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01 Profilo storico linguistica moderna

Linguistica (Sapienza - Università di Roma)

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Profilo Storico Della Linguistica Moderna Leroy

DALL'ANTICHITÀ AL SECOLO DEL DECIMONONO.


La linguistica generale è una scienza relativamente recente, sorge e si sviluppa soltanto nella prima metà
del secolo ventesimo. Tuttavia le sue origini risalgono a quel rinnovamento degli studi sul linguaggio che
portò, durante il secolo scorso, alla formazione della grammatica comparata; questa, sorta, in un periodo in
cui in tutti i campi si andava sviluppando un nuovo metodo scientifico, raggiunse, almeno su un terreno
favorevole come quello delle lingue indoeuropee, risultati notevolmente sicuri e fornì alla nostra disciplina
le indispensabili basi tecniche.
GLI INDIANI.
Furono motivi religiosi che indussero gli indiani a studiare la loro lingua. Era importante che i testi sacri non
subissero alcun’alterazione quando venivano cantati o recitati durante i sacrifici. Successivamente i
grammatici (fra cui Panini IV sec. a.C.) concentrarono le loro osservazioni sul valore è sull'uso delle parole e
tracciarono descrizioni fonetiche e grammaticali della loro lingua che restano un modello nel loro genere.
Vennero riscoperte dai grammatici occidentali verso la fine della XVIII secolo e costituirono il punto di
partenza per la creazione della grammatica comparata. Si trattava di studi puramente statistici riguardanti il
solo sanscrito, limitandosi a una classificazione dei fatti senza alcun tentativo d’interpretazione.
I GRECI.
Non hanno lasciato nessuna descrizione che possa paragonarsi a quella degli indiani, né informazioni utili
sugli idiomi dei popoli con cui si trovarono in contatto. Convinti della loro superiorità intellettuale,
guardavano con disprezzo alle lingue straniere e le studiavano solo per motivi di necessità pratica, il
vocabolo barbaros (designava il pigolio degli uccelli) assume un significato peggiorativo, l'antitesi greco
barbaro non fece notare le somiglianze esistenti. Alessandro magno tornò dall'India senza la conoscenza del
sanscrito. I greci studiavano la propria lingua con gran cura benché soltanto sul piano estetico e filosofico.
Le loro speculazioni stanno alla base del pensiero linguistico moderno. Il problema fondamentale era
definire i rapporti tra la nozione e la parola che la indica. Stabilire se la lingua abbia origini naturali oppure
nasca da una convenzione, se esista un rapporto tra le parole e il loro significato. Platone, tesi dell'esattezza
naturale delle parole, nel Cratilo, espone le differenti teorie senza concludere in favore dell'una o dell'altra.
Questo ha messo in imbarazzo i moderni, che hanno dato troppa importanza alla parte dedicata alle
“etimologie”, a noi sembra che la parte importante sia all'inizio è alla fine del dialogo, dove s’intravedono
alcune idee come: il rapporto tra significante e significato, tra forma e sostanza, l'arbitrarietà del segno,
valore sociale della lingua. Le ricerche d’Aristotele portarono alla costituzione della grammatica.
Osservando che il mondo esterno c’è noto grazie ad impressioni sensoriali, e affermando che le parole sono
simboli e non immagini esatte, Aristotele si schierava a favore della tesi convenzionalista e per primo ha
tentato un’analisi precisa della struttura linguistica. Per Aristotele la grammatica generale non è altro che
una parte della logica formale; la cura che ebbe di elaborare una teoria della frase, la distinzione tra le parti
del discorso, l'enumerazione delle categorie grammaticali s’imposero sino a tempi assai recenti.
I LATINI.
Buoni allievi dei greci si comportavano esattamente come l'oro quanto alle lingue straniere. Il continuo
confronto tra greco e latino risultò sterile, in quanto si sforzarono di piegare servilmente lo studio della loro
lingua alle regole formulate dai teorici greci, riprendendo e diffondendo le loro idee. Unica eccezione è:
Varrone che tentò di definire la grammatica come scienza ed insieme come arte, intuì il valore
dell'opposizione di aspetto nel sistema del verbo.
IL MEDIOEVO.
Le concezioni degli antichi continuarono a dominare negli studi sul linguaggio. I contatti stabiliti dal
cristianesimo con i popoli barbari e la traduzione della bibbia avrebbero dovuto porrè il problema dei
rapporti tra le lingue. I difensori del vangelo consideravano le lingue dei gentili come strumenti di
propaganda e non come oggetto di riflessione. Il quadro grammaticale tracciato da Dionisio Trace rimane
inalterato, la scolastica fece rinascere lo studio della grammatica, attraverso la controversia sull'esattezza
delle parole, tra realisti (le parole sono il riflesso delle idee) è nominalistica (le cose hanno i loro nomi
arbitrariamente). Dante, nel De vulgati eloquentia, considerava le lingue del si, d’oc, d’oil come
appartenenti allo stesso gruppo, mentre distingueva 14 forme di dialetti italiani. Per quel che riguarda la
ripartizione delle altre lingue europee s’ispirava al mito della torre di Babele.

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DAL RINASCIMENTO ALLA FINE DEL SECOLO XVIII


Soltanto nel XVI secolo si crea un clima favorevole ad uno studio linguistico serio. La presenza di numerosi
studiosi bizantini fa sì, che in Italia, si abbia la diffusione di una conoscenza più esatta del greco. Il fervore
religioso dei riformati spinse a tradurre i libri sacri in numerosi dialetti attenuando il disprezzo delle lingue
volgari, e favorì la fioritura delle letterature nazionali. Le controversie teologiche resero indispensabile la
conoscenza dell'ebraico, comportando comparazioni d'ordine linguistico. Si sente il bisogno di classificare i
fatti, raggruppandoli secondo dati spaziali. Questo metodo tiene il lettore lontano dalle speculazioni sui
caratteri che uniscono o dividono le lingue, o sull'eventuale parentela che si potrebbe dedurre dalla loro
comparazione. Tale tipo di classificazione è usato dal XVI secolo sia nei dizionari multilingui, sia nelle
raccolte dove un testo (pater noster) è tradotto in varie lingue. Nei secoli che seguirono si cercò di
riassumere e consolidare le varie cognizioni sulle lingue del globo raccogliendo esempi di scrittura,
collezionando brevi testi, compilando dizionari comparativi; coronamento di questi studi fu l’edizione della
raccolta chiamata Mithridates, in quattro volumi, che registravano, secondo uno schema geografico, circa
500 lingue. Nel XVI secolo cominciò a venire alla luce un altro principio metodico, che avrebbe dovuto
razionalizzare lo studio del rapporto tra i dialetti: cioè la comunanza d’origine, classificando le lingue in
famiglie. Chi si dedicava a questa classificazione partiva però dall'esame dei documenti, con l'idea a priori
della supremazia dell'ebraico; per ragioni religiose si considerava l'ebraico la lingua originaria dalla quale
partire per spiegare le altre. Questa opinione fu ripresa e sostenuta da numerosi dotti tra cui Postel.
Scaligero limitandosi a offrire un quadro delle lingue europee, distingueva 11 lingue matrice da cui erano
derivate delle propaggini, che erano quindi parenti tra loro; le quattro lingue capostipite erano designate
secondo le varie forme del nome di Dio: Boge, Godt, Deus, Zeus; indicando così le lingue slave, germaniche,
romanze e il greco. Quest'opera manifestando ancora errori di impostazione e lacune, mostra una lucida
percezione dei problemi, un buonsenso è una prudenza insoliti per quell'epoca è da inizio a un metodo
corretto giustificando gli accostamenti proposti con esempi. In generale fu l'esempio di Postel a guidare per
più di due secoli i teorici. E’ curioso che l'evidente insuccesso della ricerca e la precarietà dei risultati
raggiunti non riusciva a scoraggiare quegli anni di buona volontà. All'inizio del XVIII secolo Leibniz, che
aveva riconosciuto il carattere arbitrario del segno linguistico, combatté con vigore e buonsenso l’ipotesi
dell'origine ebraica. Ma ciò non ebbe un grande eco come anche i consigli che egli impartita sul modo di
studiare la lingua, rifacendosi ai monumenti iscritti delle epoche più antiche per compararli a quelli
moderni. Egli costituiva, senza alcun serio fondamento, un sistema geologico secondo il quale le lingue
d’Europa ed Asia sarebbero derivate da un prototipo comune. Altro ricercatore originale Fu Vico. Nella
Scienza nuova espone i principi di una storia ideale eterna concepita come storia ciclica del genere umano,
attraverso tre fasi: teocratica, eroica e democratica. Arrivata al suo apogeo l'umanità si corrompe e ritorna
alle barbarie. Da questa concezione della storia e del principio gnoseologico che è alla base della sua teoria
della conoscenza (lo spirito conosce solo ciò che fa; quindi nel mondo sociale si ha scienza mentre dei
fenomeni naturali, di cui l'autore è Dio, non possiamo avere che coscienza) trae le sue conseguenze per il
linguaggio. La lingua nella prima età fu muta, gli uomini comunicavano per mezzo di gesti; il primo
linguaggio articolato fu simbolico, poetico, gli uomini si esprimevano in versi, il terzo stadio è quello della
lingua umana composta da vocaboli di cui i popoli ne stabiliscono il significato a loro piacere.
L'interpretazione delle leggende e delle favole primitive ha un’importanza enorme per la conoscenza delle
società antiche, e lo studio del simbolismo linguistico è essenziale per la storia delle lingue, che raggiunto il
loro apogeo sono colpite da un processo di decadenza. Le riflessioni sulla natura della lingua nei secoli XVII
e XVIII, e i tentativi fatti per analizzare la struttura linguistica, sono una continuazione delle ricerche care
agli antichi. Il persistere del prestigio aristotelico è dimostrato nel successo ottenuto, nel 1660, dalla
grammatica generale di Port-Royal, testo che servì per più di secoli come vademecum grammaticale.
Volendo dimostrare che lingua, immagine del pensiero, è basata sulla ragione, costruendo secondo la logica
uno schema del linguaggio dove incasellare le manifestazioni della lingua reale. Soltanto nel secolo XIX
questi ragionamenti di tipo astratto perderanno prestigio grazie alla conoscenza di un numero sempre
maggiore di idiomi, all'interesse per le lingue vive e dallo studio di un metodo storico che prende coscienza
dei fatti reali e lavora su di essi così come si presentano all'osservazione.
LA FORMAZIONE DEL METODO LINGUISTICO.

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I PRECURSORI.
Ciò che mise la linguistica sulla via della razionalità fu il concetto di parentela delle lingue. Punto di partenza
fu la rivelazione del sanscrito: tale conoscenza offriva un tesoro di osservazioni precise particolarmente
istruttive per la classificazione dei fonemi e per le teorie sulla radice è la formazione delle parole.
L'occidente era stato in contatto con l'India sin dal secolo XVI, ma le isolate osservazioni che alcuni
intellettuali avevano fatto sulla somiglianza del sanscrito con le lingue europee erano rimaste lettera morta.
La via da seguire fu indicata nel 1786 da un magistrato inglese del Bengala, William Jones: segnalava in
modo preciso alcune affinità di forme tra latino, greco e sanscrito, affinità comprovanti che queste lingue
derivavano da una comune lingua originaria: ciò non si sarebbe potuto spiegare se fossero derivate l'una
dall'altra. Avanzava l'ipotesi che il gotico e il celtico avevano una stessa origine. In tal modo definiva due
nozioni, quella di parentela linguistica è quella di prototipo comune, che ponevano le basi di uno studio
scientifico delle famiglie linguistiche. Più tardi Paolino di San Bartolomeo includeva il germanico in questa
sede. Nel frattempo a Parigi, all’Ecole national des langues orientales vivante fondato del 1795, un gruppo
di studiosi insegnava le lingue e letterature orientali, in particolare dell'Iran e dell'India.
BOPP E I PRIMI COMPARATITSI.
Toccò a Boop raccogliere le prove sicure della parentela di queste lingue e di fondare al tempo stesso la
grammatica comparata delle lingue europee. Egli studiò a Parigi il persiano è l'indiano, prima di pubblicare
nel 1816 una memoria in cui per la prima volta esponeva, un insieme coerente di dottrine derivato dal
raffronto del sanscrito con le lingue europee. Bopp era stato preceduto di quest'avvio dal danese Rask, il cui
studio finito nel 1814, fu pubblicato soltanto nel 1818. Avendo lavorato indipendentemente approdarono
entrambi agli stessi risultati: Rask dimostrava l'originaria identità delle lingue germaniche, del greco, del
latino, Baltico e Slavo, ma si trovava in una posizione di inferiorità rispetto a Bopp perché non conoscere il
sanscrito. Bopp continuo metodicamente le sue ricerche e pubblico i risultati in una serie di cinque
memorie presentate all'accademia di Berlino tra il 1824 e il 1831. Infine nel 1833 presentava la prima parte
di una Vergleichende Grammatik portata a termine nel 1849. Inizialmente il suo lavoro si basava sulla
comparazione del sanscrito, del greco, del latino, del persiano è del germanico; la Vergleichende
Grammatik aggiungeva lo “zend” (avestico), il lituano è l'antico slavo; l'armeno apparve dalla seconda
edizione. Grimm introducendo nella linguistica la nozione di prospettiva storica, si dedicò allo studio dei
dialetti germanici è pubblico delle ricerche dettagliate sulla storia fonetica delle lingue germaniche; tuttavia
la legge che porta il suo nome era già stata indicata nel 1818 da Rask, e nel 1821 da Bredsdorff: si tratta
della rotazione consonantica (Lautverschiebung), scoperta di rilevante importanza perché rappresenta il
primo esempio di quelle leggi fonetiche su cui si basa la linguistica storica. Pott fu il primo a sostenere che,
senza l'osservanza rigorosa di leggi precise, l’etimologia si riduce a un semplice gioco determinato dal
capriccio. Una schiera di studiosi si dedicò al compito allo spoglio delle lingue indoeuropee e allo studio
sistematico dei loro aspetti. La visione prospettica delle varie lingue dissipò le primitive impressione che il
sanscrito rappresentasse, se non la lingua originaria, almeno uno stadio molto vicino ad essa: si esaminò
con attenzione ogni testimonianza e si ebbe cura di registrare i dialetti vivi. Un fatto curioso da notare è
l'ostilità della filologia classica, che era allora al suo apogeo, nei confronti della nuova disciplina. I filologi
classici vedevano di malocchio questi intrusi che, basandosi sul lingue a loro sconosciute e su metodi che
essi non potevano controllare, esprimevano opinioni su fatti di grammatica greca e latina e che si davano ad
esplorare un terreno che essi consideravano loro esclusiva riserva. I filologi si ribellavano all'idea che lo
studio delle forme flesse in epoca moderna del greco e del latino, o l'esame di lingue lontane come
sanscrito e persiano o dei barbari dialetti della Lituania o della Scandinavia, potessero far progredire la loro
conoscenza di Platone e di Cicerone. L'ostilità era alimentata dal fatto che alcuni comparatisti capitava di
essere imprecisi e di costruire teorie su fatti non sufficientemente controllati. Solo alla fine del XIX secolo
filologi e linguisti prenderanno piena coscienza del reciproco interesse ad uno scambio delle rispettive
esperienze metodologiche. Durante questo periodo i comparatisti trascinati dal divorante ardore
romantico, accarezzavano la speranza di ricostruire, mediante la comparazione, uno stadio linguistico
primordiale che essi pensavano idealmente perfetto.
SCHLEICHER.

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Nella seconda generazione di comparativisti fu Schleicher, che si compiaceva di opporre il linguista al


filologo paragonando il primo al naturalista che comprende nel suo studio la totalità degli organismi
vegetali, mentre il filologo è simile al giardiniere che prodiga le sue cure soltanto a certe specie apprezzate
per il loro uso pratico ed il loro valore estetico. Egli considerava le lingue come organismi naturali che
nascono, crescono e si sviluppano secondo regole determinate, poi invecchiano e muoiono, mostrando
quella serie di fenomeni che si suole comprendere sotto il nome di vita. La linguistica assume così l'aspetto
di una scienza naturale ed egli tentava di definire le leggi con il rigore che caratterizza le leggi fisiche o
chimiche, e chiarire l'evoluzione delle lingue applicando le leggi di Darwin. Il prestigio di cui godevano le
scienze naturali doveva dar credito a questo modo di vedere e da allora si parla comunemente della
nascita, vita e morte delle lingue. Bisogna riconoscere a Schleicher due motivi di superiorità rispetto a Bopp:
un metodo più rigoroso e una curiosità più estesa. La concezione naturalistica della linguistica ebbe un
effetto salutare in quanto i linguisti di scuola schleicheriana si sforzarono di introdurre nelle loro ricerche
rigore e precisione ineccepibili, aprendo la via ai neogrammatici. Nei suoi studi sull'insieme delle lingue
indoeuropee Schleicher fu portato a schematizzare i dati acquisiti, convinto che lo sviluppo linguistico altro
non fosse che una lunga e ineluttabile degradazione, egli credeva di poter trarre dalla comparazione
conoscenze tanto precise da permettergli di ricostruire lo stato linguistico primitivo è di realizzare il sogno
caro ai primi comparatisti.
Il suo nome è strettamente legato a due imprese: una mirava a stabilire rapporti che uniscono le varie
lingue della famiglia indoeuropea, e l'altra a precisare un metodo di classificazione delle lingue del mondo.
Espose la propria visione della frammentazione dell’indoeuropeo disegnando il suo famoso albero
genealogico. L'unitaria lingua primitiva si era scissa in due lingue, una delle quali si era sua volta divisa in
due rami, il germanico da un lato e dall'altro il balto-slavo. Ciascuno degli elementi di questa suddivisione
metteva finalmente capo alle molteplici ramificazioni che si ritrovavano tra le lingue attestate in epoca
storica. Il più grosso dei due rami si chiamava ario-greco-italo-celtico, suddiviso poi in Ariano è in greco-
italo- celtico, suddivisi poi in italo-celtico, da cui si ramificato l'italico è il celtico, e il greco. Il metodo
consisteva nel supporre che tra l’indoeuropeo comune e le lingue acquisite fossero esistite varie tappe,
equivalenti ad altrettante unità linguistiche intermedie. Ciò offriva innegabili vantaggi didattici, ma portava
a stabilire separazioni troppo nette, e non rispondenti alla realtà storica. A questa ripartizione era possibile
arrivare solo mettendo in rilievo i fattori che la convalidavano e lasciando in ombra quelli che vi si
opponevano. La teoria ebbe molta fortuna e fu tacitamente accolta dai neogrammatici. Le lingue del
mondo furono classificate in: isolanti, agglutinanti e flessionali; basati su criteri interni, propriamente
linguistici, e sulla struttura morfologica delle lingue. Alla prima classe appartiene il cinese: le parole sono
giustapposte e i rapporti grammaticali vengono espressi dall'ordine delle parole, dalla loro intonazione e da
termini grammaticali privi di significato proprio. Nelle lingue agglutinanti, il turco, i rapporti grammaticali
sono espressi mediante l'agglutinazione dei vari elementi alla radice. Nelle lingue flessionali, lingue
indoeuropee, i rapporti grammaticali vengono indicati da modificazioni della forma stessa della parola. Egli
pensò di includere le tre classi in un ciclo evolutivo che andava dallo stadio isolante a quello flessionale
passando per lo stadio agglutinante. Ognuna delle lingue conosciute nel mondo si troverebbe in uno dei tre
stadi a seconda del momento evolutivo. La classificazione tripartita si spostava così dal piano statico a un
piano dinamico e diveniva il principio di una teoria generale delle trasformazioni linguistiche; lo sviluppo
delle lingue era visto dispiegarsi da uno stato primitivo fino uno stato evoluto in cui i rapporti tra le parole
sono indicati dalla flessione della lingua, che appare come uno strumento più duttile e meglio idoneo a
rendere tutte le sfumature del pensiero. Ma in base a quali principi si può decidere che uno stato di lingua
sia più perfetto di un altro. Come mai lo stesso Schleicher, fermamente convinto che l'evoluzione linguistica
fosse una lunga decomposizione poté concepire l'idea di un progresso costante nello sviluppo della
struttura delle lingue? Egli pensava che la vita delle lingue si divida in due parti: una parte ascendente,
periodo preistorico, è una parte discendente, periodo storico, il periodo storico comincia prima dell'epoca
dei documenti, nessuna lingua è attestata nel suo stato di perfezione ideale. L'idea di un'evoluzione dei tipi
di struttura non regge a un esame attento. Volgarizzata da Müller la teoria della tripartizione delle lingue ha
avuto una notevole fortuna, giacché offre un comodo filo conduttore a chi voglia dispiegare lo straordinario
groviglio delle innumerevoli lingue umane. Ma la linguistica è scienza dell'uomo e non della natura, le
scienze umane non tollerano le rigorose schematizzazioni. In realtà la situazione delle lingue del mondo è
molto più complessa di quel che immaginassero i promotori di questa primitiva classificazione. Il cinese,

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tipo isolante, in cui le parole consistono generalmente d'una sola sillaba, per differenziare i monosillabi usa
un gioco di intonazione il cui numero varia da 4 a 9 secondo i dialetti, uno stesso monosillabo può avere
differenti valori a seconda della sua intonazione. Si è potuto dimostrare che questo sistema di toni è
strettamente legato all’iniziale della parola e in particolare a un procedimento di derivazione per mezzo di
prefissi, successivamente scomparso; non è da escludere che il cinese arcaico abbia conosciuto dei suffissi
costituiti da una consonante finale, ciò significa che anticamente le parole cinesi non erano invariabili e che
la lingua era allora piuttosto di tipo agglutinante, se non flessionale. Le lingue indoeuropee antiche che
meglio hanno conservato la flessione mostrano tracce d'una fisionomia completamente diversa. Nessuna
lingua corrisponde rigorosamente ed esclusivamente ai principi che sono alla base di questa classificazione.
Uno schema del genere si può tracciare soltanto a patto di insistere su caratteri considerati decisivi
tralasciando tutti gli altri che vi contrastano. Considerando l'inglese moderno si constaterà che questa
lingua nel corso della sua evoluzione storica, sia stata portata a respingere due delle maggiori
caratteristiche del gruppo indoeuropeo: il sistema sflessionale e la distinzione tra nome e verbo. Le forme
verbali sono quasi invariabili. Una parola come love è al tempo stesso nome e verbo è il procedimento
cosiddetto della conversione. Questi tratti accostano l'inglese e alle lingue agglutinanti o isolanti prova di
ciò è l'esistenza delle pidgin English, lingua franca di marinai e commercianti dell'estremo oriente, della
quale qualcuno ha detto che si tratta di un cinese in cui le parole sono inglesi. La combinazione è stata
possibile grazie all'affinità strutturale dei due idiomi, in cui la grammatica è ridotta ai minimi termini.
L'ORIGINE DEL LINGUAGGIO.
La grande speranza dei primi comparatisti era di poter ricostruire uno stato di lingua primitivo, per risalire
in tal modo all'origine del linguaggio umano. Gli insegnamenti del metodo comparativo permisero di
affrontare il problema su basi serie: i tentativi fatti da Bopp, è la teoria schleicheriana della primitività del
tipo isolante parvero dare alla ricerca un fondamento scientifico. Si cercò di trovare l'origine del linguaggio
nell'uso di economato perde, nella funzione delle interruzioni, nell'accompagnamento acustico di gesti
espressivi, gesti acustici, i quali poi sarebbero divenuti indipendenti dai gesti e sarebbero stati usati in modo
sempre più perfezionato. S’ipotizzarono associazioni auditive accidentali che poi si sarebbero fissate. Si
pensò a un intervento di carattere soprannaturale o a un’apparizione spontanea, si giunse a interrogare il
linguaggio degli animali chiedendosi se il linguaggio dell'uomo non rappresentasse uno stadio perfezionato.
L'osservazione del modo in cui il bambino impara a parlare non ci aiuta perché procede per imitazione. Il
paragone con i primitivi è illusorio, poiché le lingue chiamate primitive hanno una tradizione antica come la
nostra. Quale che sia l'interesse e la verosimiglianza delle teorie proposte, che si tratta sempre di
congetture non verificabili. Il linguista per i tempi passati deve attenersi a testimonianze scritte: i documenti
più antichi risalgono al IV millennio a.C., e da circa 2500 anni abbiamo degli scritti più numerosi e variati.
Questi scritti coprono una piccolissima parte della storia dell'umanità, permettendo di accedere ad uno
studio linguistico che è il risultato di una lunga evoluzione.
HUMBOLDT.
Humboldt fu attratto dei lavori di Bopp e dei nuovi orizzonti dischiusi dalle sue scoperte. Si era reso conto
che il linguaggio, che è continua creazione, esiste in quanto manifestazione dello spirito umano: affermava
che linguaggio è l'organo creatore del pensiero, come i numeri ci aiutano a calcolare, così le parole ci
aiutano a pensare. Credeva che la forma interna della lingua fosse un elemento costitutivo fondamentale
dello spirito umano, ogni forma di lingua potesse quindi considerarsi una caratterizzazione del popolo che
la parla. Colpito dalle grandi differenze di struttura fra gli idiomi, sognava di istituire un rapporto tra la
mentalità e lingua di un popolo così che bastasse conoscerne una per dedurne l’altra. Abbozzo di una
psicologia delle razze. I caratteri somatici degli individui umani sono differenti per ciò che riguarda la parola:
un bambino fa propria la lingua dell'ambiente in cui si trova dall'infanzia. L'apprendimento di una lingua
dipende dal gruppo sociale nel quale un individuo vive. E’ importante non fare confusione tra razza e lingua,
la lingua può sembrare che rispecchi la mentalità nazionale. Ciò che noi chiamiamo nazione è un gruppo
sociale, insieme di individui uniti da interessi e tradizioni comuni, legami politici e culturali; il fattore razziale
non interviene. Per ciò che riguarda la lingua, non necessariamente essa fa parte degli elementi costitutivi
di una nazione. È innegabile che la vita di una stessa unità politica crea dei modi di vivere, degli
atteggiamenti, dei riflessi propri di un insieme di cittadini, che costituiscono la loro distinzione da altri
gruppi, che chiamiamo spirito nazionale.

