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Capitolo 1

Il Giappone Tokugawa e la sua crisi

Fino agli inizi del VII secolo, l’arcipelago giapponese si presentava diviso nei territori autonomi
di numerosi clan. L’economia si basava su 0unigracoltura favorita dal clima temperato e
dall’abbondanza di acqua dolce. Nel IV secolo, unendo le armi alla diplomazia, uno dei clan
giunse a dominare la regione Yamato. Nel 607 la casa Yamato avviò delle relazioni
diplomatiche con la Cina e nel 645 fu aperta la strada del paese verso uno stato unitario. La
corte prese come modello la Cina dei Tang, all’epoca la massima potenza del mondo
conosciuto. Fu quindi creato un sistema di governo centralizzato dove tutte le famiglie di
nobili avevano una grande importanza. A sorreggere gli apparati del nuovo stato
contribuirono la scrittura e il buddhismo. Il buddhismo, con i suoi rituali servì ad accrescere il
prestigio del monarca e della sua corte. Questa sofisticata religione influenzò e in parte
assimilò i culti autoctoni, rivolti agli antenati e alle forze della natura. I kami furono accolti dal
buddhismo come manifestazione di una superiore verità. Nonostante l’entrata e l’influenza del
buddhismo, lo Shinto forniva la legittimazione sacrale del potere alla dinastia Yamato, che si
vantava di discendere dalla dea del sole. All’inizio del VIII secolo di misero per iscritto gli
antichi miti, fino ad allora trasmessi in forma orale. Secondo tale narrazione, ad ottenere il
primo titolo di tenno (celeste sovrano) fu Jinmu, che avrebbe regnato dal 660 a.C. la ricerca di
una località adatta ad ospitare una capitale portò alla fondazione nel 710 di Nara sul modello di
Chang’an. La capitale fu abbandonata nel 784 perché il clero buddhista vi aveva raggiunto
un’eccessiva influenza politica. Dieci anni dopo gli imperatori si stabilirono a Heiankyo, in
seguito nota come Kyoto, dimora fino al 1868. Fiorì una nuova cultura che si emancipò dai
modelli stranieri per sviluppare caratteristiche originali e a ciò contribuì una lunga interruzione
delle missioni ufficiali con la Cina. Inoltre, il Buddhismo, da religione di stato utilizzata per i riti
propiziatori, si radicò nella società. Con il trasferimento a Kyoto nell’esercizio di governo il
peso degli imperatori calò a vantaggio dell’aristocrazia. Nobili e templi si appropriarono di
terre statali, ottenendo esenzioni fiscali e altri privilegi. Inoltre, la rinuncia a di un esercito di
leva tra i contadini portò all’ascesa dei proprietari terrieri, capaci di armare i loro uomini e
mantenere l’ordine in nome del sovrano. Sorsero i Bushi, detti anche Samurai. Nel 1185 si
concluse una guerra con la vittoria dei Minamoto sui Taira, guidati da Yoritomo, che 7 anni
dopo ottenne il titolo di seini taishogun. Nella città di Kamakura fondò il Bakufu, quartier
generale della guardia militare. Dopo la morte di Yoritomo, il controllo del governo militare
passo alla famiglia della moglie, gli Hojo, che si assicurarono la carica ereditaria di reggente
dello shogun. Gli Hojo fornivano ai bushi cariche e diritti sulle terre ottenendo in cambio
fedeltà. Nel 1333 Go Daigo riuscì a suscitare una ribellione che si concluse con la caduta del
Bakufu. Questo suo tentativo di restaurazione lasciò delusi i suoi sostenitori, tra i quali
Ashikaga Takauji che dopo 3 anni costrinse Go Daigo a fuggire da Kyoto, impose come
successore un principe e si fece nominare shogun in virtù di una lontana parentela con i
Minamoto. I discendenti di Takauji rimasero per due secoli al comando del secondo Bakufu. Gli
Ashikaga però non riuscirono ad avere un solido controllo sul territorio e sotto i suoi eredi,
nelle province riacquistarono autonomia i governatori militari. In questo periodo furono
riallacciati i rapporti con la Cina. il titolo di Shogun fu trasmesso al figlio Yoshimitsu che nel
1401, in una lettera, si presentò come “re del Giappone”. L’equilibrio del Bakufu si spezzò nel
1467 a seguito di un conflitto armato tra due grandi casate, ricordato come “Guerra Onin”. Gli
Ashikaga conservarono il loro posto a stento in un paese che cadeva nell’anarchia dei domini
locali. Ormai i signori assoluti dei loro possedimenti, i daimyo, si combatterono per decenni,
formando delle alleanze con l’intento di conquistare terre a danno dei vicini. Nella seconda
metà del XVI secolo seguì un processo di unificazione del paese a opera di tre successivi capi
militari e politici: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Il primo un
eccezionale stratega e abile amministratore dopo aver eliminato i parenti rivali ridusse
all’obbedienza buona parte dello Honshu. Nel 1568 occupò Kyoto con la scusa di sostenere
uno degli Ashikaga che rivendicava per sé il titolo shogunale. Nel 1580 spazzò via il potere
buddhista massacrando monaci e seguaci. La sua ascesa si interruppe due anni più tardi,
mentre sosteneva nella capitale il figlio maggiore, prima di partire per un’altra campagna
militare. A raccogliere l’eredità fu Toyotomi Hideyoshi. Nel 1591 completò il processo di
unificazione del Giappone con la conquista del Kanto. Nel 1588 emanò un editto per la
requisizione di spade e armi ai non samurai, avvenne dunque la separazione tra classe
guerriera e agricoltori, avviata da Nobunaga. Hideyoshi seguì l’esempio di Nobunaga nello
sviluppo economico, ordinando un’indagine catastale in tutto il paese. Poco dopo la
riunificazione del Giappone, Hideyoshi lanciò nel 1592 una spedizione contro la Corea, con
l’obiettivo finale di sottomettere la Cina. Dopo anni di saccheggi i giapponesi si ritirarono
lasciando una ferita nella relazione tra i due paesi. Ambivalente fu il rapporto di Hideyoshi con
gli europei. Nel 1557 i portoghesi ottenere dal governo Minh il permesso di insediarsi a Macao
e gli scambi si intensificarono. Sulle navi portoghesi non viaggiavano solo mercanti, ma anche
missionari: F. Saverio predicò per 3 anni in Giappone spingendosi fino a Kyoto. I nuovi
missionari irritarono Hideyoshi e nel 1597 fu scatenata una repressione: 9 missionari stranieri e
17 convertiti furono crocefissi a Nagasaki. Seguirono demolizioni di chiese ed espulsioni. Nel
1592 diede al nipote il titolo di kanpaku per assumere quello di taiko. Quando però nacque il
figlio costrinse al nipote al suicidio. Morto il padre, Hideyori aveva appena 5 anni e per
metterlo al riparo Hideyoshi aveva disposto che cinque dei suoi maggiori vassalli formassero
un consiglio di reggenti fino alla maggiore età. Il piano fallì e a emergere vittorioso da questo
scontro fu Tokugawa Ieyasu. Nel 1603 ottenne la carica di Shogun dall’imperatore. Dopo 2
anni, trasferì il titolo al figlio così da assicurare il diritto di successione. Nel 1615 assediò il
castello di Osaka, Hideyori si suicidò insieme alla madre; il suo bambino invece fu catturato e
ucciso. Ieyasu morì l’anno successivo a 73 anni. Iniziò così la grande pace della dinastia
Tokugawa. Nel 1642 Iemitsu estese ai daimyo il sistema delle residenze alternative o Sankin
Kotai. Veniva richiesto loro di trascorrere un anno a Edo e il seguente nel loro han. Un effetto
collaterale erano le ingenti spese. Lo scopo era quello di evitare che i signori stabilissero
alleanze fra di loro e andare contro il Bakufu. Nonostante questi obblighi avevano piena
autonomia negli affari interni alle proprie terre: stabilivano leggi, nominavano funzionari e
limitavano la libertà dei loro sudditi. In ambito religioso, l’epoca Tokugawa diede risalto al
confucianesimo arrivato dalla Cina. A visione del mondo proposta dal confucianesimo si
accordava con l’impegno di Ieyasu e dei suoi successori per la costruzione di un regime stabile,
dopo i lunghi conflitti che avevano travagliato il paese. Il sistema di scambi con l’estero avviato
dai Tokugawa viene ricordato con il termine “Sakoku” (Paese chiuso). In realtà il Giappone
continuò a intrattenere dei rapporti con l’esterno ma solo attraverso i canali ammessi dal
Bakufu. Inizialmente Ieyasu seguì la linea di Hideyoshi, cercò di ostacolare i missionari senza
rompere i rapporti con le potenze che li proteggevano. Nel 1602 e 1602 inviò a Manila due
lettere attraverso le quali proponeva scambi regolari alla Spagna con il sistema dei <<sigilli
vermigli>>. Lo Shogunato allargò anche i traffici autorizzati a olandesi e inglesi che si erano
stabiliti nelle Indie. Nel 1614 il Bakufu mise al bando il cristianesimo, nel 1623 pose fine al
commercio con la Spagna e nel 1635 gli olandesi furono confinati all’isola artificiale di Dejima.
L’espulsione dei portoghesi fu dovuta ad una rivolta avviata dai cristiani nella penisola di
Shimabara. I britannici se ne andarono spontaneamente nel 1623. Nel 1635 il Bakufu vietò di
viaggiare oltremare, fu vietato di costruire navi in grado di attraversare l’alto mare.
Le quattro porte sul mondo

A Nagasaki si concentravano i rapporti con gli olandesi e soprattutto con i cinesi. Gli scambi
con la Cina avevano natura commerciale e privata dato che le relazioni ufficiali si erano
interrotte durante le guerre civili. Ieyasu e suoi successori preferirono non riallacciare rapporti
con Pechino per mettere in ombra la dinastia shogunale. Il commercio con la Cina fu promosso
anche attraverso la Corea e le Ryukyu. Con il regno di Corea furono stabilite relazioni
commerciali e diplomatiche superando il trauma di quanto accaduto con Hideyoshi. Da
Tsushima il commercio non veniva controllato direttamente dallo shogunato ma dalla
famiglia So, daimyo dell’isola di Tsushima scelti dal Bakufu. La corte coreana inviò missioni a
Edo a intervalli decennali per occasioni speciali; l’ultima si fermo a Tsushima nel 1811 mentre
la successiva fu cancellata a causa delle turbolenze che avevano investito la politica estera
nipponica. Il terzo canale erano le Ryukyu con modalità differenti rispetto alle due. Il regno
delle Ryukyu grazie alla sua posizione assorbì molte influenze straniere ma mantenne un
rapporto particolarmente intenso con la Cina. Alla fine del cinquecento il regno ebbe un
declino economico a causa della pirateria ma nonostante ciò fu una preda attraente per gli
Shimazu, signori di Satsuma. Gli Shimazu erano riusciti ad occupare gran parte delle Ryukyu
ma si erano dovuti tirare indietro di fronte a Hideyoshi. Nel 1609 ottennero il permesso dal
Bakufu e gli Shimazu sbarcarono a Okinawa ed ebbero la meglio sui difensori. Il re fu condotto
prigioniero prima a Kagoshima e poi al cospetto di Ieyasu; riottenne la libertà due anni dopo e
la condizione per il rilascio fu la cessione a Satsuma delle isole più settentrionali. I giapponesi
decisero di nascondere tutto ciò al governo imperiale cinese, che altrimenti avrebbe interrotto
ogni rapporto con le Ryukyu. Nagasaki, Tsushima e Ryukyu assicuravano l’ingresso di filati e
tessuti in seta cinese. La quarta porta verso l’esterno era una grande isola a nord dello Honshu,
che prenderà il nome di Hokkaido in epoca moderna. In periodo Edo era nota come Ezo ed era
abitata da un gruppo etnico, organizzato in comunità tribali, che viveva di caccia, pesca e
agricoltura. Si tracciò sull’isola una linea di separazione tra Ezo e la “terra dei giapponesi”.
Anche se non ci fu un processo di colonizzazione gli Ainu divennero sempre più dipendenti
dagli scambi con i giapponesi. Il Bakufu trattò a lungo con gli Ainu come se fossero dei barbari
ma solo nel XVIII secolo passò a una politica di assimilazione per prevenire possibili tentativi di
colonizzare l’isola da parte dei russi.

Fine isolazionismo

1853/67 viene ricordato come Bakumatsu ossia fine del Bakufu e dopo secoli di esclusione dalla
scena politica, la figura del sovrano riemerse. Dopo due secoli di isolazionismo, il Giappone
cedette alle pressioni europee e americane per l’apertura a regolari scambi diplomatici e
commerciali: ciò permise l’acquisizione di beni materiali, conoscenze e idee che prima erano
accessibili solo attraverso gli scambi con gli olandesi nel porto di Nagasaki. L’apertura del
paese non si concretizzò solo nel commercio ma anche con l’invio dei primi studenti e
rappresentanti diplomatici in Europa e negli USA. Inizialmente, il Giappone, messo in allarme
dai primi contatti con gli stranieri, nel 1799 lo shogunato assunse il controllo diretto di Ezo
poiché si temeva che i Russi potessero tentare un attacco. Fu avviata così una politica
culturale, quindi gli Ainu non furono più considerati barbari sottomessi ma ottennero un loro
posto all’interno del Giappone. Nel frattempo, anche il Regno Unito aveva conquista l’India e
diventato la massima potenza mondiale. Nel 1818 gli inglesi inviarono una missione a Edo e il
rifiuto da parte dello shogunato non suscitò grosse reazioni poiché l’interesse principale era la
Cina. Nel 1842 la Cina dei Qing perse la Guerra dell’Oppio. Come condizione di pace la Cina
dovette pagare un’indennità, aprire cinque porti e cedere l’isola di Hong Kong. Il trattato di
Nanchino aprì la strada ad altri trattati con le potenze occidentali. Questi trattati furono in
seguito chiamati <<diseguali>> poiché imponevano alla parte più debole delle limitazioni: dazi
per impedire una politica protezionistica; extraterritorialità degli stranieri, ossia il diritto di
essere giudicati secondo le proprie leggi e la clausola della “nazioni più forte”. Nel 1844 il re dei
Paesi Bassi invia una lettera che conteneva un invito a rinunciare all’isolazionismo; lo
shogunato non era interessato a dei rapporti con gli olandesi e poiché temeva uno scontro
armato decise di temporeggiare rafforzando le difese militari. Gli USA all’epoca erano in piena
espansione verso il Pacifico: nel 1846 acquisirono il controllo di territori che andavano dalle
Montagne Rocciose al tratto di costa tra Messico e Canada; due anni dopo in seguito ad una
guerra ottennero il controllo della California ottenendo il porto di San Francisco come base dei
traffici verso l’Asia. Nel 1846 già una squadra di due navi si era presentata alla baia di Edo per
chiedere alle autorità di stringere un trattato di amicizia e commercio sul modello di quello
concluso tra USA e Cina. La richiesta fu respinta.

