Sei sulla pagina 1di 11

DISPENSA LETTERATURA SPAGNOLA I – Prof.

Marcial Rubio Arquez

Testo numero 13 “La jura de Santa Gadea” (Romancero Viejo)  è una leggenda medievale.
Parla del giuramento di Alfonso VI di León davanti al Cid (Rodrigo Díaz de Vivar), nella chiesa di
Santa Gadea del Burgos , alla fine degli anni anno 1072 , al fine di dimostrare che non aveva preso
parte all'omicidio del proprio fratello, il re Sancio II di Castiglia , che era stato assassinato durante l'
assedio di Zamora.
Alfonso V y la conquista de Nàpoles  parla del dolore del re Alfonso V de Aragon per le persone
a cui care morte durante la conquista di Napoli (nomina il duca di Gandìa e suo fratello don Pedro,
che per lui era come un figlio essendo più piccolo). Per la conquista di Napoli ci sono voluti circa
ventidue anni, dal 1420 al 1442. Si pensa che l’autore sia Carvajales.
Abenàmar  il romance ci parla del desiderio di Juan II di incorporare Granada nel suo regno e ciò
ci è mostrato nei dialoghi presenti tra il re ed il moro Abenàmar e tra il re e la città di Granada.
Granada è personificata e convertita in una donna; nel primo dialogo il re invita Abenàmar a dire la
verità riguardo la ricchezza della città che gli risponde nominando le attrazioni più importanti
come l’Alambra, los Alixares, la mezquita. Nel secondo dialogo il re chiede alla città di sposarsi, è
un concetto metaforico come per dire che la città deve incorporarsi nel Regno di Spagna (tramite il
matrimonio). La città di Granada non rifiuta la proposto e tantomeno l’accetta, dice soltanto che
già è sposata con un arabo che saprebbe difenderla molto bene.
Lanzarote y el orgolluso  parla di Lanzarote che è un donnaiolo e servitore del re Arturo;
intraprende una relazione con la regina Ginebra. Uccide el Orgulloso perché ha espresso la volontà
di uccidere il re e i suoi cugini. Dopo aver commesso il delitto, torna dalla regina.
La Bella Malmaridada  parla di un cavaliere che cerca di corteggiare una donna sposata che
però è infelice perché suo marito è un donnaiolo. Lei lo prega di portarla via con sé e in cambio lei
si occuperà della casa; il marito rientra e va su tutte le furie, lei gli dirà di prendersela con lei e non
con il cavaliere e infine gli dirà che può anche seppellirla viva, ma sulla sua tomba deve scrivere
che è morta per amore, e tutti coloro che muoiono per amore, devono essere seppelliti lì.
David llora a Absalòn  è un romanzo che tratta la morte di Absalòn, figlio del re Davide
(riferimento biblico). Il figlio voleva ribellarsi al padre per conquistare il trono, ma sconfitto fugge
nel bosco di Efraìm, qui i suoi capelli si impicciarono ad una quercia e per questo rimane appeso; il
comandante Joab lo uccide nonostante il re avesse dato ordine non ucciderlo. Per tutto il racconto
il re si dispera per la morte di suo figlio, lo loda dal punto di vista della bellezza e dice che
nonostante si trattasse di un figlio ribelle, lui lo avrebbe perdonato anche questa volta (per questo
ha dato ordine di non ucciderlo).
Incendio de Roma  si parla dell’incendio di Roma, la leggenda ci dice che è stato commissionato
dall’imperatore Nerone perché doveva prendere ispirazione per scrivere un’opera sull’incendio di
Troia. Vengono descritte le persone che si disperano e di come lui ne rimane quasi impassibile,
quasi si diverte.

Testo 14 “La vaquera de la Finojosa”  in questo serranilla scritta dal marchese de Santillana,
parla di quando ha visitato Los Pedroches, di ritorno dal combattere gli arabi di Granada, arrivato a
Hinojosa, rimase affascinato dalla bellezza di una vaquera del duca e le dedicherà appunto questa
poesia.

Testo 2 “La Celestina”  Calisto entra in un giardino per riprendere un falco e qui incontra
Melibea con la quale parla di amore, cerca di corteggiarla, ma lei lo rifiuta chiamandolo
svergognato. Calisto vede la grandezza di Dio nella bellezza della donna. Di ritorno a casa inizia a
parlare con il suo servo Sempronio; Calisto vuole chiudersi nella sua sofferenza ed inizia ad
invocare la morte. Mentre parla con il suo servo, iniziare a parlare di Melibea come se fosse un
Dio, quando Sempronio la etichetta come “donna”, il padrone lo corregge dicendo che deve
chiamarla “Dio”. Vengono citati anche alcuni filosofi e scrittori, come per esempio Salomone che
dice che le donne ed il vino rendono gli uomini blasfemi. Calisto fa un descrizione di Melibea, parla
dei suoi capelli paragonandoli a matasse d’oro, gli occhi verdi a mandorla, le ciglia lunghe, la bocca
piccola e le labbra rosse e carnose, parla inoltre della rotondità delle sue mammelle. Viene
introdotta la figura della Celestina. Sempronio ha una relazione con la serva della mezzana, Elicia.
Oltre alla figura della Celestina, viene introdotta anche la figura del secondo servo di Calisto,
Parmeno. Parmeno conosce già la Celestina e per questo cerca di mettere in guardia il suo
padrone, dicendogli che è una mezzana che ricuce le verginità in cambio di favori. Non appena
avviene l’incontro tra la Celestina e Calisto, lui inizia a lodarla, ma lei subito fa capire che vuole una
ricompensa materiale in cambio. La Celestina senza le parole che dice su di lei Parmeno e cerca di
fargli cambiare idea iniziando a parlare di sua madre (è il figlio di Alberto e Claudina) che era una
mezzana come lei ed anche sua amica; gli inizia a parlare anche della cugina di Elicia, di nome
Areusa. Cerca di convincere il servo ad essere amico di Sempronio perché lo mette in guardia
dicendo che il suo padrone non è così leale come lui crede.

