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Salvador Dalì (Salvador Domingo Felipe Jacinto) nasce nel 1904, in Cataluña.

La Cataluña era la zona più


industrializzata e ricca di spagna, e la più piena di memorie storiche, perchè all'inizio del secolo erano emersi da
scavi dei reperti dell'arte Iberica. Dalì nasce avendo già alle spalle un fantasma, quello del fratello che aveva lo
stesso nome ma che è morto prima che nascesse lui. Quattro anni dopo nasce poi la sorella Ana Maria, nel 1908,
con cui avrà inizialmente un rapporto di complicità (la dipingerà più volte) dopodiché diventerà un rapporto
contrastato a tal punto da portare Maria a scrivere un libro crudele sull'autore, il peggiore scritto sull'artista.
Dalì ebbe un'esperienza didattica disastrosa. studiò prima alla scuola laica, poi alla scuola cristiana di lingua
francese (ripete 4 volte la prima e 2 la seconda). Il primo pittore importante che Dalì conosce era Ramon Pichot
nel 1916, amico di Picasso. A casa di Pichot, intorno alla metà/fine degli anni '10 vede delle opere impressioniste.
l'impressionismo viene definito da Dalì come "informi strati di colore gettati con casualità", era infatti una sorta di
rivoluzione del linguaggio. Per Dalì era la prima scoperta dell'arte moderna, ma poi conosce anche il divisionismo
tramite il pittore Ramòn, detto anche "neoimpressionismo", un qualcosa di opposto all'impressionismo, è un modo di
dipingere non più "gettando segni" ma dipingendo a piccoli punti, un ritornare a calcolare un disegno preciso,
razionale. il paesaggio, i soggetti raffigurati tornano ad avere una trama precisa, l'opera non è più un'impressione,
ma un calcolo, una composizione. Pichot era passato da un deliquescente impressionismo ad un puntinismo. E' proprio
con questo modo di dipingere che Dalì dipinge "L'enigma di Guglielmo Tell". Ed ecco che nel 1921 circa Dalì riprende il
puntinismo e si riprende come "bambino malato". Da lì, dopo il periodo puntinista intorno al 1921, comincia ad
avvicinarsi al cubismo*, in particolare legge "L'Espirit Nouveau", rivista fondata da Le Corbusier. In particolare
Dalì si sente attratto da Juan Gris, pittore Spagnolo autore di raffinate composizioni caratterizzate dall'uso
prevalente del grigio. Dalì guarda molto alla pittura di Gris, ma di certo non è interessato agli stessi soggetti. Per
lui la pittura è sempre rappresentazione delle ansie, amori e sentimenti che ci scuotono, esprimere le vere tragedie
e passioni umane. Mentre il pittore si avvicina al cubismo e inizia a sperimentarlo, si iscrive all'accademia di Madrid
nel 1923 con cui ha subito un rapporto conflittuale. Avendo un profondo interesse per la tecnica, si accorge che non
riesce ad imparare nulla sulla tecnica. Infatti si rende conto che doveva fare l'esatto opposto di quello che gli
veniva insegnato. Dalì voleva tornare al mestiere tradizionale, padroneggiare il linguaggio e la tecnica. In
Accademia conosce quello che diverrà un suo grande amico, Louis Boñuel. Dalì venne espulso nell'ottobre del 1923
per aver manifestato contro la mancata assunzione del pittore cubista Vazquez Diaz. Nella metà degli anni 20
Dalì entra in quel movimento chiamato "ritorno all'ordine" che si avvicina in particolare ala grande arte classica dei
tempi passati. Sono gli anni in cui nasce il surrealismo, con il manifesto di Breton nel 1924. Il surrealismo cerca di
esprimere la dimensione del sogno, del meraviglioso. Per cui diventa importante anche l'automatismo, cioè
l'espressione non pensata, non progettata. Ed è proprio in questi anni, in cui si avvicina al Surrealismo, conosce la
futura moglie Gala, colei che diventerà sua compagna per la vita e con cui vivrà nel paesino di Port Lligat, un borgo
di pescatori molto isolato. In questo momento "faticosamente felice" della sua vita dipinge quella che diventerà
uno dei suoi più grandi capolavori "Il grande masturbatore". Con questo quadro Dalì entra a far parte del gruppo
di Breton. Sempre negli anni in cui Dalì dipinge "Il grande Masturbatore" crea con Buñuel un film sperimentale, "Un
chien Andalou". Sempre in questo periodo (qualche anno dopo) Dalì inizia a lavorare sul tema della "memoria"
creando uno dei suoi quadri più famosi "La persistenza della memoria". A questo tema Dalì dedica molte opere, tra
le più liriche, le meno segnate da quelle paure che sempre lo tormentavano, come ad esempio "Il carro fantasma".
Altro tema trattato in questi anni è "l'ossificazione". In questo periodo tramite la pittura precisa e nitida Dalì
dipinge Gala in una sorta di doppio con "L'Angelus di Gala". In questo periodo i protagonisti del cubismo e del
futurismo si riavvicinano a ideali classici, e quando si dice ideali classici si intende: una figura compiuta, non
scomposta in linee e colori; la ricostituzione del volume; la prevalenza del disegno sul colore; la ricostruzione di uno
spazio rinascimentale (cioè con una prospettiva); e dei tempi che si riallacciano ai secoli passati. Naturalmente
questo riallacciarsi al passato non è un andare indietro, ma avanti. Nelle opere, anche le più apparentemente vicine
a 3/4/500, si immette qualche cosa di nuovo, nessun'artista aveva mai fatto posare il suo soggetto di spalle.
Nell'immediato dopoguerra Dalì prosegue in maniera classica.