• Una seconda missione fu guidata da Matthew Perry che giunse nelle Ryukyu nel 1853 con
quattro navi da guerra. Perry ebbe un atteggiamento intimidatorio, facendo leva
sull’impressione prodotta dalle sue navi nere. Il commodoro richiese di consegnare una lettera
da parte del presidente Fillmore, minacciando di condurre la squadra navale a Edo se gli fosse
minacciato. La lettera, in tono amichevole, esprimeva il desiderio di stabilire rapporti
commerciali, ottenere soccorso per i naufraghi americani e il diritto di fare scalo. Perry
annunciò che sarebbe tornato la primavera successiva per ricevere risposta. Come promesso
nel 1854 Perry si ripresentò, si svolsero delle trattative a Kanagawa dove fu siglato il 31 marzo
1854 il Trattato di Kanagawa che assicurava assistenza ai naufraghi e consentiva alle navi
statunitensi di sostare in due porti: Shimoda e Hakodate. Inoltre, agli USA era stato dato il
privilegio di <<nazione favorita>>.

• Per quanto riguarda la Russia, fu stipulato un trattato a Shimoda che prevedeva


l’extraterritorialità e definiva i confini tra i due paesi. Le Curili furono spartite tra Russia e
Giappone mentre le Sachalin rimasero un territorio russo-giapponese.

• Dopo il successo della missione di Perry, il primo console americano Townsend Harris
lavorò per due anni fila ad un trattato di amicizia e commercio con il Giappone che fu
stipulato nel 1858. Il nuovo trattato apriva al commercio ulteriori porti come Nagasaki,
Kanagawa, Niigata; applicava alle merci dei dazi moderati (per permettere un facile accesso
alle merci americane); permetteva ai cittadini americani di risiedere in ciascun porto aperto, in
regime di extraterritorialità. Il commercio era autorizzato anche nelle grandi città di Edo e
Osaka. Inoltre, le relazioni ebbero un salto di qualità con l’invio di rispettivi diplomatici nelle
capitali.

• Altre missioni ufficiali viaggiarono in Europa tra il 1862 e il 1867 e negli stessi anni lo
shogunato inviò circa 60 studenti. Nel 1866 fu siglato un trattato tra Giappone e Italia.

Le conseguenze dei trattati

Gli stranieri cominciarono ad esplorare un mercato poco accessibile e con una domanda
ancora limitata di prodotti. La natura dello scambio era quella tipica dall’incontro tra paesi
industrializzati e paesi a economia prevalentemente rurale. Da parte giapponese si
esportavano seta grezza, tè verde, artigianato tipico come la lacca ecc. inoltre gli agricoltori
trassero vantaggio da un’epidemia che aveva decimato i bachi da seta dei maggiori produttori
europei, infatti questi ultimi si recarono in Giappone per acquistare le uova e ripopolare gli
allevamenti in patria. Dal 1866 la bilancia fu a favore degli stranieri sia per la crescente
domanda che per il ribasso de dazi all’importazione. Mentre con l’Italia che aveva una capacità
industriale ancora limitata e scarsi interessi in Asia, il Giappone continuò a godere di un saldo
attivo. Mentre in Giappone il cambio tra oro e argento era di circa 1:5, sui mercati
internazionali era 1:15; ciò consentiva agli stranieri di avere un profitto del 200% e derivò
un’enorme emorragia di valuta che produsse l’inflazione. Di questo aumento trassero
vantaggio agricoltori e mercanti, mentre subirono dei danni coloro che percepivano un reddito
fisso, compresi i Samurai. A differenza della corte Quing, il Bakufu cede alla politica
isolazionista senza passare da uno scontro armato. Il Giappone godette di una relativa
tranquillità ma ciò non significava che l’apertura non turbasse l’ordine interno del paese.
L’intervento straniero innescò un collasso del sistema shogunale negli anni Sessanta.

La crisi interna

L’autorità Tokugawa doveva garantire la sicurezza e la pace del paese. Nella seconda metà
dell’Ottocento il Bakufu appariva offuscato da tentativi falliti di riforma fiscale; ad aggravare la
situazione si aggiunsero alcuni disastri naturali negli anni Cinquanta: incendio del palazzo
shogunale (1850), tre grandi terremoti e una devastante epidemia di colera (1869), morbo
penetrato tramite navi straniere. Nei decenni prima dell’arrivo di Perry, la classe samuraica
aveva ideato dei progetti di rafforzamento contro la minaccia esterna. È il caso di Sakuma
Shozan che avanzò proposte innovative quali la creazione di una marina da guerra e di una
rete di scuole per forgiare le giovani generazioni e l’adozione di principi meritocratici per far
fronte ai privilegi ereditari. L’incapacità da parte dello shogunato nel respingere gli occidentali
(palese con i primi trattati) giustificò la diffusione di tesi ostili al Bakufu stesso. Il governo di
Edo non disponeva di mezzi sufficienti a creare un apparato di difesa, tuttavia poiché lo
shogunato conservava il potere facendo leva sui domini locali, era restio a coinvolgere i
daimyo esterni in uno sforzo coordinato. Inoltre, l’elaborazione di possibili riforme era
ostacolata dal sistema delle cariche ereditarie e dalla mancanza di una forte leadership tra i
consiglieri dello shogun. Questi difetti emersero in modo drammatico nel 1853. Poco dopo la
visita di Perry il clima fu aggravato dalla morte dello shogun Ieyoshi, cui successe il figlio dalla
salute malferma. L’iniziativa politica passo nelle mani del presidente del consiglio degli anziani
Abe Masahiro che diffuse la lettera di Fillmore per invitare i daimyo ad esprimere un loro
parere sulla linea da adottare.
• La maggioranza fu a favore dello status quo, ossia il rifiuto delle richieste straniere.
• Un secondo gruppo propose delle limitazioni allo stretto necessario per evitare guerre.
• Un terzo partito sostenne che l’apertura era la via migliore per rafforzare il paese.

Corte imperiale e scuola di Mito

Nel 1853 si aggrava la salute dello shogun Iesada che morì nel 1858 dopo la firma del trattato
commerciale. Intorno alla scelta del successore si accese una disputa: i Fudai vedevano nel
ramo cadetto Kii un mezzo per mantenere un saldo controllo sul governo; i tozama invece
sosteneva Tokugawa Nariaki, ex signore di Mito. Come gli altri membri dei rami collaterali,
Nariaki non aveva diritto agli incarichi del Bakufu, tuttavia dopo l’arrivo di Perry fu nominato
consigliere per la difesa marittima. Nel corso del periodo Edo a Mito era sorte una corrente
kokugaku che enfatizzava la centralità della dinastia imperiale nella storia del Giappone e ciò
era molto pericoloso per lo shogunato poiché avrebbe significato spostare l’attenzione su
Kyoto. Lo studioso Aizawa scrisse una relazione allo shogunato dove li esortava a non
sottovalutare i barbari d’oltreoceano. Egli sosteneva che il Giapponese sarebbe riuscito a
rafforzarsi grazie al suo unico e superiore kokutai, in quando fondato da una stirpe divina. In
questa chiave riprende il motto sonno joi <<riverire il sovrano e cacciare i barbari>>. Questo
testo avrebbe potuto suscitare le ire del Bakufu, infatti il signore di Mito impedì di consegnare
il testo, il quale tuttavia circolò dopo che Nariaki assunse la guida del dominio. L’ideologia
sonno joi fu appoggiata da daimyo, samurai, coloro che non avevano incarichi ufficiali per
portare avanti i propri interessi: la corte vuole riaffermarsi, i signori regionali voglio affermarsi
contro i Tokugawa, i signori locali vedono l’opportunità di fare carriera. Un elemento molto
importante è la nuova mobilità sociale: prima si aveva la precedenza per diritto ereditario, ma
adesso anche chi proveniva dagli strati più bassi della classe samuraica poteva distinguersi e
fare carriera.

Repressione e compromesso

Mentre alcuni domini Tozama si erano schierati sia contro gli stranieri che contro lo shogunato
che aveva fallito nel compito di proteggere il paese dai barbari; i samurai di Mito puntavano a
risanare il Bakufu allontanando i funzionari non degni. Nel 1858 fu posto alla guida del Bakufu
Naosuke e gli fu conferito il titolo di Tairo, cui erano attribuiti poteri superiori a quelli degli
altri consiglieri. Naosuke cercò subito di riaffermare l’autorità dello shogunato contro gli
avversari interni e scongiurare un possibile scontro con le potenze straniere. Nonostante
mancasse il consenso dell’imperatore, stipulò un trattato con gli USA. In seguito alle proteste
di Nariaki avviò una repressione di un centinaio di diffidenti. Nariaki e il figlio furono messi agli
arresti domiciliari, anche se in età matura verrà riabilitato. Nel 1860 Naosuke fu assassinato da
alcuni samurai di Mito. Questo fu un colpo durissimo che portò i consiglieri ad abbandonare la
linea di Naosuke. Tra le casate che strinsero relazioni con la corte si distinse quella degli
Shimazu, signori di Satsuma. Gli Shimazu avevano cessato di riferire al Bakufu riguardo i loro
traffici attraverso le Ryukyu e grazie ai profitti del commercio riuscirono ad aprire un cantiere
navale di tipo moderno. La classe dirigente locale pensava che il movimento per la <<cacciata
dei barbari>> fosse controproducente. Nel 1862, a causa di un incidente, un britannico morì.
Londra allora pretese delle scuse ufficiali e un risarcimento sia da parte di Satsuma che dal
Bakufu. Il Bakufu pagò, Satsuma si rifiutò e infatti l’anno successivo la marina bombardò
Kagoshima, città sede del clan. In seguito a questo scontro la situazione si placò, infatti
Satsuma all’insaputa di Edo, inviò 15 giovani a Londra, mentre armi e vari macchinari moderni
venivano importati in grande quantità. Sempre nel 1862 il Bakufu attuò dei provvedimenti
ricordati come “riforme Bunkyu”: si stabilì di inviare alcuni studenti all’estero e adottare criteri
occidentali per riorganizzare le forze armate. La riforma più clamorosa riguardò le residenze
alternative: l’obbligo di soggiorno daimyo dei daimyo fu ridotto a 100 giorni ogni tre anni.
Opposizione radicale

Il movimento sonno joi si radicò anche a Choshu , un altro dominio tozama. Messo alle strette
il governo di Edo comunicò una data precisa come inizio delle ostilità contro gli stranieri, senza
avere realmente l’intenzione di passare ai fatti. L’ordine fu preso alla lettera da Choshu e aprì il
fuoco sui mercantili in transito. Il territorio di Choshu si affacciava sullo stretto di Shimonoseki,
un punto di passaggio obbligatorio per il traffico marittimo. L’azione di Choshu avrebbe
dovuto mobilitare il paese, ma il Bakufu che aveva appena pagato un’ingente somma agli
inglesi assiste passivamente alla spedizione punitiva organizzata da Gran Bretagna, Francia,
Paesi Bassi e USA contro i Mori. Come anche a Satsuma, la superiorità occidentale fece ben
presto capire la necessità di evitare un altro scontro, ma anche i vantaggi che potevano
derivare da una relazione amichevole. Shimonoseki divenne uno dei maggiori centri di
scambio con l’estero, comprese l’importazione di armi da fuoco che furono poi usate contro il
Bakufu. Lo shogunato, ottenne l’ordine dall’imperatore di punire Choshu e inviò una grande
spedizione mobilitando 30 daimyo. La campagna fu però sospesa a seguito di un sotto attacco
da parte dei radicali capeggiati da Shinsaku.

La guerra civile

Nel gennaio nel 1866 Satsuma e Choshu stringono un’alleanza segreta, impegnandosi a darsi
reciproco aiuto in caso di guerra con il Bakufu. Frustrati dalla voglia di avere un ruolo politico al
di fuori dei loro han, i dirigenti di Satsuma si misero alla ricerca di nuovi alleati come Tosa e
Hizen. Per Choshu una guerra con il Bakufu era un pericolo imminente, infatti ottenuta
l’approvazione imperiale, lo shogunato stava allestendo una seconda campagna contro i
ribelli. La seconda campagna ebbe dei cattivi auspici per i Tokugawa: molti degli han
occidentali rifiutarono di partecipare all’aggressione. A luglio, dopo due mesi di
combattimenti, le forze shogunali non erano in grado di prevalere sui difensori, meglio
equipaggiati, organizzati e motivati. Alla morte dello shogun Iemochi, il successore Yoshinobu
fece emanare all’imperatore un decreto di cessazione delle ostilità. Ciò non bastò a salvare il
Bakufu che stava per sgretolarsi. Le iniziative dello shogunato miravano ad un accentramento
del potere e ciò non fu benvisto dagli han. Nel giugno del 1867, dopo un incontro tra shogun e
daimyo, Satsuma e Tosa strinsero alleanza con il Bakufu. L’accordo prevedeva la restituzione
dei poteri shogunali all’imperatore e l’istituzione di un’assemblea bicamerale: Camera alta
formata da daimyo e personalità di rango, Camera bassa formata da samurai e gente comune.
Sulla base dell’accorso stretto con Satsuma, in ottobre Tosa presentò allo shogun un formale
invito ad abdicare e rimettere tutti i poteri nelle mani dell’imperatore. Yoshinobu accettò il
compromesso. Il 3 gennaio del 1868 fu proclamata la <<restaurazione del governo
imperiale>>. Si dichiarava decaduto lo shogunato e si istituivano nuove cariche per nomina
diretta del sovrano. Inoltre, si decise di trasferire tutte le terre del Bakufu all’amministrazione
imperiale.

Le cause del cambiamento

La caduta dello shogunato rappresentò la fine di un intero sistema di governo. Scoppiarono


delle agitazioni contadine e dei tumulti urbani con l’obiettivo di richiamare i governanti ai loro
doveri di giustizia e benevolenze nei confronti del popolo. È chiaro che l’apertura del paese alle
potenze straniere impresse una svolta nelle vicende politiche. La firma dei trattati mise allo
scoperto la debolezza del Bakufu, non solo sul piano militare ma anche sue quello politico. Di
certo l’impatto all’apertura internazionale non sarebbe stata traumatica se lo shogunato non
fosse stato da tempo in una condizione di crisi cronica. La caduta del Bakufu va compresa
attraverso l’interazione tra processi socio-economici, dinamiche politiche interne e intervento
destabilizzante delle potenze occidentali.

