Periodo Jomon Fase di passaggio verso il Neolitico, attorno al 10.000 a.C., coincide con
l’avvio della manifattura terracotta (dogu); alcuni di questi sono stati rinvenuti in
mucchi di conchiglie dove si ammassavano i resti di cibo delle popolazioni costiere. La
loro funzione era di una sorta di amuleti su cui trasferire malattie e calamità e il
rischio di morte legato al parto. In questo periodo la popolazione si dedicava a forme
rudimentali di coltivazione.
Periodo Yayoi (300 a.C.-250/300d.C.) Inizia con l’avvio della risicoltura, è rilevante
perché si sviluppa una cultura agricola + sedentaria attorno a campi fertili
pianeggianti (Tokyo), che porterà allo sviluppo di un’organizzazione socio-politica
basata su comunità locali legate al territorio. C’erano vari riti, volti per assicurarsi il
favore della natura e delle divinità locali (kami), dai quali dipendevano. Il capo della
comunità assunse il potere spirituale e politico diventando una sorta di protettore
della vita e delle attività collettive › shinto primitivo, caratterizzato da pratiche
magiche, sciamaniche senza un sistema morale. Lo shintoismo primitivo era un culto
della natura che identificava come kami monti, fiumi, cascate… e nel ritmare le fasi
vitali dell’attività produttiva. La società diventava sempre + stratificata, alcuni avevano
una condizione + favorevole perché avevano terre + fertili o avevano maggior accesso
alle nuove tecnologie.
Periodo Yamato/Kofun (250/300 d.C.-metà VI sec. d.C) Nella pianura Yamato (Nara)
inizia l’uso delle grandi tombe a forma di tumulo: kofun. Le ricche tombe
appartenevano al nucleo dominante: uji. Esse erano necessarie alla glorificazione del
proprio status. Uji: potente famiglia di cui faceva parte un numero di membri legati da
un vincolo di sangue (non sempre reale) per rafforzare la coesione interna. I membri
del clan ritenevano di discendere da un comune antenato divino (ujigami) e
sottostavano a un’organizzazione gerarchica, al cui vertice c’era il capo clan: uji no
kami. le comunità uji iniziarono a stabilire contatti di cooperazione fra loro › nascita di
una confederazione di uji guidata dal capo locale + potente tra le egemonie tribali
primitive: clan Yamato. In questo periodo ci fu un’intensificazione dei contatti
d’oltremare. Molti uji avevano rapporti commerciali o alleanze militari con regni della
penisola coreana. Iniziò un sistema di titoli onorifici (kabane), secondo il quale ognuno
aveva un potere a seconda della sua vicinanza con la stirpe egemone (il grado + alto
per gli Yamato era omi, per gli altri muraji) Nella prima metà del VI sec il Buddhismo
iniziò a entrare in Giappone, si dice grazie al sovrano di Paekche. A favore della
dottrina si schierarono i Soga, mentre i Nakatomi sostenevano lo shintoismo perché
ne traevano potere. Dopo una battaglia tra i 2 nel 587 vinsero i Soga, ebbe così inizio il
flusso costante di nuove idee e concezioni cinesi. Il Buddhismo inserì la cremazione a
sfavore della sepoltura › abbandono e fine dei kofun a favore di ricchi templi simbolo
di potere. Arrivarono monaci, reliquie, artigiani › diffusione buddhismo tra le classi
dominanti. Il capo Yamato sembrava un sovrano ma aveva un potere solo formale
incapace di proseguire attività militare al di fuori del Giappone e di difendersi dai
cinesi. Gli stessi Soga erano una minaccia per gli Yamato. Soga no Umako consolidò il
suo potere a Corte e fece uccidere l’Imperatore in carica. Il successore Shotoku Taishi
era un fervente buddhista, contribuì a diffondere la nuova religione; a lui fu attribuita
anche la stesura della “costituzione dei 17 articoli”, con lo scopo di affermare il diritto
sovrano e di eliminare il potere autonomo degli uji, sostituendoli con la burocrazia
funzionaria, ma comunque il sistema politico continuò a essere condizionato dal loro
ruolo.
Periodo Nara Poco dopo la sua morte fu eliminata anche l’egemonia Soga, il cui capo
cadde in una congiura di Nakatomo no Kamatari, il quale fu ricompensato con
importanti cariche e il prestigioso cognome Fujiwara. Seguirono una serie di riforme, e
un editto di riforma che aboliva i titoli che garantivano i possessi privati › il territorio fu
diviso in province con a capo dei governatori provinciali a tempo determinato; le
province erano divise in distretti, e poi in villaggi rurali e quartieri. Il centro
amministrativo era il governo imperiale. Iniziò l’istituzione di registri di censo, tasse e
catasto così sarebbe avvenuta la distribuzione sistematica delle terre agricole ai
contadini › basi per un nuovo sistema di tassazione. La riforma Taika prevedeva che la
popolazione contadina fosse registrata per famiglie che erano le unità di base sia per
la terra sia per le tasse. Queste riforme erano l’inizio della subordinazione delle terre e
dei capi locali all’autorità imperiale e di un nuovo sistema economico › creazione di un
Consiglio di Stato (Dajokan) Nuovo imperatore Tenmu consolidò le riforme e fondò il
potere sulla forza militare. Ordinò la scrittura di un’opera storica per legittimare il
potere dell’Imperatore. Nel 702 venne emanato il codice di leggi Taiho /codice
Ritsuryo, composto da leggi penali e norme amministrative. Aumento
demografico+onerosi obblighi fiscali › povertà › i contadini abbandonano le terre. A
singole famiglie o a istituzioni viene affidata la bonifica di terreni, in cambio del loro
possesso da 1 a 3 generazioni; di questo ne avevano approfittato soprattutto nobili di
Corte e istituzioni religiose. Questi possedimenti privati si affrancarono dal governo
centrale e dall’obbligo di pagare le tasse: › molti contadini abbandonavano le terre
statali per andare negli shoen. Data la diminuzione delle entrate dalle terre statali, le
tasse agricole aumentarono. Gli shoen si trasformarono sempre + in possedimenti
privati grazie all’esclusione dei dipendenti del governo centrale. L’organizzazione dello
shoen era:
• Honke: Se il ryoshu viveva nel possedimento era necessaria la figura del garante
presso la Corte
• Contadini dipendenti
Periodo Heian L’Imperatore Kanmu decise di allontanare la Corte dai grandi templi
che erano stati edificati nel perimetro di Nara, diede ordine di trasferire la capitale a
Nagaoka, ma le sciagure furono interpretati come brutti presagi indussero a trasferire
la sede del governo imperiale di nuovo a Heiankyo (capitale di pace e tranquillità), poi
ribattezzata Kyoto. Kanmu cercò di rafforzare il controllo sugli affari di Stato, vietò la
costruzione di templi buddhisti nella capitale. Nel sistema fondiario emersero
contraddizioni sempre + acute portando ad aree di immunità fiscale che privarono il
governo centrale di importanti entrate. Il governo imperiale attuò una politica di
compromesso con i potenti capi uji basata sul conferimento di cariche pubbliche e di
titoli nobiliari e sulla concessione di proprietà privata permanente di terre o di
immunità fiscali. L’imperatore non riuscendo ad esercitare un potere sui clan, ebbe un
ruolo cerimoniale e religioso › diarchia: l’autorità del tenno era sotto controllo dei
Fujiwara, il quale ebbe il monopolio sulla carica di reggente imperiale in quanto era
riuscito a stabilire dei legami con la dinastia regnante. Fujiwara Yoshifusa ottenne la
carica di Primo Ministro e di Capo del Consiglio di Stato; fu anche artefice dell’ascesa
al trono di Seiwa (di 9 anni), divenendone reggente imperiale: sessho (reggente
dell’Imperatore minorenne), tuttavia mantenne la carica anche dopo che l’Imperatore
raggiunse la maggiore età: kanpaku(maggiore carica della Corte imperiale) › iniziò il
periodo sekkan seiji (governo dei reggenti). Il potere Fujiwara fu ridimensionato con
l’istituzione del governo degli Imperatori in ritiro: insei, il primo fu Shirakawa, che così
fu in grado di decidere la successione al trono e di liberarsi da interferenze esterne.
Era usanza che principi, nobili ed ex sovrani si ritirassero dagli affari pubblici per
dedicarsi alla vita monastica; ma questa rinuncia era solo teorica, perché molti
imperatori in ritiro e nobili continuarono a esercitare comunque la loro influenza.
Negli shoen nacquero i primi corpi combattenti per scopi difensivi e punitivi, composti
da guerrieri professionisti dell’elite locale: bushi/samurai. Mentre i bushi salivano,
l’aristocrazia civile declinava. I bushi rimanevano comunque divisi dall’aristocrazia
civile, che mai si estinse, e favorì successivamente la restaurazione del potere
imperiale. Il senso dell’onore era essenziale nel codice di comportamento dei bushi.
Nacquero delle famiglie di bushi:Taira e Minamoto. Molte famiglie che volevano
migliorare la propria posizione si trasferirono nelle province per assumere la gestione
degli shoen o ottenere alte cariche pubbliche. Nel 1156 si scatenò una guerra civile
per la successione imperiale chiamata Hogen no ran: lì Imperatore in ritiro Sutoku
non riuscì a porre suo figlio sul trono, al suo posto era asceso Go Shirakawa e le
famiglie bushi si schierarono da una e dall’altra parte. I Taira, discendenti
dell’Imperatore Kanmu avevano potere nel Mare Interno e appoggiarono Go
Shirakawa e vinsero la battaglia; i Minamoto discendevano dai Seiwa, sostenitori
dell’Imperatore in ritiro. I Taira facendo spesso ricorso a dispotismo e violenza
suscitarono forti reazioni anche presso Go Shirakawa. Le grandi famiglie presero
come guida Minamoto Yoritomo che sconfisse i Taira nella guerra Genpei, conclusa
con la battaglia Dan no Ura.
• Scuola Tendai: tutti gli esseri viventi possono diventare Buddha attraverso
• Buddhismo tantrico
• Dottrina della Terra Pura: di facile fruizione › inizia a diffondere il buddhismo presso
le masse grazie al potere salvifico di Amida (Buddha del Paradiso d’Occidente), che
poteva essere ottenuto con l’invocazione del suo nome. Anche grazie alla concezione
della fase finale della Legge (mappo) esistevano 3 fasi successive alla morte del
Buddha storico:anni di prosperità, declino, decadenza della legge buddhista, la quale
eri ritenuta vicina, e serviva quindi la salvezza.
• Samurai Dokoro: ufficio degli affari militari • Kumonjo: ufficio dei documenti pubblici.
Poi confluì nel Mandokoro:ufficio amministrativo • Monchujo: Ufficio investigativo, con
il compiti di Corte d’appello per i reclami e le contese di natura legale, far rispettare le
norme penali e conservare documenti giudiziari e catastali.
Alla morte di Yoritomo suo suocero prese la carica di shikken: reggente dello shogun.
Sotto la guida della famiglia Hojo fino alla fine del periodo Kamakura, ci fu pace,
stabilità interna e un miglioramento delle condizioni economiche. Gli Hojo
introdussero il Codice Joei: legislazione della classe militare, sostituendo le vecchie
norme della Corte Imperiale Nel 1221 Go Toba cercò di attaccare il bakufu fallendo F
0E 0fu esiliato insieme ad altri 2 ex Imperatori, e il sovrano in carica fu sostituito con
uno a piacere di Kamakura. L’aristocrazia guerriera trovava sostegno culturale nella
scuola buddhista Zen, dove la pratica meditativa era finalizzata a controllare corpo e
mente. Il bakufu stabilì con i monasteri Zen uno stretto legame, senza avere alcuna
interferenza politica. 1266: Qubilay Qan inviò al Giappone la richiesta di sottomettersi
alla sua autorità, ma gli Hojo rifiutarono › mongoli inviano una spedizione navale nel
Kyushu, ma un tifone (kamikaze) colpì la flotta che fu costretta a ritirarsi. Questo
Vento Divino suscitò l’orgoglio nazionale per la difesa da parte dei kami, ma le
invasioni mongole determinarono la fine del bakufu di Kamakura. Kamakura non
poteva risarcire le famiglie delle vittime e chi richiedeva una ricompensa (santuari,
templi per aver invocato il tifone).
Restaurazione Kenmu: per riportare la guida del governo nelle mani dell’Imperatore.
Comunque non si riuscì ad eliminare i privilegi feudali e ricondurre il potere a Corte.
L’artefice della Restaurazione Kenmu fu l’imperatore Go Daigo: abolì l’insei, cercò di
avere appoggiò militare da quelli che volevano la fine degli Hojo. Dopo molti complotti
nei confronti di Kamakura, essa reagì inviando uomini a Kyoto e Go Daigo fuggì
portando i simboli dell’autorità imperiale. Ashikaga Takauji al comando delle forze
shogun ali si schierò dalla parte della coalizione filo imperiale, rivolgendo le truppe
contro gli Hojo › fine del bakufu Kamakura e Go Daigo proclamò l’inizio dell’era Kenmu
e la restaurazione del potere, che si rivelò anacronistico. Egli assegnò importanti
cariche a istituzioni religiose e capi militari. Takauji si ritenne insoddisfatto › sconfisse
le truppe imperiali e depose Go Daigo sostituendolo con 1 della linea principale e poi
ottenne la carica di shogun, rimanendo però a Kyoto.
Periodo Muromachi Il bakufu Ashikaga andò trasferendo il potere ai grandi capi
militari locali. Takauji si ispirò al precedente bakufu: il governo centrale si fondò
sul Samurai dokoro(ufficio degli affari militari), il Mandokoro (ufficio amministrativo) e
il Monchujo (ufficio investigativo) e adottò il sistema di jito e shugo. La base legale e
politica del regime Ashikaga si fondò sul Kenmu shikimoku. Iniziò il
periodo Nanbokucho: le Corti del Nord e del Sud (Go Daigo) fino al 1392 quando il
sovrano della Corte del Sud consentì agli Ashikaga di estendere il potere su tutto il
Paese. Lo Shogun Yoshimitsu cercò di consolidare il governo e sedare le rivolte, fu
ricordato per aver fuso i valori della classe guerriera e la raffinatezza del mondo
aristocratico. Si stabilirono relazioni tributarie con la Cina per impedire l’azione dei
wako (pirati giapponesi › iniziò un fiorente commercio, vennero introdotte merci
pregiate e nuove tecniche di lavorazione della seta. Le autorità crearono una sorta di
alleanza con i mercanti garantendogli protezione. Gli shugo consolidarono il loro
potere nelle province diventando dei capi regionali che avevano potere militare, civile
e amministrativo. Per sostenere le milizie, con la pratica del hanzei, riscuotevano metà
delle imposte dagli shoen. La guerra di Onin dà inizio a un lungo periodo di guerre
civili:Sengoku; in questo periodo l’autorità Ashikaga declinò, favorendo l’ascesa dei
capi militari locali: Sengoku Daimyo che avevano diritti amministrativi e di proprietà
sulle terre, diventando un vero feudatario e dissolvendo gli shoen.
• contenimento delle uscite e austerità nella condotta della vita dei bushi
All’inizio della guerra dell’Oppio in Cina si aprì un dibattito sulla difesa del Paese e si
acuì la crisi nazionale. Nel 1853 giunse una missione statunitense per rompere
l’isolamento giapponese:
• limitazione dei dazi doganali su merci importate (non è + possibile una politica
protezionistica)
I vecchi sostenitori di Yoshinobu volevano un’apertura del Paese con unione di Corte e
bakufu, un’altra parte vedeva nella riapertura un’occasione per lo sviluppo tecnologico
e per rafforzarsi. Yoshinobu, diventato shogun, emanò provvedimenti, che la Corte
non approvò › 1867 chiese all’Imperatore di potersi dimettere dalla carica di shogun
per evitare una guerra civile › alleanza daimyo Satsuma e Choshu, contro il bakufu
occupano il palazzo imperiale: 1868 Restaurazione Imperiale e lo shogunato fu
abolito. Edo fu ribattezzata Tokyo e diventò sede delle attività governative e nella
residenza dello shogun Tokugawa vi andarono l’Imperatore e la Corte.
• Previdenza sociale
• Prevenire disoccupazione
Il 5 maggio 1925 fu approvata la legge che istituiva il suffragio universale maschile, (in
Italia 1912)potevano votare coloro che:
• Dovevano versare una cauzione che veniva incamerata dalle casse dello
Stato nel caso di mancata elezione › molti ceti popolari non potevano parteciparvi
• + emissione fiduciaria
• Riduzione tasso interesse
1936: firmato Patto anti-Comintern con la Germania 1937: Kita Ikki fu condannato a
morte; nello stesso anno il Giappone attaccò la Cina iniziando la Guerra dell’Asia
Orientale 1940-41:
• 8 dicembre attacco alla base USA a Pearl Harbor (prima della dichiarazione di guerra)
Con la guerra fiorì il mercato nero con prezzi insostenibili per la maggior parte della
popolazione. Molte donne furono assunte per sostituire la manodopera maschile.
Nonostante la resa degli alleati il Giappone continuò a combattere. Solo dopo i
bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e l’Urss contro il Giappone il 15 agosto
1944 Tokyo accettò la resa incondizionata
mercato mondiale
Negli anni ’70 gli Usa ridussero le importazioni di prodotti giapponesi, e nel 1973 iniziò
la crisi petrolifera. Il Giappone ridusse le entrate e diminuì le importazioni. La
fabbricazione di automobili, prodotti elettrici e elettronici ebbe una forte crescita.
Questo sviluppo permise una stabilità economica fino al 1985, da qui l’economia
giapponese entrò in recessione A metà degli anni ’90 le grandi banche soffrono
dell’insolvenza di molti clienti, che negli anni prima avevano beneficiato facilmente di
prestiti. Grandi e piccole imprese iniziano a ridurre il personale. Il premier Hashimoto
lanciò un programma di riforme che riguardavano il sistema finanziario, l’economia, il
sistema politico-burocratico e l’educazione; gli ultimi 2 furono i punti di maggior
attrito. Nel 1992 fu approvata una norma che consente al Corpo di sicurezza
nazionale di partecipare alle operazioni di peacekeeping. Dopo la caduta del muro di
Berlino, il Giappone cerca di trovare un accordo con la Russia per la restituzione delle
isole a nord dello Hokkaido: ancora non si è giunti a una conclusione. Maggiore
tensione è la condanna fatta da Bush alla Rep. Democratica popolare di Corea come
facente parte dell’asse del male. Nel 2005 il Giappone uscì dalla fase recessiva e fino
alla fine degli anni’90 è stato la seconda potenza economica del mondo.
Periodo Kofun || 300 d.C. – 552 d.C. Questo periodo prende il nome dai grandi
monumenti funerari, costruiti in tumuli di terra con una forma simile a quella di
una collinetta, appunto Kofun. Le forme erano abbastanza varie: circolari,
quadrate o simili ad un “buco di serratura”.
