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ISTITUZIONE LEONARDO DA VINCI – LINGUA E

LETTERATURA ITALIANA
PROF.SSA CATERINA ROSSI
1° LICEO LINGUISTICO, SEZ. A e B

La comprensione di lettura.
Il mito e le sue caratteristiche.
I miti della creazione.
La mitologia classica.

.L’ABILITÀ DELLA COMPRENSIONE DI


LETTURA

Lo studio efficace parte dall’abilità linguistica della


comprensione della lettura.

Le abilità linguistiche.

ABILITÀ RICETTIVE
Leggere
Ascoltare

ABILITÀ PRODUTTIVE
Parlare
Scrivere

Sapere una lingua ovviamente corrisponde al saper


padroneggiare le quattro abilità indicate.

La lettura è un’attività complessa che richiede un


significativo sforzo cognitivo in ricezione. Leggere e
ascoltare sono abilità esigenti, sul piano dello sforzo
mentale e si distinguono significativamente dal parlare e
scrivere: chi parla o scrive può operare una scelta rispetto
all’ argomento che vuole trattare, può scegliere di
utilizzare solo alcune forme linguistiche, ad esempio
quelle che conosce meglio senza avventurarsi in forme o
strutture sconosciute, può decidere con quale velocità
parlare o scrivere, può utilizzare strategie comunicative
non verbali o creative.
Chi legge al contrario è in balia di chi scrive che sceglie il
ritmo, le parole, le forme grammaticali; chi legge spesso
non sa, all’inizio, neppure di cosa si parlerà, quindi non ha
strumenti per fare delle previsioni sul contenuto del testo.

“Secnodo un pfrosseore dlel'Unviesrita‘ di Cmabrdige,


non imorpta in che oridne apapaino le letetre in una
paolra, l'uinca csoa imnorptate e' che la pimra e la ulimta
letetra sinao nel ptoso gituso. Il riustlato puo' serbmare
mloto cnofsuo e noonstatne ttuto si puo' legerge sezna
mloti prleobmi. Qesuto si dvee al ftato che la mtene
uanma non lgege ongi ltetera una ad una, ma la paolra
nel suo isineme. Cuorsio, no?”

Questo è tanto più vero se chi legge è un “LETTORE


ESPERTO”.

MA da “lettore inesperto” COME SI DIVENTA “lettore


esperto”?
Facciamo delle proposte su come migliorare la lettura.

Potenziando la capacità di DECODIFICA, la via


DECIFRATIVA:
-riducendo i TEMPI di riconoscimento;
-di corretta associazione di grafemi a fonemi;
-di corretta produzione fonetica;
-... fino al punto di non doverci più pensare !

Incrementando la capacità di ANTICIPAZIONE, la via


LESSICALE:
-aumentando in numero di PAROLE conosciute;
-aumentando la tipologia di FRASI sentite, lette ed usate;
-aumentando la propria esperienza di diversi tipi di
TESTUALITÀ;
-aumentando la propria esperienza di diversi USI della
lingua, SCOPI, CONTESTI, REGISTRI;
-potenziando cioè la propria esperienza consapevole di
LINGUA.

.LETTURA ANALITICA

SCOPO: COMPRENDERE E SELEZIONARE LE


INFORMAZIONI.

COME: SOTTOLINEARE:
QUANTO ? Poco
COSA ? Informazioni ed idee più importanti
COME ? Uso di segni grafici
EVIDENZIARE I CONCETTI PIÙ IMPORTANTI CON
NOTE A MARGINE E TITOLI.

- Individua i paragrafi ed assegna loro un titolo;


- Individua la gerarchia di informazioni numerando:
.con il numero 1 l’idea centrale, l’informazione più
generale e più importante del testo, che ne riassume il
contenuto globale;
.con il numero 2 le idee principali, senza le quali il testo
non avrebbe senso;
.con il numero 3 le informazioni di supporto che spiegano,
arricchiscono, sviluppano le idee principali;
.con il numero 4 le informazioni che ritieni eliminabili.
Il MITO

La parola mito deriva dal termine greco mythos che


significa «racconto». Il mito è una particolare forma di
narrazione che, attraverso contenuti fantastici, cerca di
dare una spiegazione all’origine del mondo e dell’umanità
e ai diversi aspetti della realtà. Il mito riflette il modo di
vivere e di pensare, le convinzioni religiose e i valori
morali del popolo che l’ha prodotto, pertanto non va
considerato come una creazione fantastica, senza rapporti
con il mondo reale, in quanto ha una sua «verità» da dire,
spesso profonda.

LA FUNZIONE DEL MITO

L’uomo, fi n dai tempi più antichi, ha cercato di scoprire il


«segreto» del mondo circostante e ha cominciato a porsi
delle domande sull’origine dell’universo, sul significato
della vita e della morte, sull’origine del sole, della luna,
dei vari fenomeni naturali. Di qui, ogni comunità
primitiva, priva di quelle conoscenze e di quegli strumenti
scientifici di cui noi oggi disponiamo, ricorse a delle
proprie interpretazioni considerate «vere» e quindi
«sacre». Il racconto mitico, pertanto, svolge una funzione
di «conoscenza» della realtà e nasce dall’esigenza di dare
una spiegazione a ciò che esiste e accade intorno a noi.

LA TRADIZIONE ORALE DEL MITO


I miti dei popoli che non conoscevano la scrittura sono
stati tramandati oralmente, di generazione in generazione,
e solo in epoca recente sono stati raccolti dalla viva voce
di capi tribù o stregoni e trascritti da antropologi ed
etnologi, gli studiosi che si occupano delle società
primitive e delle loro tradizioni. Altri miti, invece, in
particolar modo quelli greci e romani, ci sono stati
tramandati in forma scritta da poeti e cantori.

LE DIVERSE VERSIONI SCRITTE DI UNO STESSO


MITO

Nel corso dei secoli uno stesso mito può essere stato
trascritto molte volte, subendo variazioni o arricchendosi
di dettagli e aggiunte. Ecco perché di uno stesso mito si
trovano più versioni anche con finali diversi. Inoltre, di
molti miti antichi esistono numerose versioni, scritte da
autori diversi, i quali, pur raccontando la stessa vicenda,
l’hanno personalizzata, cioè l’hanno resa differente grazie
al proprio personale stile narrativo.