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Humboldt dopo affermazioni di carattere teorico sui rapporti tra lingua e mentalità di un popolo, non si
preoccupò di tradurle in pratica, si dichiarò scettico sulla possibilità di classificare in maniera soddisfacente
le lingue, numerose è strutturalmente differenti, che si trovano sulla terra. Il suo insegnamento contò molto
per lo sviluppo della grammatica comparata; tuttavia per la parte più originale delle sue ricerche, lo studio
delle condizioni generali dei linguaggio, egli non ebbe discepoli e l'opera di linguistica generale che egli
aveva abbozzato venne ripresa molto più tardi.
WHITNEY.
Nemico d’ogni misticismo, considera il linguaggio (la cui funzione risponde a un disegno di comunicazione)
come un'istituzione umana e le parole come segni convenzionali. I linguisti del XIX secolo, in particolare i
neogrammatici, ansiosi di dare solide basi alla loro disciplina e preoccupati di stabilire precisi metodi
d’analisi, guardavano con diffidenza alle teorie generali e di Humboldt e Whitney, vedendo in esse delle
speculazioni metafisiche d’incerto fondamento, più che un tentativo di analizzare il meccanismo strutturale
della lingua.
I NEOGRAMMATICI.
A partire dal decennio '70-'80, la grammatica comparata tende a un nuovo orientamento; si abbandonano
le idee romantiche della purezza della lingua primitiva, e si rinuncia a voler dare una analisi della prima
genesi delle forme grammaticali. Ci si rende conto che la grammatica comparata non consiste nel mettere a
confronto le lingue attestate con un originario sistema ideale, ma e un procedimento per tracciare la storia
di lingue appartenenti a una stessa famiglia. Le varie grammatiche storiche in numero sempre maggiore
avevano prestato attenzione alle lingue vive, e lo studio di dettaglio si era notevolmente affinato, sul piano
della ricostruzione indoeuropea, che si avvertì la necessità di eliminare ogni elemento arbitrario e di
attenersi ad un metodo il più rigoroso possibile. Fu questo lo sforzo di un gruppo di studiosi che gli avversari
chiamarono Junggrammatiker, titolo che volentieri essi accettarono mostrando di esserne orgogliosi.
Consideravano la lingua come prodotto collettivo dei gruppi umani; il metodo positivo che essi applicarono
con rigore è mostrato dalla proclamazione delle leggi fonetiche e dalla fede nella loro azione cieca è
necessaria, le apparenti eccezioni erano spiegate con effetti d’analogia. Le conclusioni di quelle ricerche
furono condensate nei primi commi del Grundriss… che Brugmann e Delbrück pubblicavano tra il 1886 e il
1900. Il loro cavallo di battaglia fu la proclamazione delle leggi fonetiche, il cui prestigio fu avvalorato da
circostanze favorevoli. Il principio della regolarità dell'evoluzione fonetica era già stato affermato da Grimm
a proposito delle rotazioni consonantiche: si era cioè constatato che alle occlusive sonore e sorde
dell'Indoeuropeo corrispondono in germanico rispettivamente consonanti sorde e sorde aspirante, è che si
sviluppano regolarmente in ispiranti. Quando la consonante era in posizioni intervocalica, l’occlusiva sorda
Indoeuropea si mutava non in spirante sorda ma in una occlusiva sonora: Lat. Pater, Got. Fadar. C'erano
delle eccezioni alla regola, anomalie che sembravano giustificare la mancanza di precisione, il disprezzo per
l'uniformità e le acrobazie fonetiche di cui indubbiamente i primi comparati avevano talvolta abusato,
accadeva dunque che alla corrispondenza lat. Pater / got. Fadar si opponeva la coppia lat. Frater / got.
Bropar. Nel 1877 il danese Verner spiegava queste apparenti contraddizioni notando che la spirante sorda
viene conservata quando l'elemento vocalico che la precede era tonico nell’indoeuropeo. La dimostrazione
è importante perché quella che si credeva un’anomalia veniva a rafforzare la tesi della regolarità delle leggi
fonetiche; inoltre conferiva assoluto rigore al principio che la storia fonetica non si fa con le somiglianze ma
con sistemi di corrispondenze, il linguista non opera con dei fatti concreti più o meno omologhi, ma con
delle corrispondenze che possano reggersi su fatti eterogenei.
SASSURE.
L'articolo di Verner costituì un primo trionfo dei neogrammatici; un nuovo passo in avanti fu compiuto con
la pubblicazione di un lavoro destinato a consacrare in maniera definitiva e il prestigio della nuova scuola: il
celebre Mémoire … pubblicato da Sassure. Dei cinque timbri vocalici fondamentali dell'Indioeuropeo: a, e,
o, i, u, l’indoiranico ne ha conservati solo tre a causa di una tendenza generale a concentrare le articolazioni
verso il centro della volta palatina, le vocali medie e ed o si sono entrambe aperte in a. La parte svolta dal
sanscrito nella formazione della grammatica comparata aveva dato ai primi ricercatori l'impressione che
offrisse uno stato vicino alla lingua originale, ci si basava su di esso e sul greco nel ricostruire il fonetismo
indoeuropeo; Schleicher si appoggiava ingenuamente sul l'una o sull'altra lingua a seconda delle possibilità

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che esse gli offrivano di formare delle triadi: significa che il sistema vocalico era di tipo sanscrito (a/i/u),
mentre il sistema consonantico era di tipo greco (π/β/φ/ecc.). Finché si era considerato che il vocalismo
sanscrito rappresentasse il vocalismo primitivo, si era ritenuto che l’indoeuropeo conoscesse soltanto le
vocali a, i, u, e si era stati costretti ad ammettere che le vocali e e o delle altre lingue fossero derivate dal
processo di degradazione della lingua primitiva. Sin dal 1874, alcuni studiosi avevano espresso, in maniera
incerta e frammentaria, alcuni rilievi tendenti a riconoscere che una distinzione e / o / a poteva esserci
stata in indoeuropeo; fu Sassure a dimostrare la fondatezza di tali affermazioni e l'arbitrarietà dell'ipotesi di
una scissione di a in tre timbri e, o, a. Sassure metteva in chiaro anche un altro meccanismo: il gioco
delicato dell'alternanza grado pieno / grado zero nelle sonanti, confermava l'evoluzione ņ >a, l'evoluzione
sorprendente, perché in tal modo una consonante nasale si trasformava in una vocale orale. Posto dinanzi
al caso apparentemente insolubile di alternanza che sembravano estranee alla normale evoluzione e / o /
zero, Sassure suppose che in indoeuropeo esistesse un fonema (scewà indicato e capovolta) che si
integrava nel flessibilissimo sistema delle consonanti, ma che sarebbe comparso nelle lingue storicamente
attestate. Questa soluzione era in realtà una geniale divinazione, come fu poi mostrato dalla decifrazione
dell’ittita: in questa lingua si trovano effettivamente funzionanti quei fonemi di cui Sassure aveva presentito
natura e funzione.
MEILLET.
Il Mémoire ebbe un’azione decisiva sullo sviluppo della scienza linguistica. L'era dei balbettamenti è finita;
la grammatica comparata è ormai una disciplina rigorosa dotata di metodi precisi. Chiamato a Parigi
Sassure insegnò dal 1881 al 1891 all’Ecole pratique des hautes études. Il suo magistero diede alla scuola
francese un carattere peculiare e le conferì un prestigio che essa è riuscita a conservare grazie all'opera di
linguisti eminenti, il maggiore dei quali fu Meillet. A lui si deve una serie di volumi di gran pregio tanto per
la sicurezza dell'informazione, quanto per il presentare chiaramente fatti spesso intricatissimi. La sua
Introducion… è un libro fondamentale della linguistica classica.
FUNZIONE STORICA DELLA SCUOLA NEOGRAMMATICA.
Le ricerche della scuola neogrammatica erano considerate come uno dei trionfi del metodo positivo, tanto
che molti pensavano che tra le scienze storiche, la linguistica non fosse lontana dal ricongiungimento dello
stadio della perfezione. Tuttavia dalla fine del secolo XIX le basi stesse della grammatica comparata sono
cambiate notevolmente con i neogrammatici, i quali eccelsero nei lavori eruditi della tecnica comparativa;
essi si esaurirono spesso in studi di puro dettaglio, precisi ma aridi nell'esposizione, e tali che ci si può
chiedere se abbiano mai considerato le lingue che con tanta cura venivano studiando come cose diverse da
pezzi polverosi di museo. Essi non tentarono di affrontare problemi di linguistica generale e, limitandosi a
rifarsi a Hermann Paul che si era imposto come il teorico della scuola avendo cura di affermare che il solo
studio scientifico del linguaggio è quello storico. I neogrammatici, a causa di una troppo esclusiva fedeltà
alle concezioni meccanicistiche è per l'eccessiva importanza che attribuivano allo svolgimento
particolareggiato dei fatti, si rifiutarono di imboccare la via che portava all'edificazione di una teoria
generale del linguaggio. I primi fermenti di quello che sarebbe stato un rinnovamento della grammatica
comparata e della linguistica si manifestarono negli ultimi anni del secolo.
LA FONETICA.
In una dissertazione pubblicata nel 1891, Rousselot esponeva i risultati di un'indagine che aveva condotto
su una parlata viva, basandosi sull'esame più preciso possibile del fonetismo dei parlanti. Applicando allo
studio dei suoni della lingua i metodi sperimentali delle scienze fisiche e fisiologiche, creando una tecnica
strumentale d’analisi e di registrazione egli dà inizio alla fonetica moderna, che cerca di mettere
razionalmente a frutto i dati dell'esperienza, e respingere l'insegnamento per lo più libresco sul quale i
linguisti si erano sino allora basati. Tra i suoi allievi ricordiamo: Grammont, la cui tesi sulla discriminazione
consonantica finiva col rafforzare il concetto della regolarità delle leggi fonetiche, e Grégoire, primo ad
introdurre la fonetica in Belgio, fu l’iniziatore della linguistica infantile.
LA SEMANTICA.
Il termine semantica fu proposto nel 1883 da Bréal. "le leggi che governano la trasformazione dei significati,
la scelta di espressioni nuove, la nascita e la morte delle locuzioni sono state lasciate nell'ombra o vi si è
accennato solo di sfuggita. Poiché questo studio è ben indegno di avere un nome noi lo chiameremmo

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semantica cioè scienza dei significati". Ma tale disciplina non era nuova, sin dai primi dell'800 la grammatica
comparata si era potuta edificare basandosi su un esame approfondito delle parole comuni alle varie
lingue; prevaleva però l'interesse etimologico: lo si faceva solo per ragioni formali. Nei Prinzipien di Paul, un
capitolo era dedicato alle evoluzioni semantiche, studiate e classificate secondo i principi logici ereditati
dalla tradizione aristotelica: opposizione dell'astratto e del concreto, specializzazione, generalizzazione,
restrizione, slittamento e altre mutuati della tradizione retorica: metafora, eufemismo, ridotte, ecc.
L'originalità di Bréal consisteva nel partire dalla parola stessa per cercare di spiegare i processi semantici al
di fuori degli schemi prestabiliti. Il suo libro polemico contro le concezioni naturalistiche, ottenne un gran
successo tra il pubblico colto come tra i filologi; ma tra i linguisti veri e propri ebbe accoglienza discorde, fu
anche causa d'una fiammata di polemiche. Tuttavia era anch'egli l'uomo del suo tempo e il suo lavoro si
colloca sulla linea generale dei lavori dell'epoca per due tratti caratteristici: si occupa esclusivamente delle
evoluzioni di senso e rimane fedele alla concezione neogrammatica secondo la quale solo lo studio
diacronico può considerarsi disciplina scientifica; d'altra parte le diverse tendenze che sembrano spiegare le
evoluzioni semantiche sono presentate sotto forma di leggi. Nelle sue ricerche semantiche ricava la
constatazione che l'evoluzione linguistica non percorre mai "un cammino in linea retta" il che implica
conseguenze metodologiche gravi per tutto l'edificio, dalla facciata apparentemente solida, che i
neogrammatici avevano costruito basandosi su dati che avvaloravano le loro ricerche.
TEORIA DELLE ONDE.
Nella seconda metà del secolo XIX, la teoria dell'albero genealogico si era imposta. Tuttavia un discepolo di
Schleicher, Schmidt, si oppose a questa concezione semplicistica. Proponeva di sostituire l'immagine
dell'albero genealogico con quella delle onde che si propagano sulla superficie dell'acqua per la caduta di
un sasso è che si allontanano progressivamente e conentricamente dal loro punto di irradiazione finché non
si intersecano con le onde provocate dalla caduta di altri sassi. L'area di estensione di ciascuna è limitata da
linee (isoglosse) si incrociano fra di loro e formano un complicato intreccio di tratti dialettali. Sostituisce sul
piano spaziale il concetto di una continuità linguistica, per cui le aree dialettali di uno stesso dominio
originario si differenziano via via che si accentuano le distanze che separano e per effetto delle condizioni
politiche, religiose e sociali. Questa Wellentheorie lasciava in ombra molti fatti e non sospettava l'effettiva
complessità delle evoluzioni linguistiche. Gli studi successivi mostrano che per una parte non trascurabile
era ben fondata.
LA GEOGRAFIA LINGUISTICA.
Le dissertazioni di Rousselot avevano aperto la via alla creazione della geografia linguistica, diffusa, intorno
all’900, dal linguista francosvizzero Gilliéron. Nata dalla monumentale raccolta di ricerche che erano
condensate nell’Atlas linguistique de la France e traendo la propria linfa dallo studio dei dialetti vivi, studiò
la ripartizione geografica delle forme e delle parole, insieme alle loro aree di diffusione, e cercò di tracciare
i confini dialettali. Essa contribuisce fortemente a stabilire la storia delle parole considerandole non come
entità isolate, ma come elementi di un tutto; si è potuto dire che essa sia una geologia del linguaggio.
Rinunciando al concetto troppo semplicistico dell'analogia, la geografia linguistica studia l'ambiente in cui la
lingua ha le sue radici. Si constata la molteplicità delle linee isoglosse e la continua intersecazione dei loro
farci. Le osservazioni che vengono fatte sulla ripartizione delle parlate contribuiscono a infierire un colpo
fatale al dogma neogrammatico dell'infallibilità delle leggi fonetiche.
LE LINGUE CENTUM E SATEM.
La teoria dell'albero genealogico ebbe un'implicita consacrazione da parte dei neogrammatici che a essa si
rifacevano per la classificazione dei dialetti. Ma essi non si soffermarono sulle modalità della ripartizione
dialettale, e la sola isoglossa che trovasse posto era distinzione tra le lingue centum e le lingue satem,
secondo la forma presa dal nome del numero 100 in latino e in avestico. Il fenomeno fonetico su cui ci si
basava è un fatto banale di evoluzione fonetica: si tratta della tendenza alla palatizzazione che trasforma le
occlusive velari in fricative palatoalveolari o sibilanti. Le lingue dette centum costituivano un gruppo
occidentale e le lingue dette satem un gruppo orientale. All'inizio del 900 una missione francese trovò nel
Turchestan cinese alcuni testi, in parte produzione di opere religiose sanscrito, in parte documenti che
dimostrano l'uso corrente della lingua quell'epoca. Tale lingua fu chiamata tocario. Nel 1906 scavi tedeschi
trovarono nei pressi di Ankara gli archivi di impero la cui storia è rimasta sino allora sconosciuta, la lingua

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della maggior parte di quei testi era l’ittita. Prima della scoperta di queste lingue si ignorava che gruppi di
Indioeuropei avessero fondato intorno al II millennio a.C. un potente impero in Asia minore, mentre altri si
erano spinti verso oriente e avevano creato in Asia centrale una civiltà. Sarebbe sembrato naturale che
queste lingue rientrassero nel gruppo dei dialetti orientali, ma la loro decifrazione ne mostrò
l'appartenenza al tipo centum avendo affinità con lingue ad esso equidistanti. Le nuove testimonianze
linguistiche sconvolsero certe prospettive che si credevano affermate e rendevano possibile la formulazione
di nuove tesi sulla struttura dell'indoeuropeo.
I CONCETTI DI PROGRESSO E DI PERFEZIONE.
Nella seconda generazione dei neogrammatici, più di uno aveva cercato di innalzare la discussione
linguistica ad un livello d’indagine filosofica. Il fonetista danese Jespersen, sul piano dell'evoluzione
linguistica, tentò di fare del concetto di progresso il principio supremo di spiegazione. Conquistato dalla
filosofia evoluzionistica di Spencer, mosse guerra all'opinione che le lingue antiche rappresentassero uno
stadio superiore in confronto al quale le lingue moderne non erano che parenti povere. La sua tesi era che
nel corso della storia di una lingua il bilancio dei mutamenti mostra un’eccedenza di mutamenti progressivi
rispetto a quelli regressivi o indifferenti. Egli, affermando che le forme grammaticali, semplificate,
appesantiscano meno la memoria, essendo più corte richiedono un minor sforzo muscolare, la loro
formazione e il loro uso sintattico presentano meno irregolarità, fissare l'ordine delle parole genera
maggiore chiarezza. Concludeva che questo complesso di modificazioni rende le lingue moderne più
pratiche delle antiche, quindi più atte ad esprimere tutti gli aspetti della civiltà umana.
Al concetto dinamico di progresso corrisponde sul piano statico, la convinzione che sia possibile classificare
le lingue secondo un certo ideale di perfezione. È il tema che fornisce inesauribile alimento alle discussioni
tra comunità linguistiche vicine. È un fatto che la mentalità popolare trova facilmente da ridire sul conto del
vicino, di cui critica la lingua quanto i costumi; le parole prese in prestito hanno spesso una sfumatura
peggiorativa. Lo stesso vale per ciò che riguarda l'impressione acustica: un francese può trovare difficile o
sgradevole la pronuncia di una parola tedesca. La nozione di facile o difficile dipende soprattutto dalle
abitudini articolatorie e acustiche acquisite durante i primi anni di vita; l’amore del minimo sforzo fa spesso
sembrare poco naturale ciò che è soltanto insolito, che una lingua straniera ci sembri facile o difficile da
imparare in base alla distanza dal nostro sistema linguistico, richiedendo uno sforzo minore, è cosa ovvia,
ma è assurdo che queste considerazioni divengano un giudizio di valore. Che cosa c'è di più diverso del
greco omerico e l'inglese? Nulla però ci autorizza a confrontare queste due lingue in nome di un illusorio
criterio di perfezione. Chiunque abbia qualcosa da dire può trovare in ogni lingua lo strumento adeguato
per esprimere il suo pensiero. Non esistono criteri interni che permettono di stabilire la superiorità di una
lingua rispetto ad un'altra, esistono fattori esterni che creano una gerarchia tra le lingue, la fortuna delle
lingue dipende dalla fortuna dei gruppi umani che le parlano. Le lingue dei popoli colonizzatori hanno un
ruolo di lingue superiori rispetto a quelle degli indigeni. In senso opposto in campo religioso, una lingua
insolita, gode di grande prestigio, essendo usata come lingua sacra. La gerarchia delle lingue è un fatto
sociale e non linguistico, poiché si afferma per ragioni estranee alla lingua stessa.
FERDINAND DE SAUSSURE.
Nel 1878, il Mémoire di Saussure aveva indicato vie nuove alla grammatica comparata contribuendo allo
sviluppo che questa disciplina ebbe per opera dei neogrammatici. Tornato a Ginevra nel 1891, ebbe la
cattedra di storia e comparazione delle lingue indoeuropee, e dal 1906 vi affiancò l'insegnamento di
linguistica. Fu in questa veste che tenne tre corsi di linguistica generale. Già da molto tempo la sua
riflessione si era concentrata sull'elaborazione di una teoria globale del linguaggio, già dal 1894 si poneva
dei problemi riguardanti la classificazione logica dei punti di vista dai quali il linguaggio viene considerato.
Ma non scrisse mai questo libro che andava maturando in lui. Furono due suoi discepoli: Bally e Secheha,
che ricostruirono la sua opera. Ma non essendo stati suoi diretti alunni dovettero ricorrere ai quaderni
d’altri studenti per redigere i testi in modo coerente e disporli in un ordine che corrispondesse alle
intenzioni del mestro. Nel 1916 pubblicarono il Curs de linguistique général, destinato ad esercitare un
grande fascino con la sua eleganza geometrica e ad imporsi sin dagli anni 20 e divenire la chiave di volta
delle riflessioni sul linguaggio e la principale fonte ispiratrice dei lavori di linguistica generale.
Il linguaggio è un fenomeno estremamente complicato; per dominare la complessità e sfuggire alle
confusioni, abbandonò le ricerche erudite e minuziose e tentò di stabilire delle leggi generali, facendo una

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sintesi intelligente e solida di tanti lavori. Saussure ha creato un'opera straordinaria per l'ampiezza
d’orizzonti che dischiude ai ricercatori. Anche se quei principi s’intravedevano sin dall'antichità, egli ha
avuto il merito di esprimerli con chiarezza e presentarle in formule spesso dicotomiche ben definite,
integrandole in un sistema coerente. Da allora il dibattito intorno alle sue tesi non è mai cessato di esistere.
L'ARBITRARIETÀ DEL SEGNO.
La linguistica, dice Saussure, è una parte di una scienza generale più ampia, che egli chiama semiologia e il
cui compito è quello di studiare la vita dei segni nel quadro della vita sociale. È importante procedere
innanzi tutto all'analisi del segno. Esso è arbitrario: l'idea di bue non è legata intrinsecamente con la serie di
suoni b-u-e; potrebbe essere indicata da qualunque altro significante, come provano le differenze tra le
lingue. Il termine arbitrario vuol dire che è immotivato, vale a dire arbitrario il rapporto al significato. Le
onomatopee che sembrerebbero in contrapposizione con questo principio non sono che elementi organici
di un sistema linguistico e poco numerose, la loro scelta è in qualche misura arbitraria essendo
un’imitazione approssimativa e a metà convenzionale di certi rumori. Una volta introdotte nella lingua sono
trascinate nell'evoluzione fonetica, morfologica, ecc., subita dalle altre parole: prova evidente che hanno
perduto qualcosa del loro carattere primario assumendo quello del segno linguistico in generale, che è
immotivato. Vi sono dei casi in cui il segno può essere relativamente motivato, ma si tratta di una
motivazione morfologica e semantica che si manifesta in misure diverse secondo i sistemi linguistici. Il
termine segno ha dato talvolta una certa ambiguità al discorso di Saussure. In realtà egli poi sostituì il
termine concetto con significato, e immagini acustica con significante, riservando il termine segno
all'unione dei due. I significati costituiscono un dato che noi percepiamo attraverso i sensi, i significanti ci
sono imposti dal vincolo sociale all'interno di una comunità linguistica e formano tra loro un sistema di
relazioni. Il singolo vocabolo è arbitrario in rapporto al significato, ma non in rapporto al sistema.
LA LINEARITÀ DEL SIGNIFICANTE.
Il significante si svolge nel tempo e costituisce perciò un'estensione misurabile in una sola dimensione. Il
meccanismo della lingua dipende da questo principio, che è uno dei fattori che permettono di classificare i
segmenti linguistici. In opposizione coi segmenti visivi che possono offrire complicazioni simultanee su più
dimensioni, i significanti acustici non dispongono che della linea tempo: i loro elementi si presentano uno
dopo l'altro. Ciò risulta evidente nella rappresentazione scritta se si sostituisce la linea spaziale dei segni
grafici alla successione del tempo. In tal modo alle solidarietà d’ordine sintagmatico, cioè lineare, si
contrappongono solidarietà d'ordine associativo: Dix-neuf è solidale associativamente con dix-huit
soixante-dix, ecc. e sintagmaticamente con i suoi elementi dixe neuf…. questa doppia relazione gli
conferisce una parte del suo valore.
LA DUALITÀ “LANGUE” / “ PAROLE”.
Una distinzione fondamentale è quella tra la langue è la parole: langue è l'insieme dei segni che servono
come strumento di comprensione tra i membri di una stessa comunità linguistica, parole e l'uso che
ciascun membro fa della lingua per farsi comprendere. La lingua e un sistema in cui tutti i termini sono
solidali ed il valore dell’uno risulta dalla presenza simultanea degli altri, la parole e l'atto concreto ed
individuale in una situazione determinata. La lingua è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei
soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema grammaticale esiste virtualmente in ogni cervello
o nel cervello di un insieme di individui, viene concepito al momento stesso come una istituzione sociale e
sistema di valori. Questa definizione implica la supremazia della lingua rispetto alla parole. Separando la
lingua dalla parole si separa: ciò che è sociale da ciò che è individuale; ciò che è essenziale da ciò che è
necessario e accidentale. Lo studio del linguaggio comporta due parti: una che ha per oggetto la lingua,
sociale ed indipendente dall'individuo, studio unicamente psichico; l'altra che ha per oggetto la parte
individuale del linguaggio, la parole, la formazione, studio psicofisico. Questi due oggetti sono strettamente
legati e si presuppongono a vicenda: la lingua è necessaria perché la parole sia intelligibile; la parole è
indispensabile perché la lingua si stabilisca. Il parlare del singolo appare la forza motrice che fa evolvere la
lingua, unisce la linguistica diacronica e sincronica, che Sassure dichiara indipendenti.
IL VALORE DISTINTIVO DEGLI ELEMENTI LINGUISTICI.

