e manifesta la tenerezza paterna di Giuseppe e le capacità intellettive
di Maria. Solitamente (in particolare nei presepi del V secolo) Giuseppe è raffigurato in
atteggiamento pensoso e contemplativo. Solo dal XIII secolo riveste un ruolo più attivo
nella raffigurazione della Natività. Nell’arte olandese e tedesca del XIV e XV secolo,
Giuseppe viene raffigurato nell’assolvimento di diversi compiti quali aiutare a preparare
il bagno al Bambino (nell’altare boemo di Hohenfutrh), o tagliare dai propri indumenti
fasce per avvolgerlo (Natività nel museo Mayer van Berg ad Anversa), o intento
a scaldare i vestiti, a cucinare, ad attizzare il fuoco. Nell’iconografia del tardo Medioevo,
inoltre, Giuseppe viene raffigurato mentre guida Gesù tenendolo per mano, o mentre è
assistito da Gesù nella sua attività di falegname.

85
Figura 14 - “La Vergine accarezzata dai suoi genitori”, mosaico, Monastero di Chora,
Istanbul.

86
Figura 15 - “La Theotokos” di Vladimir. Galleria Tret'jakov di Mosca.
“La Theotokos” di Vladimir (greco: Θεοτόκος του Βλαντιμίρ), nota anche come Madre
di Dio della tenerezza, Madonna di Vladimir o Vergine di Vladimir è una delle icone
ortodosse più venerate e famose al mondo ed è un tipico esempio di iconografia
bizantina della tipologia eleusa. La Theotókos (termine greco che significa "Madre di
Dio") è considerata la protettrice della Russia. L'icona è conservata nella Galleria
Tret'jakov di Mosca. La Chiesa ortodossa la festeggia il 3 giugno ed il 26 agosto.

87
Figura 16 - “La Tenerezza di Dio” realizzato da Padre Marko Rupnik, all’ingresso del
Policlinico Gemelli, ART, Roma.

88
NINNA NANNA
TRA POESIA E MUSICA

Testo 1 : Una ninnananna (William Blake)

Dolcissimi sogni, formate un riparo Su dormi piccino, su dormi felice,


intorno al capino del mio bimbo amato; che tutto il creato già dorme e sorride;
dolcissimi sogni di calme correnti, su dormi felice, su dormi contento,
bei raggi di luna, sereni e silenti. che sopra la culla la mamma sta in pianto.

Dolcissimo sonno ti tessa alla fronte O dolce bambino, se scruto il tuo viso
di soffici piume corona infantile; vi posso vedere l’immagine santa.
dolcissimo sonno, bell’Angelo buono, O dolce bambino, così come ora
su libra il tuo volo sul bimbo felice. tu posi una volta posò il creatore;

O dolci sorrisi, di notte aleggiate per me lui piangeva, per te e per il mondo,
su questo tesoro; e a lungo durate, quand’egli era ancora bambino piccino.
o dolci sorrisi, sorrisi di Mamma; Tu possa vederne l’immagine sempre,
fin quando non cessi l’incanto notturno. quel volto di cielo su te sorridente,

Che i dolci sospiri, di tortora i gemiti, a te sorridente, a me e verso il mondo;


dai tuoi occhiettini non fughino il sonno; di lui che si fece bambino piccino.
ma gemito dolce, più dolce sorriso, In ogni sorriso di bimbo sorride,
di tortora incanti persino il sospiro. qui e in cielo di pace lusinghe largisce.

(William Blake, 1757-1827)

89
Testo 2 : L’uccellino quando imbruna (Giovanni Pascoli)

L’uccellino quando imbruna,


mette il capo sotto l’ala.
Fa un batuffolo di piuma,
e s’addorme su una rama.
Esso ha il vento che lo turba,
tu la nonna che ti culla.
Ha la pioggia che lo bagna,
tu la nonna che ti nanna.
“Dormi amore, amore, amore!
Dormi amore del mio cuore”.

(Giovanni Pascoli, 1855-1912)

90
Testo 3 : Ninna nanna in mezzo al mare (Vivian Lamarque)

Ninna nanna in mezzo al mare


c’è un barcone da cullare
anzi no, dormono già
anzi no, dormono già.

Ninna nanna luna bianca


chi dorme è gente tanto stanca
tanta gente tanto stanca.

Ninna nanna aurora rosa


a chi dorme di’ una cosa
ma che sia una cosa buona
ma che sia una buona cosa.