Capitolo 2

La restaurazione Meiji
Uno dei primi atti compiuti dal nuovo governo in nome del Sovrano fu la proclamazione del
Giuramento in cinque articoli avvenuta il 6 aprile 1868. Si tratta di un manifesto vago dove
venivano mostrate a grandi linee i principi ispiratori e gli obiettivi fondamentali. Al primo
punto si stabiliva di istituire un’assemblea così da prendere delle decisioni attraverso un’aperta
discussione. Al secondo e terzo punto si afferma la volontà di unire le diverse forze sociali ma
non viene specifica l’abolizione delle barriere di classi. Gli organi centrali furono riorganizzati
sotto il nome di Dajokan, Gran consiglio di corte che rappresentava il vertice
dell’amministrazione tra il VIII e IX secolo. Il Dajokan non fu mai abolito, ma fu solamente
svuotato del suo ruolo. L’antica nomenclatura richiama un’epoca di grande splendore e servì a
dare un senso di prestigiosità alla nuova struttura di governo. Nel luglio 1871 furono distinti 3
organi:

1. Ufficio centrale (Seiin) che aveva il compito di assistere l’imperatore nella direzione generale
degli affari di stato. Era composto dal cancelliere e dai ministri della destra e della sinistra.
2. Ministero della destra (Uin) si occupava degli affari militari, della Giustizia, dell’educazione,
affari religiosi, Industria.
3. Ministero della sinistra (Sain) aveva un ruolo consultivo nella stesura delle leggi.

Nelle nomine precedenti aveva un ruolo molto importante la gerarchia, in occasione di questa
riforma i samurai di rango inferiore raggiunsero delle alte cariche, mentre furono spazzati via
daimyo e aristocratici di Kyoto.Nel 1875 si fece una separazione dei tre poteri, abolendo Uin e
Sain per istituire al di fuori del Dajokan il Genroin (Senato), organo di nomina imperiale che
assiste i funzionari durante la scrittura delle leggi; viene anche introdotto il Daishin, una corte
suprema indipendente dall’amministrazione.

Accentramento amministrativo

Nel settembre del 1868 il sovrano si trasferì a Edo, che venne ribattezzata Tokyo. Con
l’ingresso dell’imperatore nell’ex castello shogunale si segnalò al popolo la volontà di ridurre il
paese sotto un’unica guida. Un’azione cruciale è quella di abolire i domini dei daimyo ma per
farlo bisognava procedere con estrema cautela per evitare rivolte e malcontenti. Nel 1869
Satsuma, Choshu, Tosa e Hizen diedero l’esempio consegnando i registri degli han, ciò fu
esteso all’intero paese entro l’estate. Ciò non portò dei grossi cambiamenti poiché i Daimyo
furono confermati nelle rispettive sedi come governatori di nomina imperiale. Nel luglio 1871
si giunse all’assimilazione dei domini senza bisogno di ricorrere alle armi. Le condizioni offerte
agli ex daimyo per uscire di scena furono vantaggiose: fu garantita una rendita annua e inoltre
il governo si fece carico di tutti gli oneri finanziari, degli stipendi dei samurai fino ai debiti.
Liberati da ogni responsabilità, gli ex signori accettarono di trasferirsi a Tokyo. Gli han furono
rinominati ken ed entro il 1871 i ken furono ridotti da 302 a 72, scendendo poi a 43, numero
rimasto invariato fino al 1889. Ai ken vanno aggiunte le aree metropolitane (fu) di Tokyo,
Kyoto e Osaka, ma anche l’isola di Hokkaido che rappresentava un’unità a sé stante.

La dissoluzione delle classi ereditarie

La rete amministrativa creata nel 1871 poggio tutte alle altre operazioni verso la
modernizzazione del paese: dall’introduzione del servizio militare, fino alla politica industriale
e di sviluppo delle infrastrutture. Tutte queste iniziative ebbero come presupposto
l’abolizione delle barriere tra classi sociali. Nel 1872 caddero tutte le norme che separavano i
contadini, artigiani e mercanti. Furono assimilati al popolo comune anche i fuori casta che
vivevano in comunità segregate. Tuttavia, la parificazione rimase sulla carta poiché il governa
non riusciva affettivamente a intervenire contro tutti gli atteggiamenti discriminatori. Qual è
la sorte dei Samurai? I samurai che costituivano il 6% in un primo tempo mantennero uno
status distintivo ma a poco a poco il governo iniziò a tassare i loro stipendi per poi annunciare
nel 1876 la conversione di quali in titoli. Questa manovra fu preceduta da un decreto che
limitava le armi a militari, agenti di polizia e pubblici ufficiali. Tutto ciò rappresentava uno
schiaffo all’orgoglio degli ex samurai e non ebbe un effetto positivo. La classe dei Samurai
viene effettivamente abolita e denominata come “Shizoku”. In autunno scoppiarono delle
rivolte, rapidamente represse dal nuovo esercito di leva. Altra novità è l’introduzione della
leva obbligatoria. La coscrizione obbligatoria fu introdotta nel 1873 in seguito ad una
proposta da parte di funzionari del Choshu che avevano sperimentato in prima persona
l’efficienza delle milizie aperte a contadini e mercanti. Il servizio veniva imposto a tutti gli
uomini che avevano compiuto 20 anni. Era possibile evitare la leva pagando un’ingente
somma di denaro da destinarsi al mantenimento del sostituto. Nacquero delle proteste
popolari poiché veniva sottratta la forza alle famiglie. A causa delle limitate risorse finanziare
del governo solo una piccola parte fu realmente arruolata.

La ribellione di Satsuma

Dopo la rottura con i suoi colleghi, Saigo rientrò a Kagoshima dove finanziò una rete di
accademia privati che assicurassero agli Shizoku una formazione che desse spazio alle
discipline militari. L’iniziativa fu malvista dal governo che temeva la formazione di focolai di
dissidenza. Il clima di sospetto tra autorità centrali e locali contribuì a radicalizzare gli studenti
che nel febbraio 1877 si impadronirono delle armi e munizioni conservate negli arsenali di
Kagoshima. Saigo chiamò una schiera di armati annunciando di marciare su Tokyo per far
valere le proprie ragioni. Ai circa 15000 Shizoku della provincia se ne unirono altri dal Kyushu
meridionale. I coscritti costrinsero le forze ribelli a una ritirata ma Saigo, oppose una
resistenza fino a settembre, cadendo infine in combattimento. Ferito dai proiettili avrebbe
chiesto a uno dei suoi ultimi seguaci di mozzargli il capo per non finire prigioniero. Il fallimento
dimostrò che l’antica stirpe di guerrieri non era in grado su un esercito formato da semplici
contadini, ma equipaggiati con armi come fucili, mitragliatrici, cannoni. La marcia di Saigo non
innesco altre ribellioni anche perché vista la natura dello scontro non c’era da aspettarsi che le
masse popolari si mettessero contro il governo. Agli ex samurai non rimase che integrarsi con
il nuovo ordine sociale. Il governo mise a loro disposizione sussidi per la bonifica di terreni o
l’avviamento di fabbriche tessili per pacificare il paese e stimolare la crescita economica. Non
va sottovalutata la rivoluzione delle trasformazioni sociali dell’epoca: gli ex samurai che
conquistarono posizioni di rilievo si adeguarono alle nuove regole, mentre a coloro che
arrivavano da altre classi sociali si schiusero le possibilità di carriera fino ad allora impensabili.
Cultura e ideologia nazionali

A differenza della coscrizione obbligatoria che interessa gli uomini, l’obbligo scolastico al
livello elementare fu applicato in modo universale. Il primo sistema scolastico del 1872 era
modellato su quello francese e prevedeva un ciclo di studi di 4 anni per i bambini di ambo i
sessi. L’istruzione facoltativa era formata da corsi specialistici, dopo i quali si poteva accedere
ai corsi universitari. Il governo notò subito che il progetto di creare una rete di scuole con
programmi e organizzazione uniforme era gravoso per le casse dello stato. Per ridurre i costi
nel 1880 si attuò una riforma sul modello statunitense. L’obbligo di frequenza fu ridotto a 3
anni e si diede libertà agli istituti sulla definizione di orari e programmi. Dagli anni Ottanta il
governo di impegnò a far della scuola non solo un veicolo di conoscenze pratiche ma anche
uno strumento di ideologia nazionale. Dal 1884 tutti i manuali dovevano essere approvati dal
ministero dell’istruzione che dal 1903 assunse il ruolo di editore. Nei primi tempi si crearono
delle resistenze delle aree rurali, dove i minori fornivano alle famiglie forza lavoro. Nel primo
decennio della riforma il tasso di scolarità rimase al di sotto del 50%, ma crebbe in modo
continuo fino a superare il 90% a fine secolo. Per stimolare ulteriormente la frequenza
scolastica, il governo abolì la tassa di iscrizione. Nonostante le scuole elementari fossero
aperte a maschi e femmine, per queste ultime non era disponibili istituti pubblici nel ciclo
secondario: la scuola magistrale femminile di Tokyo fu la prima a inaugurare una sezione
superiore nel 1882. Nel 1877 fu fondata l’università di Tokyo con le facoltà di legge, scienze,
lettere e medicina. Il progetto di attivare delle università imperiale procedette lentamente, ma
tra il 1897 e il 1918 ne entrarono quattro nelle maggiori città, iniziando da Kyoto; altre quattro
furono inaugurate entro 1939, incluse le colonie di Corea e Taiwan.

Mediatori culturali e questione della lingua

Fukuzawa fu uno dei protagonisti del rinnovamento culturale Meiji. Sotto il governo imperiale
affiancò all’attività di educatore quella di saggista, contribuendo alla diffusione del pensiero
liberale anglosassone. Insieme ad altri intellettuali, nel 1873 fondò la Meirokusha, un circolo
che affermava i diritti dell’uomo, un approccio positivista spesso in contrasto con la tradizione
confuciana. In ambito di apprendimento si pose il problema del sistema di scrittura. Nei primi
anni della restaurazione circolavano delle proposte come quella di passare al solo uso dei
caratteri autoctono o addirittura all’alfabeto latino. La proposta più estrema fu fatta da Mori
Arinori, un diplomatico originario di Satsuma. Secondo Mori la soluzione migliore sarebbe
stata l’adozione di un inglese semplificato come lingua nazionale. Prevalse invece un
approccio conservatore, infatti lo stato intervenne solo sulla grafia e la pronuncia dei kana.

L’imperatore come simbolo della nazione

All’entusiasmo del cambiamento si affiancò la capacità di criticare le innovazioni. Dopo diversi


che era stata nascosta nel palazzo di Kyoto, dal 1872 la figura dell’imperatore fu esibita al
popolo in una serie di viaggi ufficiali per il paese. Come discendete di una dinastia che vantava
origini divine, il sovrano era il segno della continuità storica dello stato e delle radici comuni
dei sudditi. Abbandonati i tradizionali abiti di corte, il giovane imperatore indossò un’uniforme
militare a stampo occidentale, simbolo del suo nuovo ruolo di comandante supremo delle
forze armate. Per assicurarsi che il sovrano vivesse in un ambiente “illuminato”, gli oligarchi
fecero una riforma dell’apparato di corte, estirpando l’influenza delle famiglie di antica nobiltà.
Dal 1877 l’educazione fu affidata a tutori-consiglieri: Kato Hiroyuki ebbe il compito di tenere
lezioni su ambiti umanistici e scientifici al passo con l’Occidente, mentre Motoda Nagazane
forgiava il sovrano secondo canoni più tradizionali. L’adozione di alcuni costumi stranieri fu un
aspetto non trascurabile della politica Meiji, che mirava ad ottenere dalle grandi potenzi dei
trattati diseguali.

Stato e religione

Lo Shinto si presentava come un insieme uniforme di culti locali e pratiche legate al mondo
agricolo. In seguito della restaurazione, il governo cercò di isolare la “religione originaria” e
porla su un piano superiore rispetto alle altre fedi. Nel 1869 era stata decretata la separazione
tra templi buddhisti e santuari shintoisti. Gruppi di fanatici mossero degli attacchi violenti
contro i temoli buddhisti, distruggendo migliaia di statue e manoscritti. Il governo tuttavia
prese le distanze da questi eccessi. Nonostante ciò, le autorità procedettero alla confisca delle
terre di proprietà dei templi e fecero pressione affinché i monaci tornassero allo stato laicale, i
sacerdoti dei templi maggiori divennero funzionari statali posti sotto il ministero per gli affari
religiosi che si occupava di finanziare le attività. Oltre a proteggere le sedi di culto esistenti, il
governo ne fece costruire di nuovi. Tra questi spiccava il tempio Yasukuni di Tokyo fondato nel
1869. Non si raggiunge la proclamazione dello Shinto come religione di stato nonostante i
provvedimenti lo facessero pensare. Per evitare possibili conflitti religiosi di decise di adottare
verso lo Shinto un duplice approccio: da un lato le reti dei santuari storici furono riconosciuti
come organizzazione religiose, dall’altro le cerimonie condotte dai sacerdoti dei templi
nazionali in qualità di funzionari non avessero una valenza religiosa, ma etica e patriottica. Nel
1877 il ministero degli affari religiose fu soppresso, e subentrò un dipartimento dell’Intero per
questioni amministrative. Superato questo trauma iniziale, il buddhismo continuò a
prosperare grazie al suo radicamento nella società. Nel 1871 fu rimosso il bando al
cristianesimo, ma gli spazi di diffusione in terra nipponica furono piuttosto ristretti.

La missione di Iwakura

Fin dall’inizio i membri del governo cercarono di capire quale fosse la migliore strategia da
adottare per mettere il Giappone alla pari delle potenze straniere. Determinante fu il viaggio
in Occidente compiuta da Iwakura, Kido e Okubo in qualità di diplomatici. La missione di
Iwakura salpò alla volta degli USA nel 1871 e aveva il compito di ottenere la disponibilità dalle
potenze di rivedere i trattati. Questo obiettivo fu prematuro infatti fu subito accantonata. Il
viaggio aveva anche un secondo scopo, osservare le condizioni politiche, economiche e sociali
delle principali nazioni occidentali, così da capire il loro successo. Oltre alle sedi della politica
loro visitarono fabbriche, cantieri navali, scuole, tribunali e qualsiasi luogo dove potessero
prendere spunto per modernizzare il Giappone. visitate Washington e altre città. Nel 1872 la
missione salpò nel Regno Unito e toccò dieci paese tra i quali l’Italia. Lo spettacolo delle grandi
città europee impressionò la delegazione giapponese, suscitando varie reazioni. Al ritorno in
patria, Kido prese le distanze dalla strategia di modernizzazione a tappe forzate che Okubo
perseguiva con lo slogan “accrescere la produzione, promuovere l’industria”.