MITI SIMILI IN POPOLI DIVERSI

Molti miti, pur appartenendo a popoli di epoche diverse e


lontani geograficamente, presentano somiglianze
straordinarie. È il caso, ad esempio, del mito del diluvio
universale presente in numerosissimi miti. Un altro
esempio ci viene dal mito della nascita dell’uomo. Mentre
la Bibbia racconta che Dio lo ha creato a sua immagine e
somiglianza utilizzando il fango e i Greci credevano che il
creatore, usando sempre il fango, fosse stato Prometeo, il
mito dei Polinesiani è incredibilmente affine, anche se
introduce una variante: per loro l’uomo è nato grazie a un
essere superiore che ha impastato l’argilla con il sangue di
diversi animali. In alcuni casi si può ipotizzare che tali
somiglianze siano riconducibili a un unico racconto,
diffuso poi in luoghi lontani e diversi da viaggiatori o
mercanti. Probabilmente, però, tali somiglianze sono
dovute alla presenza di temi costanti ricorrenti nelle
culture di tutte le civiltà: quelli legati ai grandi
interrogativi esistenziali, al bisogno di capire, interpretare
il «mistero» del mondo.

LA STRUTTURA DEL MITO

> La trama di un mito è simile a quella degli altri tipi di


narrazione e pertanto prevede:
– una situazione iniziale;
– una parte centrale o svolgimento, in cui si narrano gli
eventi principali e agiscono i vari personaggi;
– una situazione finale o conclusione.
> I personaggi possono essere:
– uomini comuni;
– uomini straordinari, eroi dotati di poteri eccezionali, a
volte figli di una divinità e di una creatura mortale;
– esseri soprannaturali, divinità o spiriti potenti con poteri
eccezionali;
– creature fantastiche o mostruose, come animali parlanti
o giganti dai poteri fuori dall’ordinario.
> Il tempo è quasi sempre indeterminato, molto lontano.
Tale indeterminatezza temporale conferisce alla narrazione
un valore perenne, di eternità.
> I luoghi sono quasi sempre aperti e fantastici,
immaginari. Anche quando sono reali e descritti in modo
preciso, dettagliato, sono immersi in un’atmosfera
fantastica.

IL LINGUAGGIO DEL MITO

I miti erano racconti fatti più per essere ascoltati che per
essere letti; di conseguenza, chi li narrava doveva
ricordarli facilmente e chi li ascoltava doveva
comprenderli senza difficoltà. Ecco perché il linguaggio
del mito è caratterizzato da frasi brevi e semplici con
prevalenza di nomi e verbi. Inoltre, è ricco di ripetizioni,
cioè di parole ed espressioni che si ripetono così da
permettere a chi ascoltava la narrazione di impararla
facilmente a memoria. Frequenti sono anche le similitudini
che, per mezzo di paragoni, chiariscono concetti
complessi.

IL MITO, FONTE DI INFORMAZIONI

Dalla lettura di un mito possiamo ricavare molte e


interessanti informazioni circa il popolo che lo ha
elaborato, creato. Ad esempio, informazioni relative a:
> tipo di ambiente (favorevole o insidioso, ostile alla vita
di quel popolo);
> tipo di civiltà (pastorale o agricola);
> tipo di società (nomade, sedentaria, guerriera, pacifi ca,
governata da un re...);
> tipo di coltivazioni e specie animali;
> religione, usi, costumi, valori e princìpi morali su cui si
basava la civiltà di quel popolo.

TIPI DI MITO

I miti possono essere suddivisi in:


> miti che spiegano l’origine del mondo e degli uomini;
> miti che spiegano l’origine di fenomeni naturali,
elementi del paesaggio ecc.;
> miti che spiegano l’origine di determinati modi di
produzione o di determinate istituzioni sociali
(matrimonio, pratiche di culto ecc.);
> miti che spiegano i motivi per cui si verificano
determinati fenomeni (morte, alternarsi delle stagioni...);
> miti che descrivono la nascita e le imprese di dei ed eroi.
Per mitologia si intende il complesso, la raccolta più o
meno ampia di miti di un determinato popolo, ma anche lo
studio scientifico dei miti, nei loro rapporti con le
caratteristiche culturali di un’epoca o di una civiltà.
Esistono tante mitologie quanti sono i popoli della terra: la
mitologia africana, ebraica, russa ecc. La mitologia, però,
che ha influenzato maggiormente la civiltà latina e quindi
la nostra cultura è senza dubbio la mitologia greca.

I MITI DELLA CREAZIONE

Molti popoli antichi hanno elaborato racconti che parlano


della creazione del mondo, cercando così di spiegare,
naturalmente sulla base del proprio livello culturale e della
propria esperienza di vita, quell’evento straordinario e
remoto che ha determinato la creazione dell’universo e
dell’uomo. Questi racconti, detti miti cosmogonici (dalle
parole greche kósmos = mondo, universo, e gonía =
nascita, origine), pur appartenendo a popoli diversi, vissuti
in epoche differenti e in luoghi geografi camente molto
lontani, presentano parecchie somiglianze tra loro. Ti
accorgerai infatti, leggendoli, che il mondo prima della
creazione appare come qualcosa di confuso, di indistinto, è
Chaos (= disordine) e solo grazie all’intervento di un
Essere Superiore, una divinità, diventa ordine,
compostezza, armonia, in cui ogni elemento e ogni essere
vivente, compreso l’uomo, trovano una loro precisa
collocazione e distinzione.