Testo 3 “La lozana andaluza” di Francisco Delicado  Lozana Andaluza è il nome di battaglia
attribuito a una rampante e spregiudicata donzella, maestra nelle arti ruffianesche, esperta nella
preparazione di filtri, pozioni e unguenti che, come molti altri spagnoli, fin dall'epoca del papa
Borgia, è arrivata avventurosamente a Roma e qui, nel quartiere di Pozzo Bianco, si barcamena
con estrema perizia nella promiscua e disincantata società romana del primo Cinquecento. Dopo
essere diventata orfana di padre e madre, la Lozana Andaluza, chiamata in realtà Aldonza, andò a
vivere a Siviglia con una sua zia. Lì incontra un giovane commerciante genovese Diomede, con lui
fugge a Cadice e lo accompagna nei suoi viaggi attraverso il Mediterraneo. I bambini nati da questa
unione li mandano a Marsiglia, a vivere con il nonno, che ama molto i suoi nipoti, ma rifiuta
l’amore tra suo figlio e la Lozana: ecco perché, quando gli innamorati arrivarono a Marsiglia,
ordinò che suo figlio fosse imprigionato e Aldonza uccisa. Il marinaio a cui viene affidata non riesce
a lasciarla in mare, e avendo pietà di lei essendo donna la lascia sulla terraferma e le procura
qualcosa da mettersi (venne spogliata di tutto, l’unica cosa che riuscì a non farsi togliere era un
anello). Questo riesce a salvarle la vita e fugge in una barca che la porta a Liorna, e da lì si va a
Roma, luogo in cui si sviluppa l'essenza della trama. La Lozana "aveva una grande visione e
un'ingegnosità diabolica e una grande conoscenza, e nel vedere un uomo sapeva quanto valeva e
cosa aveva e cosa poteva dare e cosa poteva ottenere da lui".

Testo 4 “Egloga I” di Garcilaso de la Vega  questa prima egloga è dedicata al virrey di Napoli,
Don Pedro de Toledo. La struttura è come quella della egloga VIII di Virgilio: breve introduzione,
dedica e due monologhi, ognuno a carico dei pastori. Il monologo di Salicio ricorda i pastori
virgiliani, mentre il monologo di Nemoroso ricorda quello petrarchista. La prima egloga viene
solitamente interpretata come una sorta di biografia poetica sentimentale di Garcilaso, in
particolare, il suo rapporto con Isabel Freyre, musa ispiratrice di alcune delle sue opere principali.
Garcilaso de la Vega è diviso in due personaggi: il primo, Salicio innamorato di Galatea, incarna
l'amore, nonostante si dichiara alla sua amata è prima respinto e poi lo vede come sposa un altro;
nel secondo, Nemoroso, si esprime per il tragico dolore prodotto dalla morte di Elisa.

Testo 5 “Dialogo de la lengua” di Juan de Valdés  scritta nel 1533, i personaggi sono Marcio,
Valdés, Coriolano e Pacheco (l’autore e tre interlocutori italiani). L’innovazione di questa opera è
quella di porre il castellano come una lingua di prestigio, al pari del latino. Valdès dice che il
castellano è la lingua materna, quindi la lingua parlata quotidianamente, mentre il latino è una
lingua morta usata per lo più nelle arti e nella letteratura. Fa una critica ad Antonio Nebrija perché
nella sua opera “la grammatica castellana” dimostra di non conoscere il castellano essendo lui
dell’Andalusia. C’è inoltre un confronto tra i proverbi latini e quelli castellani, quelli latini si sono
formati grazie a persone dotte, mentre quelli castellani sono nati grazie alle persone anziane e
grazie all’ambiente popolare. I tre interlocutori si riuniscono per porre delle domande a Valdés per
quanto riguarda la lingua castellana, decidono di chiederli otto cose: il principio della lingua
castellana, la grammatica castellana, l’ortografia ed il modo di scrivere, le sillabe, vocaboli che lui
usa e che non sono usati dagli altri, lo stile, qualcosa a riguardo dei libri castellani e quale delle due
lingue tra il toscano ed castellano somiglia di più al latino. Per quanto riguarda il principio della
lingua, prende spunto dal latino usato dai romani in Spagna; lo stile è semplice, basta usare poche
parole per esprimere un concetto; per quanto riguarda invece gli altri libri scritti in castellano gli
viene chiesto cosa ne pensasse della Celestina e Valdès dice che è molto soddisfatto dall’ingegno
del primo autore, un po’ meno di Rojas, i personaggi meglio designati sono la Celestina, Sempronio
e Pàrmeno, mentre Melibea sarebbe stata da migliorare. Per quanto riguarda lo stile della
Celestina, ci dice che si “accorda” con i personaggi e che solo due cose dal suo punto di vista
andrebbero cambiate: dei vocaboli fuori posto e dei vocaboli troppo latinizzati che sono difficili da
capire in castellano.