POLITICA E SOCIETA’ È chiaro come questi tumuli fossero riservati all’élites, e
proprio da questi notiamo che il loro potere era diversificato, infatti il tumulo
più grande, risalente al V secolo, è stato rinvenuto nella regione di Yamato,
dove risiedeva un clan (appunto, il clan Yamato), che andava
progressivamente rafforzando il proprio potere. I clan erano detti Uji, una sorta
di famiglia allargata. Ogni uji esercitava il controllo su un territorio, con
estensione variabile. Gli individui appartenenti al clan ritenevano di discendere
direttamente da un comune antenato divino (ujigami) e sottostavano ad
un’organizzazione gerarchica al cui vertice si trovava l’uji no kami. A lui
spettava l’autorità patriarcale, così come il potere di sommo sacerdote in
quanto tramite diretto con la divinità. Era una carica ereditaria, così come era
ereditaria la posizione delle persone che lavoravano al servizio del clan
dominante, le quali erano raggruppate in unità chiamate be. I membri erano
vincolati a restare alle dipendenze della famiglia e questo legame era anche
rafforzato dal sentimento di devozione verso la divinità del clan. Al livello più
basso della scala gerarchica stavano gli yatsuko, servi e domestici, ma
costituivano una parte numerica esigua. Ad un certo punto le comunità uji
cominceranno a stabilire contatti tra di loro, sotto forma di cooperazione o
competizione. A volte la minaccia del ricorso alla forza era sufficiente per
indurre un clan meno potente a fare concessioni alla controparte più forte.
Questo avrebbe portato alla formazione di una confederazione di uji guidata
dal capo locale più potente. Tra questi i capi clan sul territorio Yamato, presero
ad estendere la loro egemonia, riuscendo ad ottenere la sottomissione degli
altri uji, e a stabilire un governo centralizzato, grazie anche al ricorso al potere
del proprio ujigami, la dea del sole Amaterasu Ōmikami, che legittimava la loro
supremazia.
ECONOMIA E STILI DI VITA Nel corso di questo periodo vi fu
un’intensificazione dei contatti con il continente; tra il IV e il VI secolo, vi fu un
consistente spostamento di persone, merci e tecnologia tra Giappone e Corea,
e ad alcune famiglie immigrate furono anche assegnati dei cognomi. Molti uji e
be avevano rapporti commerciali o militari con uno o più dei tre regni che, nel
corso del IV secolo, si erano consolidati nella penisola coreana: Koguryŏ a
nord, Paekche a sud-ovest e Silla nella parte sud orientale. Specie sul piano
militare si registra la presenza di guerrieri giapponesi che parteciparono agli
scontri fra i tre regni coreani, i quali, per altro, fondarono una colonia a
Mimana, nell’estremità meridionale della penisola. Questi contatti furono tali da
consentire una continuità culturale, politica ed economica tra la zona
meridionale della Corea e le regioni sud-occidentali del Giappone. Questo
suggerisce che il clan Yamato era ormai maturato al punto da rendere possibile
il reclutamento di ingenti forze militari da inviare in Corea. Assistiamo, inoltre,
allo sviluppo attorno alla regione di Yamato, di centri dediti alla produzione di
ceramiche, sale, collane di pietra e specchi di bronzo. Parallelamente si stabilì
una rete di scambi commerciali con le altre regioni, che fornivano materie
prime quali ferro, bronzo e vetro.
CULTURA E RELIGIONE La vita quotidiana comunitaria era collegata ai ritmi
della natura e all’esistenza dei kami, dal cui aiuto dipendevano l’attività
lavorativa e il benessere collettivo. Queste comunità erano particolarmente
interessate a preservare la collettività e la bellezza della natura; ciò avveniva
attraverso dei rituali di purificazione, il cui svolgimento da parte del capo uji gli
conferiva un potere che andava al di là di quello terreno. Dal tabù dell’impurità
collegata alla morte derivano numerose pratiche, compresa quella di trasferire
la sede del governo in altra località alla morte del capo del clan più importante.
La varietà dei culti presenti a livello locale sarebbe stata in parte superata con
l’avvio del processo di unificazione del Giappone, che avrebbe portato alla
sistematizzazione delle pratiche shintoiste.
ARTE All’interno dei kofun c’erano gli haniwa, delle grandi sculture in
terracotta, scavate sopra le tombe oppure nel terrapieno circostante.
Inizialmente avevano la forma di case poste nel punto più elevato del tumulo,
destinate ad ospitare lo spirito del defunto; quindi comparivano haniwa che
riproducevano oggetti militari, mentre in seguito si diffusero terrecotte con
figure animali e umane (guerrieri, musici e agricoltori). Negli spazi interni del
tumulo era disposto il corpo del defunto, attorno al quale erano posti oggetti
per lo più provenienti dal continente.
Periodo Taika || 552 d.C. – 710 d.C. Il buddhismo nasce verso la fine del VI
secolo a.C. in India; individuava le cause della sofferenza umana nelle
passioni. Giunge in Cina verso il I secolo d.C. Il messaggio buddista venne
tradotto, andando a favorirne la diffusione; infatti dalla Cina arriva, intorno al
IV secolo in Corea. L’introduzione del buddhismo in Giappone è posta in
relazione a un episodio che, secondo il Nihon Shoki, risalirebbe al 552 d.C.
(molti studiosi lo collocano al 538). Si narra che il sovrano Paekche inviò a
Kinmei, il capo della confederazione Yamato, una statua e alcune scritture
buddiste, assieme a un messaggio dove il Re coreano spiegava i vantaggi
derivanti da questa dottrina. L’ingresso del buddhismo non diede avvio a un
fenomeno destinato a interessare le masse popolari, ma determinò una
contrapposizione fra le élites al potere, divise in favorevoli o avverse a
introdurlo nel Paese. Infatti Kinmei consultò altri capi uji, tra i quali emersero
pareri contrastanti in merito alla nuova dottrina [ in quel periodo, il clan
Yamato, aveva stabilito dei vincoli di parentela con altri uji, attraverso la
politica dei matrimoni. Il sistema di titoli onorifici (kabane) assegnati ai singoli
clan serviva a stabilire una sorta di gerarchia di potere, proporzionale al grado
di vicinanza rispetto alla stirpe egemone. I capi legati da lontani vincoli di
parentela potevano ambire al più alto titolo di Omi, mentre tutti gli altri al
titolo di Muraji. Lo status dei singoli clan corrispondeva ad una funzione
precisa.] Molti clan vedevano il buddhismo come una minaccia alla posizione
che essi occupavano grazie alla loro presunta discendenza dai kami. A favore
della dottrina si schierarono i Soga, immigrati di recente dalla corea, i quali
volevano mantenere gli scambi tra i due paesi; i Monobe erano, invece, ostili in
quanto ritenevano che la nuova dottrina avrebbe potuto offendere e s catenare
l’ira dei kami, posizione che assunsero tutti coloro che avevano ricavato potere
dallo shintoismo, come nel caso nei Nakatomi. Il confronto tra i due
schieramenti ebbe fine solo con la vittoria dei Soga a seguito di uno scontro
militare nel 587, ottenendo un’importante posizione politica, e favorendo
l’apertura alle nuove idee provenienti dal continente, che porteranno poi
all’unificazione del Giappone. L’introduzione del buddhismo stimolò una
trasformazione dei costumi, dell’architettura e dei riti funebri, tra cui il
superamento della sepoltura a favore della cremazione; quindi i tumuli furono
sostituiti da ricchi templi, segnando quindi la fine del periodo Kofun.
POLITICA E SOCIETA’ [Nella penisola coreana il Giappone cominciò a perdere il
proprio controllo a partire dal 532, quando le truppe a sostegno di Paekche
vennero sconfitte da Silla. Nel 562 il controllo di Mimana fu del tutto
compromesso e infine perso con l’unificazione della Cina sotto la dinastia Sui
nel 589 e quindi con l’unificazione della Corea Adel 668, quando Silla riuscì,
supportato dalla Cina, a sconfiggere Koguryŏ. La Cina rappresentava una
potenza da temere e allo stesso tempo un modello da cui trarre ispirazione. Il
timore dell’espansionismo cinese avrebbe infatti contribuito ad accelerare il
processo di centralizzazione del potere.] Il clan Soga, grazie alla vittoria
militare, ma anche all’uso politico della nuova dottrina, iniziò a rappresentare
una minaccia per il clan Yamato. Infatti, Soga no Umako, fece uccidere
l’imperatore in carica che, pur essendo suo nipote, contrastava le sue
ambizioni. Nel 592 salì così al trono l’imperatrice Suiko, legata ai Soga da parte
materna, che regnò sino al 628 e che fu la prima donna ad accedere a questa
carica. Allo stesso tempo venne nominato un reggente (sesshō), Shōtoku
Taishi, che di fatto prese le redini del governo, e fu promotore di grandi
riforme, che portarono alla centralizzazione del potere. Infatti, nel 600, avviò
contatti diretti con la Corte di Sui e provvide ad introdurre importanti riforme
ispirate al modello cinese, tra cui, nel 603, l’introduzione di un sistema di
dodici ranghi di Corte, la cui assegnazione spettava al sovrano. A Shōtoku è,
inoltre, attribuita la stesura della “Costituzione dei diciassette articoli”,
emanata nel 604, che contiene un elenco di precetti e regole morali ispirati a
valori confuciani, buddhisti e taoisti. Lo scopo è quello di affermare il diritto
sovrano e di eliminare il potere autonomo degli uji, sostituendolo con una sorta
di burocrazia. Questo rappresenta la configurazione di uno Stato imperiale, nel
quale è previsto l’uso di un nuovo titolo con cui designare il sovrano; tennō,
ovvero un sovrano che governava in qualità di diretto discendente dal cielo, e
che quindi aveva potere politico e sacerdotale. La morte di Shōtoku, avvenuta
nel 622, interruppe solo momentaneamente il processo di riforme, che sarebbe
stato ripreso una volta eliminata l’egemonia dei Soga, il cui capo cadde vittima
di una congiura nel 645, ordita da parte di un principe imperiale e di un
membro del clan Nakatomi, i quali furono ricompensati con importanti cariche
e un nuovo prestigioso cognome, Fujiwara. L’anno successivo l’imperatore
emanò delle riforme in materia politica e amministrativa, volto a gettare le basi
per uno Stato imperiale, la cui ricchezza doveva fondarsi sugli introiti
provenienti da tutte le zone del Paese, e che prevedeva:
• L’abolizione di tutti i titoli che garantivano privilegi locali, ovvero i possessi
privati delle risaie e i be, alle dipendenze degli uji, assegnando il pieno
controllo delle terre e dei suoi abitanti al sovrano;
• L’introduzione di un sistema amministrativo, il quale prevedeva la nomina di
funzionari che dovevano servire l’imperatore. Il territorio fu quindi organizzato
in province (kuni), a capo dei quali erano posti dei governatori (kokushi). Le
province erano a loro volta suddivise in distretti (gun), guidati da capi di
distretto. A livello più basso le unità amministrative erano rappresentate da
villaggi rurali e quartieri urbani, ciascuno dei quali guidati da un capo scelto tra
gli abitanti delle singole località;
• L’istituzione di registri di censo e delle tasse, sulla base dei quali avveniva la
distribuzione delle terre; inoltre tutte le forme di tasse esistenti fino ad allora
furono cancellate. Ma non tutte le riforme trovarono un’immediata attuazione.
Il potere del governo imperiale si andava quindi a fondare sul controllo delle
risorse della terra e a dipendere dal funzionamento del sistema di tassazione. È
la riforma Taika, la quale prevedeva inoltre:
• La registrazione della popolazione contadina per famiglie, che fungevano
come unità di base sia per l’assegnazione delle terre, sia per il pagamento delle
tasse. A loro volta le famiglie erano organizzate in villaggi;
• Le terre agricole furono divise sulla base di un sistema (jōri), che prevedeva
la ripartizione di un grande quadrato di terra in altri trentasei quadrati uguali, a
loro volta divisi in dieci strisce; ogni striscia (tan), misurava poco meno di mille
metri quadrati e costituiva la base per l’assegnazione delle terre, assegnazione
che avveniva in base all’età, al sesso e allo status del destinatario. Si trattava
del sistema kubunden, i cui assegnatari erano tenuti a lavorare i campi e a
pagarne le relative tasse. Inoltre ai maschi era imposto l’obbligo di prestare
servizi di corvée civili e militari, che potevano essere sostituiti da una tassa
supplementare. L’assegnazione delle terre non era perpetua, ma soggetta a
periodiche redistribuzioni, così come l’importo delle tasse. Non tutte le terre
facevano parte del sistema kubunden, alcune vennero infatti assegnare sulla
base di altri criteri (merito, rango), a beneficio della nobiltà e delle istituzioni
religiose. Infine, una parte delle terre restò sotto la diretta amministrazione
dello Stato, che poteva servirsene per ottenere un reddito diretto. La riforma
Taika prevedeva anche la creazione di un consiglio di Stato (Dajōkan) e di otto
ministeri da esso dipendenti; al di sotto stavano altri due ministeri, della
Destra e della Sinistra con numerosi dipartimenti e uffici alle loro dipendenze.
Fu anche revisionato il sistema dei ranghi di Corte, che aumentarono di
numero e furono destinati a premiare personaggi meritevoli, anche se in
seguito sarebbe prevalso il criterio dell’ereditarietà. L’opera di riforma
proseguì, fino a quando non ci fu una nuova disputa per la successione al
trono, per la quale ci fu uno scontro dal quale emerse un nuovo imperatore,
che fondò il proprio potere sulla forza militare. Si trattava di Tenmu, che regnò
dal 673 al 686 consolidando le riforme avviate. Inoltre ristrutturò il sistema dei
titoli onorifici (kabane) che aveva regolato la gerarchia tra i capi uji,
relegandoli in una posizione subalterna. Il nuovo sistema di ranghi consentì
all’imperatore di far emergere i propri alleati e di far retrocedere i propri
nemici. Egli iniziò anche la compilazione di un codice, che avrebbe costituito la
base su cui sarebbe stato redatto il codice Taihō, emanato agli inizi dell’VIII
secolo. Tenmu ritenne di consolidare la posizione del sovrano ordinando la
stesura di un’opera storica finalizzata a legittimare il potere dell’imperatore, si
tratta del Kojiki, che sarà ultimato molti anni dopo. Tenmu morì nella residenza
di Asuka, quando ancora non era pronta una nuova capitale necessaria ad
ospitare un apparato governativo ben più complesso del precedente. Ma alla
sua morte, invece di abbandonare la capitale, si decise di ricorrere a riti di
purificazione. Nel 694 venne sperimentata la prima capitale permanente, a
Fujiwara, poco a nord di Asuka, dove l’edificazione della corte imperiale si
ispirava a modelli architettonici cinesi; ma dopo solo sedici anni la capitale
verrà nuovamente spostata. Ma è in questo breve periodo che fu completato il
codice di leggi avviato in precedenza, che venne emanato nel 702, noto con il
nome di Taihō o Codice Risturyō, contenenti le leggi penali e le norme
amministrative. Questa è l’ultima di una serie di riforme volte a stabilire il
controllo della famiglia e del governo imperiale sulla popolazione. Il codice,
revisionato nel 718, gettò le basi del sistema amministrativo che sarebbe
rimasto in vigore sino alla metà del XIX secolo. Prevedeva il definitivo
superamento delle realtà uji e la creazione di una massa di sudditi, intese
come persone pubbliche (kōmin), sottoposte all’imperatore. Al di sotto
dell’imperatore e della sua famiglia, stavano i sudditi liberi (ryōmin), che
potevano essere funzionari (kannin) e coltivatori delle terre dello Stato
(kōmin), mentre alla base di questa gerarchia figuravano i sudditi non liberi
(senmin). In generale il codice seguiva le forme e i principi di quelli cinesi; ma
a differenza di quelli cinesi non era vietato il matrimonio endogamo, anzi non
c’era limite alla possibilità di scegliere un partner all’interno del gruppo
familiare. Inoltre non venne nemmeno accolto il sistema meritocratico per
l’assegnazione delle cariche, in quanto questo avrebbe permesso l’accesso alle
cariche anche a persone di basso lignaggio.
ARTE Grazie sia al buddismo, che all’apertura verso la Corea e, quindi, anche
verso la Cina, iniziarono a circolare in Giappone molti testi cinesi, portando
all’introduzione del sistema di scrittura cinese; questa non diede un immediato
avvio alla stesura di opere e cronologie ufficiali, tant’é che solo in seguito la
classe dominante si rese conto dell’importanza della scrittura per la
trasmissione del pensiero politico, filosofico e religioso. Tutto questo portò alla
stesura del Kojiki e del Nihon Shoki, che si riferiscono, però, al periodo Kofun.
Ma a partire dal VI secolo è possibile far riferimento a documenti scritti. La
vittoria dei Soga aprì le porte all’arrivo di monaci, reliquie, artigiani e
costruttori di templi, in gran parte di provenienza coreana. Nella zona di Asuka,
sede della corte Yamato, iniziò la produzione di grandi opere artistiche, tra cui
l’Asukadera, fatto edificare dai Soga e ultimato nel 596, che si ritiene essere il
primo vero tempio buddhista del Giappone. L’esempio dei Soga fu seguito da
molti altri uji che finanziarono la produzione di templi in tutta la zona. Questi
edifici erano il simbolo della potenza dei clan uji, che dimostravano in questo
modo indipendenza dal clan Yamato. Periodo Nara || 710 d.C. – 794 d.C. Il
governo imperiale nel 710 d.C. si trasferì a Nara (Heijōkyō), periodo nel quale
si attuarono le riforme create nel periodo precedente. Edificata in una zona
pianeggiante e in una favorevole posizione strategica, la nuova capitale copriva
un’estensione di circa 20 chilometri quadrati. ARTE I sovrani finanziarono la
realizzazione di magnifiche opere buddhiste. Per esempio, l’imperatore Shōmu
(724-749) non solo ordinò la realizzazione del Grande Buddha del Tōdaiji a
Nara, ma donò anche le terre necessarie alla costruzione di un tempio per
ciascuna provincia. Il completamento dell’opera fu celebrata nel 752 con una
cerimonia, “l’apertura degli occhi del Buddha” alla quale parteciparono anche
personaggi importanti provenienti dal continente. I contatti con queste regioni
sono testimoniate anche dal gran numero di oggetti che furono conservati nello
Shōsōin di Nara, un magazzino dei tesori imperiali. Il Giappone in questo
periodo aveva anche allacciato rapporti con l’Indonesia, il Vietnam e la Malesia,
anche se il partner privilegiato rimaneva sempre la Cina, con la quale ripristinò
i rapporti nel 701, dando inizio ad una stagione di grandi scambi culturali,
anche se il Giappone, pur ispirandosi ai modelli cinesi, riusciva sempre a
utilizzare soluzioni originale nell’architettura, così come nell’arte, nella poesia e
nella storiografia.
Nel 712 fu, infatti, completato il Kojiki, in tre volumi, il primo dei quali si
riferisce all’epoca mitologica, sino alla leggendaria fondazione dell’impero a
opera di Jinmu nel 660 a.C.; nel secondo volume la narrazione prosegue fino
agli inizi del 300 d.C.; il terzo volume arriva sino al 628 d.C. Scritto in puro
giapponese, quest’opera presenta uno stile narrativo da cui traspare l’ampio
uso di fonti orali. Pur contenendo numerose informazioni sulla vita, gli usi e le
credenze diffuse nel territorio nel periodo protostorico, da un punto di vista
storico risulta assai meno attendibile. Mentre più attendibile da questo punto di
vista è il Nihon Shoki, ultimato nel 720 e ispirato al modello delle storie ufficiali
cinesi. Scritto in cinese, si compone di trenta volumi che narrano le vicende
fino al 697, riportare con un rigoroso ordine cronologico. Entrambe le opere
avevano come scopo la glorificazione del passato e la legittimazione del diritto
perpetuo della dinastia regnante.