In Dalì troveremo sempre questi due aspetti: IRRAZIONALITA' E PRECISIONE.

Metodo paranoico critico: riversava tutte le sue paure e paranoie nei suoi quadri razionalizzandole. Capendo
l'oggetto della propria paura lo si può razionalizzare meglio. lo sforzo di Dalì è di essere il più preciso possibile nei
contenuti fino a toccare elementi di scandalo.

*cosa significa cubismo: non ha niente a che fare con i cubi se non nella fase iniziale, che è un raddensamento
volumetrico dopo l'impressionismo, ma poi ben presto (già a partire dal 1909) diventa una scomposizione della
forma e un modo di rappresentare le cose staccato dalla natura e dalla realtà.

*sezione aurea: legge di armonia che si trova nell'arte classica e in natura. Dalì studia questi algoritmi per cui la
parte maggiore sta alla parte minore come il tutto alla parte maggiore.

"tutte le mie ambizioni in pittura consistono nel rendere percettibile, con la massima precisione, le immagini
fantastiche dell'irrazionalità" Dalì, la conquista dell'irrazionale, 1935.
"Figura paterna" (1920) è importante soffermarsi su questo quadro che Dalì
dipinge dedicandolo al padre. Dalì dipinge il padre in maniera torreggiante,
monumentale, con tutti gli attributi di ricchezza, imponente. dietro vediamo una
figura indistinta e piccola che si dilegua da una parte, che è la figura
dell'artista stessa, che si dipinge come una sorta di ameba, un qualcosa di
incomprensibile.

"Il bambino malato" (1921) Dalì si autoritrae da bambino malato, davanti al mare della Costa brava, dove
andava a trascorrere le vacanze estive. Alle sue spalle vediamo
un canarino in gabbia, simbolo delle costrizioni entro cui viveva.
Il bambino infatti non è malato perchè ha preso una vera
malattia, ma per mancanza di libertà, perchè la figura paterna
(Dalì perde la madre molto giovane, quindi l'unico rapporto che
ha con gli adulti era quella con il padre) così incombente è
portatrice di malattia. basti guardare la mano del bambino,
assolutamente visionaria, rappresentata in maniera scheletrica,
allungata. così come il cucchiaio sulla tavola, che sembra molle,
liquefascente.