Testo 6 “Il Lazarillo de Tormes”  nella dispensa è presente il prologo, il primo trattato, il settimo
trattato ed il matrimonio. Nel prologo ci viene detto che leggendo il testo si può trovare qualcosa
di proprio gusto; c’è un riferimento a Plinio “non c’è libro pur cattivo che sia, che non abbia
qualcosa di buono” perché i gusti non sono tutti uguali e ciò che è disprezzato da alcuni, è
apprezzato invece da altri. Chi scrive non vuole essere ricompensato in denaro, ma vuole che le
sue opere siano lette e lodate e in questo caso cita Tullio “la gloria dà vita alle arti”. Nel primo
trattato ci viene presentata la figura di Lazaro, figlio di Tomé Gonzàlez e Antona Pérez, i tre vivono
a Tejares (Salamanca). Lazaro nasce “dentro” il fiume Tormes perché suo padre era mugnaio in un
mulino sulle rive di quel fiume e sua madre che un giorno si trovava lì, presa dalle doglie lo diede
alla luce. Quando Lazaro aveva soli otto anni il padre venne imprigionato per alcuni furti commessi
nel mulino e nello stesso anno prese parte all’armata contro i mori nella quale perse la vita. La
madre rimasta vedova conosce un uomo di colore (Zaide) che badava alle bestie e con il quale fece
un secondo figlio che anche Lazaro adorava. A causa di alcuni furti commessi dall’uomo, venne
frustrato e sulle ferite gli venne buttato il grasso fuso così sua madre non poté più avvicinarsi a
Zeide e trovò lavoro in una locanda dove allevò anche il secondo figlio. In questa locanda alloggia
un cieco e la madre gli affida Lazaro per fargli imparare il mestiere. Fin da subito il cieco lo inizia a
burlare e maltrattare (gli fa sbattere la testa contro un toro di pietra perché il servo di un cieco
deve conoscere una più del diavolo). Il cieco gli disse che non poteva dargli alcun tipo di ricchezza,
ma che poteva dargli utili consigli per vivere (Lazaro ci dice che dopo Dio, fu il cieco a dargli di
nuovo la vita). Il cieco era una persona astuta e sagace, ma anche taccagna e infatti il povero
Lazaro a stento mangiava (ma trovò il modo di imbrogliarlo, facendo un buco al broccale del vino o
scucire e ricucire la sacca del pane per prenderne qualche pezzetto). Un giorno il cieco si accorge
delle bricconate di Lazaro e gli spacca la brocca del vino in faccia facendogli rompere tutti i denti: è
in questo momento che Lazaro decide di andarsene, ma prima vuole vendicarsi: un giorno partono
da Salamanca per Toledo, si ritrovano una pozzanghera da saltare e Lazaro mette il cieco davanti
una colonna, il cieco salta e si fa male così Lazaro prende e scappa. Nel trattato numero sette ci
racconta di come scappato dal cappellano, Lazaro trovò lavoro come poliziotto di un alguacil, ma
questo lavoro durò ben poco perché una notte il suo capo venne malmenato da dei delinquenti. In
seguito a conclusione del libro Lazaro ci racconta cosa fa adesso da adulto: grazie ad amici e
signorotti, ci spiega che oltre a fare il banditore, lavora anche per l’arciprete san Salvador, amico
del lettore a cui sta inviando la sua storia (vuestra merced). Questo arciprete da in moglie a Lazaro
una sua domestica, gli da una casa e gli garantisce vesti e carne specialmente durante le feste.
Nonostante ciò numerose lingue girano sul conto della fanciulla, che entra ed esce anche di notte
dalla casa dell’arciprete, ma nonostante queste voci Lazaro decide di credere a sua moglie e ad
ogni persona che cerca di entrare nell’argomento gli risponde che se sono suoi amici non gli
devono chiedere cose che potrebbero farlo dispiacere.

Testo 7 “Viaje de Turquìa” di Cristòbal de Villalòn  scritta tra il 1557 ed il 1558 (in concomitanza
con il Concilio di Trento del 1545). E’ un testo nel quale si combinano il dialogo, la novela, il
trattato e l’autobiografia: l’autore dà molta importanza alla veridicità e cerca di trasmetterla al
lettore. I personaggi sono Pedro de Urdemales, Juan de voto a Dios e Màtalas Collando. L’opera è
dedicata a Filippo II, re di Spagna, di Napoli e D’Inghilterra. Riassunto sul manuale del
cinquecento.

Testo 8 “La Diana” di Jorge de Montemayor  pubblicata per la prima volta nel 1559. È
considerata il primo romanzo pastorale della letteratura spagnola. L'autore dedica il romanzo al
nobile don Juan Castellá de Vilanova. Argomento: per facilitare la lettura dell'opera, Jorge de
Montemayor spiega all'inizio del libro tutti i casi che verranno sviluppati successivamente, è un
mix di verso e prosa. Il primo dei sette libri ci racconta la storia di Diana che ha una relazione con
Sireno – succede che Sireno una volta fuori dal regno, i sentimenti di Diana mutarono e si sposa
con un altro uomo chiamata Delio. Sireno appresa la notizia soffre tantissimo per la perdita della
sua amata.