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Nella lingua non vi sono che differenze, gli elementi acquistano valore solo in opposizione ad altri. Non è
una qualità propria e positiva a caratterizzarli, ma una qualità opposizionale e il valore differenziale. Il
meccanismo linguistico ruota tutto su identità e differenze.
L’ANTINOMIA SINCRONIA / DIACRONIA.
I comparatisti del’800, e i neogrammatici, scuola storica, intendevano per scienza del linguaggio solo lo
studio dell'evoluzione e della comparazione delle lingue. Sassure si oppone, affermando che lo studio
descrittivo della lingua può essere condotto con metodo scientifico quanto lo studio storico. Qui pone la
distinzione tra sincronia e diacronia e la divisione della scienza del linguaggio in due parti: linguistica
sincronica, che studia la costituzione della lingua in un dato momento; e la linguistica diacronica, che studia
le trasformazioni prodottesi nella lingua attraverso il tempo. Questi modi sono simbolizzati da un sistema
d’assi dove AB indica la simultaneità, e CD la successività.

A B
Egli nega il primato dell'asse CD, l'aspetto sincronico
C
domina sull'altro, poiché per la massa parlante e la
vera ed unica realtà. Egli nega l’esistenza di un rapporto diretto tra loro, e pensa che non sia lecito studiare
simultaneamente i rapporti nel tempo e nel sistema. Ad esempio l’anglosassone fōt “piede” al plurale
faceva *fōti; sopravvenne la metafonia e l’ō divenne ē, per un secondo mutamento l’-i finale cadde è la
forma popolare divenne fēt, mentre il singolare conservava la sua forma originaria.
Epoca A fōt fōti
Epoca B fōt fēt
nel senso verticale, ō è diventato ē per un processo che non ha provocato nessuna modificazione
morfologica; nei due momenti la formazione del plurale (fatto morfologico) avviene mediante meccanismi
differenti: nel primo l’aggiunta di una vocale, nel secondo la modificazione della vocale radicale, in una
parte per affissazione, l’altra per alternanza vocalica. Sul piano della diacronia l’Umlaut è un fenomeno
puramente fonetico che si attua fuori da ogni intenzionalità e interessa un unico termine, sul piano della
sincronia, nel momento B, si dà uno stadio fortuito e ci se ne impadronisce per fargli reggere la distinzione
tra singolare e plurale. Voler unire nella stessa disciplina dei fatti così disparati sarebbe dunque un'impresa
chimerica.
L'OGGETTO DELLA LINGUISTICA.
La linguistica ha per unico e vero oggetto la lingua considerata in se stessa e per se stessa. Ciò che viene
definito linguistico per eccellenza e la stessa cosa che in precedenza era stata chiamata linguistica interna in
opposizione a linguistica esterna; per far capire la differenza si rifà al gioco degli scacchi: il fatto che il gioco
sia passato dalla Persia in Europa e d'ordine esterno, ed è interno al contrario tutto ciò che riguarda il
sistema e le regole. Se sostituisco dei pezzi di legno con dei pezzi d’avorio, il cambiamento è indifferente
per il sistema: ma se cambio il numero dei pezzi, questo cambiamento investe profondamente la
"grammatica" del gioco. L'attenzione prioritaria data al sistema fa considerare secondari i fenomeni esterni.
I primi comparatisti volevano studiare la grammatica per se stessa, mentre i filologi non la consideravano
che un mezzo per avvicinarsi ai testi. Lo studio del linguaggio fu spesso incorporato in quello di altre
discipline e la sua analisi intrapresa con metodi di queste ultime; il filologo, il filosofo, lo storico, il critico
estetico dedicano parte della loro attività al linguaggio, ma non per questo essi fanno della linguistica.
LA LINGUISTICA DEL NOVECENTO.
Il Cours ebbe grande risonanza e alcuni vedono nella sua pubblicazione l'atto di nascita della linguistica
moderna. Con Sassure si è passati dall'osservazione empirica e dalla mera raccolta di fatti allo studio dei
rapporti che essi hanno all'interno del sistema linguistico. Tuttavia, delle dottrine sul linguaggio
cominciarono ad essere elaborate sin dall'inizio del secolo, prima che il pensiero saussuriano fosse reso
pubblico; quando furono conosciute tali teorie continuarono a svilupparsi sia in riferimento al Cours sia in
maniera del tutto indipendente, o combattendolo decisamente.
LA SCUOLA GINEVRINA.

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I seguaci di questa scuola cercarono di restare il più fedele possibile agli insegnamenti e allo spirito di
Saussure. I principali esponenti sono stati Bally e Sechehaye. Lavorando intorno al problema del rapporto
tra pensiero è sua espressione linguistica, Bally ha rinnovato la stilistica, definendola come lo studio degli
elementi effettivi del linguaggio e dedicando la sua attenzione alle deviazioni che l'uso individuale tende ad
imporre al sistema; la sua opera, che egli colloca sul piano della sincronia, è notevole sia per il rigore logico
sia per l'uso estremamente sfumato dei procedimenti adottati. Sechehaye è stato essenzialmente il teorico
del gruppo di Ginevra; ha esplicitamente proclamato la sua dipendenza da Sassure, proponendo un metodo
grammaticale (analisi psicologica del pensiero) che tende a far penetrare effettivamente nell'insegnamento
le concezioni del maestro. Un carattere comune ai linguisti di questa scuola è la preoccupazione costante di
esplicare e far comprendere i principi del Cours che negano di voler considerare dogmi indiscutibili. La
scoperta di note manoscritte di Sassure, e di quaderni di studenti che non erano stati utilizzati dagli editori
del Cours, ha permesso a Godel di pubblicare una opera importante che prelude all'edizione critica di
Engler. Non si tratta di una risistemazione dell'edizione originale ma di un confronto con tutte le fonti che
abbiamo a disposizione; oltre agli appunti degli studenti vi si trovano appunti o estratti di corsi rinvenuti in
seguito e delle annotazioni personali.
LA FONOLOGIA.
La fonetica studia i suoni del linguaggio umano sia sotto l'aspetto articolatorio (formazione) sia sotto
l'aspetto acustico (audizione). Sin dai primordi scienza di osservazione si è notevolmente perfezionata da
quando si sono applicati i metodi sperimentali. Nel 1916 nel circolo linguistico di Praga, un gruppo di
linguisti, considerando che la fonetica pur avendo fatto grandissimi progressi si era gradualmente
allontanata dalla linguistica, ha elaborato un metodo diverso per studiare i suoni del linguaggio. Al primo
congresso internazionale dei linguisti, Aja 1928, Jakobson, Karcevskij e Trubeckoj presentavano la loro
proposizione 22, atto di nascita della nuova disciplina con il nome di fonologia. Vi si trattava delle differenze
significative che caratterizzano gli elementi d’ogni sistema fonologico e della loro correlazione cronologica,
costituite da serie di opposizioni binarie. Partendo dal principio che ogni scienza deve essere generale, i
seguaci di questa scuola hanno voluto far rientrare la fonetica nel quadro della linguistica staccandola
dall'esame dei fatti individuali di parole per applicarla allo studio generale della lingua; mentre la fonetica e
lo studio dei suoni della parola, la fonologia appare come lo studio dei suoni della lingua, l'accento viene
posto sul rapporto tra il suono o complesso di suoni e il suo significato. La fonetica studia quello che si
pronuncia in realtà, che varia da individuo a individuo è persino all'interno dello stesso uso individuale; la
fonologia studia ciò che si ha coscienza di pronunciare o di sentir pronunciare, costante all'interno di una
stessa comunità linguistica. Molto più importante come base teorica per i promotori della fonologia fu
l'insegnamento saussuriano, che aveva preparato il terreno con la distinzione langue / parole, e con
l'affermazione: nella lingua non esistono che differenze. La fonetica e la scienza dell'aspetto materiale dei
suoni del linguaggio umano, la fonologia considera, il fatto di suono, solamente ciò che adempie una
funzione determinata nella lingua. Come si possono studiare i suoni della lingua? I fonetisti hanno a
disposizione degli oggetti suscettibili di esperimento, che sono atti concreti di parola, emessi da individui,
che essi possono analizzare e misurare, aiutati in questo dalla tecnica perfezionata dei laboratori. Nessuno
di questi vantaggi è dato al fonologista: come potrebbe studiare i suoni di qualcosa che non esiste o di
qualcosa che non ha alcun aspetto materiale? Di fronte all'impossibilità di dedicarsi a uno studio positivo
dei suoni della lingua, occorreva tentare di procedere in maniera negativa, cercando di descrivere ciò che i
suoni non sono, ciò con cui non si confondono. Facendo ricorso al criterio delle opposizioni funzionali: nel
sistema costituito da una lingua, essi si interessano ad un fonema solo in quanto esso abbia un ruolo
funzionale, quali differenze storiche sono legate a differenze di significato. La scienza fonica a perso quel
carattere di universalità che possedeva quando si limitava a studiare i fatti di parola. Ogni lingua ha un
proprio sistema fonico e il gioco delle opposizioni che ne formano la struttura differisce dall'una all'altra.
Mentre è possibile costruire un quadro fonetico dei suoni del linguaggio umano, è necessario stabilire tanti
quadri cronologici quanti sono i diversi idiomi del mondo. Esaminando il caso dell'opposizione tra sorda e
sonora; la fonetica c’insegna che la differenza tra p e b deriva dal fatto che il secondo fonema e pronunciato
con una corrente d'aria che fa vibrare le corde vocali. La fonologia non si rifà a queste spiegazioni e se
ammette che in francese o italiano i due fonemi sono differenti, lo mette in virtù della loro funzione
differenziativa, per il fatto che questa opposizione permette di distinguere tra concetti diversi, pollo bollo,

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donde il valore funzionale dell'opposizione fonologica p/b. Vi sono delle lingue in cui la differenza tra sorda
e sonora non ha alcun valore funzionale perché non permette di distinguere nessuna coppia di parole. In
basso circasso ci sono tre valori vocalici: un primo tipo di apertura minima, che si realizza sia come i, sia
come ū, sia come u; secondo tipo, di apertura media, che si realizza sia come e, sia come æ, sia come o; in
terzo tipo, di apertura massima, che si realizza come a. Queste variazioni sono condizionate dall'ambiente
storico, per un estraneo ha l'impressione di sentire degli i e degli u, degli e e degli o, ma gli indigeni non
percepiscono che un solo elemento importante della vocale, il grado di apertura. Dal punto di vista
funzionale, per il timbro vocalico può cambiare, entro i limiti di una apertura costante, senza originare
differenze. Nella scrittura usano tre lettere per indicare i tre fonemi vocalici. Questo sistema vocalico
comporta tre gradi di apertura che formano una opposizione distintiva, funzionale, ma nell'ambito di
ciascuna apertura le variazioni di timbro sono inpercettibili, condizionate, e formano quindi un opposizione
non distintiva, opposizione fonetica ma non fonologica; l'apertura è quindi un segno di correlazione
pertinente, mentre il timbro è una caratteristica non pertinente. Questo modo in cui Trubeckoj ha
presentato i fatti è stato contestato, nuove ricerche hanno fatto piuttosto pensare un sistema bivocalico, o
anche monovocalico. Nella definizione del fonema proposta: il fonema e l'insieme delle particolarità
fonologicamente pertinenti richieste da un'immagine fonica; il fonema non coincide con un'immagine
fonica concreta, ma soltanto con le particolarità di essa, perché un fonema possa essere riconosciuto, è
necessario che si distingua in opposizione ad altri. Un’opposizione basta ad individuare lo stesso fonema
anche nei casi in cui non ci sia un’opposizione differenziativa. Questo modo nuovo di considerare i suoni di
linguaggio trovava la sua giustificazione fisiologica nei dati della fonetica tradizionale. Il linguaggio
dell'uomo non è una necessità organica poiché utilizza organi che hanno altre funzioni. Ciò che importa nel
linguaggio non l'emissione precisa dei fonemi, ma la possibilità di utilizzare delle opposizioni, perché a un
fonema non si richiede di essere strettamente conforme al fonema più comunemente usato dalla
collettività linguistica, bensì di essere sufficientemente differenziato degli altri fonemi usati da colui che
parla. La fonologia ha avuto il merito di provocare un rinnovamento del pensiero linguistico, e ha anche
rinnovato le prospettive della grammatica comparata e storica tradizionale. L'analisi della catena parlata in
unita distintiva chiarisce in maniera sistematica il ruolo funzionale dei fonemi. Per esempio nel principio
dell'alternanza, che ha una parte rilevante nella maggioranza delle lingue sia sul piano semasiologico sia su
quello morfologico. Ogni disciplina può trarre profitto dall'applicazione di principi che mostrano come la
fonologia della lingua poetica differisca da quella della lingua parlata contemporanea. In un primo tempo i
fonologisti hanno condotto le loro ricerche essenzialmente su singoli stati di lingua, quadro sincronico.
Dopo la loro affermazione compresero l'interesse dell'applicazione linguistica evolutiva dei metodi della
nuova disciplina. Non si fa più la storia di forme particolari senza riportarsi al sistema in cui quelle forme si
integrano. Viene così espressa la nozione dell'equilibrio che regola i rapporti tra le varie tendenze che si
controbilanciano. Il fine per cui si effettuano dei mutamenti è un problema che va posto; e la fonetica si
trasforma così in storia dell'evoluzione di un sistema fonologico. Solo di recente la fonetica è la fonologia
hanno cominciato ad essere considerate come i due lati di una stessa cosa. La fonologia diacronica ha preso
avvio negli anni successivi la seconda guerra mondiale, rivolgendosi ai linguisti tradizionali per far capire
loro che e indispensabile rimettere la fonetica storica nel suo quadro funzionale. Principale promotore è
stato Martinet che ha esposto i fondamenti e i motivi della collaborazione che occorre stabilire tra questi
rami della scienza linguistica. Con économie Martinet intende sia il principio di minimo sforzo, sia quello
dell'organizzazione interna: in virtù di quest'ultimo gli equilibri hanno tendenze antinomiche fondamentali
che egli rileva tra i bisogni comunicativi ed espressivi dell'uomo e la sua tendenza a ridurre al minimo la
propria attività mentale e fisica. Egli vede anche nell'inerzia e nell’asimmetria degli organi di formazione
una ragione decisiva per cui l'equilibrio non raggiunge mai una simmetria completa. Alla nozione
teleologica di armonia adottata dai primi fonologisti, egli sostituisce quella della tendenza del sistema alla
stabilità, mediante l'integrazione dei fonemi; in quanto i fonemi isolati, che appaiono poco stabili, tendono
a scomparire o a trovarsi un correlativo.
LO STRUTTURALISMO.
Il metodo elaborato dai fonologisti per poter esaminare da un angolo visivo originale il sistema e il
comportamento dei fonemi - parallelismo tra il piano del contenuto, concreto, è il piano dell'espressione,
forma - è stato applicato all'insieme degli aspetti della lingua, considerata come una struttura formata da

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una rete di elementi aventi ciascuno un determinato valore funzionale. Gli strutturalisti mettendo in atto la
formula che chiude il Cours, il solo e vero oggetto della linguistica è la lingua considerata in sé e per sé,
rifacendosi alla nozione dimensionale dei segmenti linguistici, hanno compiuto uno sforzo rilevante per
spiegare la lingua mediante se stessa. Si sono dedicati a un attento esame delle relazioni, nulla è isolato in
tutto c'è una porzione di tutto, che unisce gli elementi del discorso. In materia di linguaggio, A+B è diverso
da B+A ed il tutto è più della somma delle parti. Saussure paragona la lingua al gioco degli scacchi: in
entrambi i casi ci troviamo dinanzi a un sistema di valori e si assiste, alle loro modificazioni; nel gioco degli
scacchi lo spostamento di un pezzo modifica l'equilibrio di tutta la scacchiera; allo stesso modo la lingua
non è un agglomerato di elementi eterogenei, bensì un sistema articolato in cui tutto si tiene insieme, tutto
è solidale e ciascun elemento trae il proprio valore dalla sua posizione strutturale. Gli strutturalisti, si
disinteressano dei fatti di evoluzione, e si dedicano alla sincronia. Alcuni rimangono fedeli ai concetti della
grammatica generale, altri separano nettamente forma e sostanza, altri ancora spingono l'astrazione a tal
punto da interessarsi solo del sistema, indipendentemente dalla sua manifestazione concreta.
Riallacciandosi alla tradizione antica Brøndal ha cercato di ritrovare nel linguaggio i concetti della logica,
elaborati da Aristotele sino ai logici moderni. Si è sforzato di spiegare i fatti di struttura morfologica
riportando le categorie in cui essi si esprimono a relazioni fondamentali ordinati in quadri ben determinati.
Partendo dal principio della binarietà funzionale, distingueva un negativo e un positivo, designanti un
opposizione di qualsiasi genere, singolare / plurale o preterito / presente, ai quali si aggiunge un terzo
termine, neutro o zero, né negativo né positivo; oltre a questi tre termini ce ne sarebbe un quarto: il
complesso, al tempo stesso negativo e positivo. Il gioco dei termini così definito permette molteplici
combinazioni in cui egli scorgeva la base dei sistemi morfologici. La sintagmatica di Mikuš si basa sull'analisi
che l'enunciato è diviso in modo più o meno artificioso al fine di ottenere strutture binarie. Jakobson
concepisce le unità distintive del linguaggio come combinazioni di tratti legati da rapporti strettamente
binari, e riduce le opposizioni pertinenti documentate nelle lingue del mondo a dodici opposizioni binarie
che si ritroverebbero in ogni sistema linguistico. Ad una simile rappresentazione dei fatti si arriva solo a
patto di considerare certi caratteri come essenziali e imprescindibili, e trascurare altri in quanto secondari o
ridondanti. Ma non tocca alle lingua conformarsi alle prescrizione dei linguisti ma tocca ai linguistica
adeguare i loro metodi. Guillaume rifacendosi all'insegnamento saussuriano ha cercato di dar forma alla
psicosistematica, parte nuova della linguistica che sarebbe riservata allo studio dei sistemi. Egli ha
energicamente attaccato la linguistica tradizionale positiva, che volendo abbracciare troppo da vicino il
reale, si vieta di vederlo nella sua interezza, dato che il reale si estende assai più in là di quanto ricade sotto
l'osservazione diretta. La psicosistematica studia integrazioni di serie di morfemi; mentre i morfemi si
lasciano studiare nella concretezza del discorso, lo stesso non accade per i sistemi, ai quali si può giungere
solo mediante una operazione di pensiero che esce dal campo dei fatti constatabili direttamente. I sistemi
non hanno significanti: il che vuol dire che essi restano fuori dall'osservazione diretta ed possibile coglierlo
solo mediante un unione delle sottili osservazioni del concreto con una profonda riflessione astratta.
Continuazione fedele di quest'opera si trova nei lavori di Valin che si serve di un linguaggio logico-
geometrico per esporre le sue sottigliezze della psicomeccanica. La teoria strutturalista più vigorosa e
articolata è la glossemantica di Hjelmslev, abbozzata già nel 1928 e approfondita poi nei numerosi studi di
dettaglio. La scelta del nuovo termine mostra come l'autore abbia voluto fare tabula rasa delle speculazioni
precedenti ad eccezione di Saussure. La glossemantica, che mira a sottrarre la scienza linguistica a ogni
apprezzamento soggettivo, si sforza di stabilire una specie di algebra del linguaggio: una rete di definizioni
che formi un sistema che possa servire da modello per la descrizione di idiomi particolari. Considerando la
lingua come una totalità autosufficiente che possiede una struttura, insiste fortemente sulla distinzione: la
lingua è una forma e non è una sostanza; egli parla di due piani della lingua: il contenuto e l'espressione,
che entrambi hanno una precipua forma e sostanza. Precisa che la forma linguistica e indipendente dalla
sua sostanza in cui si manifesta. La forma non si può riconoscere e definire se non ponendosi sul terreno
della funzione. La sostanza finché non si strutturalizza resta una massa amorfa. Definisce la struttura di una
lingua come una rete di dipendenze, più precisamente una rete di funzioni. È struttura un'entità autonoma
di dipendenze interne. Concentrando l'attenzione sul sistema in se si arriva a costruzioni astratte, che al
minimo passo falso nel ragionamento possono trasformarsi in speculazioni artificiali senza rapporto con le
basi concrete della nostra conoscenza. Nel lodevole intento di precisare le sue idee e di darne un'immagine
più fedele possibile, Hjelmslev si è creato una terminologia particolare che dà un aspetto ermeneutico alle