La politica industriale

Nel 1873 Okubo fece costituire il Ministero degli Affari Interni (Naimusho) e ne assunse la
direzione. Il suo obiettivo era quello di creare un centro di comando che da un lato coordinasse
tutte le politiche di sviluppo del territorio, dall'altro garantisse l’ordine tramite la polizia. I
ministri che lavorarono a stretto contatto con Okubo furono Okuma Shigenobu e Ito Hirobuni,
rispettivamente titolari delle finanze e delle industrie. Entrambi diventeranno gli statisti più
influenti del periodo Meiji. Negli anni settanta, dopo il ritorno di Okubo dall’estero, il governo
si impegnò in una serie di interventi a sostegno della crescita economica. Fu avviata la
costruzione di reti di infrastrutture moderne, iniziando dal telegrafo. Nel ’71 furono assicurate
le comunicazioni con il continente attraverso cavi sottomarini tra Nagasaki e Shangai. Nello
stesso anno nacque il sistema postale gestito dallo stato che dal 1872 lavorò al livello
internazionale. Anche le ferrovie si svilupparono inaugurando la tratta Tokyo-Yokohama nel
’72 e Tokyo-Kobe nell’89. Nei trasporti marini per contrastare gli operatori stranieri, Okubo
assegnò sussidi alla compagnia di navigazione Mitsubishi. In campo industriale lo stato
rinnovò e accrebbe l’eredità del Bakufu, come miniere, cantieri navali e arsenali militari. Per
migliorare le pratiche delle nascenti industrie lo stato organizzò alcune fiere con attività
dimostrative. La prima si svolte a Ueno del 1877 e registrò 450000 visitatori. Per colmare la
mancata di specialisti in ambito scientifico e tecnologico, il governo attirò con ottimi stipendi
alcuni stranieri. Ma poiché l’obiettivo degli oligarchici era quello di rendere il Giappone
autonomo, gli stranieri, dopo aver trasmesso le loro conoscenze, venivano congedati.

La riforma del fisco 1873

Diversamente di quando avvenne in Cina, il Giappone Meiji decise di non ricorrere a prestiti
stranieri e di non attirare investimenti dall’estero, eccetto il prestito inglese per la costruzione
della linea Tokyo-Yokohama e per i pagamenti degli ex samurai. Questa linea autoritaria fu
abbandonata a fine secolo per compiere un ulteriore salto qualitativo. L’azione iniziale del
governo si focalizzò su due fronti:

1. In ambito monetario era necessario facilitare l’accesso al credito tramite una rete diffusa di
banche private.
2. Sul piano fiscale, bisogna applicare un prelievo lieve ai settori emergenti per assicurare delle
entrate sufficienti a sostenere il grosso della spesa.

Dal lato della tassazione la riforma cardine fu quella dell’imposta fondiaria. Era inevitabile
che il governo di Tokyo facesse affidamento a queste entrate poiché le aziende erano ancora
allo stato embrionale. Furono ufficializzate le terre dei proprietari dopo aver dimostrato di aver
pagato precedentemente una quota del tributo che la comunità doveva al signore locale.
Adesso i proprietari divennero responsabili del pagamento dell’imposta, effettuata solo in
denaro. L’imposta veniva pagata in base alla produttività del terreno. Inizialmente ci fu una
contrazione delle entrate poiché il governo si affidò ai dati forniti dai villaggi e finì per
sottostimare i terreni. Successivamente il catasto fu allineato ai valori di mercato e ciò provocò
tumulti tanto da spingere le autorità a ridurre l’imposta di un sesto all’inizio del 1877. In seguito
alla riforma fiscale, i piccoli agricoltori furono costretti a vendere il raccolto senza poter
attendere migliori condizioni di mercato o addirittura i terreni. La quota di terre in affitto
crebbe dal 27% al 40% nel 1880. L’assetto del finisco (sbilanciato) era a favore delle grandi
imprese.

La politica monetaria

Il governo emette a uso interno un enorme quantità di banconote non convertibili in valuta
metallica, alimentando così l’inflazione. Per stabilizzare lo Yen, il viceministro delle Finanze
Inoue nel 1872 propose di introdurre un sistema di “banche nazionali” ispirato a quello
statunitense. Ogni nuova banca rappresentava una capitale privato e avrebbe emesso moneta
convertibile in argento. La riforma del sistema creditizio si rivelò inefficace perché fu
sottovalutata la domanda dell’argento. Nel 1876 il governo interruppe la convertibilità
avanzata dalle banche. Arrivarono nuove richieste di licenze per l’apertura di altre “banche
nazionali” che da 6 salirono a 153. Risultato fu un’alluvione di cartamoneta che fece aggravare
l’inflazione. Okuma si dimise nel 1880 dopo la bocciatura della proposta di rivolgersi al
mercato londinese. Alla guida delle Finanze fu nominato Matsukata Masayoshi. Matsukata
capì che l’inflazione dipendeva in primo luogo da un eccesso di moneta non convertibile. Sul
fronte monetario decise di abolire il sistema di “banche nazionali” per stabilire un istituto
centrale con diritto esclusivo di emissione. Verranno ritirate le banconote in circolazione
sostituendole con altre nuove convertibili in monete d’argento presso la banca centrale. Il
riferimento principale fu la Banca del Giappone che fu fondata nel 1882.
La stretta fiscale

Matsukata attuò una politica di bilancio restrittiva combinando tagli alla spesa e aggravi alle
imposte. La tassazione sui terreni crebbe in seguito alla deflazione e si stima che tra il 1880 e il
1884 l’imposta sia salita in media dal 14 al 33%. Con la riforma del fisco danneggiò i piccoli
proprietari incidendo in maniera significativa sulla diffusione dell’affittanza. Furono soppressi i
sussidi degli ex samurai, licenziati molti consulenti stranieri. Il governo decise di conservare le
fabbriche di armamenti, cedendo invece miniere, stabilimenti tessili e altre industrie ad un
prezzo di vendita inferiore rispetto dal valore stimato. A fare la parte del leone furono quei
grandi imprenditori che negli anni prima avevano ottenuto la protezione di Okubo e dei suoi
colleghi. Ad esempio, i cantieri navali di Nagasaki andarono alla Mitsubishi, mentre quelli di
Kobe alla Kawasaki. Durante la sua permanenza alla guida della Finanza, Matsukata riuscì a
conseguire gli obiettivi che si era prefissato. Il ritiro delle banconote avvenne entro il 1890 e
l’ammontare del debito scese al termine del decennio seguente.

Confini nazionali e politica estera

La frontiera settentrionale: un problema negli ultimi anni dello shogunato fu l’espansionismo


russo. Approfittando di una guerra che vedeva impegnata la Cina contro britannici e francesi,
la Russia attraverso dei trattati viene in possesso di un immenso territorio di frontiera. Con la
fondazione del porto di Vladivostok, la Russia acquisì un avamposto militare e commerciale sul
Mar del Giappone. Il Bakufu aveva già raggiunto con la Russia un accordo per la spartizione
delle Curili e la gestione in condomino di Sachalin. Il governo di Tokyo decise di abbandonare
ogni pretesa su Sachalin per concertarsi nello sviluppo di Ezo, che fu ribattezzata Hokkaido. Il
clima dell’isola era troppo freddo per la coltivazione del riso e fu necessario sperimentare nelle
forme di agricoltura innovative. A tale scopo furono chiamati esperti stranieri come
consulenti. Capron, dipartimento di agricoltura statunitense, consigliò di pianate grano, segale
e avena e promosse l’allevamento di bovini. Nonostante fu trattata come un terra vergine,
l’Hokkaido era abitata dall’etnia ainu. Gli Ainu furono soggetti all’espropriazione delle terre,
perdendo i diritti di caccia e di pesca. Questo sradicamento fu accompagnato da un’aggressiva
politica di assimilazione culturale (1 stato, 1 lingua, 1 nazione). Il governò privò agli ainu i
tatuaggi, i sacrifici rituali sui quali si fondava la loro identità. Solo nel 1997 il parlamento
Giapponese ha approvato una legge che difende e promuove la lingua e le tradizioni degli
ainu.
La questione coreana: mentre il Giappone aveva ormai stabilito dei rapporti con le potenze
occidentali, la Corea era ancora dominata da un partito isolazionista convinto che l’apertura
avrebbe causato soltanto disordine. I giapponesi temevano che questo atteggiamento
avrebbe potuto causare una guerra con gli occidentali, i quali avrebbero ridotto la penisola in
loro potere. Nel 1871 gli USA tentarono di forzare l’apertura con una missione simile a quella
fatta da Perry, ma l’esito fu diverso. Nel 1873 Saigo si dichiarò pronto a partire per la Corea ma
Okubo e Kido lo tennero a bada. Nel febbraio 1876 la penisola coreana cedette e si firmò un
trattato di amicizia tra i due paese. Il trattato definiva un rapporto tra due stati sovrani e
indipendenti. I due governi avrebbero avviato regolari scambi diplomatici; il libero commercio
sarebbe stato garantito a Busan e in altri due porti; i giapponesi potevano risiedere nei porti in
regime di extraterritorialità; le navi nipponiche avevano il libero accesso alle coste coreane per
misurare fondali allo scopo di tutelare la sicurezza dei naviganti. Nel testo non fu inserita la
clausola della <<nazione favorita>> perché la Corea non aveva intenzione di stringere rapporti
con altri paesi. E palese che questo accordo riproduceva i trattati diseguali già imposti
dall’occidente in Giappone.

Tensioni con la Cina: Okinawa e Taiwan

La Cina nel 1871 accolse la richiesta di Tokyo di firmare un trattato di amicizia e commercio.
Dopo secoli di interruzione, i rapporti tra i due paese avvennero sul piano paritario. Fin da
primi tempi un motivo di attrito riguardava le Ryukyu che avevano un duplice rapporto
tributario verso la Cina e il Giappone. Nel 1871 le Ryukyu furono poste sotto l’amministrazione
di Kagoshima e successivamente grazie a Okubo fu avviato il processo finale di adesione. La
corte ryukyuana tentò di opporsi inviando una missione a Pechino nel 1875 e protestando a
Tokyo. Questi sforzi non valsero a fermare l’annessione e nel 1879 le Ryukyu divennero
provincia di Okinawa. Soppresso il regno fu avviata una politica di assimilazione culturale
assai diversa da quella dell’Hokkaido. Gli abitanti non furono dislocati ma si trattò pur sempre
di un’operazione violenta che andò ad intaccare la lingua, le pratiche e i riti religiosi locali. Ma
mentre l’Hokkaido divenne un territorio al centro del processo di modernizzazione, Okinawa
rimase ai margini. Visto il clima subtropicale e l’assenza di grandi spazi non era un territorio
adatto all’agricoltura e all’industria. Nel a895 la Cina riconobbe la sovranità del Giappone su
Okinawa. Nel 1871 a Taiwan avvenne il massacro di okinawani per mano degli aborigeni.
Inizialmente l’idea era quella di inviare una spedizione punitiva ma poiché si trattava di una
mossa azzardata, si decise di proseguire la via diplomatica. Inizialmente la Cina si rifiutò di
assumere la responsabilità su Taiwan dato che l’azione era stata svolta da aborigeni e non
cinesi. Fu affidata, dunque, a Saigo l’organizzazione di una spedizione militare ma bisognava
prendere in considerazione una possibile reazione cinese. La guerra fu evitata grazie alla
mediazione degli UK. Nel 1874 la Cina si assunse la responsabilità e versò un risarcimento al
Giappone.

Trattati diseguali

Oltre a voler definire le relazioni con gli stati limitrofi, il governo Meiji si poso la questione dei
trattati diseguali. Il primo tentativo fu compiuto durante la missione di Iwakura: Ito e gli altri
membri pensavano di avere possibilità per intavolare questa trattativa. La controparte fece
notare che mancava un mandato scritto, Okubo e Ito riattraversarono il pacifico per procurarsi
quanto richiesto. Alla fine, gli USA chiarirono di aver alcune intenzioni di rivedere i trattati. Il
Ministro degli Esteri decise di puntare al ripristino dell’autonomia doganale che non implicava
una riforma del sistema giuridico giapponese. Gli USA non ne avrebbero risentito poiché il loro
commercio consisteva in acquisti dal Giappone. Nel 1878 gli Usa dissero di renderlo operativo
solo se le altre potenze avessero accettato questi termini. Il meccanismo della <<nazione più
favorita>> era insormontabile, specialmente a causa dell’opposizione britannica. La questione
diventa sempre più rovente a causa di alcuni stranieri che commettevano dei reati ma lasciati
impuniti dai consolati. Nacquero dei movimenti popolari che attaccarono il governo come
debole e incapace invocando l’elezione di un parlamento e il passaggio ad un regime
costituzionale. Nel 1879 il nuovo Ministro degli Esteri Inoue cambiò strategia: creò un terreno
di confronto per tutte le nazioni, lavorando sia sui dazi che sull’extraterritorialità. Allo scopo di
agevolare i trattati fu lanciata una campagna d’immagine per mostrare quanto civilizzato
fosse stato il Giappone. Fu costruito il Rokumeikan, sede per balli e altri eventi mondani con
cui intrattenere i diplomatici stranieri e altri ospiti. Nel 1887 si raggiunse un accorso. Punto
critico del compromesso accettato da Inoue era l’assunzione di giudici occidentali che
avrebbero costituito almeno la metà della corte nei casi che riguardavano gli stranieri. Questa
punto si scontrò con l’opinione pubblica esasperata dall’incidente di Normanton avvenuto nel
1886. Nel 1888 Inoue annunciò la sospensione dei negoziati e si dimise. Come titolare degli
esteri tornò Okuma che riprese la strategia delle trattative separate. Il piano di Okuma era
simile a quello di Inoue, la principale differenza è che i giudici sarebbero stati impiegati alla
corte suprema. La vicenda di questi trattati testimonia l’importanza del nazionalismo come
fatto in grado di condizionare la politica, anche attraverso atti violenti.