"Venere e marinaio" (1925) predominanza di toni freddi ispirati alla pittura di Grìs. I soggetti di Dalì però sono
sempre riguardanti quello che scuote il cuore dell'uomo, qua vediamo
Venere accanto alla figura di Marinaio in una finestra che si affaccia
sul mare, la ringhiera del terrazzo che diventa quasi un arabesco, e
sullo sfondo una nave con la visione di una marina. ma la cosa più bella è
che attraverso questa libertà compositiva l'artista riesce a suggerire
quella magia propria dell'amore di essere fusione, compenetrazione. se
guardiamo le due figure, ad un certo punto non riconosciamo più il corpo
dell'uno e dell'altra, si intersecano insieme con uno straordinario senso di
armonia. è la libertà del cubismo, attraverso cui il pittore vuole
esprimere qualcosa che non è semplicemente carte da gioco, strumento
musicale o qualsiasi altro oggetto banale (tutti pretesti utilizzati dal
cubismo). non a caso quest'opera si chiama anche "Omaggio a Salvat-
Papassein" che fu il più importante poeta futurista catalano. che
scrive in alcuni suoi versi "Nada ha escrito aùn sin mojar la pluma en el
corazòn, abierto de par en par". cioè: non ho mai scritto nulla senza
intingere la penna nel mio cuore, aperto da parte a parte. l'omaggio quindi non tanto perchè a Dalì interessasse il
futurismo, ma perchè l'aprire il cuore all'arte è il modo di Dalì di intendere l'arte. egli intinge il pennello nelle sue
paure, nevrosi e sogni. Dalì dice che cercava di trarre frutti positivi dalle sue esperienze cubiste piegando le
certezze geometriche agli eterni principi della tradizione, significa che, da un lato abbiamo il sentimento che entra
nelle geometrizzazioni cubiste, dall'altro il mito, Venere. Il mito inteso come principio universale, come
personificazione di qualcosa che è nell'uomo. Venere è la personificazione del nostro ideale, della nostra esigenza che
è il sentimento dell'amore.

"Venere e marinaio" (1925) in quest'altra opera troviamo sempre ispirazione a Gris, ma il colore è staccato dal
naturalismo: il mare non è più blu ma di un grigio ardesia, le figure non hanno più colore ma sono scolpite in un colore
minerale. nuovamente c'è questo accordo, questa capacità di creare, tutt'altro che semplice, siamo già in un periodo
di grande virtuosismo e capacità disegnativa per l'artista di unire due
corpi in uno solo, come in una danza. è la rappresentazione della
simbiosi che si crea nell'amore attraverso la libertà dei volumi. In
particolare Dalì riprende, rispetto all'opera precedente in cui c'erano
solo alcune parti appena bidimensionali, la volumetria.

Ritratto della sorella Ana Maria (1925) troviamo la sorella che guarda il mare (simbolo dell'infinito e della libertà)
ritratta con una precisione certosina nei particolari del disegno. importante è la capacità di amalgamare il colore. in
questo ritratto non ritrae la sorella che guarda l'osservatore, ma chi guarda è spinto a guardare lontano.
Cestino di pane (1925) vertice del periodo in cui fa
parte del "ritorno all'ordine", che si riallaccia a un
quadro di Zurbaran, grande maestro del rinascimento
Spagnolo. come Dalì rifaceva il cubismo parlando di miti
e di tragedie umane, così immette anche in questo
contesto un qualcosa che per lui è di un significato
allarmante: il cibo. il cibo per Dalì è simbolo di
trasgressione. questo perchè da piccolo ricorda che gli
era vietato l'ingresso all'interno della cucina.
attraverso il cestino di pane vuole esprimere un
qualcosa che ha in sé una dimensione negativa, simbolo
di proibizione e limitazione.