Testi nel manuale di epica:


In principio Dio creò il cielo e la terra – Bibbia
La teogonia di Esiodo

Il Popol Vuh

Il Popol Vuh ("Libro della comunità"; Popol Vuh nella


moderna trascrizione Quiché) è una raccolta di miti e
leggende dei vari gruppi etnici che abitarono la terra
Quiché (K'iche'), uno dei regni maya in Guatemala.
Il manoscritto del Popol Vuh più conosciuto e completo è
scritto nel dialetto maya Quiché. Dopo la conquista
spagnola del Guatemala, l'uso della scrittura maya fu
proibito e fu introdotto l'alfabeto latino. Comunque alcuni
sacerdoti e funzionari maya continuarono illegalmente a
copiare il testo, usando però i caratteri latini. Una di queste
copie fu scoperta circa nel 1702 da un sacerdote di nome
Francisco Ximénez nella cittadina del Guatemala di Santo
Tomás Chichicastenango: invece di bruciarla padre
Ximénez ne fece una copia aggiungendovi una traduzione
in lingua castigliana. Questa copia tornò alla luce in un
dimenticato angolo della biblioteca dell'Università di San
Carlos a Città del Guatemala, dove fu riscoperta dall'abate
Brasseur de Bourbourg e da Carl Scherzer nel 1854. Essi
pubblicarono, pochi anni dopo, la traduzione del testo in
francese e inglese, la prima delle molte traduzioni in cui il
Popol Vuh è stato stampato da allora.

Popol Vhu. Capitolo 1

Questa è la narrazione di come tutto stava sospeso, tutto in


calma, in silenzio; tutto immobile, tacito, e vuota era la
distesa del cielo. Questo è il primo racconto, il primo
discorso.
Non v'era ancora un uomo, né un solo animale, uccelli,
pesci, gamberi, alberi, pietre, caverne, dirupi, erbe, boschi:
solo il cielo esisteva.
Non appariva la faccia della terra.
Vi erano solo il mare in calma ed il cielo in tutta la sua
estensione.
Non vi era nulla di costituito, che facesse rumore, né cosa
alcuna che si muovesse, si agitasse, o facesse rumore nel
cielo.
Non vi era nulla che stesse in piedi; soltanto l'acqua in
calma, il mare placido, solo e tranquillo.
Non vi era nulla dotato di esistenza.
Solamente vi era immobilità e silenzio nell'oscurità, nella
notte.

Soltanto il Creatore c'era, il Formatore, Tepeu (sovrano),


Gucumatz, i Progenitori, erano nell'acqua circondati di
chiarore.
Erano nascosti sotto piume verdi e azzurre, perciò
vengono chiamati Gucumatz. Di grandi saggi, di grandi
pensatori è la loro natura. In questo modo esisteva il cielo
ed anche il Cuore del Cielo, ché questo è il nome di Dio e
così viene chiamato.

Il Popol Vuh dice che


all'origine esisteva
soltanto il cielo tenebroso
e l'immobilità del mare
piatto e che in questo
abisso primordiale inerte
apparve, o preesisteva
Dio. All'origine di ogni
cosa c'era una duplice
divinità, padre e madre allo stesso tempo, Tepeu il
creatore e Gucumatz il modellatore, questi sono i nomi
utilizzati dal popolo Quichè del periodo post-classico per
identificare il creatore supremo. Nella lingua Quiché
Tepeu significa anche "sovrano", mentre Gucumazt è
generalmente associato al serpente piumato
frequentemente rappresentato nell'iconografia dei popoli
mesoamericani. Dunque "Tepeu, Guculmatz" si può
tradurre come "sovrano serpente piumato".
Allora vennero insieme Tepeu e Guculmatz; allora si
consultarono sulla vita e sulla luce, come si doveva fare
perché spuntasse l'alba e si facesse giorno, chi avrebbe
dovuto produrre il cibo ed il sostentamento.
- Si faccia così! Si riempia il vuoto!
Si ritiri quest'acqua e sgombri [lo spazio], sorga la terra e
si consolidi! - Così dissero.
- Si faccia chiaro, albeggi nel cielo e sulla terra!
Non vi sarà gloria né grandezza nella nostra creazione e
formazione finché non esisterà la creatura umana, l'uomo
formato -. Così dissero.
Quindi la terra venne da loro creata. Fu così in verità che
avvenne la creazione della terra: - Terra! -dissero, e in un
attimo fu fatta.

Le divinità Tepeu e Guculmatz crearono poi gli animali,


ma dovettero arrendersi al fatto che gli animali creati per
abitare la terra non erano in grado di pronunciare i nomi
dei loro artefici, ma emettevano soltanto versi
incomprensibili, chiaro riferimento all'assenza di
consapevolezza delle proprie origini. La necessità di
generare una creatura consapevole che potesse riconosce
i propri artefici portò alla creazione dell'uomo.

Popol Vhu. Capitolo 2

Abbiamo già provato con le nostre


prime opere, le nostre prime creature;
ma non riuscimmo a farci lodare e
venerare da esse.
Ed allora proviamo a fare degli esseri
obbedienti, rispettosi, che ci
sostentino e ci nutrano -. Così dissero.
Allora avvenne la creazione e la
formazione. Di terra, di limo (fango)
fecero la carne [dell'uomo].

L’ uomo di limo era deforme, non si


muoveva e si scioglieva a contatto
con l'acqua, oltretutto, cosa più importante, non riusciva a
parlare; il suo linguaggio era confuso e non riusciva a
pronunciare il nome dei suoi creatori. Così i creatori
distrussero quest'uomo.

Venga scolpito dal Creatore e dal


Formatore, e se questo [l'uomo di
legno] è quello che ci dovrà
sostentare e nutrire quando spunterà
il giorno, quando albeggerà. ...Allora
parlarono e dissero il vero:
- Riusciranno bene i vostri fantocci
fatti di legno; parleranno e
converseranno sulla faccia della terra.
- Così sia! - risposero, quando parlarono. Ed in un attimo
vennero scolpiti nel legno i fantocci.

I creatori videro che anche l'uomo di legno non rispettava


le loro aspettative così decisero di annientarlo, e per farlo
scatenarono un diluvio.
Il secondo tentativo viene fatto creando uomini di legno.
Si moltiplicarono in gran numero sulla terra ma
nonostante sapessero parlare, non si ricordavano dei loro
creatori, perché erano fantocci senz'anima che andavano
e venivano dove volevano. In realtà come traspare in un
secondo momento della narrazione gli uomini di legno
erano esseri crudeli che non pensavano ad altro se non a
loro stessi. E' evidente che gli uomini di terra e quelli di
legno sono una metafora della condizione umana e
dell'evoluzione che ha portato fino all'uomo compiuto,
condizioni che tutt'oggi risiedono nell'animo umano.

