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Leonardo Boff

Il creato in una carezza


Verso un’etica universale: prendersi cura della
Terra.

INTRODUZIONE
Il “tamagochi” e la cura

La società contemporanea sta dando sempre


più vita ad una realtà di incomunicabilità e di
solitudine.
Tutto ci raggiunge via “on-line”.
Il mondo virtuale ha creato un nuovo habitat per
l’essere umano che condiziona la vita umana in
ciò che possiede di più fondamentale: la cura
/premura e la “com-passione”.
La cura non può essere messa da parte e nella
società si rende banalmente presente nel
tamagochi.
La cura dell’animaletto annuncia tuttavia che
l’essenza umana non è andata perduta: si sogna
un mondo nel quale vige il rispetto verso tutti gli
essere viventi.

1. La mancanza di cura, marchio del nostro


tempo

La Terra ha sempre salvaguardato il principio


della vita e della sua diversità, quindi anche
questa volta esiste la possibilità di salvarsi

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attraverso la conversione delle nostre abitudini
quotidiane.
Stiamo assistendo alla fine di un modello di
mondo, affrontando una crisi generalizzata della
società: partendo da un cambiamento di
benevolenza nei confronti della Terra possiamo
avere una speranza.
La mancanza di cura è la causa del malessere
della società.
Vi è noncuranza e indifferenza per i poveri, per
gli emarginati, per i pensionati, per i disoccupati,
si disprezza la solidarietà allontanandoci sempre
di più dalla generosità, dalla dimensione
spirituale dell’essere umano (il pascaliano esprit
de finesse, spirito di cortesia e di delicatezza).
Ogni forma di violenza e di eccesso vengono
mostrati dai mezzi di comunicazione senza
scrupolo. Sovraccarichi di apparecchiature
tecnologiche, viviamo tempi di crudeltà e
insensatezza.
Rimedi insufficienti.
Molte persone si ribellano a tutto questo ma si
sentono al contempo impotenti, altri hanno perso
fiducia nell’essere umano vedendo più la
dimensione della follia e non quella della
sapienza, altri ancora si concentrano sulla cura
del sintomo proponendo dei rimedi inadeguati
cercando di risanare solo quello che è più
evidente in superficie senza andare alle radici
della malattia.
La filosofia del realismo materialista ritiene che
le realtà esistano come oggetti indipendenti dal

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soggetto che le osserva. Questo realismo è però
poco “realista” perché riduce l’ambito della realtà
dal momento che non considera la soggettività,
la conoscenza, la vita e la spiritualità. Il termine
“materialista” presuppone che la materia
costituisca l’unica realtà che ha consistenza e gli
altri fenomeni sarebbero sue derivazioni
secondarie.
La fisica quantistica ha dimostrato
l’interconnessione di tutto col tutto e il legame
indissolubile tra realtà e osservatore, pertanto
non esiste una realtà staccata dalla mente che
la pensa. La nuova filosofia offre un’alternativa
al realismo materialista dando modo di superare
il dato più grave che si nasconde dietro la
mancanza di cura: la perdita della connessione
col tutto.
Da ogni parte viene espresso il desiderio di
un’alleanza di pace tra le specie e la Terra.
L’insieme delle persone che si stanno sforzando
di dar vita ad azioni significative, in tutti i luoghi
e in tutte le situazioni del mondo attuale, stanno
portando a dei cambiamenti che emergono
come frutto di un cammino collettivo che si
concretizza man mano che si procede su questa
strada. Tali cambiamenti vengono espressi nella
partecipazione delle persone alla valorizzazione
delle differenze, nell’accoglienza delle diversità
culturali, dei modi di produzione, delle tradizioni
e dei diversi significati della vita.
Ethos, dal suo significato greco indica la tana
dell’animale o la casa umana, è quindi quella

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parte del mondo che viene riservata per
organizzare, curare e realizzare il nostro habitat.
È necessario dar vita a un nuovo ethos che
permetta una convivenza tra gli uomini e con gli
altri esseri della comunità biotica, planetaria e
cosmica.
Questo ethos deve prendere corpo in morali
concrete, in accordo con le varie tradizioni
spirituali e culturali per dar vita ad una storia
unica, quella dell’homo.
Il nuovo ethos deve emergere dalla natura più
profonda dell’essere umano, da dimensioni che
siano fondamentali e comprensibili a tutti.

