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Miguel de Cervantes

Nasce nel 1547 ad Alcala de Henares, quarto di 7 figli di Rodrigo de Cervantes e Leonor de
Cortina. Nasce, quindi, in una famiglia non molto agiata, appartenente alla classe media ed è
costretto a continui spostamenti a causa del lavoro del padre che era un cirujano.
Nel 1566 si reca a Madrid, dove studia presso un umanista, Lopez de Hoyas. Questo è un dato
determinante per la formazione di Cervantes.
Ci sono molti vuoti nella sua biografia.
Nel 1569, Cervantes fu coinvolto in un duello con Antonio di Sigura e, a seguito di questo duello,
fu costretto a fuggire in Italia, dove, sotto la protezione del cardinale Acquaviva, entro in contatto
con la cultura italiana>in particolare, si misura con i modelli letterari di Ariosto, Tasso e legge
Teofilo Folengo.
Nel 1571 lo ritroviamo a bordo di una delle navi che combattono la battaglia di Lepanto. Durante i
combattimenti, Cervantes viene ferito e perde l’uso della mano sinistra, ragion per cui verrà anche
conosciuto come “el monco de Lepanto”. Dopo la battaglia di Lepanto, non riuscì a tornare subito
in Spagna perché fu fatto prigioniero, insieme al fratello, dai corsari berbereschi Nea bordo della
galera “El Sol” su cui si trovava e rimase nel carcere di Algeri fino al 1580.
Nel 1580 riuscì a tornare in Spagna perché i padri trinitari (un ordine religioso) pagarono il riscatto
pe avere indietro i prigionieri di guerra. Quindi, ne 1580, Cervantes è un reduce di guerra. Gli anni
del ritorno, sono anni che Cervantes trascorre nel tentativo di trovare un’occupazione, soprattutto
un’occupazione che potesse venirgli dallo stato che lui aveva servito in battaglia.
Tra il 1581-82 compie una serie di viaggi in Portogallo e, poi, a Madrid.
Nel 1584 si sposa con Catalina di Salazar.
Nel 1585 pubblica La Galatea. È la prima opera pubblicata da Cervantes e si tratta di una novela
pastoril, scritta sul modello dell’Arcadia di Sannazzaro, scrittore e poeta napoletano tra più illustri
del Rinascimenti (l’Arcadia era una regione mitica della Grecia, uno spazio idillico).
Tra il 1587 e il 1594, Cervantes diviene commissario reale per le provvigioni dell’Invincibile
Armata.
Nel 1594 diviene esattore delle tasse.
Nel 1597 finisce in carcere perché viene accusato di aver trattenuto per sé delle tasse che avrebbe
dovuto versare allo stato.
Gli ultimi anni della sua vita sono quelli più intensi per quanto riguarda la scrittura e la
pubblicazione di opere:
-Nel 1585 pubblica La Galatea;
-Nel 1605 pubblica la prima parte del Quijote;
-Nel 1613 escono le Novelas Ejemplares, scritte sul modello delle novelle della tradizione italiana;
-Nel 1615 esce la seconda parte del Quijote. Cervantes scrisse una seconda parte perché nel 1614,
un tale Avellaneda aveva pubblicato un’edizione apocrifa del Quijote. Cervantes, adirato perché
quest’uomo gli aveva rubato la storia, decide di scrivere lui, che è il vero autore, la sua versione
della seconda parte del Quijote, la vera versione. Nel 1615 escono anche dei testi che Cervantes
aveva scritto per il teatro che, all’epoca, era il genere di maggior successo, che dava soldi e fama.
Nessuna compagnia comprò i suoi entremeses, non riuscì a vederli rappresentanti, per cui decise di
pubblicarsi con il nome Ocho Comedias y Ocho Entremes Nunca Representados. In genere, nel
teatro c’era prima la rappresentazione e poi la pubblicazione. Cervantes li pubblica autonomamente.
Nel 1616, Cervantes muore (stesso anno e stesso giorno in cui muore Shakespeare).
Nel 1617, un anno dopo la sua morte, viene pubblicata postuma l’opera intitolata Los trabajos de
Persiles y Sigismunda.
Tutti questi dati ci servono per ollocare Cervantes in un contesto che è molto diverso da quello di
Quevedo. Cervantes è nato nel 1547, quindi, molti anni prima ed è un contesto di classe media.
Cervantes compie una serie di spostamenti per trovare un impiego, per affermarsi come poeta e
uomo di teatro, ma riesce a fare ciò che non aveva mai pensato di fare, cioè scrivere un capolavoro
in prosa. Egli è fondatore del romanzo moderno europeo.
Cervantes nasce sotto Carlos V, cresce nel Rinascimento e scrive il Quijote nel Barocco. Egli si
trova in un momento di grande crisi sul piano storico, politico ed estetico, è un periodo di rottura.
Cervantes è, per formazione, un uomo del Rinascimento, con ideali rinascimentali e, di
conseguenza, scrive in modo lineare come uno scrittore rinascimentale.
Egli, però, intravede una crisi dei valori rinascimentali, le crepe di questo mondo che sono poi le
crepe tipiche della sensibilità barocca. Vive una crisi epocale e individuale dovuta all’avvento del
Barocco. Cervantes unisce in sé una formazione umanistica e la sensibilità barocca. Data la sua
grandezza, ci sono una serie di miti su Cervantes:
-alcuni dicono fosse un INGENIO LEGO, un genio venuto dal nulla, uno che pur non avendo
studiato e pur non avendo strumenti, grazie alla sua genialità, era riuscito a creare questi suoi
prodotti letterari;
-l’altra immagine, più veritiera, lo vede come un uomo che aveva una forte base culturale legata
all’umanesimo (aveva studiato a Madrid con Lopez de Hoyas). Questa cultura umanista gli ha
permesso di fare i conti con la tradizione letteraria anteriore, di parodiarla e rivoltarla (depurata
cultura umanistica e lontananza dagli eccessi stilistici del Barocco). >Cervantes scrive in modo da
essere compreso>non c’è quella costruzione linguistica, basata sull’eccesso, sull’iperbole,
sull’oscurità ricercata invece dagli scrittori del Barocco. Cervantes ha una sensibilità barocca ma il
modo attraverso il quale ci racconta è di impianto rinascimentale. Sono opere di impianto
rinascimentale.
Lopez de Hoyas era un maestro di grammatica del Rinascimento ed era un conoscitore
dell’Erasmismo. Erasmo da Rotterdam, autore de L’elogio della Follia, propugnava un
cambiamento profondo delle istituzioni ecclesiastiche dall’interno. È portatore di un senso critico,
di una capacità di analisi e critica della realtà. In letteratura, ha utilizzato l’umorismo, il riso e la
pazzia come strumenti per fare una letteratura che sia al tempo stesso intrattenimento e impegno.
Coniuga quindi senso critico e umorismo, un abbinamento che viene a creare un linguaggio per dare
risalto a piani inediti della realtà. Non dobbiamo dimenticare che Cervantes ha passato un
importante periodo della sua vita in Italia e uno dei suoi riferimenti è stato Ariosto, autore de
L’Orlando Furioso (tema della pazzia).
Don Quijote de la Mancha
Sul finire del 1604, aveva già terminato la scrittura di quello che sarà poi il suo testo più importante
ossia il Quijote>era già concluso e consegnato all’editore Juan de la Cuesta che lo pubblicherà nel
1605.
Il Don Chisciotte viene pubblicato in due volumi: il primo nel 1605 ed ha subito dopo un’altra
edizione. Cervantes credeva di aver così concluso il libro. Nel 1614, un signore di nome Alonso
Fernandez de Avellaneda, pubblica una seconda parte apocrifa (falsa) del Quijote> Cervantes scrive
quindi una seconda parte pubblicata nel 1615.
Per quanto riguarda la prima parte, il primo volume:
Non abbiamo il manoscritto dell’opera ma solo il testo stampato. Inoltre, ci sono due edizioni di
questa prima parte.
L’editio princeps contiene numerosi errori, probabilmente dovuti al fatto che il testo si stampò in
soli due mesi.>parte di questi errori sono stati corretti successivamente dagli editori mentre alcuni
sono rimasti invariati.
Poche settimane dopo dall’editio princeps, già viene pubblicata una seconda edizione con alcuni
cambiamenti.
Il Quijote, inizialmente, non nasce come un romanzo, ma è possibile che Cervantes avesse
intenzione di scrivere una NOVELA EJEMPLAR, una novella nel senso italiano del termine.
Probabilmente questa novela coincideva con i capitoli che vanno dal primo al sesto, ossia i capitoli
che corrispondono alla primera salida di Don Chisciotte. È poi probabile che sia nata quella che il
critico Bodini ha chiamato “frequenza intima” fra autore e personaggio> ossia a Cervantes gli
sarebbe tanto piaciuta questa storia da continuarla a scrivere.>è in effetti dopo i primi 6 capitoli che
decide di dotarlo di uno scudiero. Dopo la prima uscita, molto breve, Don Chisciotte incontra
Sancho Panza e con lui D.Q. potrà dar vita alla sua seconda salida che occupa tutta la prima parte (il
primo volume del 1605). Si tratta di una sorte di “avventura nella scrittura” per Cervantes> vale a
dire che non è un progetto predefinito> ciò spiega anche perché in certi casi ci siano degli svarioni,
scivolate, dimenticanze. (Egli stesso si definisce come uno scrittore pigro, indolente).
Pertanto, può darsi che questa parte sia nata un po’ causalmente, che si sia sviluppata man mano e
come afferma la critica che sia una “nebulosa in espansione”>cioè un testo che va man mano
espandendosi e che si costruisce come un work in progress.
Abbiamo, dopo la primera salida, una segunda salida mentre la terza avverrà nel 1615.
Nella prima parte il testo, la sua struttura, si sviluppa con uno schema a schidionata (spiedino)> vale
a dire che le avventure si susseguono l’una dopo l’altra all’interno della cornice. >La cornice è
rappresentata da Sancho e Don Chisciotte che escono e le avventure invece si inseriscono secondo
appunto uno schema a schidionata.
Prima del testo, c’è un paratesto che accompagna l’opera:
-La tasa, che è anche una descrizione del libro. Stabilisce il prezzo del libro. Il primo beneplacito
alla pubblicazione del testo, che contiene un riferimento al prezzo di mercato. L’opera, composta da
83 quaderni, costa 290 maravedis e mezzo, prezzo fissato a Valladolid il 20 dicembre 1604 (un
anno prima della pubblicazione, il libro era già pronto). Abbiamo poi l’approvazione reale: si
garantisce che il testo non contenga nulla di contrario al buon costume. Abbiamo poi una sorta di
copyright, il divieto di riprodurre il testo senza autorizzazione per i successivi 10 anni.
-A seguire, abbiamo una dedica al Duque de Bejar. >molto probabilmente questa dedica non era di
Cervantes, ma dell’editore. (come nel caso dei Suenos e la dedica al conde de Lemos, queste
dediche servivano per mettersi sotto la protezione di un potente e venivano più dall’editore che già
aveva pronte una serie di dediche e vi scriveva sotto il nome dell’autore).
-il prologo> anticipa già alcuni elementi costitutivi del Don Quijote come romanzo ma anche del
Don Quijote come romanzo moderno perché è un prologo metaletterario/metafinzionale perché nel
prologo l’autore s’interroga su come si scrive un prologo. Cervantes mette a nudo il processo di
scrittura del prologo e nel metterlo a nudo fa una parodia di questa abitudine, tradizione diffusa, di
anteporre un prologo ad un testo.