Verso il governo costituzionale

1. Rappresentanza popolare sul territorio

C’era la consapevolezza che il passaggio ad un governo costituzionale avrebbe segnalato alle


potenze occidentali l’alto livello raggiunto dal Giappone, facilitando la revisione dei trattati su
base paritaria. Il sistema costituzione può essere descritto come un intreccio tra un
movimento ascendente su base popolare, e uno discendete a partire dai vertici istituzionali.
Nel periodo Edo si era consolidata una tradizione di autogoverno delle comunità rurali. Con
l’abolizione degli han il governo adattò una politica di accentramento, suddividendo le
province in distretti che non coincidevano con i villaggi storici. I governanti pensavano che
bisogna consentire una maggiore partecipazione dal basso, finché bel 1878 Okubo emanò le
cosiddette “tre nuove leggi”. La prima delineava l’organizzazione del territorio, la seconda
istitutiva consigli provinciali. I membri sarebbero stati eletti da chi aveva versato 5 yen di
imposta, mentre per candidarsi la somma saliva a 10 yen. Nel 1880 furono eletti consiglieri con
funzioni analoghe a quelli delle province al livello distrettuale e provinciale. Le prime elezioni
dei consigli provinciali si tennero nel 1879 ma Okubo non ebbe modo di osservare il frutto del
suo lavoro poiché venne ucciso da sei ex samurai.

2. Partiti politici e repressione del dissenso

Un forte stimolo alla discussione del futuro assetto dello stato venne dalla comparsa di
movimenti antigovernativi, ricordati come << movimenti per la libertà e i diritti del popolo>>.
In seguito alla crisi del 1873, alcuni consiglieri lasciarono l’incarico (Itagaki, Goto, Eto, Soejima)
e l’anno seguente diedero vita all’Aikoku Koto, il primo tentativo di costituire un partito in
senso moderno. Gli aderenti richiedeva al Dajokan l’istituzione di un’assemblea a elezione
popolare per la discussione degli affari pubblici. L’affermazione “no taxation without
representation” rappresenta la volontà di creare un movimento politico che non fosse limitato
ai soli ex samurai ma che abbracciasse anche i ceti proprietari. L’Aikoku koto fece fatica a
raccogliere consensi e si sciolse in breve tempo. Itagaki decise di costituire un’associazione
politica partendo dagli Shizoku di Tosa. La Risshisha (Società degli altri propositi) nel 1875
organizzò a Osaka un congresso nazionale che ebbe come esito la fondazione della Aikokusha
(Società patriottica). Nell’ottobre 1881 si svilupperò il Partito Liberale (Jiyuto) con Itagaki
come presidente. Nel 1890 il sovrano ordinò di compiere i preparativi per la convocazione di un
Parlamento. Per evitare la diffusione di proposte governative sgradevoli nel 1875 il governo
rafforzò la censura sulla stampa; nel 1880 si proibivano le riunioni pubbliche all’aperto, mentre
si richiedeva l’autorizzazione per qualsiasi assemblea negli spazi chiusi. Inoltre, tra il 1887 e il
1898 fu in vigore un decreto di pubblica sicurezza che consentiva alle autorità di bandiere dalla
capitale le persone sospette fino a 3 anni. A causa dell’incidente di Fukushima del 1882, il
partito liberale fu costretto a sciogliersi per poi riscostruirsi solo nel 1890: il Partito guidò
migliaia di residenti in atti di resistenza contro il governatore Michitsune. Quest’ultimo spazzò
via gli oppositori, facendo arrestare il presidente del consiglio provinciale Hironaka.
3. La crisi del 1881 e l’iniziativa di Ito

Fin dal 1875 il governo si era impegnato di portare avanti il passaggio verso una costituzione.
Entro il 1880 furono fatte delle proposte che non furono accettate perché troppo liberali. Tra
gli oligarchici le posizioni erano distanti: Inoue simpatizzava per il sistema anglosassone che
prevedeva l’alternarsi di due partiti, Kuroda aveva uno scarso interesse, mentre Ito si collocava
al centro. Nel 1881 Okuma, senza informare i colleghi, consegnò la sua proposta al principe
Arisugawa. Ciò suscitò un allarme tra i consiglieri a causa del contenuto del documento.
Okuma proponeva un sistema di governo parlamentare. Nel 1882 Okuma fondò insieme ad
altri collaboratori il Kaishinto (Partito riformista) che divenne il maggiore antagonista del
Partito Liberale di Itagaki. Okuma fu rimosso dal suo incarico in ottobre. Con gli scomparsi di
Okubo e il ritiro di Okuma e Kuroda, Ito si afferma negli anni Ottanta. Inoue rigetto il modello
di Okuma, prendendo come modello la Costituzione Prussiana: prevedeva di mantenere il
governo indipendente dalle due camere. Egli riteneva che fosse stato opportuno fare un
viaggio in Europa allo scopo di documentarsi sui sistemi vigenti. Ito insieme ad altri funzionari
fecero un viaggio in Europa, tra Berlino e Vienna. Fatto tesoro degli insegnamenti tornò in
patria nel 1883.

4. I preparativi della Costituzione

Tornato a Tokyo, Ito si mise al lavoro. Per prima cosa doveva consolidare il suo ruolo alla corte,
presso la quale non aveva una grande stima e inizia a mettere in campa una serie di riforme. La
riforma della nobiltà prevedeva che al di sotto della casa imperiale ci fossero 5 ordini (barone,
visconte, conte, marchese e principe). Nel 1885 la struttura amministrativa racchiusa nel
Dajokan, fu posta sotto la direzione del consiglio dei Ministri. La presenza dell’imperatore era
prevista solo in seguito alla richiesta del Premier. Operazione di maggiore rilievo fu la scissione
tra corte e governo: il ministero della Corte divenne autonomo dal consiglio dei ministri. Si
proseguì al lavoro di codificazione delle leggi anche al fine di agevolare la revisione dei trattati
diseguali. Primo traguardo fu raggiunto nel 1880 con la promulgazione del codice penale e di
procedura penale. In questo modo il Giappone poteva applicare i principi fondamentali del
diritto moderno. Il Gabinetto Ito invece sovraintese alla redazione del codice civile. Nel 1887
Inoue consegnò a Ito due bozze alternative. Durante l’esteta Ito insieme ai suoi collaboratori
discusse e ne venne fuori un testo ricordato come <<bozza di Natsushima>>. Dopo ulteriori
revisioni nel 1888 la bozza fu sottoposta la consiglio dell’imperatore (Sumitsuin) appena creato
per l’occasione. Era naturale che il suo primo compito fosse quello di approvare la legge
fondamentale. A ricoprire la carica di presidente fu proprio Ito che cedette a Kuroda la guida
del governo. La promulgazione cadde sull’11 febbraio 1889. In quanto opera di una ristretta
élite, la carta del 1889 era lontana dall’accogliere le istanze liberali. Ne derivò un violento
scontro politico che mise allo scoperto i punti deboli della costituzione.

Capitolo 3

La formazione dell’Impero

I poteri sovrani

Il sovrano, l’11 febbraio del 1889, alla presenza dei nobili, degli alti funzionari civili e militari e
dei diplomatici stranieri, consegnò la costituzione al primo ministro Kuroda. In serata si
aprirono i festeggiamenti a corte formati da antiche danze e un ricevimento all’occidentale.
Come u festeggiamenti, anche la costituzione rappresentava una sintesi tra tradizione e
modernità. La costituzione era stata elargita alla nazione dall’imperatore, il quale restava
l’unico depositario della sovranità. La carta Meiji entra nella famiglia delle Costituzioni ottriate
(concesse senza l’apporto del popolo) come lo Statuto Albertino del 1848 e la Costituzione
Prussiana del 1850. Mentre quest’ultima ammetteva emendamenti tramite leggi dal re e dalle
Camere a maggioranza semplice; nel caso giapponese veniva richiesta una maggioranza in
entrambe le camere. In caso di reggenza la costituzione rimandava a un documento distinto
redatto dai funzionari di corti capeggiati da Inoue sotto la supervisione di Ito, chiamato
“Statuto della Casa imperiale”, approvato nel 1888 e promulgato contemporaneamente alla
costituzione.

Il titolo 1 della costituzione illustrava la sovranità dell’imperatore: capo dello stato sacro, aveva
il potere di dichiarare guerra, concludere pace, stipulare trattative. Comandava le forze
armate e definiva gli stipendi e l’organico.

Il titolo 4 stabiliva la responsabilità individuale dei ministri nell’assistere l’imperatore nel loro
ambito di competenze; il rispetto di questa regola era garantita dall’obbligo di controfirmare
ogni legge e ogni atto che fosse emanato dal sovrano. Qual ora l’assemblea non fosse in
sessione, l’imperatore poteva emanare decreti; tali provvedimenti avrebbero richiesto la
conferma delle Camere, che tuttavia non potevano annullarli.

Spettava inoltre al Sovrano convocare le Camere e decidere eventuali proroghe o


prolungamenti della sessione annuale, durata di 3 mesi (articoli 41-43). Nella parte dedicata ai
poteri monarchici, la costituzione giapponese riprendeva quella prussiana.

Parlamento nazionale e assemblee locali

Novità molto importante della Costituzione del 1889 è la nascita di un parlamento formato da
due Camere con pari poteri. La Camera dei rappresentanti (deputati popolari) sarebbe stata
eletta dal popolo come specificato in una legge; la Camera dei pari sarebbe stata formata da
nobili e da membri di nomina imperiale, come stabilito in un decreto. Poiché le due camere
venivano composte da due strumenti differenti (legge e decreto) c’era una differenza della
procedura di revisione: in un primo caso le modifiche avrebbero richiesto il consenso l’assenso
di entrambe le Camere; in un secondo caso, trattandosi di un atto autonomo del sovrano, di
regola la Dieta non sarebbe stata necessaria. La Camera alta non solo risultava <<blindata>>
rispetto ai tentativi di modificarne la struttura, ma aveva anche il potere di veto sulle
modifiche alla legge elettorale della Camera bassa. Di diritto sedevano alla Camera dei pari i
principi imperiali e i capifamiglia di due ordini superiori della nobiltà; c’erano anche due
categorie nominata dall’imperatore: coloro che si erano distinti per il servizio reso allo stato (a
vita) e i maggiori contribuenti di imposte statali (7 anni). Il numero dei membri di nomina
sovrana non poteva superare quello dei nobili. Quanto alla Camera bassa, potevano votare gli
uomini di 25 anni compiuti che avessero versato almeno 15 Yen in imposte, ossia il triplo di
quanto richiesto per le lezioni provinciali. Per la candidatura l’età minima era 30 anni. Alle
prime elezioni del 1890 partecipò l’1% della popolazione. Nel 1900 si scese a 10 Yen
raddoppiando la base popolare. Nel 1919 il limite fu di 3 Yen portando l’elettorato al 20%.
Anche se le Camere non erano coinvolte nella formazione del Governo, erano necessarie per
consentire a questo di operare. L’amministrazione doveva giustificare ogni spesa alla Dieta
sottoponendo il bilancio annuale. Il bilancio era l’unico elemento che stabiliva un ordine di
discussione tra le due Camere, dando la precedenza a quella bassa. L’articolo 71 stabiliva che
se la Dieta non avesse portato a compimento l’approvazione del Bilancio, il governo avrebbe
riadottato quelle dell’anno precedente. Ito chiamò questo meccanismo come “ultima risorsa”
per evitare il verificarsi di due scenari: soluzione arbitraria del governo come avveniva in
Prussia e la paralisi dell’amministrazione che avveni negli USA e Australia. Per quando
riguarda le assemblee locali le provincie acquisirono lo status di enti locali e ottennero
maggiori poteri. Al governatore (nomina ministeriale) si affiancò una giunta mista di funzionari
e rappresentanti eletti. Forma analoga fu data ai distretti. Si trattava di un’innovazione che da
un latto accresceva le autonomie locali, dall’altro consegnava gli organi rappresentativi a una
minoranza di possedenti.

Autonomia dei ministri e delle forze armate

Con il passaggio al regime costituzionale, lo statuto del consiglio dei ministri fu


profondamente alterato, riducendo i poteri del premier e ponendo il requisito di unanimità per
tutte le decisioni di interesse comune, a cominciare da bilancio e le proposte di legge. Come
sostenuto da Inoue, bisognava evitare che il sovrano decadesse a un ruolo puramente
cerimoniale, come sotto lo shogunato, quindi bisogna impedire al premier e alla maggioranza
dei membri del consiglio di poter imporre la propria linea ai colleghi. Il progetto di Inoue
sembrava garantire un equilibrio tra gli oligarchi. Ma è chiaro che questa volontà di tutelare la
posizione individuale dei membri del consiglio compromise nel governo la capacità di
mantenere una linea coerente. Bastava che un solo ministro si opponesse per bloccare
l’amministrazione, in tal caso al premier non restava che dimettersi, trascinando con sé tutta
la squadra al governo. Questo problema si manifestò in maniera drammatica a causa delle
tensioni tra ministri civili e militari. Le forze armate avevano una duplice struttura direttiva:
interna al governo con il Ministero dell’Esercito e della Marina, esterna costituita dallo Stato
Maggiore. Questa separazione (modello prussiano) fu adottata nel 1878 in sostituzione alla
vecchia struttura unifica sul modello francese. Ciò eliminava la possibilità che in futuro
un’amministrazione di partito assumesse il controllo delle forze armate. Al tempo della
Costituzione, era previsto che i due ministri militari e i loro subordinati fossero stati scelti dagli
ufficiali. In seguito, questa restrizione verrà abolita permettendo la nomina civile al vertice. Nel
1900, il primo ministro Yamagata stabilì che requisito necessario per la nomina dei ministri e
viceministri tra gli alti funzionari militari sarebbe stato la scelta di soli ufficiali in servizio attivo,
quindi il campo di nomina era molto ristretto. A complicare il quadro, nel 1893 lo Stato
Maggiore della Marina acquisì una piena indipendenza dall’esercito.