Ninna nanna il sole è alto


ma nessuno si è svegliato
il barcone è addormentato.

Ninna nanna tramonta il sole


tramonta il sole nessuno si muove
solo la luna si è svegliata
solo la luna si è alzata.
(Vivian Lamarque)

91
Testo 4 : Ninna nanna (Bruno Lauzi)

Ninna nanna del bambino, della mamma e del papà


chi per primo chiude gli occhi questa notte sognerà
di andar su per il camino e nel cielo volerà.
E volando fra le stelle le più belle sceglierà
Con le stelle dentro agli occhi domattina s’alzerà.

Fa la nanna coniglietto, sogna la felicità.


Chiudi gli occhi, fai il biglietto che il tuo letto partirà
per un mondo di conchiglie, meraviglie che non sai
e di fiori dai colori che tu non hai visto mai

Ninna nanna del bambino, della mamma e del papà


Questa volta è il più piccino che per primo dorme già.

(Bruno Lauzi)

92
Testo 5 : Ninna nanna Meridionale (Bruno Lauzi)

Vuoi far la nanna bambino piccino io già da un'ora ti sto vicino.


Tutte le favole ho già raccontato e non ti sei addormentato.
Ho chiamato S. Fernando che da un po’ ti sta osservando,
ti conviene stare buono sennò scende giù dal trono
e se si muove per te son dolori, dalla finestra ti butta fuori.
E se non basta lui personalmente si fa aiutare da S. Clemente.

Ninna nanna ninna oh, la pazienza non ce l'ho!

Proprio stasera che mamma sta fuori, me ne combini di tutti i colori,


il pigiamino l'ho appena cambiato e sei di nuovo tutto bagnato.
Ora chiamo S. Francesco che ha un suo metodo tedesco
e se arriva S. Crispino te le dà sul sederino,
e a S. Pasquale non fa complimenti, quello ti manda quattro accidenti.
Se tu hai paura vai sotto al lenzuolo, ci sono io non sei da solo.

Ninna nanna ninna oh la pazienza non ce l'ho!

E per far chiudere al bimbo un occhietto mi ci è voluto S. Benedetto,


per fargli chiudere l'altra pupilla devo chiamare Santa Priscilla.

Ninna nanna ninna oh questo bimbo a chi lo do!

Lo darò a San Torquato che lo venderà al mercato


e chi lo compra è S. Bartolomeo che lo regala a S. Matteo
e tutti e due lo fanno giocare così si può addormentare.

Ninna nanna ninna oh la pazienza ormai ce l'ho!

(Bruno Lauzi)

93
Testo 6 : Per te (Jovanotti)

È per te che sono verdi gli alberi è per te il profumo delle stelle
e rosa i fiocchi in maternità è per te il miele e la farina
è per te che il sole brucia a luglio è per te il sabato nel centro
è per te tutta questa città le otto di mattina
è per te che sono bianchi i muri è per te la voce dei cantanti
e la colomba vola la penna dei poeti
è per te il 13 dicembre è per te una maglietta a righe
è per te la campanella a scuola è per te la chiave dei segreti

è per te ogni cosa che c’è ninna naaaa è per te ogni cosa che c’è ninna naaaa
ninna eeee... ninna eeee...

è per te che a volte piove a giugno è per te il dubbio e la certezza


è per te il sorriso degli umani la forza e la dolcezza
è per te un’aranciata fresca è per te che il mare sa di sale
è per te lo scodinzolo dei cani la notte di Natale
è per te il colore delle foglie
la forma strana delle nuvole è per te ogni cosa che c’è ninna naaaa
è per te il succo delle mele ninna eeee...
è per te il rosso delle fragole

è per te ogni cosa che c’è ninna naaaa


ninna eeee...
(Jovanotti)

94
Testo 7 : Canzone per Sarah (Angelo Branduardi)

Bambino mio,
ti porta il mare,
ti culla l’onda,
ti veste il fuoco.
E calde le tue piume,
chicco di grano...
nuvola sottile,
piccole mani;
e là dove sarai
ti porto il mare,
se il mare è asciutto,
il mio dono è pioggia...
Ma dormi il tuo riposo,
e ti darò il vento,
se il vento è tempesta
lo caccerò lontano.

Ma dormi e non pensare,


avrai un amico cane,
e abbaierà alla luna
e i rospi nel fossato
e il tuo campo di dalie
e l’albero di pino
e l’ombra dei suoi rami...
Ma racconta a me i dolori
perché già sai.