CULTURA E RELIGIONE Nonostante il successo ottenuto dal buddhismo, lo
Shintoismo continuò a esercitare un forte sostegno all’istituto imperiale e,
come culto popolare, restò ancorato alla vita quotidiana. Le due concezioni
agirono a livelli distinti e risposero a esigenze spirituali diverse, e con il tempo
si sarebbe persino giunti ad una loro completa fusione. Ma il sostegno
accordato dall’aristocrazia di Corte al buddhismo assorbì molte risorse
economiche allo Stato e conferì al clero un potere che andava al di là di quello
spirituale. Questo legame fu collegato anche alla pratica, diffusa tra la nobiltà,
di diventare monaci.
POLITICA E SOCIETA’ Nel corso del periodo Nara, il nesso tra religione e Stato
fu tale da aprire una disputa per il potere tra un’imperatrice e un monaco
buddhista. Salita al trono nel 749, Kōken fu una fervente buddhista, sotto il cui
regno avvenne la cerimonia di inaugurazione del Grande Buddha di Nara.
Istituì una legge che prevedeva severe punizione per chiunque uccidesse un
altro essere vivente. Al governo fu affiancata da due esponenti Fujiwara sino a
quando, nel 758, non abdicò in favore dell’imperatore Junnin, per ritirarsi a
vita monastica. La fiducia riposta nel monaco Dōkyō la indusse a concedergli
vari titoli e privilegi, grazie ai quali il monaco assunse un potere tale che fu
necessario richiedere, nel 764, un intervento armato contro di lui. Ma Dōkyō
riuscì a sventare l’attacco, mentre l’ex imperatrice riaccedette al trono e
condannò all’esilio il suo predecessore. L’imperatrice poté così elevare la
posizione del monaco attribuendogli altre cariche, tra cui la carica di hōō, con
cui si identifica un imperatore che aveva abdicato per prendere i voti
monastici. Il monaco pretese, quindi, di essere nominato imperatore, secondo
quanto predetto da un oracolo. Ma anche l’imperatrice aveva consultato un
oracolo, il quale le aveva detto che mai un suddito sarebbe potuto diventare
imperatore. Così il potere di Dōkyō finì solo con la morte dell’imperatrice nel
770, quando venne esiliato. Questo episodio portò la corte ad assumere un
rapporto più equilibrato con il buddhismo e a guardare con maggiore interesse
una filosofia laica, quale era il confucianesimo. Il sostegno alle istituzioni
religiose fu drasticamente ridotto. Buona parte del mecenatismo che aveva
sostenuto il buddhismo si era fondato sulla pressione fiscale esercitata sugli
agricoltori, tra i quali la situazione divenne grave al punto da imporre, già
verso la metà dell’VIII secolo, una riduzione delle tasse per arginare
l’allontanamento dei contadini dalle terre. L’estensione delle aree coltivabili,
che avrebbe dovuto rispondere alla crescita demografica favorì, invece,
l’affermazione di diritti nelle nuove zone messe a coltura, le quali
rappresentavano il cardine delle grandi riforme attuate. Infatti, due
provvedimenti, introdussero la possibilità di assumere il controllo privato delle
terre bonificate per una o tre generazioni e perfino in perpetuo. La grande
nobiltà e le istituzioni religiose poterono, quindi, acquisire il possesso privato di
terre che vennero esentate dal pagamento delle tasse al governo centrale e
che richiesero la manodopera di quei contadini allontanatisi dalle risaie. Queste
contraddizioni generarono una violenta ribellione delle tribù a nord-est. In
questo clima l’imperatore Kanmu, che regnò dal 781 all’806, decise di
allontanare la corte dai grandi templi che erano stati edificati nel perimetro di
Nara e, nel 784 diede ordine di trasferire la capitale a Nagaoka. Ma una serie di
sciagure indusse a spostare nuovamente la sede del governo imperiale in
un’area più propizia.
CAPITOLO 2
Periodo Heian || 794 d.C. – 1185 d.C. Nel 794 la corte e il governo si mossero
nella residenza imperiale edificata nella città cui Kanmu diede il nome di
Heiankyō, successivamente ribattezzata Kyōto. La costruzione della città
richiese l’ingente impiego di manodopera rappresentata in gran parte dal
lavoro di corvée dei contadini.
POLITICA E SOCIETA’ In questa nuova sede, Kanmu, vietò la costruzione di
templi buddisti all’interno del perimetro della capitale, rese più solida
l’amministrazione centrale creando nuovi organi di governo, migliorò
l’amministrazione locale e la riscossione delle tasse. Al fine di disporre di un più
efficiente esercito da impiegare nelle zone di frontiera, nel 792 fu abolito
l’obbligo del servizio di leva e introdotto un sistema di milizie locali (kondei)
arruolate tra la piccola nobiltà provinciale. L’esempio di Kanmu fu seguito
anche dai suoi tre successori, che cercarono di tenere in vita i principi del
codice Risturyō, ma le contraddizioni del sistema fondiario si fecero più acute,
portando a crescenti aree di immunità fiscale che privarono il governo di
importanti entrate. Il sistema politico continuò ad essere condizionato dal ruolo
svolto dalla struttura degli uji, sui quali il governo non riuscì mai a stabilire una
vera e propria autorità. Non disponendo della forza militare, si raggiunse un
compromesso, per il quale i capi uji ricevevano cariche pubbliche e titoli
nobiliari, e anche terreni esenti dalle tasse. Per controllare il paese, la corte
fece sempre più affidamento sui kokushi, i quali si servirono di questi compiti
per consolidare il loro potere. Un ulteriore sintomo della fragilità del potere
imperiale è rappresentato dalla diarchia che di produsse al vertice dell’istituto
imperiale, quando l’autorità del tennō fu sottoposta al controllo del clan
Fujiwara, che stabilì una sorta di monopolio sulla carica di reggente. Già nel
periodo Nara erano riusciti a far ottenere a membri della famiglia, importanti
cariche burocratiche e a rafforzare il legame con la casata imperiale grazie al
fatto che molte donne Fujiwara diventarono mogli di imperatori. Un passaggio
importante nell’ascesa al potere Fujiwara si ebbe nell’857, quando Fujiwara
Yoshifusa ottenne la carica di dajō daini, ovvero primo ministro e capo del
consiglio di Stato, fino ad allora riservata ai principi imperiali. L’anno
successivo salì al trono l’imperatore Seiwa, che aveva nove anni, di cui
Yoshifusa era nonno, e che ottenne la carica di reggente (sesshō). Yoshifusa
mantenne il controllo sul governo anche una volta che l’imperatore raggiunse
la maggiore età, e i suoi successori seguirono il suo esempio, così che venne
creata la carica di kanpaku, ovvero reggente di un imperatore adulto. Per
alcuni decenni la casa imperiale cercò di contrastare il potere dei Fujiwara, ma
non riuscì a contrastare la continua erosione del sistema di controllo statale
sulle risorse agricole del paese e l’allargamento di tenute di privati, con pesanti
conseguenze sul mantenimento del potere e dell’autorità. Così, a partire dal
967 i Fujiwara ripristinarono il monopolio sulle cariche di sesshō e di kanpaku,
inaugurando il periodo detto “governo dei reggenti”, il quale ricevette un primo
colpo nel 1068 salì al trono l’imperatore Go Sanjō che, per la prima volta dopo
un secolo, non era figlio di un Fujiwara. Questo governo fu, infine, superato nel
1087, quando l’imperatore Shirakawa assunse la carica di imperatore in ritiro
(insei), riuscendo a sfuggire al controllo dei Fujiwara. La fortuna dei Fujiwara
era stata favorita dall’incapacità del governo di fermare la privatizzazione delle
terre. Inoltre, anche al di fuori della corte, esistevano altri centri di potere,
rappresentati in primo luogo da alcune scuole buddhiste, che disponevano di
armi, guerrieri e privilegi.
CULTURA, LETTERATURA, E RELIGIONE La nobiltà di Heian continuò a essere
caratterizzata dal benessere e dalla raffinatezza, visibili nello stile di vita
aristocratico e nella produzione artistica e letteraria del periodo. Il Giappone
chiuse i rapporti con l’esterno e si concentrò sulla rielaborazione delle idee
giunte fino ad allora dal continente, dando vita, a partire dal IX secolo a
modelli autoctoni in ambito politico ed economico e maturando forme artistiche
e letterarie autonome e originali. La conoscenza della cultura classica cinese
continuò a costituire un requisito indispensabile e un tratto distintivo per i
maschi dell’aristocrazia, e la filosofia confuciana continuò a dettare i principi di
governo. Ma la ricerca di nuove modalità di espressione autoctone spinse la
cultura giapponese a trovare una dimensione “nazionale”. In questo periodo si
registrano infatti alcuni cambiamenti in ambito linguistico, come nella scrittura,
con l’invenzione dei kana. Così, accanto a opere che continuarono
ad essere scritte in cinese, fiorì una produzione letteraria in kana, nella quale
figurano i diari (nikki), racconti (monogatari) e raccolte di poesie. Soprattutto
le composizioni poetiche divennero un passatempo negli ambienti di Corte e un
tratto distintivo dello status di aristocratico, per il quale l’imperizia in quest’arte
poteva persino condurre alla squalifica sociale. Il processo di nipponizzazione
interessò anche la coscienza estetica, che andò sviluppandosi attorno a valori e
canoni autoctoni, dal culto della bellezza, alla percezione dei fenomeni e delle
espressioni della natura, dall’amore contemplativo a un’intensa sensibilità
verso lo scorrere del tempo. Il rispetto delle regole del buon gusto e della
raffinatezza estetica fu assunto come requisito indispensabile per confermare
lo status dei membri dell’aristocrazia. Le donne, escluse dall’esercizio del
potere, mantennero un ruolo influente svolto dietro le quinte. La virilità non si
opponeva alla femminilità, non essendo poi così diversi i requisiti richiesti ad
un uomo o ad una donna per essere reputati avvenenti. Ma la letteratura Heian
presenta anche un aspetto più cupo e oscuro, pervaso dal senso di ansietà che
scaturisce dalla percezione del mondo. Questa visione è esemplificata dalla
ricorrente metafora della fioritura dei ciliegi. Il senso di evanescenza era di
chiama matrice buddhista; del resto il buddhismo costituisce lo sfondo
filosofico di molte opere letterarie, prima fra tutte il Genji Monogatari, dove
esso appare sotto un duplice aspetto, l’uno più terreno, l’altro proiettato verso
il mondo dell’aldilà. Ciò mostra che la dottrina si era ormai affermata nella vita
quotidiana dell’aristocrazia. L’evoluzione del buddhismo aveva continuato a
trarre stimoli dal continente, da cui giungevano nuove scuole di pensiero; in
primo luogo la scuola Tendai, introdotta agli inizi del IX secolo a opera del
bonzo Saichō, il quale promosse la costruzione del complesso monastico
Enryakuji sul Monte Hiei, a nord-est di Heian. La dottrina si fondava sull’idea
secondo cui tutti gli esseri viventi potessero diventare Buddha, attraverso lo
studio dei testi sacri, la tecnica della meditazione, l’invocazione del Buddha e la
pratica di esorcismi. Questa dottrina assimilò una serie di elementi
appartenenti ad altri scuole e culti, e ciò le consentì di acquisire un crescente
credito. In quegli stessi anni, un altro bonzo, Kūkai, tornò dalla Cina portando
con sé gli insegnamenti del buddhismo tantrico e fondando il tempio Kongōbuji
sul monte Kōya, quartier generale della scuola Shingon, che ben presto
guadagnò un grande favore. Si trattava di una dottrina essenzialmente
esoterica, la quale tuttavia presentava anche un aspetto popolare,
caratterizzato dall’uso di formule magiche e mistiche; essa concepiva l’universo
come la manifestazione del Buddha Dainichi. L’edificazione di questi complessi
monastici all’esterno della città, rispecchiava la volontà di impedire al clero di
influenza la politica; tuttavia nel corso del periodo numerosi templi privati
furono costruiti all’interno della città. Nel frattempo i complessi buddhisti
avevano iniziato a rifornirsi di armi e a disporre di monaci guerrieri (sōhei) al
fine di dirimere contrasti dottrinali interni. Inoltre, per ottenere esito positivo
alle loro richieste, ricorrevano al potere magico-religioso intimidendo o
minacciando il governo imperiale. La diffusione della fede buddhista presso le
masse sarebbe avvenuta solo dopo la fine di questo periodo, ma verso la fine
del X secolo essa iniziò a diffondersi grazie a dottrine di più facile accessibilità
come quella Jōdo, introdotta dalla Cina, è che ebbe molto successo perché
basava la sua fede nel potere salvifico di Amida. La diffusione del buddhismo
beneficiò anche della sua capacità di assimilare i culti shintoisti, anche
attraverso l’idea che i kami fossero una manifestazione del Buddha. Il
buddhismo continuò ad ispirare opere artistiche (amida), ma lo stile e le forme
tendevano ad allontanarsi dal modello continentale. La vera innovazione
riguardò lo sviluppo di un’arte pittorica, nota come Yamatoe (pittura Yamato)
dove si dipingevano paesaggi naturali e scene della vita di corte; cominciarono
ad apparire su paraventi (byōbu), mentre successivamente si diffusero su
rotoli di carta (emakimono). Le corti di ricchi templi e di importanti residenze
private cominciarono a essere riempite di giardini e boschetti, di stagni e
laghetti, di padiglioni e altri elementi tipicamente giapponesi. L’introduzione di
nuove forme artistiche dalla Cina non interruppe la ricerca di soluzioni
autonome. Sono dunque le espressioni culturali a rappresentare l’aspetto più
vitale del periodo Heain, ma occorre considerare che essa ruota attorno
all’aristocrazia la quale, all’epoca, rappresentava una piccola parte della
popolazione.
ECONOMIA E SISTEMA SHŌEN In periodo Nara, allo scopo di aumentare il
volume delle entrate proveniente dalla tassazione dei kubunden e soprattutto
per allentare la pressione demografica, era stata consentita la possibilità di
mantenere il controllo delle aree a coloro che avevano provveduto a
bonificarle. Si calcola, in effetti, che nel territorio vivessero circa 5-6 milioni di
persone. Questo, unito agli obblighi fiscali, aveva generato una diffusa povertà,
spingendo molti contadini ad allontanarsi dalle terre. Questo aveva spinto il
governo ad attuare una riforma volta a rendere coltivabili zone delle regioni
nord-orientali, ma non erano riusciti a trovare la manodopera necessaria. Così,
nel 723, era stato deciso di affidare questo compito a singole famiglie in
cambio della concessione del loro possesso da una a tre generazioni, una
misura che con il passare del tempo era diventata perpetua. Di questo avevano
approfittato innanzitutto i nobili e le istituzioni religiose, portando vantaggi solo
a queste ma non al governo imperiale. Questa tendenza si accentuò nel
periodo Heian, comportando una riduzione dei terreni sottoposti al sistema
Kubunden e alla formazione di estese zone agricole private. Questi erano gli
Shōen, verso i quali si diressero i contadini che avevano abbandonato le terre
statali. ----
Nei primi decenni del periodo Heian, furono attuati alcuni tentativi finalizzati a
riaffermare il primato politico dell’imperatore e il controllo statale sulle terre
agricole. Ma con l’indebolimento del governo la nobiltà di origine uji e le grandi
istituzioni religiose poterono estendere il controllo su ampie zone agricole
grazie al potere politico, ma anche grazie a quei contadini che cedevano loro i
terreni in cambio di condizioni più vantaggiose. Infatti, con la diminuzione delle
entrare provenienti dai kubunden, le tasse erano aumentate e in contadini non
riuscivano più a sostenere tali oneri. Elemento essenziale dello Shōen era,
inoltre, il fatto che erano esentasse. Un’ulteriore misura che trasformò queste
tenute in veri e propri possedimenti privati fu quella di escludere i dipendenti
del governo centrale dalla possibilità di accedervi al fine di svolgere compito
amministrativi e di tutela dell’ordine. Questo avrebbe segnato la transizione
vero l’ichien shōen, che designa i possedimenti terreni all’interno dei quali il
beneficiario dei privilegi deteneva tutti i compiti di governo e i diritti
amministrativi. Questa figura era nota come ryōshu. Bisogna comunque tenere
conto del fatto che fu un processo lento, che iniziò nell’VIII secolo; attorno
all’XI secolo, questo processo interessava la metà delle terre, mentre nel XIII
secolo raggiunse una completa maturazione. Gli Shōen erano nelle mani di
importanti clan, templi buddhisti e santuari shintoisti. Spesso un singolo
proprietario controllava molteplici proprietà, il più delle volte situati in regioni
diverse; questo comportava l’impossibilità di controllare tutti i territori e,
quindi, la necessità di delegare i compiti amministrativi a funzionari locali, gli
shōkan. Anche nelle provincie i capi delle famiglie locali più benestanti avevano
cercato di trarre beneficio dalla situazione, cercando di ottenere la proprietà
degli Shōen, ma non facendo parte della vita politica, si dovevano appoggiare a
figure che facevano parte della Corte, come dei garanti (honke), i quali, in
compenso, richiedevano una quota di prodotti agricoli. L’organizzazione interna
dello shōen differiva a seconda che il proprietario risiedesse o meno in loco.
Infatti, la figura dell’honke era richiesta qualora il proprietario vivesse
all’interno del possedimento, e in questo caso erano tenuti ad occuparsi
direttamente del controllo amministrativo; invece, nel caso essi non
risiedessero all’interno del possedimento, si delegavano agli shōkan i compiti
amministrativi, di difesa e di sorveglianza. Per quanto riguarda le gerarchie
all’interno dello shōen, tra i due casi erano identiche, e interessava solo i
contadini, diversificati tra loro come contadini proprietari (myōshu, coloro che
hanno concesso le terre) e i contadini dipendenti, queste gerarchie erano alla
base della ripartizione dei prodotti della terra. Ognuna di esse aveva specifici
doveri per assicurare l’assetto e la produzione. Da questi doveri derivato diritti
o benefici (shiki) che ciascuno poteva vantare sui prodotti della terra,
proporzionalmente al ruolo svolto. Lo shiki rappresentava un beneficio che
poteva essere ereditato, suddiviso e venduto. La diffusione dello shōen ebbe
importanti riflessi non solo sul sistema di comunicazione, che fu migliorato per
consentire il trasporto dei prodotti verso le zone in cui risiedevano i proprietari,
ma anche sul livello culturale ed economico delle campagne. Questo sistema
implicò anche una stratificazione nei villaggi, dove un gruppo ristretto di
famiglie andava conquistando un potere economico che rischiava di minare i
tradizionali vincoli di reciprocità tra i membri del villaggio. Spesso si trattò di
famiglie discendenti dagli antichi uji; è vero anche che non tutte le famiglie
collegate all’antica élite furono in grado di trasformarsi in capi militari terrieri,
ma si limitarono a mantenere le cariche civili ottenute dal governo. In questo
contesto assume un preciso significato la ribelli compiuta nel 935 da Taira
Masakado, dopo aver fallito il suo tentativo di ottenere un alto incarico nel
governo imperiale.