La magistratura e le leggi

Il principio di uguaglianza era stato accolto nei primi anni della restaurazione con l’abolizione
delle classi ereditarie. La costituzione del 1889 ribadiva questo concetto al Titolo II. I doveri
nei confronti dello Stato erano di pagare le imposte e servire nelle forze armate, mentre i
diritti era tipici di tutte le monarchie costituzionali: essere arrestati o giudicati in base alle
leggi, la libertà di culto, di parola o associazione, l’inviolabilità del domicilio. L’indipendenza
dei giudici che amministravano la Giustizia in nome del sovrano, era garantita dalla
costituzione. Selezionati per concorso pubblico essi potevano essere sospesi o perdere
l’incarico per decisione dei loro pari, in caso di infermità, condanne o provvedimenti
disciplinari. Dal ministro della giustizia dipendevano promozioni e trasferimenti che potevano
avvenire contro la volontà dell’interessato. Dal 1913 ciò fu allentato dalla Dieta: il
trasferimento divenne possibile a discrezione del ministro della Giustizia. Tuttavia, non si
poteva dire che il governo non disponesse strumenti per mettere pressione ai magistrati. Il
caso più noto è ”L’incidente di Otsu” avvenuto nel 1891 a Kyoto. Uno degli agenti di scorta
giapponese cercò di uccidere lo zar Nicola II con una sciabolata alla testa. Per evitare possibili
effetti negativi da parte della Russia, il governo chiese per il colpevole la pena di morte, come
previsto dal codice penale per attentati alla vita dei membri della casa imperiale. Il presidente
della corte suprema Kojima Korekata oppose un rifiuto condannando l’agente all’ergastolo.
Nel 1892 il Ministro della giustizia fece incriminare Kojima per gioco d’azzardo e poco dopo si
dimise dal suo incarico. Nonostante la separazione fosse imperfetta, rappresentò un
cambiamento rispetto al sistema di inizio Meiji. Nel 1893 doveva entrare in vigore il secondo
codice civile, ma l’uscita fu sospesa dalla Dieta a causa sul dibattito sorto sul diritto di famiglia.
Ci furono vari oppositori, ma il risultato vide la luce nel 1896-98. Fu estesa all’intera società la
struttura patriarcale tipica dei samurai. La posizione del capofamiglia poteva essere trasmessa
al primogenito maschio, unico erede della casa. I beni della moglie venivano amministrati dal
marito. Il capofamiglia poteva negare agli altri membri di sposarsi, anche se maggiorenni.
Nonostante il diritto di famiglia Meiji rimase in vigore fino al 1948 non significa che mancasse
la presenza di promotori di un sistema liberale, soprattutto per quanto riguarda la condizione
della donna.

La politica del compromesso

Le prime sessioni della Dieta

Nella seconda metà dell’Ottocento, alcuni ex dirigenti del Jiyuto decisero di formare una
coalizione in vista delle elezioni della Camera bassa. Il loro programma si basava sulla
riduzione delle imposte, la concessione di maggiore libertà civile e la revisione dei trattati
diseguali. Il governo oligarchico cercò di sventare questo progetto ma nel 1890 171 su 300
seggi andarono ai partiti popolari. Con 130 deputati il Jiyuto fu rifondato e si affermò come
gruppo di maggioranza relativa. Il Jiyuto era la fusione tra numerosi gruppi locali, con un
seguito tra i proprietari agricoli e altri notabili; la sua piattaforma politica era vaga, fonte di
un’origine composita. Il Kaishinto, sorto per iniziativa di una cerchia più compatta di ex
funzionari, imprenditori e intellettuali, si presenta al pubblico con un programma liberale di
ispirazione britannica. La prima sessione della Dieta fu aperta a novembre e divenne uno
scontro tra governo e maggioranza della camera bassa. Il primo ministro Yamagata chiese di
approvare il bilancio per la difesa, una somma ingente ma necessaria per garantire
l’indipendenza del paese. I partiti popolari replicarono chiedendo forti tagli alla spesa e una
riduzione all’imposta, come atteso dalla maggioranza degli elettori. Tuttavia, il governo riuscì
a corrompere una parte di Jiyuto ottenendo un bilancio moderato rispetto al piano iniziale.
Alla successiva sessione, il gabinetto Matsukata presentò un piano di lavori pubblici per lo
sviluppo del territorio, unito al potenziamento della marina. Questa volta le opposizioni
furono compatte grazie ad un accordo tra Jiyuto e Kaishinto sotto la presidenza di Itagaki.
Visto l’impossibilità di piegare la Camera bassa, il governo ricorse all’imperatore per ordinare
lo scioglimento. La campagna si svolse in un clima di violenza dove ci furono 25 morti e 388
feriti. Ne risultò una situazione instabile che si protrasse fino alla quarta sessione, convocata
nel dicembre 1892. Ancora una volta l’opposizione respinse il piano di espansione della
marina, invocando la necessità di ridurre la pressione fiscale. Per evitare nuove elezioni, Ito
sfodererà un messaggio dell’imperatore in cui si diceva che la casata imperiale avrebbe
sostenuto la spesa navale riducendo la propria, così ai partiti non restò che cedere. Gli scontri
ripresero a fine anno in seguito alla questione sui trattati diseguali, e Ito decise di indire
elezioni anticipate, astenendosi dai brogli clamorosi. Il responso fu sempre favorevole ai partiti
popolari con 209 seggi. Poiché nessuna delle due parti era in grado di prevalere sull’altro, Ito
per stabilizzare la situazione tra Camera bassa e governo decise di stringere un accordo con il
Jiyuto. Il partito approvò il rafforzamento dell’esercito a patto che non fosse alzata l’imposta
fondiaria, ma quella sulle imprese e le accise sugli alcolici. Ito però non era soddisfatto
dell’equilibrio raggiunto quindi pensò che solo fondando il proprio partito avrebbe esercitato
una leadership efficace. Nel suo progetto tentò di includere nel governo il secondo partito e il
gruppo di Satsuma per ridurre il numero di Jiyuto. Nel dicembre 1897 la camera approvò una
mozione di sfiducia al governo. Matsunaka sciolse l’assemblea e si dimise senza attendere
l’esito delle elezioni. Toccò a Ito assumere il compito di ricucire i rapporti con il Jiyuto in veste
di nuovo premier. Gli sforzi furono vani e nel 1890, il primo ministro ottenne dal sovrano
l’ennesimo scioglimento della Camera.

Il primo governo di partito e la reazione oligarchica

La crisi prese una piega inattesa quando i due partiti decisero di fondersi in un unico soggetto,
dandogli il nome di Kenseito (Partito del governo costituzionale). L’imperatore convocò una
riunione di emergenza. Ito respinse la proposta di avviare ulteriori negoziati, rilanciando
invece la sua idea di porsi a capo di un nuovo partito nazionale per risolvere alla radice il
problema della debolezza del governo. A ciò si opposero i consiglieri e il sovrano. Allora Ito
suggerì di affidare ai due capi di opposizione la formazione del prossimo gabinetto ma
neanche questa proposta fu accolta. Il giorno dopo Ito si dimise e incontrò Okuma e Itagaki
per annunciargli che li avrebbe proposti come successori al governo. Okuma assunse la
presidenza del consiglio mentre Itagaki divenne vicepremier. Nel Kenseito si scatenò la corsa
per la spartizione degli incarichi, dove prevalse il gruppo legato al primo ministro entrante.
L’equilibrio interno al partito si ruppe e continuò ad agire come la somma di due gruppi
distinti. In seguito a questi squilibri, a provocare il definitivo collasso dell’esecutivo fu una
disputa sulla successione del ministro dell’istruzione che era stato costretto a dimettersi per
mancanza di rispetto al sovrano. L’esperienza Okuma-Itagaki si concluse con la scissione del
Kenseito. L’incarico di formare il governo cadde su Yamagata che sfruttò la lite dei due partiti
per ottenere l’appoggio degli ex Jiyuto. La sua strategia (influenza bismarckiana) era quella di
tenere la Camera bassa divisa in 3 gruppi, esercitano simultaneamente un controllo saldo sulla
Camera alta. In seguito, riuscì nell’impresa a lungo tentata dai suoi predecessori di aumentare
l’imposta fondiaria, abbassando da 15 a 10 Yen il requisito di imposta per il voto. L’aliquota
aumentò bloccando l’erosione causata dall’inflazione. Altra materia che vide d’accordo
Governo e maggioranza della Camera Bassa fu la repressione delle agitazioni operaie. Con la
crescita del settore industriale erano aumentati gli sciopero ed erano sorti i primi sindacati.
L’amministrazione predispose una Legge di polizia per l’ordine pubblico che oltre a
confermare le norme già in vigore su associazioni e riunioni poneva restrizioni a scioperi e altre
forme di repressione su aziende e proprietari terrieri. Da un lato Yamagata assicurò la
collaborazione della Camera bassa, dall‘altro contenne l’influenza dei partiti sull’esecutivo. Il
suo gabinetto aveva inserito il requisito di nomina dei vertici tra i soli ufficiali in servizio attivo.
A completamente di questa misura, furono riservati al personale di carriera molte posizioni di
alto livello fino ad allora accessibili liberamente (viceministro e governatore provinciale). Le
restrizioni di Yamagata influenzarono i rapporti tra burocrazia e partiti, senza però impedire a
questi ultimi di accrescere la propria influenza per via indiretta.

La nascita del Seiyukai e i genro


La cooperazione tra Yamagata e il Kenseito terminò nel 1900 quando il partito si schierò dalla
parte di Ito Hirobumi. Ito non aveva abbandonato il progetto di creare una nuova formazione
politica, convinse il Kenseito a sciogliersi per costituire una organizzazione più grande, alla
quale avrebbero partecipato funzionari e imprenditori. Ito si dimise dall’incarico ufficiale, e il 15
settembre si tenne la cerimonia di fondazione del Rikken seiyukai (Società di amici politici per
il governo costituzionale). Si volle evitare il termine “partito” per suggere un interesse comune
per il bene comune piuttosto che per gli interessi locali. L’interessa primario era di imporre alla
Camera bassa la disciplina necessaria a stabilire una relazione con il governo. A differenza del
Jiyuto e Kaishinto fondati da oligarchici caduti in disgrazia, il Seiyukai nacque come strumento
per stemperare le tensioni tra amministratori e i rappresentanti delle classi agiate. In realtà
questo matrimonio di convenzione non diede i frutti desiderati, e la comparsa del partito
affrettò il declino della sua carriera. Da un lato Ito aveva a che fare con un gruppo di esperti
parlamentari interessati a collaborare per accedere al governo ma non erano disposti a seguire
le sue direttive, dall’altro non riusciva a conciliare il ruolo di leader del partito con quello di
consigliere imperiale. Poco dopo la fondazione del partito, Yamagata si dimise dalla guida del
governo e propose Ito. Ito formò un gabinetto composto da membri del suo partito, ad
eccezione di esteri, esercito e marina. A dirigere la diplomazia fu chiamato Kato Takaaki,
funzionario dalle idee liberali. Principale impegno del governo era quella di aumentare la
tassazione dei consumi per investire i guadagni nelle spese militari ma poiché avrebbe
aggravato i ceti proprietari che costituivano la base elettorale del Seiyukai, la Camera bassa
approvò. Fu la camera alta ad opporsi, in un rovesciamento dei ruoli. Nonostante avesse il
proprio partito, ancora una volta Ito aveva fatto intervenire il sovrano per sciogliere una crisi.
Scoraggiato, nel giugno 1901 diede le dimissioni. Il mandato fa da a Katsura Taro. Ciò segno
ancora una volta il passaggio dai “padri fondatori” del Giappone Moderno a una seconda
schiera di statisti. I protagonisti Meiji non parteciparono in prima persona al governo, restando
osservatori della scena politica. Negli anni novanta il pubblico li chiamava genro, ossia statisti
anziani. Noti con questo appellativo sono Ito, Yamagata, Inoue, Saigo. A Katsura fu dato
questo appellativo solo negli ultimi 3 anni di carriera. Il primo gabinetto di Katsura fu formato
da funzionari fedeli di Yamagata. Il premier decise di rendere permanente l’aggravio
dell’imposta fondiaria allo scopo di coprire le operazioni di difesa. I partiti non obiettarono sul
fine ma contestarono il mezzo proposto. Sciolse la camera per ritrovarsi di fronte ad una
maggioranza a elezioni concluse. Yamagata e Matsukata consigliarono Ito alla presidenza del
consiglio privato. Ito rinunciò alla guida del partito ma tuttavia anche Yamagata e Matsukata
entrarono nell’organo consultivo. Alla guida del Seiyukai fu posto Saionji.

La staffetta Katsura-Saionji

Il periodo 1901-1912 fu caratterizzato dall’alternanza di Katsura e Saionji alla direzione del


governo. Ci potrebbe far pensare ad una indiretta spartizione del potere da parte di Ito e
Yamagata, ma i primi due riuscirono ad essere sempre più indipendenti dai patroni. Ito uscì di
scena nel 1909, assassinato da un nazionalista coreano, mentre Yamagata ebbe a lungo una
considerevole influenza politica e nel 1912 fece ottenere a Katsura l’incarico di guardasigilli
imperiale. Questi cambiamenti provocarono nel 1912 una crisi politica. Sotto il primo
gabinetto Katsura, il Seiyukai perse Ito, la maggior parte dei membri provenienti dalla
burocrazia e un buon numero di deputati, di conseguenza il partito viene indebolito. Il Seiyukai
si riorganizzò sotto il triumvirato composto da Saionji, Matsuda Masahisa e Hara Takashi. I tre
profili differenti mostrano la figura ibrida del partito: Saionji era perfettamente integrato
nell’oligarchia della Restaurazione, Matsuda aveva militato a lungo nel Jiyuto, mentre Hara
rappresentava un nuovo genere politico. Egli non aveva partecipato ai movimenti di
opposizione del primo trentennio Meiji, né aveva fatto carriera al governo come membro dei
gruppi di Satsuma e Choshu. Sfruttando i rapporti con la cerchia di Ito intraprese l’opera di
rendere la Camera bassa il baricentro della politica nazionale. Hara ricoprì per tre volte
l’incarico di Ministro dell’Interno dove svolse un’azione decisiva di rafforzamento della base
del partito, tramite programmi di sviluppo delle infrastrutture e dei servizi al territorio. La sua
figura viene paragonata a Giovanni Giolitti. Nel 1905 Hara chiese a Katsura di cedere il posto a
Saionji assicurandogli una continuità nell’amministrazione. Al nuovo Premier, all’interno del
Seiyukai, entrarono Hara e Matsuda, mentre gli altri membri furono scelti dalla Camera alta.
Katsura trasmise il progetto di nazionalizzare le compagni ferroviarie private, per motivi
militari. Inoltre, Hara tentò di riformare il sistema amministrativo abolendo i distretti. Il
disegno di legge fu abolito per due volte dalla Camera dei pari, ma Hara conseguì il suo
obiettivo solo nel 1921. Vista la crescente influenza del Seiyukai, l’intesa con Katsura andava
scemando. Oltre a consolidare la sua posizione alla Camera bassa, il partito si era infiltrato
nella burocrazia grazie ai rapporti con i gruppi di pari. In qualità di ministro dell’interno, Hara
aveva eliminato coloro ritenuti “vecchi”, “inefficienti” o contrari alle politiche di governo,
favorendo quanti degni della sua fiducia.