“desocupado lector”>immediatamente Cervantes di dirige al lettore (//Quevedo, “pio lector”),
desocupado>privo di occupazioni nel momento in cui si mette a leggere, “sfaccendato”, non hai
occupazioni.
“non c’è bisogno che io ti giuri e mi potrai credere, senza bisogno di giuramento, se ti dico che io
avrei voluto questo libro, figlio del mio intelletto, avrei voluto fosse il più bello, il più gagliardo, il
più discreto che si possa immaginare.”>siamo già di fronte al topico della modesta, della falsa
modestia, che accompagna molti prologhi.
“però, non sono potuto andare contro alla natura stessa, perché in natura ogni cosa genera una cosa
simile. Quindi, cosa avrebbe potuto partorire/generare il mio ingegno sterile e neanche
allenato/colto, se non la storia di un figlio secco, appassito, capriccioso e pieno di pensieri vari e
mai immaginati prima da nessun altro, e io solo questo potevo darvi perché simile a me. Questo
prodotto/figlio secco etc..come chi è nato in carcere (Cervantes aveva trascorso un lungo periodo in
carcere, sia ad Algeri che successivamente.), un luogo scomodo e perfino la musa più sterile,
quando vede un luogo bonito, diventa feconda, ma come poteva essere feconda la musa se è venuta
a trovarmi in carcere, se questo figlio è nato tra mille scomodità.
“Succede frequentemente che un padre abbia un figlio brutto, senza alcun dono, e che l’amore lo
porti a mettersi una benda sugli occhi e a lodarlo con amici, e a giudicare quelle che sono mancanze
ed errori come cose ingegnose. Non sarà così nel mio caso perché innanzitutto io non sono il padre
del Don Quijote ma sono il padrigno (finge di non essere l’autore, o almeno il primo autore,
dell’opera), Non voglio fare come gli altri, non di supplicherò con le lacrime agli occhi, come altri
fanno, lettore carissimo, non ti supplicherò di perdonare gli errori che vedrai in questo mio figlio,
che non sei suo parente o amico, e hai la tua anima nel tuo corpo e il tuo libero albitrio come
chiunque altro, e stai a casa tua, della quale sei signore, come il re delle sue tasse, y sai come si dice
comunemente, che “ognuno la pensi come vuole”, il ché ti esime e rende libero dal rispetto e
obbligazione e così puoi dire della storia ciò che vuoi, senza timore che ti calunniano per il male
che ne dici né che per il bene ti premiano.”
“La storia te la vorrei dare sola, pulita, senza l’ornamento del prologo, e senza quell’innumerevole
catalogo di sonetti, epigrammi e elogi che si suole porre all’inizio di un libro. Perché se proprio ti
posso dire una cosa, mi è costato fatica scrivere l’opera ma ancor di più mi è costato fare questa
prefazione he stai leggende. Molte volte ho preso la penna per scriverla e molte l’ho lasciata
(veicola al lettore un’immagine di sé: prima ha detto che è stato in galera, che non ha un ingegno
allenato, ha detto che il prologo non lo vuole scrivere etc…offre quindi un’immagine di sé che è
fittizia ma si mescola al Cervantes autore ed entra così nell’immaginario collettivo la figura di
Miguel de Cervantes), nell’indecisione di scriverla; e stando in stallo, con la carta davanti, la penna
sull’orecchio, il gomito sulla scrivania e la mano sulla guancia, pensando a ciò che avrei detto, entrò
inaspettatamente un mio amico, grazioso e dal buon ingegno il quale, vedendomi così pensoso, me
ne chiese la causa ed io, non nascondendogliela, gli dissi che stavo pensando al prologo che dovevo
fare alla storia di Don Quijote, e che non volevo farlo, nemmeno portare alla luce le imprese del
tanto nobile cavaliere. (senza chiarire se queste imprese siano reali o inventate.
“In fine, signor amico mio, io determino che il signor Don Quijote resti sepolto nei suoi archivi
della Mancha, fino a che arriverà qualcuno più bravo di me che saprà portarlo alla luce” > come se
lui non fosse l’autore, come se lui le avesse riscritte e qualcun altro le può portare alla luce. Si
presenta con “insuficiencia, pocas letras, poltron, perezoso”
La risposta dell’amico: “per Dio, fratello, adesso mi ravvedo di un’illusione che ho avuto per tutto il
tempo che vi conosco, durante il quale vi ho sempre ritenuto discreto e prudente nelle vostre azioni.
Però adesso vedo che siete lontano da esserlo tanto quanto lo è il cielo dalla terra. Com’è possibile
che cose così poco importanti e tanto facili da porre rimedio possano avere la capacità di sospendere
un ingegno così maturo come il vostro, e così avvezzo a rompere e travolgere difficoltà maggiori? “
Allora l’amico gli insegna come si scrive un prologo.> I consigli che da l’amico diventano il
prologo stesso.
Quest prologo è una critica di tutti gli altri prologhi.
L’amico non esiste, è uno sdoppiamento. Praticamente, Cervantes fa un dialogo con sé stesso.
L’amico è un personaggio inventato che gli consiglia la soluzione. Si mostra sorpreso che
Cervantes, che ha superato situazioni ben più difficili, ora si trovi in difficoltà. Ovviamente, si
riferisce alla guerra. Cervantes ama presentarsi come soldato, è legato a questa immagine di sé e lo
riafferma, in maniera velata, anche in questo testo attraverso le parole dell’amico che, in realtà, è lui
stesso (sdoppiamento della figura autorale). L’amico dice che solo la pigrizia può giustificare quello
che Cervantes sta dicendo. Cervantes gli chiede consiglio. La soluzione dell’amico è che sia
Cervantes stesso a scrivere degli epigrammi e dei sonetti ed attribuirle a qualcun altro come, ad
esempio, all’imperatore di Trapisonda (che non esiste, ma è un nome altisonante). Per quanto
riguarda le note al margine e le citazioni latine, gli consiglia di inserire delle frasi che conosce a
memoria o di cercarne nei florilegi. Basta poco per sembrare erudito. Gli dice che se deve nominare
un gigante che sia Golia e che se deve nominare un fiume che sia il Tago (quindi la stessa cosa vale
per i toponimi), così da avere la possibilità di aggiungere delle note e far sfoggio di erudizione.
L’amico stesso si propone di procurargli 4 pliegos (una parte del foglio) pieno di note e annotazioni.
Gli ricorda l’esistenza dei florilegi da cui può scegliere le citazioni. Inoltre, dice che il suo libro non
ha bisogno, in realtà, di citazioni di Seneca, Aristotele, Cicerone etc… perché lo”una invectiva
(critica) contra los libros de caballeria” e nessuno di quegli autori ha mai parlato di libri di
cavalleria. Allo stesso modo, nell’opera non c’è bisogno di grandi conoscenze astronomiche e
geometriche perché i libri di cavalleria sono pieni di invenzione. L’unica cosa che Cervantes deve
fare, secondo l’amico, è spiegare i suoi concetti in modo chiaro (caratteristica del Rinascimento) e
fare in modo che nessuno si offenda. Deve fare in modo di distruggere la macchina, l’impianto
malfondato di questi libri cavallereschi, odiati da tanti ma elogiati da molti altri. In effetti, questi
libri avevano avuto un seguito importante all’epoca in cui scrive Cervantes (rende evidente il suo
scopo: parodiare i libri di cavalleria). Verso la fine, Cervantes dice che lui sta raccontando in modo
sincero e senza troppi infingimenti la storia del Quijote, ma non è vero perché, mentre la struttura è
chiara, la storia è volutamente complicata, ce ne rendiamo conto già dal prologo. Cervantes gioca
con i meccanismi della scrittura. Dice di non dover essere ringraziato per la presentazione di Don
Quijote (il quale presenta come una figura conosciuta, un personaggio esistito>confonde
continuamente il lettore, gioca con il piano della storia e della finzione, del fatto e del racconto del
fatto// nei libri di cavalleria è lo stesso: elementi storici mischiati alla finzione), ma per quella di
Sanch Panza, il quale riunisce tutte le virtù dello scudiero.
Alla fine, il prologo è sì una parodia dei prologhi in generali, ma serve anche a presentare il libro,
Seguono i sonetti che Cervantes stesso scrive ma attribuisce agli altri. Abbiamo un tributo in versi
al libro del Don Quijote della Mancha, da parte di Urganda, la maga protettrice di Amadis de Gaula.
Poi abbiamo Amadis stesso che dedica un sonetto a don Chisciotte. Poi c’è Belianis de Grecia.
Oriana, la sposa di Amadigi, dedica anche lei un sonetto a Dulcinea, la dama alla quale Don
Chisciotte dedica le sue imprese. Poi lo scudiero di Amadigi ne dedica uno a Sancho Panza,
Orlando Furioso a Don Chisciotte, etc.. in ultimo, abbiamo il dialogo tra il cavallo del Cid e
Rocinante. È così che Cervantes costruisce la genealogia della storia: la mette in relazione con i
personaggi della narrativa cavalleresca.
I CAPITOLO
Capitulo primero que trata de la condicion y ejercicio del famoso y valiente hidalgo Don Quijote
de la Mancha > questa didascalia non è di Cervantes ma dell’editore>gli editore spesso, per
facilitare i lettori, inserivano queste didascalie che rappresentavano la sintesi del contenuto del
capitolo.
“In un luogo della Mancha, il cui nome non voglio ricordare/specificare, non molto tempo fa viveva
un “hidalgo”(partiamo dalla categoria sociale di appartenenza del personaggio) di quelli che hanno
la lancia nell’armadio (non la usano), lo scudo vecchio/antico, il ronzino magro e un cane da caccia.
[la prima immagine che abbiamo di Don Chisciotte è più sociale che individuale, si offre
un’immagine della categoria sociale di appartenenza] Una pentola, più di vacca che di montone,
salpicon la maggior parte delle sere, uova fritte con dei salumi il sabato, lenticchie il venerdì,
qualche piccione piccolo in aggiunta la domenica, tutto ciò consumava i ¾ delle sue possibilità
economiche”
Cerventes situa immediatamente l’azione in un luogo, però in modo molto vago>non ci dà una
toponimia ben definita e lo fa volutamente. Il secondo indizio che ci dà è il tempo>egli parla di
vicende recenti, di non molto tempo fa, in qualche modo contemporanee o di poco passate al 1605.
Il terzo elemento è chi svolge queste azioni: un hidalgo. Questo riferimento all’hidalgo è importante
perché categorizza immediatamente il personaggio come appartenente ad una classe sociale che egli
definisce. Cervantes specifica subito la classe sociale di appartenenza del protagonista: “de los de
lanza en astillero”>era un hidalgo di quelli che avevano riposto le vecchie armi di famiglia, avevano
una lancia, uno scudo, un ronzino smunto e un cane da caccia (è una categoria
ANACRONISTICA). Successivamente, viene specificata la condizione socioeconomica di questo
hidalgo, attraverso la descrizione di ciò che mangiava. Ci viene detto che il cibo consumava ¾ delle
sue possibilità economiche, del suo patrimonio. Quindi, capiamo che non naviga nell’oro, è un
hidalgo di campagna.