LA CLASSE GUERRIERA
All’epoca delle grandi riforme, l’introduzione di un sistema di reclutamento
militare obbligatorio non aveva ottenuto un grande successo. Infatti, i maschi
di età compresa tra i 20 e i 60 anni dovevano prestare servizio militare,
obbligo per alcuni assai oneroso, sia perché bisognava provvedere da se
all’armamento, sia perché si toglieva forza lavoro alla famiglia. Ne era risultato
un esercito poco disciplinato, spesso meno efficace e potente delle milizie
private di alcune importanti famiglie locali. Questo sistema era stato superato
nel 792 con l’istituzione di un sistema di milizie locali (kondei), che prevedeva
l’arruolamento di maschi, selezionati tra le famiglie di funzionari o influenti
personalità locali. Questo sistema contribuì a creare una base di potere militare
locale sempre più autonomo dal centro, ai quali si affidava il governo dapprima
con incarichi temporanei e successivamente permanenti, tanto da diventare
ereditari. All’interno degli stessi shōen si rese necessario l’organizzazione di
corpi combattenti per scopi difensivi. Questo concorse alla nascita dei guerrieri
professionisti appartenenti all’élite locale, dediti all’addestramento militare. Fu
tra il IX e il X secolo che la forza e il talento militare presero ad essere
esercitati in modo esclusivo da professionisti detti bushi o samurai. Con il
passare del tempo essi andarono assumendo il controllo sulle terre agricole
grazie al fatto che la forza militare che detenevano li rendeva competitivi
rispetto alle grandi famiglie dell’aristocrazia civile, le quali avevano dimostrato
un profondo disprezzo per le armi. Così l’ascesa di questi gruppi di guerrieri fu
accompagnata dal declino dell’aristocrazia civile e dal progressivo superamento
del potere imperiale. Già dal IX secolo gli shōen si erano sviluppati al punto
che, in alcune provincie periferiche, era progressivamente venuto meno il
controllo del governo imperiale. Le sempre più frequenti incursioni di bande
armate nelle zone rurali avevano spinto molti contadini a difendersi armandosi.
Così l’élite guerriera si consolidò parallelamente al processo che vide un
aumento della produzione agricola e una trasformazione delle modalità di
controllo delle terre. Nonostante il basso credito di cui godevano i guerrieri
presso la nobiltà, quest’ultima necessitava di una forza militare per mantenere
il controllo sulle proprie terre, così iniziò, insieme anche alle istituzioni
religiose, a servirsene. La classe guerriera riuscì ad ottenere benefici da tutto
questo, ma non fu così per quanto riguarda l’ambito sociale e culturale; infatti
il prestigio sociale e cultura della corte era troppo forte, e non venne mai
completamente offuscato. Di fatto la corte restò la fonte di legittimazione del
potere militare, in quanto era questa che conferiva ai capi militari il titolo di
shōgun. Questi guerrieri professionisti consolidarono un’identità di gruppo
definita, dotandosi di norme comportamentali, acquisendo uno status
ereditario e stabilendo al loro interno una rete di rapporti gerarchici. Il vincolo
dell’obbedienza verso il signore, che poteva essere rappresentato dal capo
della casata o dal leader di un’alleanza militare, divenne l’imperativo nella
condotta del guerriero, mentre fu assunto come tratto essenziale il senso
dell’onore. La gerarchia vedeva all’apice i capi delle grandi famiglie, che spesso
avevano nobili origini; facevano infatti parte di importanti casate, ma erano
stati allontanati perché ritenuti scomodi, sono i “rami collaterali” ai quali viene
assegnato un altro cognome e delle terre. Tra queste hanno origine le famiglie
Taira e Minamoto.
LA FINE DELLA KUGE Il ricorso alla pratica degli imperatori in ritiro segnò una
temporanea reviviscenza della dinastia imperiale e, pur creando una sede di
potere distinta da quella del sovrano in carica, consentì alla stirpe Yamato di
riassumere la gestione del potere. Eppure, nel corso di questo periodo, si
verificarono importanti mutamenti nel metodo di governo: esso si era
allontanato dalla concezione che voleva lo Stato al di sopra e indipendente
dalla burocrazia nobiliare, per assumere invece sempre più le sembianze di un
governo familiare. D’altra parte i Fujiwara avevano esercitato la loro autorità
servendosi di organismi privati, interni al proprio clan, che svolgevano le
funzioni di veri e propri enti governativi. L’unica rilevante differenza rispetto al
tradizionale modello uji era rappresentata dal fatto che il capo del clan non
svolgeva le funzioni sacerdotali, limitandosi a presiedere alle cerimonie e a
provvedere al mantenimento dei templi del clan. Egli dirigeva i vari organismi
interni in sostituzione dell’apparato governativo. Tali organismi erano
rappresentati dall’Ufficio degli affari militari (o Samurai dokoro), dalla Corte
d’appello (o Monchūjo) e dall’Ufficio amministrativo dei Fujiwara, noto come
Mandokoro. Quest’ultimo era diventato il fulcro del governo centrale e aveva
assunto le funzioni di un’istituzione pubblica, offuscando in tal modo l’apparato
di governo stabilito dalle grandi riforme. In tal modo fu creata una base di
esercizio del potere su base familiare, che fu imitata da altre grandi famiglie di
corte, così come dalla stessa dinastia imperiale, la quale si servì di un’analoga
organizzazione interna quando, con l’istituzione della pratica insei, poté
rientrare attivamente nella competizione politica ed economica. Ciò consentì
alla famiglia imperiale di sostituirsi al clan Fujiwara come arbitro nell’aspra
contesa dei diritti sulle risorse della terra e di acquisire a sua volta il controllo
su estese tenute agricole, trasformandosi così nel più grande proprietario
terriero del Paese. Allo stesso tempo, però, il ricorso alla forza delle armi
rappresentava sempre più il mezzo per dirimere i contrasti politici e per
risolvere le dispute per il controllo delle terre, beneficiando in primo luogo i
detentori del potere militare, cioè le grandi famiglie guerriere delle province e
le istituzioni buddhiste. Non era affatto raro che nella capitale si assemblassero
bande armate, la cui presenza serviva a garantire che le richieste presentate
fossero di fatto accolte dalla Corte, generando un clima di tensione. Il
mantenimento del governo civile venne così a dipendere in modo crescente
dalla classe militare, come dimostrò la guerra civile che si scatenò nel 1156 a
seguito di una disputa per la successione imperiale, nota come Hōgen no ran.
Infatti, nel 1155, l’imperatore in ritiro Sutoku non era riuscito nel suo intento
di porre suo figlio sul trono, cui era invece asceso Go Shirakawa, e l’anno
seguente alcune grandi famiglie militari presero le armi schierandosi a
sostegno dell’una o dell’altra fazione. Protagonisti principali dello scontro
furono i due clan Taira e Minamoto, i primi (noti anche come Heishi o Heike)
discendevano dall’imperatore Kanmu e avevano stabilito un potere personale
nelle regioni del Mare interno, mentre i secondi appartenevano al ramo Seiwa
del clan Minamoto (o Genji), creato nell’814 dall’imperatore Saga, e si erano
affermati nella zona del Kantō. I Taira, guidati dal loro leader Kiyomori,
appoggiando la causa di Go Shirakawa, nel 1156 riuscirono a sconfiggere i
Minamoto, sostenitori dell’imperatore in ritiro. La vittoria riportata dai Taira
segnò l’inizio di una fase di supremazia esercitata da questo clan in bari ambiti
della vita politica ed economica. Dal suo quartier generale fissato nella
residenza di Rokuhara, a Heian, Kiyomori poté dirigere una politica resa
efficace dal diretto controllo che egli stabilì sulla corte, presso cui ottenne
importanti cariche (come quella di consigliere e di gran ministro) e
onorificenze, tra cui il terzo rango, sino ad allora riservato alla nobiltà della
corte. Così, per la prima volta nella storia del paese, un membro
dell’aristocrazia provinciale entrava nella gestione diretta degli affari e negli
organismi politici della corte. Ma il potere di Kiyomori si fondò anche sul ricorso
al dispotismo e alla violenza, che dispiegò in modo cruento contro chiunque
potesse minare la sua posizione; esemplare, a questo proposito, è l’azione
condotta contro alcune istituzioni religiose, che furono distrutte e saccheggiate.
Ma, ancora una volta lo scontro si risolse attraverso il ricorso alla forza di cui
disponevano le potenti famiglie guerriere e le grandi istituzioni religiose, che si
raccolsero sotto la guida del capo clan Minamoto. Si trattava di Minamoto no
Yoritomo, il quale sconfisse la coalizione guidata dai Taira e uscì vittorioso dalla
guerra Genpei, tra il 1180 e il 1185 e che si concluse con la battaglia navale di
Dannoura. In questa celebre battaglia, la nave che trasportava l’Imperatore
bambino Antoku, nipote di Taira Kiyomori, e molti membri della corte affondò
causando la morte dei passeggeri e la perdita della spada, che rappresentava
una delle tre insegne dell’autorità imperiale. Queste vicende confermarono
come nel paese fossero avvenuto profonde trasformazioni nelle istituzioni
politiche, economiche e scoiali, e segnarono il definitivo tramonto di ogni
possibilità di ripristinare l’assetto e gli equilibri che le riforme del passato
avrebbero voluto creare e sostenere.
CAPITOLO 3
Periodo Kamakura || 1185 d.C. – 1333 d.C. Il periodo Kamakura ha inizio con
la battaglia di Dannoura, e prende il nome dalla città, appunto Kamakura, dove
Minamoto Yoritomo aveva istituito il governo militare. Questo stava a indicare
come, ormai, il potere stava passando dalla Corte aristocratica (kuge) alla
classe militare (buke). Questo periodo segna una nuova fase nella storia, in
quanto fu creato un centro di potere alternativo ed esterno a quello della corte
imperiale.
ECONOMIA Dal punto di vista economico, si andava estendendo il sistema degli
shōen controllati dalle famiglie guerriere, i quali non aumentarono così solo la
loro ricchezza, ma anche il loro potere. Per la kuge, invece, diventava sempre
più difficile ottenere il reddito derivato dalla produzione agricola, dato che gli
amministratori degli shōen fingevano problemi del raccolto per non inviare
prodotti all’aristocrazia. ARTE Il periodo vede affermarsi la classe dei bushi,
che iniziarono ad attirare l’attenzione degli intellettuali, diventando protagonisti
in molte pagine della letteratura, come nel caso dello Heike monogatari (storia
dei Taira) e nei racconti di guerra (gunki monogatari) che fioriscono nello
stesso periodo.
POLITICA AMMINISTRAZIONE E SOCIETA’ Heiankyō restò la sede del potere
imperiale, ma perse il suo ruolo centrale nella vita politica, economica e
sociale. Yoritomo decise di restare nella sua residenza di Kamakura, preferendo
creare un centro di potere militare nuovo. Si tratta del bakufu (governo della
tenda). A partire dal 1192, la carica di shōgun “generalissimo contro i barbari”,
assegnata a Yoritomo dall’imperatore Go Toba, assunse un significato inedito;
non più solo il conferimento di poteri militari, ma anche la delega di potere
politico, anche se effettivamente Yoritomo riuscì a vincere i barbari estendendo
la frontiera del Giappone sino all’estremità settentrionale dello Honshū. Il
bakufu divenne il luogo verso cui il controllo amministrativo e militare sarebbe
andato a mano a mano accentrandosi, ed è ovvio come più cresceva il ruolo
del bakufu, minore diventava la capacità del governo imperiale. Nel 1185, dopo
aver eliminato il fratello Yoshitsune, Yoritomo emerse come il più potente capo
militare del Giappone alla guida di una estesa coalizione formata da guerrieri
provinciali. Delle casate militare facevano parte anche i gokenin, ovvero uomini
che spesso avevano origini umili e che appartenevano alle casate per legami di
sangue o parentela, acquisiti per matrimonio o adozione. Yoritomo stabilì una
rete di rapporti feudali fondati sul vincolo signore-vassallo, ovvero un legame
politico e allo stesso tempo personale. Ciò determinò una trasformazione anche
degli shiki dato che furono i vassalli inviati dal bakufu ad assumere
l’amministrazione degli shōen, dapprima riducendo e poi eliminando, l’autorità
dei kokushi. Yoritomo ottenne anche, sempre nel 1185, il titolo di sōtsuibushi
(capo della polizia militare), il quale gli conferiva di inviare in tutte le provincie
un suo dipendente deputato a svolgere compiti di sorveglianza, sono gli shugo,
i quali reclutavano i dipendenti in loco per assistere i kokushi, al fine di
garantire il pagamento delle tasse, l’amministrazione della giustizia e l’ordine
pubblico. Questa carica sarebbe divenuta ereditaria; con il passare dei secoli
sostituiranno definitivamente i kokushi, contribuendo ad eliminare i residui
dell’autorità imperiale nelle province. I poteri di Yoritomo furono ulteriormente
estesi quando, nel 1190, ricevette le nomine di sōshugo (capo dei governatori
militari) e quella di sōjitō (capo degli intendenti terrieri militari), grazie alle
quali assumeva il diritto di inviare gli shugo e i jitō anche nelle provincie
esterne al Kantō. I jitō esistevano anche in passato, ed erano gli
amministratori delle tenute di alti funzionari della corte, incaricati di raccogliere
le imposte. Yoritomo aveva quindi posto alla guida delle province uno shugo e
un jitō per ogni tenuta che collaborasse con i funzionari dello shōen per
garantire un’equa ripartizione del prodotto agricolo. Il jitō aveva a sua volta
uno shiki, grazie al quale beneficiava di una quota del reddito dello shōen, ed
era incaricato di garantire la pace e l’ordine nella tenuta, di dirimere le contese
interne e, anche, di riscuotere una tassa d’emergenza, l’hyōrōmai, esatta
anche nelle tenute esterne al sistema shōen. Questa figura, la cui posizione
divenne ereditaria, assunse un ruolo rilevante all’interno dello shōen, offuscano
il ruolo degli amministratori preposti dai “proprietari” e, quindi, la stessa
autorità di questi ultimi. Pur traendo un sostentamento economico autonomo, i
jitō erano al servizio di Yoritomo che, attraverso loro, guidava
l’amministrazione militare e civile locale. Yoritomo poté così stabilire una rete
di controllo sugli affari interni degli shōen; la sanzione ufficiale della Corte
imperiale al sistema di shugo e jitō, infatti, gli consentì di estendere il proprio
dominio sulle provincie lontane da Kamakura, nonché di rafforzare i propri
diritti sulla raccolta delle imposte e sul conferimento di una protezione militare
nelle tenute agricole. L’apparato amministrativo del bakufu si fondava su tre
organismi:
• L’ufficio degli affari militari, o Samurai dokoro, istituito nel 1180, cui spettava
il compito di controllare i vassalli e sovrintendere agli affari militari e di polizia;
• Il kumonjo (ufficio dei documenti pubblici) istituito nel 1184, che nel 1191
confluì nel mandokoro, ovvero l’ufficio amministrativo, nel quale erano
conservati i documenti pubblici e ci si occupava delle questioni amministrative
e politiche;
• Il Monchūjo, o Ufficio investigativo, creato nel 1184, con il compito di fungere
da Corte d’appello presso cui accogliere i reclami e dirimere le contese di
natura legale, di far rispettare le norme penali e di conservare la
documentazione giudiziaria e catastale.
Si trattava di organismi privati del clan Minamoto, i quali avevano funzionato
già durante la guerra e che, dopo il 1185 estesero la loro giurisdizione anche
nelle regioni occidentali. Ogni ufficio era guidato da un capo, scelto
personalmente da Yoritomo. All’interno della classe militare esisteva una rigida
gerarchia, al cui apice stava un numero ristretto di vassalli, i gokenin. Al di
sotto di questi trovavano posto i samurai, che disponevano di cavalli e di un
gruppo di seguaci, mentre al gradino più basso erano collocati i fanti (zusa),
privi di cavalli e di elaborate armature. A tutti i livelli della classe militare era
imposta l’osservanza del vincolo di obbedienza assoluta verso il superiore, e
ciascuno doveva conformarsi alla virtù della lealtà, dell’onore, del coraggio,
della disciplina e della frugalità che, nel loro insieme, avrebbero contribuito a
creare il culto di una “via” esclusiva riservata al guerrieri, noto come bushidō.
IL BAKUFU ALLA MORTE DI YORITOMO Yoritomo morì nel 1199, lasciando due
figli, Yoriie e Sanetomo, avuti dalla moglie Hōjō Masako, che non si mostrarono
in grado di gestire l’eredità paterna. Dopo la sua morte Masako si fece monaca,
pur senza rinunciare a esercitare il potere in favore della sua famiglia di
origine. Yoriie venne posto come secondo shōgun, dopo dispute per la
successione tra i vassalli, per un breve periodo, dal 1202 al 1203; al lui
succedette il fratello Sanetomo. Nello stesso anno il padre di Masako Hōjō
Tokimasa, assunse la carica di Shikken. Da allora fu la famiglia Hōjō a gestire il
potere, attraverso la carica di shikken e il controllo sulle altre cariche del
governo militare. Questo periodo fu caratterizzato da pace e stabilità interna,
grazie ad una solida amministrazione volta a tutelare i diritti sulle terre
agricole. Questo clima portò all’aumento della produttività delle campagne,
generando un miglioramento delle condizioni economiche del Paese.
POLITICA ED ECONOMIA Inizialmente Kamakura non riuscì a stabilire un
completo controllo sugli shōen, mentre ben poche terre pubbliche versavano
gli shiki al governo centrale. Una svolta si ebbe nel 1221, quando l’imperatore
Go Toba fallì un tentativo di rivolta contro il bakufu, con il conseguente esilio di
questo e altri due ex imperatori e la nomina di un nuovo imperatore più gradito
a Kamakura. Il governo Hiōjō ne approfittò per confiscare le terre dei kuge
ribelli, le quali furono affidate a vassalli della famiglia; in questo modo ottenne
il diritto di interferire con gli affari della corte imperiale, inviando nella
residenza di Rokuhara due rappresentanti, tandai, incaricati di controllare
l’imperatore e approvare ogni iniziativa; infine estese il sistema jitō all’intero
paese. Vennero anche creati nuovi organismi, come il Consiglio di Stato,
istituito nel 1126; ma la più significativa innovazione è rappresentata dal
Codice Jōei, emanato nel 1232, che sostituiva le vecchie norme della Corte
imperiale e dettava i principi per la legislazione della classe militare. Redatto in
51 articoli, enunciava i diritti e le norme di comportamento dei bushi e definiva
i compiti dei funzionari dipendenti da Kamakura. Verso la fine del XIII secolo,
nel continente i capi mongoli avevano fondato in Cina la dinastia Yuan
(1271368) e stavano consolidando un’espansione che li avrebbe portati a crear
il più esteso impero nella storia mondiale. Nel 1266, Qubilay Qan, inviò al
Giappone la richiesta di sottomettersi alla sua autorità. Di fronte al rifiuto
opposto dagli Hōjō, i mongoli reagirono inviando una spedizione navale che
raggiunse le coste del Kyūshū nel 1274. Tuttavia un tifone provocò danni alla
flotta, costringendola a ritirarsi. Gran parte delle energie del paese fu
impiegata per edificare una difesa di fronte ad un successivo attacco nel 1281.