2. La cura: ethos dell’umano

Prendersi cura è un atteggiamento di impegno,


preoccupazione, responsabilizzazione e
coinvolgimento affettivo con l’altro.
Quando ci prendiamo ad esempio cura della
casa in tutti i suoi aspetti la curiamo in modo
materiale, personale, ecologico e spirituale.
Martin Heidegger nel suo celebre libro Essere e
Tempo spiegò che la cura la troviamo nella
radice primaria dell’essere umano, prima ancora
che egli faccia qualsiasi cosa. Questo significa
riconoscere la cura come un modo di essere
essenziale e irriducibile, è un modo dell’essere
stesso di strutturarsi e di farsi conoscere.

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La cura fa parte della natura dell’essere umano,
senza di essa l’uomo cesserebbe di essere
“umano”.
La mitologia racchiude le migliori spiegazioni
sull’essere umano.
Le mitologie hanno suscitato grandi emozioni,
permanendo nel tempo e mobilitando i popoli
nella storia.
I miti sono linguaggi che traduco pensieri
profondi che non possono essere descritti dalla
ragione analitica. Gli déi e le dée sono figure
cariche di emozione che ispirano e mobilitano il
comportamento umano. Le molteplici divinità
rappresentano i centri energetici e le differenti
fonti di senso che strutturano l’interiorità umana:
attraverso ognuna di queste energie abbiamo
accesso all’energia suprema che abita
nell’universo e nel cuore umano.

3. La favola, mito della cura

È di origine latina con base greca e ha raggiunto


la sua definitiva espressione letteraria a Roma
poco prima di Cristo.
La favola parla di Cura, Giove e Terra. Cura ha
formato un essere di fango e ha poi chiesto a
Giove di dargli vita con un soffio. Tra i due
nacque una discussione perché entrambi
volevano dare il loro nome alla creatura e a quel
punto intervenne Terra reclamando anche lei
questo diritto di assegnare il suo nome alla

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creatura dato che era stata fatta di fango.
Chiesero quindi a Saturno di fungere da arbitro
e Saturno decise di chiamare la creatura “uomo”,
cioè fatta di “umo” (che significa terra fertile).

4. Uno schiavo geniale: Gaius Julius Hyginus

Non è importante l’autore del mito quanto il suo


significato.
Questa favola è conosciuta anche come la
favola di Igino.
A seguito della conquista di Alessandria, Igino,
che per intero si chiamava Gaius Julius Hyginus,
fu preso come schiavo da Ottavio, l’imperatore
romano che l’aveva conquistata.
Igino era un giovane brillante di 22 anni e Ottavio
rimase molto colpito dalla sua spiccata
intelligenza, tanto che lo volle con sé.
Pur mantenendolo al suo servizio Ottavio diede
l’opportunità ad Igino di frequentare le migliori
scuole del tempo.
Igino fece in poco tempo una brillante carriera e
gli venne affidata la biblioteca di Apollinis, nella
quale poteva organizzare lui stesso l’attività
intellettuale a diretto contatto con le migliori
menti dell’epoca.
Successivamente venne nominato anche
direttore della biblioteca centrale, Palatina, e da
quel momento, per più di 40 anni, animò tutta la
vita culturale di Roma.

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A detta degli storiografi Igino morì povero perché
non in grado di gestire i suoi capitali. Ovidio gli
dedicò un’ode dal titolo Tristia Hygini ossia “Gli
insuccessi di Igino”.
Igino scrisse numerose opere, ma la sua opera
principale si chiama Favole o Genealogie, si
tratta di 300 miti della tradizione greca e latina.
La favola 220 soprariportata sembra che abbia
origini greche ma che sia stata rielaborata da
Igino secondo la terminologia della cultura
romana.

