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LETTERATURA INGLESE

In America sono stati pubblicati molti autori di origine ebraica, ed è nata così la letteratura ebraica-
americana: nascono le antologie che costituiscono un elemento distintivo ed originale (jewish
studies).
1. Canonizzazione con la Jewish America Literature
1985: Essential words; anche in Canada diventa importante la letteratura ebraica inglese; il padre
della letteratura ebraica è Klein. Importante ricordare l’Holocaust Poetry e questo volume va ad
esplorare l’Australia e l’Africa. Elemento ebraico nella letteratura inglese.
Alcuni di questi volumi sono stati pubblicati dopo l’Olocausto. Si raccontano per farsi conoscere,
vista la discriminazione del mondo ebraico. Ad esempio, “Il mercante di Venezia” è stato scritto
quando gli ebrei erano stati mandati via nel 1942 in Spagna e in Inghilterra. Gli ebrei inizialmente
vivevano in piccole unità chiamate “Giudecche”, “Ghetto” o comunità, il raggruppamento non era
più volontario ma obbligatorio e dovevano rispettare un coprifuoco. Nessun ebreo poteva
allontanarsi di notte e in Italia lo spazio loro dedicato era ristretto e vivevano in condizioni
svantaggiate e non igieniche. Questo per capire meglio l’opera di Shakespeare e Marlow, che
trattano questi temi, per il quale a loro non era permesso di svolgere nessuna attività.
 Ci sono molti ebrei atei;
 Spinosa viene scomunicato;
 Il ghetto di Mantova crollò nel 1796;
 Le critiche sono opinioni personali, e anche noi dobbiamo avere un pensiero critico,
autonomo;
 Il poeta e drammaturgo Moses Mendez è il maggior esponente della letteratura inglese, è
molto importante ricordare anche Disraeli che abbandonò la comunità ebraica.
Emma Lazarus e Haim Isaac Karigal: pionieri della letteratura ebraica (1849-1887), lei nata e
cresciuta a NYC, poetessa.
La maggior parte della critica mette in luce che negli anni ’50 del ‘900 si ha una sorta di “American
Jewish Renaissance”, ma è anche vero che l’attenzione dei critici agli scrittori ebrei americani che
precede la grande triade di Bernard Malamud, Philip Roth e Saul Bellow è piuttosto scarsa anche
se effettivamente non mancano opere interessanti pubblicate per quanto concerne la prosa del
periodo “Great Tide” (1881-1924). La figura rappresentativa è quella di Abraham Cahan, dove
l’esperienza dell’immigrazione e la tensione che ne deriva era la volontà di conservare la propria
identità e l’istinto di assimilazione costituisce il perno centrale della sua prosa e si pensi a “Yekl: a
tales of the New York ghetto” 1896, a “The imported bridegroom and other stories” 1898 e infine
a “The rise of David Levinsky” 1917. Che la letteratura ebraica americana negli anni attorno al 1880
riscuotesse un certo successo è testimoniato da un aneddoto che ci riporta Josh Lambert. Uno
scrittore non ebreo di nome Henry Harland decide di utilizzare lo pseudonimo di Sidney Luska, che
poteva far pensare a delle origini ebraiche, per riuscire a ottenere una maggiore attenzione dal
mercato editoriale. Non a caso Yekl è uscito in italiano, nella traduzione di Mario Maffi, con
l’emblematico titolo di “Perduti in America. Una storia del ghetto di New York”, da cui, a
testimonianza da quanto detto riporto una frase significativa pronunciata da Jake: “Once I live in
America […] I want to know that I live in America”. Ma non solo, nel testo ci viene fornita anche
una preziosa descrizione del ghetto e delle condizioni di vita degli ebrei dove viene sottolineato il
riversare di ogni speranza da parte degli immigrati provenienti da varie parti d’Europa in questa
“promise of today”.
 L. Slonim nega la possibilità che una tale letteratura esista: appartiene alla letteratura russa;
 Non prendere in considerazione l’origine etnico-culturale degli scrittori. La letteratura ebraica
scritta in lingue diverse dall’ebraico è prodotta comunque da scrittori ebrei, ma all’interno di
un contesto nazionale, lo scrittore ebreo potrebbe essersi assimilato o aver rotto
completamente con la propria cultura d’origine;
 Si considerano tematiche: per letteratura ebraica s’intende quella che tratta soggetti ebraici
(personaggi ebrei), in questa posizione include anche gli scrittori non ebrei che introducono
problematiche ebraiche. Qui potremmo includere anche le poetesse Plath e Sexton;
 Si potrebbe definire la letteratura ebraica dal punto di vista dello scrittore, ovvero qualcuno
che è profondamente immerso nella propria comunità e in netta collisione con il carattere
spesso solitario e sovversivo dell’artista e della letteratura;
 Altra proposta è quella di definire la letteratura ebraica attraverso la presenza di archetipi, o
figure, caratteristici dell’ebraismo;
THE GREAT TIDE 1881-1924 (Ondata immigratoria degli ebrei dalla Russia in Europa)
INGHILTERRA: nel ‘700 abbiamo il poeta e drammaturgo Moses Mendez, “The double
disappointment” (1758). Nell’ ‘800 entra sulla scena letteraria la figura rappresentativa della
letteratura ebraica inglese: Israel Zangwill 1864-1926. E ancora ricordiamo le figure di Amy Levy
1861-1889, morta a soli 27 anni, nota per le sue short stories, per il romanzo “Miss Meredith” e
soprattutto per la raccolta di poesie “Xantippe and other verse”, poi abbiamo Benjamin Parjeon
1838-1903 che dedicò a Charles Dickens la sua prima opera “Shadows on the snow” 1865, ma
sono proprio i suoi romanzi di argomento ebraico quelli meno riusciti (“Aaron the jew” del 1894 e
“Miriam Rozella” del 1897); vi è poi Benjamin Disraeli 1804-1881, “Alroy“ 1833, dove il
protagonista David “sets out to restore his people, the jews, to their rightful position among the
races of mankind”; infine è interessante il caso di Judith Montefiore i cui scritti forniscono la prima
testimonianza in lingua inglese di una donna ebrea che viaggia in Medio Oriente redatto tra il
1827-1828. Nel ‘900 i risultati più importanti si hanno soprattutto nell’ambito della poesia con
Isaac Rosenberg, Siegfried Sassoon, Elaine Feisten.
CANADA: Rachel F. Brenner in un volume del 1990 definisce A.M. Klein “the father of canadian
jewish literature”. Tra gli autori più noti del ‘900 ci sono Adele Wiseman, Eli Mandel, Irving Layton,
Mordecai Richler, Morley Torbov, infine, Leonard Cohen con “The favorite game” 1963, “Beautiful
loser” 1966).
L’ebreo come SUBJECT è ricorrente sin dal periodo preelisabettiano e continuerà a essere presente
anche nel periodo elisabettiano, nonostante siano banditi dall’Inghilterra nel 1920 (l’editto di
espulsione fu decretato dal Re Edoardo I), che si protrarrà fino alla metà del Seicento. In numerose
opere di autori importanti non ebrei è presente la figura dell’ebreo. L’ebreo come AUTHOR,
invece, è quasi assente. Anche prima dell’esilio gli autori ebrei scrivevano in ebraico e le tematiche
erano connesse alla sfera religiosa.
Tra ‘800 e ‘600 tre sono le opere che, a mio vedere, meritano una particolare attenzione:

 “The Canterbury Tales” di Geoffrey Chaucer, “The Jew of Malta” di Christopher Marlowe
1589 e “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare 1596. Nel ‘300 “Satire, leggende e
ballate, vetrate e facciate di chiese contengono descrizioni che mettono in rilievo la
malvagità ebraica: dalla Francia alla Germania, dai Paesi Bassi all’Inghilterra (ormai privi di
ebrei in carne ed ossa), ma non di figure fantastiche: l’ebreo perde i connotati umani per
assumere sembianze diaboliche”. [Riccardo Calamari, Storia dell’ebrea errante” Mondadori
pag. 164.]
Con Chaucer, nato intorno al 1340 e morto nel 1400, siamo alle origini della letteratura inglese
moderna. Si tratta di una delle figure più importanti della scena letteraria in inglese dell’epoca. Egli
rappresenta quella borghesia che cominciava ad assumere un ruolo importante nel contesto
sociale ed economico del tempo. Per Chaucer la letteratura non fu la professione principale ed
ebbe, infatti, numerosi incarichi commerciali e diplomatici che lo portarono a viaggiare e a
svolgere delle missioni in Europa. Spesso, quando rientrava in patria, portava con sé manoscritti
delle letterature con cui veniva in contatto. Solo nell’ultima fase della sua vita si dedicò
maggiormente alla letteratura. Come scrive Cecilia Petropoli [Manuale di letteratura e cultura
inglese] “Geoffrey Chaucer compendia nella sua opera indicazioni culturali, linguistiche e stilistiche
dell’Inghilterra medievale e la rielabora, portandole a esiti nuovi con l’apporto di tradizioni
continentali. Nei suoi scritti, materie e generi si alternano, si contrappongono e si combinano,
dando vita a contenuti polisemici e a stili variegati e multiformi che presentano già i segni della
modernità.” È inoltre fondamentale ricordare l’impatto che la sua attività ebbe sulla storia della
lingua inglese: “si deve a lui il fatto che il dialetto londinese divenisse ufficialmente la lingua della
letteratura”.
I racconti che compongono l’opera sono tenuti insieme da una cornice che è costituita da un
pellegrinaggio al santuario di Thomas Becket a Canterbury, vicino Londra (nato nel 1118 e morto
nel 1170 è stato un arcivescovo cattolico che fu assassinato nella cattedrale di Canterbury; nel
1773 fu proclamato santo). Viene istituita una gara dall’oste Harry Bailey: ogni pellegrino (sono 28)
deve raccontare due novelle nel viaggio di andata e due in quello di ritorno, chi avrà narrato la più
bella vincerà una cena al Tabard Inn (locanda di sua proprietà) e sarà a spese degli altri compagni.
Tra le varie opere che hanno influenzato Chaucer oltre alla Bibbia di cui sono menzionati alcuni
passi, va ricordato il Decameron di Boccaccio. Nella narrazione si sentono gli echi della situazione
sociale e politica dell’epoca, ad esempio nel racconto del cappellano delle monache vi è un
riferimento alla cosiddetta rivolta dei contadini, l’insurrezione che scosse il paese nel 1381
(scoppiò in occasione delle nuove tasse che Re Riccardo II 1377-1399 aveva imposto per
riprendere la guerra contro la Francia).
I generi letterari presenti nella raccolta sono molteplici, tra questi si possono menzionare, ad
esempio il ROMANCE (il cui argomento principale era la rappresentazione del mondo idealizzato
della cavalleria feudale, ed era quindi basato su fatti d’armi, sul coraggio dei cavalieri). I racconti
comici, le favole di animali, le storie religiose, i sermoni. I temi che Chaucer affronta in quest’opera
sono quelli inerenti alla condizione dell’uomo e nel mondo (con riflessioni sulla fortuna e il libero
arbitrio), il matrimonio, l’amore cortese, il tradimento, l’avarizia e la condizione del poeta nella
società medievale e la natura del linguaggio. I racconti di Canterbury sono scritti in Middle English,
(si sviluppa in Inghilterra alla fine del XII secolo, dopo la conquista normanna ed è ricco di prestiti
del francese; peraltro in questo periodo si tende a riconoscere uno status superiore ai termini di
derivazione francese rispetto agli equivalenti inglesi, cosa che accadrà in seguito per i lemmi di
derivazione latina).
ORDINE DEI 24 RACCONTI – i personaggi sono introdotti nel prologo e le novelle che
compongono il poema sono le seguenti:
frammento I – prologo generale, il racconto del cavaliere, il racconto del mugnaio, il racconto
del fattore, il racconto del cuoco.
frammento II – il racconto del sergente della legge
frammento III – il racconto della donna di Bath, il racconto del frate, il racconto dell’apparitore,
frammento IV – il racconto del chierico, il racconto del mercante
Hugh of Lincoln - La morte di Hugh of Lincoln 1246-1255, preceduta dalla morte di William of
Norwich nel 1144, lasciò un’impronta profonda nell’immaginario collettivo inglese dell’epoca,
soprattutto il secondo caso lascia il segno da un punto di vista letterario, non solo con Chaucer ma
anche attraverso le famose ballate “Hugh of Lincoln and the Jew’s daughter” e “The jew’s
daughter: a scottish ballad”. Il racconto è dunque lo specchio della figura dell’ebreo fortemente
negativa e radicata presente nell’immaginario collettivo inglese dell’epoca: crudele assassino e
nemico dei cristiani.
I predecessori di Shakespeare
Nel XIV e XV secolo i cicli di drammi biblici furono una delle forme di intrattenimento più diffuse e
popolari. Durante il ‘400 si afferma il teatro nella modalità (morality plays), componimenti scritti in
lingua volgare la cui natura è allegorica e didattica. Rispetto ai mistery plays (uno dei tempi più
comuni era la passione di Cristo, le vite dei santi e dei martiri), che peraltro continuarono ad
essere rappresentati, queste rappresentazioni di natura edificante rappresentano delle novità:
l’argomento non è più trattato dalle sacre scritture, ma trae origine dal sermone medievale e dalla
letteratura devozionale; le rappresentazioni sono più legate alle festività religiose ma potevano
avvenire anche in altri periodi dell’anno proprio perché non più vincolati a tali festività, gli
spettacoli potevano essere portati on tour, iniziando così il processo di professionalizzazione
dell’attività attoriale.
Ad essere messa in scena è la PSICOMACHIA, ovvero il conflitto tra i vizi (sette peccati capitali:
superbia; accidia; lussuria; ira; gola; invidia; avarizia) e le virtù (virtù cardinali: prudenza; giustizia;
fortezza; temperanza; virtù teologali infuse nell’uomo dalla grazia divina e mettendo l’uomo in
relazione con la trinità, vivificando le virtù cardinali: fede; speranza; carità).
I personaggi sono astrazioni e la vicenda è altrettanto allegorica. Ad essere drammatizzate sono la
tentazione, la caduta, la redenzione dell’anima. La prima moralità è The castle of perseverance
(del 1425 circa), un dramma di circa 3700 versi, quindi molto lungo con 35 personaggi (l’elevato
numero di attori rende difficile portare l’opera in tour).
Alla fine del ‘400 si affermano gli interludi, in cui la lotta tra vizi e virtù si tramuta in lotta tra il
nuovo sapere e l’ignoranza. Ve ne sono alcuni anche di carattere politico (il protagonista che nelle
moralità era “il genere umano” ora diventa “il principe”; l’obbiettivo non è più la salvezza ma il
buongoverno). Vi è inoltre una commistione di elementi seri e comici e sono generalmente
dominati dal vice (=vizio) che è fonte di riso. Egli è il mattatore degli interludi. Le sue origini sono
nei vizi delle moralità ma ora ha un ruolo autonomo all’interno del dramma. Se prima era il nemico
delle virtù, adesso è il principale creatore dell’intrigo. È una sorta di regista che spesso annuncia le
sue intenzioni diaboliche al pubblico benché destinato alla sconfitta è il centro propulsore ed è la
fonte primaria del comico. Nel grande teatro elisabettiano il vice troverà incarnazione nel villain
(per la malvagità e la capacità di intrigo) e nel fool (per le doti comiche e per la ricchezza retorica).
Robert Wilson – Three Ladies of London, messa in scena la prima volta nel 1581.
1540-1600 fu tra i principali attori (specializzato in ruoli comici) dei Leicester’s men, l’importante
compagnia di attori diretta da James Burbage. Dà vita insieme ad altri 11 attori alla compagnia dei
Queen’s men, che all’epoca era particolarmente famosa.
Three Ladies of London è un’opera che si distingue da quelle che propongono uno stereotipo
negativo dell’ebreo. In tal senso anticipa Richard Cumberland che nel 1794 renderà protagonista
l’ebreo, o meglio eroe positivo, della sua commedia che costituirà il primo tentativo consapevole
di decostruzione dello stereotipo che nei secoli si è affermato. In quest’opera i personaggi sono
tutti astrazioni (conscience, love, lucre, dissimulation, fraud, usury, simony). Ci sono poi dei
personaggi (non troppo individualizzati) che sono il mercante italiano e cattolico Mercadorus
(opportunista e calcolatore), l’ebreo Gerontus, il giudice turco. L’onesto mercante ebreo Gerontus
è un esempio di umanità (è pietoso, comprensivo, generoso) che mette in luce la corruzione dei
cristiani. Da notare il patto che non prende il nome dal suo mestiere e non lo rappresenta secondo
l’immagine dell’epoca.
Christopher Marlowe, detto Kit (1564, stesso anno di Shakespeare – 1593)
Figlio di un calzolaio, nacque a Canterbury e studiò a Cambridge. Si distinse come la personalità più
eminente e il drammaturgo più dotato del gruppo degli “university wits” (un gruppo di giovani
scrittori, noti come gli “ingegni universitari”, che comprendeva oltre a Marlowe, altri famosi
rappresentanti del teatro elisabettiano, come Robert Greene, Thomas Nashe e John Lilly). Amante
dei classici, tradusse, tra gli scritti anche Ovidio. Nel 1952 entrò al servizio della Regina Elisabetta
come diplomatico. Svolse anche incarichi come agente segreto. Spesso coinvolto in risse e duelli fu
imprigionato almeno un paio di volte e rimase misteriosamente ucciso in una Taverna nei
sobborghi di Londra. La sua vita fu dunque all'insegna del rischio del mistero.
Mario Praz osserva giustamente che Marlowe “fu iperbolico nello spingere all'estremo la passione
dominante di un personaggio” (In storia della letteratura inglese, sansoni, 1999). Infatti, i
personaggi dei suoi drammi riflettono la vita estrema e misteriosa di questo drammaturgo tanto
controverso: i suoi personaggi incarnano la sete infinita di potere (come nel Tamerlano il Grande,
dramma ispirato a Timur Lenk, il grande conquistatore mongolo che nel XIV secolo terrorizzò l’Asia
– sconfisse i persiani, i turchi, i tartari e i siriani – una figura titanica, un leader militare, un eroe
sanguinario e violento che domina la scena), l’avidità smodata (l’ebreo di Malta, che testimonia
l’antisemitismo della società mercantile dell’epoca. Barabba, spogliato dei suoi beni dal
governatore di Malta, decide di vendicarsi ma il suo desiderio di vendetta lo condurrà alla morte),
la brama insana di conoscenza (Faustus, il protagonista del dramma vende l’anima in cambio di 24
anni di servigi al demonio per conseguire fama e potere. La sete di potere di Tamerlano diviene in
Faust sete di conoscenza, conferendo al baratto con il diavolo una connotazione eroica).
L’aspirazione a migliorarsi è però la causa stessa della sua rovina e per Faust non ci sarà
redenzione.