Testo 9 “Oda a la vida retirada” di Fray Luis de Leon  . E’ una poesia intellettuale, filosofica,
polemica. Strofe 1-3: sono centrate sulla “descansada vida” di colui che, come gli antichi saggi,
“huye el mundanal ruido” (cioè, la confusione mondana) e segue al contrario la “escondida senda”
(il sentiero nascosto del saggio). L’enunciazione è tutta in terza pers. sing.
Strofe 4-8: L’enunciazione passa alla prima pers. sing. Compare l’”io” del poeta, dapprima con una
serie di interrogative (str. 4), poi con una serie di esclamazioni (str. 5) che preludono
all’introduzione del luogo nascosto e lontano dal mondo dove il poeta si è rifugiato.
Nelle strofe 6-8 il discorso si muove su una polarità antitetica tra quello che il poeta vuole (notare
la frequenza del verbo “quiero”) e quello che non vuole (vv. 28-30, v. 33-35, v. 39-40). In
particolare alla fine della strofa 8 si elencano (è una “enumerazione”) le passioni dell’anima dalle
quali il poeta (sull’esempio del saggio stoico) rifugge. Tutta la strofa 8 è un condensato di concetti
stoico-epicurei.
Strofe 9-12: In queste strofe l’”io” poetico è quasi del tutto assente. Viene invece descritto quel
luogo nascosto che è il rifugio del poeta, e che ha tutte le caratteristiche del tipico “locus
amoenus”: fiorito e verdeggiante (v. 44, 54-55), attraversato da un corso d’acqua pura (vv. 49-55),
arieggiato (str. 12). Le soddisfazioni che dà un orto coltivato dalla propria mano (v. 42) sono un
topico ricorrente nella letteratura latina classica.
Strofe 13-14: sono dedicate a mostrare i rischi cui vanno incontro coloro che scelgono di
continuare a vivere nel mondo. Si tengano pure le loro ricchezze, dice il poeta; queste ricchezze
però comportano dei rischi, che sono esemplificati dall’immagine topica del naufragio. Nel
naufragio, i naviganti che commerciano in beni preziosi devono buttare a mare le ricchezze che
trasportano se vogliono salvarsi (v. 69): così, chi sceglie di affannarsi per le ricchezze non è detto
che possa conservarle, anzi, spesso le perde nelle vicende alterne della vita.
Strofe 15-17: sono dedicate a mostrare la vita tranquilla, anche se povera, dell’io poetico (che si
contrappone, dunque, agli “altri” –“ellos”- delle due strofe precedenti): tavola semplice e povera,
ma pacifica; musica celestiale. In queste tre strofe finali si incorpora con molta forza l’antinomia
IO/gli ALTRI (“los otros”, v.77; “yo”, v. 80) che percorre tutto il componimento, e che struttura
altre antinomie ricorrenti (cercatele nel testo): armonia, musica vs. rumori e grida stridenti; ombra
riposante vs. fuoco che consuma; brezza piacevole vs. vento vano (l’opinione del mondo, v. 18) o
vento di tempesta (v. 65); povertà vs. ricchezza…
In particolare è interessante l’ultima strofa dove emerge il tema della poesia: il “lauro eterno” che
corona la testa dell’io poetico è l’alloro che si considerava sacro al dio della poesia, Apollo; il
“plectro sabiamente meneado” è quello che serviva a suonare la lira, strumento appunto di Apollo
(poesia “lirica” vuol dire in origine poesia accompagnata dal suono della lira). Non è chiaro, nel
testo, se l’autore della musica sia lo stesso io poetico oppure, più probabilmente, Dio, supremo
musicista dell’universo (concetto, questo, di matrice platonica, espresso nell’Oda III a Francisco
Salinas). Infatti Fray Luis dice che “ascolta” (v. 83) la musica: che potrebbe dunque essere la
“musica delle sfere”, cioè l’armonia delle sfere concentriche che, ruotando intorno alla Terra fino
al Primo Mobile, mosse da Dio che ha sede nell’Empireo, creano una musica celestiale che il saggio
riesce ad ascoltare nella concentrazione del proprio ritiro spirituale.Oltre alle antitesi o antinomie,
di cui il componimento è pieno, troviamo anche chiasmi (v. 20), parallelismi (vv. 14-15), anastrofi
(sintagmi il cui ordine è invertito rispetto a quello “naturale”, v. 6, 12, 17…). Da segnalare anche
latinismi come “presta” (v. 16), “secreto” (v. 22), “almo” (v. 24), e l’uso oraziano di spezzare
l’avverbio di modo tra due versi: “miserable- mente” (“tmesi”, vv. 76-77). Si evoca una
quiete agreste propizia alla riflessione ascetica. Ode classicista, riprende gli ideali oraziani e
virgiliani. L’ode inizia con una esclamazione proclamatoria che presenta il tema della poesia ossia
la volontà dell’autore ad estraniarsi dal rumore dal frenesì cortesano per unirsi a Dio (ascesi
mistica). Il poeta sceglie il ritiro spirituale come un sentiero di saggezza, prendendo come modello
molti altri saggi che hanno cercato questo modo di vivere come un modo per cercare la propria
spiritualità. Continua con questa idea nella seconda strofa facendoci capire che chiunque scelga
questa via è libero da pensieri e sentimenti umani negativi come l'orgoglio, l’influenza dalla
ricchezza o dallo status sociale. Vuole fuggire dalla fama, dai pettegolezzi, dalle parole vuote, che
sono comuni nella società in cui ha vissuto. Nella quarta stanza ci dà un apprezzamento e si chiede
come sia possibile trovare la felicità in elementi semplici come il vento. Risponde a se stesso
comprendendo, secondo i suoi criteri, che sono creazioni divine. Continua nella quinta stanza
sviluppando questa idea della natura. Così, il poeta cerca di lasciarsi alle spalle la vita terrena e, al
tempo stesso, trova quel primo contatto con la divinità. Nella prossima stanza, continua a
sviluppare il tema della natura: vuole essere libero come gli uccelli che vivono lontano dalle città,
interpretando questo come quello in cui gli uccelli sono ingabbiati o, perlomeno, imprigionati.
Nella settima strofa il poeta desidera scoprire se stesso e staccarsi dai sentimenti: si unisce a Dio.
Continua nella prossima stanza con quell'idea di unione, il legame del poeta con la terra. È una
metafora: il contadino si prende cura del campo in modo che il suo frutto cresca e si mostri a lui
stesso. Allo stesso modo, vuole prendersi cura del suo percorso di pensionamento e della sua fede.
In una nuova stanza la fine del percorso è una fonte come simbolo di saggezza: l'acqua disseta la
sete, la rinfresca ed è simbolo di purezza. I sentimenti sono cristallini. Indica che la strada, da lì,
sarà piena di bellezza e colori. Nei versi successivi, afferma che la vita in campagna fa dimenticare i
desideri terreni e materiali. Sviluppa il suo pensiero parlando di come con la distanza si può vedere
chi ha cambiato la fortuna e ha perso tutto o chi ha lottato per avere un po’ di più, senza mai
essere felici con quello che si ha. Una nuova stanza cambia il tema e ci dice come il poeta, a suo
modo, possa avere difficoltà e persino dubbi spirituali. Ecco perché vuole una vita semplice sotto
tutti gli aspetti e si accontenta di un semplice tavolo e una semplice copertina, che per lui è più
preziosa di una placca d'oro. Ci dice che i suoi momenti di felicità possono essere un momento di
riposo o di canto, immersi nella natura. Pertanto, il suo piccolo spazio è un regno e, in lui, ha
trovato quell'unione con Dio.