"Il grande masturbatore" (1929) anno in cui incontra la sua compagna per la vita, Gala. all'epoca la futura
compagna era sposata ed aveva 10 anni in più del pittore. il padre di Dalì rifiutava questa relazione perché la
riteneva non appropriata, poiché Gala era già stata sposata in precedenza. qui l'autoerotismo significa la ricerca
dell'eros in uno stato di solitudine. tutto il senso dell'opera si ritrova in una figura in basso al centro di una figura
(manichino) che stringe un bambino. Dalì qui rappresenta il bisogno d'amore dell'uomo mai soddisfatto. Dalì si
rappresenta come un volto stravolto ad occhi chiusi, che punta con il naso verso il suolo. Ma è una figura, per
quanto mostruosa, che sembra viva, ha i colori della carnagione sulla sinistra, mentre sulla destra si fossilizza
diventano statua. Anche quello che sembra un gioco erotico sono in realtà statue, la statua di un bambino e la
stata di questa donna che ha la fisionomia della Beatrice di Dante. Tutto il quadro è cosparso di elementi che
ricordano e zone erogene maschili e femminili, ma anche da simboli di morte. Per esempio la cavalletta ricoperta di
formiche è simbolo di orrore, di morte. le formiche sono divoratrici di ciò che è morto. la cavalletta era per lui un
essere mostruoso di cui aveva paura. La cavalletta era anche simbolo di ciò a cui non vogliamo pensare. Così come
la medusa, colei che nella mitologia greca pietrificava coloro che osavano guardarla. In alto troviamo poi delle
pietre che gravano sul volto, come se costringessero il volto fermo. Sulla sinistra troviamo invece un uncino che
pare incapace di tirare il volto. Con questo quadro Dalì esprime una verità che ci riguarda tutti, racconta il
desiderio, bisogno che l'uomo ha dell'amore, e come questo bisogno non riceva mai un'adeguata risposta. Questa
riflessione proprio nel momento in cui sta vivendo una grande storia d'amore. Per il paesaggio Dalì si ispira alle
rocce scolpite dal vento di Cadaquès.

"Un chien andalou" (1929) film sperimentale, in cui Dalì mescola elementi classici e senso del reale, tutto ciò che fa
raccapriccio. troviamo visioni di cielo che sono riprese dalla "Morte della vergine" del Mantegna e in generale dai cieli
rinascimentali della cultura italiana. la scena più famosa è quella del taglio dell'occhio con un rasoio (realizzata con il
taglio dell'occhio di un vitello) è una delle scene più famose del cinema sperimentale del 900. dice Dalì "il film affondò
come una spada nel cuore di Parigi, uccidendo in una sera dieci anni di falsa
avanguardia intellettuale del dopoguerra. l'arte astratta ci crollò davanti,
per non rialzarsi mai più.". atri fotogrammi del film: la mano piena di
formiche, simbolo di morte e la testa d'asino sul pianoforte.

"La persistenza della memoria" (1931) Dalì riprende il tema del tempo che si dilata, che è diverso a seconda di
come si vive, e della morte che insidia la nostra esistenza. Riprende anche il tema delle formiche, che troviamo
sull'orologio e stanno ad indicare
il passare del tempo, la morte
che è dentro la vita. Quello che
rimane però è la memoria, la
memoria che non si cancella. per
esprimere questo concetto
dipinge anche opere come
"Simbolo agnostico" del 1932.
"Simbolo agnostico" (1932) vediamo nella cavità del cucchiaio un
orologio, è l'idea della memoria che si dilata ma esiste. in questo senso
Dalì riprende un concetto di Proust, cioè che non esiste solo la
memoria della mente, ma esiste anche la memoria del corpo,
sensoriale, che ci ricorda cose che non ricordavamo nemmeno d'aver
vissuto.

"Il carro fantasma" (1933) è la visione di un paese in cui andava da piccolo, "Mulin de la torre". questa
apparizione, questa costruzione che si vedeva da lontano, in fondo a una spianata di sabbia dove non c'era nulla di
costruito, Dalì lo esprime con questa carrozza
trainata da cavalli, eliminando la copertura sul
retro del carretto e lo rende soltanto un profilo
facendo vedere lo sfondo. in primo piano pone
un'ancora rotta che crea un'ombra molto
evidente che è simbolo della persistenza del
passato e della memoria, il passato è qualcosa
che non è dietro di noi, ma davanti. Poiché il
passato ci costituisce. l'emergere dell'ancora è
quindi l'emergere del passato.

"Ossificazione mattutina del cipresso" (1934) Dalì immagina un cipresso diventato pietra da cui esce in una
mattina di primavera/estate, quelle mattine assolate e immobili, nelle campagne lontane dalle città, un cavallo. il
cavallo è ripreso dalla tradizione greca (Pegaso), e il palazzo,
da un palazzo liberty che si trova a Barcellona, il palazzo della
musica catalana. c'è questa mineralizzazione, questo fermarsi,
un'ossificazione però piena di vita.
"Spettro della libido/dell'attrazione sessuale" (1934) in quest'opera Dalì si ritrae bambino. il bambino vede
improvvisamente una figura mostruosa, rappresentazione di un corpo amorfo che si sta dissolvendo tenuto in piedi
da una gruccia (elemento carico di significati incomprensibili, e quindi di suggestioni), elemento che denota
l'opposizione alla dissolvenza. questa apparizione non è
altro che la manifestazione del desiderio sessuale, che
il bambino sente ma di cui ha paura. che gli si presenta
come un fantasma, qualcosa che si dissolve davanti a
lui per la paura.