Dopo due mesi di aspri scontri, fu di nuovo l’arrivo di un tifone a indurre la
ritirata dei mongoli. Le attività di difesa costiera proseguirono almeno sino alla
fine del secolo per timore di un nuovo attacco. La minaccia sventata grazie ad
un “vento divino” (kamikaze o shinpū), mandata dai kami per difendere la
terra, suscitò un forte orgoglio nazionale e sembrò persino conferire prestigio
agli Hōjō, ma gli effetti delle invasioni mongole furono fatali al bakufu.
L’impresa era costata molte energie e vite umane, mentre il successo riportato
contro i mongoli non aveva fruttato alcun bottino di guerra. Kamakura non era
in grado di risarcire le famiglie delle vittime e quanti ritenevano di meritare
una ricompensa, compresi i santuari e templi che reclamavano il merito di aver
ottenuto l’intervento divino.
RELIGIONE, ARTE E LETTERATURA In questo periodo il buddhismo si affermò
anche presso gli strati meno elevati della società; così al progressivo
arretramento delle dottrine esoteriche, corrisponde una diffusione di concezioni
fruibili anche alle persone più umili, come quelle associate al culto di Amida:
• La scuola della Terra Pura (Jōdo): ebbe una forte vitalità sotto la guida di
famosi monaci come Hōnen e il suo discepolo Shinran, per i quali
l’insegnamento buddhista era semplificato alla sola e sincera invocazione del
nome di Amida per ottenere la salvezza;
• La setta del Loto (Hokke): fondata da Nichiren, il quale criticò le dottrine
amidiste e delle altre scuole buddhiste per aver trascurato l’insegnamento
contenuto nel Sutra del Loto (Myōhō renge kyō), affermando che la vera
salvezza potesse essere conseguita invocando la preghiera racchiusa nel titolo
di questo testo.
La propagazione della fede buddhista fu accompagnata dal moltiplicarsi di
centri religiosi in tutte le zone del Paese. L’aristocrazia guerriera trovò un
sostegno culturale in un’altra scuola, quella Zen, sviluppatasi in Cina attorno a
una pratica meditativa finalizzata a controllare il corpo e la mente, e giunta in
Giappone agli inizi del periodo Kamakura. Lo Zen è legato soprattutto alla
figura del monaco Dōgen; di origini aristocratiche, egli diede una dimensione
intellettuale alla sua speculazione metafisica, rifugiandosi a meditare in remote
zone montane. Il bakufu stabilì uno stretto legame con questa scuola in
quanto, a differenza di quelle di Heiankyō, non interferiva nella sfera politica. Il
grande fervore religioso diede nuova vitalità alla letteratura, all’arte e
all’architettura. Gli autori continuarono in genere a provenire dall’ambiente
kuge e dai monasteri, ma il pubblico cui le opere si rivolgevano era più vasto e
differenziato che in passato, composto prima di tutto dai guerrieri. Il mondo e
le gesta, i gusti e i valori della classe militare presero posto nelle varie
espressioni culturali e furono spesso accompagnati da messaggi o commenti
d’ispirazione buddhista. La letteratura vide lo sviluppo dei rekishi monogatari
(romanzi storici), tra i quali occorre ricordare il Gukanshō (note sulle opinioni
di uno stolto) scritto verso il 1220 dal monaco Jien. Quest’opera non si limita a
una narrazione cronologica degli avvenimenti, ma tenta di rintracciarne le
cause fornendo una visione del passato come successione di eventi tra loro
connessi; pertanto essa rappresenta il primo tentativo di interpretazione
storica avvenuto in Giappone.
LA RESTAURAZIONE KENMU Già verso la fine del XIII secolo si ravvisavano i
sintomi della crisi del potere Hōjō; l’ultimo Shikk*en di Kamakura, Takatoki,
non brillò per intelligenza e rigore morale, contribuendo a rafforzare l’ostilità
verso la famiglia. È in questo clima che prese forma il progetto della
restaurazione Kenmu, finalizzata a riportare la guida del governo nelle mani
dell’imperatore. L’artefice fu Go Daigo, divenuto imperatore nel 1318; al fine di
ottenere un maggiore potere, provvide ad abolire il sistema insei, trasferendo
le prerogative sino ad allora assegnate a questo ufficio a organismi che
sottostavano al controllo del sovrano. Ma per la realizzare le proprie ambizioni,
occorreva aprire una disputa con il governo di Kamakura che andava bel oltre il
piano politico; per tanto Go Daigo cercò di guadagnarsi l’appoggio militare di
quanti auspicavano la fine della supremazia Hōjō. Di fronte ai ripetuti tentativi
di complotto contro il bakufu, nel 1331 Kamakura reagì punendo gli esponenti
di rilievo e, quindi, inviando uomini armati a Heiankyō. Dopo un breve e inutile
tentativo di difendersi, Go Daigo fuggì dalla capitale, portando con se i simboli
dell’autorità imperiale. Fu però catturato e riportato a Heiankyō, dove venne
deposto e mandato in esilio. Questo non gli impedì, però, di evadere nel 1333.
Kamakura inviò quindi due contingenti di truppe verso ovest, guidati da due
generali, uno sei quali cadde in battaglia, lasciando l’altro al comando delle
forze shogunali: si trattava di Ashikaga Takauji. La sua era una famiglia di
nobili origini, che discendeva dal clan Minamoto e aveva consolidato una
posizione di prestigio e di potere nella regione orientale. Trovandosi da solo
non esitò a compiere un atto di insubordinazione schierandosi dalla parte della
coalizione filo imperiale e rivolgendo le truppe contro gli Hōjō. Il suo ingresso a
Heiankyō nel 1333, dove sconfisse la resistenza shogunale, fu seguito da
quella di Go Daigo, che si reinsediò nella capitale. A est, nel frattempo, un altro
valente capo militare, Nitta Yoshisada, completava la rovina degli Hōjō
attaccando Kamakura e distruggendo le sue istituzioni, mentre l’ultimo
reggente compiva il suicidio rituale assieme ai suoi vassalli e servitori. Questi
eventi segnarono la fine del bakufu, mentre a Heiankyō Go Daigo proclamò
l’inizio dell’era Kenmu nel 1334 e diede inizio al suo progetto di restaurazione
del potere. Tuttavia, esso si rilevò inopportuno e anacronistico, in quanto il
ripristino del governo imperiale implicava in primo luogo la garanzia di
maggiori entrare, e ciò sarebbe stato possibile solo assumendo la gestione
delle contese per il controllo delle terre agricole, abolendo le immunità e
riducendo il potere di shugo e jitō. Go Daigo stesso parve esser consapevole di
non possedere la forza per sovvertire il sistema di privilegi feudali consolidatosi
nel Paese, né la coalizione che lo aveva sostenuto mantenne una sua coesione
dopo la caduta di Kamakura. Il vero scopo che mosse i grandi clan guerrieri gu
quello di partecipare alla competizione per ottenere maggiore potere. Go Daigo
doveva esserne conscio se, nel ricompensare quanti avevano sostenuto la sua
causa, assegnò importanti cariche ai grandi capi militari. Molti provvedimenti
varati dal sovrano contraddicevano gli obbiettivi stessi della restaurazione.
Takauji, che disponeva di una forza militare maggiore di quella di qualunque
altro capo militare, si ritenne insoddisfatto delle pur importanti cariche
ottenute e del fatto che l’imperatore aveva provveduto a concedere il titolo di
shōgun a suo figlio, il principe Morinaga. Nel 1336, dopo essersi ribellato al
sovrano e aver sconfitto le truppe imperiali, Takauji poté di nuovo entrare
trionfalmente a Heiankyō, dove provvide subito a deporre Go Daigo
sostituendolo con un imperatore della linea principale. Qui Takauji stabilì la
sede del suo governo, che ricevette la definitiva legittimazione nel 1338, anno
in cui ottenne la carica di shōgun. Il tentativo di restaurazione terminò quindi
con la nascita di un nuovo governo militare nella capitale imperiale, e con un
ulteriore spostamento del potere verso l’autorità militare. A livello
amministrativo, Takauji aveva dato vita a una fusione tra cariche civili e
cariche militari che consentì ai governatori militari di ottenere un prete
maggiore rispetto a quello detenuto sino ad allora. La nobiltà civile e le
istituzioni religiose, che già da tempo avevano visto diminuire la possibilità di
reclamare i pieni diritti sugli shōen, si trovarono a essere scarsamente
competitive di fronte ai jitō e agli shugo, propensi a ricorrere all’esercizio della
forza militare per ottenere il controllo, parziale o completo, sulle risorse
agricole che i possedimenti fornivano. La stessa casa imperiale, pur
mantenendo un ruolo e un prestigio a livello formale, si trovò privata delle
proprietà che, al fine di ripristinare il governo imperiale, centralizzato, erano
state assegnate al tesoro pubblico. Più che limitare l’autorità dell’élites
guerriera e riasserire il controllo economico e politico della Corte e
dell’aristocrazia civile, l’opera di Go Daigo fornì, dunque, l’opportunità per
procedere a una redistribuzione dei privilegi feudali che, per alcuni, significò un
ulteriore consolidamento della propria forza. Ma la vittoria di Takauji e la
nascita del bakufu a Heiankyō non riportarono la pace nel Paese, che continuò
a essere afflitto da turbolenze interne, fazionalismi e lotte civile da cui
sarebbero scaturiti nuovi equilibri di potere. Il periodo Ashikaga – Muromachi
|| 1338 d.C. – 1573 d.C. Il periodo che vide succedersi 15 Shōgun del clan
Ashikaga, prende il nome dal quartiere dove fu istituito il governo
(Muromachi).
POLITICA E SOCIETA’ Takauji si ispirò al modello del precedente bakufu, da cui
prese le istituzioni, le concezioni e anche parte del personale necessario al suo
funzionamento. Il governo si basava, quindi, sul Samurai Dokoro, il Mandokoro
e il Monchūjo. La carica più elevata era quella di kanrei (capo
dell’amministrazione). Esisteva poi un ufficio per le ricompense, Onshōgata.
Takauji delegò gran parte delle responsabilità amministrative e giudiziarie a
suo fratello Tadayoshi, riservandosi l’autorità militare. Anche a livello locale fu
mantenuto il sistema degli shugo e dei jitō. Fuori da Heiankyō, l’autorità del
bakufu, era rappresentata da delegati regionali; il controllo sulla corte non fu,
invece, delegato a funzionari, ma garantito dalla vicinanza con la sede del
governo militare. Nel 1336 emanò il Kenmu shikimoku, un codice di diciassette
articoli ispirato al Codice Jōei, che rimarrà in vigore per tutto il periodo. Dopo
la conquista della capitale dovette assicurare il controllo sul Paese e sedare il
conflitto tra le due “corti imperiali del Sud e del Nord” (Nanbokuchō). Poco
dopo essere stato deposto, infatti, Go Daigo era riuscito a fuggire nuovamente
dalla capitale e a rifugiarsi a Yoshino, a sud di Heiankyō, portando con sé le
insegne imperiali. Ebbe così inizio una contesa per la legittimità del potere,
accompagnata da ripetuti scontri, la quale si sarebbe protratta fino al 1392,
anno in cui l’ultimo sovrano della corte meridionale rinunciò al potere,
consentendo agli Ashikaga di estendere il potere su tutto il Paese. Takauji si
trovò ad agire all’interno di un quadro legale e istituzionale mutato, in cui la
natura delle relazioni con i vassalli apparivano diverse da quelle che legavano i
gokenin a Kamakura. I vassalli, infatti, possedevano poteri a volte pari a quelli
dello shōgun. Il bakufu, quindi, non serviva più come garante dei diritti e
dispensatore di potere e giustizia, e ciò contribuì a rendere meno solido il
sistema di alleanze. Inoltre potenti famiglie shugo preso il monopolio della
carica di kanrei. Il governo militare riusciva quindi a garantire equilibrio solo
grazie all’influenza dei capi Ashikaga. Alla sua morte, Takauji (1358) lasciò
un’eredità tutt’altro che solida, anche se la maggior parte degli shugo
apparivano fedeli, trattandosi per la maggior parte di uomini legati agli
Ashikaga da legami di parentela. Appartenevano, infatti, all’ichimon (o primo
cerchio) al di fuori del quale stavano i tozama (signori esterni). Il terzo shōgun,
Yoshimitsu, fu nominato quando era ancora un bambino, ma divenne un capo
energico. Nel periodo in cui fu a capo del bakufu tentò di consolidare il suo
governo, rafforzando il controllo sulle casate guerriere e sedando le rivolte che
minacciavano la sua egemonia. Inoltre impose ad alcuni shugo l’obbligo di
stabilire la residenza nella capitale, per controllarli. Riuscì quindi a mantenere il
controllo di tutto il Paese, tranne che del Kantō, su cui gravava il potere del
governo generale della regione. Dopo aver sanato la frattura fra le due corti
imperiali lasciò la guida del bakufu al figlio Yoshimochi nel 1394, per assumere
la carica di Gran ministro di Stato. Criticata, invece, fu la sua decisione di
stabilire rapporti commerciali con la Cina nel 1401, fregiandosi del titolo di “re
del Giappone” e accettando la condizione di tributario impostagli
dall’Imperatore Ming nel 1402. Ma questo favorì una nuova interazione con la
cultura cinese e aprì un fiorente commercio che comportò grandi profitti di cui
beneficiò l’intero Paese. Lo stabilimento di licenze ufficiali consentì di
controllare l’attività e di porre a freno la pirateria. Le autorità stabilirono una
sorta di alleanza con i mercanti, garantendo protezione in cambio del loro
servizio. Essi esportavano in Cina le katana, oltre a rame, ventagli, paraventi e
rotoli dipinti, in cambio di monete, libri e ceramiche. I successori di Yoshimitsu
non furono altrettanto abili nell’esercizio del potere, e il bakufu cominciò a
declinare dopo la sua morte nel 1408. Yoshimochi era diventato il quarto
shōgun Ashikaga; si era impegnato a eliminare gli aspetti della precedente
politica che reputava eccessivi, recidendo il rapporto tributario con la Cina.
L’eredità paterna gli fruttò un periodo di stabilità. Anche il sesto shōgun,
Yoshinori, che detenne la carica tra il 1429 e il 1441, riuscì a rafforzare
l’autorità del bakufu, sconfiggendo il governatore del Kantō. Venne ucciso da
uno dei suoi vassalli, il quale sospettava che Yoshinori volesse togliergli la
carica di shogu. Il clan Ashikaga ne uscì indebolito, dimostrando di non avere
abbastanza forza per controllare i suoi subordinati. Sul piano economico il
bakufu risentì della perdita del controllo sul commercio con la Cina, che passò
nelle mani di grandi famiglie guerriere.
Sotto Yoshimasa (VIII shōgun tra il 1449 e il 1473), l’autorità del governo
militare fu completamente dispersa. Gli effetti dei problemi politici e sociali
riguardavano in primo luogo il governo locale, dal quale erano state eliminate
le forme di controllo dello Stato imperiale, i kokushi. Il fallimento di Go Daigo
aveva determinato il superamento di questo sistema; gli shugo poterono quindi
consolidare una posizione assoluta nelle provincie, trasformandosi in veri e
propri capi regionali, i quali disponevano del potere militare, civile e
amministrativo (che avevano assorbito dai Jitō). Avevano tratto beneficio dalla
pratica, resa legale da Takauji, dell’Hanzai, che consentiva agli shugo di
riscuotere la metà delle imposte degli shōen per sostenere le proprie milizie e
che, assieme alla tassa Hyōrōmai, permise loro di assumere diritti all’interno
delle tenute private. Il loro rapporto con il bakufu si basava sulla garanzia che
esso poteva dare alla loro posizione. Ma con il declino dell’autorità del governo
militare, tali garanzie vennero meno e, con esse, il vincolo di fedeltà. Esisteva
una marcata differenza tra i territori controllati dai diversi shugo; se, ad
esempio, gli Yamana furono privati del controllo su undici provincie, gli Ōuchi
riuscirono invece a mantenere i loro estesi domini. All’indebolimento della
posizione di molti shugo contribuì l’obbligo di risiedere a Heiankyō, che li
costringeva ad affidare il controllo delle provincie a dei sostituti (shugodai).
Spesso questi si dimostravano incapaci di sedare le rivolte, di garantire il
prelievo delle tasse o il loro invio allo shugo. Ciò aprì la strada ad un
rimescolamento del potere a livello locale, che avvenne con il ricorso alle armi
e da cui sarebbero emersi nuovi capi militari locali. Nel 1467, primo anno
dell’era Ōnin, le tensioni e le contese tra i vassalli presero la forma di un’aspra
guerra, che scaturì da una disputa tra gli Hosokawa e gli Yamana legata alla
successione shogunale. Destinata a perdurare sino al 1477, essa vide i grandi
shugo schierarsi a sostegno dell’una o dell’altra fazione. Lo shōgun preferì
stare lontano dalle armi e imitare il suo predecessore, dedicandosi alla cultura,
alle arti e anche alla costruzione del padiglione d’argento (Ginkakuji). La
guerra Ōnin segnò l’inizio di un lungo periodo di guerre civili (periodo Sengoku)
che durò circa un secolo. L’autorità del bakufu, proprio a causa di queste
guerre, declinò, anche se a livello formare le cariche di imperatore e shōgun
continuavano a rappresentare lo Stato unificato, anche se questo venne diviso
in una serie di realtà autonome, svincolate dal controllo centrale. Il processo di
decentramento del potere politico fu seguito anche dall’ascesa di capi militari
locali, i sengoku daimyō. Questo fu possibile grazie ad una serie di
trasformazioni a livello locale. Il potere degli shugo fu minato dallo sforzo
bellico, che li costrinse a distogliere l’attenzione dalle province; inoltre, le
stesse casate shugo furono spesso divise da dispute interne, che ne causarono
lo smembramento. Parallelamente, nelle province, si assistette al
frazionamento del territorio in numero unità politiche, controllate dalle grandi
famiglie residenti che non esitarono a usare la forza militare. Ciò diede vita al
gekokujō, ovvero il ribaltamento sociale. Nel corso del periodo Sengoku si
assistette, quindi, ad una completa redistribuzione del potere e all’ascesa dei
sengoku daimyō. Diversamente dagli shugo, essi furono poco sensibili
all’autorità del governo militare, concentrati ad accrescere la loro forza militare
ed economica e a difendere i propri domini, i quali non coincidevano più con i
limiti amministrativi delle provincie, né con quelli degli shōen. La loro
affermazione segnò la dissoluzione del sistema shōen. Il daimyō assorbì i diritti
amministrativi e di proprietà sulle terre, assumendo le sembianze di un vero e
proprio feudatario. All’interno del proprio dominio il damiyō, svincolato da ogni
controllo del potere centrale, provvedeva ad emanare codici legali
(bunkokuhō), a organizzare i propri seguaci, ad ordinare rilevamenti fondiari,
esercitando un efficace controllo del suo castello, attorno al quale si
raggruppavano i guerrieri formando vere e proprie città castello, i jōkamachi.