Testo 10 “Canciones del alma” di San Juan de la Cruz  Canti dell’anima nella comunicazione
interna dell’unione d’amore di Dio: nella prima stanza, l’anima si sente infiammata dall’amore di
Dio e si trasforma in Dio stesso.
Si stacca da sé e da tutte le creature, ora arricchita da tanti doni e virtù, così vicina alla
Beatitudine. Ogni volta che sente che dentro lei arde la fiamma d’amore, ossia quella dello Spirito
Santo, promette di glorificarla, tanto che pensa che raggiunga la vita eterna rompendo la tela
mortale nel loro dolce incontro. Nella seconda stanza, Cauterio (Spirito Santo) – Mano (Padre) –
Colpo/Tocco (Figlio) rappresentano la Santissima Trinità che hanno in lei l’opera d’unione. Nella
terza stanza l’anima mostra grande gratitudine al suo sposo, dopo essersi unito a lui e aver
ricevuto tanti doni. Grazie all’Unione, il senso dell’anima non è più cieco e oscuro: l’anima è
finalmente illuminata dall’amore che l’accende ed l’innamora. Nella quarta stanza, l’Anima si
rivolge al suo Sposo con tanto amore, stimando gli effetti che egli in lei produce durante la loro
Unione e l’effetto che da questo ridonda in essa. Il primo effetto è il risveglio di Dio nell’Anima, il
secondo è invece la spirazione di Dio nell’Anima stessa, piena di bene e di gloria.
- Cántico spiritual / Canciones entre el alma y el Esposo: si sviluppa in 40 liras e si costruisce sul
tracciato biblico del Cantico dei Cantici e sul paesaggio bucolico rinascimentale (locus amoenus –
prati fioriti, boschi, fontane nei quali compaiono cervi, tortorelle, colombe). I due sposi si
incontrano e celebrano la loro unione (dopo la notte d’ascesi, la vicenda dell’incontro spirituale si
ripropone nelle nozze dei due amanti). La sposa invoca lo sposo, che si è allontanato, esce alla sua
ricerca con affannosa angoscia e si rivolge alle creature, che testimoniano la grandezza del
Creatore, per averne notizie. Evoca, con un crescendo passionale, la presenza dell’amato che
all’improvviso ricompare e si ricongiunge a lei, affettuosamente. La felicità riprovata si prolunga in
ritmi contemplativi: si rammentano le tappe dell’unione e si allontana ogni minaccia esterna,
raggiungendo la tranquillità; gli amanti trovano rifugio in un luogo appartato come segno di
desiderio di isolamento e solitudine.
Generalmente, Juan de la Cruz si avvale di esperienze letterarie profane, come nella canzone Un
pastorcico, solo, está penado: il testo è ispirato alla tradizione garcilasiana, contiene un significato
simbolico, indicando le sofferenze di Cristo, accresciute dall’indifferenza dell’anima o dall’umanità
stessa. La sovrapposizione di significati simbolici su componenti di provenienza folclorica
conferisce ai versi del poeta una valenza polisemica.

Testo 11 “Libro de la vida” di Santa Teresa de Jesus  analisi negli appunti

Testo 12 “Soneto X” di Fernando de Herrera  Herrera è il più alto rappresentante del


petrarchismo del XVI secolo in Spagna. In questo sonetto c’è la concezione petrarchista
dell’amore. Si parla del lamento dell’amato per il rifiuto dell’amata (vv. 13 – 14). L’amata si
presenta come un essere divinizzato (vv. 2 – pupùreo) e la compara alla natura. Si tratta di un
sonetto formato da quattordici versi endecasillabi (due quartine e due terzine). Quando parla di
“Luz” parla di Dona Leonor de Milan, una contessa.