"Immagine paranoico astrale" (1934) Dalì si ritrae sempre bambino vestito da marinaretto su di una barca,
assieme alla cugina. distante dalla barca vediamo il padre di Dalì, un padre lontano, giovane, sempre imponente e
che suscita timore, ma lontano. in primo piano sempre l'ancora che emerge dalla terra. Dalì esprime con un disegno
precisissimo lo svanire.
"L'Angelus di Gala" (1935) Dalì dipinge Gala in una
sorta di doppione. la sua estrema precisione nel disegno
(in questo caso il motivo decorativo della camicia di
Gala) disegnato con estrema cura e attenzione
virtuosistica ai particolari, convive con la rivelazione
dell'irrazionale, dell'irrazionalità che ci anima e ci abita.
non per niente questo doppio ritratto, che è spaesante
perchè è come se ci fossero due persone. e Dalì è molto
attento a mostrare che non si tratta di uno specchio,
lo specchio non esiste, c'è uno sdoppiamento della figura.
la figura è nello stesso tempo di spalle e di fronte. la
figura è allo stesso tempo di spalle e vista di fronte. la
stessa caratteristica l'abbiamo nelle "Mademoiselle
D'Avignogn" di Picasso. Dalì non fa nulla di quello che
succede nelle Mademoiselle D'Avignon, anzi disegna la
persona in maniera completamente compiuta dal punto
di vista classico, ma ottiene lo tesso effetto di
straniamento. Non a caso utilizza questo disegno come
controcopertina del libro "La conquista dell'Irrazionale"
che pubblica prima a New York e poi in Francia e che
rappresenta la sua dichiarazione di poetica. Rendersi
conto che noi siamo irrazionali. Irrazionale vuole dire tutte quelle scelte rovinose che compiamo continuamente nella
nostra vita, molto spesso sapendo di sbagliare, ma non riuscendo a fare diversamente. La visione non ragionevole,
non razionale che c'è in noi, Dalì la esprime con la pittura.

“Angelus – Millet” (1857-1859) vediamo due contadini che nel tardo pomeriggio lasciano la terra. uno lascia il
forcone appiccato nel campo e l'altro il cestino sul terreno per pregare l'angelus

preghiera=precarius un momento in cui senti la precarietà della tua vitae preghi qualcosa di più grande.

Un'opera del genere proprio per la sua umanità era


molto popolare nell'800. l'umanità scorticata di
Dalì vede in quest'opera un dramma spaventoso,
improvvisamente ha come la sensazione che in
questi personaggi non ci sia il pio rito della
preghiera o l'affetto tra l'uomo e la donna, ma ci
sia invece un dramma profondo, una
manifestazione di aggressività, immagina che nel
cestino ci sia un bambino ucciso e che la scena sia la
lotta tra l'uomo e la donna. tramuta quindi questa
visione di Millet in una serie di quadri e prima
ancora in uno scritto. In quest' opera l'uomo ha
come disegnato una forma vuota di bambino. Alla
donna invece dà la figura di una mantide religiosa,
(mantide dal greco "mantis" chi vede il futuro
attraverso le carte. è un insetto inquietante perchè mangia il compagno durante l'accoppiamento). Figura
assolutamente negativa in cui proietta tutta la sua paura della donna e della vita. su questo tema ritorna anche
in anni successivi, per es. nell'Angelus Architettonicus. Questa volta dipinge una figura di un ventre gravido che ha
dentro una sorta di uovo fecondato. L'atra figura ha un qualcosa di appuntito che fuoriesce e cerca di ferire l'altra
figura. il paesaggio è sempre quello s Costa Brava, che il pittore aveva particolarmente a cuore. ai piedi di queste
due figure vediamo un uomo mano per mano con un bambino.
"L'enigma di Guglielmo Tell" (1936) in questo quadro di 2 mt e mezzo, Dalì rappresenta la paura che aveva di suo
padre nelle vesti di Guglielmo Tell, ma anche di Lenin. il volto è piuttosto un'icona, e rappresenta quell'unica
immagine di Lenin che circolava. I surrealisti erano molto irritati poiché credevano che fosse una caricatura,
un'irrisione di Lenin. Ma in realtà Dalì voleva dire tutt'atro, Lenin era un capo politico e voleva rappresentarlo
come una figura carismatica e imponente, prepotentemente autoritaria. che è infatti una visione del padre.
vediamo vicino ad un piede una piccolissima culla con un bambino, a indicare il potere di un padre di schiacciare il
figlio. il soggetto tiene in mano qualcosa che sembra un pezzo di pane, o comunque un alimento insanguinato
(rimando al quadro di Goya "Saturno divora i suoi figli", simboleggia il tempo che divora/distrugge ogni cosa).
Guglielmo Tell non è rappresentato in piedi nell'atto di mirare alla mela sulla testa del figlio come la leggenda dice,
ma per Dalì parlare di Guglielmo Tell è parlare di un padre che attenta alla vita di un figlio, sia pure la causa
nobile ed eroica. Infatti il soggetto non è rappresentato eroicamente mentre prende la mira, ma seminudo, con le
natiche in vista, in una posizione grottesca, che non ha nessuna novità poiché è una specie di figura mostruosa.