5. Spiegazione della favola-mito della cura

Cerchiamo di spiegare cosa intendiamo quando


parliamo di favola, di mito.
Favola. È un racconto immaginario in cui
personaggi sono normalmente animali, piante,
oppure la personificazione di qualità, virtù, vizi,
con l'obiettivo di trasmettere insegnamenti
morali o rendere più concreta una verità
astratta. Sono ben note le favole di La
Fontaine, come ad esempio quella della volpe e
dell'uva.
Mito. È qualcosa di più complesso per le sue
ambiguità semantiche, includendo una visione
occulta della realtà. Nel comune linguaggio
della comunicazione di massa equivale in
qualche modo ad un'ideologia: mito
indicherebbe in questo senso dei cliché o
convinzioni collettive riguardo a temi importanti

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che circolano nella cultura. Ecco che allora si
parla del mito del buon selvaggio, del mito del
sesso debole o ancora del mito del nero pigro.
Con queste espressioni si vuole indicare che
l'indigeno è un selvaggio sempre buono, che la
donna è debole; per l'accusa rivolta al nero di
essere per natura pigro, oltre ad essere falsa, si
tratta di una vera e propria calunnia.
Le scienze moderne conferiscono al mito un
significato altamente positivo, soprattutto nella
filosofia, nell'antropologia, nella psicologia del
profondo, e nella teologia contemporanea.
Il mito costituisce una forma autonoma di
pensiero diversa dalla ragione, costituisce
un'espressione dell’intelligenza emozionale
distinta dall'intelligenza funzionale. Il mito da
sempre è una forma di rappresentazione della
coscienza collettiva, espressa e riaffermata in
ogni generazione.
Jung considerava i miti una “coscientizzazione”
degli archetipi dell'inconscio collettivo. Volendoli
interpretare, i miti rappresentano l'emergere di
immagini delle grandi esperienze, di sogni e
timori archetipici che l'umanità ha elaborato
storicamente nel suo lungo processo di
individualizzazione. E si immergono nella
coscienza delle persone e della collettività. I
miti conoscono metamorfosi che spiegano
virtualità nascoste, garantendo loro attualità
storica. Aiutano a comprendere l'universalità di
certe esperienze e dettano e additano i tanti

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imprevisti che caratterizzano l'avventura
umana.

6. Dimensioni della cura

Iuppiter, Terra e Saturno. Cosa rappresentano?


Sono delle metafore per esprimere le
dimensioni profonde dell'uomo, difficili da
essere tradotte con il solo linguaggio
concettuale, anche denominati come centri
energetico-spirituali che strutturano la vita nella
sua realizzazione storico-sociale.
Tali realtà sono state strutturate e si sono
depositate nell'inconscio collettivo da dove
prendono vita.
Noi siamo figli e figlie della terra, c'è terra
dentro di noi. E deriviamo dall’humus (uomo) e
torneremo ad essa.
Dalla base lunare gli astronauti non notarono
differenze tra “neri e bianchi” o “ricchi e poveri”,
ma vedevano solo un'unica e splendida realtà
luminosa, fragile e piena di vigore.
Cinque atti strutturano il teatro universale di cui
siamo co-attori:
- cosmico: l’energia irrompe nell'universo
ancora in una fase di espansione;
- chimico-fisico: formazione delle galassie,
stelle, pianeti;
- biologico: materia che diventa sempre più
complessa e ritorna su sé stessa.