 Secondo Rocco Coronato, Barabba può essere considerato il primo villain moderno del
teatro elisabettiano. Marlowe sceglie un personaggio all’epoca assente dall’Inghilterra ma
altrettanto assente da Malta dove colloca l’azione;
 L’ebreo elisabettiano è dunque, al pari di Otello secondo quanto argomenta Shaul Bassi, il
risultato di una etnicità immaginaria;
 “All’epoca di Marlowe l’importante e antica presenza ebraica s’era da tempo estinta in
seguito alla cacciata dai territori della corona spagnola (1942). Nel 1530, con l’incarico dato
da Carlo V ai cavalieri di San Giovanni di difendere Malta, inizia una nuova storia degli ebrei
ancor più lontana dalla condizione di Barabba. E difficilmente avrebbero desiderato recarsi
in un’isola divenuta un fiorente mercato di schiavi […] all’epoca in cui scriveva Marlowe, a
Malta ci dovevano essere solo gli ebrei ridotti in schiavitù e di certo era impossibile
svolgere un’attività mercantile come quella di Barabba);
 Dai versi 2.3. 191 si evince che Barabba è usuraio (I was an usuber), c’è però da dire che
l’oro e le pietre preziose che possiede sono il frutto della sua capacità mercantile;
 Bisogna tenere presente che se è vero che nel XII secolo tra gli ebrei dell’Europa
occidentale l’usura era l’attività più diffusa, non potendo svolgere altre attività (tranne
quella medica), è vero anche che i banchi ebraici erano presenti nei comuni italiani e in altri
Stati europei ma non nell’Inghilterra elisabettiana (e sul finire del secolo i maggiori usurai
inglesi erano cristiani, come lo stesso impresario teatrale della compagnia di Marlowe:
Philip Henslowe);
 Quando all’immagine dei turchi, essi appaiono (in particolare teatro) come crudeli, tirannici
e ingannevoli. Il moro, invece, viene descritto come essere sensuale, vendicativa e
superstizioso. In Marlowe il ritratto positivo di Calimat è probabilmente dovuto alla politica
di fiancheggiamento con l’impero ottomano che stava portando avanti Elisabetta per
ottenere dei privilegi commerciali (questo perché a seguito dell’atto di supremazia
dell’Inghilterra aveva perduto l’appoggio economico e finanziario del mondo cattolico, ad
esempio quello della Spagna ma anche quello di altri Stati). Da un lato ottiene prestiti dalle
compagnie commerciali di proprietà degli ebrei di Amsterdam, dall’altro cerca di avviare
delle relazioni diplomatiche con l’impero ottomano per garantire e proteggere il traffico
delle merci provenienti dall’Oriente;
 L’ultimo ritratto su cui si sofferma Coronato è quello dei cattolici: “Il cattolicismo
governatore di Malta, Farnese […] è il più attento esecutore della sapienza machiavellica
attribuita in apertura al solo Barabba.”;
 Nel dramma di Marlowe, la figura di Barabba, che muore bruciato in un calderone, di certo
non è più positiva di quella di Chaucer;
 Barabba è fondamentalmente avido, furbo, opportunista, manipolatore, vendicativo; è uno
spietato assassino che una volta privato dei suoi beni, non esita a strumentalizzare la
propria figlia;
Scrive Rocco Coronato: “La lettura critica ora prevalente scorge in Barabba una riscrittura ironica
del pregiudizio anti giudicato applicata a ogni forma di avidità e inganno, purché non si cada nella
trappola di prendere alla lettera il testo quando Barabba si mostra più buono del previsto, ad
esempio nel primo atto. Ne conviene cadere nel letteralismo e proposito del caso avverso, quando
Barabba esagera i tratti dell’ebreo traditore e assassino. È il caso del celebre curriculum vitae, una
summa di tutti i crimini attribuiti all’ebreo così densa da sembrare al contempo una conferma
dello stereotipo o una sua parodia. Barabba come l’ebreo rivelatore di un endemico ed avido
machiavellismo cui nessuno sfugge sulla scena di Malta e di riflesso nella Londra contemporanea
[…] e questa ipotesi resiste ancora alle varie ambiguità profuse dal testo, purché non si trasformi
Marlowe in un difensore degli ebrei”.

 Inoltre, Coronato rimanda il lettore dell’opera alla teoria del filosofo e sociologo ebreo
polacco Zygmunt Bauman: egli definiva l’antisemitismo come una varietà
dell’allosemitismo, della pratica di mettere in disparte gli ebrei come persone radicalmente
diverse da tutte le altre, che richiedono concetti diversi da tutte le altre, che richiedono
concetti diversi e particolari per la loro descrizione. In questo senso Barabba, il
radicalmente diverso, lo straniero, finisce per mostrare ai vari farnesi dei tratti
inquietamente familiari”;
 Il 7 luglio del 1594 a Londra fu eseguita la condanna a morte di Roderigo Lopez. Si tratta di
un ebreo portoghese convertito all’anglicanesimo, nonché il medico personale di
Elisabetta, fu accusato dal Conte di Essex di avere cospirato per avvelenare la Regina su
istigazione di Filippo II;
Vi sono due versioni delle sue ultime parole: Lopez sostenne di amare la Regina con lo
stesso amore che riservava a Gesù Cristo e il pubblico rise. \ Cominciò a parlare ma coloro
che erano distanti gli urlarono di alzare la voce, quelli vicini gridarono agli altri di stare in
silenzio, e così volò via il tempo a lui concesso;
Lopez fu impiccato e poi squartato. In seguito, si scopre che la confessione da lui estrapolata sotto
tortura, era innocente, tanto che la Regina fece restituire i suoi beni confiscati alla povera vedova.
A seguito di questi eventi fu riportato in scena L’ebreo di Malta (uno dei successi elisabettiani più
duraturi). Inoltre, pochi anni dopo, nel 1596/7 Shakespeare scrive Il mercante di Venezia.
Gran parte delle opere di Shakespeare furono pubblicate per la prima volta postume nell’edizione
del 1623 a cura di due membri della compagnia del drammaturgo: John Heminge e Henry Condell.
I poemetti furono composti durante un’epidemia di peste che portò alla chiusura dei teatri per due
anni e furono pubblicati in vita. Ci ricorda Serpieri che all’interno del testo sono presenti sia
l’intreccio “tragico” sia quello “favolistico”. I due generi (tragedia e commedia) sono usati
simultaneamente. Nel 1709 il filologo Shakespeariano poeta e traduttore Nicholas Rone sosteneva
che: “Sebbene abbiamo visto quel dramma intenso e messo in scena come una commedia, e la
parte dell’ebreo recitata da un comico eccellente, tuttavia non posso fare a meno di pensare che
esso fu disegnato tragicamente dall’autore. Vi appare un tale mortale spirito di vendetta, una tale
ferocia e cattiveria, e una tale sanguinosa indicazione di crudeltà e malignità, da non poter
accordarsi allo stile o ai personaggi della commedia”. Nel 700 i recensori riscontrano
nell’interpretazione di Shylock toni solenni e passionali. Nell’800 l’opera ruota attorno a Shylock a
cui si conferisce gran pathos, perché egli è malvagio ma anche discriminato e maltrattato (genera
al contempo repulsione e pietà). -> Nelle opere di Shakespeare la donna è dotata di una forte
personalità e intellettualità e William Shakespeare è molto moderno nel rappresentarle. Nelle sue
opere è la donna che dà razionalità all’uomo, ed è proprio colei che risolve il problema e rende la
figura femminile volenterosa e quasi indipendente.
L’ebreo di Malta -> “Barabba”, l’ebreo più ricco di Malta, significa letteralmente “figlio del padre”,
come riportato in alcuni manoscritti del vangelo secondo Matteo. [*]
ANALISI “IL MERCANTE DI VENEZIA” WILLIAM SHAKESPEARE
“Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, membri, sensi, affetti, passioni? Non
mangia lo stesso cibo e non è soggetto agli stessi disastri?”
Analizzando questa parte ci si pone la domanda di come si fa a non pensare alle varie guerre sante,
alle persecuzioni, alla Seconda guerra mondiale? Come si fa a non provare dolore nel riconoscere
quanta sofferenza ha dovuto subire questo popolo?”
[Riferimento al metateatro] La commedia si concentra maggiormente sulla storia e la vita degli
ebrei, confinati nei ghetti, discriminati, definiti con aggettivi poco edificanti per via di una morte
risalente a parecchi anni: quella di Cristo. Questa cultura antisemitica è ripresa dal testo di
Wilhelm Marr nel 1840-50 e poi fomentata da Hitler. Il cast è molto giovane e il testo resta sempre
attuale, ma anche progressista con il suo modo acuto o magistrale nell’argomentare il valore
dell’amicizia, il tema dell’amore, il concetto di rispetto della legge, e l’indimenticabile elogio e
all’audacia figura della donna. Ancora progressista vedere, nel quarto atto, Porzia e Nerissa
travestirsi da uomini per recarsi a Venezia e aiutare Bassanio, inconsapevole del travestimento, e
salvare la vita di Antonio. Dunque, la figura femminile spicca per la sua intraprendenza. Porzia lo fa
architettando lei stessa un piano molto astuto e intelligente. Porzia ha una sua personalità e non è
in balia di un uomo o degli eventi e è costretta a sottostare al volere della figura maschile, ma
decide lei per il futuro. È in grado di agire autonomamente per salvare suo marito e l’amico
Antonio.
“Il mercante di Venezia” non è proprio una tragedia, perché ha un lieto fine, ma possiamo definirla
una tragicommedia infarcita di un po’ di umorismo nero. Il motore che muove tutta l’opera sono i
soldi, perché tutto ruota intorno al concetto del vile denaro e di quanto questo possa corrompere.
L’autore William Shakespeare approfondisce l’animo umano, mostrando come non tutto sia
bianco o nero, ma ci sono un’infinità di sfumature nella personalità e nel carattere di ogni
personaggio. [Tragicommedia in 5 atti, ambientata a Venezia. La Germania nazista usò il
personaggio di Shylock per incrementare la loro “ideologia” e i pregiudizi di tutta la nazione,
trasmettendo l’opera via radio il giorno dopo la “Notte dei Cristalli”.
Ci sono una serie di macro-tematiche che vengono affrontate dal bardo del mercante di Venezia.
Le principali sono:

 Pregiudizio e intolleranza: palese è in quest’opera di Shakespeare l’antisemitismo così come è


evidente il disprezzo reciproco che anima cristiano ed ebrei. Anche la società inglese all’epoca
era giudeofobica e a Venezia gli ebrei erano tenuti a indossare un cappello rosso così da venire
indentificati facilmente; erano ghettizzati in alcuni quartieri e sorvegliati da guardie cristiane.
Nel racconto di Shakespeare, inoltre, Shylock condanna apertamente gli atteggiamenti dei
personaggi cristiani nei suoi confronti; egli viene descritto come rispettoso della giustizia e
tende a suscitare simpatia e comprensione: è impossibile non empatizzare con questo
personaggio.
 Economia e religione: in quest’opera l’economia e il commercio sono messi in contrasto con la
religione e le sue tradizioni. Per Shakespeare e tutti quelli della sua opera prestare denaro con
interesse era una pratica comune: Shylock incarna questa situazione mentre Antonio, che fa la
stessa cosa senza interesse, viene descritto come moralmente più valoroso. Shylock sembra
tenere, almeno in apparenza, più ai soldi che a qualsiasi altra cosa mentre Antonio, che
rappresenta i cristiani, preferisce dimostrare amore e pietà.
 Legge e pietà: la legge è ambivalente nel mercante di Venezia. Da un lato si ha l’impressione
che possa essere manipolata per scopi ingiusti, dall’altro è anche artefice di bene.
ANALISI DEI PERSONAGGI: Le caratteristiche principali