La crisi politica Taisho

Consapevole della mancanza di una base autonome nella Camera bassa, Katsura giunse alla
stessa conclusione di Ito, ossia bisogna creare un nuovo partito e porsi a capo di esso. Questa
idea apparve come un tradimento agli occhi di Yamagata che nel 1912 decise di neutralizzare
Katsura facendolo nominare guardasigilli imperiale. Il governo Saionji fu privato di un prezioso
mediatore nei rapporti con l’esercito in un momento assai teso. Nel frattempo, nonostante la
situazione economica non favorevole, l’esercito richiedeva finanziamenti per formare due
nuove divisioni. Il Seiyukai intendeva dare priorità agli investimenti in altri settori, ma Hara
chiese a Katsura di persuadere lo Stato Maggiore a rinviare il progetto. Egli incoraggiò anzi il
ministro dell’esercito a insistere per l’approvazione immediata del piano. Katsura voleva
gonfiare una crisi che avrebbe costretto Yamagata a richiamarlo nel servizio attivo. Il 2
dicembre il ministro dell’esercito presentò le dimissioni per rimarcare l’autonomia dell’arma
rispetto all’amministrazione civile. Lo Stato maggiori non fornì un successore, gettando il
consiglio dei ministri nella paralisi. A Saionji non restò che dimettersi con il resto del governo.
A rendere grave la situazione fu l’inadeguatezza del principe Yoshihito (Imperatore era
Taisho). La burocrazia cercò di ridurre gli impegni politici del nuovo sovrano che si comportava
in maniera eccentrica. La caduta del governo Saionji, unita alla scomparsa del sovrano,
contribuì a suscitare ostilità da parte dell’opinione pubblica nei confronti di Katsura, chiamato
a risolvere la crisi come primo ministro. Katsura ricondusse all’ordine l’esercito e congelò il
piano di espandere la marina. Il suo obiettivo era quello di attirare la maggioranza della
Camera bassa, spaccando il Seiyukai e assorbendo altri gruppi. Si venne a creare un’ulteriore
situazione non favorevole, Katsura, rimasto isolato, fu costretto a dimettersi il 20 di febbraio.
La crisi politica terminò con un’intesa tra i dirigenti del Seiyukai e l’ammiraglio Yamamoto che
formò un nuovo esecutivo composto da membri del partito. Il gabinetto Yamamoto cancellò il
requisito di servizio attivo per la nomina dei due ministri militari, così da allargare il bacino dei
candidati. Le vicende dimostrarono che senza il Consenso della camera bassa era impossibile
condurre il governo.

Verso lo scontro con l’impero Qing


Nei primi anni Meiji il Giappone intraprese iniziative quali la spedizione a Taiwan, la forzatura
dell’isolamento coreano e l’annessione delle Ryukyu per impedire che i territori che lo
circondavano cadessero sotto il controllo delle potenze straniere. All’inizio la penisola coreana
divenne oggetto di una contesa sempre più aspra tra Cina e Giappone. La tensione sfociò nel
1894-95 in una guerra che vide la sconfitta dell’impero Qing. Inoltre, la crescente pressione
della Russia sulla penisola coreana suscitò un allarme del governo giapponese che nel 1904
decise di affrontare un’altra guerra per l’egemonia. Il gippone uscì ancora una volta vincitore
ma con ingenti perdite economiche. Fatto determinante per la sconfitta russa fu l’aiuto del
Regno Unito, risultato di un’alleanza stretta nel 1902. Dopo l’apertura agli scambi, alla corte
coreana ci fu la lotta tra conservatori e riformisti. Il ministro giapponese si salvò rifugiandosi in
una nave britannica, ma altri rimasero uccisi nei disordini. Il colpo di stato fallì a causa del
successivo intervento delle truppe cinesi. A questi fatti, seguì un altro scontro tra i riformisti
moderati capeggiati dalla regina e quella radicali capeggiati da Gim che aveva il sostegno del
Giappone. All’insaputa di Tokyo, Gim organizzò un golpe con l’appoggio del ministro
giapponese; il momento sembrava propizio perché la Cina era impegnata nella guerra contro
la Francia. Ma il comandante Yuan rispose in soccorso della regina Min, ebbe la meglio sui
ribelli e rimasero vittime degli scontri numerosi civili giapponesi. Nel gennaio 1885 Ito si recò a
Tianjin per trattare con Li (comandante superiore) in modo da evitare ulteriori incidenti. Il 18
aprile fu firmato un trattato che impegnava i due paesi a consultarsi prima di inviare truppe in
Corea. A Tokyo questo approccio moderato incontrò l’opposizione di altri consiglieri imperiali
e dei vertici militari. Il governo giapponese fu irritato dalla presenza di Yuan a Hanseong, che
impose alla corte coreana stretti rapporti politici e commerciali con la Cina, ostacolando i
tentavi di penetrazione da parte del Giappone. Emblematico fu il divieto di esportare verso
l’arcipelago riso e soia, prodotti necessari alla crescita della popolazione giapponese. Il decreto
fu rimosso nel 1889 in seguito a proteste nipponiche che costrinsero il governo coreano a
versare un risarcimento nel 1893. A causa di disordini interni, scoppiò un’insurrezione
contadina nel 1894. Per sedare la rivolta la corte coreana chiese aiuto alla Cina e Li ordinò
subito la partenza di una spedizione militare. Le forze nipponiche sbarcarono
contemporaneamente a quelle cinesi a Incheon. Durante le operazioni di sbarco, il governo
coreano aveva concluso un accordo con i ribelli ma nonostante ciò Tokyo propose a Pechino di
mantenere ugualmente una presenza militare congiunta e lavorare insieme ad attuare nel
paese riforme più incisive. Il governo Qing respinse l’invito, insistendo per il ritiro delle truppe
ma il Giappone decise ugualmente di fare pressioni al governo coreano. Il gabinetto Ito
chiedeva alla Corea diritti pari a quelli dei cinesi. Di fronte alla rinnovata richiesta cinese di
ritirare le truppe, Tokyo ordinò la ripresa degli sbarchi e rivolse alla Corea un ultimatum con
richiesta l’annullamento del trattato bilaterale con la Cina. Scaduto il termine, il 23 settembre
le forze giapponesi entrarono nella capitale e catturarono il re. A capo della nuova
amministrazione fu collocato il daewongun.

La prima guerra sino-giapponese

Il daewongun emise la richiesta di cacciare le forze cinesi, concentrate a sud della capitale
presso la città di Asan. Il primo scontro avvenne in mare, quando la flotta nipponica distrusse
un convoglio che portava rinforzi ad Asan. Dopo le prime vittorie a sud, l’esercito giapponese
iniziò a muoversi verso Pyongyang, dove si stavano concentrando le forze nemiche. A
settembre il quartier generale fu spostato da Tokyo a Hiroshima, centro strategico per i
trasporti verso il continente. Il 15 settembre fu lanciato l’assalto a Pyongyang che cadde dopo
una giornata di combattimenti. 2 giorni dopo le forze del viceammiraglio Ito entrarono in
contatto con la flotta cinese. La “battaglia del mar giallo” si concluse con un’ingente perdita
per l’ammiraglio cinese, costringendolo a ritirare le navi presso la baia di Weihaiwei. Fu
lanciata una nuova manovra: la 1 armata avrebbe puntato su Pechino, la 2 si sarebbe divisa per
sbarcare nel Liaodong e Shandong, dove si trovavano le basi navali di Lushun e Weihaiwei.
Lushun cadde il 21 novembre dopo una breve resistenza. Visto che le forze giapponesi si
stavano per avvicinare a Pechino, Li avviò delle trattative di pace ma per due volte il Governo
Meiji rifiutò. Nel febbraio del 1895 l’ammiraglio decise la resa di Weihaiwei, suicidandosi prima
dell’ingresso delle forze nemiche. A seguito di continue richieste di pace, il governo Meiji
concesse l’armistizio, escludendo Taiwan e l’area circostante. Il 17 aprile si entrò nel vivo delle
trattative. La Cina riconosceva la piena indipendenza della Corea, rinunciando a trattarla come
paese tributario; cedeva le penisole di Liaodong, Taiwan e le vicine isole Penghu; si impegnava
a pagare nel giro di 7 anni 200 milioni di tael; si impegnava a concludere con il Giappone un
nuovo trattato commerciale; apriva ai traffici 4 città della Cina meridionale e infine assegnava
ai giapponesi una serie di diritti commerciali equivalenti a quelli concessi agli occidentali. Il
Giappone era uscito vincitore ma i governi di Germani, Francia e Russia consigliarono si
rinunciare a Liaodong. Dopo il tentativo di coinvolgere USA e UK, cedette alla richiesta
straniera. Nel 1898 la Russia prese in concessione l’estremità del Liaodong, la Germani acquisì
diritti nello Shandong mentre la G. Bretagna ottenne Weihaiwei. Per pagare l’indennità al
Giappone, Pechino chiese alle potenze occidentali. Per il Giappone la vittoria, non prevista
dagli stranieri, fu la consacrazione di un’ascesa regionale. Nel 1897 lo Yen entrò nel sistema
monetario eureo, che avrebbe agevolato l’afflusso dei capitali stranieri. Nonostante ciò rimase
in Giappone la consapevolezza di essere deboli rispetto alle grandi potenze, ciò spinse il
governo Meiji a dei rafforzamenti militari e a cercare un alleato per tenere a basa il vicino più
pericoloso, la Russia.

La rivalità con la Russia

La Russia era subentrata in Cina come principale rivale del Giappone grazie alla regina Min
rimasta illesa dai disordini degli anni Ottanta. Nell’ottobre 1895 truppe coreane assaltarono il
palazzo reali, aprendo la strada a sicari giapponesi che trucidarono la regina. Per contenere gli
attriti nel 1898 il ministro russo a Tokyo insieme al ministro degli esteri giapponese conclusero
un accordo che impediva di interferire negli affari interni coreani e a concordare
preventivamente l’invio dei consiglieri. In cambio S. Pietroburgo prometteva di non ostacolare
le attività economiche in Corea. L’accordo Nishi-Rosen sostituiva quello stretto 2 anni prima
da Yamagata che prevedeva l’impegno congiunto di promuovere riforme in Corea e
consentiva ad entrambe le potenze di stazionare truppe a garanzia dell’ordine interno.
L’accordo fu insoddisfacente poiché Tokyo venne sapere che il Ministro degli esteri russo
aveva concluso in segreto un accordo con la Cina in caso di eventuali aggressioni d parte del
Giappone. I Liaodong aveva un valore strategico per i russi poiché i suoi porti erano sgomberi
dal ghiaccio per tutto l’anno, si trovavano in prossimità della Corea e a breve distanza dalla
Cina settentrionale, Pechino e Tianjin. Alle spalle del Liaodong si estendeva la Manciuria, ricca
di risorse minerarie come ferro e carbone e dal clima adatto alla coltivazione di soia e grano
anche durante l’inverno. Tra il 1896 e 1898 il governo zarista ottenne dalla Cina il diritto di
costruire e gestire due linee ferroviarie così la Russia pose le basi per una salda presenza del
Nord-est cinese. Nel 1900 a seguito della “rivolta dei Boxer” (milizie popolari sorte nello
Shandong), i governi degli otto paesi coinvolti organizzarono una spedizione congiunta che in
agosto liberò i compatrioti sbaragliando le forze cinesi. Il Giappone fu quello che fornì il
contingente militare più numeroso, inviando 20000 uomini. A cercare di trarre vantaggio da
questa situazione fu la Russia, che occupò la Manciuria con l’intenzione di consolidare la
propria egemonia sulla regione. Ciò indusse al Giappone a prepararsi a un’altra guerra che
scoppiò nel 1904.

Revisione trattati e alleanza con il Regno Unito

Ito e Inoue ritenevano che si dovesse evitare lo scontro, perché l’esito era incentro e i costi
sarebbero stati elevati; quindi bisogna trovare un punto di equilibrio tramite accordo.
Yamagata e Katsura, invece, ritenevano che l’unico modo per arginare l’avanzata russa
sarebbe stato quello di allearsi con il suo terribile nemico, la Gran Bretagna. Le trattative
furono condotte nel 1902 ma vanno inquadrate in un quadro più ampio, partendo dal
precedente decennio. Negli anni 70 e 8° lo scoglio maggiore era stato l’indisponibilità da parte
del Regno Unito a fare concessioni. Nel 1891 il ministro degli esteri Aoki riaprì i negoziati che
furono interrotti due anni dopo a causa dell’incidente di Otsu. Nel 1894 Aoki insieme a Mutsu
fecero leva sull’antagonismo anglo-russo per persuadere il governo britannico ad accettare le
richieste. Il nuovo trattato fu firmato a luglio, nell’imminenza della guerra con la Cina.
L’accordo sarebbe stato valido per 12 anni a partire dal 1899, aboliva l’extraterritorialità dei
sudditi britannici, impegnava i due paesi a riconoscersi come “nazione più favorita” e
concedeva al Giappone un aumento dei dazi. Al termine della guerra con la Cina, il Regno
Unito non intervenne per impedire la cessione del Liaodong. I legami tra i due pasi si
rinsaldarono quando Tokyo depositò presso la Banca d’Inghilterra le riparazioni di guerra
cinesi, avendo ottenuto che il pagamento avvenisse in sterlina. Nello stesso periodo
l’occupazione della Manciuria convince la diplomazia inglese a schierarsi con il Giappone per
contenere l’espansione russa. Ito sospese i negoziati UK e Giappone per ottenere un
rappacificamento con la Russia, ma non ci riuscì. Il 30 gennaio fu firmato il trattato: l’obiettivo
era quello di mantenere un equilibrio nella regione e non di incoraggiare l’ascesa nipponica,
infatti il Regno Unito non sarebbe stato obbligato a intervenire in difesa del Giappone in caso
di guerra. Se le ostilità tra una delle parti e una terza potenza, l’alleato sarebbe rimasto
neutrale; se invece il conflitto si fosse esteso ad altri nemici, allora sarebbe scattato l’obbligo di
intervento. Ciò riduceva il rischio che la Russia attaccasse il Giappone con il sostegno di
Germani e Francia.