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- umano: si forma la vita umana, homo sapiens
e demens.
- planetario: l'umanità che era dispersa torna al
pianeta Terra.
Essere “terra” significa che abbiamo elementi
terra nel corpo, sangue, mente e spirito.
Da questo ne deriva una unità profonda,
nasciamo dalla madre terra e morendo
ritorniamo ad essa. Sentire la terra significa
sentire la pioggia sulla pelle, la brezza
rinfrescante sul viso, il tifone dominatore su
tutto il corpo.
Essere “terra” significa essere concreti e
percepire il nostro limite. Significa inoltre
percepirsi all'interno di una comunità
complessa, insieme ai suoi figli/e. La civiltà
sorse da una politica di istituzioni matriarcali, le
donne formavano le assi portanti della società e
della cultura. L'essere umano ha bisogno di
rifare l'esperienza spirituale di fusione organica
con la Terra per recuperare la propria identità
radicale.
Il “cielo” è visto come la dimensione spirituale,
celestiale appunto, dell'esistenza. Tutto indica
che l'universo è cosciente e possiede una
finalità. Anche se radicati sul pianeta Terra,
abbiamo la nostra mente ancorata nel cielo.
Abbiamo il “cielo” dentro di noi: esso
rappresenta la dimensione di trascendenza
dell'essere umano.
Fin dal Neolitico cominciarono a dominare i
valori del mascolino, fondando una nuova

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politica (si passa dalla cultura matriarcale a
quella patriarcale): questo determinò nel tempo
mancanza di cura nei confronti del pianeta
Terra e di premura nei confronti della vita in
tutte le sue forme.
Storia e Utopia fondano la condizione umana
fondamentale. Si può constatare che l'essere
umano e la società non possano vivere senza
un’utopia. L'utopia tuttavia non può essere
“utopistica”, ma deve realizzarsi in un processo
storico che dia consistenza al sogno e
costruisca gradualmente i passi che il cammino
esige.
Come rendere possibile la sintesi tra Cielo,
Terra, Utopia e Storia? Invocando la cura, che
è l’ethos fondamentale, la chiave per decifrare
l'uomo e le sue potenzialità.

7. La natura della cura

Per fenomenologia della cura intendiamo il


modo attraverso il quale una qualsiasi realtà
diventa un fenomeno per la nostra coscienza.
Noi non “abbiamo cura”, ma “siamo cura”,
intesa quindi nella dimensione ontologica
dell'essere umano. È un modo di essere
particolare dell'uomo e della donna: senza cura
non siamo più esseri umani.
In Essere e tempo di M. Heidegger, il filosofo
della cura per eccellenza ha mostrato che le
realtà fondamentali, come il volere e il

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desiderare, si trovano radicate nella cura
essenziale.
Per struttura ontologica, Heidegger intende ciò
che entra nella definizione essenziale
dell'essere umano e dà forma al suo agire. Se
non ci basiamo sulla cura non riusciamo a
comprendere l'essere umano.
Filologia della parola “cura”.
Nella sua forma più antica, in latino, si scriveva
coera ed esprimeva l'atteggiamento di premura,
vigilanza, preoccupazione e inquietudine nei
confronti di una persona amata o di un oggetto
di valore.
Filologi più recenti la fanno derivare dal verbo
quaero (cercare invano, sentire la mancanza).
Il suo significato può essere duplice: “cura”,
“diligenza”, “attenzione”, oppure “afflizione”,
“travaglio”, “affanno”.
La cura sorge quando l'esistenza di qualcuno
ha importanza per me. La cura è la compagna
permanente dell'uomo.
Due modi di essere nel mondo, il lavoro e la
cura.
La cura è un modo di essere nel mondo che
fonda le relazioni che si stabiliscono con tutte le
cose. Attraverso il modo di essere nel mondo,
l'uomo costruisce la sua identità e la sua auto-
coscienza.
Il processo di intervento sulla natura è iniziato a
partire dall'Homo habilis e poi con l'Homo
sapiens si è stabilizzato, fino a culminare con la
tecno-scienza dei nostri giorni.