Testo 13 “Guzmàn de Alfarache” di Mateo Alemàn  Nel 1599 viene pubblicata la 1 parte del
Guzman de Alfarache scritto da Matteo Aleman(sivigliano),modello assoluto del romanzo
picaresco.La 2 parte nel 1604 ma nel 1602 esce una seconda parta falsa(testo apocrifo/a cura di
Saavera).Il Guzman è il prototipo dell’intero genere(all’interno del testo si evince la conversione
del protagonista).Un genere letterario nasce quando dopo l’archetipo vi è un altro testo che
ripropone quella struttura(è presente anche un paratesto).Guzman è il picaro ma vi sono molte
differenza rispetto al Lazarillo.Figlio di una cortigiana di Siviglia e di un genovese(a quel tempo
essere genovese era un’offesa,erano considerati avari).Questo picaro ha dimensioni
internazionali,vi sono molti dettagli geografici.Aleman per far rendere l’opera verosimile fa
studiare il protagonista(va all’università).Non è la fame che spinge Guzman a partire e lasciare casa
ma il vizio(differentemente da Lazzaro).Egli è figlio del vizio,è un ladro,imbroglione,tenta di essere
diverso ma ogni volta non ci riesce(Alla fine si converte).Il Guzman adulto dialoga con Guzman
bambino(Guzmanillo) e lo rimprovera per i suoi comportamenti.Invece Aleman invita il lettore a
stare attento alla conseja(fabula) ma non lasciarsi sfuggire la morale quando Guzman rimprovera
se stesso bambino.Il narratore fittizio è Guzman adulto che narra la sua vita in funzione della sua
conversione(anche l’uomo più meschino può salvarsi) quindi giustifica la sua conversione
finale.Nel Guzman è ancora più marcato l’aspetto del “dilettare ed istruire”(tema oraziano inserito
nel paratesto dell’opera).In realtà Lazarilllo non insegna nulla ma Lazzaro non è cattivo bensì
buono,quello che fa è a causa della fame.Guzman invece si allontana da casa per curiosità,è
malizioso,vizioso,tutto ciò rafforza la sua conversione finale(Sottotitolo 2 parte testo: Atalaya de la
vida umana=Sentinella della vita umana) quindi si può dire che Aleman crea un romanzo
esemplare(Non c’è uomo che per quanto cattivo sia non possa salvarsi/Principio affermato nel
Concilio di Trento/nel paratesto dell’opera compare per la 1 volta il termine picaro). Nel 1597
molti testi vennero aboliti ed i libri pubblicati venivano prima revisionati dall’Inquisizione e poi
finivano tra le mani del sovrano per il permesso finale.Tornando al Guzman,la copertina risale al
1602 e nel paratesto vi sono: una dedica a Don Francisco de Rojas,una dedica al volgo ed una
successiva al “discreto lettore”(un lettore che si accosta al principio oraziano del dilettarsi e trarre
profitto dal testo).Nel paratesto vi sono anche delle “istruzioni per l’uso”(Dichiarazione per la
comprensione di questo libro) ed anche un elogio ad Alonso de Barros(da notare le differenze
abissali con il Lazarillo).Vi è anche un epigramma in latino di Spinelli dedicato a Guzman de
Alfarache(il quale risponde a questo epigramma),poi vi è anche un sonetto dedicato alla vita del
protagonista,vi è anche l’intervento dello scrittore Hernando de Soto che scrive in
ottosillabi,riferendosi al libro come “discreto”.Poi c’è un ritratto dell’autore(Aleman) che ha in
mano un libro di Cornelio Tacito(In quel periodo c’è anche un movimento politico conosciuto col
nome di tacitismo) ed infine inizia il libro,diviso in capitoli(Anche la narrazione è articolata,vi sono
vari intrecci narrativi).La 1 parte del testo compare nel 1599 e compare anche per la 1 volta il
termine picaro(pag.112/Lazarillo viene definito picaro a posteriori,prima della comparsa del
Guzman non lo era).Al “Vulgo”: Vi sono molte anafore(accumulatio di anafore quasi
ossessivo,tipico del barocco/inferno=abisso).Un topos della letteratura seicentesca barocca è
anche la corruzione oltre alla crisi di valori di corte e dei costumi(sempre presente il concetto di
desengano/contrapposizione fra corte e aldea=già vista l’anno scorso con la cancion a la vida
solitaria di Fray Luis de Leon).Nel testo ci sono sia consejas(trama,fabula) che consejos(digressioni
morali).E’ una critica al lettore volgo che si ferma alla superficialità del testo senza comprendere in
pieno il vero significato dell’opera.Si preferisce la critica di una persona per bene piuttosto che la
stima di una persona superficiale.Al “Discreto lettore”: Vi sono molte similitudini ed anche una
captatio benevolentia(riferimento al Lazarillo ed alla frase di Plinio nel prologo del testo).Con un
discreto lettore non bisogna procedere con parole lunghe o arringhe prolisse.Il discreto lettore
deve fare molta attenzione a quello che legge,altrimenti potrebbe buttar via molti “metalli
preziosi”(Prendi tutto ciò che è buono e lascia quello che ho sbagliato,lascia il cattivo,in questa
storia potrai moraleggiare).Il libro verte su un picaro(antitesi dell’eroe epico).”Dichiarazione per la
comprensione di questo libro”: All’inizio vi è un riferimento all’Amadigi, Montalvo e la
verosimiglianza.Si sottolinea che questa è una storia inventata(letteratura) ma che potrebbe
essere anche una storia verosimile(storia vera).Riferimento anche ad Aristotele e la sua
concezione sulla storia e la poesia.Questa storia è perfettamente verosimile poiché il picaro in
questione ha studiato latino e retorica presso l’università di Alcalà.Nel paratesto,Aleman annuncia
che ci sarà anche la 2 parte e già l’annuncia al lettore,inoltre anche qui si critica la religiosità
superficiale(come nel Lazarillo).

Nell’ elogio ad Alfonso de Barros, vi è un’ esaltazione di un’ opera d’ arte(Ocio=figlio dell’ozio. Il
Guzmàn è l’ abisso di tutti i vizi, dunque è un esempio negativo: il protagonista presenta una
letteratura esemplare “al contrario”, mostra il tipo di esemplarità più negativaCaratteristica del
Barocco. Vi è una continua assimilazione tra letteratura e pittura, si parla della ammirabile
disposizione e dell’ osservanza della verosomiglianza “El desenfrenado caballo de su irracional y no
domado apetito”=idea platonica del cavalllo bianco, istinti, animo; si ritroverà anche nella “Vida e
sueno” di Calderòn de la Barca). Si sostiene molto l’argomento dell’educazione paterna e ci spiega
anche perché il protagonista non ha ottenuto la giusta educazione dai suoi due padri. L’ autore
Alemàn conosceva molto bene l’ambiente malavitoso di Siviglia, poiché il padre era chirurgo nel
carcere e dunque le sue esperienze di vita sono servite alla descrizione di alcuni eventi che si
evincono nella narrazione. In questo elogio, si riprende anche il tema oraziano del “dilettare ed
insegnare”, dunque si tratta di una letteratura esemplare(questo testo non è un “imbroglio” come
quello del Lazarillo, il Guzmàn si chiude a differenza del Lazarillo che è apocrifo). Altro tema: come
si devono comportare i genitori che non hanno dato la giusta educazione ai propri figli.