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sue ricerche, termini nuovi si trovano accanto a parole notte ma usate in senso inconsueto. Il rischio di
simili procedimenti e di favorire un certo verbalisismo che potrebbe sostituirsi alle conoscenze ricavate.
Questo pericolo non esiste per Hjelmslev, che avanza idee teoriche sul linguaggio solo dopo averne
approfondito i vari aspetti, così pure Guillaume, quando definisce il suo metodo come unione tra
osservazione del concreto e riflessione astratta, avendo cura di specificare che l'ultima parola spetta
all'osservazione, che è la sola qualificata a decidere circa la vera natura delle cose, dato che il ruolo della
riflessione, nell'unione che essa contrae con l’osservazione, non è affatto quello di decidere in vece sua, ma
di guidarla, di renderla più sottile, più penetrante. Ciò che v'è motivo di temere è che discepoli troppo
zelanti, inconsciamente suggestionati da formule che non sono state elaborate né controllate da loro stessi,
si lascino andare a sostituire una riflessione linguistica solida e fecondo con speculazioni puramente
artificiali in quanto sprovviste di basi concrete. Un altro pericolo è che la lingua tende a essere considerata
come un dato staccato dalle contingenze umane. Si arriva a speculare non più sui fatti e sui diversi aspetti
offerti dall'osservazione diretta, ma sulle deduzioni che si sono ricavate, sugli schemi che si è creduto di
poter stabilire in base al rapporto reciproco nel sistema. La linguistica si allontana da quel fatto
essenzialmente umano, vivo e multiforme che il linguaggio, e rischia di divenire un concenttualismo
formalistico rinchiuso nel campo della speculazione intellettuale. Si giunge così a questa constatazione
paradossale: che delle teorie linguistiche date da una ispirazione sociologica ed elaborate avendo di mira i
stretti rapporti che uniscono il linguaggio e la società, hanno finito col portare i ricercatori ad uno sbocco
distante dalla concezione iniziale. Non sapremo immaginare teorie tanto lontane dalla realtà sociale quanto
le speculazioni puramente astratte delle quali si compiacciono certi seguaci delle dottrine strutturaliste.
Se la sistematizzazione predicata da certi strutturalisti può sembrare eccessiva, e giusto riconoscere che una
sintesi sistematica era divenuta necessaria. La complessità e l'intensità di una materia così ricca e sfuggente
avevano causato la fioritura di un gran numero di ricerche su punti particolari e frammentari; ma questi
lavori venivano compiuti in maniera varia e dispersa, testimoniando una singolare povertà quanto a idee
generali. Perciò alcuni teorici hanno ceduto al bisogno di fare una sintesi dei molteplici aspetti del
linguaggio e siano stati così indotti a sposare concezioni metafisicheggianti o a prendere in prestito i
procedimenti della logica simbolica. Su questa via s’era messa la psicosistematica di Guillaume, ma si
appoggiava a un solido fondo di conoscenze precise dei fatti linguistici. Ugualmente linguisti come De Groot
e Tesnière hanno introdotto i metodi strutturalisti nello studio della sintassi. Linguisti americani si sono
spinti a speculazioni che rimangono staccate dalla realtà. Harris, il cui metodo di analisi è una costruzione
logico-matematica priva di stabile fondamento, limita le proprie ricerche ai problemi di distribuzione: la
libertà che hanno le parti dell'enunciato di trovarsi l'una in rapporto all'altra, e conduce quest’analisi su
elementi fonici e su elementi morfologici, eliminando il significato. Pike, partendo dal principio della
distribuzione, ha conservato il contatto con il concreto. Conoscitore delle lingue degli autoctoni americani è
convinto dell'importanza del contesto culturale, egli propose, col nome di tagmemica, un tipo d’analisi
linguistica che colleghi la fonologia con la funzione e con il significato. Chomsky fece un’analisi profonda
della struttura grammaticale, con la formalizzazione dei livelli linguistici secondo i metodi della logica
formale. Trascendendo il distribuzionalismo: proprietà che hanno gli elementi del discorso di combinarsi tra
loro, e tenendo conto solo della forma, si possono realizzare schemi linguistici di valore ambiguo. Lui ha
elaborato una teoria trasformazionale facendo ricorso a tal senso: due strutture sintattiche formalmente
identiche sono diverse se non ammettono le stesse trasformazioni. Chomsky si è fatto promotore della
grammatica generativa: scoprire i principi a partire dei quali si può non soltanto rendere conto dei fatti
realizzati nel discorso ma anche costruire dei modelli ipotetici di tutte le frasi possibilità di una lingua, che
sono enunciati nucleo stabili, imposti dalla nostra costituzione mentale e che sono da attribuire alla
struttura profonda della lingua da cui deriva la struttura superficiale ottenuta con delle trasformazioni. E’
una concezione teorica della linguistica che si oppone a quella tassonomica, che consiste essenzialmente
nel classificare i dati osservati nella loro attualizzazione. Chomsky ammette il carattere innato delle regole
grammaticali, ammettendo che le sue ricerche abbiano tratto vantaggio dal lavoro compiuto dalla
linguistica tradizionale. Ma in quale misura regole tratte da schemi sintattici propri delle lingue europee
possono applicarsi a sistemi d'altro tipo. Questi metodi maneggiati da teorici che poco conoscono i fatti
concreti che insegna la linguistica storica, rischiano di degenerare in un gioco gratuito di combinazioni
dogmatiche. La teoria dell'informazione che gli studi di linguistica matematica hanno fornito alle ricerche
sul vocabolario delle indicazioni interessanti. Zipf ha dimostrato che, se si classificano le parole di un testo

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secondo l'ordine di frequenza decrescente, il prodotto del rango occupato nella lista per la frequenza e
approssimativamente costante (l'equazione di Zipf r*f). Studi successivi indicano che questa equazione è il
rapporto con la struttura fonica e il senso delle parole. Partendo da basi statistiche Greenberg tenta di
scoprire delle costanti del linguaggio umano, che egli chiama universali linguistici, indipendenti dalla
diversità delle manifestazioni del linguaggio, teoria utile negli studi tipologici. La linguistica applicata a
tratto grande profitto dalle ricerche degli strutturalisti: sia per l'elaborazione di metodi di insegnamento
usati nei laboratori linguistici, sia per l'attuazione della produzione automatica. Le esigenze della
programmazione hanno dato un impulso non trascurabile a certe correnti teoriche come la grammatica
generativa. L'impiego di metodi matematici, di cui nessuno può negare la legittimità e l'utilità, fa nascere
delle illusioni sulla taratura della linguistica: il libro Language di Whatmough unisce le reminiscenze
umanistiche ad un’aperta ammirazione per le conquiste della tecnica scientifica e vuole mostrare che la
linguistica va considerata tra le scienze della natura. Il vecchio mito schleicheriano non è morto. La statistica
linguistica, che all'inizio veniva contenuta nei limiti della descrizione sincronica delle lingue è stata estesa
alla diacronia. Nasce così la glottocronologia di Swadesh, ribattezzata poi lessicostatistica, che si propone di
calcolare la data della separazione di due o più lingue imparentate, fondando i calcoli sull'ipotesi che la
sostituzione di una serie di significati con un'altra nel corso della storia avverrebbe secondo ritmo costante
e si esprime in una certa percentuale per ogni periodo di mille anni. È deludente constatare che questo
metodo, concepito per la classificazione delle lingue amerindiane, lingue senza storia, si rivela fallimentare
quando si applichi a lingue con una storia. Le preoccupazioni di non lasciarsi prendere da giochi sterili di un
gratuito intellettualismo ha provocato salutare reazione fra gli strutturalisti. Martinet e riuscito a gettare un
ponte tra la grammatica comparata tradizionale e le nuove concezioni: è tempo che i linguisti prendano
coscienza dell'autonomia della loro disciplina e si liberino dal complesso di inferiorità che li porta a far
discendere ogni loro passo da qualche grande principio filosofico. Il suo Eléments de linguistique générale,
insiste sulla necessità di collegare fra loro la speculazione pura e l'utilizzazione dei dati in modo da stabilire
un equilibrio tra la teoria e la pratica. Buyssens in un lavoro che mira a inglobale la linguistica nella
simbologia così come l'aveva concepita Saussure, sottolinea che l'idea di funzione è l'idea fondamentale ed
egli studia il discorso come la parte funzionale del parlare. Si tratta della funzione nel senso lato di modo di
usare gli elementi linguistici.
Le vie battute per giungere alla conoscenza della struttura linguistica sono state varie, l'etichetta
strutturalismo copre in realtà tendenze che talvolta divergono profondamente. Benveniste: struttura e uno
dei termini essenziali della linguistica moderna uno di quelli che hanno ancora valore programmatico, i
ricercatori usano la parola in eccezione differenti ricavandone conclusioni altrettanto differenti. Da un lato
per gli strutturalisti europei, in particolare i glossemantici, considerano la forma come essenziale e come la
sola pertinente dal punto di vista linguistico, la sostanza si spiega in azione ad essa e con un metodo
deduttivo. Dall'altro lato, gli strutturalisti americani analizzano gli elementi della sostanza concreta e
definendoli in rapporto al tutto nel quale essi si organizzano, cercano di scoprire la struttura con un metodo
induttivo. A partire dagli anni 40, la corrente che si è imposta fra i linguisti e lo strutturalismo, che così
divenuto l'elemento propulsore della nostra scienza. Lo strutturalismo ha contribuito a dare agli specialisti il
gusto delle idee generali e a mostrare l'utilità e la necessità dei principi teorici come guide della ricerca; la
considerazione dei fatti da un punto di vista strettamente sincronico ha permesso di isolare i fatti di lingua
dai mutevoli bisogni dell'uomo, che richiedono un continuo adattamento dello strumento linguistico.
L'attenzione concentrata sul sistema ha attenuato la dispersione di forze derivante dall'eccessiva
preoccupazione per il dettaglio e dalla scrupolosità esagerata dell'utilizzazione dei dati di base. Vale anche
per linguistica ciò che vale per tutte le scienze dell'uomo in generale: non è possibile individuare le basi
fondamentali né analizzarne con qualche profitto i vari fenomeni se non seguendo una direttrice di
pensiero; se non si vuol cadere nell’apriorismo e nell'arbitrio, il metodo deve essere costantemente
controllato ed eventualmente modificato.
LA SEMILOGIA.
Sassure aveva proposto la creazione di una scienza, la semiologia, che ci potrebbe dire in che consistono i
segni, quali sono le leggi che li regolano; la linguistica è solo una parte di questa scienza generale, le leggi
scoperte dalla semiologia saranno applicabili alla linguistica. Mentre le ricerche linguistiche eddero un forte
sviluppo, la semiologia non ha ancora trovato una sua propria forma definitiva. Lo studio di questa

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disciplina è stato intrapreso in occasione di problemi connessi alla teoria dell'informazione, ed è stato
sviluppato da un punto di vista logico; prendendo così una direzione diversa da quella indicata da Saussure.
La stessa definizione di linguaggio pone un problema. La forma di linguaggio, posseduto dagli uomini, è
particolare per la ricchezza e la varietà dei suoi mezzi d’espressione e per le infinite possibilità di
combinarle; questa forma di linguaggio che utilizza la parola, è un prodotto dei centri auditivo-motori del
cervello. Oggi si tende a riservare il nome di linguaggio a questo tipo di mezzo d’espressione. Benveniste
afferma che applicare la nozione di linguaggio al mondo animale vuol dire abusare del termine,
distinguendo il linguaggio umano e la comunicazione animale. Martinet é più deciso: non c’interessi in
alcun modo chiamare lingua qualche sistema di segni arbitrari, parlando di sistemi di segni adoperati da
comunità umane, che sono di competenza della semiologia. Questi autori operano una restrizione del
senso di lingua rispetto a Sassure (lingua: ogni sistema di segni distinti corrispondenti a idee distinte). E’
utile, per fare risaltare la specificità del linguaggio, prendere in considerazione altri sistemi di segni che
chiameremo sistemi non linguistici. In primo luogo ci sono sistemi di segni indipendenti del linguaggio
parlato: segnali stradali, sigle delle guide turistiche, cartografia, linguaggio matematico, ecc. Sono due le
loro particolarità: 1) sono a senso unico, non richiedono delle risposte; costituiscono degli ordini o delle
indicazioni, non possono formare un dialogo; 2) vengono interpretati globalmente e non secondo l'ordine
lineare. In secondo luogo, ci sono quei sistemi semiologici che costituiscono dei sostituti del linguaggio
parlato. Il più perfetto dei quali è la scrittura alfabetica: che permette di riprodurre in modo più o meno
perfetto il linguaggio articolato. In quanto sistema sostitutivo, la scrittura, non dovrebbe far parte
dell'oggetto della linguistica, se non come oggetto d’indagini ausiliare. Ma non bisogna sottovalutare
l'importanza della scrittura nella civiltà moderna, visto che in molte occasioni è la forma essenziale di
linguaggio. Altri sistemi sostitutivi, come il Morse o il Braille, si sono sviluppati sulla base della scrittura. La
distinzione tra sistemi linguistici e non linguistici e prima di tutto una distinzione di un ordine metodologico,
poiché le frontiere non sono sempre rigide e i diversi sistemi si possono combinare. Così diversi mezzi
d’informazione utilizzano simultaneamente indicazioni scritte e disegni facilmente riconoscibili. La storia
della scrittura è l'evoluzione che da pittogrammi, agli ideogrammi, ha condotto all'uso di un alfabeto
puramente fonetico, convenzionale e arbitrario.
IL "LINGUAGGIO" DEGLI ANIMALI.
Gli animali utilizzano certi loro organi per comunicare tra di loro. Ma il linguaggio animale si limita a l'uso di
una certa gamma di significanti adatti a particolari bisogni, ed i soggetti non hanno la possibilità di farli
variare. Il segno non si distingue dal suo significato, la sua espressione e globale, non analizzata. In casi
come quello delle api, per la loro organizzazione sociale, si è parlato di linguaggio. Quando un ape trova una
soluzione di zuccherina, la assorbe e torna nell'alveare, da cui escono altre api che si dirigono verso il luogo
dove il cibo è stato trovato. Von Frisch, ha provato a spiegare il fenomeno: aspirando il nettare, l'operaia si
impegna del profumo del fiore, rientrando nell'alveare lascia il polline ed intraprende una danza, che
costituisce il suo messaggio, la direzione è segnalata dall'asse della danza in rapporto al sole, la distanza è
indicata dal numero di giri effettuati. Ciò che viene indicato non è la distanza ma il tempo impiegato in volo.
L’ape ha la capacità di sinboleggiare, per mezzo di gesti, gli elementi di una realtà, e le api della stessa
comunità hanno la capacità di interpretare il messaggio trasmesso: si ha una attività di codificazione e di
decodificazione. Ci sono però delle differenze di principio. In primo luogo, il messaggio non richiede una
risposta; la comunicazione non è un dialogo. In secondo luogo il messaggio è costante nei suoi dati di base,
e personale, non potrebbe essere comunicato da un ape che non abbia visto la stessa sorgente di provvista.
Il nostro linguaggio ci fornisce un mezzo per sostituire l'esperienza. Il contenuto del messaggio si riferisce
sempre ad un solo dato. Il messaggio dell'ape non si può scomporre in diversi elementi, in seguito
combinabili. Più che di un linguaggio si tratta di un codice di segnali, a contenuto fisso, e messaggio
invariabile, a trasmissione unilaterale è di natura inanalizzabile. A simili conclusioni conducono le ricerche
effettuate su altre specie come gli scimpanzè o i delfini. Anche in questi casi la parola non si eleva al di
sopra di un semplice mezzo di comunicazione e in nessun caso è superato il fondamentale stadio della
verbalizzazione, che si raggiunge grazie alla capacità di dare a un segno un valore convenzionale. Il centro
del linguaggio è localizzato nell'uomo nel lobo frontale, detto centro di Broca, la diversità delle funzioni dei
due emisferi sembra essere un carattere specifico dell'uomo. È dunque fondamentale la distinzione tra il
linguaggio umano e la comunicazione animale.

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LA DOPPIA ARTICOLAZIONE LINGUISTICA.


Un enunciato può essere suddiviso in unità significanti, dette monemi (il più piccolo segmento del discorso,
al quale si possa attribuire un senso), è in unità più piccole e non significanti, i fonemi. La frase il treno
fischia: è composta da cinque segmenti: il, tren, o, fischi, a, ma foneticamente, vì sono 13 articolazioni:
i+l+t+r+e+n+o+f+i+s+k+i+a questa doppia articolazione e un tratto specifico ed esclusivo del linguaggio
umano. I segnali stradali, le convenzioni cartografiche, il linguaggio testuale, ecc., questi linguaggi non
utilizzano che la prima articolazione; i loro messaggi si scompone solo in entità significanti.
IL SEGNO E LA SUA NATURA ARBITRARIA.
Un'idea di Saussure che più ha suscitato controversie e la definizione da lui data dell’arbitrarietà del segno.
Benveniste faceva notare che il ragionamento di Saussure è falsato dall'inconscio e surrettizio ricorso a un
terzo termine, non compreso nella definizione iniziale; questo termine è la cosa in sé, la realtà; se si
stabilisce in linea di principio che la lingua è forma, non sostanza, bisogna ammettere che la linguistica è
esclusivamente scienza della forma. Ege ha obiettato che dare al termine signifié il valore di cosa significata
è estraneo alle condizioni del Cours poiché Saussure non si occupò del problema del rapporto tra il segno
linguistico e il mondo circostante. Si può dire che l'opposizione significato / significante e già una
linguistizzazione dell'opposizione concetto / immagini acustica. Ciò che autorizzava e giustificava la critica di
Benveniste è essenzialmente la fine del paragrafo del Cours in cui si dice che il significante è arbitrario in
rapporto al significato, con il quale egli non ha alcun collegamento naturale nella realtà . Lo studio di
recente intrapreso delle fonti manoscritte del Cours mostra chiaramente che: 1) l’aggettivo naturale non
compare come attributo di collegamento; 2) l’espressione nella realtà non è attestata in nessuna delle
fonti: fu una di quelle aggiunte introdotte nel Cours per lo zelo degli editori. Le incertezze o le
contraddizioni dei quaderni recentemente scoperti mostrano su certi punti un pensiero non ancora fermo.
Una certa ambiguità sussiste nei fondamentali concetti di segno, arbitrarietà, valore.
“LANGUE” E “PAROLE”.
Questa distinzione fondamentale è entrata nella terminologia della nostra scienza, i due termini sono oggi
usati normalmente nel senso definito dal maestro di Ginevra. Essa ha però trovato anche degli avversari,
ciò che ha dato fastidio è la separazione troppo netta che Sassure stabiliva tra i due aspetti del linguaggio,
anche se egli stesso aveva attenuato questo modo di vedere riconoscendo che i due fatti sono strettamente
legati e che la parole è la forza che spinge avanti la lingua. Si è proposto di fare intervenire un terzo
elemento, l'uso o la norma. Ci sono delle difficoltà terminologiche che nascono dai vocaboli usati in
eccezione diversa a seconda degli autori. Hjelmslev concepisce la lingua in tre modi diversi: lo schema,
forma pura, di cui elementi si definiscono per il loro positivo, relativo e negativo; l'uso, o complesso delle
abitudini, che si concretizza in atti; la norma, forma materiale che è una frazione derivata dal l'uso
attraverso un artificio metodologico. Finisce col porre una distinzione essenziale tra schema e uso, che
sostituisce l'opposizione di langue e parole. Coseriu, attribuisce alla norma un ruolo intermedio tra la lingua
e la parole; la norma, primo grado di estrazione, comprende la parole meno le varianti individuali e
occasionali che si trovano in essa, mentre la lingua (sistema), secondo grado di estrazione, conserva le
norme indispensabili, le opposizioni funzionali, ed esclude ciò che è semplice tradizione non distintiva.
Esempio: la quantità vocalica in francese non ha valore nel sistema ma è un fatto di norma e si può
realizzare in modi diversi negli usi individuali, la lingua non è un dato a cui si possa accedere
concretamente; solo considerando il parlare dei singoli come attuazione della lingua noi riusciamo a
rassicurarci questa astrazione. Il parlare individuale non è comprensibile se non rifacendosi alla lingua,
Saussure diceva che la langue è al tempo stesso lo strumento è il prodotto della parole. Da un lato abbiamo
atti concreti di comunicazione e dall'altro un sistema di segnali non concreto ottenuto per inferenza sulla
base degli atti concreti di comunicazione. Apostel propone di rifarsi alla teoria della comunicazione e ai
procedimenti di traduzioni in codice e di decriptazione che si usano nella formazione di lingue artificiali e
nella costruzione di macchine per tradurre; c'è però da temere che un mezzo del genere lasci in ombra
troppi aspetti del linguaggio umano.
SINCRONIA E DIACRONIA.
Questa antinomia sembra oggi uno dei punti più deboli dell'insegnamento saussuriano. Da innovatore
quale era, la sua affermazione sull'incompatibilità degli studi diacronico e sincronico, deve essere intesa

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come una affermazione polemica, volutamente formulata in termini radicali per smuovere l'indifferenza e
provocare una reazione salutare. Di quell’antinomia resta ben poco: von Wartburg, si è pronunciato contro
quella concezione e ha affermato che la linguistica deve riassorbire lo iato tra scienza descrittiva e scienza
storica. La futura scienza del linguaggio deve cercare di arrivare a uno stadio che unisca i due metodi in una
organica comunanza e faccia risaltare con tutta la chiarezza necessaria l'interdipendenza del sistema e del
movimento. La distinzione sostenuta da Saussure rappresenta un problema metodologico, il contrasto sta
nel modo di porsi dell'osservatore, non nella materia. Di per sé un fatto non è né sincronico né diacronico,
ma può essere considerato da un punto di vista sincronico o diacronico. Sechehaye suggerisce un’altra
divisione dei compiti, che completa le vedute saussuriane; accanto a linguistica sincronica ed a quella
diacronica, egli vedeva una linguistica del “parlare organizzato”, che sarebbe in definitiva la scienza del
funzionamento delle lingue: essa tenterebbe di cogliere il parlare nel momento del suo farsi, cioè di
stabilire in che modo i soggetti parlanti siano portati a introdurre certe particolarità che generano
trasformazioni. Ma egli ritiene che queste tre linguistiche rientrino in un quadro più ampio, quello del
“parlare propriamente detto”, o scienza dell'espressione naturale, pregrammaticale; il soggetto parlante
spinto dal suo istinto d’espressione ad utilizzare le risorse della lingua si esteriorizza per mezzo del parlare
organizzato, nelle cui manifestazioni ha origine l'evoluzione della lingua. Saussure ha insistito sul fatto che
ogni mutamento, anche se isolato, si ripercuote su tutto il sistema. L'equilibrio raggiunto degli elementi di
una struttura dipende dalla solidarietà degli elementi stessi, ogni colpo inferto a uno di essi altera le
relazioni tra le parti del sistema. È tempo di considerare lo studio evolutivo di una lingua sotto l'aspetto di
un funzionalismo diacronico; utilizzare le ricerche dei neogrammatici collocando gli elementi studiati nel
sistema di cui fanno parte per stabilire in che modo la modificazione dei loro rapporti alteri gradualmente la
struttura nella quale essi sono inseriti. È questo il programma tracciato da Benveniste per quella che egli
chiama "analisi diacronica": consiste nel giustapporre due strutture successive e nel ricavarne le relazioni
mostrando quali parti del sistema anteriore siano state colpite o minacciate e come si è venuta preparando
la soluzione attuata nel sistema posteriore.
LA LINGUISTICA PSICOLOGICA.
Sotto questo titolo che si potrebbe comprendere tutta la linguistica perché non vi è studioso che non abbia
affrontato il problema fondamentale dell’adeguazione del linguaggio al pensiero. Di solito si riserva questa
etichetta per una scuola che ha avuto tra i sue promotori il danese Jespersen, ma che ha trovato la sua
espressione più compiuta nei "principi di linguistica psicologica" di Ginneken (1907). Respingendo la storia
in secondo piano e traendo da un imponente bagaglio d’erudizione di dati relativi a un gran numero di
lingue, cerca di penetrare nel comportamento psichico del soggetto parlante e di analizzare come il
linguaggio risente delle sue personali inclinazioni: ritroviamo qui l'influenza della Völkerpsychologie di
Wundt, fondatore della psicologia sperimentale. I rapporti tra il pensiero e la lingua saranno oggetto di
numerosi studi: Bühler studiò i rapporti tra l'enunciato e il tutore o ascoltatore (simbolo, sintomo, segnale);
Kainz studiò l'espressione interiore ed esteriore del pensiero. Questi studi hanno dato un importante
contributo alla teoria linguistica. Altri contributi sono stati: sul piano psicologico “le langue et la pensée” di
Delacroix; sul piano linguistico nel campo del francese “La pensée et la langue” di Brunot. Successivamente
gli studi si sono moltiplicati ed è indicativo il fatto che il “Journal de psychologie normale et patologique”
abbia più volte dedicato fascicoli a questioni di linguistica. Il problema primordiale dell'acquisizione del
linguaggio da parte del bambino è stato studiato con attenzione da linguisti come Jespersen. precise
indicazioni sulla struttura linguistica vengono date dai fenomeni del bilinguismo, sia sviluppato nel bambino
nel periodo in cui apprende linguaggio, e sia sorto dal contatto fra due popolazioni che parlano lingue
diverse. Un altro problema è quello di sapere se il pensiero può esistere indipendentemente da una forma
strutturata di linguaggio, se è possibile ragionare senza adoperare gli schemi linguistici della nostra lingua
madre. Buyssens arriva a dire che non si pensa mai in una lingua; per Benveniste: il pensiero non potrebbe
esistere senza lingua. Ci sembrerebbe legittimo ritenere che la forma linguistica abbia un'influenza sul
procedimento stesso del nostro ragionamento. Il punto di vista psicologico, più o meno dichiarato o
latente, è sempre presente nella ricerca linguistica, qualunque sia il modo in cui essa concepisce il suo
compito; e la natura stessa del linguaggio a non permettere che avvenga altrimenti, sotto il termine di
psico-linguistica si raccolgono gli studi che mirano a collegare le due discipline.
LA SCUOLA SOCIOLOGICA.