“Il resto del suo patrimonio lo utilizzava per un saio di panno, calze di velluto per i giorni di festa,
con copriscarpe uguali e nei giorni della settimana utilizzava la lana grezza”
Il resto del suo patrimonio lo utilizzava in abiti, che per i lettori dell’epoca avevano una
connotazione socioeconomica molto rilevante.
“In casa aveva una governante che aveva più di quaranta anni e una nipote che non superava i venti,
e un servo che gli serviva sia per le attività del campo che per la città, un po’ per tutto che tanto
sellava il ronzino quanto sapeva usare la potatrice.”
Poi, ci viene illustrato il mondo affettivo di questo hidalgo, il quale viveva con una governante che
aveva più di quaranta anni e una nipote che non superava i venti e aveva un garzone che svolgeva
diverse attività.
“Aveva circa 50 anni il nostro hidalgo. Era di carnagione di complessione severa, rinsecchito, la
volto smunto, grande mattiniero e amico della caccia.”
Ci viene indicata l’età del protagonista, che in una società in cui le aspettative di vita arrivavano ai
30 anni, lui era un anziano. Abbiamo poi una descrizione fisica> la medicina premoderna si basava
su una serie di teorie ippocratiche, la teoria di Ippocrate era la teoria degli umori>secondo questa
teoria, ad influire sulla nostra condizione di salute era il nostro umore prevalente. La parola umore,
che è finita per significare “stato d’animo”, ma l’umore era riferito ad un liquido. La teoria umorale
di Ippocrate vedeva il nostro corpo come l’equilibri tra 4 fluidi, 4 umori> se questi liquidi
prevalevano l’uno sull’altro si verificava uno squilibrio e si finiva per avere delle malattie. Gli
umori erano: malinconico, collerico, sanguigno e flemmatico. Don Chisciotte pare essere di umore
malinconico, ossia un lui prevalgono i liquidi relativi a questo umore che danno anche al suo
aspetto determinante caratteristiche (il suo aspetto freddo, secco, dalla complessione severa).
“Alcuni dicono che aveva il soprannome di Quijada o Quesada, e in questo ci sono delle differenze
tra gli autori che scrivono di questo caso” >Questi autori sono un’invenzione di Cervantes>è
un’invenzione narrativa: Cervantes, fin dall’inizio, finge che la storia di Don Chisciotte sia stata
narrata da più autori, che in molti nella Mancha, soprattutto nella zona di Montiel, siano a
conoscenza dei fatti e che questi fatti si trovino addirittura documentati negli archivi della Mancha.
Presenta il suo personaggio come un personaggio non solo realmente esistito ma anche già narrato,
già letteraturizzato.
“Poco importa al nostro racconto, ciò che importa è che sia inerente alla verità”>anche questa è una
finzione di Cervantes, il quale è perfettamente consapevole del fatto che la storia è di sua
invenzione.
Tutti questi soprannomi (Quijada, Quesada, Quijana) hanno un qualcosa di comico, di grottesco, per
i lettori dell’epoca.
Cervantes compie una continua operazione metafinzionale: problematizza ogni aspetto, già dal
prologo, sulla figura autorale, e adesso con la figura del Chisciotte. (metafinzionale: s’interroga,
mette in discussione, mette a nudo, i meccanismi della normale finzione letteraria). In questa
problematizzazione risiede la modernità del testo.
“Bisogna sapere che questo suddetto hidalgo, nei momenti in cui si trovava ozioso-che erano la
maggior parte dell’anno (perché gli hidalgos non lavoravano)- si dava alla lettura di libri di
cavalleria, con tanta intensità e gusto che dimenticò del tutto l’esercizio della caccia e
dell’amministrazione del suo patrimonio; e la sua curiosità e la sua follia arrivano a tal punto da far
si che lui vendesse molti ettari di terreno (da semina, che poteva essere utilizzato) per comprare libri
di cavalleria, così che portò a casa tutti i libri che poté e di tutti questi libri, nessuno gli sembrava
così ben fatto come quello che compose Feliciano de Silva (l’autore dell’Amadigi di Gaula) perché
la chiarezza della sua prosa e quegli intricati ragionamenti del libro gli sembravano preziose,
soprattutto quando arrivava a leggere quel punto in cui si scambiavano galanterie e lettere di sfida e
soprattutto in quei punti in cui trovava scritto quelle parti in cui sostanzialmente non si
comprendeva nulla.”>Cervantes, legato alla chiarezza rinascimentale, qui critica come sono scritti i
libri di cavalleria, oltre al contenuto ingannevole di questi testi,
“Con questi ragionamenti perdeva il giudizio il povero cavaliere e passava notte insonni a cercare di
comprenderli, che neanche Aristotele avrebbe potuto capirle se fosse resuscitato solo per quello.
Non era d’accordo con le ferite che Belianis dava e riceveva, perché immaginava che, nonostante i
medici che potessero curarlo, non avrebbe smesso di avere il viso e tutto il corpo pieno di cicatrici e
segni.”
Se all’inizio sono due i punti fermi in Don Quijote, ossia la caccia e la lettura, adesso quest’ultima
prende il sopravvento su tutto. Egli arriva a vendere delle terre per comprare libri. Per lui, il libro
più ben scritto era quello di Feliciano de Silva. A furia di leggere libri di cavalleria, Don Chisciotte
perde il senno. Si arrovellava per cercare di capire cosa volessero dire questi libri, i quali sono
intrinsechi di galanterie, sfide, ecc.. ma che allo stesso tempo presentano ragionamenti
incomprensibili. Lo stile è volutamente oscuro, criptico. Non riesce a capire perché Don Belianis,
dopo numerose avventure e scontri, avesse sempre il viso privo di cicatrici.
“Egli s’immerse tanto nella sua lettura, che passava le notti leggendo dal crepuscolo al tramonto; e
così, per il poco dormire ed il molto leggere, gli si seccò il cervello di una maniera tale dal perdere
il senno. Si riempì della fantasia di tutto quello che leggeva nei libri, così di incantesimi come di
litigi, battaglie, sfide, ferite, corteggiamenti, amori, tormente e follie impossibili; e si insediò
nell’immaginazione il pensiero che fosse vera tutta quella macchina/insieme di quelle invenzioni
che leggeva, che per lui non esisteva altra storia più certa, più vera, nel mondo.”
Don Chisciotte non riesce a distinguere la differenza tra realtà e finzione in questi testi, in quali non
sono verosimili, ma sono pura invenzione e non hanno nessuna pretesa di riprodurre la realtà.
Questa confusione tra realtà e finzione lo porterà a perdere la testa. Discuteva animatamente con i
suoi amici, il barbiere e il curato, su chi tra Palmerin e il Cavaliere del Febo fosse il miglior
cavaliere. Ma, questi personaggi erano del tutto inesistenti. Gli si riempì la testa di fantasie, di
quello che leggeva nei libri di cavalleria e iniziò a pensare che tutto ciò fosse reale.
Afferma che il Cid fosse un grande cavaliere, ma che non avesse nulla a che vedere con el
Caballero del Ardiente Espada, un personaggio dell’Amadigi de Grecia. Quest’ultimo è un
personaggio inesistente, mentre il Cid è un eroe di un’epica realista, un personaggio realmente
esistito.
“Quindi, terminato il suo senno, gli sopravvenne il pensiero che nessun altro pazzo al mondo ebbe,
e che fu ciò che gli sembrava necessario, così per l’accrescimento del suo onore e per il servizio del
suo paese: farsi caballero andante e andarsene per tutto il mondo con le sue armi e il cavallo, a
cercar avventure ed fare tutto ciò che aveva letto che i cavalieri erranti facessero, disfacendo i
soprusi e esponendo al pericolo che gli avrebbe poi procurato fama.”
“La prima cosa che fece fu pulire delle armi che erano appartenute ai suoi bisnonni, che prese di
ruggine e piene di muffa, era da secoli che erano riposte e dimenticate in un angolo. Le pulì e le
abbellì come meglio poté; però si rese conto che avevano una grande mancanza, ossia non avevano
la celata ma c’era un semplice morione che non permetteva di chiudere interamente l’armatura.
Decise di costruire con la carta pesta una mezza celata per cercare ci ricostruire tuto e avere una
celata intera.”
“Andò a vedere il suo ronzino, e sebbene avesse più crepe di una vecchia monete e più acciacchi del
cavallo di Gonela, che era solo pelle e ossa, gli parve che né il Bucefalo di Alessandro né Babieca
del Cid potessero eguagliarlo. Passarono 4 giorni nel scegliere che nome dargli; perché-come egli
stesso diceva- non poteva essere che il cavallo di un cavaliere così famoso e così buono non avesse
un nome conosciuto.”
“alla fine lo chiamò “Rocinante”, nome, a suo parere, altisonante e significativo di ciò che era stato
quando era un ronzino, prima di ciò che fosse ora e primo fra tutti i ronzini del mondo. Una volta
messo il nome al suo cavallo, volle metterselo a sé stesso, e questo pensiero durò altri 8 giorno, e
alla fine si venne a chiamare “Don Chisciotte”, dal quale, come si è detto, colsero l’occasione gli
autori di questa storia vera che senza dubbio si doveva chiamare “Quijada”, e no “Quesada”, come
altri volevano dire”
Don> è un titolo celebrativo e indicativo di uno stato sociale di cavaliere.
Quijote> ha un elemento comico che ha a che vedere con il “queso”. Però, rima anche con
“Lanzarote” ossia, Lancillotto, della tradizione cavalleresca. Ma il suffisso -ote è anche un suffisso
che crea un effetto grottesco
“Però, ricordandosi che il valoroso Amadis, non solo si chiamava Amadis semplicemente, ma aveva
aggiunto al suo nome quello del suo regno e della sua patria, per renderla famosa, e si chiamò
“Amadis de Gaula”, così volle, come un buon cavaliere, aggiungere al suo nome quello della sua
patria e chiamarsi “Don Quijote de la Mancha”,
Fino ad ora non aveva ancora assunto il nome di Don Quijote, è ancora Alonso Quijano. Qui
avviene la trasformazione progressiva del Chischiotte. Egli decide di battezzarsi Don Quijote de la
Mancha> un riferimento geografico per i lettori dell’epoca (al contrario della Bretagna che era un
luogo remoto).
A questo punto, l’unica cosa che gli manca è una dama a cui dedicare le sue imprese. Ù
“Oh, come si rallegrò il nostro buon cavaliere una volta fatto questo discorso, e più ancora quando
trovò a chi nominare sua dama! E fu, per ciò che si crede, che in un luogo vicino al suo c’era una
contadina dal bello aspetto, di cui una volta si era innamorato, sebbene si intende, lei non lo seppe
né gliene fece provare (del suo parecer). Si chiamava Aldonza Lorenzo, e D.Q. pensò bene di darle
il titolo di signora dei suoi pensieri, e le cercò un nome differisse molto dal suo e che si avvicinasse
a quello di una principessa e gran signora, così la chiamò “Dulcinea del Toboso” perché veniva da
Toboso: nome, a parer suo, musicale, significativo, come tutte i nomi che aveva assegnato.”
Dulcinea del Toboso>anche questo è un nome comico, per niente altisonante.
Analisi I capitolo
Quando inizia il romanzo, l’eroe ha già 50 anni. Non conosciamo informazioni sull’infanzia e la
giovinezza di Alonso Quijano, ma solo brevi e lapidarie informazioni sulla composizione della sua
famiglia e sulla condizione sociale di piccolissimo possidente terriero, una posizione dignitosa ma
anche al quanto prossima a segni di povertà. Ci vengono descritte le occupazioni rutinarie di Don
Chisciotte, ma non sappiamo cosa abbia fatto nei primi 50 anni della sua vita. Attraverso la lettura,
quasi per epifania, gli appare un modello di vita alternativo: l’erranza avventurosa del cavaliere.