 Shylock: è un finanziatore ebreo che vive a Venezia e che soffre per il trattamento riservato
lui da parte dei cristiani, in particolar modo Antonio. Shylock vuole vendetta e la trova
quando Antonio egli chiede un prestito: glielo concede, sì, ma volendo in cambio una libra
della sua carne se non fosse in grado di restituire l’intera somma.
 Antonio: è il personaggio che da nome alla commedia, il mercante che firma il contratto
mettendo in palio la sua carne pur di aiutare l’amico Bassanio. Si tratta di un personaggio
mutevole, a volte malinconico, che odia gli ebrei. Nonostante ciò è ben voluto dagli amici e
riesce a provare pietà per Shylock.
 Porzia: ricca ereditiera di Belmonte, ma una bellezza pari solo alla sua intelligenza, dotata
di una fama che ha varcato i confini di Venezia e dell’Italia. Morto suo padre, deve sposarsi
e, grazie al suo saggio espediente degli scrigni, riesce a sposare colui che ama. Nella storia è
il personaggio più intelligente, qualità che utilizza per manipolare gli eventi a fin di bene
travestendosi da avvocato e salvando le sorti di Antonio.
 Bassanio: nobile di Venezia, amico di Antonio, vuole la mano di Porzia. Per farlo deve avere
dei soldi e chiede un prestito a Shylock, prestito di cui Antonio si fa garante. Non ha buone
capacità come uomo d’affari ma è abile nel superare la prova degli scrigni per ottenere
l’amore di Porzia.
 Graziano: amico di Bassanio, lo accompagna a Belmonte. Loquace ma rude, è critico e
insulta pesantemente Shylock, nel corso del processo, e si innamora di Nerissa, ancella di
Porzia, che contraccambia e in seguito si sposano.
 Nerissa: ancella di Porzia e sposa di Graziano, lo accompagna nel suo viaggio verso Venezia.
Nel primo atto facciamo la conoscenza di due personaggi tristi e malinconici. Da una parte
abbiamo Antonio, il mercante, inquieto e triste, ma non sa esattamente perché. In fondo ha
tutto: denaro, una posizione, una bella vita agiata; eppure sente di non essere felice del tutto.
Dall’altra parte abbiamo Porzia, figlia ereditiera, costretta a sottostare al volere del padre
defunto: non può scegliere chi sposare, ma sarà la sorte a farlo. Ciò che muoverà tutta la storia
ancora non è chiaro, ma si scoprirà più avanti. L’interessante botta e risposta tra Shylock e
Antonio, verso la fine dell’atto, è specchio eloquente dei tempi in cui si svolge la vicenda:
Antonio considera deplorevole prestare denaro per interesse, come fa l’usuraio ebreo; ma ciò
è probabilmente dovuto al fatto che all’epoca era proibito per legge ai cristiani richiedere il
pagamento su un prestito. In questo caso Shylock rappresenta la figura negativa, il cattivo in
quanto ebreo e arrogante usuraio, ma in quel periodo purtroppo era uno dei pochi lavori
concessi agli ebrei; perché lo stato li tassava pesantemente e quindi erano costretti a chiedere
gli interessi.
Il secondo atto è composto da molte veloci scene diverse. Il lettore viene a conoscenza anche
dell’amore clandestino tra Jessica, figlia dell’ebreo Shylock, e Lorenzo, giovane cristiano
veneziano. I due si accordano per scappare e sposarsi, con la collaborazione dell’amico
Lancillotto. La fuga fa arrabbiare enormemente Shylock, che vede la figlia come sua proprietà
(alla pari di un oggetto), ma gran parte della collera dell’usuraio è dovuta al fatto che Jessica ha
portato via con sé anche del denaro e l’anello della madre defunta. Tutto ciò sottolinea come
per l’ebreo sia molto più importante mantenere le sue proprietà e la sua ricchezza, invece della
figlia.
Arriviamo all’atto che si discosta di più dagli altri, quello più tranquillo, allegro e felice, perché
nel terzo atto abbiamo Bassanio che sceglie lo scrigno giusto (quello di piombo) e corona il suo
sogno di sposare Porzia (anche lei innamorata di lui). In più c’è anche l’unione tra l’amico di
Bassanio, Graziano, e l’ancella Porzia, Nerissia. Qui il lettore si accorge anche dei sentimenti
inespressi di Antonio nei confronti di Bassanio, quando il mercante manda una lettera di
“addio” chiedendogli di poterlo rivedere per l’ultima volta, prima di morire.
Nel quarto atto, in cui Porzia e Nerissa si travestono da uomini (avvocato la prima e scrivano la
seconda) per recarsi a Venezia e aiutare Bassanio, inconsapevole del travestimento, a salvare
la vita di Antonio e Porzia lo fa lei stessa architettando un piano molto astuto e intelligente. In
questo caso Porzia non è una donna in balia degli eventi e costretta a sottostare al volere di un
uomo, ha la sua personalità, il suo carattere e decide per il suo futuro. Così è in grado di agire
autonomamente per salvare suo marito e l’amico Antonio.
Il quinto e ultimo atto si incentra sulla storia degli anelli che Porzia e Nerissa hanno
dato/donato ai loro rispettivi mariti, i quali non li considerano importanti e li hanno regalati
all’avvocato e allo scrivano. Shakespeare nell’opera approfondisce di più l’animo umano,
mostrando come non tutto sia bianco o nero, ma ci siano un’infinità di sfumature nella
personalità e nel carattere di ogni singolo personaggio.
ATTI [*]
ANALISI DI SHYLOCK E L’OPERA
Shylock è vittima né più né meno di Antonio: gli ebrei, già allora, come poi in seguito, erano
trattati come “stranieri” nel senso più negativo del termine. Non a caso c’è una scena iniziale in
cui si vedono i signorotti di Venezia a insultare Shylock, Antonio per primo. L’ebreo resta
vittima, fino alla fine: mentre tutti sorridono perché “giustizia è stata fatta” occorrerebbe
analizzare il mezzo con cui questa “giustizia” era stata ottenuta. Ancora una volta si utilizza il
pregiudizio e la legge lo permette: Shylock non può chiedere quella che lui reputa giustizia, per
quanto crudele possa essere, perché “non è cittadino veneziano”, è uno straniero e quindi non
ha diritti a Venezia indipendentemente dal fatto che lui ci viva da sempre. Come sostiene
giustamente Lombardo all’interno della commedia si intrecciano problemi d’amore e problemi
economici, riflessione morale e osservazione politico-sociale. “Nessuna opera di teatro,
nemmeno Amleto può identificarsi con un solo personaggio ma, al contrario, ogni personaggio,
com’è della vita, esiste compiutamente per la presenza degli altri e tutti sono parte di una
vasta immagine che tutti li comprende. Così, come nel Mercante di Venezia vive il dramma di
Shylock, carnefice e insieme vittima (è certo nel rappresentare la sua condizione di “diverso” in
una società che lo sfrutta come sfrutterà Otello Shakespeare tocca vertici di poesia che
possono spiegare l’identificazione avvenuta), ma vive anche quello di Antonio e del suo
impossibile amore per Bassanio, il suo “nobilissimo congiunto” (una chiave di lettura, questa,
che non si può trascurare; e del resto il testo è esplicito: “credo che ami il mondo solamente
per lui” dice Salerio); e vive anche quello di Porzia, e di una ricerca, davvero assai moderna, di
identità e libertà femminile che la rende, grazie al suo travestirsi e agire da avvocato e giudice
nella scena del processo, protagonista oltre che deus ex machina della vicenda. Prosegue poi
sottolineando come la Venezia commerciale e mercantile dell’epoca viene qui rappresentata
come una città concreta, non ha nulla di mitico, piuttosto è una realtà storicamente
determinata che si fa metafora dello stato moderno e pure di Londra. Il denaro è qui “la molla
dell’esistenza” tanto da mescolarsi con l’amore. Belmonte è invece il luogo della favola e del
mito dove approdano i principi per conquistare la mano di Porzia.

 Serpieri: “Venezia rappresentava ancora in tutta Europa la porta occidentale


dell’Oriente ricco, insidioso e favoloso, la splendida sede di una straordinaria opulenza
e di una cultura cosmopolita (italiana ma anche tedesca, francese, inglese, fiamminga,
ebraica, orientale) luogo, inoltre, che per gli inglesi del tempo, e cioè della prima
grande epoca di espansione coloniale oltre atlantico fortemente appoggiata dalla
regina Elisabetta, diventava un immagine della Londra mercantile in questa tumultuosa
civiltà cosmopolita che bene rappresenta le tensioni contemporanee viene ambientato
anche Otello.
 Luigi Squarzina sostiene che questa “commedia della clemenza rifiutata e della
crudeltà impedita offre Shylock la raffigurazione più paradigmatica e misteriosa del
carnefice/vittima. È soprattutto l’ergersi francamente eroico del rappresentante isolato
di una minoranza, tenuta ai margini della società, ma necessaria ai traffici moderni,
contro la forza organizzata di legittimità di unna delle maggiori potenze economiche e
militari del rinascimento, il cui altrettanto spietato Shylock, sarebbe pronto tutto
sommato a sacrificare Antonio un suo esponente caduto in disgrazia pur di non
intaccare le leggi che le garantiscono proficui rapporti internazionali. Nonostante il
lieto fine che i ricchi veneziani si cuciono addosso grazie a Porzia, Shylock ha
smascherato la loro ipocrisia – ed è questo forse che essi non gli perdonano”. Tuttavia,
in quest’opera c’è un fattore innovativo: l’agire malvagio di Shylock viene in qualche
modo spiegato, razionalizzato; esso pare essere il frutto di una serie di vessazioni che
sembrano averlo inasprito, di un dolore profuso nel tempo che rende coriaceo chi
tenta di conviverci senza poter mai vedere la propria uguaglianza riconosciuta.
Shakespeare altro non fa che ribaltare la situazione rendendo i cristiani i veri maestri
del male che Shylock esercita.
 XVIII SECOLO: Se da un lato questa immagine dell’ebreo villain e money-lender la
troviamo ancora nel 18° secolo, per esempio in Duenna di Richard Brindsley Sheridan
(1775), dall’altro nel 1794 si ha anche The Jew di Richard Cumberland dove Sheva, il
personaggio principale, è un nuovo archetipo di usuraio: un usuraio-filantropo. In
questo periodo è importante il fatto che si comincia a riscontrare un’attività letteraria
anche da parte di scrittori ebrei, sebbene non di particolare rilievo. Si tratta di
componenti ancora legati all’ambito religioso (come in David Levi) oppure di testi di
carattere scientifico e filosofico (Emmanuel Mendez da Costa). Tra gli autori degni di
nota si ha il poeta e drammaturgo Moses Mendez anche se i suoi lavori, tra cui
ricordiamo The double disappointment (1758), non riscossero gran successo.
RICHARD CUMBERLAND 1732-1811
Richard Cumberland è ricordato soprattutto per le sue opere teatrali (in particolare le sue
“commedie sentimentali”), sebbene abbia scritto anche opere in versi, in prosa come “Arundel”
del 1789 e “Henry” del 1795; scrisse inoltre un’importante autobiografia (Memoirs 1806/1807). Le
sue commedie più importanti sono:

 “The West Indian” è una commedia che fu messa in scena nel 1771 al Drury Lane e
allestita da Garrick (importante attore e impresario della scena teatrale dell’epoca),
riscosse un tale successo da essere rappresentata anche oltreoceano.
 L’anno seguente nel 1772, Cumberland scrisse un’altra commedia sentimentale,
“The fashionable lover”.
 “The Jew”, fu messa in scena al Drury Lane nel 1794 e catturò l’attenzione pubblica
per la sua rappresentazione dell’ebreo Sheva, eroe positivo della commedia. Per
comprendere questa commedia la dobbiamo contestualizzare e dobbiamo tenere
presente quanto segue:
Con la Rivoluzione francese si affermano gli ideali di “liberté, égalité, fraternité”,
che sono alla base di un nuovo atteggiamento di benevolenza verso l’altro che
coinvolge anche gli ebrei, almeno parzialmente.
Nell’ambito stesso dell’ebraismo prima in Germania, poi in gran parte dell’Europa,
si diffonde nel’700 la corrente filosofica e culturale della “maskalah”, detta anche
“illuminismo ebraico”. Fondatore del movimento fu Moses Mendelssohn (1729-
1786), vicino a Gotthold Ephraim Lessing, che lo introdusse agli intellettuali
berlinesi. Gli illuministi ebrei ritenevano necessario apportare delle modifiche al
proprio modo di vita in vista dell’incontro con le società europee, e fondere la
filosofia dei lumi con la propria religione. Possiamo intravedere, ovviamente
tenendo presente che l’atteggiamento non fu univoco una sorta di apertura, una
volontà di integrazione, da ambo le parti.
La “rivoluzione culturale” della “sympathy” tra tardo ‘700 e inizio ‘800, influenzò,
sempre a detta della Page, le rappresentazioni dell’ebreo di quel periodo, ed
emblematico in tal senso è proprio “The Jew” di Richard Cumberland.
L’opera di Cumberland è stata scritta frettolosamente e l’autore stesso lo conferma
nelle sue memorie; la storia di Cumberland è stata scritta frettolosamente e
l’autore stesso lo conferma nelle sue memorie; la storia ruota intorno al denaro,
cercando di cambiare e sradicare la stereotipata figura dell’ebreo; il personaggio di
Sheva è portato all’eccesso della generosità;
Michael Scrivener sottolinea che al di là del successo riscontrato con il pubblico, la
diversità dell’impatto e per il critico imputabile il fatto che l’antisemitismo era “so
much stronger in the german states […]” eppure l’antisemitismo inglese non è
stato da meno, peraltro non è da sottovalutare il fatto che per lungo tempo dopo
l’espulsione del 1920 gli ebrei ufficialmente non erano più presenti nel suolo
britannico e quelli che lo erano ufficialmente, si erano fatti nascosti o convertiti ma,
nonostante tutto, tale figura rimane ben presente, in modo negativo, nelle opere di
molti autori. Quest’opera “The Jew” bel riflette lo spirito del periodo, con tutte le
sue contraddizioni. Il personaggio di Stephen rappresenta il vecchio pregiudizio
verso gli ebrei; tale pregiudizio viene alla fine messo in discussione attraverso una
nuova presa di consapevolezza. Vi è poi Charles che incarna sin da subito il nuovo
atteggiamento più simpatetico e umanitario che si diffonde all’epoca; ed infine
Frederic sembra impersonare quelle ambiguità ancora presenti nell’atteggiamento
che si ha verso gli ebrei e che alla fine dell’opera vengono superate.
 Sheva ha anche un rapporto con più aspetti con i suoi servi; sgrida Jabal per il
suo sarcasmo e per il suo origliare, ma è grato per la sua lealtà e gli fa anche un
dono attraverso Dorcas; Shylock è molto più complesso in questo.
Ci sono due aspetti da considerare:
 il primo concerne il fatto che la non eccessiva caratterizzazione di Sheva
potrebbe essere una scelta di Cumberland al fine di ridimensionare il senso
della diversità, proprio in nome del principio di uguaglianza che si impone in
questo periodo.
 il secondo punto da evidenziare è il fatto che l’atteggiamento caritatevole di
Sheva di fatto, per gli ebrei che assistono allo spettacolo, è facilmente
ricordabile all’etica ebraica e allude al principio fondamentale della “zedakà”,
un principio di equità e giustizia che deve equilibrare e che pertanto impone
all’ebreo di dare al povero che chiede, di cui il termine zedakà è dunque
associato a quello di elemosina. “Nella tradizione orale è ben noto. Il concetto
per cui la zedakà salva dalla morte, poiché può risparmiare alla persona che la
offre eventi anche molti spiacevoli”.
Per ricevere “berakha” (benedizione) si deve compiere la zedakà: si tratta di un
atto individuale attraverso il quale si garantisce una giustizia sociale. Non solo,
essa va fatta agli ebrei come ai non ebrei, proprio in segno di pace. Pertanto, è
chiaro che un ebreo senta la necessità di compiere la zedakà. Leggendo l’opera
di Cumberland l’idea di giustizia ripristinata attraverso la carità è palese (Sheva
salva, da più punti di vista, e non soltanto economicamente, chi egli ha salvato
la vita). È legittimo il dubbio in merito alle conoscenze che Cumberland poteva
avere della religione e cultura ebraica ma bisogna tenere presente le sue
missioni in Spagna che l’hanno portato a conoscere diversi marrani. E’ vero
anche che il pubblico dell’epoca tutto questo difficilmente l’avrebbe colto
assistendo a una rappresentazione di The Jew, ma forse non aver ricondotto
l’agire di Sheva all’ebraismo è plausibile che sia frutto di un intento preciso
anti-ghettizzante di Cumberland. Così questo personaggio avrebbe potuto
trascendere il particolare per universalizzarsi. Se è vero allora che con
Cumberland c’è un primo vero e proprio consapevole tentativo di proporre una
nuova mappatura nell’immaginario collettivo inglese della figura dell’ebreo
purtroppo però come afferma Fish “the libera movement – like literature which
it inspired – failed to attack the real roots of anti-semitism. Sheva did not
displace Shylock from the stage”. -> Sheva estremamente buono; tratto
caratteriale dell’epoca.
L’OTTOCENTO
Nell’Ottocento cominciano a cambiare per due motivi. Innanzitutto, si hanno accanto a opere dove
la figura dell’ebreo continua a essere negativa, altre in cui i personaggi ebrei sono presentati sotto
una luce diversa. Secondo, sulla scena letteraria entra, sul finir del secolo la figura rappresentativa
della letteratura ebraica inglese, quella la cui opera costituisce un vero specchio della realtà
ebraica dell’epoca da un punto di vista sociale, politico e religioso; Israel Zangwill (1864-1926), ad
oggi forse inadeguato nel suo ambito. E ancora ricordiamo le figure, la cui produzione precede di
poco quella di Zangwill, di Amy Levy (1861-1889) morta a soli 27 anni, nota per le sue short stories
e per il romanzo Miss Meredith, ma soprattutto per la raccolta di poesie “Xanthippe and other
verse”; poi abbiamo Benjamin Farjeon (1838-1903), di origine sefardita, che dedicò a Charles
Dickens la sua prima opera, “Shadows on the snow”, ma sono proprio i suoi romanzi di argomento
ebraico quelli meno riusciti e Miriam Pozella; vi è poi Benjamin Disraeli, difficile da collocare per
via della sua conversione al cristianesimo avvenuta all’età di 12 anni di cui ricordiamo “Alroy”
(1833), dove il protagonista David Alroy “sets out to restore his people, the jews to their rightful
position among the races of mankind […]”. Infine, è interessante il caso di Judith Montefiore i cui
scritti forniscono la prima testimonianza inglese di una donna ebrea che viaggia in quella terra e
corrisponde all’odierna Israele. I maggiori romanzieri non ebrei del secolo che trattano l’elemento
ebraico: si pensi a Ivanhoe di Walter Scott (1820) e a Daniel Deronda di George Elliot (1876)
oppure a “The way we live now” di Trollope (1875), dove torna il connubio ebrei-soldi, visto che il
romanzo ruota attorno a una serie di scandali finanziari e personaggi poco affidabili, e ancora
Oliver Twist di Charles Dickens con il diabolico sfruttatore di bambini. Ad esempio, in Ivanhoe il
personaggio di Rebecca si distingue anche per la sua nobiltà d’animo, la sua dedizione, il senso
dell’onore e del sacrificio eppure, nonostante il suo amore per Ivanhoe non la sposerà e lascerà
l’Inghilterra insieme al padre, come a voler sottolineare che un’unione del genere è impossibile,
che un vero inserimento nel contesto sociale rimane impensabile e che il pericolo della
“miscegeneration” (mescolanza razziale) va scongiurato. In modo diverso il tema torna anche in
Daniel Debonda – peraltro ricchissimo di tematiche ebraiche che vanno dal problema
dell’assimilazione, al sionismo, ai pregiudizi esistenti all’epoca – dove il protagonista scopre di
essere ebreo e a quel punto sposerà Miriam, la ragazza di cui è innamorato, che a causa del
profondo legame con le sue origini ebraiche probabilmente non avrebbe accettato facilmente
questa unione a prescindere dai propri sentimenti. Una delle tematiche presenti nel romanzo di
George Eliot è quella del sionismo che torna anche in Israel Zangwill. In Israel Zangwill il problema
del sionismo costituisce uno dei temi centrali considerato che l’autore ebbe un incontro decisivo
con Theodor Herzl che finì con il fondatore perché si fa portavoce, attraverso la letteratura
(narrativa e teatro), del mondo ebraico in tutte le sue sfaccettature (<- Zangwill): delle condizioni
di vita degli ebrei a Londra, nella loro realtà sociale, politica, religiosa e più generalmente
culturale. Theodor Herzl finì con il fondare il sionismo territorialista. Tutto un mondo fino ad allora
in vita quasi interamente nell’immaginario collettivo attraverso luoghi comuni e stereotipi negativi
viene rivelato nella sua complessità, attraverso le sue luci e le sue ombre, la sua forza e anche la
sua fragilità con una maestria che nella letteratura inglese rimane difficile eguagliare. I titoli stessi
delle sue opere sono eloquenti: “Children of the ghetto”, “Dreamer of the ghetto”, “Ghetto
tragedies”, “The next religion”, “The melting pot”.
Maria Edgewort 1767-1849, dopo essere stata accusata da una sua lettrice di aver ritratto gli ebrei
secondo i soliti stereotipi, risponde con la stesura di Harrington (1817) -> Idee antisemite, gli ebrei
vennero visti erroneamente per la maggior parte del periodo storico come nemici dei cristiani. In
Harrington possiamo trovare una grande apertura mentale dell’attrice, che è riuscita a mettere sé
stessa e le sue idee in discussione, il tutto scaturito da una critica di una lettrice. L’impatto che ha
avuto la figura di Shylock sul personaggio, ci fa anche immaginare come poteva essere la reazione
dell’epoca. Alla fine, anche chi aveva dei pregiudizi estremamente negativi verso gli ebrei si è
inevitabilmente sentito “confuso”.
ISRAEL ZANGWILL 1864 – 1926 [*]