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Il linguaggio è un fatto sociale, ciò sembrerebbe ovvio e non richiede lunghe dimostrazioni. I linguisti, per i
quali il linguaggio non è uno strumento interpretativo ma l'oggetto stesso della loro scienza, dovrebbero
essere immediatamente d'accordo con questa affermazione; ma in realtà nell'elaborazione delle dottrine
linguistiche ha avuto un peso assai diverso. Una teoria basata sulla constatazione della natura sociale del
fatto linguistico, si è venuta sviluppando in Francia; è una teoria sfumata e aliena ad ogni dogmatismo, una
lingua apparirebbe come lo specchio dell'attività degli uomini che la parlano, ma scontrandosi sullo studio
dei rapporti sociali trae vivacità e concretezza dal contatto con la realtà sociale. I linguisti francesi hanno
avuto il merito di sistemare, intorno al postulato "il linguaggio è un fatto eminentemente sociale", i principi
che sembravano loro spiegare i fenomeni linguistici; sul piano storico essi hanno cercato di chiarire
l’evoluzioni di una lingua considerandole come riflessi delle trasformazioni della collettività che se ne serve.
L'attività linguistica è in dipendenza dell'istinto d’imitazione, il soggetto parlante imita coloro che ammira o
ama perché tende a rassomigliarvi. Il bambino impara a parlare cercando di riprodurre il linguaggio dei
genitori; è spinto dall'istituto d’imitazione e dall'istinto d'attrazione: la necessità di farsi comprendere, il
bisogno di unirsi più strettamente al gruppo sociale di cui fa parte. Gli adulti tendono a modificare il loro
linguaggio per adeguarlo a quello delle persone che considerano loro guide. I soggetti parlanti imitano
coloro che hanno prestigio. Quali sono questi capi che impongono una maniera di esprimersi? Al primo
posto, le classi dirigenti, che hanno una funzione rilevante in ogni società organizzata. Non meno potente e
il prestigio dei gruppi culturali e artistici; gli ambienti letterari, soprattutto in accademie sostenute dal
potere politico, esercitano un’azione moderatrice di carattere conservatore sulla lingua. Nella nostra epoca
l’azione della scuola è stata ulteriormente rafforzata con l’istruzione obbligatoria; né si può trascurare
l'importante funzione svolta la nostra civiltà delle trasmissioni radiotelevisive. Una manifestazione di
questo obbligo sociale che pesa sulla lingua è la questione dell'ortografia. Tra le lingue europee, il francese
e l'inglese hanno un'ortografia particolarmente male adattata alla forma orale della lingua. Ogni membro
della comunità sociale è tenuto a conoscere l'ortografia, essa è una convenzione che si evita di trasgredire
nella stessa misura in cui si evita di adoperare un linguaggio non conforme alle regole ammesse. Il metodo
della scuola sociologica consiste nello spiegare i dati linguistici per mezzo di fattori extra linguistici, ed è
chiaro che la soluzione del problema dipende dalla scelta dei linguisti. La storia del pensiero linguistico non
è che storia di sforzi compiuti per classificare i fatti: e ogni volta ci si trova ricondotti alla questione
preliminare delle scelte e della valutazione dei criteri. La scuola linguistica francese mostra un’impronta
d’ispirazione sociologica. Meillet afferma che: una lingua e un sistema strettamente connesso di mezzi di
espressione comuni a un insieme di soggetti parlanti; non esiste fuori degli individui che parlano la lingua, e
tuttavia la sua esistenza e indipendente dai singoli perché si oppone ad essi, la sua realtà e quella di
un’istituzione sociale immanente è al tempo stesso indipendente dagli individui. Il pericolo è di considerare
il linguaggio com’entità autonoma sopra individuale, che ha sede nella coscienza collettiva dei soggetti
parlanti. Pericolo che diverrà più grave una volta affermata la distinzione tra langue e parole, che rafforza la
tesi della scuola sociologica: questa distinzione dà rilievo alla lingua, nella sua essenza sociale e
indipendente dall'individuo, concepita come un sistema di segni che serve da mezzo di comunicazione ai
membri di una comunità linguistica (è l'insieme delle abitudini linguistiche che permettono a un soggetto di
comprendere e di farsi comprendere), mentre la parole è un atto individuale, e l'uso che ciascuno fa del
sistema della comunità linguistica a cui appartiene, per comprendere o farsi comprendere. Meillet fu il
primo a rimproverare alla linguistica saussuriana d’essere troppo astratta; richiamò l'attenzione sulla realtà
umana in cui è immerso il linguaggio, quel linguaggio che è partecipe di tutte le condizioni e le vicende della
vita umana. Vendryes diceva che nel linguaggio tutto è dominato dalle condizioni sociali, perché il fatto
linguistico è il fatto sociale per eccellenza, ed è l'elemento sociale quello che fornisce allo studio del
linguaggio un metodo generale di ricerca e di spiegazione. Dumézil si è preoccupato, analogamente ali
studiosi della scuola italiana, di combinare il metodo comparativo con i dati della storia della civiltà,
cercando, dietro le parole e le strutture, di arrivare a cogliere i concetti, analizzare le credenze, delimitare la
configurazioni sociali e religiose; e riuscito in tal modo a riabilitare la mitologia comparata. Altri, al di là dei
dati storici, hanno ripreso il problema delle origini del linguaggio, su basi scientificamente accettabili;
queste ricerche vertono da un lato sul contributo che può dare la preistoria alla chiarificazione dei problemi
del linguaggio, e dall'altro sui rapporti dell'homo sapiens con il suo ambiente e il suo gruppo; vi è stata una
collaborazione tra linguisti, geografi, etnologi, e studiosi di preistoria. Rimane difficile condividere
l'ottimismo di Malberg, fiducioso nei lavori di psicologia linguistica e di sociologia culturale, ritiene che,

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grazie ai metodi sviluppati dalle concezioni strutturaliste, sarà possibile accettare la dichiarazione di Renan,
secondo cui è possibile mediante legittimi indicazioni arrivare sino alla culla del linguaggio. Le prime
testimonianze di grafie umane risalgono grosso modo a trentamila anni fa, le più antiche iscrizioni
linguistiche interpretabili, quelle sumere, sono del IV millennio a.C.; è soltanto da circa 2500 anni che
abbiamo delle testimonianze scritte numerose e diverse. Se si ritiene che il linguaggio è possibile dal
momento in cui la preistoria fa comparire degli utensili, poiché l'utensile e il linguaggio sono legati
neurologicamente e poiché l'uno e l'altro sono indissociabili dalla struttura sociale, si può concludere che
esistono degli uomini che parlano da almeno seicentomila anni: il che significa che ciò che noi conosciamo
in materia di linguaggio non rappresenta che un'infima parte della storia dell'homo loquens e non ci
permette di arrivare a conoscere uno stadio linguistico che è già il risultato di una lunga evoluzione. La
concezione sociologica si è largamente diffusa anche al di fuori dell'ambiente francese. Di un ispirazione del
genere risente l'opera di Bloomfield, sostenendo una teoria di tipo nettamente materialista egli spiega il
meccanismo della comunicazione con il gioco degli stimoli e delle reazioni. Sapir pur essendo stato
decisamente avverso alle sue idee materialiste ha subito non meno di lui l'influsso delle teorie sociologiche,
considerando la lingua come un potente simbolo di solidarietà per coloro che la parlano. Un suo discepolo,
Whorf ha tentato di costruire la filosofia di questa etnolinguistica che metteva in rapporto le lingue con le
culture di cui sono il supporto; egli ha insistito sulla precipuità delle strutture logiche delle lingue amerinde
e ha messo in guardia i linguisti dall'applicare ad esso i metodi grammaticali creati per lo studio delle lingue
europee. Le teorie di Humboldt hanno conosciuto in questi ultimi anni una nuova fortuna, e allora si è
parlato di neohumboltiani, Cassirer nel quadro di una Gestalttheorie, ha studiato il ruolo che ha la lingua
nella nostra conoscenza del mondo esteriore, Trier ha dato l'importante contributo alla semantica,
Waisgerber si è fondamentalmente dedicato a definire il ruolo di intermediario che gioca la lingua tra la
realtà e la sua concettualizazione e individua il collegamento tra Spreche e Sprechen nello
Sprachorganismus, che è sistema linguistico congegnato per mezzo dei segni. Firth, primo ad occupare in
Gran Bretagna una cattedra di linguistica generale, e i linguisti della scuola di Londra si preoccuparono di
inquadrare gli insegnamenti dello strutturalismo in una considerazione sociale del linguaggio e furono loro a
porre la distinzione tra struttura e sistema, la prima concepita come combinazione d’elementi in relazione
sintagmatica, e il secondo come raggruppamento in paradigmi d’elementi permutabili. Halliday ed i membri
del gruppo neofirthiano hanno costruito una teoria delle categorie grammaticali particolarmente studiata
per essere utilizzata nell'insegnamento pratico delle lingue; combina quattro categorie: unità e classe, che
si aggiungono alla struttura del sistema, dette scale: rango, esponente e livello. L'etnologo inglese
Malinowski ed il linguista norvegese Sommerfelt hanno tentato di mettere in rapporto la struttura
linguistica di questo o quel dialetto con l'organizzazione sociale e il comportamento psicologico della
popolazione che lo parla. Il fonetista inglese Jones concepisce la missione sociale della linguistica: a
differenza degli altri ricercatori, i linguisti possono tenere sempre presente, durante le loro ricerche, uno
scopo umano determinato, verso il quale possono indirizzare le loro cure, e cioè il miglioramento dei mezzi
orali e scritti di comunicazione tra gli uomini. Le scoperte della scienza fonetica permettono ai popoli di
comunicare efficacemente tra loro. In un simile ordine di idee, vanno ricordati gli sforzi dei membri della
IALA (International Auxiliarry Language Association) per creare una lingua ausiliaria internazionale, una
lingua artificiale che possa aggiungersi o persino sostituirsi alle lingue nazionali: idea che ha dato origine a
molti tentativi (l'esperanto), ma che resta illusorio, perlomeno fino a quando si abbia l’ambizione di creare
qualcosa di diverso da un simbolismo che possa servire da strumento di comunicazione fra i tecnici di
qualche scienza. L'unità di un siffatto linguaggio artificiale sarebbe ben presto minacciata e distrutta sia
dalle fondamentali differenze di struttura tra le lingue degli eventuali iniziati, sia dalla totale assenza di un
retroscena culturale al quale ancorare il nuovo linguaggio.
LE TESI INDIVIDUALISTE.
Benedetto Croce pubblico nel 1900 il testo di una memoria intitolata “Tesi fondamentali di un'estetica
come scienza dell'espressione e linguistica generale”, nell'intento di definire la differenza tra la storia e
l'arte, l'autore rigettava le basi di una dottrina che proclamava la natura specifica dell'attività artistica e
assegnava al campo dell'estetica lo studio dei fatti di linguaggio. Due anni più tardi ripubblicava lo stesso
testo, facendolo seguire da una parte storica, storia dell'estetica. Nasceva così il primo dei quattro volumi
che insieme avrebbero poi costituito la filosofia dello spirito. Nella ricchissima produzione del filosofo

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italiano, l'estetica rimane un libro fondamentale: fu considerata dal maestro come una sorta di programma
o di abbozzo di un lavoro che rimaneva da compiere, gli fu subito evidente che quel libro nel quale gli
pareva di aver vuotato il suo cervello di tutta la filosofia accumulate gliel’aveva invece riempito di nuova
filosofia. "linguistica generale" è detto nel titolo completo del volume dedicato l'estetica; ma lo studente
che aprisse il libro di Croce non ritroverebbe nulla di simile agli schemi tradizionali a cui ubbidiscono i
trattati di linguistica generale, e anzi nulla che ricordi questa precisa disciplina, se non fosse una critica
feroce dei manuali d'uso all'inizio del secolo, maledire i trattati alla Brugmann, nei quali si trova di solito di
tutto: dalla descrizione dell'apparato fonico e delle macchine artificiali che possono imitarlo, delle
generalità filosofiche sull'origine o natura del linguaggio ai consigli sul formato, la calligrafia e
l'ordinamento delle schede per gli spogli filologici. Dopo avere espresso nell'estetica le sue idee sul
linguaggio, Croce non tornò che di rado sull'argomento e solo per ribadire gli stessi concetti, precisare
alcuni punti, per rettificare certe interpretazioni. Egli non ha mai preso interesse all'aspetto tecnico delle
ricerche linguistiche. Le idee da lui avanzate hanno influito profondamente la natura e l'ordinamento di due
scuole linguistiche particolarmente attive e originali: la scuola idealista e gli studiosi della neolinguistica, che
hanno potuto attribuirsi il suo patrocinio, unendo il suo nome a quello di Vico. Il problema dell'espressione
sta al centro delle preoccupazioni estetiche di Croce. Egli identifica intuizione ed espressione: la conoscenza
intuitiva è conoscenza espressiva, e ogni intuizione è insieme espressione. Il pensiero non può esistere
indipendentemente dall'espressione; a torto si crede che il linguaggio sia uno strumento che l'uomo si e
forgiato per comunicare con i suoi simili: il linguaggio, è tutto di natura intuitiva, nasce spontaneamente
insieme con la rappresentazione che esprime, perché l'uomo, se non parla, non pensa. Croce si ricollega
con Vico nell'affermare che, nato come poesia, il linguaggio si è poi piegato a servire da segno. La teoria di
croce sottrarre lo studio dei fatti linguistici concreti tanto alla codificazione delle grammatiche normative
quanto alla classificazione della filologia comparata, e lo pone nella sfera dell'estetica. La grammatica gli
sembra una disciplina meramente empirica o una raccolta di schemi mnemonici utili e necessari nella
pratica, ma senza pretesa alcuna di filosofica verità, cioè di scienza; lo studio comparativo ed evolutivo
rientra nella storia delle lingue considerate nella loro realtà viva, cioè nella storia dei prodotti letterari:
donde l’identità tra studio del linguaggio e critica letteraria. I segni linguistici hanno senso solo se li
consideriamo uniti inseparabilmente al motivo espressivo, il quale vive per un istante, muore e non si ripete
mai identico a stesso. Ciò perché linguaggio è espressione. Il linguaggio è suono articolato, delimitato,
organato al fine dell'espressione. Croce conclude che estetica e linguistica non sono due scienze distinte,
ma una sola identica scienza, e le lingue non hanno realtà fuori dalle proposizioni realmente pronunciate o
scritte. Nel campo dei linguisti questa dottrina rimase per molti anni senza eco. Vero è che essa appariva in
un'epoca in cui i rigidi principi dei neogrammatici dominavano quasi incontrastati, ed avevano stabilito un
metodo rigoroso e proclamato il dogma dell’infallibilità delle leggi fonetiche e della loro azione meccanica e
cieca. Quando poi viene pubblicato il Cours, fu evidente l'incompatibilità di fondo che divideva la
concezione crociana della creazione spontanea e perpetua è la tesi saussuriana del vincolo sociale. Vossler
fu fin dall'inizio un linguista che prese posizione in favore delle tesi crociane e tentò di applicarla allo studio
pratico e concreto dei fatti linguistici. Cercò di trasportare il principio filosofico sul piano puramente
linguistico. Anche egli proclama che la vera linguistica è l'estetica e che in definitiva è la stilistica, lo studio
dei procedimenti espressivi, ciò che va posto al centro della linguistica. Si vede costretto a conservare le
divisioni tradizionali dello studio del linguaggio e a rompere gli stretti limiti dell'equazione: linguistica =
estetica, passando dallo studio della stilistica e della sintassi a quello della morfologia e della fonetica. Egli
afferma che ogni evoluzione linguistica e questione di buon gusto, dipendente cioè dal senso estetico del
soggetto parlante, e che ogni espressione linguistica è una creazione individuale. Per spiegare come queste
innumerevoli iniziative individuali non diano luogo all'anarchia, egli è costretto a ricorrere a una certa
passività del sistema linguistico, che limiterebbe le possibilità dell'invenzione creativa. Le linguistiche
andrebbero considerate sotto due differenti profili: quando l’innovazione appare per la prima volta nel
linguaggio, si ha un progresso assoluto, il cui studio appartiene all'estetica; quando l'innovazione si
diffonde, si ha un progresso relativo, che va studiata al tempo stesso dal punto di vista estetico e dal punto
di vista della grammatica storica tradizionale. Vossler e la scuola idealista hanno contraddetto con forza
l'affermazione racchiusa nella fase conclusiva del Cours: il solo e vero oggetto della linguistica e la lingua
considerata in sé e per sé. Per Vossler lo studio di una lingua non si può separare da quello della civiltà che
in esse si esprime; anche la grammatica storica fa parte della Kulturgeschichte, perché è uno dei criteri che

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permettono di conoscere ed apprezzare la civiltà di un popolo. Si capisce come seguaci della scuola idealista
abbiano concentrato la loro attenzione sulle lingue letterarie più che sui dialetti. Anche Bertoni seguiva
Croce nell'affermare che la sola realtà linguistica e il linguaggio individuale e che non c'è pensiero senza
espressione; ma i suoi sforzi per unire lo spirito e la natura, cioè le teorie della scuola idealista e i metodi
del naturalismo positivista, approdarono a una sintesi che egli diceva eclettica, ma che appariva soprattutto
contraddittoria, nel campo delle ricerche ispirate dall'estetica crociana, egli fu il simbolo del buon
combattente, a cui alla fine non arrise la fortuna. La distinzione da lui posta tra linguaggio e lingua, primo
attività dello spirito e la seconda prodotto di tale attività non ottenne il gradimento di croce, che vi vedeva
una contaminazione delle sue idee con l’attaulismo anestetico è antiestetico di Gentile.
Un movimento che si richiamava a Croce che si dimostrò assai fecondo sorse in Italia, e fu la neolinguistica,
fondata e animata da Bartoli, che pubblico il manifesto della nuova scuola, l'introduzione alla
neolinguistica, nel 1925. Bartoli, già noto per i lavori solidi e ben documentati sul latino volgare e i dialetti
romanzi, seguì l'impulso crociano molto meno ciecamente di Vossler, e in maniera infinitamente più
feconda di Bertoni che si era perso in speculazioni piuttosto confuse. Ciò che Bartoli prese da Croce fu
un'indipendenza totale nei confronti del dottrinarismo schematico dei neogrammatici e una versione
ragionata per le spiegazioni materialistica dei processi evolutivi. Combatteva l'idea che le leggi fonetiche
agiscano ciecamente come una forza fisiologica ineluttabile; si rifiutava di attribuire alla tradizionale
divisione tra grammatica e vocabolario un valore che non fosse meramente pratico e riteneva che essa non
richiedesse due diversi metodi di interpretazione; era convinto che la diffusione delle innovazioni
linguistiche, siano esse di natura lessicale o grammaticale, avviene nello stesso modo e che bisogna tener
conto dell'imitazione, del prestigio dei modelli come anche della fantasia creativa dei soggetti parlanti. Si
ritrovano qui le equazioni di croce: fantasia=poesia, poesia=linguaggio, linguaggio=fantasia. Per Bartoli la
linguistica deve essere una scienza umana, una scienza che abbracci il linguaggio nel suo insieme, lo riunisca
alle altre creazioni dello spirito e lo studi come un aspetto della storia dell'uomo. Un'altra influenza
determinante che ha segnato la propria impronta sui principi e sul metodo di questa scuola, e quella della
geografia linguistica, che Guilliéron aveva allora costituito in disciplina autonoma. La trasposizione sul piano
delle antiche lingue indoeuropee dei metodi elaborati, e controllati sul corpo delle lingue vive, permise di
stabilire dei principi che consentono di definire i dialetti indoeuropei e di cogliere le relazioni che li
uniscono: è nata così la dialettologia indoeuropea.
Cercheremo ora di caratterizzare per grandi linee la neolinguistica e di stabilire così in quale misura le idee
di Croce hanno influenzato lo sviluppo e il progresso della scienza del linguaggio; è innegabile che non pochi
principi e modi di considerare la nostra disciplina sono dovuti ai neolinguisti. Anche in ambienti culturali
fuori dell'Italia si ritrova la preoccupazione di comprendere l'aspetto culturale combinato con quello
linguistico; in particolare tra i linguisti della scuola spagnola che hanno dato un considerevole contributo
nel campo degli studi romanzi e dell'esame dei dialetti ispanici; il più celebre tra di loro è stato Pidal.
L'intento dichiarato di restituire alla linguistica la sua dignità di scienza umana, è stato certamente un primo
merito della neolinguistica. È finito il tempo in cui un corso di grammatica comparata poteva ridursi a una
arida esposizione di corrispondenze punteggiate di asterischi; a questo va sostituito un quadro più sfumato,
più duttile ma anche più complesso. Altro tratto caratteristico della linguistica italiana e lo sforzo che i suoi
maestri compiano per darle una organizzazione orizzontale, consistente nell'esaminare ciascun problema
alla luce dei dati forniti dalle scienze parallele come la storia, il diritto, l'archeologia; al concetto ginevrino di
sistema, Devoto e Nencioni sostituiscono quello di istituzione, che dà ragione del duplice aspetto, sociale e
individuale, dei fatti del linguaggio. Un carattere dominante e la cura con cui essa tiene conto del fattore
estetico e l'attenzione che presta ai valori individuali. Il vigore con cui la neolinguistica che ha reagito contro
il dogmatismo neogrammatico ponendo in rilievo il valore umano del linguaggio è insistendo sul fatto che
esso è una creazione continua, una ri-creazione, essendo imitazione; e poiché è imitazione non è mai una
ripetizione meccanicamente esatta, si verifica un costante rimaneggiamento dei dati che porta a nuova
creazione e il cui successo dipende dai vari fattori, come il prestigio delle persone imitate o la loro potenza
creativa, tra i quali però il valore estetico dell'innovazione a un peso non secondario: l'accettazione da parte
dei soggetti parlanti di una innovazione linguistica presuppone spesso una scelta, vale a dire un giudizio di
natura estetica. Contrariamente all'opinione professata dai neogrammatici circa l'ineluttabilità delle forze
evolutive le quali agirebbero sul linguaggio in modo quasi meccanico e come all'insaputa dei parlanti, i
neolinguisti ritengono che l'elemento individuale sia primordiale e che l'azione cosciente degli artisti, degli