Inizia, quindi, la trasformazione di Alonso Quijano, hidalgo dell’epoca di Filippo II, in un cavaliere
errante. Va sottolineato che però le sue armi sono vecchie, rispolverate dall’armadio e che la celata
è di carta pesta. Questa carta pesta è un materiale che si utilizzava nei travestimenti. Questa
maschera che poi lui si costruisce è tipica delle mascherate e delle feste cavalleresche, non quindi
dei cavalieri autentici. Don Chisciotte si presenta, come evidenzia Francisco Rico, come il
travestimento del cavaliere, come un personaggio carnevalesco, caricaturale.
Nell’epoca di Don Chisciotte la cavalleria aveva subito un forte declino, iniziato già con il
diffondersi delle armi da fuoco, e acuitosi con la formazione di eserciti di professionisti.
Agli albori dell’età moderna, che è quando viene pubblicato il libro (ancora prima), quel che resta
della cavalleria è semplicemente lo sfondo letterario, l’immagine. Paradossalmente, proprio con il
tramontare del mondo cavalleresco reale, si intensificano nel ‘500 e nel ‘600: tornei, confraternite,
giostre… si intensificano quindi dei fenomeni che sono celebrativi della cavalleria e che sono
nostalgia di un mondo però in decadenza. Soprattutto gli hidalgos, la categoria più bassa dei nobili,
provavano a recuperare, attraverso questa immagine del cavaliere errante “il passato come speranza
per il futuro”.
Il cambiamento del nome è significativo perché una forma di iniziazione e di rinascita. IL nome
“Don Quijote de la Mancha” ricalca quello dei cavalieri erranti ma in modo parodico. “la Mancha”
è un riferimento reale rispetto alla geografia evocativa e remota dei romanzi di cavalleria.

II CAPITOLO
Don Quijote decide di “salir al campo”, ossia uscire dal suo villaggio ed andare nel mondo, farsi
cavaliere errante. Intraprende quel viaggio, cammino, che caratterizza il romanzo. (alcuni critici,
anche se erroneamente, lo hanno definito un romanzo picaresco per l’elemento del viaggio e di uno
spazio reale, riconoscibile che va dalla Mancha alla Sierra Morena, a Barcellona. Non ha però altri
elementi fondamentali del genere picaresco: il racconto in prima persona, le condizioni
disastrate.>Non parliamo di un picaro, ma di un uomo di 50 anni. La narrazione, inoltre, inizia in
media res e non parla dell’infanzia del protagonista, che è invece una caratteristica principale del
romanzo picaresco).
Questo spazio reale che vede La Mancha, la Sierra Morena e Barcellona vede quindi 3 uscite e 3
ritorni. Le prime due “salidas” avvengono nella prima parte dell’opera e la terza salida nella
seconda parte.
“Un giorno, prima del sorgere del sole, che era uno dei più caldi del mese di luglio, si armò di tutte
le sue armi, saltò in groppa a Rocinante, messa la sua celata composta, prese lo scudo e la lancia e
per la porta falsa di un cortile uscì al campo, con grandissima contentezza di vedere con quanta
facilità aveva dato avvio al suo desiderio.”
Finalmente si ritrova nel vasto spazio del campo, il quale è, sostanzialmente il mondo. Esce dal
recinto di una vita abitudinaria e anche da un presente di crisi ideale e materiale e si va, non verso
un luogo preciso perché non ha una direzione, ma va liberamente, senza senso. Durante il tragitto,
pensa a come saranno raccontate le sue gesta al “sabio encantador” che raccoglierà la verdadera
historia delle sue gesta.
“Quando uscirà la storia delle mie gesta”> Lui è convinto che qualcuno narrerà la sua storia e
immagina con quali parole verrà raccontata questa sua prima uscita, con parole altisonanti come ha
letto nei libri di cavalleria. È molto contento nell’immaginare come “sabio encantador” che le
racconterà.
S’incammina verso il campo ed è lieto e sereno finché non gli viene in mente una cosa: che non è
stato ancora armato cavaliere e che quindi non può mettersi in nessuna avventura né compiere
legittimamente tutte le imprese che si era proposto di compiere. Decide che si farà armare dal primo
che troverà.
2 sono i luoghi principali del testo: la strada e la locanda. Il primo, è il tipico luogo picaresco.
(pg36) Cervantes dice che diverse sono le opinioni degli autori su quale sia l’ordine delle avventure.
Don Chisciotte vede da lontano una locanda ma, avendo letto troppo romanzi di cavalleria, la
locanda gli sembra un castello e si ferma con Rocinante, in attesa che qualche nano di cui ha letto
nei romanzi, si affacci e li accolga. In realtà, sull’uscio di questa locanda ci sono delle prostitute che
sono di passaggio perché dirette a Siviglia insieme ai dei mulattieri. Queste prostitute vengono
subito scambiate per le castellane e tutto viene trasfigurato attraverso l’immaginario dei romanzi di
cavalleria.
“Stavano per caso sull’uscio due donne belle, di quelle che chiamano prostitute, le quali andavano a
Siviglia con dei mulattieri che si erano fermati lì a riposare; e siccome al nostro avventuriero tutto
ciò che pensava, vedeva, immaginava, gli sembrava simile a ciò che aveva letto, una volta vista la
locanda gli si presentò come un castello con le sue 4 torri e colonne d’argento lucente, non le
mancava il suo ponte levatoio e i fosso, con tutte le altre caratteristiche che tali castelli presentano.
Stava per arrivare alla locanda che a lui sembrava un castello, e a poco tratti/strada da essa che
sciolse le briglie a Rocinante, aspettando che qualche nani desse il segnale con una trombetta,
segnale che il cavaliere stava arrivando al castello.”
“Successe casualmente che un guardiano di porci che si trovava da quelle parti, stava raccogliendo
il suo branco di porci e suonò un corno per dare il segnale ai maiali e questo venne immediatamente
interpretato da Don Chisciotte come il segnale sonoro di un nano che annunciava il suo arrivo. Con
tanta felicità si avvicina a quello che crede un castello e alle dame, le quali come lo videro arrivare,
armato in quel modo anacronistico, muoiono di risate solo al guardarlo.
“Però Don Chiscjotte pensando che fossero spaventate, alzando la visiera di cartone e scomprendo
il suo secco e polveroso viso, con gentile atteggiamento e voce posata gli disse: non fuggiate, non
temiate affronto/offesa alcuna, che l’ordine di cavalleria che professo non tocca né prevede recarne
a nessuno, soprattutto a donzelle come voi”.
Don Chisciotte entra in contatto con el mundo del hampa, cosa che accadrà spesso nel corso del
romanzo. La locanda è proprio uno dei luoghi in cui si congregano questi personaggi.
Don Quijote e le prostitute non riescono a comunicare perché lui gli si rivole con un linguaggio
preciso, ricalcando lo stile dei cavalieri erranti. Le fanciulle non lo capiscono ma, in qualche modo,
iniziano a provare simpatia per lui, lo deridono per il suo aspetto curioso. Arriva il locandiere, il
primo dei tanti che ci saranno nel corso del romanzo. È un locandiere pacifico, grasso,
accomodante, che si dimostrerà molto buono e comprensivo con Don Quijote e la sua follia.
Don Chisciotte lo scambia per il castellano e decide che è la persona adatta per essere armato
cavaliere. Don Quijote gli si rivolge chiamandolo “castillero” e l’oste pensava che fosse un
riferimento alla Castilla, non al castello. Nonostante fosse andaluso, l’oste inizia ad enumerare tutti
i luoghi in cui si era mosso. Ha un passato turbolento, nei peggiori quartieri delle città andaluse, egli
aveva avuto a che fare con el mundo del hampa. L’oste fa accomodare Don Chisciotte e, compreso
che fosse un personaggio curioso, gli fa portare da mangiare>Don Chisciotte è costretto ad essere
imboccato perché non riesce a togliersi la celata che lui stesso si era costruito con la cartapesta ed il
ferro. Una fanciulla si offre per imboccarlo. Non riuscendo a bere, l’oste gli procura una cannuccia
(questa scena richiama la scena in cui Lazaro, con una cannuccia, beve il vino del cieco).
III CAPITOLO
Don Chisciotte chiede di essere armato cavaliere e viene presentato un rituale necessario per armare
i cavalieri. Nelle “7 Partidas” di Alfonso X, erano state codificate le modalità attraverso le quali si
diventava cavaliere errante. I romanzi di cavalleria avevano stabilito altre prescrizioni riguardo a
questa procedura.>tra cui quella di vegliare le armi in una cappella e pregare, contemplando il corpo
di Cristo (come fa Amadigi). C’è quindi una fusione tra la figura storica del cavaliere e quella che
viene fuori dai romanzi di cavalleria. Cervante si prende gioco di questi precetti e della cavalleria
errante perché fa armare Don Quijote da un locandiere, con un passato da imbroglione, e non da un
altro cavaliere o da un castellano, com’era abitudine. Inoltre, Cervantes lo costringe ad accettare un
rito abbreviato proposto dal locandiere>veglia le armi nel cortile, e non in una cappella, e alla fine
ci sarà un’investitura veloce per evitare che Don Chisciotte combini guai maggiori di quelli che ha
già combinato, aggredendo dei mulattieri che si erano avvicinati semplicemente per abbeverare le
loro bestie. L’investitura, poi, avviene con l’ausilio delle prostitute che lui scambia per castellane, e
utilizzando Non il libro sacro che compariva nei romanzi di cavalleria, ma un quaderno su cui l’oste
indicava le razioni di paglia e di piada.
Dopo aver ringraziato l’oste per l’ospitalità, Don Quijote s’inginocchia e gli chiede di essere
armato. Il locandiere decide di assecondarlo, gli conferma che il suo desiderio era fondato e gli dice
che egli stesso si era dato a questo esercizio onorevole, negli anni della sua giovinezza (ma in realtà,
il locandiere non era stato altro che un picaro, un imbroglione). “ligereza de sus pies”>darsi alla
fuga dopo aver truffato, “sutileza de sus manos”>probabilmente aveva rubato. “recogiendo en el a
tdos los caballeros andantes”>in realtà erano picari, prostitute, perché il luogo della locanda
accoglie proprio queste categorie di persone. Don Quijote non comprende l’ambiguità delle parole
del locandiere e, quindi, crede di trovarsi al cospetto di un grande cavaliere. Per raggiungere un
accordo, l’oste gli offre la possibilità di vegliare le armi nel cortile e lui accetta. Il locandiere chiese
a Don Chisciotte se avesse soldi e quando quest’ultimo gli rispose che i cavalieri erranti non ne
avevano bisogno, lui gli disse che si sbagliava. Don Quijote scopre, attraverso l’oste, di avere la
necessità di portare con sé soldi, camicie, unguenti nel caso si ferisse. Don Chisciotte sistema le
armi nel cortile, vicino a un pozzo, e comincia a vegliarle. Tutti osservano la scena e sono divertiti
al pensiero di questa cerimonia d’investitura che dovrà svolgersi. Due mulattieri si avvicinano al
posso per abbeverare le loro bestie e Don Chisciotte li picchia perché crede che vogliano impedirgli
la veglia delle armi. L’oste, che era un uomo astuto, per timore che potesse accadere qualcosa di più
grave, decide che non è necessario far passare tutta la notte e che lo può armare prima del previsto,
per evitare che combini altri guai. Con una formula inventata, che Don Chisciotte non mette in
alcun modo in discussione, si passa alla sua investitura.