Dopo questi fatti e altre lunghe digressioni, il Popol Vuh


racconta che Tepeu e Gucumatz si riunirono di nuovo con
le altre divinità per creare l'uomo. Il sole non era ancora
sorto, e nel consiglio notturno gli dèi non riuscivano a
trovare una soluzione per creare l'uomo.
Ma ecco che quattro animali, Yac (una lince), Utiú (un
coyote), Quel (un pappagallino) e Hoh (un corvo),
giunsero all'assemblea portando delle pannocchie di mais
bianco e giallo, che provenivano da Paxil e Cayalá, delle
terre meravigliose, feconde e ricche. Così, gli dèi si
rallegrarono e macinarono il mais, con il quale gli dèi
creatori modellarono e plasmarono l'uomo.

I primi uomini creati furono


quattro e si chiamavano Balam-
Quitzé, Balam-Acab, Mahucutah
e Iqui-Balam. Essi furono i primi
antenati dell'umanità ed erano
perfetti, poiché erano dotati della
stessa saggezza e intelligenza
degli dèi. Perfino la loro vista
poteva abbracciare il mondo
intero.
Ma gli dèi compresero che tutto ciò non poteva sussistere,
perché altrimenti non ci sarebbe stata nessuna differenza
tra creatori e creature. Perciò, gli dèi ridussero e
ridimensionarono la vista e l'intelligenza degli uomini di
mais alitando su di loro e facendo in modo che il loro
sguardo si annebbiasse.
Infine, gli dèi generarono anche le prime quattro donne:
Cahá-Paluna, moglie di Balam-Quitzé; Chomihá, moglie
di Balam-Acab; Tzununihá, moglie di Mahucutah; e infine
Caquixahá, moglie di Iqui-Balam.
Queste quattro coppie di antenati diedero origine alle tribù
quiché e le tredici case più importanti di questo popolo.

Ricerca sul mito della creazione Muisca.

La mitologia classica

In questa sezione del percorso, ci si concentrerà


essenzialmente sulla cosiddetta "mitologia classica",
elaborata dai Greci e successivamente ripresa e trasmessa
fino a noi (con l'aggiunta di elementi autoctoni) dai
Romani.

GENEALOGIA DEGLI DEI DELL'ANTICA GRECIA

Quasi tutte le narrazioni mitologiche prendono le mosse


dal racconto delle origini del mondo: non fa eccezione
neppure la mitologia greca.
Con una significativa espressione, si dice solitamente che
Omero ed Esiodo (VIII-VII secolo a.C. ca.), i massimi
poeti epici della Grecia antica, abbiano "dato gli dei ai
Greci". Grazie alle loro opere immortali, l'Iliade, l'Odissea
e la Teogonia, infatti, essi fissarono in maniera definitiva i
caratteri essenziali degli dei che formarono il Pantheon
(L’insieme degli dei e dei personaggi mitologici venerati
da un popolo, da una nazione) greco.
In particolare Esiodo, nella sua Teogonia (termine che
significa 'genealogia delle stirpi divine', dal greco theòs,
'dio' e ghénos, 'stirpe'), racconta come gli dei, e con essi il
mondo, abbiano avuto origine dal Caos (che significa
'abisso', 'voragine', 'apertura spalancata', o forse
semplicemente 'spazio vuoto', condizione primordiale
indifferenziata, personificazione dell'immenso vuoto
oscuro e privo di senso. Tale entità primigenia, indicata
come una sorta di divinità ancestrale, è antecedente
all'Ordine o Cosmos, e si contrappone ad esso in quanto
disordine, totale assenza di un qualsiasi principio
ordinatore.
Dal Caos si originò la Terra (Gea o Gaia), che a sua volta
generò il Cielo (Urano), affinché l'abbracciasse
completamente, le grandi montagne e infine Ponto, il
Mare. Contemporaneamente alla Terra nacque Eros,
l'energia fecondatrice che rese possibili le successive
procreazioni e garantì il succedersi delle generazioni.
Sempre dal Caos trassero origine Erebo (la Tenebra) e
Nyx (la Notte). Dall'unione di queste ultime entità si
generarono i loro contrari: Etere, personificazione del
Cielo superiore, più puro in quanto meno vicino alla Terra,
ed Emera, il Giorno.