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Attraverso la tecnica, il lavoro, gli esseri umani
hanno dato vita alle culture come
trasformazione di sé stessi e della natura.
L'uomo, tramite il progresso, è arrivato a creare
un “cyber-ente”, un super-organismo ibrido
formato da esseri umani, macchine e reti di
informazioni che costituisce le basi della nostra
società.
Attraverso la cura sperimentiamo gli esseri
umani come soggetti e come valori. Il modo di
essere della cura rivela la dimensione del
femminino nell'uomo e nella donna. Le donne in
origine detenevano l'egemonia storica e sociale
e davano al femminino un'espressione così
profonda che rimase nella memoria
permanente dell'umanità: attraverso grandi
simboli, sogni e archetipi presenti nella cultura
e nell'inconscio collettivo.
La dittatura del modo di essere “lavoro”.
La grande sfida per l'essere umano è
combinare lavoro e cura. I due poli non si
oppongono, ma si compongono, si limitano e si
completano reciprocamente: insieme
costituiscono l'integrità dell'esperienza umana,
legata da un lato alla materialità e dall'altro alla
spiritualità. Il lavoro oggi è diventato una ricerca
frenetica dell'efficacia, salario, produzione e
non più attività che plasma la natura. Il lavoro
come dominazione ha mascolinizzato e ha fatto
spazio al “patriarca-olismo” e al maschilismo.
La cura è stata degradata e diffamata come
“femminizzazione” dell’agire umano. Il modo di

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essere-nel-mondo esclusivamente come lavoro
può distruggere il pianeta. Allora può nascere il
“cyber-ente”, che può però essere inteso anche
positivamente come un aiuto per migliorare la
vita e l'ambiente.
Il riscatto del modo di essere “cura”.
La nostra civiltà ha bisogno di superare la
dittatura del modo di essere del lavoro, inteso
come sola produzione-dominazione, perché
essa si rivela distruttiva per la Terra, tornando
invece ad essere un lavoro capace di realizzare
l'essere umano e costruire significati.
Dare centralità alla cura significa captare la
presenza dello spirito, al di là dei nostri limiti
umani, nell'universo e negli organismi viventi.
Questo è il modo di essere che riscatta la
nostra umanità più essenziale.

8. Risonanze della cura

La cura come modo-di-essere attraversa tutta


l'esistenza umana e possiede delle risonanze in
diversi importanti atteggiamenti.
1. L'amore come fenomeno biologico
Quando uno accoglie l'altro e si realizza così la
co-esistenza, sorge l'amore come fenomeno
biologico. Esso tende ad espandersi e
guadagnare forme più complesse. Una di
queste forme è quella umana. Essa è più che
semplicemente spontanea, come negli altri
esseri viventi, è divenuta progetto della libertà

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che accoglie coscientemente l'altro e che crea
le condizioni perché l'amore si instauri. Come il
valore più alto della vita.
La società esiste perché esiste l'amore e non al
contrario, come convenzionalmente si ritiene.
Se manca l'amore, il fondamento, si distrugge
l’essere sociale.
La competizione, su cui oggigiorno poggia il
mercato, è disumana e produce molte vittime.
Questa logica impedisce che sia portatrice di
felicità e di futuro per l'umanità e per la Terra.
Senza la cura essenziale la congiunzione
dell'amore non avviene, non si conserva, non si
espande e non permette il consorzio tra gli
esseri. Senza la cura non vi è quell'atmosfera
che propizia il fiorire di ciò che veramente rende
umani: il sentimento profondo, la volontà di
condivisione e la ricerca dell'amore.
2. La regola d’oro: la giusta misura.
Con la giusta misura si raggiunge una
conoscenza realistica, con l'accettazione umile
e la migliore utilizzazione dei limiti, conferendo
sostenibilità a tutti i fenomeni e processi, alla
Terra, alle società e alle persone.
Oggi siamo sempre più convinti che nulla possa
essere ridotto a un'unica causa, o ad un unico
fattore, perché nulla è lineare e semplice. Tutto
è complesso e si presenta intrecciato di inter-
relazioni, retro-relazioni e reti di inclusioni. Per
questo dobbiamo articolare molti diversi pilastri.
Essi sostengono un ponte che ci porta a
condurre alle soluzioni maggiormente