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scrittori, dei poeti, abbia una parte rilevante nella fenomenologia linguistica in genere. I neolinguisti sono
riusciti a operare una felice sintesi combinando la più vigorosa grammatica comparata e i metodi classici
della linguistica tradizionale con il rispetto per lo spirito creativo e il senso estetico della personalità umana.
Si pensi al problema delle innovazioni e della loro diffusione nella lingua; e proprio questo un caso in cui la
parte della parole, dell'atto espressivo individuale, sembra preponderante. Questo intervento
dell'individuo, secondo i linguisti della scuola sociologica andrebbe interpretato in senso sociale. Vendryes
senza disconoscere il ruolo dell'individuo, afferma che esso non può ammettersi senza restrizioni, e
respingeva l'idea che un innovazione debba intendersi come un fatto individuale generalizzato per
imitazione. È certo che ogni mutamento linguistico deriva unicamente dall'uso che ciascun individuo fa
della lingua. Ma l'introduzione nella lingua di un mutamento a cosa è dovuta se non a una causa sociale?
Possiamo ammettere che un uso nuovo cominci con una serie di atti individuali, purché si aggiunge che tali
atti creano un uso nuovo in quanto corrispondono a una tendenza collettiva. I fatti di parole non sono che
modi particolari e occasionali con cui gli individui utilizzano il sistema costituito; ma da essi nasce qualcosa
di generale e di permanente solo in virtù di un tacito accordo tra tutti coloro che parlano. Non d’innovazioni
individuali generalizzate bisogna dunque parlare, ma piuttosto di innovazioni generali che si manifestano
nei singoli individui. Dopo aver detto che la storia di ogni lingua e un succedersi di fatti accidentali, ma
d'ordine collettivo, sentiva il bisogno di riconoscere un certo preso agli accidenti individuali sempre che
questi siano sanzionati dalla comunità; e aggiungeva: la comparsa di Hugo o di Voltaire non è che uno degli
innumerevoli fatti accidentali che si manifestano nella vita di una lingua e a cui contribuiscono tutti parlanti.
Questi passi ci sembrano caratteristici dello sforzo cosciente compiuto dall'autore per spiegare i fenomeni
linguistici come fatti a priori sociali. I neolinguisti non hanno invece esitato ad ammettere e a riconoscere la
capacità inventiva dell'individuo o di certi individui: nel paragonare la diffusione delle innovazioni
linguistiche alla diffusione della letteratura, delle arti o della moda femminile, essi ribadiscono che la
personalità nel innovatore ha un peso determinante, e attribuiscono al fattore estetico un importanza che i
loro predecessori erano ben lungi dal riconoscergli. All'azione meccanica e cieca delle forze evolutive
rispondenti ad una tendenza collettiva, essi sostituiscono l'influsso ragionato di una forza cosciente. C'è qui
un motivo di più per prediligere lo studio delle opere letterarie, le quali sono il riflesso degli sforzi
individuali d’artisti e di scrittori; secondo Devoto, le lingue letterarie non costituiscono delle anormalità, ma
sono lingue non meno naturali di altre. Le tesi individualiste sul linguaggio sono state sviluppate e difese
con maggior successo in Italia e in Germania. Al contrario di ciò che e accaduto nella maggioranza dei casi,
per esempio in Francia dove l'unificazione politica ha preceduto e imposto l'unificazione linguistica, in Italia
e in Germania l'unità della lingua o la scelta di una forma di lingua da far prevalere sulle altre ha preceduto
e anzi preparato l'unità politica. Così si spiega anche la posizione particolare che l'opera saussuriana ha in
Italia. Nonostante il suo grande prestigio, l'opera saussuriana e penetrate in Italia meno profondamente
che in quasi tutti gli altri paesi. È vero che alcuni linguisti si richiamano ad essa, benché in modo assai
indipendente e in ogni caso anticonformista; ed è anche vero che in Italia le dottrine del Cours vengono
esposte e studiate, più per rispetto dell'informazione scientifica che per un sentimento di adesione e di
approvazione. Nei grandi dibattiti che si sono accesi in questi ultimi anni, sulla discussione dei principi posti
da Sassure, non sono intervenuti gli esponenti della neolinguistica. Per i neolinguisti convinti
dell'importanza dell'elemento individuali nei fatti del linguaggio è del ruolo che in esso ha il senso estetico
del soggetto parlante, che significato possono avere l'antinomia Langue / Parole è l'idea di un sistema
estraneo è superiore agli individui? Quanto all'altra famosa distinzione sincronia / diacronia essa aveva
avuto solo una debole eco in Italia, e bisogna ricordare che Croce ha sempre ribadito che la vera natura
della linguistica è quella di una disciplina storica. Questo stato d'animo “asuassuriano” ci sembra una delle
caratteristiche più spiccate della scuola linguistica italiana. Per rendere meno operanti la forza di
persuasione e l’innegabile fascino intellettuale che si sprigiona dall'opera di Saussure occorrevano il
pensiero prestigioso, l'autorità spirituale e la forza espressiva che furono propri di Croce. L'impulso da lui
dato apriva nuove prospettive grazie alle quali l'Italia ha avuto un posto di primo piano nella storia della
ricerca. Da una ventina d'anni, la linguistica italiana ha preso una posizione più indipendente riguardo la tesi
di croce e si è largamente aperta alle posizioni suassuriane, tra cui lo strutturalismo. Nel dibattito sul sociale
e su l’individuale, ancora una volta da una parte e dall'altra si sono assunte posizioni estreme. Converrebbe
forse richiamarsi al concetto di progresso come spiegazione suprema dell'evoluzione linguistica, nel
significato di aspirazione degli esseri umani a una certa perfezione; questa ansia di progredire non è infatti

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un importante movente dell'attività umana e non sentiamo forse di doverci inclinare dinanzi lo sforzo
compiuto dal poeta o dal prosatore per meglio avvicinarsi al bello mediante la sua lingua? La lingua è opera
comune e continua di tutti i membri di un gruppo sociale; ognuno di noi è portato a introdurre certe
innovazioni, le quali però possono divenire regola solo se vengono accertate e adottate da tutti i membri
della comunità linguistica; perché questa condiziona si realizzi, occorre non soltanto che l'innovatore abbia
prestigio, bensì anche che il mutamento da lui proposto risponda al sentimento generale dei soggetti
parlanti. La possibilità di successo di una trasformazione, casuale o deliberata, sono minime; bisogna notare
che certe individualità, come gli artisti, hanno una parte molto maggiore di altre. Lo scrittore impiega la
lingua comune, ma meglio degli altri ne scorge le risorse: egli riesce a creare delle combinazioni fonetiche,
morfologiche, semantica, che esercitano sull'ascoltatore un'impressione estetica e suscitano nel suo animo
l'immagine voluta. La ricettività dell'opera letteraria è più o meno grande a seconda del grado di
comprensione e del livello di senso estetico che essa richiede, dato che la partecipazione di un gruppo di
individui a uno stesso sentimento della bellezza esige da costoro una conoscenza più o meno approfondita
dei mezzi per attingere il bello. La materia prima dello scrittore e la lingua del suo gruppo sociale; il suo
genio si manifesta nel fatto che egli riesce a ricavarne un effetto estetico, non diverso dal musicista che
comunica i suoi stati d'animo mediante l'originale combinazione di una gamma di suoni, o dal pittore o
scultore che si servono dei colori e delle linee per esprimere il loro modo di sentire il bello.
LA DIALETTOLOGIA INDOEUROPEA.
Nella formazione e nell'approfondimento della dialettologia indoeuropea, fu rilevante la parte dei
neolinguisti, importante fu anche il contributo recato da Maillet; fu lui infatti che nella 1908 pubblicò il
primo lavoro di carattere complessivo sull'argomento e nel quale dopo avere esaminato una serie di
concordanza fonetiche, morfologiche e lessicali, concludeva per l'esistenza di un gruppo di dialetti orientali
e di un gruppo occidentali, ritornando così alla classica partizione di lingue satem e lingue centum. Il
concetto delle unità intermedie, cioè dei presunti stadi linguistici tra l'indoeuropeo comune e le lingue
attestate in epoca storica, viene demolito nella 1916 da un saggio di Walde, in cui si affermava che i dialetti
generalmente raggruppati sotto il nome di italo-celtico appartenevano in realtà a due gruppi diversi,
comprendenti l'uno il latino è l'irlandese, l'altro l’osco-umbro è il brettone. Bartoli e i linguisti italiani che
hanno lavorato nella stessa direzione hanno proposto un duttile metodo di indagine che cerca di stabilire i
criteri di classificazione dei dialetti sulla base dell'esame del maggior numero possibile di esempi scelti in
tutti gli aspetti della struttura linguistica. Era una certa audacia nell'applicare al campo delle lingue
indoeuropee e antiche i metodi della geografia linguistica. L'indoeuropeista non dispone che di dati
inperfetti sugli stadi più antichi delle lingue da lui studiate; certi dialetti che sono pervenuti solo attraverso
miseri frammenti o glosse di lessicografi, è la scarsa documentazione che ne possediamo rende poco
significativi i dati che essa ci offre; altri dialetti, noti unicamente attraverso testi sacri o iscrizioni, si
presentano solo sotto l'aspetto di una letteratura formale; è persino se si considerano certe lingue che pur
ci sembrano ricche di testi, come il greco e latino, bisogna riconoscere che una loro importante porzione ci
sfugge, per esempio il lessico di uso più comune o certi modi di dire popolari. Conveniva procedere con
prudenza; Bartoli, almeno nella parte più fruttuosa delle sue ricerche, non considerava le sue norme
spaziali come leggi agenti in modo meccanico e cieco, al contrario, come guide per la ricerca, punti di
riferimento per il metodo da seguire. Occorre dunque analizzare correttamente le corrispondenze rilevate
tra i dialetti e cercare di stabilirne la natura. Di esse alcune non attestano altro che la conservazione di uno
stadio antico e sono quindi degli arcaicismi; altre possono derivare da sviluppi indipendenti ma paralleli;
altre infine sono innovazioni che dimostrano una evoluzione comune. È evidente che proprio sulle
innovazioni occorre essenzialmente basarsi per definire i rapporti interni dialettali, ed è anche ovvio che se
riportiamo le loro isoglosse su una carta linguistica potremo renderci conto nel modo migliore delle
relazioni tra i vari dialetti per cercare di rintracciare la storia. Il primo compito è dunque quello di
raccogliere concordanze, ma il punto delicato sta nell'interpretare correttamente e nel decidere se esse
costituiscono una dimostrazione di parentela. Si dovrà evitare di scambiare per innovazioni quelli che sono
gli effetti di sviluppi paralleli o anche, più semplicemente, il risultato di influenze reciproche: così si toccano
gli importantissimi problemi del sostrato, del superstrato e del prestito o adstrato, problemi che si pongono
principalmente per lo studio del lessico. Si baderà a non perdere di vista quelli che potremmo chiamare
fattori negativi, stando attenti che, per qualche somiglianza sorprendente e ben messe in rilievo, non si

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trascurino delle divergenze profonde, tali da rendere poco probabile il raggruppamento di due o più dialetti
in una stessa area. Un altro elemento fecondo della teoria delle aeree è dato dalla combinazione del fattore
tempo con il fattore spazio. Intervento di questa terza dimensione nel quadro geografico che avrebbe
permesso di spiegare una constatazione apparentemente paradossale che si era fatta quando erano stati
decifrati il tocario e l’ittita; queste lingue infatti, anziché confermare la semplicistica divisione dei due
gruppi occidentale e orientale, rivelarono sorprendenti somiglianze con l'estremità ovest del dominio
indoeuropeo che confermarono alcuni isolati rilievi su certe concordanza tra l'italico è il celtico da una parte
e l’indo-iranico dall'altra. Divenne chiaro che si trattava di fatti di conservazione, dato che i tratti dialettali
che appaiono nelle aree laterali appartengono in genere a uno stato linguistico più antico di quello dell'aria
mediana; i tratti di concordanza che si scontrano fra le lingue geograficamente del tutto opposte
rappresentano arcaicismi e non innovazioni: come le forme verbali in -r dell'impersonale che si trovano in
latino e in celtico, ma anche in ittita, in tocario, in armeno è in frigio; il consuntivo in -ā- che è proprio
dell'italico, della celtico e del tocario; il genitivo in -ī che si trova anche in celtico e in sanscrito; e le
corrispondenze lessicali tra l'italico, il celtico e l’indo-iranico. In tal modo la posizione dei dialetti rispetto
all’indoeuropeo comune ha assunto un diverso valore; il latino appare ormai come una lingua
conservatrice, molti aspetti della quale si spiegano non più come innovazioni bensì come vestigia di uno
stadio arcaico dell'indoeuropeo, mentre il greco fa parte di un gruppo più innovatore. Che cos'è infatti
questo indoeuropeo originario ricostruito dagli neogrammatici è catalogato con la massima precisione
possibile nella sua struttura fonetica, morfologica, sintattica e lessicale da Brugmann e dai suoi discepoli,
che cos’è se non uno stadio linguistico costruito mediante una comparazione che teoricamente
comprendeva tutto il complesso delle lingue indoeuropee, ma di fatto si basava essenzialmente sulla
sanscrito e sul greco, considerate come le lingue più arcaiche tra quelle indoeuropee? E subito evidente che
si commette un errore di metodo quando si comparavano le ultime lingue scoperte con questo
indoeuropeo costruito sulla base di tutte le lingue meno le ultime, o addirittura sulla base di due o tre
lingue soltanto, arbitrariamente considerate come tipiche in misura particolare.
Fu proprio la conoscenza dell’ittita che permise a Kurylowicz e a Benveniste di formulare,
contemporaneamente ma indipendentemente l'uno dall'altro, le loro tesi sulla struttura dell'indoeuropeo
antico, pervenendo a risultati che nella sostanza concordavano tra loro. L'opera di Benveniste e
d’importanza capitale nella storia della grammatica comparata delle lingue indoeuropee. Definisce la radice
in maniera più rigorosa di quanto non fosse nella costruzione saussuriana: composta di tre elementi che si
susseguono sempre con lo stesso ordine, consonante+vocale+consonante, essa appare ormai un elemento
inscindibile che ha un contenuto significativo e una natura produttiva. Se questa teoria modifica la
concezione classica della morfologia indoeuropea essa perviene anche, in linea generale, a confermare le
intuizioni avanzate da Sassure. Le concezioni strutturaliste e il loro rigore cartesiano hanno chiaramente
contribuito a questo rinnovamento degli studi sull'indoeuropeo antico; a questo proposito Benveniste ha
mostrato come i fatti singoli debbano essere spiegati interrogandoli nel sistema.
COMPORTAMENTISMO E MENTALISMO.
I linguisti americani hanno avuto una parte attiva nello sviluppo della nostra disciplina e occupano posizioni
avanzatissime su certi punti, come nella applicazione dei metodi strutturalisti; soprattutto sul piano della
sincronia essi hanno accumulato le loro ricerche, spinti dalla necessità di descrivere il grandissimo numero
di lingue amerindiane in uso nel continente americano, compito urgente in quanto molte di esse sono in via
di sparizione; l'opera di Boas, all'inizio del nostro secolo, è stata particolarmente importante. Sarebbe
arbitrario parlare di una linguistica americana come di una scuola autonoma e a sé stante, pur se i linguisti
americani sostengono opinioni differenti da quelle correnti in Europa; c'è stata una cesura, causata
dall'ultima guerra mondiale, ma c'è anche il fatto che la struttura suis generis delle lingue indigene, lingue
senza storia, pone dei problemi di tipo particolare: nel momento in cui i ricercatori sono posti di fronte a
una lingua sconosciuta, per la quale non possono ricorrere ad alcun sistema prestabilito, sono spinti a
identificare e classificare i segmenti che riescono a isolare; e questo fatto spiega l'importanza che essi
accordano alla struttura più che alla funzione. Un aspetto del dibattito linguistico che ha varcato le frontiere
degli stati uniti, è la polemica che ha contrapposto i seguaci della teoria comportamentista a quelli della
teoria mentalista. Il comportamentismo si rifà all'autorità di Bloomfield, si configura come un sistema
positivista in cui il linguaggio, al pari delle altre attività umane, viene visto come una conseguenza naturale

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delle azioni e reazioni dei vari elementi che compongono il corpo umano; considerando che il significato
viene dato dalla situazione nella quale il soggetto parlante ammette una forma linguistica, Bloomflield se ne
disinteressa per dedicarsi unicamente allo studio dell'aspetto formale del linguaggio. Il mentalismo, per il
quale tendeva Sapir, che oggi si ricollega a Jakobson, è invece una dottrina di natura psicologica, secondo
cui la variabilità delle linguaggio è frutto dell'azione esercitata su fattori psichici da una forza spirituale che
comanda i nostri centri nervosi; Sapir, che aveva fatto esperienze linguistiche sugli indiani d'America,
riteneva che bisognava tener conto della coscienza linguistica dei soggetti parlanti; egli aveva fatto notare
come un osservatore che rifletta sulla lingua madre e d'un osservatore straniero possano dare diverse
interpretazioni di una stessa struttura fonetica, e quindi concludeva che occorre superare i dati sensibili per
cogliere le forme così come sono intuitivamente apparse e comunicate, si veda d'altra parte come, nel suo
tentativo di classificare le lingue del mondo, egli si mostrasse strutturalista anti litteram. Un simile
confronto di idee avrebbe potuto fecondare la ricerca se si fossero presi gli elementi che più sembrano
solidi; sarebbe bastato ricordarsi degli insegnamenti dello psicologo francese Delacroix: l'evoluzione di una
lingua è sottesa dalle esigenze del significato, il linguaggio è opera di tutto l'uomo. In realtà le discussioni si
sono rivelate deludenti e spesso sterili a causa dell'intolleranza e dello spirito polemico che più d'una volta
le hanno pervase. L'interesse del dibattito si è fortemente attenuato da quando l'attenzione dei linguisti
americani si è concentrata sulle teorie strutturaliste.
LA LINGUISTICA SOVIETICA.
Gli studiosi russi, che avevano avuto una parte attiva nei vari movimenti di grammatica comparata e di
linguistica, allo scoppio della rivoluzione si trovarono brutalmente tagliati fuori dal resto del mondo e da
allora vissero per molti anni al chiuso. Toccò a Marr definire nel campo della linguistica la dottrina ufficiale
del regime al quale egli aderiva. Egli s’invischiò nell’insolubile problema delle origini del linguaggio e si mise
a predicare la dottrina della monogenesi delle lingue del mondo; la cosa più stupefacente e che queste
concezioni aberranti creeranno l'insegnamento dottrinario di base della linguistica sovietica. Rifiutando il
metodo della comparazione storica, Marr lanciava una sola teoria giapetica, che, su basi puramente
semantiche, erigeva una strana paleontologia linguistica: all'origine, ci sarebbero stati quattro elementi,
parole-totem, che grazie al gioco delle varianti avrebbero dato origine a tutte le lingue. Egli sosteneva il
carattere di classe della lingua, sino al punto di affermare che le parlate delle stesse classi sociali di regione
diverse, mostravano tra di loro una parentela tipologica maggiore che non le parlate delle varie classi sociali
in una stessa nazione. Considerando la lingua come una attività d'ordine sovrannaturale, modificabile
bruscamente per effetto di mutamenti dell'infrastruttura economica: donde il concetto di balzi rivoluzionari
è le corrispondenze che semplicisticamente egli stabiliva tra stati linguistici e stati sociali. Ma nel giugno del
1950 Stalin condannò le teorie marriane, giudicandole in contraddizione con l'intero cammino della storia
dei popoli e delle lingue; rimetteva in onore lo studio classico della parentela linguistica, che può essere di
grande utilità per lo studio delle leggi di sviluppo della lingua, e ribadiva la parentela delle nazioni slave;
dichiarava infine che il linguaggio è strettamente legato al complesso delle attività umane, per cui molto
lento è il processo di sviluppo e di evoluzione d'una lingua in seno a una società. Di questa svolta si sono
date varie interpretazioni: reazione del buonsenso di fronte a posizioni scientificamente insostenibili;
l'influsso degli ambienti universitari georgiani, dove le tesi di Marr non erano penetrate; calcolo politico, in
cui la comunità politica slava doveva servire a rafforzare l'unione dei popoli slavi intorno alla Russia. I
risultati non si sono fatti attendere: i linguisti russi sono tornati a partecipare attivamente ai lavori di
linguistica e di grammatica comparata, prova evidente che la tradizione non si era spezzata e che
l'università sovietiche avevano continuato a lavorare secondo sane norme scientifiche che venivano
trasmesse ai giovani. Informazione si è allargata, ed è apparsa chiara la preoccupazione di far conoscere,
senza assicurarle con la polemica, i risultati raggiunti in oltre trent'anni da ricerca linguistica fuori
dell'unione sovietica. Dopo il XX congresso del partito comunista, 1956, è stata accordata una maggiore
libertà alla ricerca scientifica, e si è visto rinascere interesse per la linguistica generale. Pur essendo
all'avanguardia nelle ricerche di linguistica applicata, che hanno ricevuto una notevole spinta dal progresso
dell'elettronica, della cibernetica, e della tecnica delle comunicazioni, i russi non hanno perso il gusto della
filosofia del linguaggio. Mechtchaninov e Vinogradov si staccarono nettamente da Marr e da Stalin, e le
discussioni suscitate dalle tesi della linguistica occidentale sono state spesso vivaci. Se certi studiosi sovietici
rimproverano allo strutturalismo di perdere di vista la realtà sociale in cui trova le sue radici il linguaggio è

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di diventare così una astratto sistema di concetti, un sistema idealistico, che è l’opposto del materialismo
storico cui essi si richiamano, altri al contrario, manifestano un vivo interesse per lo sviluppo dei metodi
strutturalisti; Šaumjan, che ha difeso la fonologia, la glossemantica, si è interessato al trasformazionalismo
di Chomsky, ricercando il fatto che lo studio del linguaggio deve svilupparsi con un metodo scientifico
centro delle preoccupazioni dottrinali. Revzin, ritiene che bisogna combinare i metodi strutturalisti con
quelli tradizionali, Achmanova ha messo in guardia contro i possibili eccessi della linguistica quantitativa. In
generale la linguistica marxista, che considera la lingua come espressione del pensiero prodotto collettivo di
un gruppo, sostiene che essa debba essere studiata concordemente da questi due punti di vista ed insiste
sulla complessità del fenomeno linguistico. Le tesi marxista sono state difese anche al di fuori dell'URSS, in
Polonia, Schaff ha pubblicato diversi lavori, che riguardano soprattutto i rapporti tra la teoria della
conoscenza e la filosofia del linguaggio come anche la semantica, nel senso più vasto del termine. Il
linguista parigino Choen tendo di diffondere le tesi marxiste; ma le idee egli espone non sono diverse dalle
teorie classiche francesi.
LA FONETICA.
Per iniziativa di Rousselot, la fonetica sperimentale si era formata e sviluppata mediante l'impiego in
laboratorio di strumenti sempre meglio adeguati ai suoi scopi: analisi e registrazione del gioco delle corde
vocali, della funzione della cavità oronasali, del funzionamento dei vari organi della fonazione, l'uso dei
raggi x; essa ha potuto anche stabilire la propria universalità, avendo l'esperienza dimostrato che i caratteri
somatici degli individui non intervengono nella differenziazione del materiale fonico. In questi ultimi anni la
fonetica ha avuto uno sviluppo prodigioso: mentre durante i primi cinquant'anni della sua esistenza essa si
era dedicata soprattutto allo studio dell'articolazione, adesso si è invece rivolta all'analisi dell'audizione.
Partendo dai dati della fisica acustica e utilizzando le tecniche più perfezionate, la fonetica ha creato gli
strumenti d’analisi, di misurazione e di registrazione estremamente precisi; alcuni permettono di
scomporre il suono in armoniche formanti, altri tentano persino di riprodurre sinteticamente la parola: i
risultati ottenuti sono già notevoli ed è lecito attendersi grandi progressi. La fonetica si è costituita in
disciplina autonoma e ha un raggio d'azione considerevole. Gli insegnamenti che essa fornisce alla
linguistica sono numerosi e preziosi: precisazioni nell'analisi degli elementi basilari del linguaggio,
meccanismo delle opposizioni funzionali, ufficio dell’accento e del tono, analisi del ritmo. Nel campo della
linguistica applicata, essa ha avuto risultati spettacolosi, come nella creazione delle cosiddette tecniche
audio-visive: in questo settore i principi dell'analisi strutturale e l'applicazione dei procedimenti della
fonologia hanno avuto un'importanza determinante per l'elaborazione dei metodi che mirano a un
insegnamento accelerato delle lingue vive.
LA TIPOLOGIA LINGUISTICA.
All'inizio dell'era moderna apparvero dei manuali in cui le lingue venivano classificate secondo la loro
ripartizione geografica. Ben presto però subentrò un altro criterio: quello della classificazione genetica che
cercò di raggruppare le lingue per famiglie. Questa nozione applicata all’indoeuropeo e sostenuta con un
metodo rigoroso ha dato origine alla grammatica comparata determinando lo sviluppo della scienza
linguistica. I successi ottenuti dalla scuola neogrammatica avevano dato fiducia nel metodo storico, essi
erano convinti di poterle applicare all'insieme delle lingue. Nella prefazione del “Les langue du mond”
Meillet dopo essersi preoccupato di indicare i limiti del metodo sottolineando come ogni dimostrazione
diventi illusoria non appena si lasci il terreno dei documenti storici e ci sia avventuri in quello della
ricostruzione di comunità linguistiche non attestate; era convinto che la grammatica comparata delle lingue
indoeuropee fornisse il modello da imitare e di ritenere che il solo valido criterio di parentela fosse quello
delle continuità di forme grammaticali; pensava che si sarebbe arrivati a dimostrare che la maggior parte
delle lingue risalgono a un piccolo numero di precise famiglie, affermava che: la sola classificazione
linguistica che abbia valore e utilità e la classificazione genealogica, fondata sulla storia delle lingue. Alcuni
fatti nuovi e nuovi principi d’indagine hanno dimostrato che il metodo genetico, ottimo per l'indoeuropeo,
si rivela infruttuoso applicato per classificare le lingue del mondo delle quali ignoriamo la storia. Il metodo
genetico ha valore solo fra due date storiche; tutto ciò che è preistoria, sul terreno linguistico non può
essere oggetto che di azzardate congetture, è sempre agevole per chi sia dotato di immaginazione
ricostruire stati di lingua ipotetici comuni a più famiglie storicamente attestate; tanto che il metodo
genetico arriva paradossalmente a dimostrare che è impossibile stabilire che due lingue non siano