Nel racconto di Esiodo l'attenzione a questo punto si


sposta dal divenire naturale del mondo (cosmogonìa) al
suo ordine attuale (Cosmo), la cui continuità tuttavia non
si può spiegare se non facendo riferimento al ciclo delle
nascite.
Essendosi ormai formalmente compiuta la cosmogonìa,
ebbe luogo la teogonìa ('generazione degli dei'): il Cielo e
la Terra generarono esseri mostruosi, trasposizioni mitiche
di forze naturali minacciose e devastanti, non ancora del
tutto piegate alle necessità del divenire cosmico, come i
Titani, i Ciclopi e gli Ecatonchiri (giganti con cento
braccia e cinquanta teste).
Urano, che odiava i propri figli, costrinse Gea a
rinchiuderli nel suo ampio seno. Tuttavia la Terra,
sentendosi oppressa dal troppo peso, incitò la propria prole
alla ribellione. Il più giovane dei Titani, l'astuto Crono,
armato dalla madre-Terra col ferro estratto dalle proprie
viscere, evirò il padre Urano e ne usurpò il trono. Dal
sangue di Urano, Gea generò le Erinni, divinità
sanguinarie e violente, vendicatrici dei crimini contro la
famiglia e l'ordine costituito. I genitali recisi di Urano
caddero in mare e, dalla schiuma delle onde, generarono
Afrodite, dea dell'amore e della bellezza.
Col regno di Crono - una sorta di mitica Età dell'Oro -
ebbe inizio la vera e propria storia degli dei. Sotto il suo
dominio si accoppiarono i Titani, che egli stesso aveva
liberato dal ventre della Terra. Crono stesso si unì alla
sorella Rea, che generò tre maschi (Ade, Poseidone e
Zeus) e tre femmine (Estia, Demetra ed Era). Temendo
che uno dei suoi figli potesse spodestarlo, Crono prese a
divorarli nel momento stesso della loro nascita, ma Rea
riuscì a salvare da tale sorte Zeus, dando da mangiare al
compagno una pietra.
Zeus, una volta cresciuto, costrinse il padre a vomitare i
fratelli e le sorelle, e li guidò alla rivolta contro il genitore.
I ribelli, accampati sul monte Olimpo (dalla cima
perennemente ricoperta di neve e nascosta all'occhio
umano dalle nubi), vennero appoggiati da alcuni Titani,
mentre altri si schierarono dalla parte del fratello Crono.
La lotta - uno scontro "titanico" nel vero senso della
parola, la cosiddetta titanomachìa - durò a lungo, ma alla
fine si concluse con la vittoria di Zeus e con
l'instaurazione del suo regno. Al massimo artefice della
vittoria spettò il sommo potere, ma il mondo venne diviso
in tre parti: a Zeus, oltre al comando supremo, spettò il
dominio sul cielo; Poseidone ebbe il mare, mentre ad Ade
spettò ciò che sta sotto il suolo - ovvero il Regno dei
Morti.
Dopo la sua vittoria, Zeus legò al suo ordine tutti gli
elementi benefici e malefici del mondo. Secondo la
narrazione esiodea, il regno di Zeus è l'ultimo e definitivo
regno di un dio (il dio supremo) sull'universo: tale regno è
destinato a durare in eterno; l'ordine instaurato attraverso
la lotta vittoriosa con Crono rimarrà fissato per sempre.

Gli antichi Greci adoravano molti dei e non esitavano ad


assorbire elementi (divinità, riti, forme di culto) dalle
popolazioni che vivevano ai confini del loro mondo. Il
politeismo (religione fondata sul culto di più divinità
antropomorfe) greco era essenzialmente un sistema aperto
a modificazioni, adattamenti e aggiunte: così, ad esempio,
la dea orientale Astarte si trasformò in Afrodite, mentre il
giovane fanciullo Adone, da lei amato, riecheggiava,
anche nel nome, un'antica divinità asiatica legata
all'alternanza delle stagioni; Artemide era in origine una
divinità orientale del mondo animale; Eolo, il dio dei venti
della tradizione omerica, era anch'esso il risultato di un
adattamento, e così via.
Queste continue riprese e trasposizioni erano rese possibili
dal fatto che la religione greca, a differenza delle grandi
religioni monoteistiche del Mediterraneo (prima tra tutte
l'Ebraismo), non si fondava su alcuna rivelazione
"positiva" direttamente concessa dalla divinità agli uomini
e codificata in un Libro Sacro: le storie degli dei venivano
trasmesse oralmente attraverso le narrazioni mitiche.
Non esistendo testi sacri, non esisteva nel mondo greco un
gruppo di interpreti specializzati nell'esegesi
(l'interpretazione critica di testi finalizzata alla
comprensione del significato) di tali testi: in genere,
l'interpretazione di messaggi divini (tranne rare eccezioni,
rappresentate dagli oracoli) rimase appannaggio di poeti e
artisti. A differenza di quanto avveniva presso le
popolazioni mesopotamiche o in Egitto, nell'antica Grecia
non c'è mai stata una casta sacerdotale permanente e
professionale: in teoria qualsiasi cittadino poteva essere
eletto a svolgere l'incarico di allestire cerimonie religiose,
e tale compito era in linea di massima considerato del tutto
simile a quelli affidati alle varie magistrature cittadine.
L'elasticità e la ricettività della religione greca hanno fatto
sì che non vi fossero dogmi di fede di cui si dovesse
imporre e sorvegliare il rispetto, e la cui trasgressione
desse luogo ad eresia ed empietà.

Allo stesso modo, anche i Romani hanno recepito dai


Greci gran parte dei loro dei: alcune divinità ripresentano
semplicemente, sotto nomi diversi, le stesse caratteristiche
ed attribuzioni (è il caso di Giove/Zeus, di Giunone/Era e
di molti altri; in altri casi sono presenti lievi adattamenti o
vengono aggiunti nuovi miti (come quelli relativi alla
fondazione di Roma o alla cacciata dell'ultimo re
Tarquinio il Superbo).

Secondo i Greci, su tutti gli esseri viventi e sugli stessi dei


regna incontrastata un'entità arcana e potentissima,
superiore ad ogni altra cosa: il Fato, rappresentazione della
necessità ineluttabile delle cose, cui neppure gli dei
dell'Olimpo possono sottrarsi.
Il Fato è anche l'unico dio privo di volto umano: le altre
divinità del mondo classico sono infatti antropomorfe, cioè
tradizionalmente rappresentate con caratteristiche simili a
quelle umane, non soltanto nell'aspetto, ma anche nei
sentimenti e negli atteggiamenti. In altri termini, gli dei
del mondo greco-romano condividono con gli esseri
umani passioni, virtù, qualità positive, ma anche vizi,
difetti e bisogni; in sostanza, solo l'immortalità e i poteri
soprannaturali li rendono differenti dall'uomo.
Come si è visto, ogni divinità possiede particolari
prerogative e poteri, ma solo limitatamente a quegli aspetti
del mondo e della vita che rientrano sotto il dominio delle
sue specifiche competenze.
Pur essendo superiori all'uomo e per questo oggetto di
venerazione, le divinità olimpiche sono agitate da passioni
al pari degli esseri umani: in maniera del tutto simile a
uomini e donne amano, odiano, manifestano invidia,
gelosia o disperazione e partecipano attivamente alle
vicende umane, come mostrano i molti miti che hanno
appunto per protagonisti esseri divini.