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integratrici. Tutti, infatti, portano qualche luce e
comunicano qualche verità. Saggezza è vedere
ogni porzione all'interno di un tutto, articolato
come in una bella figura di mosaico, composto
da migliaia di pietruzze e in uno splendido
ricamo composto di mille fili colorati.
La natura possiede una misura non statica e
meccanica, ma dinamica e fluttuante,
caratterizzata da costanti e variazioni. La natura
non dispensa l'essere umano dal decidere ed
esercitare la propria libertà: solo allora egli si
mostra un essere etico.
Il pathos è il sentimento profondo alla radice del
nuovo paradigma di convivenza con la Terra.
Da questa “ascoltazione” della Terra e dalla
passione per essa nasce la cura essenziale.
Senza questo ascolto attento non sentiremo la
grande voce della Terra che ci invita alla
sinergia, alla compassione, alla co-esistenza
pacifica con tutti gli esseri.
3. La tenerezza vitale
La tenerezza vitale è sinonimo della cura
essenziale. La tenerezza è la cura senza
ossessione. La tenerezza può e deve convivere
con l'impegno estremo per una causa, come fu
dimostrato in modo esemplare da quel gran
rivoluzionario che è stato Che Guevara, di cui
conserviamo quella sentenza ispiratrice:
“dobbiamo diventare duri, ma senza perdere
mai la tenerezza”.
La tenerezza emerge nell'atto stesso di esistere
con gli altri nel mondo. La relazione di

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tenerezza non comporta tormento perché è
libera dalla ricerca di guadagni e di dominio.
L’intenerimento è la forza tipica del cuore, è il
desiderio profondo di condividere percorsi.
L'angoscia dell'altro è la mia angoscia, il suo
successo è il mio successo e la sua salvezza o
perdizione è la mia salvezza o la mia
perdizione: non solo mia, ma di tutti gli esseri
umani.
Pascal, filosofo e matematico francese, ha
introdotto una distinzione per aiutarci a
comprendere la cura e la tenerezza:
- esprite de finesse (spirito di finezza), da cui
nasce il mondo delle perfezioni;
- esprite de geometrie (spirito calcolatore),
interessato all’efficacia e al potere.
4. La carezza essenziale
Costituisce una delle massime espressioni della
cura. L'organo essenziale è la “mano”, vista
come la persona umana che dona quiete, rivela
un modo di essere affettuoso. Ha detto bene lo
psichiatra colombiano Luis Carlos Restrepo:
“la mano, organo umano per eccellenza, serve
sia per accarezzare sia per afferrare. Mano che
afferra e mano che accarezza: sono i due lati
estremi della possibilità di incontro inter-
umano”.
La mano che afferra rappresenta il modo-di-
essere-lavoro e la mano che accarezza
rappresenta il modo-di-essere-cura.

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5. La cordialità fondamentale
Quando parliamo di cordialità, come risonanza
della cura, il nostro pensiero va in un'altra
direzione: vediamo il cuore come una
dimensione dello spirito di finezza, come
capacità di captare la dimensione di valore
presente nelle persone e nelle cose. La realtà
decisiva non sono i fatti, ma i significati che i
fatti producono in noi, arricchendoci e
trasformandoci. Qui emerge la dimensione del
valore, di ciò che conta, che ha peso e ci
interessa in modo duraturo. Il valore trasforma i
fatti in simboli e in sacramenti: non sono più
solo avvenuti e passati, ma portatori di capacità
evocatrice, di significato e di memoria.
6. La convivialità necessaria
Creato per sostituire lo schiavo, lo strumento
tecnologico ha finito per rendere schiavo
l'essere umano in funzione della produzione di
massa.
Ivan Illich ha risposto a due crisi collegate tra
loro: la crisi del processo di industrializzazione
e la crisi ecologica.
Quando l'essere umano avrà imparato a usare
gli strumenti tecnologici come mezzi e non
come fini, avrà imparato a con-vivere con tutte
le cose, come suoi fratelli e sorelle, sapendo
trattarle con riverenza e rispetto. Quando
questo felice evento avverrà, avremo
inaugurato il nuovo millennio e messo in atto un
nuovo paradigma di civiltà, più propizio alla vita,
nella giustizia e nella fratellanza tra tutti.