Con l’utilizzo di un’agenda, tre colpi sul collo, l’oste arma Don Chisciotte tra le risate generali, con
questo rituale anomale e soprattutto falso. La cerimonia non è valida perché: viene armato da un
falso cavaliere, secondo delle modalità inesistenti e infine, viene armato per scherzo. In più, i pazzi
come lui non potevano neppure essere armati.
La locanda è un luogo fondamentale del romanzo. Questa prima locanda è la locanda
dell’investitura. Questo luogo è importante per l’economia dell’opera perché crea dei parallelismi
con il romanzo picaresco. Anche Guzman, nella sua prima avventura, si imbatte in una locanda. In
più, era un luogo d’iniziazione della picaresca, non della cavalleria. In questa locanda confluiscono
personaggi infimi. È proprio come se Cervantes stesse comparando due mondi e codici>il mondo
picaresco e quello della cavalleria generando un conflitto linguistico e ideologico (com nel dialogo
con la prostituta) tra questi mondi.
Tutta l’opera è un’opera di metaletteratura (parla di letteratura) perché dialoga costantemente con
vari generi letterari. È un’opera di metascrittura anche, perché ha a disposizione due codici (ossia le
due tradizioni letterarie, quella della picaresca e della cavalleria) che egli riscrive, rielabora. Don
Chisciotte adotta gli atteggiamenti e il linguaggio del romanzo cavalleresco. La veglia delle armi è
un topos del romanzo cavalleresco che, nel Quijote viene ripreso e stravolto, ne dà una lettura
parodica, lo ridicolizza. Della novela picaresca, invece, riprende i personaggi appartenenti al mundo
del hampa.
Nel capitolo XV avremo un’altra locanda, la locanda di Palomenque.
Anche nella seconda parte ci sono delle locande: nel capitolo XXV, nell’episodio di Maese Pedro,
nella locanda assistiamo ad uno spettacolo teatrale, ossia “El Retablo de Maese Pedro”, che
rappresenta una storia di materia cavalleresca che scatena la furia di Don Chisciotte, il quale, senza
rendersi conto che si trattasse di uno spettacolo teatrale, si scaglia contro le marionette>confonde
realtà e finzione.
Sempre nella seconda parte, nel capitolo 72, all’interno di una locanda Don Chisciotte incontra un
personaggio molto curioso>Don Alvaro Tarfe>la storia di questo personaggio è molto curiosa e ci
dà l’idea del gioco metaletterario che Cervantes intesse. È un personaggio che compare nel Don
Chisciotte apocrifo. Cervantes lo fa comparire nella sua seconda parte e lo fa incontrare con Don
Chisciotte>i due si incontrano in una locanda e lo obbliga a giurare che l’unico vero don Chisciotte
è lui.> attraverso l’utilizzo di un personaggio preso dall’opera apocrifa, Cervantes afferma la
paternità dell’opera. (METALETTERARIETA) M
IV CAPITOLO
Contiene la prima avventura. Don Chisciotte incontra un giovane, Andres, che viene punito,
picchiato e legato a un albero da suo padrone che è un contadino. Dato che la sua missione è quella
di aiutare i deboli, Don Chisciotte intima il contadino di liberare Andres. Sorge una discussione e il
contadino, intimorito, finge di perdonare e liberare Andres ma, appena Don Chisciotte se ne va, lo
picchia più forte di prima. Don Chisciotte, ignaro di tutto e soddisfatto per aver aiutato un debole,
continua il suo cammino. Più avanti, si imbatte in dei mercanti toledani ai quali intima di
riconoscere la bellezza di Dulcinea. Loro non sanno chi sia e vorrebbero vederne almeno un ritratto.
Nasce una discussione, Don Chisciotte si arrabbia e si scaglia contro di loro. Però, cade da cavallo,
viene picchiato e lasciato a terra tutto malconcio.
V CAPITOLO
Don Chisciotte, malconcio, pensa a come rimettersi in sesto e gli vengono in mente le gesta dei libri
di cavalleria ed inizia a recitare un romance. Mentre sta recitando il romance, passa di lì un suo
vicino di casa, di ritorno dal mulino che lo vede in difficoltà, lo soccorre e lo porta a casa.
A casa, trova la governante, la nipote, il barbiere e il curato, i quali erano preoccupati perché Don
Chisciotte non tornava a casa da 3 giorni. La nipote, soprattutto, si lamenta del fatto che Don
Quijote sia impazzito a furia di leggere libri di cavalleria, i quali definisce “libri scomunicati,
peccaminosi”. A quel punto, anche il contadino si rende conto di quello che era successo e Don
Chisciotte viene messo a letto per farlo riposare.
VI CAPITOLO
Don Chisciotte sta dormendo e il barbiere ed il curato, approfittando di questo momento, di
accingono a fare un’ispezione della sua biblioteca, dei libri colpevoli della sua pazzia e della sua
trasformazione. I primi libri che trovano sono i 4 volumi dell’Amadis de Gaula, il romanzo di
cavalleria per eccellenza, scritto da Rodriguez de Montalvo e pubblicato nel 1508. Viene fatto un
vero e proprio processo ai libri di Don Chisciotte, alcuni vengono considerato colpevole ed altri
vengono salvati.
Il primo libro esaminato è l’Amadis. Il parroco vorrebbe subito condannarlo per essere stato il
primo a diffondere i libri di cavalleria, per essere stato colui che ha dato inizio ad una setta così
pericolosa. Invece, il barbiere si rifiuta perché dice che l’Amadis è il libro migliore di questo genere
e che deve essere salvato (come infatti accade>Sono 4 i volumi, il primo viene salvato e gli altri tre
vengono gettati nel cortile e bruciati).
Si continua con lo scrutinio di questi testi. A seguire, abbiamo Las sergas de Esplandian.
Esplandian era il figlio di Amadigi. Il parroco dice: “Non per il padre salveremo il figlio”. Quindi,
questo libro viene condannato ad essere distrutto. Seguono altri libri, tra cui l’Amadis de Grecia
(1530) di Feliciano de Silva. Più avanti, troviamo Espejo de caballerias, un adattamento in prosa
dell’Orlando innamorato di Matteo Boiardo del 1585. A seguire, viene condannato il Palmerin de
Oliva e viene risparmiato il Palmerin de Inglaterra, del quale si diceva fosse stato composto dal re
del Portogallo. Allo stesso modo, vengono salvati anche il Belianis de Grecia ed il Tirante Blanco,
romanzo cavalleresco scritto in valenciano e pubblicato nel 1490. Viene difesa anche La Diana di
Jorge Montemayor, che è una novela pastoril, non fa parte quindi dei libri di cavalleria ma la
ritroviamo nella biblioteca di don Chisciotte. A proposito di questo libro, il barbiere ed il curato
dicono che contiene sono alcune scene censurabili e per il resto va salvato perché si tratto di un
genere che non produce danni.
A seguire, abbiamo la Galatea di Miguel de Cervantes. Nella biblioteca di Don Chisciotte,
Cervantes inserisce anche il suo primo libro che è una novela pastoril, pubblicata agli esordi della
sua carriera e di cui aveva promesso una seconda parte.
“La Galatea di Miguel de Cervantes, disse il barbiere. / Il cura:-Da molti anni lo conosco ed è un
grande amico mio questo Cervantes e so che è più bravo a combinare guai che a scrivere versi. Il
suo libro Il suo libro ha un’idea buona: propone qualcosa e non conclude nulla; è dovere aspettare la
seconda parte che promette chissà con la correzione raggiungerà la misericordia che adesso gli si
niega; e nel frattempo che ciò si vede, tenetelo custodito nella vostra pensione, signor compadre.”
Non solo tutto il capito è impregnato di metaletteratura, ma Cervantes arriva a citare sé stesso,
aggiungendo un suo libro. Emerge la figura di un Cervantes disgraziato, pieno di guai e povero. È
un’immagine che Cervantes stesso veicola, ma che non dobbiamo prendere alla lettera, la situazione
è molto più complessa. Nel corso della sua vita, Cervantes si è sempre dipinto come uno sfortunato
perché voleva diventare poeta ma non ebbe successo, voleva sfondare a teatro ma le sue opere non
venivano rappresentate. Soffriva un po’ del complesso del reduce, era stato in guerra ma nessuno lo
aveva ricompensato. In parte è vero, ma d’altra parte si tratta di finzione, di
un’autorappresentazione dell’autore.
Per quanto riguarda la Galatea, il barbiere ed il curato decidono di sospendere il giudizio, in attesa
della seconda parte dell’opera che Cervantes aveva promesso ma non conclude niente. Quindi, il
primo giudizio mordente del suo romanzo lo dà Cervantes stesso perché le due figure non sono altro
che strumenti attraverso i quali Cervantes fa una critica di questi libri.
Il capitolo VI è un capitolo divertente e utile all’economia del romanzo Fondamentalmente,
possiamo trarre due conclusioni:
1) Cervantes mostra di conoscere benissimo la letteratura cavalleresca, dalle origini fino ai suoi
giorni, ed ha ben presenti i testi da parodiare, Conosce molto bene anche la picaresca. Il
fatto che Cervantes conosca così bene la letteratura cavalleresca, dimostra quanto la sua
condanna sia fondata. Vale a dire che non li condanna a caso, li conosce, li ha letti e li cita.
2) Questo capitolo, soprattutto con il riferimento alla Galatea, è un capitolo in cui è evidente il
gioco metaletterario di Cervantes, il quale parla continuamente di letteratura mentre fa
letteratura.
3) Cervantes, inoltre, gioca con il piano finzione/realtà.
VII CAPITOLO
Don Chisciotte si sveglia e non trova più i suoi libri perché sono stati bruciati. Ma lui questo non lo
sa perché gli viene fatto credere, utilizzando un codice che lui conosce, che è arrivato un incantatore
che se li è portati via su una nube. Don Chisciotte, siccome si è convinto di essere perseguitato da
un incantatore, ci crede, crede che sia stato il suo nemico, il “Sabio Encantador”. Nel corso del
romanzo, alcune volte si riferisce con lo stesso sintagma di “Sabio Encantador” a chi
riporta/riferisce le sue gesta ma, in questo caso, si tratta proprio di uno di quegli incantatori dei
romanzi di cavalleria.
Don Chisciotte trascorre 15 giorni a riposo in casa sua, dialogando con i presenti senza dare tanti
segni di squilibrio. Ma, in realtà, sta già covando un piano. Durante questi 15 giorni fa chiamare un
contadino, un suo vicino, di nomo Sancho Panza, un uomo per bene ma con poco sale in zucca.
“In questo tempo Don Chisciotte fece venire un contadino, un vicino suo, un uomo per bene
(hombre de bien)-se è questo il titolo che si può dare a colui che è povero-con poco sale in zucca.
Alla fine, tanto gli disse, tanto lo persuase e gli promise, che il povero contadino si convinse ad
andare con lui e a fargli da scudiero. (qui si crea la coppia) Tra le altre cose, Don Chisciotte gli
disse di andare con lui di buona volontà/voglia, perché un qualche momento gli poteva accadere
un’avventura che gli facesse vincere/ottenere un’isola e gliela lasciasse governare (Nella seconda
parte, Sancho arriverà ad essere il governatore di un’isola). Con queste promesse ed altre simili,
Sancho Panza, che così si chiamava il contadino, lasciò sua moglie e i figli e diventò lo scudiero del
suo vicino.”