 Spinoza: filosofo ebreo olandese che fu scomunicato dai rabbini, accusato di eresia e
blasfemia suscitando scandalo anche tra i cattolici e i protestanti. Solomon Maimon,
filosofo ebreo di origine lituana che si occupò di Spinoza ebbe contatti con Moses
Mendelssohn, anch’egli filosofo ebreo tedesco ed esponente di “Haskalah”, una sorta di
“illuminismo ebraico” che nasce in Germania per poi diffondersi nel resto d’Europa.
Henrich Heine, poeta tedesco cresciuto in una famiglia borghese ebraica, in un ambiente
aperto alle istanze di rinnovamento legate alla Rivoluzione francese e alla cultura
illuministica.
IL NOVECENTO – ABRAHAM CAHAN [*]
Anne Sexton, After Auschwitz -> la descrizione della morte come non curante è diversa
dall’immagine che di solito si dà alla figura; l’omertà e l’indifferenza dell’epoca. Il linguaggio in
questa poesia è nudo e crudo, anche se utilizza immagini per parlare della realtà. Il romanzo
anticipa, per alcuni aspetti, quel capolavoro che è “Call it sleep” 1934 di Henry Roth dove viene
descritta l’immigrazione a New York nel primo decennio del 20esimo secolo. Ci viene poi
raffigurata una città dal carattere “transnazionale”, attraverso gli occhi attoniti di un bambino
appena arrivato in America dall’Europa dell’est. Si tratta di un romanzo di formazione/iniziazione.
Questo romanzo polifonico, rispetto alle altre opere scritte da autori ebrei americani, risente
dell’estetica del modernismo.
SYLVIA PLATH
La poesia e i poeti americani sono sempre stati strettamente relazionati alla cultura americana.
Sylvia Plath, 1963. Muore suicida mettendo la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto
l’ultima poesia “L’orlo” ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul
comodino nella camera dei bambini. Impossibile dunque non avvicinarsi alla tragedia artistica di
una poetessa intelligente e potente simbolo del femminismo americano. “Lady Lazarus” è una
sorta di sfogo, una poesia da interpretare o analizzare come canto liberatorio, dove vengono
incanalate la frustrazione e il pessimismo dell’artista. “Lady Lazarus” viene concepita all’interno di
uno dei periodi più delicati dell’autrice in quanto segue l’abbandono del marito Ted dopo sette
anni di matrimonio, nonché l’ennesimo tentativo di suicidio. Per lei la poesia rappresenta lo
specchio dell’io, ciò che la tiene a galla e le permette di risorgere, proprio come Lazzaro,
riferimento tutt’altro che casuale: a dominare tematicamente parlando è l’ossessione per il
suicidio e conseguente risurrezione, interessante notare però l’utilizzo, la scelta dell’olocausto e
quanto ad esso è legato (sterminio di massa nazista, consapevolezza del popolo tedesco) come
luogo entro il quale proiettare metaforicamente la propria condizione interiore universalizzandone
il dolore. Lo stile della Plath è estremamente tagliente, evocativo, e forte proprio in quanto
terribilmente diretto, le immagini affiorano nitide soprattutto nelle prime strofe. La voluta
crudezza dei termini ad aprire, la Plath alterna diversi toni e diversi umori rimarcando così la
propria fragilità, la compiacenza con la quale si vede morta e oramai sepolta è la stessa con la
quale enumera i suoi due tentati suicidi, uno per decennio “Lady Lazarus” è il simbolo della ricerca
di libertà dell’autrice, sia solamente parlando in quanto donna, sia letteralmente: è l’immagine di
un individuo che vede nella resurrezione una condanna e a ripetersi, rievocare un ciclo, quello
vita-morte che la ossessiona e al quale si sente profondamente legata, destinata quasi. Sylvia Plath
è il dualismo tra morte e privilegio, suicidio e superbia.
ANALISI “DADDY” – SYLVIA PLATH
La protagonista dei versi è la figlia di un nazista e forse madre ebraica. Il personaggio narrante,
affetto da complesso di Elettra, ha perso il padre il quale considerava Dio (la proiezione freudiana
“padre/Dio qui si ribalta), e soffre la interiorizzata contraddizione accennata nazismo/ebraismo,
riuscendo tuttavia a sfuggirle. I motivi autobiografici del componimento sono però troppo
evidenti, come altresì le sue connotazioni psicologiche, che la Plath stessa non cela. Ma esse sono
più ampie rispetto a quel pur importante accenno. Questo “daddy” è definito come orrenda
statua. La parola “daddy” presenta una forte paronomasia col vezzeggiativo “teddy”: il mostro
bicefalo di cui parla il componimento è “daddy/teddy”. In questa poesia dunque possiamo trovare
un uso vivido di Plath di immagini e un controverso uso della Shoah come metafora. Alcuni critici
hanno interpretato la poesia sia in termini biografici e psicoanalitici. La Plath accentua
linguisticamente rivivere di chi parla della sua infanzia, usando cadenze pesanti di filastrocca e
parole da bambino la cui prospettiva ci deriva proprio dalla scelta del linguaggio. I critici hanno
visto anche “papa” come risposta al complesso rapporto di Plath con il padre, Otto Plath, che morì
poco dopo il suo ottavo compleanno a causa del diabete non diagnosticato.
ANALISI “LADY LAZARUS” – SYLVIA PLATH
Questa poesia è comunemente usata come esempio del suo stile di scrittura. E’ considerato uno
dei migliori poemi di Plath ed è stato oggetto di numerose critiche e comunemente interpretato
come espressione dei tentativi e pensieri suicidi di Plath. L’autrice descrive l’oppressione di chi
parla con l’uso delle allusioni e delle immagini della Germania nazista della Seconda guerra
mondiale. È conosciuta come una delle sue “poesie sull’Olocausto”, insieme a “Papa” e “Canto di
Maria”. Sviluppa un’immagine tedesca per indicare il nazismo e, a sua volta, l’oppressione.
Racconta questa annotazione di dottori nella poesia, come chiamare il dottor Herr Doktor; alla fine
della poesia, quando l’opera sperimenta la rinascita indesiderata, è rappresentata dall’immagine
di una poesia (uccello leggendario che viene bruciato vivo e poi rinasce dalle sue ceneri – fenice). Il
prossimo decennio sarà diverso per l’oratore perché ha intenzione di “mangiare” gli uomini o i
dottori, quindi non potranno farla rivivere la prossima volta che affronterà la morte. L’oratore
descrive i suoi tentativi vani di suicidarsi, ma come resurrezioni riuscite, come quelle descritte nei
racconti del personaggio biblico Lazzaro e nel mito della fenice. Alla fine della poesia, l’oratore si è
trasformato in un uccello di fuoco, segnando efficacemente la sua rinascita, che alcuni
assomigliano a una trasformazione demoniaca.

