Sei sulla pagina 1di 2

Il buon vivere

Robson Max de Oliveira Souza

I popoli nativi, in particolare delle Americhe, dell'Africa e dell'Asia, non hanno subito
solamente un genocidio di corpi e luoghi, ma hanno vissuto e vivono la cancellazione della loro
storia, la colonizzazione dell'anima, che uccide i saperi e i modi di vivere e di essere. In questo
contesto la colonizzazione si fa e rifà come il fenix, o meglio, come un dispositivo elettronico con
versioni più potenti che si rinnovano di volta in volta.
Il capitalismo colonizzante si nutre di disuguaglianze costruite a partire dalla gerarchia dei
saperi e dei corpi. La perdita di umanità è un segno profondo di questo sistema. Così come la
collettività e l'etica della cura sono segni forti dei popoli indigeni e africani. Movimenti indigeni,
movimenti di uomini e donne neri, diversi movimenti sociali hanno rafforzato i concetti dell'antica
saggezza millenaria, traducendo come "Buen Vivir", il buon vivere, il vivere bene, la vita bella da
vivere. Questo buon vivere non è quello dettato dal marketing capitalista che detta la felicità
attraverso i beni di consumo e la gerarchizzazione delle classi sociali e dei destini. I socialisti,
impegnati in lotte politiche di sinistra, i religiosi della liberazione, i sacerdoti e custodi di ogni
cultura e fede religiosa, siamo tutti chiamati a sentire dentro di noi prima di tutto la saggezza
proposta dal "Sumak Kawsay". Il "Bem Viver" è una opportunità per immaginare altri mondi. Il
concetto del "Bem Viver" mette in luce nuove concezioni di vita, di gestione di ciò che è
individuale e del collettivo, riconoscendo lo spazio dei diritti della Terra, intesa come organismo
vivo e come tale soggetto di diritti. La continuità di questo sistema vivo e organico è garanzia della
continuità dell'umanità stessa. Gli ultimi eventi della pandemia di COVID-19 lo hanno detto in
modo eloquente. Il potere economico può alleviare il dolore di alcuni e rimediare alle tragedie, ma
la morte è uguale per tutti, aldilá dei funerali di prima classe o nella nuda terra di una fossa comune.
Una società guidata dall'ideologia della "supremazia bianca, imperialista, capitalista e
patriarcale" non può arrivare a buon fine. E tanto meno a buon vivere. In questo processo quel che
più è malato è la nostra capacità di entrare in empatia con l'altro. Questa mancanza di
identificazione è alla base dell'intolleranza che viviamo, della fobia contro ogni differenza. L’idea
evolutiva e post-coloniale trasforma le differenze in disuguaglianze.
La femminista e intellettuale nera Lélia Gonzáles, ha coniato una categoria che ci unisce
nelle nostre esperienze di colonialità e resistenza in America Latina: "l’Amerifricanità". L'incontro
qui delle diverse identità indigene africane afferma le loro cosmo-esperienze nella costruzione di un
altro mondo per tutte e per tutti. La base delle pratiche e dei saperi ancestrali è il valore
comunitario, l'etica della cura come spiritualità vissuta sul terreno della vita. Capiamo che non
siamo separati dalla natura, né siamo al centro di essa. Ne siamo parte. I tempi della natura non
sono i tempi della produzione di uno sviluppo infinito. Anche i tempi degli esseri umani sono
diversi. Il Sumak Kawsay dell'Ecuador, il Suma Qamaña della Bolivia, l’Ubuntu sudafricano, il
Teko Porã dei Tupi Guarani brasiliani, è un concetto filosofico e profondamente pragmatico in
ricostruzione. Ci sono idee e ideali comuni a vari popoli della Terra. "La terra è dolce per vivere in
lei", è l'Igbádun, il “buon vivere” Ioruba. Nella concezione della Tradizione degli Orixás, la vita
deve essere lunga, perché è buona per essere vissuta. In essa l'essere umano si realizza nella grande
sinfonia degli esseri. Onorando con cura e rispetto gentile la memoria e gli spazi degli antenati. Si
celebra con i vivi, i "morti", i visibili e gli invisibili. Attraverso la bocca degli esseri umani si
nutrono gli esseri spirituali e le divinità del cosmo. È un pensiero complesso e sofisticato nel senso
della consapevolezza della multidimensionalità di ogni cosa, persone, luoghi, tempi, esseri naturali
e divinità che li abitano. La figura della Pachamama indigena e di Iya Mi Oxorongá Ioruba,
affermano una visione olistica e sistemica della vita, di Madre Natura, che mette l'uomo al suo
posto nella ruota. I dibattiti sugli stati plurinazionali, iniziati con le costituzioni dell'Ecuador e della
Bolivia, forse arriveranno in Brasile, affermando l'importanza dei saperi e delle epistemologie del
Sud del mondo. Possano questi concetti diventare politiche pubbliche per cambiare la realtà delle
relazioni umane, sociali, politiche ed economiche.
La spiritualità dei popoli autoctoni non é slegata dalla natura e dal rapporto con essa. Noi
dell´ "Egbe Omodua Opô Odé Arolé Osungbemi" viviamo la tradizione degli Orixá e il legame
viscerale con la natura, vediamo anno dopo anno in tre decenni di lavoro comunitario, che la
nozione di felicità può essere individuale e personale, ma in nessun modo è svincolata dal buon
vivere comunitario e collettivo. Vedo in questo, in questa spiritualità dell'etica, della cura e del
legame comunitario, il contributo più concreto delle religioni di matrice africana.

Potrebbero piacerti anche