(Angelo Branduardi)

95
Testo 8 : Ninna nanna oh (Tricarico)

Dormi, dormi bambino


nel tuo lettino
e io ti canto un pensierino.
Dorme anche la mamma
mentre il papà,
lui ti canta una ninna nanna d’amore... oh, amore...
Che cos’è questo amore mio per...

Ninna nanna oh... ninna nanna...


ninna nanna oh... ninna oh...
Ninna nanna oh... ninna nanna...
ninna nanna oh... ninna oh...

Dorme l’arcobaleno,
dorme anche il cielo.
Fai sogni d’oro fino al mattino
amore... oh, amore...
Che cos’è questo amore mio per...

Ninna nanna oh... ninna nanna...


ninna nanna oh... ninna oh...
Ninna nanna oh... ninna nanna...
ninna nanna oh... ninna oh...
Ninna nanna d’amore... oh, amore...
Che cos’è questo amore mio per te?

(Tricarico)

96
Testo 9 : Rituale della tribù indiana degli Omaha

«Sole, Luna, Stelle tutte che percorrete il Rendete agevole il suo cammino,
Cielo, affinché giunga alla cima del terzo colle!
vi prego, ascoltatemi! Uccelli, grandi e piccoli, voi che solcate l’aria,
In mezzo a voi è giunta una nuova vita. Animali, grandi e piccoli, voi che popolate la
Acconsentite, vi imploro! foresta
Rendete agevole il suo cammino, affinché insetti, voi che trovate rifugio fra l’erba
giunga e nelle viscere della Terra,
alla cima del primo colle! vi prego, ascoltatemi!
In mezzo a voi è giunta una nuova vita.
Venti, Nuvole, Pioggia e Bruma, Acconsentite, vi imploro!
voi che fluttuate nell' Aria, Rendete agevole il suo cammino,
vi prego, ascoltatemi! affinché giunga alla cima del quarto colle!
In mezzo a voi è giunta una nuova vita. Voi tutti essere celesti, voi tutte creature dell'aria,
Acconsentite, vi imploro! voi tutti figli della Terra:
Rendete agevole il suo cammino, vi prego, ascoltatemi!
affinché giunga alla cima del secondo colle!» In mezzo a voi è giunta una nuova vita.
Acconsentite, vi imploro!
Monti, Vallate, Fiumi, Laghi, Rendete agevole il suo cammino,
Alberi e praterie, affinché il suo viaggio continui al di là dei quattro
voi che appartenete alla Terra, colli!
vi prego, ascoltatemi!
In mezzo a voi è giunta una nuova vita.

Acconsentite, vi imploro!

97
Testo 10 : La magia di un abbraccio (Pablo Neruda)

“Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?


Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno,
fissa quell’istante magico nell’eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”.

(Pablo Neruda, 1904-1973)

98
NINNA NANNA
UN MOTIVO CLASSICO E UN MOTIVO JAZZ

Ninna nanna di J. Brahms

Il motivo, intitolato Wiegenlied ma conosciuto come Lullaby, è stato scritto dal


compositore tedesco per una certa Berta Faber in occasione della nascita del suo secondo
figlio.

Testo 11 : Ninna nanna di J. Brahms

Chiudi gli occhi tesor Sarai desto doman


coperto di fior se il Signore lo vuol,
senz'ombra di duol sarai desto doman
va sotto al lenzuol. se il Signore lo vuol.

Sarai desto doman Chiudi gli occhi tesor


se il Signore lo vuol, e risogna tra i fior
sarai desto doman un albero ugual
se il Signore lo vuol. a quel di Natal.

Chiudi gli occhi tesor E degli angel tra i vel


e risogna tra i fior intraveda tu il ciel,
un albero ugual e degli angel tra i vel
a quel di Natal. intraveda tu il ciel.

E degli angel tra i vel


intraveda tu il ciel,
e degli angel tra i vel
intraveda tu il ciel.