THE SECOND SCROLL, KLEIN


Quest’opera unisce prosa, poesia e drammaticità per esplorare il fenomeno dell’essere ebre nel
ventesimo secolo. È a sua volta filosofico, nostalgico, amaro, umoristico, lirico e orante. Scritto nel
1951, non solo evoca la lunga storia dell’ebraismo, ma medita su eventi accaduti non molto tempo
prima: l’Olocausto da un lato e la dichiarazione di indipendenza dall’altro. Affronta il problema del
male e l’affermazione di una fede antica. Discute anche delle relazioni inquiete del giudaismo con
le altre religioni abramitiche del cristianesimo e dell’islam. Questo è l’aspetto che mi ha dato più
problemi come lettrice non ebrea ma penso che fornisca una rivelazione che potrebbe aiutarci a
riflettere su come condurre discussioni interreligiose con un po’ più di comprensione e rispetto. “Il
secondo rotolo” è dunque, un libro molto complesso, in parte narrativo in prosa, in parte poesia,
con un’infarinatura di altri stili che potremmo riconoscere. Si potrebbe dire che questo libro è
modernista e prende sicuramente spunto da Joyce, ma soprattutto questa è una dichiarazione che
fa Klein nel 1951. Possiamo notare come in quest’opera Klein ha una padronanza della prosa e
molte parole ebraiche sono da cercare nel dizionario. Il personaggio principale viaggia dal Canada
all'Italia, al Marocco infine Israele alla ricerca dello zio Melech. Questo viaggio per trovare uno zio
perduto è avvenuto all’ombra dell’olocausto. Sullo zio giravano diverse voci tipiche degli anni 30
40, dicevano che era comunista, che era uno studioso o rabbino erudito, che si era convertito per
salvargli la vita, e infine che poteva essere stato portato in un campo di concentramento nazista.
La chiave di questo testo è dunque che lo zio è un personaggio allegorico, l'obiettivo sempre più
concreto di cercare non solo un’identità ebraica ma anche una base spirituale. Un altro aspetto
interessante del libro è stato il modo in cui ha mostrato l'entusiasmo e la speranza che la
Fondazione di Israele ha dato gli ebrei della diaspora. Il personaggio principale era elettrizzato
all'idea di essere in Israele nonostante i pericoli fisici del viaggio, in un modo modernamente
antisemita, ed è in contrasto con la sfida di questo ebreo in viaggio.
LO STAGE JEW
La figura dell'ebreo è negativa, e passerà dal palcoscenico del teatro al romanzo. Questo stage jojo
si prefigura come una maschera impersonata da un usuraio, che assume connotati mostruosi e
caratterizzata fisicamente da un lungo naso adunco e dall’atteggiamento rapace, avaro e odioso
verso i cristiani che lo porta a macchiarsi di efferati delitti (assassinio, avvelenamento, diffusione
della peste nera, cannibalismo eccetera ...) processo di demonizzazione dell’ebreo. L'ebreo
compare nella figura cinquecentesca con barabba, protagonista di the gje of Malta di Cristo
fermarlo. Perché Malta? Crocevia verso la Terra Santa e verso l'oriente e background che richiama
le vicende del mare Mediterraneo nella definizione della politica europea: su questo palcoscenico
si muove barabba insieme alle sue navi cariche di merci che attraversano i mari in lungo e in largo
con l'obiettivo di accumulare ricchezze. Barabba, come una maschera, sembra essere privo di ogni
umanità a favore di cupidigia e sete di potere; archetipo: in lui nulla è umano, la tua vita gira
intorno al suo patrimonio, così come quella della figlia Abigail, a sua volta percepita quasi come
una proprietà. Barabba vive con il solo fine di arricchirsi. Il Barabba marlowiano, macchiatosi di
spregevoli colpe, appare come l'ebreo della tradizione popolare. Il suo destino culmina nella pena,
la punizione lenta assume una connotazione fortemente divina. La sua sete di conquistare il
potere perduto lo porta ad assassinare il fidanzato della figlia che, per punirlo, si convertì al
cristianesimo. Barabba dunque la uccide senza esitazione, commettendo il fatale errore di non
eliminare l'ultimo nemico. Sconfitto e privato dei suoi beni, muore comunque con il suo onore. In
un certo senso Barabba sembra passare il testimone a Shylock di “The merchant of Venice”,
William Shakespeare 1596/1597. Il questo dramma Shylock vive come un emarginato nonostante
le sue ricchezze, temuto per il potere che ha sui propri debitori e pure deriso in quanto ebreo. Nel
patto stretto con Antonio si cela un inganno sottile che non viene colto. La parola è centrale.
Shakespeare ci affida un messaggio ben preciso che ponendo moralmente Antonio e Shylock sullo
stesso piano stempera: da un lato la violenza antisemita e dall'altro un ritratto dell’ebreo moderno
e della sua condizione (la figlia di Shylock scappa con un cristiano ed infine si converte al
cristianesimo). Questo stereotipo fa fatica a cambiare nonostante gli ebrei, arrivati a gestire la rete
commerciale moderna raggiunsero poi, ben presto, uno status sociale invidiabile.
“The Jew” di Richard Cumberland, 1764 -> Lo stereotipo dell'ebreo assume un ruolo positivo.
Nonostante la sua generosità il protagonista Sheva si ritrova ad essere paragonato a tutti gli altri
ebrei, spietati e corrotti, attaccati al denaro come Barabba. Eppure, Sheva si fa carico delle
sofferenze altrui, e generoso, a famiglia e amici, fa riavvicinare Sir Stephen al figlio e alla nuora:
nominata da Sheva come erede universale dopo aver scoperto che la donna, priva di dote, è in
realtà la figlia di un uomo che molti anni prima la salvò. Con quest'opera lo Stage jew di scena per
poi tornare in epoca vittoriana nei panni del villain. Cambia il concetto storico sociale: l'Inghilterra
si impone come potenza economica e militare, ma l'ebreo letterario sembra condannato a
percorrere lo stesso paradigma. Troviamo rappresentazioni di Barabba e Shylock anche con
Dickens. Il pregiudizio è più forte della realtà e all’ebreo non è concesso togliersi la maschera che
la società ha imposto.

 Prima del 500 Londra era solo un piccolo paesino;


 Il 400 vede la nascita del teatro della moralità di natura allegorica e di tattica punto le
nuove rappresentazioni non erano più connessi a festività religiose;
 Riforma i nuovi interessi scientifici;
 Qualsiasi interpretazione drammatica svolta tra il 1485 ed il 1576 prende il nome di
interludio;
 Più la nascita del teatro elisabettiano è il momento più importante del 500. Viene creata da
John Deen la prima biblioteca inglese di quasi 1000 volumi considerata il nucleo iniziale
della British Library;
GLI ECHI DELLA SHOAH NELLE LETTERATURE DI LINGUA INGLESE
Le modalità attraverso cui gli echi della shoah si avvertono nel mondo della letteratura inglesi sono
svariate. Sebbene in Inghilterra, ma anche in Nord America, all'inizio si abbia una sorta di
“invisibilità di Auschwitz”, ovviamente un evento storico di tale portata non poteva non avere
degli echi dal punto di vista letterario. Per quanto riguarda l'Inghilterra, Enzo Traverso ci porta la
testimonianza di Reimond Aron che dal 1940 al 1944 fu redattore capo del giornale “La France
libre” a Londra: “che ne sapevamo a Londra? I giornali inglesi lo hanno forse evocato? Quanto alla
mia consapevolezza, coglievo i fatti più o meno così: i campi di concentramento erano crudeli,
diretti da guardiani reclutati non tra i politici, ma tra i criminali diritto comune; la mortalità era
elevata ma le camere a gas, l'assassinio industriale di esseri umani, lo confesso, non li ho
immaginati e, siccome non potevo immaginarli non li ho saputi”.
È che l'opinione pubblica era ostile ad aprire le frontiere per accogliere una nuova massa di
rifugiati (e si pensi al “Great Tide”, che segue l'ondata dei feroci pogrom in Russia) il presidente
Roosevelt voleva soprattutto evitare di far apparire l'intervento americano nel conflitto come un
atto motivato nella volontà di difendere gli ebrei. La notizia delle camere a gas venne diffusa dalla
stampa nazionale, mentre quella ebraica vi diede ampio rilievo, senza però suscitare stupore o
emozione. Il silenzio dei New York intellectuals, essenzialmente ebrei è ancor più significativo.
Salvo rare eccezioni, essi non sembrano accorgersi del genocidio. Tale problematica coinvolge
anche il Canada e le conseguenze sono altrettanto analoghe. Abbiamo un’eccezione del tutto
singolare con Klein che comincia a scrivere testi legati alla shoah proprio a partire dagli anni 40 in
concomitanza con quanto accadeva. In America abbiamo Silvia Plath, non ebrea, nella cui opera
una delle ferite storiche più profonde del 900 diventa lo specchio di un dolore tutto privato che
esprime, come accade in Anne Sexton, attraverso l'uso di parole in tedesco nei loro versi. La lingua
stessa, dunque, deve suggerire il legame che le due poetesse stabiliscono tra la sofferenza
collettiva e storica e quella dell’inferiorità femminile. In Inghilterra abbiamo Elaine Feinstein (nata
nel 1933) venire a conoscenza della Shoah le permette una riappropriazione della propria identità
ebraica. Sul versante canadese ricordiamo Klein il cui rapporto con la shoah si articola in due fasi
differenti: la prima è quella lotta serrata attraverso la parola artistica nel periodo in cui l'olocausto
si sta svolgendo, la seconda invece è costituita dalla presa di consapevolezza dell’inutilità del dire
che lo porterà a chiudersi in un mutismo, letterario ma anche privato, che durerà per ben 20 anni.
Se per Primo Levi, come sottolinea Enzo Traverso, “prendere in mano la penna è come una terapia
rigeneratrice, è un ritorno alla vita”, in modo diverso lo è anche per la Plath e la Sexton che
riescono a superare attraverso la scrittura, almeno fino al suicidio, la pulsione costante che vivono
verso la morte. Le loro poesie fanno riferimento alla shoah. Sexton scrive una poesia dove il tema
è palesato sin dal titolo “After Auschwitz” 1794; Plath, invece, fa ricorso a una serie di immagini e
metafore attraverso le quali identifica sé stessa con l'ebreo, e la figura maschile e la società
maschilista in cui vive con la figura del nazista. La shoah diventa pertanto l'emblema del proprio
dolore privato. Inoltre, sia la Plath che la Sexton ricorrono all'utilizzo di lemmi in tedesco perché
attraverso di essi, il linguaggio del male trova la sua espressione più immediata e perché
nell'immaginario collettivo, essi vengono associati alla più veloce valenza storica. Anne Sexton
scrive “after Auschwitz” dove l'abisso in cui l'essere umano è sprofondato viene denunciato in
tutta la sua crudezza, a partire dalla violenza perpetrata sui bambini. L'uomo diventa la
quintessenza del male che deve essere sradicato e bruciato e il poeta non deve sottrarsi al compito
della narrazione artistica degli accademici storici. Le immagini che usa sono tutt'altro che intrise di
sentimentalismo, al contrario, sono più cariche dell’indifferenza che ha accompagnato lo svolgersi
della Shoah. Come sostiene Paola Zaccaria, “la lingua tedesca diventa simbolo del trauma generato
dalla devastazione nazista, sintomo linguistico che riemerge ogni volta che chi parla sfiora lambito
dalla violenza, del conflitto, della sopraffazione”. Nella Plath le tematiche connesse agli eventi
storici sono decisamente più ricorrenti e rielaborate in chiave del tutto intimistica e personale.
Come sottolinea anche Mirella Billy, non si deve dimenticare, per comprendere la visione tragica
della vita che emerge dall’opera della Plath, che gli anni della sua formazione culturale, oltre i
confini delle rarefatte oasi dei college universitari, sono quelli della proliferazione nucleare, la
violenza collettiva entra nell’opera della Plath e si saldano con l'esperienza personale della
poetessa. Il dramma della frantumazione dell'io, più la ricerca di un’identità, il tormento della
neurosi trovano nelle vicende umane un desolante corrispettivo, moltiplicato e ingigantito;
l'esperienza intima diventa quella sofferta dell'umanità; la violenza personale l'emblema delle
atroci violenze collettive nei campi di sterminio. In “Teddy” la shoah è tematizzata attraverso un
processo davvero singolare: l'autoidentificazione da parte della poetessa con l'ebreo e
l'identificazione del padre, e più in generale della figura maschile, con la figura del nazista dove
vengono messi in scena sostanzialmente l'amore e l'odio della vittima per il suo carnefice con una
dinamica tipica della sindrome di Stoccolma”.
ELAINE FEINSTEIN [*]
Mentre con il romanzo The second scroll (1951), anche questo pubblicato non senza difficoltà,
Klein, nonostante il successo che riscuote, si avvia verso quel silenzio che caratterizzerà gli ultimi
anni della sua vita. Il romanzo si rifà per la struttura all’archetipo biblico. È costituito infatti da 5
capitoli: Genesis, exodus, leviticus, numbers, deuteronomy, che costituiscono una personalissima
e originale rivisitazione della storia ebraica dai pogrom russi alla sua Shoah. A questi seguono 5
glosse: alef, beth, gimel, dalid, e hai, che fungono da commentari e che ripercorrono i temi dei
capitoli attraverso forme artistiche diverse: dall’autobiografia in forma lirica, all’elegia, al dramma,
all’epistola, fino al salmo con cui il libro si chiude. Le pagine in cui si parla dell’esperienza dei campi
di sterminio sono tra le più belle e toccanti del romanzo per la capacità di Klein dimostra di avere
nello scandagliare il dramma di un mondo pervaso dalla più indecifrabile le esperienze possibili, e
questo colpisce soprattutto perché senza conoscere personalmente il dramma della deportazione
riesce comunque a restituirci l'eco dello strazio mutuo che si compiva al di là dell'oceano e della
condizione di salvato tra i sommersi, per dirla con Levi.