il prolungamento che non è né gambe né natiche è sorretto da una gruccia che da un lato era un elemento che
affascinava molto il pittore e che rappresenta più volte nei suoi quadri, dall'altro racconta lui stesso di una volta
che vide un porcospino morto dal cui ventre uscivano dei vermi e ricorda di averlo toccato cercando di mandarlo via
dalla propria stanza toccandolo con una gruccia. allora la gruccia non è solo l'elemento che allontana gli elementi molli
ma anche quello che avvicina una realtà difficile, orrenda. sopra vediamo un pezzo di carne che simboleggia la
morte. il prolungamento che non è più né natica né gamba, vediamo degli uccelli che si affrettano a mangiare quel
che rimane della carne. abbiamo poi un blocco di marmo bianco sul quale Dalì dipinge un orologio molle, segno anche
questo del tempo che passa e lascia dietro di sé solo la memoria. l'orologio molle da un lato segna il disfarsi del
tempo e dall'altro simboleggia il fatto che il tempo è diverso per ognuno di noi e a seconda delle cose che facciamo.
su questa immagine di morte di aggiungono degli elementi morti, una lingua che fuoriesce dalla testa di Guglielmo
Tell e una sorta di braccio che fuoriesce sotto forma di lama appuntita. Lenin è quindi simbolo di morte, simbolo del
padre che schiaccia il bambino nella culla, che mangia i suoi figli e che se abbracciato trafigge chiunque, per via
della lama al posto del braccio destro. questa è la visione che Dalì aveva di suo padre, si capisce quindi la profonda
tensione che aveva dentro di se, la nevrosi che lo accompagna, che sarà anche il mezzo con cui il pittore cercherà di
esprimere le sue paure e dominarle.
"Premonizione della guerra civile" (1936) quest'opera è, insieme a Guernica di Picasso, l'opera che maggiormente
esprime le atrocità della guerra civile spagnola. dove "premonizione" significa cecare di scongiurare, ammonire i
partecipanti, cercare di evitare questo massacro (ovviamente senza riuscirci), non solo avere la sensazione che
succeda. Dalì rappresenta un corpo che si solleva contro sé stesso, un corpo irreale, che non ha più nulla di organico.
Riconosciamo la
testa, un seno,
un braccio e
una gamba ma
tutto
mescolato in
senso illogico.
l'idea è
appunto quella
che la Guerra
Civile sia la
lotta dell'"io
contro io", una
guerra
intestina
contro il
proprio fratello
e contro sé
stessi. sempre
con la sua
volontà di
rappresentare
le cose non
secondo un
ordine logico,
ma secondo un
ordine illogico,
mette in primo
piano dei
fagioli, che
rappresentano
sempre il proibito (come tutto il cibo), tutto ciò che attrae ma che allo stesso tempo fa paura, l'attrazione che
l'uomo ha verso la violenza. Dalì lo descrive come "un grande corpo umano fatto di braccia e gambe che si
sopraffanno a vicenda in un delirio" è la più terrificante e mostruosa descrizione della guerra civile.