MITOLOGIA CLASSICA: I MITI DI EROI

Non di soli dei e uomini è popolata la mitologia classica:


la fervida fantasia degli antichi seppe creare anche una
moltitudine di creature intermedie, tra le quali figurano gli
eroi .
Essi erano dotati di forza eccezionale, di doti di prestanza
fisica e di coraggio non comuni che li distinguevano dal
resto dell'umanità, ma, come ogni altro uomo, non erano
in grado di sottrarsi alla morte.
Generalmente, erano frutto dell'unione di un essere umano
con uno degli dei dell'Olimpo, del quale avevano ereditato
la forza, ma non la natura divina, che lasciava il suo posto
all'umana vulnerabilità di fronte alle insidie del mondo.
Un aspetto importante va chiarito da subito e tenuto
presente ogni qualvolta ci si accinga allo studio di questo
tipo di mito: il termine eroe designa spesso, nell'uso
corrente, un uomo qualunque dimostratosi capace di azioni
fuori dal comune, dando prova di particolare coraggio o
abnegazione. L'eroismo, per noi moderni, è quindi virtù
molto spesso morale, che poco ha a che vedere con le doti
fisiche di chi la possiede.
Non è così nel mondo classico: l'eroe non è, in questo
caso, un uomo comune: egli si innalza al di sopra di tutti
gli umani e dimostra la sua superiorità soprattutto (ma non
sempre esclusivamente) sul piano della forza fisica.
Si potrebbe affermare che, ammettendo che vi siano figure
per certi versi paragonabili a quelle degli eroi della
mitologia greco-romana nel nostro immaginario collettivo
contemporaneo, esse vadano ricercate in prodotti
dichiaratamente commerciali e spesso orientati alla pura
evasione, come alcuni generi di fumetto, di cinema o di
telefilm, popolati da super-eroi, che fanno di particolari
doti fisiche e dei poteri più singolari ed inverosimili la loro
sigla distintiva.

Le principali divinità greche adottate poi dai Romani.

Nome Greco ​ Nome Latino ​


Caratteristiche

Ade ​ Plutone ​ Dio degli


inferi e signore dei morti.

Afrodite ​ Venere ​ Dea


della bellezza, del desiderio e dell'amore. Nella
mitologia romana: dea dei giardini e dei campi.

Apollo, Febo ​ Apollo ​


Dio della profezia, della medicina e dell'ispirazione
artistica e successivamente dio del Sole.

Ares ​ Marte ​ Dio


della guerra.

Artemide ​ Diana ​ Dea


della caccia. Fu anche dea della Luna.

Asclepio ​ Esculapio ​ Dio della


medicina.
Atena, Pallade ​ Minerva ​ Dea
delle arti, dei mestieri e della guerra, soccorritrice degli
eroi e della saggezza.

Crono ​ Saturno ​ Dio dei


cieli, signore dei titani.
Nella mitologia romana: Dio dell'agricoltura.

Demetra ​ Cerere ​ Dea del


grano e dei raccolti.

Dioniso ​ Bacco ​ Dio del


vino, della vegetazione e dell'ebbrezza estatica.

Ebe ​ Juventa ​ Dea della


giovinezza.

Efesto ​ Vulcano ​ Dio del


fuoco e della lavorazione dei metalli; fabbro degli dei.

Elio ​ Sole ​ Dio


Sole.

Eos ​ Aurora ​ Dea


dell'aurora.
Era ​ Giunone ​ Dea del
matrimonio e del parto, regina degli dei.

Eracle ​ Ercole ​
Eroe invincibile, divinizzato dopo la morte.

Erinni ​ Furie ​ Dee


della vendetta implacabile.

Ermes ​ Mercurio ​
Messaggero degli dei, protettore dei viaggiatori, dei ladri,
dei mercanti, degli inventori e scienziati.

Eros ​ Cupido ​ Dio


dell'amore.

Estia ​ Vesta ​
Protettrice della casa e del focolare.

Gea ​ Terra ​ La
Madre Terra.

Hypnos ​ Sonno ​ Dio del


sonno.

Leto ​ Latona ​
Madre di Apollo e di Artemide.

Moire ​ Parche ​
Dee del destino degli uomini.

Nike ​ Vittoria ​
Dea della vittoria.

Persefone ​ Proserpina ​ Dea degli


inferi e delle stagioni.

Poseidone ​ Nettuno ​ Dio


del mare e dei terremoti.

Rea ​ Opi ​ Moglie


di Crono e Dea Madre.

Selene ​ Luna ​ Dea


Luna.
Urano ​ Cielo ​ Dio
del cielo, padre dei titani.

Zeus ​ Giove ​
Signore degli dei.

L'elenco propone le dodici divinità olimpiche


descrivendone l'aspetto e i simboli che li caratterizzano.

Nome
Nome greco Immagine Descrizione Generazione
romano

Re degli dei e sovrano


del Monte Olimpo, dio del
cielo, del fulmine e dei
fenomeni atmosferici. Il più
giovane figlio
dei Titani, Crono e Rea. I
Zeus Giove Prima
simboli sono la folgore, l'aquila,
la quercia, lo scettro e
la bilancia. Fratello e marito
di Era, essa è la sua sposa
ufficiale, perché egli ha avuto
molte amanti.

Regina degli dei, è la dea del


matrimonio e della famiglia, e
anche dei legami e delle
unioni. I simboli sono
il pavone, il melograno,
la corona, il cuculo, la
Era Giunone leonessa e la mucca. La più Prima
giovane figlia di Crono e Rea.
Moglie e sorella di Zeus.
Essendo la dea del
matrimonio, ha spesso cercato
di vendicarsi sulle amanti di
Zeus e sui loro figli.

Dio signore del mare, di tutte le


acque, dei terremoti, della
navigazione, dei cavalli e delle
sorgenti. I suoi simboli sono
il cavallo, il toro, il delfino ed
Poseidone Nettuno Prima
il tridente. Figlio di Crono e
Rea. Fratello di Zeus e Ade.
Sposato con la nereide
Anfitrite, anche se aveva molte
amanti.