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imparentate. Le lingue s’influenzano vicendevolmente e modificano il loro lessico o persino la struttura


mutuando elementi forestieri. Il concetto stesso di parentela linguistica appare fluttuante e soggetto a
interpretazioni diverse. La nozione d’affinità linguistica si è rivelata una delle più feconde nelle ricerche
degli ultimi decenni; ci si è preoccupati di studiare con maggior precisione le reciproche influenze di dialetti
vicini, di stabilire che cosa può unire, in un medesimo contesto geografico e sociale, lingue talvolta
diversissimi tra loro, di mettere in luce i vari aspetti della parentela per vicinato. Nella seconda edizione del
“Les langue du monde” la prefazione di Meillet scompare, in quanto sarebbe stata smentita dal contenuto
del volume, nel quale, accanto al raggruppamento per famiglie, e accanto alla presentazione geografica cui
si era indotti quando non fosse possibile applicare il metodo genealogico, appare un altro criterio di
raggruppamento: la classificazione tipologica. Si designa un metodo che tenta di raggruppare le lingue sulla
base dei loro caratteri strutturali. Sarà l'analisi dei mezzi espressivi, sui vari piani: fonetico, morfologico,
sintattico, semantico, ecc. ciò che dovrà guidare il linguista nel raggruppamento delle lingue parlate sulla
terra. Si è ancora lontani dall'aver formulato dei criteri che raccolgano un consenso unanime dei ricercatori.
A valorizzare questo metodo di lavoro che autorizzava una ricerca concreta sono stati in particolare i
linguisti americani, in quanto hanno a che fare con una situazione estremamente complicata per la quale i
metodi della linguistica classica si rivelano insufficienti e inapplicabili. Questo metodo tipologico non è poi
tanto nuovo. Si potrebbe sostenere che una classificazione genetica e anche tipologica: le identificazioni
materiali tra le forme e gli elementi delle forme, identificazioni che sono oggetto della linguistica storica,
finiscono col ricavare una struttura formale e grammaticale propria della famiglia definita. Ci si è anche
potuti domandare se all'inverso, una classificazione genetica non possa fondarsi soltanto su criteri
tipologici. La risposta non può essere univoca; è evidente che i concetti di parentela genetica e di parentela
tipologica sono indipendenti, anche se di fatto si trovano spesso sovrapposti; la parentela di struttura può
risultare da un'origine comune, ma può anche trovarsi realizzata indipendentemente in molte lingue, fuori
da ogni rapporto genetico. Le differenze di tipo appaiono così nette che si pensò di usare definizioni
tipologiche per caratterizzare certi gruppi di lingue. Finck propone uno schema di classificazione
comprendente otto tipi, definiti da una lingua caratteristica e che si ripartiscono in tre grandi gruppi:
A) isolante, che comprende due tipi:
- isolante-radicale (cinese: monosillabismo, rapporti espressi mediante l'ordine delle
parole e l'uso di parole vuote);
- isolante-tematico (samano: lingua polinesiana, uso di suffissi e affissi ruolo dominante
delle particelle);
B) flessionale, comprende tre tipi:
- flessionale-radicale (arabo: modificazione della radice);
- flessionale-tematico (greco: modificazione del tema);
- flessionale di gruppo (georgiano: forme flesse che possono ricevere degli infissi);
C) affissiante, comprende tre tipi:
- subordinante ( turco: elementi suffissi alla radice);
- incorporante (groenlandese: conglomerato di elementi suffissi al radicale, forte sinteticità
e formazione di parole lunghe che rappresentano frasi complete);
- seriante (subiya, dialetto bantu: lingua con classi).
Questo schema è tuttavia lungi dall'essere esauriente: non vi si possono includere le lingue amerindiane
dalla struttura così originale; e non è senza significato che lo stesso Finck le presentasse non secondo lo
schema tipologico che aveva appena definito, ma rifacendosi a un raggruppamento di tipo etnografico.
Questa stessa tipologia è stata ripresa da Lewy, che l'ha applicata alle lingue moderne dell'Europa, a 18 di
esse scelte come particolarmente significative. Questo raggruppamento chiamato "geografico-tipologico",
si rifà a criteri strutturali e non genetici, svincolato dalla storia. Egli divide le lingue europee in cinque
domini: atlantico, isolante-flessionale (basco, spagnolo, francese, italiano, irlandese, inglese, svedese);
centrale, con flessione della parola (tedesco, ungherese); orientale, flessionale-tematico e subordinante
(lettone, russo, finnico); artico, subordinando (yurak). Nessuna di queste classificazioni tipologiche può
soddisfarci a pieno. Il principio che insidia i ricercatore e di applicare al complesso delle lingue del mondo
principi di metodo che, se valgono per le lingue indoeuropee, non per questo hanno valore universale. La
distinzione tra nome e verbo e uno dei criteri essenziali delle lingue indoeuropee, e nella dicotomia fra
oggetto / processo si è voluto vedere uno dei fondamenti logici dello spirito umano. In molte lingue non c'è

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una separazione netta tra nome e verbo, e in altre questa distinzione non si attua. La distinzione tra
processo e oggetto è evidente solo per chi ragioni sulla base delle classificazioni proprie della sua lingua
nativa, che egli trasporre in dati universali; perfino costui arriverà presto a riconoscere che cavallo e un
oggetto e correre un processo solo perché l'uno e un nome e l'altro un verbo. Una definizione che miri a
dare una giustificazione naturale del modo in cui una particolare lingua organizza le sue nozioni è
condannata ad avvolgersi in un circolo vizioso. Si è sempre ammesso che uno dei criteri decisivi per
riconoscere una famiglia di lingue fosse la permanenza dei nomi di numero, chiaro nelle lingue
indoeuropee. Si è potuto constatare che, in altri tipi di lingue, alcuni nomi di numero e perfino intere sedi di
numerali sono stati presi in prestito per ragioni che non è sempre possibile stabilire. L'insufficienza e
l’inadeguatezza del quadro grammaticale concepito per lingue europee saltano agli occhi quando
pretendiamo di considerarlo valido per l'insieme del globo. Troppo spesso noi studiamo le lingue del
mondo partendo da nozioni ricavate dalle lingue a noi familiari. Da quando l'analisi delle lingue cosiddette
primitive ha rivelato un'organizzazione altamente differenziata e sistematica, il tipo indoeuropeo, ben lungi
dal costituire una norma, appare piuttosto un'eccezione. Erudito di grande lucidità intellettuale, profondo
conoscitore delle lingue amerindiane, Sapir fu sempre attento al valore umano dei fatti linguistici e al loro
aspetto estetico. Nel capitolo sesto del Language propone una classificazione dei tipi linguistici che segna
indubbiamente un grande progresso su ciò che era stato proposto prima di lui. Egli si richiama a un triplice
criterio. Il primo è quello del tipo dei concetti espressi; si possono avere: concetti di base, di natura
concreta; concetti derivazionali, di carattere meno concreto dei precedenti e formati per affissione di
elementi non radicali; concetti relazionali concreti, ancora più astratti, ma non privi di carattere concreto;
concetti puramente relazionali, del tutto astratti. Normalmente i primi concetti sono espressi da parole
indipendenti, i tipi 2 e 3 sono espressi sia col procedimento dell’affissazione sia per modificazione interna
degli elementi radicali; il tipo 4 utilizza queste diverse possibilità e in più quelle fornite dall'ordine delle
parole. Il secondo criterio è quello della tecnica: si determina la natura delle combinazioni morfologiche,
che può essere isolante, agglutinante, fusionale o simbolica. Il terzo criterio è il tipo di struttura attuato
nelle unità della lingua è che permette di qualificare quest'ultima come: analitica, lingue che non
combinano concetti e conservano valore isolate; sintetica; polisintetica, sintetica in più alto grado,
un'estrema complicazione delle parole. Sapir ha tenuto conto della complessità dei fatti linguistici e i tipi
fondamentali che egli tenta di stabilire sono il risultato della combinazione dei vari criteri che abbiamo
sopra annunciato. Il quadro così ottenuto non ha niente d’assoluto e le ripartizioni non assomigliano affatto
a compartimenti stagni; se tutte le lingue del mondo debbono trovarvi posto, ciò avviene
indipendentemente da ogni considerazione geografica o genetica. Sapir era consapevole delle insufficienze
e lacune della sua teoria per vedervi altro che un tentativo provvisorio e soggetto a revisione. L’adoperare i
vari indizi è cosa delicata, poiché la qualifica da assegnare a questo o a quel fenomeno linguistico dipende
spesso dalla valutazione più o meno soggettiva del linguista; un buon numero di lingue, che mostrano al
tempo stesso varie caratteristiche, rimangono a cavallo su diverse caselle del quadro. Lo stesso Sapir segna
dubbi e incertezze; se include il latino, il greco e il sanscrito tra le lingue sintetiche, esprime una riserva per
la tecnica: fusionale, ma come una sfumatura alternante. Le lingue sono strutture storiche estremamente
complesse. Non è tanto importante sistemare ognuna di esse in una casella ben precisa quanto l'aver
stabilito un metodo duttile che ci consenta di studiarne, da due o tre punti di vista indipendenti, in
relazione con un'altra lingua. Questa classificazione è certamente la più ragionata e la più aderente ai fatti
che sia stata proposta in quest’ordine di idee, ciò secondo un metodo che potremmo chiamare metodo
linguistico puro o strutturale. Egli esami dei fatti in base a criteri puramente linguistici, considerando il
linguaggio tanto nel suo contenuto semantico quanto nel suo modo di esprimerle, d'accordo con la famosa
posizione della Cours: il solo e vero oggetto della linguistica è la lingua considerata in sé e per sé. Questo
metodo sembra aver toccato i suoi limiti e non lascia sperare in risultati più concreti. Meglio rivolgersi alle
nuove prospettive indicate da Benveniste nel suo saggio sulla classificazione delle lingue. Egli osserva che:
sono degli insiemi così complessi che è possibile classificare in relazione a un gran numero di criteri. Una
tipologia coerente e comprensiva dovrà tener conto di parecchi ordini di distinzione e stabilire una
gerarchia fra i tratti morfologici che ne dipendono. Si domanda se non converrebbe innanzitutto
riconoscere che una forma altro non è che una possibilità della struttura; il compito più urgente sarebbe di
elaborare una teoria generale della struttura linguistica, e lo sforzo di classificazione dovrebbe in tal caso
fondarsi sugli elementi di tale struttura. Condizione preliminare di una simile impresa dovrebbe essere

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quella di abbandonare il principio secondo cui non si dà scienza linguistica se non del dato, è che il
linguaggio consiste integralmente nella sua manifestazione e realizzate; il dato linguistico è un risultato, e
bisogna cercare da che cosa esso risulti. Si potrà arrivare a una simile classificazione solo con l'aiuto della
logica simbolica, utilizzando i suoi procedimenti per formulare in maniera adeguata le definizioni e
individuare correttamente relazioni. Per usare la terminologia dello strutturalismo, trascendendo la forma
ci si richiama alla funzione. Un simile metodo logico-linguistico dovrebbe essere adoperato solo da
ricercatori esperti è ben informati dei metodi classici della comparazione; sarebbe infatti un guaio se le
ricerche sulla classificazione delle lingue facessero rinascere ancora una volta il mito del linguaggio
considerato come un'entità a sé, distaccata dalle contingenze umane; bisogna mantenere il contatto con il
reale, a questa condizione il metodo non potrà non dare frutti.
LA STILISTICA.
La stilistica pur essendo un po' ai margini della linguistica, occupa un posto importante nella storia della
nostra scienza, sia per gli impulsi che ne ha ricevuti sia per gli insegnamenti che le apporta. Il termine
stilistica si applica a tipi di ricerca diversi. Se trascuriamo lo studio tradizionale dello stile, somma di
osservazioni eterogenee e soggettive riguardanti insieme la forma e la sostanza e non regolate da nessuna
norma ben definita si distinguono oggi essenzialmente la stilistica dell'espressione e quelle individuale. La
prima definita da Bally come lo studio dei fatti d’espressione del linguaggio organizzato dal punto di vista
del loro contenuto affettivo, cioè l'espressione dei fatti della sensibilità attraverso il linguaggio e l'azione dei
fatti di linguaggio sulla sensibilità, si colloca sul piano della sincronia essi riallaccia al problema della
distinzione tra langue e parole. Bally ha cercato di classificare il valore stilistico dei mezzi di espressione; e
così che Marouzeau partendo da un problema ben delimitato: l'ordine delle parole in latino, ha tentato di
determinare le ragioni della scelta che il parlante opera tra le possibilità che gli offre la lingua. A questa
stilistica dell'espressione, che considera il linguaggio in quanto mezzo espressivo di una comunità
linguistica, i seguaci della scuola idealista oppongono la stilistica individuale, che si fonda soprattutto sui
fatti di parole e studia i rapporti dell'espressione con il soggetto parlante che la usa. Si tratta in questo caso
di uno studio di tipo genetico che si volge di preferenza alla lingua letteraria e sta all'origine di
numerosissimi lavori sullo stile degli scrittori. Le due opposte concezioni della stilistica non sono poi
inconciliabili: è possibile infatti studiare in che modo le risorse espressive del linguaggio vengono utilizzate
al momento della creazione di una opera d'arte, ed è difficile separare i fatti di linguaggio dai procedimenti
stilistici; non c'è una barriera tra linguistica, critica dei testi ed estetica della letteratura.
LA SEMANTICA.
Creata da Bréal, la semantica si era sviluppata come una scienza storica il cui obiettivo fondamentale era di
studiare le evoluzioni dei significati: come le parole mutino senso, come i concetti mutino parola. La
semantica suscitò numerosi e importanti lavori dedicati a questo o a quel processo evolutivo e a questa o
quella lingua. Coronamento di queste ricerche fu la pubblicazione del “Handbuch der Semasiologie” di
Kronasser, opera d'ampia informazione che rientra nella tradizione classica poiché considera
essenzialmente le evoluzioni di significato; quanto alle motivazioni psicologiche con cui l'autore cerca di
spiegare i vari processi dei mutamenti di senso, esse sono evidentemente alquanto soggettive e in ogni caso
meno attendibili; esse non fanno che richiamarsi agli schemi logici ereditati dalla retorica antica attraverso
la scolastica medievale e le dottrine della grammatica generale di ispirazione cartesiana. In seguito alle
analisi proposte nella Cours, nascono le teorie del tipo strutturalista che, dopo essere state inizialmente
applicate allo studio dei suoni, estesero ben presto il loro dominio al campo della morfologia e quello dei
rapporti sintattici investendo tutta quanta la struttura linguistica, tranne però la semantica, che rimaneva
fuori da questi sviluppi. Il sistema fonologico e il sistema grammaticale di una lingua si compongono di
pochi elementi; il vocabolario dispone di risorse così vaste da essere praticamente illimitate. A questo
contrasto quantitativo si aggiungono importanti differenze di qualità. In un determinato stadio linguistico,
gli elementi fonici e grammaticali sono strettamente organizzati e relativamente stabili. Il lessico è
essenzialmente instabile: si arricchisce continuamente di parole nuove, mentre altre cadono in disuso ed
altre ancora assumono significati nuovi. Questa natura particolare dei fatti semantici lì rende
apparentemente ribelli a ogni rigida classificazione, ed ha indotto certi estremisti dello strutturalismo
americano a escludere deliberatamente tali fatti dalle loro ricerche col pretesto dell'esattezza scientifica.
Ullmann nel suo “Principles of Semantics” il cui merito fondamentale e di applicare alla semantica i

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procedimenti dell'indagine strutturale e di presentare i dati acquisiti in un manuale scritto con grande
chiarezza. Il problema della significazione è stato affrontato sul piano della psicologia, sul piano della
filosofia, in cui s’inquadra in uno studio generale dei segni, ed in particolare in logica dove ci si è
preoccupati di creare uno strumento di comunicazione che trascenda la verità delle lingue naturali.
Il tentativo più limpido fu quello compiuto da Trier, il quale stabilisce la nozione di campo semantico che
costituisce una sorta di “sprachliche Zwischenwelt” e aiuta a meglio comprendere quei rapporti tra
significante e significato. Egli sviluppò la sua concezione del campo semantico partendo da un esempio
caratteristico preso dal lessico tedesco; egli mostrò come, intorno al 1200, le due parole “Kunst”, arte, e
“List”, artificio, che indicavano le opposte società cortese e non-cortese, il primo riferendosi alle qualità
cavalleresca, il secondo alle conoscenze borghesi, fossero entrambi compressi sotto il concetto di Wisheit,
saggezza, che valeva sia per le attitudini morali o religiose sia per le capacità tecniche; 100 anni più tardi
Wizzen, il sapere, aveva sostituito List, ma i rapporti fra i tre termini erano diversi: Kunst e Wizzen si
contrapponevano pressappoco nello stesso modo in cui prima si contrapponevano Kunst e List, ma con in
meno la connotazione sociale. Kunst designa l'arte nel senso più elevato, Wizzen il sapere materiale;
Wisheit non ricopre più le loro accezioni ed è riservata al dominio spirituale. Ogni mutamento nel valore di
un concetto porta con sé una modificazione nel valore dei concetti vicini e sono in definitiva le parole a
rispecchiare tali modificazioni nel contenuto dei concetti. Non si poteva unire meglio e più armonicamente
l'indagine sincronica con quella diacronica. Questa teoria era in sostanza, prima ancora che lo
strutturalismo si costituisce su basi solide, un’applicazione dei suoi metodi alla semantica e preannunciava
lo sconvolgimento che questa disciplina avrebbe avuto vent'anni più tardi.
Meno rivoluzionaria, perché si applica al lessico più che alla struttura e si limita a rapporti d'ordine
semantico, è la nozione di campo associativo, elaborata da Bally. La parola bue per esempio fa pensare a: 1)
vacca, Toro, vitello; 2) lavorare i campi, aratro; 3) evoca idee di forze, sopportazione, lentezza. Bally in tal
modo non faceva che rendere esplicita l'idea saussuriana di costellazioni o rapporti associativi: il Cours
distingue vari tipi di associazione, a seconda che l'elemento comune sia il radicale, il suffisso o ancora a
seconda che l'associazione si basi sull'analogia dei significati o sulla comunanza delle immagini acustiche.
Ispirandosi a considerazioni di questo genere, Ullmann, dopo aver distinto tra i mutamenti dovuti al
conservatorismo linguistico e quelli dovuti all'innovazione linguistica, osservava che per questi ultimi può
aversi o trasposizione del nome o trasposizione del senso è che questa trasposizione si attua o per
somiglianza o per contiguità; egli costruisce uno schema che tiene conto di tutti i tipi possibili di
associazioni, vediamo come nell'incarico di tali combinazioni la semantica strutturalista oggi finisca talvolta
col disegnare delle figure che ricordano curiosamente le suddivisioni della retorica antica. Questo schema si
trovò sviluppato nel capitolo dedicato alla semantica storica: i Principles si dividono in una parte descrittiva
e una storica, perché l'autore resta fedele all'antinomia saussuriana tra sincronia e diacronia. Considerando
evidente l'opposizione tra le due prospettive, egli dichiara che esse sono egualmente legittime e aggiunge:
ciò che non è legittimo, è la combinazione dei due punti di vista, introduzione di dati storici nella
descrizione di una lingua. Se egli intravede la possibilità di costruire una semantica pancronica intesa a
stabilire ciò che è comune a tutte le lingue e a tutte le epoche, concepisce però anch'essa sotto la forma
binaria pansincronia / pandiacronia. La distinzione sincronia / diacronia è utile come procedimento
didattico; ma trasformarla in rigido presupposto dello studio semantico è eccessivo. Ullmann stesso ha
attenuato la sua posizione riconoscendo che, se la distinzione predicata da Saussure è sempre valida,
l’antinomia è una tesi insostenibile, ammette che, se in certi casi la separazione dei due metodi resta
necessaria, la loro combinazione e fruttuosa in altri. Il fatto che ogni struttura è il risultato di sviluppi storici
la cui conoscenza contribuisce gradatamente a chiarire la sua configurazione attuale; la storia dei
significanti non si può fare per parole isolate: occorre invece vedere in che modo evolva l'intera struttura, il
campo semantica, nella quale le singole parole si integrano. Esempio: latino coxa “anca”, diventa in
francese cuisse, in italiano coscia; includere questa evoluzione tra gli slittamenti di senso, è una
constatazione che spiega il processo: in realtà occorre ricollocare la parola nel gruppo in cui fa parte e ci si
accorge allora che il rinnovamento terminologico investe le tre denominazioni dell'anca, della coscia e della
gamba e che ciascuna di queste mutazioni non si spiega che in riferimento alle mutazioni vicine; il
cambiamento non riguarda quindi soltanto coxa, ma tutto il campo semantico di cui essa fa parte,
l'evoluzione coxa>cuisse non si spiega con una semplice associazione per contiguità, come una metonimia,
ma attraverso lo studio di tutto il sistema lessicale a cui appartiene.