Sancho Panza decide di utilizzare come mezzo di locomozione un asino. Don Chisciotte cerca di
ricordare se in qualche libro di cavalleria fosse accaduto mai che uno scudiero si spostasse su di un
asino, senza però trovare un precedente. Don Chisciotte è costretto però ad accettare la proposta ma
con la promessa che al primo cavaliere che avrebbero sconfitto gli avrebbero sottratto il cavallo.
Come consigliato dal locandiere, si preparò per questa nuova uscita, fornendosi di camicie e altre
cose necessarie. I due si incamminano di notte, senza essere visti da nessuno.
Don Chisciotte, secondo la medicina ippocratica, aveva la complessione del malinconico. Sancho,
invece, era uno di complessione sanguigna, era grassoccio, basso, sempre affamato, ha spesso sonno
e ride molto, tanto da far ridere anche Don Chisciotte (mentre don Chisciotte si dimentica di
mangiare e dormire perché vive nel suo mondo, Sancho è ancora ancorato alla realtà e ha quindi
fame, sonno, freddo). In più, Sancho è l’unico degli elementi fondamentali della storia che non
cambia nome. È un personaggio che, per certi versi, rimane fedele a sé stesso. Anche se è una cosa
anomala nel mondo cavalleresco, lui cavalca un asino che non ha un nome, al contrario di
Rocinante. La sua lingua, rispetto a quella di don Chisciotte (che imita lo stile cavalleresco), è una
lingua viva, carica di realtà, utilizza molti proverbi che, nel corso del romanzo, si infittiscono e che
esprimono la saggezza popolare e il buonsenso che Sancho stesso incarna.
Nel corso del romanzo, rivendica spesso di essere cristiano viejo anche senza sapere bene cosa
significhi perché è ignorante, è un contadino.
Oltre a desiderare il governo di un’isola, Sancho chiede un salario.
Da questa opposizione tra Don Chisciotte e Sancho, sembra quasi che don Chisciotte incarni
l’idealismo e Sancho il materialismo, ma questa opposizione non è così netta.
Sancho è un personaggio complesso. Viene definito “hombre de bien”, ossia una persona per bene,
“compasivo escudiero”, “amigo y guia”, “discreto”, “de corto entendimiento”, “grande hablador”,
“cobarde” ma, allo stesso tempo, “escudiero fiel”. Don Chisciotte, nel corso del romanzo, a volte lo
chiama “hermano” o “hermano Panza”, altre volte però prende le distanze da Sancho e gli ricorda la
distanza che deve necessariamente mantenere quando parla con lui.
C’è questa opposizione un po’ binaria tra il buonsenso di Sancho e la visionarietà di Don Chisciotte
che però non è netta, così come non è netto il rapporto servo-padrone>Sancho, a volte, diventa
amico ed è proprio quando diventa troppo amico che don Chisciotte prende le distanze,
ricordandogli che lui è il padrone.
Nel corso del romanzo, questa distinzione tra buonsenso/visionarietà e idealismo/materialismo si
evolve tanto che assistiamo ad una chisciottizzazione di Sancho e a una sancizzazione di Don
Chisicotte, è come se i due vivessero una parabola inversa.>Bodini parla di un’evoluzione, in senso
contrario della loro parabola>alla fine dell’opera Don Chisciotte rinsavisce. Don Chisciotte, nella
prima parte, ha avuto questo inizio molto visionario però, nella seconda parte, sembra recuperare un
certo senso della realtà. Tra i due personaggi nasce una vera e propria solidarietà, un’amicizia che si
consolida nel corso del romanzo.
Per quanto riguardo Sancho, si è parlato spesso di “personaggio inaspettato”, cioè di vera e propria
scoperta, perché Don Chisciotte era un personaggio presente sin dall’inizio ed era solo, Cervantes
ha deciso solo dopo di creare inaspettatamente Sancho, il quale ha rivelato inaspettatamente la sua
potenza perché dovrebbe essere un semplice scudiero ma, in realtà, è un co-protagonista.
Tra l’altro, Sancho è un uomo libero. Pur essendo ignorante, umile e pur desiderando diventare
governatore di un’isola, quando questa possibilità gli verrà offerta (per scherzo), lascerà l’isola
rivendicando la sua libertà, le sue origini e il suo posto nel mondo.
VIII CAPITOLO
È la prima avventura che Don Chisciotte e Sancho Panza vivono insieme.
Don Chisciotte scambia dei mulini a vento per dei giganti. Quando si rende conto dell’errore, dà la
colpa all’incantatore Freston e diche che è stato lui a trasformare i giganti in mulini a vento.
Don Chisciotte si rivolge a Sancho dicendo che devono ritenersi fortunati per aver già trovato
un’avventura e dei nemici, i giganti. Sancho lo avverte del fatto che si tratta solo di mulini ma Don
Chisciotte, ignorandolo, si lancia all’attacco. In quello stesso istante, una folata di vento fa muovere
le pale del mulino, la lancia di Don Chisciotte si incastra tra queste e lui viene scaraventato a terra.
Sancho lo soccorre e gli dice che lui lo aveva avvertito del fatto che fossero mulini a vento, solo un
uomo che i mulini a vento li aveva in testa poteva non accorgersene. Don Chisciotte gli dice di stare
zitto perché le cose della guerra sono soggette a continui mutamenti e dice di essere sicuro che il
mago Freston avesse trasformato i giganti mulini per togliergli la soddisfazione della vittoria e della
gloria. Don Chisciotte dice che non può lamentarsi perché ciò non è consentito nelle norme dei
cavalieri e Sancho gli chiede se questa regola vale anche per gli scudieri perché, in caso si fosse
fatto male, lui avrebbe voluto lamentarsi. Don Chisciotte, dopo aver riso molto, gli accorda il
permesso di lamentarsi quando e come gli pare perché, per quanto riguarda gli scudieri, non aveva
letto nulla in contrario nei libri di cavalleria. Poi, Sancho gli fa presente che è l’ora di mangiare.
Don Chisciotte, invece, si alimenta di memorie, di ciò che ha letto nei libri di cavalleria.
Passano la notte in una foresta, proprio come facevano i cavalieri erranti. Sancho dorme
liberamente, mentre Don Chisciotte passa notte insonne, pensando a Dulcinea (nei libri di cavalleria
era solito per i cavalieri passare la notte a pensare alla propria dama) e, al mattino seguente, decide
di non fare colazione, essendosi cibato delle sue memorie durante la notte. Successivamente, i due
si rimettono in cammino e incontrano un gruppo di frati che precedono una carrozza, all’interno
della quale c’è una signora biscaglina che è diretta verso Siviglia. Don Chisciotte crede che sia una
principessa rapita e chiede a quanti la accompagnino di liberarla. Don Chisciotte picchia i due frati
e poi esige che la dama riconosca la bellezza di Dulcinea. Uno scudiero he accompagna la dama
interviene e nasce un duello. (Mentre Don Chisciotte crede di star duellando per liberare la
principessa, in realtà la signora prega affinché non accada nulla) Ad un certo punto, la narrazione si
interrompe d’improvviso. Siamo difronte ad un’altra strategia metafinzionale di Cervantes, il
quale finge che la storia che ha raccontato fino ad ora, la stia leggendo da un autore (non si sa bene
chi è). Questo autore, comunque, ad un certo punto si ferma e la storia finisce qua. Cervantes,
quindi, dice di non sapere altro, di non aver letto più niente a riguardo. Così, la narrazione si
interrompe. Cervantes finge di avere davanti un manoscritto incompleto e che questa storia che lui
sta scrivendo si interrompa in questo punto. Il capitolo VIII rimane quindi sospeso.
Capiamo, adesso esplicitamente, che c’è un primo autore dell’opera. “El segundo autor” è
Cervantes stesso.
IX CAPITOLO
Cervantes inizia a spiegare come ha posto rimedio al fatto che la storia, la fonte da cui attinge, si sia
esaurita. Dice che è un peccato che questa così interessante sia finita e che gli sembra impossibile
che nessun altro historiador se ne sia interessato. Cervantes racconta che un giorno, mentre si
trovava in un mercato di Toledo, arriva un ragazzo che voleva vendere delle vecchie carte a un
mercante d seta, e siccome Cervantes era appassionato di letteratura, era molto curioso di sapere
cosa ci fosse scritto e riconosce dei caratteri arabi. Così Cervantes chiese ad un morisco che parlava
castigliano di leggergliele. Lo trovò subito perché, all’epoca, Toledo era una città multiculturale.
Questo ragazzo traduce una frase che conteneva un riferimento a Dulcinea e Cervantes capisce che
quelle carte contengono la continuazione della storia di Don Chisciotte. La frase tradotta contiene la
vera descrizione di Dulcinea, rappresentata come una contadina, “aveva la migliore mano a salare i
maiali”, e non come la dama idealizzata da don Chisciotte (la frase era una annotazione, al
margine). Il narratore, quindi, compra questi fogli, nei quali trova anche il titolo dell’opera che fino
a quel momento non conosceva. Il titolo è: “Historia de Don Quijote de la Mancha escrita por Cide
Hamete Benengeli, historiador arabico”. > Cervantes ha inventato otro autor dell’opera che è Cide
Hamete Benengeli>è un’invenzione totale di Cervantes. La storia del manoscritto tradotto è un
espediente narrativo, quello del manoscritto ritrovato, in questo caso presso il mercato di Toledo, e
che viene attribuito a Cide Hamete Benengeli. A partire da questo ritrovamento, quindi dal capitolo
IX, Cervantes finge di raccontare la storia seguendo la traduzione dall’arabo del testo di Cide
Hamete Benengeli.
Benengeli è, a sua volta, un nome che rimanda alla “berengena”, alla melanzana (riferito forse al
“moro”) e per i lettori dell’epoca non suona come il nome di una persona affidabile. Inoltre, gli
arabi avevano fama di essere dei bugiardi>più volte nel corso del romanzo, Cervantes finge di non
essere sicuro del tutto di questa versione dei fatti perché la storia è raccontata da un arabo e gli arabi
sono bugiardi. Cervantes dice che non si possono muovere obbiezioni alla veridicità di questa storia
perché a raccontarla è appunto un arabo e gli arabi sono bugiardi. Quindi, lui non si sforza per
rendere affidabile questa fonte araba che si è inventato, anzi delegittima l’autore arabo che è la sua
fonte.
Il narratore decide di portare il traduttore a casa e, in poco più di un mese, si fa tradurre tutta la
storia. Cosi, può continuare la storia da dove l’aveva interrotta, cioè dalla battaglia con il biscaglino.
Cervantes sembra interessato alla problematizzazione del processo di scrittura in tutti i suoi
elementi. In questo processo di problematizzazione rientra anche questa presentazione del narratore
e dell’autore come problema.
Una delle prime cose che vede nel testo sono i personaggi perché questo testo contiene delle
illustrazioni che raffigurano Ronzinante e Sancho Panza, che fino ad ora non era stato ancora
descritto, viene fatto solo ora. Ci viene descritto come basso, con la pancia grande e, secondo lui, è
da questo che deriva il nome di Sancho Panza. Dopo questa digressione, riprende la storia da dove
l’aveva lasciata.