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7. La compassione radicale
Si analizza il concetto di cura visto come
compassione radicale in tutte le religioni a
partire da quella Buddhista.
La compassione si inserisce all'interno
dell'esperienza basilare del buddhismo, dando
vita a due movimenti diversi ma complementari:
il totale distacco dal mondo attraverso l'ascesi e
la cura nei confronti del mondo mediante la
compassione.
Per mezzo del distacco, l’essere umano si
libera dalla schiavitù del desiderio di possedere
e accumulare. Per mezzo della cura, si ri-
collega affettivamente al mondo, diventandone
il responsabile.
La filosofia cinese del “Feng Shui” propone una
forma premurosa di trattamento e di
organizzazione ecologica dei giardini e della
casa umana.
Nell’induismo abbiamo “Ahimsa” (simile alla
con-passione in senso buddhista) come
atteggiamento di non violenza, che ci insegna a
trattare tutti gli esseri umani come trattiamo i
nostri figli: Ghandi ne fu un insegnante e genio
moderno.
La tradizione del Tao riconosce la cura come
virtù attiva, lasciando essere ciò che è senza
interferire, seguendo la logica del “Wu Wei”.
Il giudeo-cristianesimo conosce la “Rahamim”:
sentire la realtà dell’altro, soprattutto se
sofferente, con un atteggiamento viscerale.

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In conclusione: è l'amore la giusta misura, la
tenerezza, la carezza, la cordialità, la
convivialità e la compassione che garantiscono
l'umanità degli esseri umani.

9. Concretizzazioni della cura

L’ONU possiede circa 40 progetti che trattano


di problemi globali.
Caring for the Earth 1991 stabilisce 9 principi
per la sostenibilità della Terra:
1. Costruire una società sostenibile.
2. Rispettare la comunità e prendersi cura degli
esseri viventi.
3. Migliorare la qualità della vita.
4. Conservare la vitalità e la diversità del pianeta
Terra.
5. Rimanere nei limiti di capacità di sopportazione
della Terra.
6. Modificare atteggiamenti e modi di agire
personali.
7. Consentire che le comunità si prendano cura
dell’ambiente.
8. Dar vita ad una struttura nazionale per integrare
sviluppo e conservazione.
9. Costituire un’alleanza globale.
Solo questa etica essenziale potrebbe salvarci
dal peggio.
La cura per la propria nicchia ecologica
rappresenta la realtà locale.

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Conoscere significa avere cura della propria
nicchia ecologica, renderla viva, con il cuore,
come fosse il proprio corpo esteso.
Questa cura verso la nicchia ecologica sarà
effettiva solo se vi sarà un processo collettivo di
educazione.
Attualmente quasi tutte le società sono malate,
cioè producono cattiva qualità della vita per tutti
gli esseri umani e tutti gli esseri della natura. La
società deve mostrarsi capace di assumere
nuove abitudini offrendo un nuovo punto di vista
per il futuro comune.
Nel linguaggio di Jung, ognuno di noi ha dentro
l’animus (mascolino) e l’anima (femminino):
questa convergenza nella diversità crea un
modo più premuroso di essere.
La liberazione degli oppressi deve partire da
loro stessi dopo che avranno preso coscienza
della loro oppressione, dando vita ad azioni che
sono atte a trasformare le relazioni sociali
inique.
Prenderci cura del nostro corpo è essenziale in
quanto esso è un ecosistema vivo che si
articola con altri sistemi più ampi.
Il corpo è soggettività e attraverso esso si
manifesta la fragilità umana.
La malattia rimanda alla salute. Ogni cura deve
quindi reintegrare la dimensione della vita sana.
L’anima, come il corpo, rappresenta la totalità
dell’essere umano nella misura in cui egli è un
essere vivo con interiorità e soggettività.