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Il numero e l'importanza dei lavori dedicati da una decina d'anni alla semantica mostrano come fosse
giustificato il ricorso ai metodi strutturalisti per dar vita a questo settore della linguistica. È particolarmente
significativo che sia stato Hjelmslev a redigere la relazione sul problema: in quale misura si può ritenere che
i significati delle parole formino una struttura? Introdurre la nozione di struttura nello studio dei fatti
semantici significa introdurvi la nozione di valore accanto a quella di significato; e attraverso alcuni esempi
mostrava come i concetti di commutazione e sostituzione, familiari nel ragionamento dei glossematisti,
potessero intervenire nell'analisi semantica. Prendendo in considerazione il piano del contenuto Coseriu ha
cercato di dare i principi di una semantica diacronica strutturale, perché si applica tanto alla forma quanto
alla sostanza del contenuto. Guiraud ha dato eccellenti esempi di quanto possa servire alla spiegazione di
termini ritenuti oscuri un metodo che ricollochi la parola nel sistema di cui fa parte, nell'insieme delle
forme e dei significati che costituiscono il suo “campo morfo-semantico”. E giustificata la distinzione,
interna alla semantica, tra la semasiologia, che procede dalla forma verso i significati, e la onomasiologia,
che procede dal concetto alle designazioni. Sorge la necessità di far per ciascuna lingua due tipi di dizionari,
uno formale o fonologico e l'altro ideologico; lo studio dei campi concettuali si potrebbe fare con più
profitto se fosse considerato dal duplice punto di vista, strutturale e storico. La lessicografia di Martoré ha
dato origine ad alcuni notevoli studi sul lessico francese, e una disciplina sociologica che lavora su materiale
linguistico costituito dalle parole; affronta il problema mettendo a profitto le risorse del metodo strutturale
e studiando le parole in quanto parti di un insieme: studiando “parole-testimoni” e “parole-chiave”
caratteristiche di una determinata società. Questo studio dei “campi nazionali” collima con gli interessi di
Trier: mentre Trier studia la vita spirituale e morale per cogliere lo spirito di una nazione e di un'epoca,
Martoré si interessa del sostrato materiale, economico, tecnico e politico del lessico. Prieto ha proposto,
con il nome di nosologia, un prolungamento della fonologia, una teoria funzionale del significato, in cui
sono presi come punto di partenza gli enunciati e non le parole, una teoria che parte dal fatto concreto e lo
studia dal punto di vista del contributo della fonia al suo stabilirsi: si tratta di studiare le due facce del
segno, significante significato, l'una in rapporto all'altra. Lo strutturalismo e anche penetrato nelle ricerche
sulla forma del contenuto, tentando di costruire dei modelli d’analisi lessicologica, come quelli di Greimas,
che ricalcando i sistemi cronologici cercano di classificare i sémi in sistemi d’opposizioni, cedendo ad uno
schematismo un po' semplicistico. Weinreich si sforzo di trovare un legame tra la significazione a la sintassi,
di integrare la semantica alla grammatica degenerativa.
Gli elenchi di parole e i calcoli di frequenza sono stati usati largamente dalla filologia e dai linguisti,
soprattutto per l'esame delle opere letterarie; tuttavia solo in tempi recenti i metodi matematici sono stati
applicati in maniera sistematica alle lingue, soprattutto in seguito ai lavori di Zipf, che era arrivato a
proporre delle formule il cui rigore non manca di sconcertare il linguista, per esempio: i vari significanti di
una parola tendono a essere proporzionali alla radice quadrata della sua frequenza media.
CONCLUSIONE.
Costruita su un'illusione romantica la linguistica venne assimilata, intorno alla metà del 800, alle scienze
della natura e suo oggetto fu trattato come un organismo vivente. Più tardi sia del mito del linguaggio quale
bene sociale sopra individuale, situato nella coscienza collettiva della comunità linguistica. Poi nel secondo
quarto del nostro secolo, teorie strutturaliste troppo radicali trasformarono la lingua, sistema di forme
distaccate dalle contingenze, in un'entità sovrumana, metalinguistica. Recentemente c’è chi ha espresso la
speranza che la nostra scienza, grazie all'uso di metodi logico-matematici, prenda posto tra le scienze
esatte. La linguistica, in un secolo e mezzo, ha assunto una fisionomia completamente nuova. Mentre nel
secolo scorso il linguista aveva a che fare con un a pulviscolo di fatti, ora egli si trova dinanzi a una struttura,
che è l'idea-forza della linguistica attuale. Ieri la linguistica era opera di audizione; oggi è divenuta scienza.
Da un lato (parte prima) il secolo decimo nono con la presa di conoscenza delle realtà linguistica, la
classificazione l'ordinamento di una massa sterminata di fatti, la formazione di un saldo metodo scientifico;
dall'altra (parte terza), la nostra epoca caratterizzata dall'assillante preoccupazione di integrare nella
struttura dati divergenti forniti dall'osservazione; in mezzo (parte seconda), colui che lanciò la scintilla del
rinnovamento: de Saussure. È lecito sperare in nuovi acquisti che possano alimentare la riflessione, come
da decifrazione di documenti antichi con la scoperta di lingue ancora sconosciute; ma soprattutto c'è da
attendersi un rinnovamento nei metodi di analisi, di classificazione, di comparazione. Le scienze umane
sono scienze di interpretazione, interpretazioni molteplici sono sempre possibili: è appunto questo ciò che

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rende così forte per i ricercatore la tentazione di aggrapparsi ai metodi delle scienze naturali, anzi alla
certezza matematica. Scienze umana quale è, la linguistica deve sottrarsi a questo illusorio rifugio. Il
continuo rinnovarsi delle tesi e l'incertezza delle conclusioni non hanno di che stupirci.
APPENDICE - ALCUNI CARATTERI TIPICI DELLE SCIENZE LINGUISTICHE CONTEMPORANEE DI TULLIO
DE MAURO
Nella grande varietà di indagini, la linguistica contemporanea lascia scorgere alcune tendenze tipiche, che
individuano la fase presente degli studi rispetto al passato: le tecniche di analisi oggettiva si estendono a
nuovi settori con crescente rapidità; la teoria e le stesse indagini concrete vanno verso un sempre più
accentuato raffinamento formale; in sede teorica e storico-descrittiva emerge o riemerge una concezione
dinamica della lingua; si delinea la possibilità non di conciliare ecletticamente e superficialmente, ma di
unificare a livello profondo il rigore formale, impostosi attraverso l'esperienza dello strutturalismo, con la
sensibilità storica e la precisione d'osservazioni inizialmente affermatesi attraverso le indagini della
linguistica pre- e non strutturalista. La diminuita angustia dell'orizzonte teorico e della pratica d'indagine
consente, infine, di volgersi con occhio nuovo alle epoche del passato, recuperando in sede storiografica il
senso delle concezioni del linguaggio elaborate nel mondo antico e medievale e, soprattutto, riscoprendo la
grande e moderna lezione che viene dai maggiori filosofi dell'Europa del Sei e Settecento.
Qui di seguito ci si propone di saggiare la consistenza di queste tendenze.
L'ANALISI OGGETTIVA DI NUOVI SETTORI.
La linguistica storica d'eredità ottocentesca e neogrammatica, la linguistica strutturale europea praghese, la
linguistica strutturale statunitense ispirata da Bloomfield hanno elaborato un prezioso tesoro di conoscenze
e di tecniche oggettive di ricerca relative soprattutto alla forma esterna delle lingue: l'oggetto privilegiato
dell'indagine era il significante dei segni linguistici. Così, fino agli anni Cinquanta, conoscenze si sono
accumulate specialmente nei settori della realizzazione fonica del significante (fonetica), considerata come
realizzazione unica o primaria, della fonematica, della morfematica, della distribuzione dei monemi nei
sintagmi, della frequenza di fonemi, monemi e tipi sintagmatici ecc. Si trattava di conoscenze sia d'ordine
sincronico sia d'ordine diacronico sia, infine rientranti nei tradizionali quadri della comparazione tra lingue
geneticamente affini (etimologia, grammatica comparata e storica).
Negli anni Sessanta la linguistica ha esteso le proprie ricerche alla forma interna delle lingue, al significato e
al senso, e ai fenomeni sintattici. Il significato di un segno linguistico è stato definito la classe dei possibili
sensi di quel segno; ed i sensi sono stati definiti o come i rapporti sociali che l'impiego di quel segno
istituisce o come gli stati d'esperienza (non importa se endo- o esoindividuale) che l'impiego di quel segno
segnala.
Il significato di un segno è apparso come una entità analizzabile: esso risulta dall'incontro di un certo
numero di ‘noemi' (all'incirca, i significati dei monemi lessicali e grammaticali dell'enunciato) in una
struttura sintattica. Secondo la maggior parte degli studiosi i significati dei monemi sia morfologici sia
lessicali sono parimenti analizzabili in tratti, che sono stati variamente denominati ‘semi' o ‘sememi ' o
‘componenti semiotici', i quali sono pertinenti, nel senso che, per una data lingua, essi costituiscono una
lista chiusa e sono in grado' di differenziare un noema dall'altro. Ma le analisi in componenti prodotte
sinora approdano alla dimostrazione della chiusura della lista dei componenti soltanto per i noemi
morfologici, mentre per i noemi lessicali o l'analisi non è tentata (l'omissione si registra ad esempio nei
fondamentali Principi di noologia di Prieto) oppure e tentata, ma non riesce a proporsi come esaustiva.
Cosicché non è da escludere che l'ipotesi secondo cui il significato degli elementi lessicali è un <<sapere
generico>> (Pagliaro), analizzabile sì oggettivamente in componenti semiotici, ma non in un numero chiuso
di componenti semiotici pertinenti, acquisti qualche credito nei prossimi sviluppi dell'indagine.
Anche nel campo dell'analisi sintattica studiosi diversi, talora in dissidio tra loro, come A. Martinet, M. A.
K: .Halliday, N. Chomsky, H. Frei, L Revzin, S. Saumjan, hanno conquistato importanti risultati. Un risultato
comune è di natura negativa: nessuno più pensa di poter descrivere un enunciato come una semplice
successione di monemi o sintagmi; al contrario, tutti si propongono di identificare la funzione dei monemi o
sintagmi nell'enunciato, funzione che può essere diversa, anche se la forma esterna è simile (si pensi alle
diverse funzioni di è pronto nelle due frasi il vitello è pronto da mangiare e il vitello è pronto a mangiare) o
addirittura, a livello di struttura sintagmatica superficiale, identica (si pensi ai due diversi valori di sono gli
studenti nella sequenza sono gli studenti che hanno sporcato la facoltà o di la lavatrice in la signora fa

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lavare la lavatrice). Individuare le funzioni o, più esattamente, descrivere in modo esplicito e formale come
il parlante individua le funzioni degli elementi della frase è ciò intorno a cui lavora oggi, con varie ipotesi, la
sintassi.
Quando la semantica parla di stati d'esperienza o rapporti sociali, quando la sintassi parla di individuazione
delle funzioni e di interpretazione della frase, nell'una e nell'altra disciplina al centro dell'attenzione non è
più soltanto il segno, ma anche l'utente, e non solo l'utente in quanto <<fa>> ma l'utente in quanto <<sa>>.
Così sembra che la linguistica finalmente stia raccogliendo l'invito di Saussure che, mezzo secolo prima,
aveva inutilmente richiamato i ricercatori a badare meno alla parte esteriore, esecutiva, dei comportamenti
linguistici, e più alla parte, com'egli diceva, <<passiva>>, <<che sta nel cervello>>, alla <<facoltà di
coordinare e associare i segni'>> e, in base a ciò, intenderli.
L'interesse per gli utenti dei segni linguistici è la ragione profonda dell'impulso che hanno le indagini sulle
relazioni tra individui o gruppi di individui e lingua. Indagini del genere non sono nuove se si guarda al loro
contenuto grezzo. Stilistica e retorica da un lato, dall'altro la storia delle lingue già da molto tempo avevano
cominciato a studiare le modalità dell'uso individuale d'una lingua e i rapporti tra collettività e idiomi.
Tuttavia si trattava di studi che nel caso della stilistica più tradizionale si limitavano a utenti privilegiati, agli
scrittori; e che, per lo più, erano volti al passato e trovavano nella documentazione di tipo storico-filologico
il loro unico mezzo di verifica. Oggi, senza rinnegare o dimenticare gli studi tradizionali di stilistica, retorica,
storia della lingua, l'indagine si volge allo studio dei comportamenti individuali indipendentemente da ogni
giudizio di valore letterario e guarda al presente, su cui è dato sperimentare con mezzi di indagine della
psicologia scientifica e della sociologia. Sono così venuti a piena maturazione due nuovi settori di studio: la
psicologia del linguaggio o psicolinguisticà e la sociologia del linguaggio o sociolinguistica. In entrambi i
campi gli studiosi si trovano impegnati non solo nella raccolta e analisi di materiali particolari, ma nella
elaborazione e verifica di ipotesi generali e teorie sull'apprendimento e il funzionamento (anche in senso
biologico e neurologico) della lingua negli individui e sull'organizzazione collettiva dei comportamenti
linguistici.
Le indagini psicolinguistiche hanno mostrato che i fenomeni dell’apprendimento e dell'uso dei segni
linguistici non si spiegano se non nel quadro d'una più generale attività di elaborazione e coordinazione di
schemi astratti (schemi astratti sono, appunto, significante e significato, e una coordinazione di schemi è il
segno), un'attività, cioè, capace di produrre simboli invarianti la quale sta a monte del linguaggio verbale.
Similmente, il coordinamento collettivo dei comportamenti linguistici, la comunicazione verbale, risulta
possibile soltanto entro la cornice d'una comunione sociale e culturale più vasta, ha alla radice una prassi di
integrazione sociale che è la forma basilare di comunicazione, come l'ultimo Wittgenstein aveva visto.
Le indagini sul linguaggio verbale si trovano così portate a proporsi, per completezza, i problemi dell'attività
simbolica in generale e della conformazione di codici regolanti il comportamento collettivo: di tali problemi
si occupa la semiologia o, come si preferisce dire nel mondo di lingua inglese, la semiotica. Come aveva
visto Saussure e come Hjelmslev ha mostrato nei suoi Prolegomena, in sede di semiologia si pongono al
giusto livello i problemi della definizione e della teoria generale dei segni e dei codici (verbali e non verbali):
ma l'esigenza teorica corre lungo tutto l'arco delle indagini contemporanee e ne costituisce una
caratteristica rilevante.
LA FORMALIZZAZIONE DELLA LINGUISTICA.
Già dall'Ottocento, soprattutto a partire dal periodo neogrammatico, la linguistica si caratterizzò tra le
scienze umane per il crescente rigore della sua terminologia e delle sue procedure di ricerca e d'esposizione
dei fatti. Appunto per tale rigore essa attrasse l'attenzione di studiosi come l'italiano Labriola,
l'epistemologo svizzero A. Naville e il filosofo praghese Marty. Il riconoscimento del carattere strutturale dei
fenomeni linguistici ha indotto in larga parte della linguistica (anzitutto nella fonematica) un processo di
ulteriore formalizzazione. Il lavoro di esplicitazione dei presupposti dell'analisi linguistica, avviato da
Saussure, è stato poi ripreso da Hjelmslev ed è stato portato assai avanti negli anni più recenti sotto la
spinta di Chomsky e delle polemiche che le sue tesi hanno suscitato. Lo stesso Chomsky, l'argentino Prieto,
il sovietico Revzin, il tedesco Schnelle sono alcuni tra gli studiosi che hanno prodotto i più compiuti disegni
di avanzata assiomatizzazione e formalizzazione dei fondamenti teorici della disciplina.
Mentre sulla strada delle indagini concrete la linguistica, attraverso sociolinguistica, psicolinguistica e
semiologia, si incontra con lo studio dei meccanismi cerebrali e con le teorie biologiche, sulla strada del

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raffinamento teorico, dell'approfondimento dei suoi propri presupposti teorici, la linguistica incontra
l'epistemologia e la logica matematica.
UNA CONCEZIONE DINAMICA DELLA LINGUA.
Attraverso le indagini semantiche e sintattiche, gli studi psicolinguistici, sociolinguistici e semiologici, infine
attraverso le stesse elaborazioni teoriche formali, la linguistica sta dando consistenza a una nuova
immagine della lingua. Questa non è più concepita come un insieme di segni: se cosi fosse; poiché i segni
che una lingua verbale può produrre sono infiniti (lo aveva intuito e asserito Saussure e lo ha
brillantemente dimostrato Chomsky, e la dimostrazione pare ormai al riparo da critiche), una lingua
sarebbe indescrivibile ovvero descrivibile solo all'infinito. Ma ciò urta contro una parte notevole delle
nostre esperienze, le quali ci dicono che, invece, è possibile <<chiudere>> la descrizione dei fonemi,
moderni e tipi sintattici d'una lingua. E in effetti, una lingua non è un insieme di segni, ma un meccanismo
(un <<arnese >>) composto d'un numero finito di parti e capace di produrre un numero infinito di segni.
Così l'accento non cade più sulle effettive produzioni realizzate, ma sulle modalità (finite) di produzione di
infiniti segni. In tal modo la lingua non appare più come un insieme statico di segni, ma come un sistema di
modalità produttive di infinita potenza, appare cioè come un sistema dinimaco.
Finora non si è riusciti a dimostrare che due lingue, due sistemi di modalità di produzione di segni siano
formalmente identici; resta cioè valida l'ipotesi secondo cui ogni lingua se la cava a suo modo dinanzi al
problema di produrre infiniti segni distinti (' arbitrarietà' della lingua).
Ma indubbiamente, come già. aveva intravisto il Benveniste all'inizio degli anni Cinquanta, vi possono
essere, al disotto di estrinseche differenze <<superficiali>>, delle parziali similarità profonde. A queste
similarità si è dato il nome di <<universals of language», <<universali linguistici>>, o, come è stato detto
(Greenberg, Martinet), << quasi-universali>> : in effetti è indimostrato che uno degli <<universali» sia
presente in tutte le possibili lingue, e vi è chi ritiene che non solo de facto, ma in teoria la dimostrazione sia
impossibile. Si osservi che lo stesso Chomsky al quale si fa carico, o, secondo altri, si dà il merito di avere
una concezione universalistica della lingua, in realtà è in proposito molto cauto; egli tende ad attribuire
l'universalità non tanto alle modalità di produzione dei segni, quanto piuttosto ai criteri di organizzazione di
tali modalità e ai criteri di scelta circa le ipotesi scientifiche sull'organizzazione di tali modalità.
La storicità dei sistemi linguistici.
Qualunque sia l'atteggiamento di alcuni studiosi, è certo che il raffinamento formale della linguistica e
l'analisi di ciò che vi è di universale o non universale nell' organizzazione dei vari sistemi linguistici
consentono di porre con rigore il problema del carattere storico delle lingue .
La linguistica di derivazione saussuriana, la linguistica strutturale europea e americana, le attuali tendenze
formali, sono state spesso accusate di antistoricismo; e non è mancato qualche studioso appartenente a
queste tendenze che dell'antistoricismo si sia fatto un vanto. Le motivazioni dell'accusa sono due: la
propensione a descrizione sincroniche, a verifiche sperimentali, sul campo, piuttosto che a descrizioni
diacroniche verificate con un apparato di tipo filologico; la tendenza alla focalizzazione, il distacco dalle
consuetudini stilistiche e verbali di altre discipline umanistiche come la storiografia cosiddetta eticopolitica
o quella filosofica o la critica letteraria.
Ln realtà alla base di queste accuse sembra vi sia una concezione rudimentale dello storicismo che non fa
davvero onore ai suoi preconizzatori: si evince dalle accuse che storicista è colui che parla molto,
possibilmente a braccio, di cose che si trasformano nel tempo. Se questo è storicismo non c'è dubbio che la
linguistica contemporanea è sempre più- antistoricista.
Tuttavia, se per ipotesi si assume che la storicità consiste non nella deformabilità o trasformabilità
temporale d'un oggetto, ma nel suo carattere di prodotto temporalmente contingente, naturalisticamente
o logicamente non necessario, e se sì ritiene storico non un discorso diacronico, ma un discorso che dia
evidenza alla storieità d'un oggetto, nel senso sopra inteso, senza che perciò esso debba abbondate di
effusioni verbali bellettristiche, ma anzi, dando rilievo a tale storicità anche meglio attraverso un apparato
terminologico e concettuale fortemente formalizzato allora la valutazione del carattere storicizzante o
antistorico della linguistica contemporanea muta fino a capovolgersi radicalmente rispetto a quella data
poco più su. Le linee, nella concezione postsaussuriana, appaiono come organizzazioni di validità
circoscritta, le cui caratteristiche solo in parte derivano da necessità biologiche, .arrangiamenti contingenti
tra esigenze ed aspetti inerenti necessariamente alla vita della specie umana e, in parte, d’ogni specie, ed

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esigenze e aspetti legati alle strutture, d'una particolare società, alle tradizioni d'una determinata cultura.
Proprio grazie al puntiglioso lavorio formale intorno agli aspetti universali o quasi-universali la linguistica si
mette sempre meglio in condizione di identificare le diverse forme di storicità dei singoli idiomi.
Sia in sede storico-descrittiva sia in sede teorica generale (attraverso gli sviluppi della dottrina saussuriana
dell'arbitrarietà della lingua) la linguistica sta oggi dando, con precisione sconosciuta ad altre discipline, una
ricca messe di contributi alla percezione ed alla comprensione della storicità degli uomini.

LA STORIA DELLE RICERCHE LINGUISTICHE.


Una linguistica interessata unicamente alla fonetica, alla fonematica, alla morfologia, insomma alla
descrizione sin cronica e diacronica della sola forma esterna; una filosofia kantianamente taciturna per
quanto riguarda la parte che ha il linguaggio nel costituirsi dell'esperienza umana - una linguistica
asemantica, asintattica, spesso addirittura orgogliosa del proprio analfabetismo filosofico, ed una filosofia
asemiologica ed alinguistica non potevano avere certo alcun interesse alla storia delle ricerche linguistiche
del passato. Fino a qualche anno fa, nei manuali di linguistica tutto ciò che si era detto e pensato intorno al
linguaggio in secoli e secoli veniva liquidato con pochi cenni, come <<non scientifico>>. E le ricerche intorno
al linguaggio sviluppatesi da Aristotele a Hume non avevano miglior sorte presso gli storici della filosofia.
Oggi il quadro è mutato. L'interesse per il linguaggio si è consolidato tra i filosofi. Vi hanno contribuito
filosofi di scuola pragmatica americana, mossisi sulle orme di Peirce e Dewey, logici ed epistemologi (Black,
Quine, Zipf, Apostel), teorici della retorica (Perelman), analisti del linguaggio o neopositivisti, fenomenologi
(Merleau-Ponty), postidealisti italiani (Calogero, Lombardi), marxisti (Sebag, Della Volpe). L'elenco potrebbe
facilmente continuare e pecca, ormai, più per lacune che per eccesso: la filosofia ha recuperato come suoi i
problemi del linguaggio con un'intensità e un impegno non inferiori alla grande stagione del Sei e
Settecento europei. D'altra parte, sotto la spinta delle esigenze formali, la linguistica si sta liberando da ogni
pregiudiziale antifilosofica e antiteoretica; e la consapevolezza del molto che c'è da fare e scoprire intorno
alla natura del significato, delle strutture sintattiche, delle funzioni della lingua nella genesi e strutturazione
dell'intelligenza spinge naturalmente a ritornare alle epoche in cui questi problemi furono dominanti.
Filosofia e linguistica vanno riscoprendo il passato delle ricerche intorno al linguaggio e alle lingue. I tempi
in cui la storia delle dottrine linguistiche cominciava con Bopp o, per i più audaci, con W. von Humboldt
paiono incredibilmente lontani (ma sono passati meno di dieci anni).
Le indagini su Aristotele (Pagliaro), sugli stoici e il pensiero ellenistico e tardoantiéo (Barwick, Robins), sul
pensiero scolastico (Robins), sull'umanesimo e le filosofie sei e settecentesche (Verburg,. Apel, Paolo Rossi,
Rosiello, Formigari), su Vico (Pagliara) e la grammatica razionale (Heinimann, Donzé, Chomsky) ci stanno
restituendo, uno dopo l'altro, frammenti del passato. Sono comprensibili le proteste degli storici
professionali, giustamente preoccupati che si determini una nuova infida ondata di storiografia, o
pseudostoriografia, dei <<precorritori>>. Tuttavia noi dobbiamo dire che tali frammenti risultano non solo
indispensabili per ricostruire le concrete e determinate situazioni storiche del passato (Hobbes o Vico o
Locke o Hume senza il loro impegno linguistico sono assurdamente mutilati), ma sono altresì preziosi per il
retto intendimento di problemi che ancora oggi si pongono e attendono sicura soluzione in sede tecnica.
La consapevolezza della continuità con le indagini (soprattutto filosofiche) del passato era ancora viva a
metà dell'Ottocento. A testimonianza possiamo rammentare i nomi di Biondelli, l'intelligente e operoso
iniziatore degli studi linguistici in Italia, Bréal, iniziatore degli studi linguistici in Francia, Kruszewski; lo
studioso polacco immaturamente spentosi dopo avere additato la strada al giovane Saussure. Nell'età del·
positivismo questa· consapevolezza si spense. Oggi, essa riaffiora. Non è soltanto un episodio erudito. Se lo
rammentiamo qui frale caratteristiche tipiche della linguistica contemporanea; è nella convinzione che il
recupero di tale consapevolezza, mentre riconquista alla cultura storica ampie zone del nostro passato
culturale, rafforza, neila linguistica, la coscienza della sua intrinseca storicità.

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Scaricato da Carlotta Maurizi (carlottamaurizi2009@libero.it)

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