[Il libro è un romanzo vita/mondo>come un fluire, come un insieme di cose che accadono nel corso
della vita di ognuno di noi.>questo è uno dei grandi elementi di modernità (che nasce
dall’ambiguità e dalla relatività) è un romanzo che dialoga con il romanzo, che dialoga con il genere
romanzesco, è un romanzo compendio di generi. È un romanzo che rifiuta il meraviglioso e
l’inverosimile>c’è una Spagna, una realtà che si incontra lungo la strada, nelle locande. Inoltre, è un
romanzo che rifiuta un narratore unico come garante della narrazione. Qui nessuno garantisce la
storia e gli elementi del libro]
XV CAPITOLO
Ci troviamo nella locanda di Palomenque, la seconda locanda dell’opera. È il luogo in cui
confluiscono una serie di avventure e personaggi. Anche questa locanda è confusa con un castello
ed è presente intermittentemente in tutta la prima parte del romanzo. La locanda di Palomenque si
trova nei pressi della Sierra Morena, a due giorni di cammino da dove vive Don Chisciotte e la
permanenza dell’eroe in questa locanda avviene in due momenti: la prima volta, ossia tra il capitolo
XVI e XVII, Cervantes ci racconta quel che accade nel corso di una notte piena di equivoci, in cui
Don Chisciotte scambia la locandiera Maritormes per una dama del castello e, per errore, di notte la
accoglie tra le sue braccia, scatenando la reazione del carrettiere con cui aveva una tresca. Don
Chisciotte ne esce ancora una volta malconcio anche se, attraverso un intruglio, riprende vigore.
Anche Sancho prova questo intruglio ma si sente male. Il giorno dopo, i due cercano di andar via
senza pagare (il classico “hacer un sinpa”>sin pagar) perché Don Chisciotte crede di trovarsi in un
castello e Sancho rifiuta di essere lui a rimetterci. I due escono e vanno incontro ad altre avventure,
accumulandone altre, dove Don Chisciotte si avvicina alla Sierra Morena per fare penitenza come
fece Amadigi quando venne rifiutato dalla sua dama Oriana. Siccome lo aveva fatto Amadigi, lo
doveva fare anche lui.
Il secondo momento all’interno della locanda è dal capitolo XXXI al XLVI (31-46).>Questo
intervallo di capitoli copre in realtà 2 giorni, che sono però densissimi di avvenimenti. La locanda è
piena di personaggi: ci sono 6 viaggiatori, all’inizio, che si intrattengono a parlare di libri e di
letteratura e in questo contesto viene letta la novella di Cervantes: El Curioso Impertinente.>
risponde all’idea della “mise en abyme”, cioè della cornice (così come nel Decameron e delle Mille
e una notte). Tuttavia, la lettura viene interrotta da Don Chisciotte che confonde degli otri di vino
con dei giganti.
Dopo varie vicissitudini, arrivano nella locanda altri personaggi: Fernando, Dorotea e Lucinda, A
questo punto Lucinda racconta la propria storia d’amore con Cardenio. Arriva poi un capitano che
inizia a raccontare la propria esperienza di prigioniero ad Algeri.
La locanda è quindi il luogo in cui confluiscono vari personaggi che sono, di volta in volta, attori o
spettatori di storie diverse.
I personaggi della locanda sono: Don Fernando, dame di vario tipo tra cui anche una mora
(Zoraida), servi, un prete, un capitano, due barbieri, mozos della picaresca, etc. è il luogo che
raccogli i maggiori elementi della tradizione realista e costumbrista.
Alla fine, con uno stratagemma si riesce a portare Don Chisciotte a casa>così finisce la prima parte.
SEGUNDA PARTE DEL QUIJOTE
Avellaneda pubblica una seconda parte apocrifa dell’opera e Cervantes si vede costretto a scrivere
una continuazione, nel 1615 viene pubblicata a Madrid da Juan de Cuesta.
Come nella prima parte, c’è il paratesto: la tasa, la aprobacion (che doveva garantire che nel testo
non ci fosse nessun elemento contrario ai costumi e che fosse una storia con l’obbiettivo di
insegnare e non di offendere), il privilegio, il prologo e la dedica al conde de Lemos.
La seconda parte è un testo ancor più complesso della prima parte perché è un testo che mantiene
relazioni intertestuali, di dialogo intertestuale, sia con la prima parte che col testo apocrifo di
Avellaneda.
Prologo
Il prologo si apre con un’invettiva contro l’autore del Don Chisciotte apocrifo, colpevole non tanto
di avergli rubato la storia ma soprattutto di averlo definito “viejo” y “manco”. Cervantes coglie
l’occasione per ricordare che le sue non sono ferite da taverna ma colpi ricevuti durante il servizio a
difesa della patria. A seguire, Cervantes attacca la viltà dell’avversario il quale non si presenta col
proprio nome ma si nasconde dietro uno pseudonimo e nasconde la sua origine come se avesse
qualcosa da occultare. Non sappiamo chi è realmente Avellaneda, sono state fatte molte ipotesi (tra
cui Lope de Vega) ma nessuna di queste ha portato ad una tesi confermata.
Tra le varie cose, ad Avellaneda viene recriminato il fatto di aver definito Cervantes invidioso e
ignorante. L’autore, nel prologo, dice di voler contenere le sue dimostranze verso Avellaneda (che,
però, non viene mai nominato come tale) e dice che non gli interessa affatto la perdita economica
che gli ha causato rubandogli l’opera perché è protetto da un uomo illustrissimo, il Duque de Lemos
(captatio benevolentiae). Nella prima parte, l’opera era dedicata al Duque de Bejar e questa
protezione era stata curata dall’editore, mentre stavolta è proprio Cervantes che si affida al Duque
de Lemos e gli dedica l’opera.
Cervantes chiude il prologo affermando che l’autoria del Don Chisciotte è solo sua e questo
secondo Don Chisciotte è confezionato con la stessa stoffa, lo stesso taglio e la stessa mano di colui
che ha prodotto il primo. Ci sono delle nuove avventure e c’è un Chisciotte morto e sepolto. È un
espediente perché nessuno torni ad utilizzarlo per scrivere altre avventure. Cervantes morirà pochi
mesi dopo la pubblicazione di questa seconda parte. Sostanzialmente, si vuole garantire che nessuno
faccia da continuatore apocrifo delle avventure del cavaliere errante. Facendolo morire. Alla fine
del prologo, Cervante promette due opere:
-“Los trabajos de Persiles y Sigismunda” che uscirà postumo nel 1617
-La famosa seconda parte della “Galatea” che non è mai uscita.
CAPITOLO I E II
Don Chisciotte è in convalescenza, è passato un mese dal suo ritorno a casa. Siamo difronte alla
tercera salida. Don Chisciotte discute pacificamente con il barbiere e il curato di vari argomenti, tra
cui i libri di cavalleria. Non è del tutto guarito, ma continua a confondere realtà e finzione. Crede
ancora che le storie che ha letto nei libri di cavalleria siano la realtà, è convinto che i cavalieri
erranti siano davvero esistiti e soprattutto Amadigi, il capostipite, sia realmente esistito e di averlo
conosciuto.
Il curato dice che non può credere che i personaggi dei libri siano reali e che sono stati creati da
persone sveglie (perché ci hanno lucrato) o addormentate (perché li hanno sognati). Invece, Don
Chisciotte è convinto che siano persone in carne ed ossa.
Si sente un rumore, c’è una zuffa e si tratta di Sancho che vuole entrare a vedere il suo padrone.
Sancho lo informa che circolano già delle voci di loro due come personaggi di un romanzo, cioè che
le storie di cui sono stati protagonisti hanno avuto successo e Sancho gli riporta le opinioni della
gente. La metafinzione pervade tutta l’opera e qui la riscontriamo nel fatto che Don Chisciotte e
Sancho sanno di essere personaggi di un romano di successo, sanno che c’è qualcuno che racconta
le loro gesta. Nella prima parte, l’intertestualità è tra il romanzo e i romanzi di cavalleria, il
romanzo picaresco, la novela morisca e la costruzione de romanzo, ma nella seconda parte questa
cosa diventa più complessa perché oltre agli elementi già citati, c’è intertestualità anche con la
prima parte perché i personaggi sanno che è stata pubblicata una prima parte delle loro avventure e
dialoga con il testo di Avellaneda.
Il prologo, il capitolo 59 e il capitolo72 sviluppano, in particolare, un dialogo intertestuale con il
Don Chisciotte apocrifo di Avellaneda.
Nel capitolo 59, Don Chisciotte si ferma in una locanda e viene a sapere che Avellaneda, nella
versione apocrifa, ha mandato lui e Sancho a Zaragoza. Lui era diretto proprio a Zaragoza ma, per
dispetto ad Avellaneda, decide di andare a Barcellona per ribadire che il vero Don Chisciotte è lui
che decide dove andare. Nel capitolo 72, mentre stanno tornando a casa, Don Chisciotte e Sancho
incontrano Alvaro Torpe, un personaggio del Quijote di Avellaneda. Don Chisciotte lo obbliga a
dichiarare che il vero Don Chisciotte è lui e non quello di Avellaneda. Nella seconda parte Don
Chisciotte non deve misurarsi più solo con il personaggio del romanzo di cavalleria (Amadigi,
Palmerin), con i modelli, ma ormai è anche uno di quei personaggi, e quindi, deve misurarsi con sé
stesso come modello, deve essere all’altezza di sé stesso.
Borges l’ha definito il testo principale della letteratura occidentale, è un classico ed è un romanzo
globale perché abbraccia un’ampia varietà di temi.
I capitoli dall’1 al 4 sono i capitoli che precedono la tercera salida, la più ampia geograficamente.
Prima della salida, in questi capitoli abbiamo una serie di riferimenti alla ricezione del pubblico
della prima parte dell’opera. Nel dialogo con Sancho e, più avanti, con el bachiller Sanson
Carrasco, abbiamo una serie di valutazioni/opinioni riportate.
Il primo oggetto di interesse è stato proprio Don Chisciotte, il quale è stato definito pazzo,
impertinente e scortese. Inoltra, è stato rimproverato per aver inserito nel suo nome il “Don”,
essendo un semplice hidalgo e non un cavaliere. Più avanti, Sancho annuncia che è arrivato a
Salamanca il figlio di Bartolomé Carrasco, ovvero Sanson Carrasco, il quale porta la notizia che le
avventure di Don Chisciotte sono già finite in un libro, “El ingenioso hidalgo Don Quijote de la
Mancha”, che altro non è che il libro che sta scrivendo Cervantes, fa parte di questo gioco di
rifrazioni. Don Chisciotte si incuriosisce e chiede di parlare con Sanson Carrasco. Sancho dice che
nella storia che viene raccontata in questo libro ci sono lui, Don Chisciotte, Dulcinea del Toboso e
che vengono narrate avventure che solo loro potevano conoscere. Di qui, ritorna in Don Chisciotte
l’idea di un Sabio Encantador che li segue. Sancho dice che l’autore è un certo Cide Hamete
Berenjena (melanzana, il vero cognome è Benengeni)>per screditare ulteriormente Benenjeni che,
in teoria, era l’autore arabo del testo. Don Chisciotte si preoccupa del fatto che sia arabo, si
preoccupa se dica la verità, se racconterà bene le sue avventure, se tratterà con il dovuto rispetto
Dulcinea e l’amore che prova per lei.