La guerra contro la Russia

Nel 1903 la Russia fece costruire un forte in territorio coreano; i Giappone fece un ultimo
tentativo di giungere ad un accorso sulle sfere di influenza, ma capì che i russi volessero solo
temporeggiare per prepararsi allo scontro. Il 6 febbraio 1904 il Giappone interruppe le
relazioni diplomatiche con la Russia. La dichiarazione di guerra fu emessa dopo 4 giorni, dopo
che la flotta giapponese aveva attaccato a sorpresa Port Arthur. Come nello scontro con la
Cina gli obiettivi erano la supremazia navale e il controllo della Corea. Il secondo fu conseguito
rapidamente senza incontrare resistenza. Mentre il Giappone voleva chiudere velocemente la
guerra prima che le forze russe contrattaccassero in massa, la Russia mirava al logoramento
del nemico in Manciuria fino all’arrivo dei rinforzi dalla Siberia. Sul mare l’ammiraglio Togo
condusse una serie di scontri contro la flotta russa, basato a Port Arthur. I russi tentarono di
ostruire l’ingresso al porto ma fallirono. Fallito il piano di trasferimento a Vladivostok, le unità
russe superstiti tornano ro alla base, dove a dicembre finirono affondate dall’artiglieria
nemica. All’inizio del 1905 il comandante russo decise la resa della piazzaforte. I cinque mesi
Nogi (generale della III armata) aveva perso 58.000 uomini. L’offensiva di terra culminò a
marzo , quando le quattro armate nipponiche si diressero sul caposaldo russo di Fengtian.
Prevalse l’esercito giapponese, che ancora una volta subì grosse perdite. Due mesi dopo si
giunse allo scontro decisivo in mare, quando le forze di Togo intercettarono a Tsushima una
seconda quadra russa, diretta a Vladivostok. Si trattava della flotta baltica partita 10 mesi
prima per portare rinforzi a Port Arthur e arrivata in oriente quando ormai la base era nelle
mani del nemico. Il Giappone aveva chiuso vittoriosamente la campagna navale, ma sul fronte
di terra la situazione era critica. La conquista della Manciuria meridionale era costata la perdita
di 220.000 uomini e l’esercito non aveva più le forze di lanciare un’offensiva. Inoltre, dopo aver
contratto numero debiti con Londra e NY, il governo giapponese si trovava ad un passo dalla
banca rotta. Anche le condizioni russe erano precarie, dove nel 1905 scoppia la rivoluzione che
avrebbe scosso l’impero. Date le circostanze, nel giugno lo zar accetta l’offerta del presidente
americano Roosevelt di mediare la pace. La conferenza di pace si tenne a Portsmouth nel
settembre 1905. Komura presentò una lista di richieste che comprendeva l’impegno russo a
non ostacolare le iniziative giapponesi in Corea, l’evacuazione della Manciuria, il trasferimento
al Giappone dei diritti sul Liaodong e sulla ferrovia sud mancese, la cessione di Sachalin e il
risarcimento delle spese di guerra. Lo zar aveva richiesto di evitare qualsiasi cessione
territoriale o pagamento di indennità. Komura allora propose la metà settentrionale di
Sachalin in cambio del risarcimento, ma lo zar fu irremovibile. Sembrava che l’avidità
nipponica stesse mettendo a repentaglio la pace. Roosevelt raccomandò Komura a rinunciare
al pagamento e alla fine Komura accettò mezza Sachalin.

L’assetto postbellico

Il trattato fu firmato il 5 settembre e il giorno stesso fu reso noto il suo contenuto in Giappone.
Una numerosa folla si radunò a Tokyo per protestare contro il cedimento del governo di fronte
la Russia. L’impopolarità del trattato costrinse Katsura a dimettersi e cedere la guida del
governo a Saionji. Con la pace il Giappone evita il tracollo finanziario, ma la rinuncia alle
indennità lasciò il paese in uno stato di dissesto. Come principali vantaggi, il Giappone ottenne
il controllo sulla Corea e l’espansione della sua influenza a tutta la Manciuria meridionale. La
sconfitta russa fece una certa impressione all’estero, poiché per la prima volta un paese
asiatico aveva battuto un nemico europeo. A partire dal 1905, Tokyo portò una serie di
iniziative che nel giro di 5 anni portarono all’annessione della Corea all’impero nipponico.
Inoltre, con l’acquisizione dei diritti russi in Manciuria, il Giappone si trovò coinvolto nelle
questioni interne cinesi. L’alleanza con il Regno Unito fu rinnovata nel 1905: l’obiettivo
giapponese era quello scoraggiare la Russia dal riprendere le ostilità, mentre il Regno Unito
voleva evitare il rischio di spostamento russo verso l’Asia centrale. Per questi motivi l’ambito di
applicazione del nuovo trattato si estende in India e l’obbligo di intervento a fianco dell’alleato
era previsto anche in caso di scontro con un solo nemico. Successivamente ci fu un
riavvicinamento tra Russia e Giappone, i quali formarono un accordo nel 1907 che stabiliva le
rispettive aree di influenza in Asia. Sempre nel 1907 arrivò un secondo trattato per il
mantenimento dello status quo in Manciuria, mentre nel 1912 fu concluso un terzo trattato
segreto che spartiva la Mongolia interna tra la sfera russa a Ovest e quella nipponica a Est. Gli
UK non diedero mai all’alleanza un significato antiamericano, infatti nel 1911 fu stipulato col
Giappone un terzo trattato dove l’obbligo di intervento non voleva qualora si trattasse di un
paese con cui si era concluso un accordo generale. La Gran Bretagna stava per concludere
questo accordo con gli Stati Uniti, cui si riferiva la nuova clausola. Nel primo novecento
nacquero degli attriti con gli Stati Uniti: 1989 prima crisi diplomatica a causa dell’annessione
delle Hawaii, nello stesso anno occupò Guam e Filippine e nel 1903 fu appoggiata la secessione
di Panama e Colombia. In Cina, gli USA non vollero acquisire privilegi, infatti adottarono la
“politica della porta aperta”: si trattava di persuadere la comunità internazionale a non
ostacolare il libero commercio in Cina e a rispettare la sua integrità. Questa proposta portò a
sottoporre il controllo della ferrovia sud mancese sotto il controllo internazionale ma
Giappone e Russia non acconsentirono. Tramite un colloquio bilaterale, Giappone e USA
cercarono di attenuare i motivi di conflitto: il Giappone assicurò di non aver alcun interesse per
le Filippine, in cambio gli Stati Uniti riconobbero il protettorato giapponese in Corea. Ma a
complicare i rapporti fu il problema dell’emigrazione giapponese negli Stati Uniti. Si stima che
nel 1910 risiedessero negli USA 70.000 persone con cittadinanza nipponica, circa 1% della
popolazione californiana. Tokyo cercò di ridurre la tensione riducendo il numero di espatri e
nel 1907 Roosevelt si imperò a garantire i diritti dei giapponesi residenti negli Stati Uniti.

La politica coloniale

Tra il 1895 e il 1910 il Giappone ebbe una notevole espansione territoriale, diventando un
impero che comprendeva diversi popoli. L’inizio di questa trasformazione si colloca nei primi
anni Meiji con la colonizzazione dell’Hokkaido e l’annessione delle Ryukyu. Taiwan fu posta
sotto un governatore generale, con sede nel nord a Taipei. L’amministrazione coloniale fu
istituita nel 1895, ma divenne operative solo dopo una lotta con la resistenza locale. La notizia
non fu presa bene in Cina, infatti si raccolsero 100.000 uomini armati. Successivi atti di
ribellione culminarono nel 1915 con un’insurrezione nei villaggi sud, ricordata come “incidente
di Taipei”. L’ultimo grave scontro fu “l’incidente Musha” nel 1930, nel quale un gruppo di
indigeni massacrò un centinaio di civili e militari. Il governatore di Taiwan doveva essere un
alto ufficiale militare, responsabile verso il primo ministro. I primi governatori furono
impegnati nella lotta agli insorti, con Kodama Gentaro e Goto Shinpei si compì la
normalizzazione del dominio coloniale. Si costruirono infrastrutture moderne, quali ferrovie e
porti. Per finanziare le attività finanziarie e gli investimenti si istituì la Banca di Taiwan. La
politica economica seguì la classica formula dei regimi coloniali: esportare prodotti agricoli
(riso) verso la madrepatria, ottenendo beni di consumo industriali. Gli amministratori
dovettero affrontare il problema dell’oppio, bandito dal Giappone ma diffuso a Taiwan. La
soluzione fu quella di inserire la droga tra i monopoli statali, istituendo una distribuzione
autorizzata per ridurne la circolazione. In particolare, Goto, medico di formazione, diresse una
politica sanitaria contro le malattie endemiche. Senza radicarlo il monopolio dell’oppio ridusse
il consumo. Quanto alla politica coloniale, a differenza di Okinawa, le autorità nipponiche non
adottarono misure di rapida assimilazione. Il riconoscimento della loro diversità servì a tenere
lontani i taiwanesi dagli incarichi di rilievo. Solo dopo la prima guerra mondiale fu avviato il
processo di <<nipponizzazione>> per un loro coinvolgimento nell’amministrazione. 10 anni
dopo Taiwan, il Giappone ottenne la parte sud di Sachalin, scarsamente popolata ma un’isola
strategica con discrete risorse naturali. L’economia si basava sulla legna e sulla pesca.
L’amministrazione rispondeva al ministro degli interni. A differenza degli altri territori,
Sachalin fu parzialmente integrata nel sistema amministrativo dell’arcipelago giapponese.
Altro vantaggio strappato alla Russia fu la concessione del Liaodong con diritti ferroviari e
minerari. Il territorio fu ribattezzato Kanto. Come Taiwan, l’incarico di governatore fu affidato
ad alti gradi militari. Negli affari civili il governatore dipendeva dal ministro degli Esteri, nelle
questioni militari rendeva conto al ministro dell’esercito e al suo Stato maggiore. Nel 1906 fu
fondata la Compagnia ferroviaria della Manciuria meridionale (Mantestu) con capitale privato
ma a controllo statale. Dato i costi ingenti, Katsura rispose a Harriman per la creazione di una
joint venture nippo-americana. Il progetto cadde a causa dell’opposizione di Komura. La
Mantestu estese in poco tempo le sue attività, non solo ai trasporti, ma si affermò anche nel
commercio e nell’industria mineraria e siderurgica. Con il trattato di Portsmouth il Giappone
ottenne in fine campo libero in Corea. Nel 1907 Gojong tentò di denunciare gli atti dei
giapponesi alla conferenza di pace, ma la Corea non fu ammessa perché in base al diritto
internazionale era un protettorato del Giappone. Per punizione Gojong abdicò a favore del
figlio al quale fu imposto un ulteriore trattato con il quale l’esercito coreano fu sciolto e
sostituito da forze nipponiche. Molti dei militari congedati organizzarono una resistenza
armata e si stima che nel 1907-10 140.000 ribelli si siano scontrati con le forze giapponesi. Nel
1909 Komura propose a Katsura di compiere il passo finale, la completa annessione della
Corea all’impero. Nonostante Ito avesse proposto in passato di mantenere la Corea come uno
stato interposto tra Giappone, Cina e Russia, fu a favore dell’annessione. Con il “trattato di
unione” firmato il 22 agosto 1910, l’imperatore Meiji assunse la sovranità sulla Corea. Fu creata
la carica di governatore generale riservata a ufficiali dell’esercito o della marina. A differenza
del governatore di Taiwan che era posto sotto il primo ministro, quello di Corea faceva capo
all’imperatore. A ricoprire per primo l’incarico fu Terauchi Masatake. Terauchi governò la
Corea fino al 1916, quando Yamagata lo scelse come primo ministro. In questo mandato
sovraintendeste alla riforma fondiaria. Su 4,3 milioni di ettari, 78.000 furono assegnati alla
Oriental Development Company Tokyo, società fondata nel 1908 allo scopo di promuovere il
trasferimento di agricoltori giapponesi in Corea. La riforma attirò in Corea aziende e investitori
privati, poiché il prezzo delle terre era più basso rispetto a quelle giapponesi. I contadini
coreani rimasti senza terra trovarono lavoro come manodopera. La Oriental Development
Company Tokyo diversificò le sue attività, investendo nell’industria mineraria, nelle ferrovie e
altri settori moderni. A sostegno di questi progetti fu riorganizzata la Banca di Corea. Le
autorità applicarono in campo una politica di discriminazione e assimilazione. Da un lato ci fu
una divisione tra scuola giapponese e scuola coreana, dall’altro agli scolari coreani furono
impartiti programmi finalizzati a installare un senso di appartenenza all’impero.

Capitolo 4

La ricerca di nuovi equilibri

La grande guerra e le sue conseguenze internazionali

Nel marzo 1914 l’opposizione della Camera Alta costrinse il governo Yamamoto alle
dimissioni. Alla guida fu posto Okuma, che si appoggiò al partito fondato da Katsura. Poiché
quest’ultimo morì di cancro, fu posto alla presidenza del partito Kato Takaaki. In queste
circostanze scoppiò in Europa un conflitto nell’estate del 1914. L’alleanza con il Regno Unito,
rinnovata 3 anni prima, non comportava a Tokyo l’obbligo di intervento nella guerra appena
iniziata. Tuttavia, Kato comunicò al segretario degli Esteri Grey la disponibilità dell’impero a
fornire pieno sostegno secondo i termini del trattato bilaterale. Grey consapevole che
iniziative nipponiche in Cina o nel Pacifico avrebbero irritato gli USA e i domini dell’Australia e
Nuova Zelanda, aveva chiesto all’alleato di cacciare le navi tedesche dalle acque cinesi. Kato,
poiché voleva mantenere la pace in Asia orientale, non si limitò alle richieste di Grey.
Allarmato, Grey ritirò la richiesta di aiuto ma ormai le truppe giapponesi erano partite. Il 15
agosto Tokyo intimò Berlino di ritirare le sue navi e consegnare lo Jiaozhou nello Shandong. Il
23 scattò l’ultimatum e l’imperatore emise la dichiarazione di guerra. In realtà la regione di
maggiore interesse di Kato non era lo Shandong ma la Manciuria dato che i diritti russi
sarebbero scaduti entro alcuni anni. Come sperato, l’opinione pubblica si schierò a favore
dell’entrata in guerra. La rapida vittoria del Giappone influenzò le elezioni del marzo 1915. Il
Seiyukai di Hara tenne una linea moderata, criticando non tanto la decisione di entrare in
guerra quanto l’inesperienza di Kato nel gestire le conseguenze sui rapporti con Cina e le
potenze occidentali. Yamagata e Matsukata espressero preoccupazione per i rischi in cui il
paese sarebbe andato contro. Solo Inoue si mostrò entusiasta tanto da definire il conflitto
come “provvidenze celesta” per le sorti nipponiche. Le operazioni ebbero due fronti: nel
Pacifico la marina occupò le colonie tedesche, sul fronte di terra il Giappone si scontrò con una
forte resistenza. I tedeschi si arresero il 7 novembre. Le perdite ammontarono a meno di 2000
uomini tra morti e feriti.

I rapporti con la Cina e le grandi potenze

Una volta eliminata la resistenza tedesca nello Shandong, Kato avviò le trattative con la Cina.
8 gennaio 1915, Kato presenta al presidente cine Yuan una lista con 21 richieste organizzate in
5 sezioni. 1. Relativa allo Shandong, prevedeva il trasferimento dei diritti tedeschi al
Giappone.2. Si puntava a consolidare la presenza nipponica in Manciuria e Mongolia.

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