Egli poteva pertanto sedare le turbolenze rurali e sovraintendere
all’organizzazione dei villaggi (mura), i quali si erano sviluppati come unità
autosufficienti a livello amministrativo. Infatti, ogni mura era responsabile del
versamento di una determinata quantità di raccolto. I mura si dotarono anche
di organi di difesa. Nelle comunità di villaggio si assiste al rafforzamento della
coesione sociale e allo sviluppo dell’agricoltura collettiva.
ECONOMIA E SOCIETA’ Nelle campagne, la diffusione dell’uso dei fertilizzanti
contribuì all’incremento della produttività agricola, derivato anche dal
miglioramento delle tecniche di irrigazione e del crescente impiego degli
animali del lavoro dei campi. In alcune zone era addirittura possibile effettuare
un doppio raccolto annuo del riso e di altri cereali. Numerosi progressi furono
compiuti anche nell’ambito del commercio, dei trasporti e nello sviluppo dei
centri urbani. Infatti la creazione di vari centri di potere locali determinarono
una richiesta di merci e di rifornimenti alimentari che stimolò l’attività
economica, così come la diversificazione sociale. Il commercio con la Cina,
immise in Giappone merci pregiate e nuove tecniche per la lavorazione della
seta, mentre dalla Corea giunse la tecnica per produrre cotone. In alcune zone
del Paese si sfruttavano miniere che fornivano oro, argento e rame, in pare
usato per coniare nuove monete. Nei loro domini i daimyō, costruirono i
castelli, circondati da numerosi edifici che richiesero nuovi materiali e mano
d’opera. Artigiani e mercanti accrebbero il loro livello di specializzazione, si
cimentarono nella pratica del prestito e dell’usura e si costituirono in attive
corporazione, le Za. Queste assunsero il monopolio sulla vendita e la
lavorazione di specifici prodotti e crearono una rete di distribuzione sempre più
estesa.
ARTE, CULTURA E RELIGIONE Il fervore economico fu accompagnato da un
marcato progresso culturale, effetto della scelta di Takauji di stabilire la sede
nel governo militare nella capitale imperiale. Qui i kuge e i bushi potevano
condividere il piacere delle nuove espressioni teatrali del Nō e del Kyōgen o dei
racconti storici, mentre altre forme culturali erano diffuse anche tra le classi
meno elevate, come i brevi racconti orali (otogizōshi), le rappresentazioni di
danzatori, musicanti e mimi (dengaku) o le poesie a catena (renga). La
diffusione della cultura presso le classi popolari fu accresciuta dai contatti con
le diverse province. Fu proprio da qui che, spesso, presero forma espressioni
artistiche che vennero poi elevate dalle classi dominanti. I templi Zen
divennero centri di meditazione per i guerrieri, e stabilirono solidi legami con i
capi militari locali. Nei templi fiorirono nuovi stili architettonici e suggestivi
giardini, assieme ad arti raffinatissime come la cerimonia del tè (chanoyū).
Monaci Zen accolsero le nuove tecniche pittoriche cinesi, in primo luogo la
pittura ad inchiostro (suiboku).
ODA NOBUNAGA L’inversione di rotta al processo di decentramento prese avvio
nel 1568, quando Oda Nobunaga, un ambizioso ed energico daimyō, riuscì a
conquistare Heiankyō, da cui cinque anni dopo cacciò Yoshiaki, quindicesimo
ed ultimo shōgun Ashikaga. Nobunaga diede così inizio all’opera di
riunificazione del Paese.
RAPPORTI CON IL MONDO ESTERNO I rapporti tributari con la Cina avevano
rappresentato l’epilogo di una serie di tentativi dei Ming per indurre il Giappone
a reprimere l’attività predatoria effettuata dai wakō, i pirati giapponesi. Essi
erano dediti al commercio illegale, e a tal fine Yoshimitsu aveva acconsentito
ad aderire al “sistema dei contrassegni” (kangō). Per molto tempo continuò
questo tipo di commercio, proficuo non solo per il bakufu, ma anche per i
monasteri, le famiglie militari e i ricchi mercanti. Il deterioramento del governo
degli Ashikaga minò la capacità di reprimere il commercio illegale e la pirateria,
inoltre l’onere finanziario derivante dall’accoglienza delle missioni non sempre
era compensato dal valore delle merci che giungevano alla Corte Ming, così
venne presa la decisione dapprima di limitare e poi di proibire il commercio
marittimo. L’ultima missione partì dalla Cina nel 1547, e poco dopo i contatti
con la Cina furono formalmente interrotti. Parallelamente a questi eventi era
andato crescendo il numero di pirati e di trafficanti non autorizzati attivi nel
commercio clandestino, i quali si trovarono in concorrenza con i mercanti
europei. L’arrivo dei primi mercanti portoghesi in una piccola isola del Kyūshū
fu registrato nel 1543. L’attività dei portoghesi non si limitò al commercio, ma
interessò anche l’ambito religioso. L’opera di evangelizzazione fu svolta
principalmente dai gesuiti; l’attività di questi uomini fu essenziale sia nella
divulgazione di nuove conoscenze nel Paese, sia nella trasmissione in Europa di
notizie sul Giappone. Tra i fondatori di questo ordine vi era anche Francesco
Saverio, il quale sbarcò in Giappone nel 1549. Recatosi a Heiankyō con
l’intento di ottenere il consenso a svolgere la sua attività missionaria, istituì la
prima chiesa cattolica a Yamaguchi. Furono in primo luogo i daimyō del Kyushu
ad accogliere la nuova fede, che da qui si spostò poi nel Giappone centrale,
interessando anche le classi rurali. Dopo la sua ascesa, lo stesso Oda accordò
la propria protezione ai missionari gesuiti. Per oltre mezzo secolo i rapporti con
gli europei furono limitati ai portoghesi, mentre dopo il 1584 giunsero nel
Paese anche gli spagnoli, che garantirono la loro protezione all’attività
missionaria dei francescani (a differenza degli olandesi, arrivati nel 1609, e
degli inglesi, sbarcati nel 1613, determinati da scopi puramente commerciali). I
giapponesi erano più ricettivi rispetto ad altri popoli dell’Asia verso questa
religione, per questo molti studiosi hanno definito questo periodo (fino al 1639)
“secolo cristiano”. Ma il numero ridotto dei convertiti, il limitato impatto che la
nuova dottrina ebbe sulla cultura e l’interesse extra-religioso che spinse molti
signori ad accogliere i missionari nei loro feudi, rende eccessiva questa
definizione. A livello popolare, la religione introdotta dagli europei era percepita
con un sentimento genuino, la solida fede e la forza morale mostrate dai
missionari costituivano un esempio da seguire. Attorno alla metà del 1500 i
mercanti portoghesi avevano stabilito una sorta di monopolio sul trasporto di
merci giapponesi all’estero e sull’importazione di prodotti stranieri, e la
conversione dei daimyō fu determinata più dal desiderio di partecipare alle
attività commerciali che non da ragioni di natura spirituale. Tali contatti
consentivano inoltre di acquisire nuovi prodotti, conoscenze e tecnologia
provenienti dall’Europa, primo fra tutti l’archibugio, diffuso in Giappone con il
nome di tanegashima, dall’isola dove erano sbarcati i portoghesi. Ciò, assieme
all’acquisizione di nuove conoscenze militari, influenzò in modo profondo gli
eventi bellici che si stavano svolgendo nel Paese, dove l’impiego di armi da
fuoco determinò sempre più le sorti delle battaglie, e costrinse a erigere
massicci castelli entro cui difendersi e costrinse a modificare le armature dei
guerrieri. L’attività militale, quindi, richiese crescenti risorse economiche di cui
solo i maggiori daimyō disponevano, e ciò consentì loro di consolidare il proprio
potere ed eliminare i rivali più deboli. Oltre alla tecnologia nautica e a nuovi
motivi artistici, i giapponesi ebbero modo di conoscere gli orologi e gli occhiali,
gli articoli di vetro e i tessuti di lana e di velluto, il tabacco e la patata. A
questo periodo risalgono numerosi paraventi dipinti, che ben illustravano la
visione che i giapponesi ebbero della fattezze, dei costumi e delle attività dei
“barbari meridionali”.
CAPITOLO 4
1) La crisi della società feudale e i prodromi dello Stato Nazionale Nell' ultima parte
del periodo Edo la crisi investiva il settore economico feudale e quello sociale
soprattutto nelle campagne. Il malessere si esprimeva con: - Rivolte contadine verso le
autorità feudali, con il picco nel corso dell' era Tenpō (1830 - 1844); - Insorgenza di
nuovi movimenti religiosi e sette che rappresentavano un espediente sicuro per poter
affrontare meglio la vita contadina; - Episodi di violenza anche nelle città; - Difficoltà
economiche tra i samurai.
I RIFORMISTI Mizuno Tadakuni compì una azione di riforma in extremis per tentare un
risanamento economico di fronte alla minaccia occidentale e alla incapacità di
reazione del bakufu, riuscendo però solo a peggiorare la frattura tra i governanti e i
governati, incrinare l'autorità dello shogun e indurre i proprietari di alcuni han a
salvare i propri domini attraverso esperimenti riformistici. Chōshū voleva... -
Migliorare l'assetto agricolo; - Ridurre le spese; - Contribuì a risanare le attività
commerciali che fruttarono agli han quote sufficienti per poter investire nella
Pressione russa +
Gli inglesi dopo si rivolsero alla Cina, che per decenni rifiutarono le avance degli
inglesi per stabilire un libero commercio, aprendo un commercio illegale di oppio che
poi si diffuse in tutta l'Asia orientale. Nonostante i continui divieti imposti da parte
della Cina la Compagnia continuò a introdurre l'oppio preso in India. I pagamenti in
argento al posto della vendita di prodotti cinesi fecero perdere la moneta di valore. La
situazione arrivò a provocare squilibri sociali quindi nel 1839 venne inviato un
commissario che bruciò 1300 tonnellate di oppio = inizio della guerra dell'oppio che
durò fino al 1842, con la vittoria degli inglesi. Ora gli inglesi avevano il controllo
economico e territoriale.
Con la apertura di alcuni porti cinesi e lo sviluppo di attività portuali a San Francisco si
intensificò l'interesse degli Stati Uniti verso il Giappone e il presidente Millard Fillmore
affidò a Mattew C. Perry l'incarico di presentare al Giappone le seguenti richieste: -
Stabilire relazioni pacifiche; - Garantire basi di rifornimento e soccorso alle navi e agli
equipaggi americani di passaggio verso la Cina; - Concludere un accordo commerciale,
se possibile. Nel 1853 arrivò Perry che consegnò la lettera all'Imperatore, con toni ben
diversi dal previsto. Tali richieste accellerarono il processo di sgretolamento del
bakufu, tanto che dopo un consulto realizzò di non poter far fronte alla crisi. Il clima
indecisionale inoltre provocò una frattura politica tra i daimyō.
Inizio rottura della politica del Sakoku e apertura del Giappone al mondo esterno
La nuova politica estera che adottò il Giappone provocò contrasti tra diverse figure: - Il
fronte Joi dichiarò inammissibili le concessioni fatte dal governo; - Il fronte dei
daikokujin accusò il bakufu di eccessiva cautela e esortarono a fare accordi
commerciali con gli occidentali. Dopo che Abe lasciò il Consiglio degli Anziani a Hotta
Masayoshi il quale nel 1856 si incontrò con Harris, il rappresentante di Shimoda, il
quale cercò di convincere Hotta agli aspetti positivi del commercio e a ricordare la
drastica fine della Cina a causa dell'ostinazione dei suoi governanti.
Hotta alla fine venne convinto da Harris e cercò di convincere gli alti funzionari del
bakufu e dei fudai. Il responso fu in parte positivo, in parte negativo: - Una minore
ostilità a favore di un realismo maggiore che però non toglieva l'ostilità verso i
"barbari"; - La risposta da parte della Corte secondo cui solo il consenso da parte
dell'Imperatore poteva sedare l'opposizione; - Problema nello stabilire il successore
del bakufu in seguito alla malattia che colpì l'attuale shogun Iesada; - Schieramento
dei Tokugawa suddiviso in due gruppi: 1) Il primo gruppo aveva come capo Li
Naosuke, sostenuto da i Consiglieri anziani e da altri vassalli fudai e votava per
Tokugawa Iemochi; 2) Il secondo gruppo era formato dai collaterali Tokugawa e dai
daimyō esterni alla famiglia e votava per Tokugawa Yoshinobu.
Oltre a questi punti ne vennero approvati altri che però non garantivano una
reciprocità di diritti tra le parti: - Limitazione alla libertà di azione in Giappone ovvero
limitazione dei dazi doganali sulle merci di importazione che impediva una politica di
protezione; - Diritto di extra-territorialità agli americani residenti che li sottraeva
all'autorità giudiziaria del Giappone; - Garanzia agli Stati Uniti dello Status di nazione
più favorita. Tali accorti sollevarono un polverone tale che il Giappone si impose
l'obbiettivo prioritario di abolire questi "trattati ineguali".
Per il Giappone a questo punto c'erano 2 possibilità: agire attivamente nel sistema
economico mondiale e con i rapporti internazionali oppure mantenere un ruolo
periferico, con i rischi correlati a tale posizione. In quel periodo di instabilità
accaddero episodi di terrorismo politico come l'assassinio di Li Naosuke nel 1860 per
colpa di alcuni samurai di Mito e gli episodi di violenza da parte degli shishi o "uomini
audaci" classi samuraiche medio-basse spinte da un orgoglio nazionalista. Arrivarono
a colpire anche gli occidentali uccidendo un suddito britannico nel 1863, episodio al
quale le navi risposero bombardando Kagoshima.
In seguito alla suddivisioni interna tra chi si opponeva e non alla chiusura del paese si
creò un nuovo gruppo che riunì i vecchi sostenitori di Tokugawa Yoshinobu (il
secondo gruppo) i quali vollero prendersi la rivincita dopo il trattamento ricevuto da Li
Naosuke proponendo l'unione tra il bakufu e la Corte o kōbu gattai. Un vantaggio
dell'apertura del paese era quello di rinforzarsi acquisendo nuove tecniche belliche
occidentali. Con l'attuazione di questa unione si riuscì ad allontanare dalla Corte gli
oppositori più accaniti al bakufu, con l'effetto però di spostare solamente il loro
attivismo nel Chōshū, dove il gruppo resistì a due spedizioni punitive mandate dal
bakufu, una nel 1864 e l'altra due anni dopo. La vittoria di Chōshū fu assicurata dal
rifornimento di armi dalla Gran Bretagna tramite un patto segreto con Satsuma.
Verso la fine del 1866 la scomparsa di Iemochi permise a Yoshinobu di entrare in
scena e di emanare una serie di provvedimenti perché le sorti del bakufu
dipendevano dalla sua capacità di modernizzazione e a ciò avreb be contribuito la
Francia. L'appoggio della Francia indusse la Gran Bretagna a rafforzare i legami con i
feudi occidentali, per paura che il bakufu possa beneficiare dei vantaggi di apertura
del Giappone verso l'estero. A questo punto era alto il rischio di scontro tra il bakufu
di Edo e il Chōshū.
La prossima mossa spettò al feudo di Tosa, che chiese allo Shōgun di dimettersi
restituendo all'Imperatore i poteri civili, per poi essere esercitati da un consiglio di
daimyō e nobili in cambio della garanzia di mantenimen to delle loro terre, proposta
accolta da Yoshinobu che supplicò l'Imperatore per evitare una guerra civile,
invano: gli oppositori Satsuma, il Chōshū e Tosa e Hizen (questi 2 per interessi di
potere) inviarono le truppe ad o ccupare il palazzo Imperiale e il 3
gennaio del 1868 venne proclamata la Restaurazione del potere imperiale e la caduta
del bakufu insieme ai possessi della famiglia dello Shōgun. Con la sconfitta dell'ultima
resistenza in Hokkaido del 1869, il nuovo governo si era già trasferito alla nuova sede
di Tōkyō insieme alle attività governative e la Corte assieme all'Imperatore si
insediarono nella residenza dei Tokugawa.
LE RIFORME DELLA NUOVA EPOCA MEIJI Con la centralizzazione del potere venne
creata una nuova definizione di Stato Nazionale accompagnata dalla parola d'ordine
"fukoku kyōhei" = "ricco il Paese e forte l'esercito". Con questa parola d'ordine
vennero avviate le Riforme Meiji. - 1869 data in cui i daimyō restituirono
spontaneamente le loro terre al governo insieme ai registri fondiari e i diritti di
governo dello han che aveva affidato loro lo Shogun. - I daimyō divennero governatori
nominati centralmente dietro ad un atteggiamento cauto del governo data la scarsa
autonomia locale per mancanza di forze armate. - 1871 data in cui vennero tolti i
poteri ai daimyō assieme ai loro feudi per instaurare le provincie o i "ken" (haihan
chiken) e i distretti urbani o "fu" per un maggior controllo da parte della capitale. - I
daimyō continuarono a percepire uno stipendo e ottennero un titolo nobiliare; - Gli
uffici amministrativi locali servirono ad inserire nel mondo del lavoro figure come capi
del villaggio e samurai; - Le assemblee permisero al Paese di partecipare alla vita
politica; - 1873 data in cui venne istituito il Ministero degli Interni la cui figura
principale andò al capo attivo del movimento anti-shogunale, ōkubo Toshimichi;
- 1868 data in cui venne emanato il "Giuramento sui 5 articoli" (Gokajō no seimon) per
rispondere al bisogno di aumentare il consenso fra i daimyō così come l'unità del
Paese, oltre che a quello di modernizzare il Paese dietro l'esempio dell'occidente; -
Altri obbiettivi del governo: unità di tutte le classi sociali, istituzione di una assemblea,
garanzia di un dibattito pubblico per discutere sulle questioni dello Stato, adozione di
norme giuridiche internazionali e la promozione della conoscenza all'Estero; -
Emanazione del "Documento sulla forma di Governo" o "Seitaisho" il quale conteneva
il contenuto del giuramento. Con il Seitaisho vennero affidati pieni poteri al Gran
Consiglio di Stato, il Dajōkan, il quale venne suddiviso in 7 sezioni e ottenne il potere
legislativo, esecutivo e giudiziario. Per essere nominati agli uffici però si teneva conto
del rango e dell'ereditarietà; - 1869 data in cui il Dajōkan divenne l'unico e supremo
organo esecutivo e venne affiancato al Jingikan, l'Ufficio degli affari shintoisti che si
occupava dell'esecuzione dei riti e al controllo della sfera spirituale. Il Dajokan era
composto dal Ministro della Sinistra e della Destra e dal Consiglio consultivo (sangi) e i
suoi capi provenivano soprattutto dalla Corte e dai 4 han più importanti.
ALTRI OBBIETTIVI DELLO STATO C'era il bisogno ancora però di fare rimorme che
servissero a garantire allo Stato: - Fonti indipendenti di reddito; - Una solida base
militare; - Una mobilitazione fondiaria; PROVVEDIMENTI - Abrogazione dell'obbligo
occupazionale legato alla classe di appartenenza e libertà di scelta del proprio
impiego; - Nominazione degli ex daimyō e dei cortigiani come membri della
aristocrazia; - Cortigiani, artigiani e mercanti e in seguito anche i samurai di basso
rango vennero classificiati come "popola
1871 data in cui il Dajōkan si riunisce per discutere del destino del Paese. Si discusse
anche del bisogno di aboli re il divieto di compravendita delle terre, l'anno successivo
infatti vennero rilasciati i titoli di proprietà o chiken, ai responsabili del pagamento
delle tasse di un determinato appezzamento. Con questo metodo si potè calcolare il
valore del terreno e a sua volta le imposte ad esso applicate.