Dea della fertilità,


dell'agricoltura, delle piante. I
simboli sono il papavero, il
grano, la fiaccola e il maiale.
Demetra Cerere Prima
Seconda dei sei figli
di Crono e Rea. Dal suo nome
di Crono e Rea. Dal suo nome
latino, Cerere, deriva la parola
"cereale".

Dio del vino, delle feste,


dell'impulso vitale, della follia e
dell'ebbrezza. I simboli sono
la vite, l'edera, la coppa, la
tigre, la pantera, il leopardo, i
delfini e la capra. Figlio di Zeus
e della mortale Semele,
Dioniso oBacco Bacco principessa tebana. Sposato Seconda
con la principessa cretese
Arianna. Il più giovane dio
olimpionico, nonché l'unico ad
essere nato da una donna
mortale.

Dio delle arti, della musica,


della poesia, della profezia e
della divinazione, della scienza
e della conoscenza, della
malattia e della medicina, della
luce, dell'ordine e del tiro con
Apollo oFebo Apollo o Febo Seconda
l'arco. I simboli sono il Sole, la
lira, l'arco e le frecce, il corvo
imperiale, il delfino, il lupo, il
cigno e il topo. Fratello gemello
di Artemide. Il più giovane figlio
di Zeus e Leto.

Dea vergine della caccia, della


verginità, del tiro con l'arco e di
tutti gli animali del bosco. I
simboli sono la Luna (con cui
Artemide Diana viene identificata), il cervo, il Seconda
cane, l'orsa, il cipresso, l'arco e
le frecce. Primogenita figlia di
Zeus e Leto e sorella gemella
di Apollo.

Messaggero degli dei, dio del


commercio, dell'eloquenza e
dei ladri. I simboli sono
il caduceo, i sandali alati (che
usa per spostarsi
velocemente), il cappello alato,
la cicogna, il serpente e la
tartaruga, con il guscio della
quale creò la lira. Figlio di Zeus
Hermes Mercurio Seconda
e della pleiade Maia. Il
secondo più giovane dio
olimpico, di poco più vecchio
di Dioniso. Sposò Driope, la
figlia di Eurito, e il loro
figlio Pan divenne il dio della
natura, signore dei satiri,
inventore del flauto di Pan e
compagno di Dioniso.

Dea vergine della saggezza,


dell'ingegno, della guerra
strategica e della strategia
stessa, della guerra difensiva,
della guerra fatta per giusta
causa e delle arti utili e
dell'artigianato. I simboli sono
dell'artigianato. I simboli sono
la civetta l'ulivo, la lancia
appena forgiata e l'egida. Figlia
Atena Minerva di Zeus e dell'oceanina Meti, Seconda
nata dalla fronte del padre già
adulta ed armata, dopo che
questi aveva ingoiato la madre
trasformata da lui stesso in
una mosca (in altre versioni
era stata mutata in una goccia
d'acqua). È la sacra protettrice
della città di Atene.

Dio della guerra, della


violenza, della rabbia e dello
spargimento di sangue. Il
Marte romano ha invece
connotazione sempre positiva
e oltre che alla guerra è
collegato alla gioventù
maschile. I suoi simboli sono il
Ares Marte Seconda
lupo, il cinghiale, il picchio
,
verde l'avvoltoio, la lancia
insanguinata e lo scudo. Figlio
di Zeus e Hera, tutti gli altri dei
(esclusa Afrodite) lo
disprezzavano. Il suo nome
latino, Marte, ha dato origine
alla parola "marziale".

Dea dell'amore, della bellezza,


del desiderio amoroso, della
buona navigazione. I suoi
simboli sono colomba,
passero, mela, ape, mirto e
rosa. Figlia di Zeus e Seconda
dell'oceanina Dione o, secondo
un altro mito, nata dal sangue o dalla
Afrodite Venere di Urano versato nel mare generazione
dopo essere stato sconfitto dal di
suo figlio minore Crono.
Sposata con Efesto, ha Titano
comunque avuto molte storie
extra coniugali, soprattutto con
Ares. Il suo nome ha dato
origine alla parola
"afrodisiaco".

Fabbro degli dei, dio del


fuoco,della metallurgia, della
tecnologia, e delle armi
appena forgiate. I suoi simboli
sono fuoco, incudine, ascia,
asino, martello, pinze e
quaglia. Figlio di Era,
concepito a seconda del mito
da Era da sola, o insieme a
Efesto Vulcano Seconda
Zeus. Dopo la sua nascita fu
gettato dal monte Olimpo e
cadde sull'isola di Lemno.
Sposato con Afrodite, le fu
Sposato con Afrodite, le fu
fedele al contrario della
maggior parte dei mariti della
mitologia. Il suo nome latino ha
dato origine alla parola
"vulcano".

Estia/Vesta dea della casa e del fuoco sacro (acceso per onorare le divinità), annoverata
inizialmente tra gli Olimpi preferendo vivere fra gli uomini, cederà il suo posto ad un
Dioniso ormai affermato e Demetra deciderà di vivere per sei mesi nell'Ade vicino alla
figlia Persefone/Proserpina, dea del ciclo delle stagioni e regina degli Inferi.
Ade /Plutone, dio che governa su tutto l'Oltretomba, dio dei morti e delle ombre. Pur essendo
una delle divinità maggiori e più potenti della Grecia Antica, non è presente poiché non abita
sull'Olimpo, la sua dimora sta nel regno dei morti e nei Campi Elisi.

La dimora degli Dei: l’Olimpo.


Il monte Olimpo (2.919 m.) è la cima più alta della catena
di monti che divide la Macedonia dalla Tessaglia. La vetta
dell'Olimpo è coperta d'inverno dalla neve; più sotto
crescono cupe foreste di abeti, dopo le quali si estendono
fitte macchie mediterranee. La cima è spesso nascosta
dagli sguardi umani da un denso strato di nuvole,
squarciate ogni tanto, dal bagliore dei lampi, seguiti dal
rumore dei tuoni. Secondo i Greci, sopra queste nuvole vi
erano le dimore degli Dèi, con porticati e splendidi
giardini; nessun vento osava penetrare nel sacro recinto e
sopra vi era un cielo sempre azzurro, luminoso

e sereno. In questo bellissimo luogo, Zeus aveva costruito


il suo palazzo d'oro, dove viveva con la sua sposa Era;
nella vasta sala del trono si radunava quasi ogni giorno il
Concilio degli Dei, per governare il mondo. Attorno al
palazzo di Zeus si ergevano le dimore di altre divinità, che
insieme a Zeus, formavano il Concilio degli Dei Celesti,
conosciute meglio come Divinità Olimpiche. Ciascuna di
queste divinità non abitava sola nel proprio palazzo ma
come ogni re aveva a seguito dei cortigiani; così ogni
divinità maggiore aveva una corte di divinità minori.