III CAPITOLO
Avviene l’incontro diretto tra Don Chisciotte e Sanson Carrasco.
All’inizio del capitolo, viene ripetuto il discorso sui dubbi riguardo l’autore arabo. Durante il loro
incontro, Sanson Carrasco riferisce a Don Chisciotte del successo dei libri che hanno lui e Sancho
come protagonisti, gli racconta che le sue avventure sono note a tutti. Sancho interviene nel
discorso dicendo che se l’arabo dice la verità, dovrà raccontare non solo le bastonate che ha preso
Don Chisciotte, ma anche quelle che ha preso lui. Carrasco gli risponde che lui è il secondo
personaggio principale e che molti lo preferiscono anche a Don Chisciotte perché dicono che sia il
personaggio meglio riuscito, anche se è stato molto credulone nel pensare che potesse diventare
governatore di un’isola.
Anche Sancho è oggetto di questa discussione sul romanzo. Don Chisciotte e Sancho, nella seconda
parte, sanno di essere personaggi.
Nelle pagine successive vengono messe in evidenza anche alcune critiche che vengono mosse
all’autore per quanto riguarda il testo come, ad esempio, la presenza delle novelas intercaladas
(novelle che non c’entrano niente col Don Quijote, vengono inserite come novelle lette dai
personaggi). Sanson Carrasco dice che questo aspetto viene criticato così come vengono criticate
delle mancanze che ci sono nel testo (es. la svista di far sparire e ricomparire l’asino di Sancho
senza una spiegazione)
IV CAPITOLO
È il capitolo in cui Don Chisciotte e Sancho decidono di intraprendere la tercera salida perché
nuove avventure sono date in pasto a questo encantador, a questo autore per continuare la storia.
Sancho accetta di partire nuovamente, ma a una condizione: quella di essere solo uno scudiero, non
vuole imbracciare le armi, non ha nessuna intenzione di dimostrare il suo coraggio. Vuole essere il
migliore e il più leale degli scudieri. In più, dice che se Don Chisciotte, per i suoi servizi, vorrà
dargli un’isola, ne sarà felice ma, nel caso in cui non gliela desse, dice di essere nato al mondo
come chiunque altro, non vive sperando nel prossimo, ma solo in Dio. Dice di sapore del pane è lo
stesso sia da governatore che da governato, se non addirittura migliore da governato. Sancho
dimostra la sua concretezza, la sua saggezza popolare.
In più, dice di essere nato Sancho e che morirà Sancho.
Mentre Don Chisciotte passa da Alonso Quijano a Don Chisciotte, Ronzinante e Dulcinea cambiano
nome, Sancho ed il suo asino no.>Sancho rimane tale per tutto il corso del romanzo, è un
personaggio fedele a sé stesso.
Sanson Carrasco gli dice che il potere potrebbe fargli cambiare opinione. Sancho risponde che lui è
un cristiano viejo. È una cosa di cui è molto orgoglioso e lo ripete molte volte nel romanzo.

Questa presunta diffusione della storia di Don Chisciotte e Sancho fa sì che i due personaggi siano
così famosi che coloro che incontrano nel corso del romanzo sanno che hanno a che fare con un
pazzo e uno scudiero.
Nei capitoli dal 30 al 57, Don Chisciotte e Sancho incorrono in una serie di avventure che vengono
architettate dal duca e dalla duchessa, i quali hanno letto le loro avventure e che, per schernirli e
divertirsi, gli propongono delle false avventure.
Ad esempio, il duca nomina Sancho governatore di un’isola, un’isola che Sancho dimostra di
amministrare bene per i casi che gli venivano sottoposti.
La duchessa, invece, scrive delle lettere a Teresa Panza (la moglie di Sancho) per divertirsi. In più,
ci sono varie avventure con dei cavalieri che, in realtà, sono dei servitori dei duchi travesti. ( Questa
parte delle avventure pilotate è interessante perché mentre nella prima parte Don Chisciotte era
prettamente visionario, trasfigurava la realtà, adesso, con le avventure inscenate dal duca e dalla
duchessa, la realtà si presenta già trasformata. I duchi si sostituiscono alla visionarietà del don
Chisciotte.)
Abbandonata la corte dei duchi, Don Chisciotte e Sancho si dirigono verso Zaragoza (a partire dal
capitolo 57) e, lungo il cammino, si fermano in una locanda, dove Don Chisciotte viene a sapere che
è stata pubblicata una seconda parte delle loro avventure, che è stato un imitatore del loro primo
autore, cioè Avellaneda. In questa locanda (cap.59), Don Chisciotte viene a sapere che anche il
Chisciotte di Avellaneda è diretto a Zaragoza, quindi, per smentire ciò che c’è scritto nel libro di
Avellaneda, per riaffermare che l’unico Don Chisciotte è lui, decide di cambiare tragitto. Don
Chisciotte e Sancho non si riconoscono in questa seconda parte e per disconoscere l’autore fanno
diversamente da quello che lui ha scritto e, quindi, si dirigono a Barcellona. Dopo varie peripezie,
nel cammino verso Barcellona, Don Chisciotte incontra il Cavaliere della Bianca Luna che altro non
è che il bachiller Sanson Carrasco travestito che vuole ottenere il ritorno a casa di Don Chisciotte.
Lo sfida a duello e, nel caso in cui Carrasco avesse vinto, Don Chisciotte sarebbe stato costretto a
tornare a casa e restarci per un anno.
Sanson Carrasco vince e Don Chisciotte ritorna a casa.
Sulla strada del ritorno (in una locanda, cap.72), Don Chisciotte e Sancho incontrano Alvaro Torpe
che è un personaggio del Chisciotte di Avellaneda.
Alvaro Torpe conferma di essere uno dei personaggi del Chisciotte e dice anche di essere amico di
Don Chisciotte. Quest’ultimo, allora, gli chiese se questo suo amico gli somigliasse e Alvaro Tore
gli risponde di no. Sancho interviene dicendo che l’unico vero Don Chisciotte è lì presente ed è il
suo padrone. Don Alvaro è incredulo e, progressivamente, si rende conto che sono loro i vero Don
Chisciotte e Sancho e che quelli che aveva conosciuto nel Quijote di Avellaneda erano dei falsi.
Sempre nella locanda, ci sono uno scrivano e un giudice e, approfittando della sua presenza, fanno
dichiarare ad Alvaro Torpe che il vero Don Chisciotte non è quello della seconda parte di
Avellaneda ma quello che ha difronte.
Dopo, si salutano e Don Chisciotte prosegue il cammino verso casa, accompagnato da una serie di
presagi negativi. Una volta a casa, Don Chisciotte si ammala, riconosce e ripudia il mondo della
cavalleria in cui aveva creduto, fa un testamento, si scusa con Sancho per averlo illuso e,
successivamente, muore.>è una morte anche strumentale che serve anche a Cervantes a chiudere i
conti con l’opera, per evitare ulteriori continuazioni non controllate da lui.
Analisi complessiva
Come abbiamo già detto, alla base del romanzo c’è un hidalgo, le cui passioni principali sono la
lettura e la caccia, ma la prima finisce per prendere il sopravvento sull’altra. Inizia così il cammino
di Don Chisciotte, un cammino che da un lato ha qualcosa a che vedere con la picaresca per quanto
riguarda i luoghi, i personaggi che Don Chisciotte incontra e l’itinerario; d’altro canto, però, il
romanzo non è ascrivibile a questo genere per una serie di ragioni già trattate.
Il Don Chisciotte è un romanzo moderno perché, secondo Villen, “il romanzo è l’organizzazione e
ricreazione minuziosa e tollerante della ricchezza e della verità della vita”, una galleria di
personaggi, situazioni e generi letterari confluiscono in questo testo. È, inoltre, un romanzo
moderno perché dialoga con i generi. Nasce come parodia dei romanzi di cavalleria, ma dialoga
anche con la picaresca, la novela morisca, la novela pastoril, ecc.
è un testo che rifiuta il meraviglioso e l’inverosimile, è un romanzo in cui gli elementi di realtà sono
molto presenti. Aldilà di quella che sogna Don Chisciotte, viene rappresentata la Spagna a cavallo
tra XVI/XVII secolo, è quindi un ritratto della Spagna dell’epoca.
Il Don Chisciotte è un testo straordinario anche perché noi non abbiamo idea di quale sia il punto di
vista del narratore. A volte, la storia è narrata dal punto di vista di Sancho, altre volte da quello di
Don Chisciotte e altre volte ancora da altri personaggi. C’è un rifiuto del narratore unico, garante
della narrazione. Questa è una cosa modernissima. Anche l’autore, in un certo senso, non è unico.
L’autore storico che troviamo sulla copertina è Cervantes, però quest’ultimo, all’interno del teso,
complica la questione dell’autoria, attraverso una serie di stratagemmi. In più, nel testo non c’è un
messaggio ideologico univoco. Nel ‘600 come anche nell’800 non c’era un’idea circa la relatività,
intesa come idea del mondo. C’era una visione del mondo univoca. Qui, invece, siamo nel
linguaggio dell’ambiguità e della relatività. Sancho è un po’ scudiero, leale, fifone, un po’ s’illude,
è un hombre de bien. Il Don Chisciotte, quindi, riflette la vita nel suo fluire, così com’è.
Nella maggior parte di ricreazione della vita attraverso l’arte, si cerca di dare un senso unico a
quello che si fa, qui questo non accade, Cervantes riflette le cose come sono.
All’inizio, i lettori contemporanei avevano molta dimestichezza con i libri di cavalleria, quindi
viene subito recepito il primo messaggio, ovvero che il testo è una parodia dei libri di cavalleria. È
l’interpretazione romantica, prima inglese e poi tedesca, che erge Don Chisciotte a simbolo
dell’idealismo e, in questo senso, polarizza le due figure di Don Chisciotte e di Sancho: Sancho
materialista e Don Chisciotte idealista. Però, questa polarizzazione non è così netta. Nel corso del
‘900, anzi dal 1989 (anno che coincide con la perdita delle ultime colonie spagnole), Don Chisciotte
inizia ad essere identificato con la Spana nella riflessione degli intellettuali della generazione del
’98 perché coincide con la perdita delle ultime colonie e, quindi, con l’idea di un paese che sta
perdendo posizioni, che è in decadenza e che sta vivendo una crisi di identità. Si tratta di un Paese
che percepisce la nostalgia del passato ed è per questo che si identifica con Don Chisciotte, il quale
è portatore di ideali che non sono più validi. Così come l’Impero è tramontato, anche Don
Chisciotte è eroe di un mondo che non esiste più. Con i più grandi intellettuali della generazione del
’98, a partire da Unamuno che scrive “La vida di Don Quijote y Sancho” fino ad Azorin, il Don
Chisciotte diviene, con diverse posizioni, simbolo nazionale. C’è chi lo rifiuta perché dice che è
simbolo di un perdente, c’è chi dice che è simbolo di uno spirito malinconico, nostalgico ma eroico.
Diventa un oggetto di discussione, soprattutto perché il 1905 coincide con il tricentenario della
pubblicazione della prima parte del Chisciotte. Don Chisciotte finisce per essere il simbolo di
questa crisi identitaria della Spagna.
Nella seconda parte del Chisciotte c’è la tercera salida che è una salida molto ampia
geograficamente e socialmente perché più ricca rispetto alla prima e alla seconda. Rispetto alla
prima parte, c’è uno step ulteriore nel rapporto tra Don Chisciotte e l’intertestualità.

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