 CAPITOLO I: Qui troviamo un lettore “curioso”. Guzmàn comincia a raccontare la sua vita
partendo dalla sua confusa nascita e dai suoi genitori. Qui il protagonista dialoga con il
lettore, cosa che non accade MAI nel Lazarillo, e mette in discussione il concetto della
“Limpieza de la sangre”. Vorrebbe venir meno al rispetto del quarto comandamento e
dunque vorrebbe mascherare le sue debolezze accusando i suoi genitori di non essere stati
capaci di dargli la giusta educazione( anche i suoi genitori sono viziosi). All’ interno del
testo si evincono violente digressioni interne riguardanti il concetto di “Limpieza de la
sangre”(anche l’uomo più meschino può salvarsi). Inoltre traspare molte volte il punto di
vista del narratore fittizio, dunque utilizza alcune argomentazioni che servono alle sue
giustificazioni ( topos letterario di Alemàn: misoginia).

 CAPITOLO II: Guzmàn spiega perché scappa di casa per scoprire il mondo

 CAPITOLO III: Spiega che non ha ricevuto la giusta educazione che viveva in un ambiente
malavitoso e dunque poteva incontrare spesso personaggi loschi, e comincia la sua vita da
picaro.

Testo 14 “Don Quijote de La Mancha” di Miguel de Cervantes  “En un lugar de la Mancha” si


riferisce al Campo de Montiel. Il protagonista nel tempo libero leggeva libri di cavalleria, tanto che
rimane quasi senza poderi per comprarne sempre di nuovi, ma nessuno era all’altezza dei libri
scritti da Feliciano de Silva. Leggendo le sue frasi così complesse, quasi se ne usciva di senno e a
furia di leggere questo tipo di storie, iniziò anche ad immaginarsele. Una volta perduto
completamente il giudizio decise che, per l’esaltamento del proprio onore, doveva farsi cavaliere.
Iniziò ripulendo le armature di suoi vecchi antenati piene di ruggine. Dopo l’attrezzatura si occupò
del suo cavallo, che era pieno di malanni: doveva dargli un nome famoso e lo chiamò Ronzinante
(dalla parola ronzino, cavallo non di razza). Una volta scelto il nome del cavallo, si ingegnò a
trovare un nome adatto a lui e decise di chiamarsi Don Quijote, aggiungendo poi il nome della
patria di provenienza “De la Mancha”. Una volta curati tutti questi aspetti, non gli rimaneva che
trovare una donna a cui dedicare i suoi successi, così scelse una contadina giovane e di bell’aspetto
che si chiamava Aldonza Lorenzo, ma che lui ribattezzò come Dulcinea del Tolboso (la sua patria
nativa). Nel secondo capitolo si parla della sua prima uscita dalla sua terra: una mattina del primo
luglio uscì dal suo paese con il suo cavallo e la sua armatura, ma una volta fuori dalle mura del suo
paese i dubbi e le preoccupazioni iniziarono ad assalirlo perché lui non era un cavaliere armato e
quindi non avrebbe dovuto e potuto scontrarsi contro un cavaliere vero. Nonostante questo,
riprese il suo cammino. Dopo aver camminato tutto il giorno, assaliti dalla fame, scorge da lontano
un’osteria. Siccome tutto ciò che il cavaliere immaginava diveniva realtà dinanzi i suoi occhi, una
volta arrivati davanti la porta della locanda, immaginò di essere davanti le porta di un magnifico
castello. Dopo aver passato la notte nell’osteria/castello, il giorno dopo gli venne servito da
mangiare del pane ammuffito e del merluzzo mal cucinato, ma ancora una volta in preda
all’immaginazione, pensò di essere in un castello e di mangiare trota con pane freschissimo;
inoltre pensava di essere in compagnia di due illustre signore che altro non erano che delle
prostitute. Immaginò anche che il suo pasto era accompagnato dalla musica, ma in realtà era il
suono di un corno appartenente ad un porcaio. Nel capitolo sette avviene il secondo viaggio del
Don Quijote. Il curato ed il barbiere decidono di murare la stanza dei libri mentre la serva li
bruciava per metter fine a quella storia. Come “scusante” avrebbero detto che un mago di notte, a
cavallo di un serpente, aveva trasportato via la camera per inimicizia nei confronti del proprietario
dei libri, la serva gli disse che il nome di questo incantatore era Savio Mugnatore (o Frestone o
Frione). Don Quijote si convinse che il mago in questione era un qualche protettore di qualche
cavaliere ucciso da lui nel futuro. Passarono quindici giorni e sembrò che l’hidalgo avesse smesso
di fare il pazzo, finchè non decise nuovamente di partire, ma questa volta il curato ed il barbiere gli
affidarono un villano di nome Sancho Panza, che lasciò moglie e figli perché convinto di diventare
il governatore di qualche isola. Siccome Sancho non aveva cavalli e non gli andava di seguire il
padrone a piedi, decise di seguirlo a d’orso d’asino. Nonostante Don Quijote non lesse mai da
nessuna parte di un cavaliere sul dorso di un asino, lo accetto comunque dicendogli che molto
probabilmente avrebbero conquistato un regno e non un’isola e che lui sarebbe diventato Re, sua
moglie regina e i suoi figli principi. Nel capitolo otto della seconda parte, Don Quijote decide di
andare a vedere la sua amata Dulcinea prima di cominciare le sue avventure per avere permesso e
benedizione. Nel capitolo settantatré Don Quijote e Sancho Panza tornano in paese. Don Quijote si
lascia ad una nuova pazzia, quella di diventare pastore e cercò di imporlo anche al bachiller ed al
curato, ovviamente anche al suo amico fidato Sancho; cercò anche dei nomi per i loro nuovi lavori:
Don Quijote pensò al nome di Quijotiz per lui, per il bachiller pensò al nome Carrascon, per il
curato il nome di Curiambro ed infine per il suo amico Sancho pensò al nome di Pancino. Ognuno
rimase stupito dalla decisione, ma pur di non farlo partire di nuovo, acconsentirono. La nipote e la
serva gli sconsigliarono di diventare un pastore e gli dissero che sarebbe stato meglio se fosse
rimasto a casa ad accudire i suoi beni. Nel capitolo settantaquattro si racconta la morte di Don
Quinote de la Mancha. L'hidalgo era a letto per una febbre da sei giorni. I suoi amici credevano che
la sua agonia fosse dovuta alla tristezza di non aver soddisfatto tutte le sue gesta e di non aver
incontrato Dulcinea del Toboso. Si scopre anche la vera identità, lui è in realtà Alonso Quijano. In
questo capitolo ci viene descritto anche il suo testamento, lascia a Sancho dei soldi che gli doveva,
alla sua serva le da il compenso per averlo servito una vita ed a sua nipote lascia il suo villaggio e le
dice che se si sposerà, l’uomo che deciderà di essere al suo fianco non dovrà saperne nulla di
cavalleria. Dopo aver scritto il suo testamento, si rinchiuse in camera per tre giorni e poi morì.