 La differenza principale tra Klein e la Plath è che Klein racconta senza paragonarsi a loro,
mentre la Plath oltre a non essere ebrea, si paragona loro. Lui si limita a raccontare, a dare
voce a quello che stava succedendo.
 Non c'è differenza tra i due: possono entrambi esprimere quello che sentono a prescindere
dall' essere ebreo o no ed aver vissuto in il dramma in prima persona.
Questa operazione, decisamente originale e sorprendente, attraverso cui la Plath sovrappone
piano storico e piano individuale ha suscitato delle critiche piuttosto aspre anche da parte di figure
autorevoli come Harold Bloom, il quale sostiene che le immagini relative alla Shoah costituiscono
un’appropriazione gratuita e offensiva dal punto di vista umano.
Il romanzo di Klein, attraverso questi 5 capitoli e le correlate glosse, costituiscono una sorta di
talmudico castello di interpretazioni, sembra negare quanto Adorno, Steiner e Wisel hanno
fermato circa l'impossibilità di fare l’olocausto un continuum storico con cui misurarsi e
confrontarsi soprattutto artisticamente, eppure alla fine del suo percorso artistico, Klein pare
arrivare alla conclusione che effettivamente la fusione arte e intento o quantomeno Vana. La
necessità di denunciare gli orrori della storia sempre più si tramuta in mutuo dolore, tanto da far
pensare a quanto sostiene Steiner ovvero che “da un punto di vista ideale ogni poeta dovrebbe
avere il proprio linguaggio, unico e caratteristico del suo bisogno espressivo: data la natura sociale
e convenzionale del discorso umano, un simile linguaggio può soltanto essere il silenzio”. Ecco
allora che le ferite storiche del 900 a partire dalla shoah ma non solo, in tutti gli autori qui presi in
considerazione diventano anche ferite della propria anima, ferite che per motivi diversi non
possono cicatrizzarsi. Il dolore, la paura, la frustrazione, il senso di impotenza, sono ancora
profondamente vivi in questi artisti e l'inquietudine generata dagli stati d'animo non permette che
tali ferite si rimarginano: la lotta per rielaborare il trauma attraverso la parola, ma per la Feistein
l’”old monster” continua ad aleggiare, per Klein il percorso attraverso la scrittura culmina nella
negazione della scrittura stessa, per Plath e Sexton la sovrapposizione del piano storico quello
individuale porta ad un'esaltazione della propria sofferenza che non fa altro che accentuare una
pulsione verso la morte che si concretizza nel suicidio di entrambe. Tutto questo mi pare ben
condensato in due versi di Anne Sexton “Man is evil, I say aloud” e “I beg the lord not to hear” che
esprimono la lotta tra il bisogno e l'importanza del dire ai fini della rielaborazione dell'evento
traumatico e il dolore profondo che generalato dell'ascolto, l’ascolto del proprio dolore e
dell'altro, e quali spesso si fondono e confondono l'uno nell'altro.
IL MESSIA TURCO – ZANGWILL
Non è casuale la rilevanza da Zangwill nel racconto su Sabbetai alla figura di Sara, proprio nelle
pagine finali, le più tragiche, quello inerente alla scelta che il falso messia deve compiere tra la
morte e l’apostasia. Forse, quindi, parlare di questa unione assume per Zangwill un valore molto
più profondo di un mero dato narrativo che sollecita la fantasia dello scrittore o del lettore, e
penso a quanto sostiene Scholem in proposito: “questo matrimonio messianico è uno
sconcertante paradosso sotto ogni aspetto, poiché la storia di Sara è davvero sorprendente […] la
natura dell’influenza di Sara e la misura del suo significato per la carriera messianica di Sabbetai
resteranno sempre oggetto di congetture e speculazioni. La sua storia e il suo ruolo enigmatico
offrirono uno spunto ideale per la fantasia degli autori di romanzi e di drammi storici. Il punto
cruciale mi pare invece l’atteggiamento eversivo di Sabbetai in relazione all'emancipazione delle
donne e ancora, allora, tornano a essere preziose le osservazioni di Scholem: “c'è qualche cosa di
autentico nell’atteggiamento rivoluzionario di Sabbetai su questa questione […] sembra che […]
una visione utopica dell’uguaglianza dei sessi avesse messo radici nel cuore di Sabbetai […] forse è
qui che dovremmo cercare anche la chiave del suo matrimonio con una donna di cattiva
reputazione […] accarezzava il sogno della riparazione del peccato di Adamo e la conseguente
restaurazione della donna alla sua libertà originaria”. Un esempio, tra i tanti che si può fare per
meglio comprendere la posizione di Sabettai in tal senso è che egli chiamava le donne alla lettura
della Torah. “Nell'anno del mondo 5408, […]” sin dalle prime pagine l'accento viene posto dunque
sulla condotta trasgressiva di Sabbetai e andrebbe approfondito il senso e la causa delle sue
trasgressioni che invece furono numerose. Secondo Wohlgelernter è proprio dalla rottura con
l'ortodossia a portare in qualche modo al fallimento del suo ideale. Zangwill ci suggerisce la natura
di quest'uomo che fin dall'infanzia è molto particolare, estremamente sensibile e solitario.
L'aspetto saliente è però la nota rivolta che sin da bambino lo caratterizza a svelarci di più su
l'anima dilaniata che porterà Sabettai a quegli stati di alternanza continua d’umore che
segneranno i suoi comportamenti così contraddittori e all'apparenza inspiegabili è Gershom
Sholem:
“Dalle fonti si può evincere che Sabettai soffrisse di una psicosi maniacodepressiva,
probabilmente congiunta alcuni tratti paranoici […] ogni volta che l’entusiasmo maniacale portava
il giovane Sabettai alle vertiginose altezze dell'esaltazione euforica e alla visione di sé come
messia, si presentava un altro fenomeno apparentemente antinomico. Il giovane rabbino, la cui
vita conscia era dedicata alla pierà ascetica e che si mortificava per sei giorni alla settimana,
trasgrediva la legge e agiva in una maniera che sembrava stranamente incompatibile con il suo
comportamento normale [...] si sentiva soggetto ad un impulso superiore e misterioso che lo
spingeva ad agire in modo irrazionale, irridendo i comportamenti della Torah”.
Come sottolinea anche David Banon, “tali azioni andavano contro halakhà e addirittura miravano a
contestarne il valore, se non addirittura abolirlo; per esempio Sabbetai pronunciava il telegramma,
oppure nella sua bocca la benedizione. È ovvio che per i suoi discepoli ne scaturì la necessità di
una spiegazione mistica di quel che Scholem definisce la “rivalutazione del peccato come atto
santo” e soprattutto della sua apostasia finale. In tal senso molto si è adoperato Nathan di Gaza,
personaggio chiave. In fondo il successo di Sabbetai è dovuto gran parte proprio lui; nel racconto
leggiamo infatti che Nathan è molto stimato, attendibile e, per certi versi è una figura antitetica
rispetto a Sabbetai: è un ebreo osservante non compie mai azioni stravaganti punto del resto,
come sostiene sempre Scholem, “i due uomini si completavano l'altro in maniera sorprendente e
senza quella combinazione il momento Sabbatiano che non si sarebbe mai sviluppato. Sabbetai
era un leader scadente. Carente di forza di volontà e privo di un piano di azione, era vittima della
sua malattia e delle sue illusioni.” Aveva una vita emotiva molto intensa e un gran talento
musicale, “le sue capacità intellettuali erano ben sviluppate ma assolutamente non straordinarie.
Non era intellettualmente creativo o originale ed era del tutto privo di talento letterario” e non
riuscì a formare un gruppo permanente di seguaci fino alla comparsa di Nathan, che fece da forza
trainante nell’accrescere la fiducia di sé stesso di Sabbetai e la sua credibilità tra la gente
attraverso l'interpretazione molto arguta dei suoi gesti.
A tal proposito, è fondamentale il “trattato sui draghi”, dove Nathan propone una speculazione
complessa e originale rispetto alla Cabalà luriana, evidenziando che “legato alle qellipot sin dal
principio del mondo, il messia sta combattendo, tra grandi angosce e sofferenze, per liberarsi del
loro abbraccio e per “redimerle”. Ma le qellipot lo tengono stretto, cercando di possederlo e di
impedirgli di adempiere il suo compito messianico”. Nella stessa apostasia diviene allora un mezzo
per calarsi negli abissi delle impurità e liberare le scintille divine ivi prigioniere. Come spiega anche
Banon, si tratta dunque di un’”astuzia sacra”. Ci si può chiedere a questo punto come un
movimento del genere possa avere attecchito tra la gente in modo così forte e radicale, come,
nelle parole di Giulio Busi, una “personalità” estremamente contraddittoria, incline agli eccessi e
ad azioni paradossali, come Sabbetai seppe suscitare, nel corso del XVII secolo, un profondo
sommovimento spirituale tra gli ebrei della diaspora”. In Zangwill la situazione storia sembra
essere l’elemento propulsivo allo sviluppo del messianismo sabbatiano. Scrive infatti che “i tempi
per il messia erano maturi”: “it was the day of messianic dreams.” e fa poi riferimento a David
Reubeni, a Pires e a Luria. Importanti sono proprio le perenni sofferenze del popolo ebraico e
torna in tal senso illuminante quanto scrive Banon: “il messianismo stesso nasce da una
frustrazione storica. Compare nella coscienza collettiva come la riparazione di una perdita, come la
promessa utopica destinata a compensare l’infelicità del presente”, si pongono poi i problemi della
“degradazione della mistica in politica” e della “dimensione aporetica” del messianismo. A mio
avviso è proprio il dolore storico protratto, diffuso, profondo e radicato del popolo ebraico, come
ben si evince anche dal brano citato da “Il messia turco”, a essere in quel contesto la molla che
spinge la gente all’accettazione di un falso messia, ma anche la leva che, in campo politico, porterà
all’affermarsi del sionismo.

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