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Prendersi cura dello spirito significa aver cura
dei valori che danno una direzione alla nostra
vita, generando speranza e andando oltre la
nostra morte.
La morte dell’uomo-corpo ha la funzione di far
cadere tutte le barriere, e così l’uomo-anima-
spirito si libera da tutti i lacci e il suo impulso
interiore può realizzarsi secondo la logica
infinita.
Nella morte avviene la vera nascita dell’essere
umano che esplode verso la pienezza della sua
identità.
Il senso che diamo alla vita dipende dunque dal
senso che diamo alla morte. Se la morte è fine
ultimo non serve lottare; ma se invece è fine-
meta-raggiunta allora rappresenta un
pellegrinare verso la Fonte originaria.

10. Patologie della cura

Bisogna accogliere i nostri limiti con umiltà


senza recriminazioni per generare una gioia
discreta e conferire leggerezza alla serietà della
vita. Non siamo Dio.
La negazione e l’eccesso di cura sono
entrambe considerate patologie.
L’eccesso di cura crea un perfezionismo che
immobilizza. Chi mette troppa cura in tutto non
arriva mai a concludere ciò che ha iniziato.
All’altro estremo, con l’incuria la persona
diventa impaziente e perde la calma e la

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serenità ed è compito dell’uomo ristabilire un
equilibrio dinamico.

11. Figure esemplari di cura

È attraverso le madri che ognuno apprende ad


essere “madre” di sé stesso. Rappresentano il
modo di essere madre le educatrici e gli
educatori che si dedicano alla crescita umana,
mentale e spirituale degli allievi.
Gesù di Nazareth, insieme a Buddha, sono
figure religiose che maggiormente incarnano il
modo di essere con cura.
Altre figure emblematiche:
Francesco D’Assisi, che nella sua vita ha fatto
opere di cura verso la natura, gli animali, le
piante ecc.
Madre Teresa di Calcutta e le sue opere di
misericordia.
Mahatma Gandhi, che definiva il concetto di
politica come un atto d’amore verso il popolo.
Olenka e Tania che rischiarono la loro vita per
salvare quella di sconosciuti. E molti altri
ancora.
Il “Feng Shui” è l’arte cinese, la tecnica di ben
costruire la casa e il giardino. Se l’essere
umano vuole essere felice, deve sviluppare la
“topo-filia”, l’amore al luogo (topos) dove abita e
dove costruisce il proprio giardino.

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CONCLUSIONI

La cura è la chiave per decifrare l’essenza


umana.
L’essere umano si trova sotto il dominio del
tempo che implica un orizzonte utopico,
promessa teleologica di una futura pienezza
per l’essere umano, per gli oppressi e per il
cosmo.
Senza la cura l’essere umano diventerebbe
inumano.
La cura salverà la vita, renderà giustizia a chi è
stato impoverito e riscatterà la Terra come
Patria e Matria di tutti.

Giudizio critico finale dell’opera


(con rilievo ai possibili risvolti educativi)

Credo che nella nostra società attuale a livello


globale si dia importanza quasi esclusiva al
lavoro visto come produzione ed efficacia,
seguendo delle logiche di mercato che
impongono domande e offerte a bisogni che si
vengono a creare soprattutto attraverso i mass
media. Se la nostra società non farà un passo
indietro, anzitutto verso la cura della Terra e
degli organismi viventi, si rischierà la totale
distruzione del nostro pianeta: non è un caso se
la questione ecologica stia progressivamente
diventando prioritaria, non solo come
responsabilità privata relativa alla coscienza del

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singolo, ma come problema “politico” a
carattere internazionale.
Il lavoro di cura che svolge l’educatore,
qualunque educatore nei confronti
dell’educando deve perciò aiutare la persona al
rispetto di sé stessa, convertendola al rispetto
del genere umano e della natura universale.
Ciò può avvenire unicamente attraverso il
riconoscimento del valore non solo etico, ma
ancor prima ontologico-esistenziale, della cura
dell’altro: cura dunque in quanto “apertura” al
nostro essere più intimo e profondo, alla nostra
“natura” essenziale, ovvero alla nostra
originaria identità umana che non si riduce
all’individualità di ciascuno, ma si manifesta
fondamentalmente nell’ “essere-con”.

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