Testo 15 “Fabula de Polifemo y Galatea” di Luis de Gongora  scritta nel 1612, si ispira al mito di
Ovidio “Polifemo e Galatea”. Nelle prime strofe viene descritto Polifemo, l’autore ci dice che è il
figlio del Dio Nettuno, è un ciclope fiero ed enorme tanto da esser paragonato con una montagna.
Ci dice che era talmente grande che utilizzava i pini come bastoni. Di seguito continua a dirci che
ha un solo occhio sulla fronte, capelli lunghi, neri e ricci ed una lunga barba così lunga da coprirgli
il petto. Subito dopo la descrizione di Polifemo, c’è la descrizione della Sicilia che per gli antichi
greci si chiama Trinacria. Ci descrive i paesaggi e l’abbondanza di colori che l’isola ci offre. Il poeta
parla dell’autunno dicendo che le persone raccoglievano i frutti per poi lasciarli maturare al sole
sull’erba. Polifemo si fabbrica uno strumento musicale il cui suono è così brutto da far alterare la
selva ed i mari e addirittura fa arrabbiare Tritone. Nella strofa tredici il poeta esprime la sua
ammirazione per la ninfa Galatea. La elogia dicendo che i suoi occhi sono come due stelle e la sua
bellezza è la bellezza di Venere; la sua pelle è bianca come le piume di un cigno. Galatea era
invidiata dalle altre ninfe perché tutti i dii marini erano innamorati di lei. Dalla strofa venticinque
inizia la descrizione di Acis, di cui Galatea si innamora e lui contraccambia. Un giorno Polifemo
vede i due amanti e preso dalla rabbia lancia una grossa pietra su Acis schiacciandolo; Galatea
triste e angosciata invoca tutte le dee del mare che trasformano Acis in un fiume (Doris è la madre
di Galatea ed è lei a trasformarlo in fiume).

Testo 13 “Soneto” di Luis de Gongora il tema è la bellezza ed il tempo. L’autore vuole farci
capire che bisogna apprezzare la nostra bellezza prima che noi diventiamo polvere. E’ presente il
topico del Carpe Diem.

Testo 14 “Amor constante màs allà de la muerte” di Francisco de Quevedo  il tema principale è
l’amore perpetuo. La prima strofa ci descrive il momento della morte; la seconda strofa del viaggio
che l’anima deve fare; la terza strofa ci parla della relazione che c’è tra il corpo e l’anima e ci dice
che il corpo ha la colpa di tener imprigionata l’anima; nella quarta strofa si espone l’idea di amore
e si parla di un amore indimenticabile anche dopo la morte.

Testo 16 “El Buscòn” di Francisco de Quevedo  ci dice che si chiama Paolo, figlio di Clemente
Paolo e Aldonza de San Pedro (che non era cristiana vieja proprio perché portava al cognome il
prefisso “san”). Suo padre era un barbiere, ma sul suo conto se ne sentivano parecchie, tra cui il
fatto che faceva rubare a suo figlio più piccolo nelle tasche dei suoi clienti, e a causa di altre
bagatelle venne imprigionato. Sua madre era una specie di fattucchiera, aveva la fama di fare
restauri alle ragazze (perché la sua antenata era la Celestina). Il picaro non sapeva chi dei due
genitori dovesse prendere come modello per una questione lavorativa e per questo sin da ragazzo
non si inclinò né verso un mestiere e né verso l’altro. Suo padre gli disse che in questo mondo chi
non ruba non vive e di aver mantenuto sua madre con questo “lavoro” meglio che potesse. Al
sentire queste parole sua madre si altera e gli dice che se non fosse stato per le sue pozioni lui già
avrebbe confessato i crimini commessi (si fa di nuovo riferimento al lavoro da mezzana della
madre).

Potrebbero piacerti anche