"Le metamorfosi di Narciso" (1937) dipinto negli anni della Guerra Civile Spagnola (e ad essa collegato), di cui però
non vive direttamente le vicende poiché si rifugerà a Parigi. in quegli anni Dalì compie anche un viaggio in Italia, e
ne porta con sé come ricordo tanti echi classici. Narciso è un mito greco che Dalì aveva ben presente avendo visto
Narciso di Caravaggio a Roma. il mito di Narciso racconta del giovane Narciso che innamorato di sé stesso si
specchia nell'acqua e continua a rimirarsi fin quando cade nell'acqua e muore, ma gli dèi misericordiosi lo trasformano
in un fiore. fin qui il mito greco, e abbiamo già visto che il mito è qualcosa che esprime un'eterna verità (Narciso
non è mai esistito) ma esiste sempre quella tendenza ad amarsi in modo esclusivo, che secondo i greci non era una
colpa (nonostante meritasse la morte) ma da quella morte poi nasceva un fiore di particolare eleganza e bellezza.
in Dalì invece, il Narcisismo genera morte. le metamorfosi di Narciso è un'opera in cui Dalì esprime non solo il bisogno
di amore (come nel grande masturbatore) ma il fatto che senza amore (non di sé stessi ma dell'altro) si giunge
alla morte. in questa visiona lunare e onirica, in un paesaggio come fossilizzato, occupato soprattutto da rocce e
pietre. questa figura, che richiama un po' un'altra scultura che Dalì aveva visto a Roma, ai musei Capitolini, "Lo
Spinario" (opera ellenistica che ha profondi significati aldi là di ciò che si vede, lo spinario che si toglie la spina dal
piede è stato interpretato come la persona che si libera delle pene d'amore). Dalì invece non pensa affatto che si
possa dimenticare un amore infelice, e ne esprime l'impossibilità, però suggerisce anche che amare sé stessi non è la
soluzione. la figura, formata da degli arti abbastanza disarticolati, si trasforma in una mano, una mano con lunghe
dita artritiche. Dalla mano nasce poi un fiore, segno non di vita ma di morte. Questo perché il dito è coperto da
delle formiche che risalgono il dito (le formiche per Dalì sono sempre indicatrici di morte). A destra Dalì pone una
carcassa di animale morto (altra indicazione della morte). Sullo sfondo poi pone una statua, a simboleggiare
l'assenza di vita e chi ama molto sé stesso (narcisismo male profondo della società contemporanea, società quanto
mai volta all'affermazione dell'io, e quindi quanto mai narcisistica). dice Dalì "il narciso che ama solo sé stesso
genera morte, incapace di un dialogo o di affetto con gli altri, genera fossilizzazione e mineralizzazione". E’ un inno
alla bellezza dell'amore, che Dalì con tutte le sue nevrosi, paure e difese riesce però a innalzare con la sua pittura.
"Sonno" (1937) un quadro in cui Dalì esprime con il massimo dell'intensità l'angoscia che lo spazio vuoto gli provoca.
vediamo la faccia di Dalì tirata come fosse un lenzuolo, con gli occhi chiusi. Gli occhi chiusi esprimono la dimensione
del sogno, del sonno, ma
anche la dimensione del
non vedere, che non è
quella dei non vedenti, dei
ciechi, è quella della
verità che gli sta di
fronte. in quest'opera il
volto di Dalì è sorretto
da molte grucce, ricordo
d'infanzia, elemento che
può toccare tutto ciò che
gli fa paura, che gli
provoca un senso
d'orrore. Dunque la
gruccia, quando viene
dipinta, rappresenta
sempre la possibilità di
avvicinarsi a tutto ciò
che angoscia, di toccare
ma nello stesso tempo
ripararsi da tutto ciò che ci fa paura.