LA NASCITA DEL PRIMO UOMO

Si racconta nelle antiche leggende


che ci sono state tramandate, ora in
forma orale, ora il forma scritta da
persone così lontane da noi da
essersene perso persino il ricordo, di
Prometeo, il più saggio tra i Titani, il
cui nome significa «colui che è
capace di prevedere».
Prometeo era figlio del Titano Giapeto e dell'oceanina
Climene e viveva con il fratello Epimeteo il cui nome vuol
dire «colui che comprende in ritardo». Entrambi facevano
pertanto parte della famiglia dei Titani che avevano osato
sfidare Zeus quando aveva combattuto contro Crono, suo
padre, per impossessarsi del trono. Prometeo però, a
differenza dei fratelli, si era schierato con Zeus e aveva
partecipato alla lotta solo quando oramai volgeva al
termine. Come premio aveva ricevuto di poter accedere
liberamente all’Olimpo anche se, nel profondo del suo
cuore, i sentimenti che Prometeo provava nei confronti di
Zeus non erano amichevoli a causa della sorte che questi
aveva destinato ai suoi fratelli.
Zeus, per la stima che riponeva in Prometeo, gli diede
l'incarico di forgiare l'uomo che modellò dal fango e che
animò con il fuoco divino.
A quell'epoca, gli uomini erano ammessi alla presenza
degli dei, con i quali trascorrevano momenti conviviali di
grande allegria e serenità. Durante una di queste riunioni
tenuta a Mekone, fu portato un enorme bue, del quale metà
doveva spettare a Zeus e metà agli uomini. Il signore degli
dei affidò l'incarico della spartizione a Prometeo che
approfittò dell'occasione per vendicarsi del re degli dei.
Divise infatti il grosso bue in due parti ma in una celò la
tenera carne sotto uno spesso strato di pelle e nell'altra,
macinò insieme le ossa e il grasso che ricoprì con un
sottile strato di pelle tanto da far sembrare quest'ultima il
boccone più succulento. Zeus, poichè gli toccava la prima
scelta, optò per la parte all'apparenza più ricca. Subito
dopo accortosi dell'inganno, più che mai irato, privò gli
uomini del fuoco, riportandolo nell'Olimpo. Prometeo,
considerata ingiusta la punizione, rapì qualche scintilla
dall'Olimpo nascondendola in un giunco e riportò così il
fuoco agli uomini.
Zeus, accortosi dell'inganno che Prometeo gli aveva
perpetrato, decise una punizione ben più grande di quella
che aveva destinato ai suoi fratelli: ordinò a Ermes e a
Efesto d'inchiodare Prometeo a una rupe nel Caucaso,
dove un'aquila durante il giorno gli avrebbe roso il fegato
con il suo becco aguzzo mentre durante la notte si sarebbe
rigenerato.

LA NASCITA DELLA PRIMA DONNA

Zeus, non contento della punizione che


aveva inflitto a Prometeo, decise di
punire anche la stirpe umana.
Dato che nel mondo non esisteva
ancora la donna, Zeus diede incarico a
Efesto di modellare un’immagine
umana servendosi di acqua e di argilla
che non avesse nulla da invidiare alla
bellezze delle dee, per l'infelicità del
genere umano. Efesto fu tanto bravo nel modellarla che la
donna che ne ebbe origine era superiore a ogni elogio e a
ogni possibile immaginazione. Tutti gli dei furono
incaricati da Zeus di riporre in lei dei doni: Atena le donò
delle vesti morbide e leggere a significare il candore, fiori
per adornare il corpo e una corona d’oro, mentre Ermes
pose nel suo cuore pensieri malvagi e sulle curve sinuose
delle sue labbra, frasi tanto seducenti quanto ingannevoli.
A questa creatura fu dato nome Pandora (dal greco pan
doron «tutto dono») perché ogni divinità dell'Olimpo le
aveva fatto un regalo.
Mancava solo il regalo di Zeus che fu superiore a tutti gli
altri doni. Egli infatti, donò alla fanciulla un vaso (il vaso
di Pandora), con il divieto di aprirlo, contenente tutti i mali
che l’umanità ancora non conosceva: la vecchiaia, la
gelosia, la malattia, la pazzia, il vizio, la passione, il
sospetto, la fame e così via.
Quindi Zeus affidò la fanciulla a Ermes perché la portasse
in dono a Prometeo che però, pensando a un inganno,
rifiutò il dono. Allora Zeus ordinò a Ermes di portarla a
Epimeteo, fratello di Prometeo, che appena la vide si
innamorò di lei e l’accetto come sua sposa nonostante i
moniti del fratello che gli aveva raccomandato di non
accettare alcun dono dagli dei.
Dopo poco che Pandora era sulla terra, presa dalla
curiosità aprì il vaso. Da esso veloci corsero come fulmini
sulla terra tutti i castighi che Zeus vi aveva riposto: la
malattia, la morte, il dolore, e tanti altri, fino ad allora
sconosciuti. L’unico dono buono che Zeus aveva posto nel
vaso rimase incastrato sotto il coperchio che subito
Pandora aveva chiuso: era l’Elpis, la speranza.

La leggenda narra che dopo trent'anni Prometeo fu liberato


dal supplizio da Eracle (Ercole) che recatosi fino alla cima
del Caucaso con una freccia uccise l'aquila liberando così
Prometeo al quale Zeus concesse di ritornare nell'Olimpo.
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