99
Summertime
“Summertime” è un’aria composta dall’artista George Gershwin per l’opera “Porgy and
Bess” del 1935. Il compositore e cantante Alexis Kochan ha avanzato l’ipotesi che la
melodia possa essersi ispirata a una ninna nanna originaria dell’Ucraina chiamata “Oi
Khodyt Son Kolo Vikon”, letteralmente “Un sogno passa davanti alla finestra”. Gershwin
avrebbe ascoltato la sinfonia durante un’esibizione a New York del Coro Nazionale
Ucraino. Il testo è una ninna nanna in cui il cantante rassicura un bambino riguardo il
presente e il futuro. Il brano è diventato uno dei più popolari brani in chiave standard jazz.
Da subito popolarissima, è stata reinterpretata moltissime volte, contendendosi con
“Yesterday” dei Beatles il titolo di canzone reinterpretata più volte. Infatti, anche la
“regina del blues”, Janis Joplin, interpretò “Summertime”.

Testo 12 : Summertime

Summertime, Tempo d’estate,


And the livin' is easy: fish are jumpin' e vivere è facile: i pesci stanno saltellando
And the cotton is high e il cotone è alto.

Oh, Your daddy's rich Oh, il tuo papà è ricco


And your mamma's good lookin' e la tua mamma è bellissima:
So hush little baby quindi stai zitto, piccolino,
Don't you cry non piangere.

One of these mornings Una di queste mattine


You're going to rise up singing ti alzerai dal letto cantando;
Then you'll spread your wings poi spiegherai le tue ali
And you'll take to the sky e andrai in cielo.

But until that morning Ma fino a quella mattina


There's a'nothing can harm you non c’è niente che possa farti male
With your daddy and mammy standing by con il tuo papà e la tua mamma che ti
And the livin' is easy. Fish are jumpin' assistono. E vivere è facile: i pesci stanno
And the cotton is high saltellando e il cotone è alto.
Your daddy's rich Oh, il tuo papà è ricco
And your mamma's good lookin' E la tua mamma è bellissima:
So hush little baby. Don't you cry quindi stai zitto, piccolino. Non piangere

100
BIBLIOGRAFIA

MAGISTERO

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica, Lumen Gentium, (21


novembre 1964).

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale, Gaudium et Spes, (7


dicembre 1965).

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Actuositatem, (18 novembre 1965).

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Gravissimum educationis, (28 ottobre 1965).

FRANCESCO, Esortazione apostolica, Amoris Laetitia, (19 marzo 2013).

FRANCESCO, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae,


Quando il silenzio è musica, (12 dicembre 2013).

FRANCESCO, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, La


ninnananna del Signore. Per capire l’amore di Dio dobbiamo farci piccoli, (27 giugno
2014).

FRANCESCO, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, La


ninnananna di Dio, (11 dicembre 2014).

FRANCESCO, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae,


Tenere conto delle piccole cose, (14 dicembre 2017).

FRANCESCO, Omelia durante la Celebrazione mattutina trasmessa in diretta dalla


Cappella della Domus Sanctae Marthae, Tornare a Dio è tornare all’abbraccio del Padre,
(20 marzo 2020).

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FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 18 febbraio 2015,


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FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, 18 marzo 2015,


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vincerle bisogna conoscerle, in:
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06%20Risatti%20paure.pdf, 6 dicembre 2017 (ultima visita 5.02.2021).

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SHIMUZU, E., Il metodo giapponese per la nanna perfetta: 5 passi per non passare le
notti in bianco, in: https://www.huffingtonpost.it/entry/il-metodo-giapponese-per-la-
nanna-perfetta-5-passi-per-non-passare-le-notti-in-
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108
ICONOGRAFIA

Figura 1 - “Madonna della Tenerezza” 1491, di Andrea Mantegna (1431-1506), Padova