"La Madonna di Port Lligat" (1947) Port Lligat era la frazione del villaggio di pescatori in cui l'artista aveva
vissuto, dietro troviamo le rocce tipiche della costa brava. Dalì dipinge una figura di donna che è come intrisa
d'aria, intessuta d'aria. intorno a lei c'è un arco palladiano che è però staccato, spezzato in varie parti, appunto
per potersi intridere d'ara, di cielo. Dalì esprime
intensamente la spiritualità della vergine
attraverso questo corpo concreto ma che sembra
non avere apparentemente peso, confondendosi con
l'azzurro dell'acqua e del cielo. al centro di questo
corpo vediamo Gesù Bambino, anch'esso non dentro a
un corpo, ma dentro a una non materia. Intorno alle
figure vediamo delle conchiglie (ad es. guscio di
riccio), allusione al corpo di Maria che raccoglie il
verbo, che si librano nel cielo, come se non avessero
peso. Una visione mossa in assenza di gravità. In
questi anni Dalì riflette molto profondamente sulla
"sezione aurea"*.
"Madonna di Guadalupe" (1959) pala di grandi dimensioni, una
delle ultime realizzazioni di Dalì. l'artista dà una
rappresentazione visionaria della Madonna di Guadalupe
riprendendo la Madonna col bambino, iconografia tipica di
Guadalupe (città della Spagna) e la pone sullo sfondo di una
corolla di Girasoli. Perché non la solita aureola? Perché aveva
letto, secondo studi che si facevano negli anni '50 che la corolla
del Girasole è retta dal numero d'oro, quello che gli antichi
chiamavano "la proporzione aurea", 3,6. La corolla di Girasole è
quindi il simbolo della sacralità della natura, della sacralità del
creato. In questi anni Dalì si avvicina alla religione attraverso
questa meditazione sull'armonia che trova nei fiori, nelle foglie,
nei coralli, in tanti elementi naturali che si trovano nei fiori.
Anche in questo caso Dalì mescola visionariamente la figura con
lo spazio, attuando una totale rivoluzione del concetto di spazio.
Lo spazio, non è fuori dalla figura, ma nasce con la figura
stessa. In basso troviamo un'ampolla di vetro che porta un
fiore bianco immacolato, simbolo della madonna (per la sua
trasparenza) dal Medioevo in avanti. Vediamo figure di angeli
che salgono lungo la scala di Giacobbe in un cielo che è lo stesso
che vediamo alla base, un cielo insieme terreno e spirituale. In
alto, in questo teatro dello spazio, questo teatro cosmico, un
elemento di luce dorata, che non è l'oro dell'empireo, ma è l'oro
terreno del fiore di girasole. Dalì pur tenendo tutti gli elementi tradizionali rivoluziona gli elementi tradizionali,
creando una sorta di visione cosmica molto surreale in cui il celeste e il terreno si mescolano insieme. l'artista
esprime quindi questa compenetrazione di celeste e metafisico.

"Dalì di spalle dipinge Gala di spalle, eternata da sei cornee virtuali provvidenzialmente riflesse in sei specchi"
(1972-73): Dalì rappresenta la rappresentazione. E' una spiegazione di quello che Dalì intende per pittura. nel
quadro vediamo Dalì e Gala, egli si sta autodipingendo insieme a lei di spalle e poi riflessi in uno specchio. Il quadro
si ispira a un quadro di Velasquez, "Las Meniñas" del
1656. In questo quadro Velasquez, per la prima volta
nella storia della pittura occidentale non rappresenta la
persona ritratta ma rappresenta il pittore e le persone
che guardano il soggetto del quadro. Velasquez in questo
quadro sta ritraendo il re e la regina di Spagna, ma non
si vedono, si vedono soltanto sullo sfondo in quello che
sembra un quadro ma è invece uno specchio. Il quadro è
visto non dal punto di vista del pittore ma dal punto di
vista dei soggetti (il re e la regina), infatti vediamo il
pittore, la figlioletta con la tata e in fondo il ciambellano,
anch'esso intento a guardare cosa il pittore sette
ritraendo. Dalì omaggia Velasquez. nasce in questo
momento la soggettività della pittura. a Dalì però non
interessa tanto questo gioco, anche se lo riprende, lo
riprende in maniera comunque diversa, poiché nel suo
quadro ritrae sé stesso e la modella, quindi abbiamo
soggettività e oggettività. La pittura non è quello che tutti vedono, ma quello che l'artista ci fa vedere.

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