La posizione dei piccoli imprenditori però divenne precaria, i quali in certi casi
dovettero pure indebitarsi, a causa del calcolo delle tasse in base al rendimento del
terreno piuttosto che in base al raccolto annuale. In caso di pagamenti arretrati
dell'imposta fondiaria vennero applicate vendite forzate, le quali arricchirono i
proprietari terrieri. Molti contadini infatti entrarono in affitto, pagandolo agli
inquirenti, i quali potevano stabilire i prezzi a loro piacimento.
4) Gli sviluppi nella politica interna ed estera negli anni Settanta e Ottanta Saigō
Takamori e Itagaki Taisuke si convinsero dell'opportunità di dare una dimostrazione di
forza alla Corea, che continuava a rifiutare i cambiamenti avvenuti in Giappone dopo
la riapertura. Saigō si rese disponibile ad andare in Corea per essere ucciso pur di
aprire le ostilità. Al ritorno i membri di Iwakura dissero che era più importante il
rafforzamento interno dell'aggressione esterna. Nell'ottobre del 1873 arrivò il
momento decisivo di rottura all'interno del Governo: Satsuma e Chōshū presero in
mano le redini del governo dopo la fuoriuscita di Saigō e altri importanti esponenti. Lo
scopo comunque era l'espansionismo quindi il problema stava nei tempi e nelle
modalità per attuarlo. Era fondamentale che il Giappone raggiungesse la parità con le
altre potenze e non ci si preoccupava di un atto aggressivo, ma nelle condizioni attuali
non era pronto ad affrontare uno scontro.
1873 data in cui venne offerta ai samurai una somma pari a 4/6 annualità di stipendio,
soldi messi a disposizione dei samurai in modo che essi potessero investirli in attività
agricole e commerciali. 1874 data in cui Etō, insieme agli ex samurai, formò una
coalizione contro il governo. Nel 1876 venne attuata la "chitsuroku shobun" o
"commutazione forzosa degli stipendi" obbligando quindi gli ex samurai a svolgere
lavori spesso infimi o inadatti a loro per mancanza di spirito imprenditoriale. Anche a
Satsuma si respirava la stessa aria: qui si ritirò Saigō Takamori nel 1877, diventando la
guida di una ribellione verso il Governo, che però non ebbe esito positivo con il
suicidio rituale del capo della rivolta in questione.
Nel 1874 venne fondato il "Meirokusha" o "società del sesto anno Meiji" il quale
dibattè temi di carattere sociale, politico, economico, scientifico, etico e culturale. Il
suo obbiettivo era quello di emergere dalla arretratezza del Giappone. In risposta a
tale provvedimento venne fatta la riforma del sistema educativo la quale: - Introdusse
un sistema piramidale di scuole elementari, medie, istituti tecnici e università; -
L'educazione avrebbe dovuto rappresentare la base di una nazione moderna e un
diritto da garantire a tutta la popolazione in età scolare. - Nacquero molte associazioni
e movimenti come il Movimento per la libertà e i diritti del popolo, dal quale in realtà
scaturì un impulso antigovernativo.
Nel 1878 inoltre venne assassinato Ōkubo. C'era il problema dei tradimenti tra le
reclute dell'esercito Imperiale quindi dovevano essere assolutamente fedeli e
obbedienti all'Imperatore. Gli oppositori politici agli inizi del 1878 erano Gotō,
Soejima, Etō e Itakagi. Quest'ultimo diede vita alla società politica "Aikoku koto" o
"Partito Pubblico Patriottico" con dei pretesti... - Chiedere l'eguaglianza e i diritti del
popolo; - Accusare la politica governativa di arbitrarietà e di scarso successo tra il
pubblico; - Presentare all'Imperatore una petizione per l'istituzione di una assemblea
popolare elettiva.
Nel 1879 venne fondato l' "Aikokusha" o "società dei patrioti" tra i cui obbiettivi c'era: -
Istituzione di un governo parlamentare costituzionale; - La diminuzione dell'imposta
fondiaria; - La revisione dei trattati. Azioni determinate dal desiderio dei giapponesi di
accogliere tutte le espressioni della cultura occidentale comprese le idee, i principi e le
teorie.
Agli inizi del 1881 ci fu una crisi politica in cui le più influenti personalità del governo
erano in disaccordo: - Ōkuma voleva creare un governo parlamentare nel giro di 2
anni; - Itō voleva creare un governo trascendente nel giro di 10 anni.
Nel 1883 il governo mise in atto una serie di provvedimenti per limitare l'influenza dei
partiti politici, ma sin dal 1879 vennero attuati provvedimenti con l'emanazione della
"Kyōikurei" o "ordinanza sull'educazione" che preve deva: maggiore centralizzazione e
un più rigoroso controllo del sistema scolastico, con la formazione di giovani fedeli
sudditi dell'Imperatore. PRINCIPI BASE: - Ribadì il principio confuciano dove non
esistevano distinzioni tra sfera pubblica e privata dell'individuo; - Identificò il legame
moralità-educazione-governo un requisito essenziale per il fukoku kyōhei; Ciò
dimostrò la riaffermazione di tendenze conservatrici. Per la revisione dei trattati
ineguali bisognava consolidare le istituzioni politiche ed economiche.
Dopo l'annuncio del governo dell'istituzione del Parlamento entro il 1890, nel 1882 Itō
cominciò con i preparativi recandosi in Europa per studiare da vicino i documenti
costituzionali dei vari paesi.
La DaiNihon teikoku kenpō (la Costituzione) venne scelta una data solenne, l'11
febbraio del 1889.
5) Gli sviluppi nella politica interna ed estera negli anni Settanta e Ottanta Dopo una
iniziale infatuazione degli ideali occidentali, oligarchi ed esponenti liberali riconobbero
i rischi di tale apertura e allora distinsero il "sapere" occidentale dallo "spirito
giapponese". La Costituzione riconobbe i giapponesi come i "sudditi" di un sovrano
discendente dal cielo. Il popolo apparteneva allo stato grazie all'Imperatore. Il
confucianesimo e in primis lo shintoismo rappresentavano un elemento
fondamentale nella costruizione dell'identità nazionale. C'erano inoltre problemi di
rapporti con l'esterno: Fukuzawa Yukichi già nel 1885 insistette affinchè il Giappone si
staccasse dall'Asia, considerata arretrata e barbara, x unirsi all'occidente, l'uni co
modello a cui si sarebbe dovuto ispirare. Il Giappone avrebbe quasi assunto il ruolo di
guida per "civilizzare" la società dell'Asia Orientale. Il passaggio da un'ideale di
Nazione monorazziale a un Impero plurietnico rappresentò un elemento di
contraddizione.
Gli zaibatsu si svilupparono con la cessione ai privati di imprese statali non strategiche
a prezzi molto vantaggiosi. Andò a favore soprattutto ai mercanti che prima del 1868
avevano accumulato grandi ricchezze, essi infatti divennero possessori di capitale
commerciale, finanziario e industriale. Questo processo segnò la trasformazione della
politica di governo dal controllo diretto alla produzione indiretta.
L'economia giapponese crebbe velocemente grazie a: - Tagli alle spese; - Bassi salari; -
Tasse alte. Il Giappone potè allora procedere con l'esportazione di materie prime per
compensare l'importo di tecnologie e gli investimenti in generale.
Il Giappone cominciò ad espandersi con la guerra contro l'Impero Cinese dal luglio
1894all'aprile 1895. La vitt oria del Giappone portò gli altri paesi a pensare al
Giappone come un modello da seguire per liberare i loro paesi dalla dominazione
coloniale. In realtà il Giappone stava lottando solo in apparenza con la Cina, perchè il
suo obbiettivo di sostituire l'influen za cinese in Corea rappresentava l'interesse della
nazione e ponte ideale verso i mercati continentali.
Ci fu però il cosiddetto "triplice intervento" del 1895 della Russia, Francia e Germania
le quali imposero al Giapp one la restituzione di Liaodong in cambio di un aumento di
indennità di guerra di 30 milioni di tael d'argento, costringendo la Cina ad un ingente
prestito internazionale.
I paesi del Triplice intervento non erano interessati ai possedimenti di metalli preziosi
del Giappone ma solo alla forza militare e alle alleanze diplomatiche. Il Giappone
riuscì ad aggiudicarsi un riconoscimento definitivo da parte delle potenze occidentali
grazie al suo intervento in Cina per sedare la rivolta dei Boxers nell'estate del 1900.
Il 5 settembre 1905 si firmò la pace con la Russia con un trattato che prevedeva: -
Riconoscimento degli interessi militari, politici ed economici del Giappone in Corea; -
Trasferimento al Giappone della ferrovia sud-manciuriana; - Cessione al Giappone
della metà meridionale dell'isola di Sakhalin.
Il Giappone diventò meta preferita dei nazionalisti degli altri paesi asiatici e il successo
popolare si riflettè anche nella letteratura.
Con l'approvazione della Costituzione non esisteva una chiara distinzione tra partiti
popolari (mintō) e partiti burocratici (ritō) e le prime campagne elettorali erano più
una corsa al potere che una reale intenzione di cambiamento della politica. Anche se
prima vinse il fronte liberale, alle elezioni successive le alleanze parlamentari furono
instabili e solo nel primo decennio del 900 si raggiunse un equilibrio.
Dopo la vittoria contro la Russia il Giappone potè espandersi. In questo periodo però
sorse un dibattito tra: sostenitori della penetrazione in Cina (alti comandi dell'esercito)
contro quelli per l'espansione verso i mari del sud fino all'Australia. La Mantetsu era la
nuova società ferroviaria fondata nel 1906 come strumento di sfruttamento dei
giapponesi in Manciuria, diventando infatti uno zaibatsu (forma giapponese di
organizzazione del capitale). La concessione al Giappone della ferrovia gli permise di
sfruttare il territorio adiacente alla ferrovia, ricco di materie prime. In periodo Meiji
all'interno degli zaibatsu l'industria pesante e il settore chimico erano poco estesi in
confronto al settore tessile e minerario. Essendo dei "monopoli di capitale" la
maggiorparte del capitale delle imprese controllate dallo zaibatsu veniva fornita dalla
holding, una forma di autofinanziamento da parte delle famiglie. A garanzia del
capitale investito si definirono norme per regolare i rapporti e le gerarchie familiari.
Dall'ultimo decennio dell'800 fino all'inizio della prima guerra mondiale, l'economia
giapponese entrò in una fase di blocco: negli anni in cui si affermò la fase
dell'imperialismo a livello mondiale ci si accorse che il capitalismo giapponese era
debole rispetto a quello degli altri paesi. Con il circolo del capitale finanziario le
colonie divennero anche luoghi per l'investimento di capitali. Si dovette scegliere una
via intermedia tra investimenti e conquiste coloniali, una forma di dominazione che
può essere definita imperialismo coloniale. Con l'accumulazione rapida di capitale
però il Giappone mostrava ancora un basso consumo interno dovuto alla contrazione
dei salari. Il capitale zaibatsu era inferiore rispetto alla concorrenza straniera perché le
nazioni a capitalismo avanzato in vestivano il capitale nei paesi con forza lavoro a
basso costo. Il Giappone allora non potè investire in Asia per sostenere la concorrenza
britannica e statunitense. L'imperialismo giapponese non sarebbe mai stato
completamente maturo perché era caratterizzato dalla conquista militare.
- L'alleanza con l'Intesa gl consentì l'occupazione dei territori cinesi e delle isole del
Pacifico sotto dominazione tedesca quali le isole Marianne, Caroline e Marshall e la
penisola dello Shandong;
- Con la crescita di altri settori il numero degli operai superò per la prima volta quello
delle donne;
- Avvenne la migrazione dalle campagne verso i centri urbani minori e nelle grandi
città;
- Negli anni 1913-20 la popolazione delle 6 più grandi città del Giappone superò i 3
milioni di abitanti;
I partiti politici però non riuscirono a cogliere le aspirazioni delle classi e dei ceti sociali
per i seguenti motivi:
- Nel 1918 si verificarono i moti del riso o "kome sōdō", ai quali parteciparono 700.000
persone, per l'aumento dr astico dei costi del riso. Alla base della protesta in realtà
c'era la diminuzione dei salari reali dei lavoratori industriali e dall'impoverimento dei
contadini i quali dovevano pagare affitti pari alla metà circa del raccolto.
I notiziari erano gestiti da socialisti che favorirono la diffusione delle notizie riguardo
ai moti, presto censurizzate dal governo.
Questo periodo, precisamente gli anni compresi tra il 1912 - 1926, era chiamato
"democrazia Taishō", anche se in realtà avvenne un declino dei gruppi che formavano
il blocco di potere dominante, i genrō (alta milizia e Consiglio privato) a favore dei
partiti politici presenti nella Camera Bassa. Hara venne assassinato nel 1921 da un
nazionalista perchè responsabile del mancato successo della diplomazia giapponese
alla Conferenza di pace di Versailles.
- Prevenire la disoccupazione;
La libertà d'azione del sindacato comunque continuava ad essere limitata dai controlli
burocratici e polizieschi. La riflessione sul tennōsei (sistema imperiale) fu
rappresentata da ideologismo e da personalismi, come il Partito comunista
giapponese, formato da intellettuali che non riuscirono a definire una precisa e
convincente linea di intervento. Non tutti erano spinti da desideri rivoluzionari, come
la piccola borghesia che considerava il proletariato portatore di disordine e di
interessi antagonistici.
Nel 1919 i movimenti del Primo marzo in Corea e del Quattro maggio in Cina
rappresentarono una minaccia al blocco di potere perché influenzarono il pensiero
antimperialista.
Alla Conferenza di pace di Versailles il Giappone riuscì ad ottenere solo alcune
risposte alle proprie richieste:
- Gli fu assegnato un mandato di "tipo C" sulle isole del Pacifico ex tedesche;
- Ottenne i diritti sulle miniere e sulla ferrovia nella penisola cinese del Jiaochou, prima
della Germania;
- Il Giappone dovette restituire alla Cina la penisola del Jiaochou; I risultati degli
accordi internazionali di Versailles e Washington furono accolti come sconfitte dal
blocco di potere e dai nazionalistici, perché non venne ripagato il sostegno del
Giappone agli alleati durante la prima guerra mondiale.
Nel novembre del 1921 venne assassinato il primo ministro Hara, sospettato di
corruzione e reputato responsabile dei "cedimenti" giapponesi a Versailles. Nel
frattempo la crisi economica dovuta alla limitazione all'esportazione dopo la fine del
conflitto provocò scioperi operai.
6) Difficoltà economiche e crisi rurale nel Giappone dei primi anni 20 La Rivoluzione
Russa, nonostante i provvedimenti messi in atto dal Giappone, riuscì a rappresentare
una minaccia incombente e permanente. In Cina e in Corea inoltre nel 1919 presero
corpo i movimenti di massa contro la dominazione imperialista per boicottare le merci
di tutti gli altri paesi. Negli Stati Uniti a causa della crisi calò la domanda di prodotti di
lusso, tra i quali la seta giapponese mentre i Paesi dell'Intesa continuarono
l'esportazione in Asia.
Nel 1923 nel Kantō ci fu un violento terremoto che provò la morte di 100.000 persone
e 3,3 milioni di feriti, con danni materiali che si aggiravano intorno al mezzo miliardo
di yen. Il gruppo di volontari che si organizzò per mantenere l'ordine pubblico,
insieme ai polizziotti e all'intervento dell a magistratura e dei vertici del ministero degli
Interni, perseguitarono i cinesi e i coreani presenti a Tōkyō, uccidendo 4.000 coreani e
400 cinesi.
Nel settore della agricoltura c'era una stagnazione agricola, provocata dalla eccessiva
frammentazione dei campi e dalla mancanza di macchinari per incrementare la
produttività. Inoltre i piccoli contadini dovevano affittare ai 4000 proprietari di circa 50
ettari pagando affitti salatissimi. Anche tra i contadini si formarono delle associazioni
per far in modo che gli venisse istituita un'indennità di fine rapporto e un
abbassamento della quota di affitto ma senza successo. Anche i proprietari-affittuari
terrieri crearono un movimento in opposizione ai contadini senza terreno. Le lotte
vennero incentivate da due elementi: - Il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli più
diffusi;
- Nel 1923 venne fondata la Banca centrale per la cooperazione che finanziò diversi
progetti di bonifica;
- Nel luglio del 1924 venne vara la Kosaku chōteihō o "Legge per l'arbitrato
dell'affittanza";
Il malcontento operaio del periodo era dovuto alla difficile situazione economica e
occupazionale e dalla ristretta libertà per le attività politiche.
7) I "governi partito", la debolezza dei partiti politici e la stretta autoritaria Intorno alla
prima metà degli anni venti si incrinò la visione di "armonia sociale" così il Club
Kakushin e i partiti Keisei e Seiyū crearono una coalizione nella Camera bassa che
formarono una maggioranza in appoggio del governo di Katō Takaaki, presidente del
primo "governo di partito", chiamato così perché indica i governi esecutivi su base
parlamentare piuttosto che su base "trascendentale" che operarono fra l'11 giugno
1924 e il 2 6 maggio 1932. I governi trascendenti erano varati da consiglieri
dell'Imperatore con il consenso degli Stati maggiori di Esercito e Marina, con funzione
esecutiva anche senza la maggioranza parlamentare.
- Dovevano avere più di 25 anni e risiedere da almeno un anno nel collegio elettorale;
- Non dovevano usufruire della assistenza pubblica; - Dovevano versare una quota di
2000 yen alle casse dello Stato in caso di mancata elezione.
Le prime elezioni a suffragio universale si svolsero nel 1928 con evidente malcontento
dei ceti popolari. I vertici burocratici del ministero della Giustizia e il vicepresidente del
Consiglio privato Hiranuma Kiichirō ricorsero per loro iniziativa alla Legge per il
mantenimento dell'ordine pubblico, entrata in vigore con rapida approvazione il 12
maggio 1925. Da questo momento i funzionari del ministero degli Interni, la polizia e
la magistratura la utilizzarono fino alla fine della seconda guerra mondiale per colpire
ogni idea contrastante, motivo per cui venne anche chiamata "legge speciale". Con
essa venne imposto il divieto di alterare il sistema nazionale.
- Nel 1925 furono incriminati gli studenti di sociologia dell'Università di Kyōto perché
andavano oltre alle discussioni accademiche diffondendo nella società l'ideologia
marxista;
- Nel 1928 furono arrestati i dirigenti e quasi tutti i militanti del Partito comunista. Al
processo al quale vennero sottoposti il sistema imperiale l'imperatore Hirohito
introdusse la pena di morte;
- Fu messa in atto la pratica del "tenkō" o "abiura della posizione ideologica" una
forma di soffocazione di ogni forma di dissenso con la quale il "procuratore del
pensiero" sospendeva il giudizio verso l'imputato e lo affidava a un garante
individuale o collettivo che si impegnava a convincere il "sovversivo" (l'imputato) che la
sua posizi one ideologica era sbagliata. Spesso il caso di un imputato serviva a
mostrare ad altri l'errore della sua posizione ideologica. Il numero delle condanne
giapponesi superò quello delle condanne italiane con 6.124 contro 4.596.