Musei Civici degli Eremitani.......................................................................................... 73
Figura 2 - “La Madonna della Loggia” 1467-70, di Sandro Botticelli (1445-
1510), Gallerie degli Uffizi. ........................................................................................... 74
Figura 3 - “Riposo durante la fuga in Egitto”1597, di Michelangelo Merisi da Caravaggio
(1571-1610), Galleria Doria Pamphilj di Roma. ............................................................ 75
Figura 4 - “La nonna” 1865, di Silvestro Lega (1826-1895), collezione privata. .......... 76
Figura 5 - “La culla” 1872, di Berthe Morisot (1841-1895), Musée d'Orsay, Parigi ..... 77
Figura 6 - “Prime carezze” 1866, di William-Adolphe Bouguereau (1825-1905). ........ 78
Figura 7 - “Young mother child contemplating” 1871 di William-Adolphe Bouguereau
(1825-1905) . .................................................................................................................. 79
Figura 8 - “Berceuse” (“Ninna Nanna”) 1872, di William-Adolphe Bouguereau (1825-
1905). .............................................................................................................................. 80
Figura 9 - “Giovane donna che culla il bambino” 1881, di Odoardo Borrani (1833-1905)
........................................................................................................................................ 81
Figura 10 - “Sleeping Mother” 1883- Christian Krohg (1852 – 1925) .......................... 82
Figura 11 -“La culla” 1917-1918, di Gustav Klimt (1862-1918), National Gallery of
Art di Washington. ......................................................................................................... 83
Figura 12 - “Madonna col Bambino nella culla” 1966, di Trento Longaretti (1916-2017).
........................................................................................................................................ 84
Figura 13 – Miniatura a tempera e oro. Libro d’Ore, Besançon, 1450 ca. ..................... 85
Figura 14 - “La Vergine accarezzata dai suoi genitori”, mosaico, Monastero di Chora,
Istanbul. .......................................................................................................................... 86
Figura 15 - “La Theotokos” di Vladimir. Galleria Tret'jakov di Mosca. ....................... 87
Figura 16 - “La Tenerezza di Dio” realizzato da Padre Marko Rupnik, all’ingresso del
Policlinico Gemelli, ART, Roma. .................................................................................. 88

109
ANTOLOGIA

Testo 1 : Una ninnananna (William Blake) ................................................................... 89


Testo 2 : L’uccellino quando imbruna (Giovanni Pascoli)............................................ 90
Testo 3 : Ninna nanna in mezzo al mare (Vivian Lamarque) ........................................ 91
Testo 4 : Ninna nanna (Bruno Lauzi) ............................................................................ 92
Testo 5 : Ninna nanna Meridionale (Bruno Lauzi)........................................................ 93
Testo 6 : Per te (Jovanotti)............................................................................................. 94
Testo 7 : Canzone per Sarah (Angelo Branduardi)........................................................ 95
Testo 8 : Ninna nanna oh (Tricarico)............................................................................. 96
Testo 9 : Rituale della tribù indiana degli Omaha ......................................................... 97
Testo 10 : La magia di un abbraccio (Pablo Neruda) .................................................... 98
Testo 11 : Ninna nanna di J. Brahms ............................................................................. 99
Testo 12 : Summertime ............................................................................................... 100

110
INDICE

SOMMARIO……………………………………………………………………………3

PREFAZIONE……………………………………………………………………...…..4

CAPITOLO I: LA NINNA NANNA: MOMENTO EDUCATIVO PRIVILEGIATO


E RITUALE COSTITUTIVO DELLA RELAZIONE…………………………...…11

Introduzione…………………………………………………………………………….11

1.1 Definizioni, significato e caratteristiche della ninna nanna………………..……….13

1.2 Il grembo materno: la prima casa …………………………………………………..18

1.3 Vita quotidiana e il rituale della Ninna Nanna…………………………………..…..21

1.4 Educazione e formazione della persona: relazione e interazione, corpo, linguaggio,


emotività…………………………………………………………………….………….24

Conclusione…………………………………………………………….………………31

CAPITOLO II: LA SPIRITUALITA’ DELLA TENEREZZA IN PAPA


FRANCESCO…………………………………………………………...…………….36

Introduzione…………………………………………………………………………….36

2.1 La spiritualità della tenerezza nell’amore famigliare e il metodo narrativo…….….37

2.2 La Ninna Nanna di Dio nelle omelie di Papa Francesco………………………….…43

2.3 Le udienze generali del mercoledì dal 17 dicembre 2014 al 24 giugno 2015…….….47

Conclusione………………………………………………………...…………………..52

111
CAPITOLO III: LA NINNA NANNA PER UNA PROSPETTIVA PASTORALE
NUOVA……………………………………………………...……………...………….53

Introduzione……………………………………………………...………….………….53

3.1 Ninna Nanna e trasmissione della fede?....................................................................55

3.2 Alcuni Progetti sulla Ninna Nanna…………………………..……………………..58

3.3 Una pratica pastorale……………………..…………..…………………………….64

Conclusione…………………………………………………………...………………..70

APPENDICE………………………………………………………………………….73
BIBLIOGRAFIA…………………………………….………………………………101
SITOGRAFIA………………………………………………………………….…….105
ICONOGRAFIA…………………………………………………………………..…109
ANTOLOGIA……………………………………………………………………..…110
INDICE……………………………………………………………………………….111

112

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