- Richiamò con maggior vigore quelli che erano i valori considerati alla base della
società giapponese: l'armonia sociale, la difesa del Paese degli dèi, pietà filiale, lealtà e
obbedienza.
- Il gruppo dei funzionari superiori, militari di alto grado, membri della Camera alta
con l'obbiettivo di mantenere i valori tradizionali e il controllo sulla dinamica sociale;
- Piccoli gruppi come espressione dei ceti piccolo-borghesi urbani con l'obbiettivo di
rivalutare il patrimonio politico-ideologico della tradizione nazionale e alla lotta contro
il marxismo, il socialismo, il parlamentarismo;
Kita Ikki fu il maggiore ideologo anti "imperialismo bianco". La sua opera principale fu
pubblicata nel 1923 e si chiamava "Lineamenti delle misure per la riorganizzazione del
Giappone". Secondo lui bisognava
- Riconoscimento del mandato di "tipo C" sulle isole del Pacifico sottratte alla
Germania e dei diritti ferroviari e minerari ex tedeschi nella penisola di Jiaochou.
Nel settembre del 1931 l'armata giapponese del Kwangtung invase la Manciuria
avviando la "guerra dei 15 anni". Nel 1932 qui venne fondato lo Stato fantoccio del
Manchukuo sotto dominio dei giapponesi, il quale dipendeva dall'Imperatore Pu Yi
che fuggì nel 1912 quando crollò l'Impero cinese. Dopo la conquista gli zaibatsu
aumentarono la loro concorrenza con gli investimenti statunitensi e britannici,
provocando la reazione di Washington e Londra. Nel 1933 la Società delle Nazioni
condannò l'intervento del Giappone, Tōkyō quindi dovette subire la maggioranza
strategica e navale delle 2 potenze.
- Operare per la prosperità del trono imperiale e per comprendere i fondamenti del
kokutai con il patriottismo;
I vecchi e i nuovi zaibatsu, sorti negli anni 30, gestivano il capitale monopolistico e ora
avevano bisogno di allargare la loro base produttiva sfruttando un sub-imperialismo
protetto dalle armi.
5) Gli effetti della grande crisi Con il crollo di Wall Street del 1929 in Giappone si
verificò una fase finanziaria altalenante: nel 1927 ci fu "Il panico del periodo Showa" o
"Shōwa kyōkō", in seguito ai tentativi di riavviare l'economia in seguito al terremoto
del Kantō del 1923. Dopo il disastro potevano venir richiesti prestiti alle banche
presentando come garanzia i titoli perduti durante il sisma, i "titoli terremotati", i quali
frenarono la ripresa di concorrenzialità dell' economia giapponese. Molte banche che
possedevano una grande quantità di prestiti non erano coperte da nessuna garanzia
e molte banche minori dovettero sospendere i rimborsi, tanto che il 22 aprile il
governo dovette sospendere tutti i pagamenti da parte delle banche, portando al
fallimento diverse imprese. La gente andava dalle banche principali. Per il fatto che il
Giappone non aveva riadottato il "gold standard" (sistema aureo: la base monetaria è
data da una quantità fissata di oro) lo yen oscillava continuamente.
L'uscita dalla crisi cominciò quando il Ministro delle Finanze Takahashi Korekiyo
abbandonò la politica accentuando l'intervento dello Stato in economia e adottando
diverse misure:
- Sostegno alla spesa pubblica con l'emissione di titoli fiduciari dello Stato sottoscritti
dalla Banca del Giappone
- I nuovi zaibatsu, legati agli ambienti familiari e ai giovani funzionari civili inviati in
Manchokuho, sostituirono quelli vecchi fino al 1935, quando questi ultimi ripresero il
sopravvento per l'alta disponibilità di capitali finanziari che permise nuovi
investimenti.
6) La "guerra totale" Nel luglio 1937 il Giappone invase la Cina settentrionale, dando il
via alla Guerra dell'Asia Orientale. C'erano due schieramenti di pensiero:
- I partiti politici vennero assorbiti dalla Associazione per il sostegno della direzione
imperiale;
- Il Giappone firmò il Patto Tripartito con l'Italia fascista e la Germania nazista e invase
l'Indocina settentrionale. In seguito a questa estensione Washington chiese al
Giappone garanzie per le Filippine e il ritiro delle truppe dalla Cina;
- Othman Spann sostenne che esiste una società all'interno della quale ognuno ha le
proprie responsabilità. Il suo universalismo venne reso col termine "zentaishugi" =
"totalitarismo" ovvero dominazione classista della società. ALTRE FIGURE A FAVORE
Il giornalista Ryū Shintarō, in merito all'obbiettivo finale del Giappone di sostituirsi all'
"imperialismo bianco", disse che il mondo in futuro sarebbe stato diviso in blocchi uno
dei quali guidato dal Giappone. Tesi che ebbe un riscontro soprattutto nel 1941 con la
dichiarazione del Ministro degli Esteri Matsuoka di una imminente divisione del
mondo in 4 zone: - America del sud e del nord sotto gli Stati Uniti;
- Legge di regolamentazione delle esport. e import. delle merci; - Legge sul controllo
temporaneo dei capitali;
- "Sezione del Piano" che stese il "il piano per la mobilitazione delle risorse" nello
stesso anno = a Esercito, Marina e industria privata andarono il ferro, l'acciaio, il rame,
l'alluminio, la benzina, il kerosene, il petrolio grezzo, il cotone e la lana;
Il Controllo dello Stato si realizzò tra l'inizio della guerra del Pacifico e il 1943. i 3
decreti principali erano 3:
- Società di controllo.
7) La "guerra totale" dei sudditi giapponesi Sia i sudditi militari che quelli civili
parteciparono alla guerra in reazione alla propaganda nazionalista. I soldati
giapponesi arrivarono perfino ad atti di cannibalismo, soprattutto dei prigionieri di
guerra, azioni completamente oscurate dal governo. Vennero attuate restrizioni sui
consumi in diversi casi:
- Dopo l'inizio della guerra in Cina sui prodotti tessili e i beni di prima necessità (salsa
di soia, riso, zucchero e fiammiferi);
- Istituzione del "nuovo ordine dei consumi" con la distribuzione di carte annonarie
(tessera che dà diritto all' acquisto limitato di generi razionati in caso di guerra o
emergenze);
- Taiwan e Manciuria furono restituiti alla Repubblica della Cina; - La Corea venne
occupata dalla Russia al nord e dagli Stati Uniti a sud del 38° parallelo; - La Manciuria
perse il 70% della sua flotta mercantile, mezzo fondamentale per arrivare al
Giappone. I bombardamenti e l'abbandono delle colonie fecero perdere 2/3 del suo
potenziale industriale; - C'erano 8 milioni di senzatetto e 9 milioni di disoccupati e un
gran numero di militari rimpatriati.
Quando Tōkyō accettò la resa, il presidente Harry Truman (eletto a seguito della
morte di Franklin Roosevelt) nominò capo del Comando supremo delle potenze
alleate (Scap) il generale Douglas MacArthur con l'obbiettivo di democratizzare e
smilitarizzare il Giappone.
Per prima cosa venne istituita la Commissione per l'Estremo Oriente, però con limitati
poteri di intervento. Tra il 1946 e il 1947 si verificò una "inversione di rotta" perché il
Giappone divenne il principale alleato in Asia degli Stati Uniti. Con il Giappone ebbero
un rapporto diverso rispetto ad Italia e Germania operando comunque tramite le
direttive impartite dal governo giapponese.
I PRIMI PROVVEDIMENTI - Abolizione dei Ministeri della Guerra, della Marina, degli
approvigionamenti militari e degli Interni; - Sospensione di tutti i corsi scolastici,
dichiarazione di illegalità dei testi di storia, geografia ed etica perché strumenti di
propaganda sciovinista; - Richiesta di una nuova Costituzione, un piano di
scioglimento degli zaibatsu ed epurazione ai sostenitori del vecchio regime e ai militari
(che erano il 90% degli soggetti interessati alla pratica). I criminali di guerra finirono
nel mirino - Scioglimento della Taisei yokusankai; - Liberazione dei prigionieri politici; -
Libertà di ricostituzione dei partiti politici e dei sindacati, con la seguente fondazione
del Partito liberale, progressista, socialista e comunista giapponese. - Azioni di rivincita
degli statunitensi con la costituzione del Tribunale militare Internazionale per
l'Estremo Oriente, più conosciuto come Tribunale di Tōkyō istituito il 3 maggio 1946 e
addetto ai crimini di "classe A" (28 circa) degli alti ufficiali e dei politici istigatori alla
guerra, con pene di morte e detenzioni;
- Esistevano Tribunali per i crimini di "classe B" (militari in battaglia o i civili dei popoli
nemici) e per i crimini di "classe C" (crimini paragonabili a quelli commessi dai nazisti
verso ebrei, rom, comunisti ecc.):
In totale vennero giudicati 5.397 giapponesi con: 984 condanne a morte, 475 ergastoli
e 2.944 pene detentive.
- Il potere di nomina e di revoca dei Primi ministri, dei ministri e dei funzionari di
massimo grado;
- Convocare il Parlamento;
- Sciogliere la Camera;
- Nomina del Primo ministro (al Parlamento) e il presidente della Corte Suprema (al
governo).
- Rinuncia del Giappone alla guerra per dispute internazionali e alle forze armate,
anche se dopo l'inizio della guerra in Corea i soldati giapponesi sostituirono i militari
statunitensi per mantenere l'ordine pubblico. Alle forze di terra si aggiunsero anche
quelle aeree e navali nel 1952, fino alla istituzione della Agenzia della difesa o Boeichō.
3) La vita politica
- Nel 1947-48 partì una coalizione con a capo Katayama Tetsu, appoggiata da partito
socialista e democratico e in seguito un'altra coalizione con a capo Ashida, appoggiata
da partito socialista e dal partito cooperativo del popolo, entrambi con vita breve;
- Nell'ottobre del 1948 ci fu Yoshida Shigeru a capo del partito liberale, le cui priorità
erano la ricostruzione dell'economia. Egli fece firmare al Giappone il Trattato di pace
di San Francisco e promosse la "purga rossa" contro i dirigenti e i comunisti. Egli
inoltre riabilitò molti epurati, come il neo Presidente del Partitto democratico
Hatoyama, che vi rimase dal 1954 fino al 1956, quando i liberali e i democratici si
unirono nel Partito liberaldemocratico o Jimintō nel 1955.
4) La ricostruzione economica
- Proprietari terrieri e contadini medi videro le loro proprietà nettamente ridotte con
le estensioni proprietarie non superiori ai 10 ettari nello Hokkaido e 3 ettari nelle altre
regioni;
- La popolazione attiva in agricoltura passò dal 41% del 1955 sl 9% nel 1990;
- Gli investimenti nel settore industriale, pubblico e privato venne indirizzato verso i
settori in sviluppo.
- Limitata libertà sindacale; Elementi che peggiorarono per l'azione dello Scap il quale
vietò lo sciopero dei dipendenti pubblici reprimendo le forme di opposizione alle
proprie scelte politiche = si attiva l' "INVERSIONE DI ROTTA". MOTIVI DELL'
"INVERSIONE DI ROTTA": penisola coreana a regime comunista a nord del 38°
parallelo, lotta di indipendenza in Vietnam, possibile vittoria della lotta armata del
Partito comunista in Cina, indipendenza dell'India, rivendicazione di indipendenza
dell'Indonesia.
Negli anni precedenti alla metà degli anni 70 il Giappone sviluppò con coerenza una
politica economica fondata su 3 principi:
1) sōgō shōsha, società commerciali internazionali sorte nel Meiji come mediatori sui
mercati. Raggiunsero il ma ssimo di 6 unità. Avevano diverse competenze: -
Reperivano le materie prime a prezzi da concorrenza; - Trasportavano i prodotti; -
Finanziavano le attività commerciali e la pubblicità dei paesi stranieri;
2) Sottostima del cambio dello yen con il dollaro (360 yen per dollaro). Le esportazioni
giapponesi comunque non superarono il 10% del Pil per i gravi sacrifici a cui doveva
far fronte la popolazione (salari insufficienti, alti livelli di inquinamento).
Nel commercio interno svolgevano ancora le proprie attività i componenti dei vecchi
zaibatsu insieme ad altre società, la Itō chū, Marubeni e Nisshō-Iwai. I primi
miglioramenti cominciarono attorno agli anni 60 per quanto riguarda le abitazioni
sulle quali il settore edile dovette investire notevolmente data la breve durata delle
abitazioni (circa 30 anni).
6) Le relazioni internazionali
- L'8 settembre 1951 il Giappone firmò il Trattato di pace di San Francisco e il Trattato
di sicurezza nippo- americano;
- Nel 1958-60 il Giappone occupò uno dei seggi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu;
- Nel 1960 venne rinnovato il Trattato di sicurezza con gli Stati Uniti, nonostante una
forte opposizione da parte di studenti e una minoranza parlamentare;
- Nel 1969 il Primo ministro Sato Eisaku si accordò per il ritorno di Okinawa al
Giappone, ottenendone la sovranità il 15 maggio 1972;
- Nel 1971 avvenne il "Nixon shock" ovvero il Presidente Nixon dopo contatti segreti
tra il segretario di Stato statunitense e il ministro degli Esteri cinese si sarebbe recato
a Pechino per incontrare i dirigenti cinesi, dopo che la Cina rientrò nell'Onu. Dopo la
visita il Primo ministro giapponese Tanaka Kakuei andò a Pechino e firmò un Trattato
di pace nel 1978.
1) Dalla crisi petrolifera del 1973 alla ripresa Le cause della crisi in Giappone furono
diverse:
- Il presidente statunitense Nixon rinunciò al gold standard così che le monete, il cui
valore non era più legato a quello dell'oro, fluttuarono fino a raggiungere a 120 yen
per dollaro negli anni 80 e a 122-123 yen per dollaro nel 1999. Per ogni euro invece
ora si hanno 128 yen;
- Crisi petrolifera del 1973 per il rincaro del petrolio il quale negli anni 70
rappresentava il 77,4% del fabbisogno. I cantieri navali giapponesi furono i siti
maggiormente colpiti. I grandi cantieri sentirono di meno la crisi per la costruzione di
piattaforme oceaniche e di grandi attrezzature, diversamente dai medi e piccoli
cantieri che dovettero chiudere. Molti lavoratori vennero reinseriti in altri settori e il
governo venne loro incontro assegnando loro sussidi, indennità di formazione e di
spese per lo spostamento di residenza.
Per superare la crisi contribuirono tutti: politici, burocrati, uomini d'affari, sindacalisti,
lavoratori, fornitori e cittadini.
LE MISURE DI RIPRESA
- Dal 1982 il valore delle esportazioni cominciò a superare quello delle importazioni
(con 80 milioni di dollari);
- Nel 1978 e nel 1983 il governo approvò due leggi che permisero agli imprenditori la
propria riorganizzazione con l'aiuto dello Stato;
- Altri settori, al contrario, mostrarono una grande crescita come quello delle
automobili, prodotti elettrici ed elettronici. La produzione nel 1990 divenne la prima al
mondo (40% nel 1989) per prezzi e qualità;
2) Alto valore dello yen e distorsioni Con l'accordo dei G7, stipulato nel febbraio del
1987 a Parigi, permise solo una momentanea stabilità dello yen perché dal 1985 il
Giappone entrò nella "recessione endaka" o "fase di apprezzamento dello yen". Nel
gennaio del 1986 lo sconto passò dal 5 al 4,5%, passando al 2,5% nel 1987 e
rimanendo tale per 2 anni. A questo punto:
- Crebbe il mercato azionario durante il boom endaka, che fece aumentare di 11 volte
gli investimenti all' estero.
3) Gli effetti sociali della recessione Tra gli anni 80 e gli anni 90 in Giappone si verificò
un periodo di fragilità: il mercato interno fu "drogato" dall' incentivo ai consumi
permessi dal facile ricorso al prestito bancario. Il problema che si verificò nella metà
degli anni 90 rappresenta la difficoltà delle banche di recuperare i crediti concessi ai
clienti e alle imprese. Questi soggetti accumularono perdite, sostenibili solo con
l'intervento del governo, così le imprese diminuirono i propri dipendenti. Il lavoro
temporaneo, anche di una settimana, era molto diffuso. Altri problemi sociali sono gli
alti tassi di suicidi, l'invecchiamento della popolazione dovuto all'allungamento della
speranza di vita e il calo delle nascite.
4) Il sistema burocratico e politico Le proposte di legge, in Giappone, vengono fatte da
funzionari di medio livello dei singoli ministeri piuttosto che dai parlamentari. Si diede
così il via ad un iter dal basso verso l'alto che, attraverso il governo, termina con la
presentazione di un disegno di legge governativo. La figura del sottosegretario
burocratico, vista insieme al ministro e ai sottosegretari, rappresenta il vertice
dell'apparato e tutti i funzionari inferiori sono responsabili verso di lui = evidenza del
potere burocratico, con ampi margini di azione e di intervento politico rispetto al
sistema politico. Nel secondo dopoguerra i governi erano di area liberal democratica.
- Con la guerra del 1967 in cui i paesi Arabi costrinsero Israele ad abbandonare i
territori occupati il governo Tanaka era preoccupato che gli venisse a mancare il
petrolio e allora minacciò di riconsiderare la sua politica verso Israele;
- Anche nel novembre del 1979 i giapponesi agirono con cautela quando degli
studenti iraniani fecero oltre 100 ostaggi a Teheran. Per mantenere un buon rapporto
con gli arabi il presidente di una società giapponese di importazione di petrolio si
mise in viaggio sfruttando i legami personali e i suoi rapporti d'affari;
- Nel 1988 nella "guerra del Golfo" l'Onu chiese al Giappone di partecipare all'attacco
contro l'Iraq e, per il fatto che il Giappone firmò l'astinenza da ogni partecipazione a
guerre tra altri stati, il fronte pacifista entrò in contrasto con quello politico. Si arrivò
alla approvazione, nel 1992, di una norma che permise al Corpo di sicurezza nazionale
di partecipare alle operazioni di pace delle Nazioni Unite in Cambogia.
- Il Giappone tentò nuovamente di ottenere le isole a nord dello Hokkaidō perché
potenziali terre dove poter favorire la pesca, senza tuttora esserci riuscito;
6) Dalla grave recessione alla ripresa economica Il Giappone, tra la fine della seconda
guerra mondiale e gli ultimi del 900, divenne la seconda potenza economica mondiale,
anche se appena nel 2005 si allentò la recessione causata dalla baburu economi.
DALLA RECESSIONE...
ALLA RIPRESA...
- Dagli inizi del 2000 la banca Sumitomo e Mitsubishi superarono la Detusche Bank e
la svizzera UBS;
- Nel 2006 crebbe il PIL raggiungendo quota 2-2,5% e la Banca del Giappone
introdusse il tasso di interesse dello 0,25%;
- Con le elezioni del 2005 Koizumi Ichirō andò alla guida del governo e tentò di
proseguire la kokusaika o "internazionalizzazione" ma non si rivelerà un obbiettivo
facilmente perseguibile.