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Le storie raccontate nelle fiabe e nelle favole si riferiscono a problematiche universali. Aldilà della
finalità di intrattenimento di piccoli e non, chi fruisce del loro intrinseco messaggio può
comprendere di possedere in sé gli strumenti utili per affrontare il complesso e meraviglioso viaggio
della vita. È forse per questo che pedagogisti, psicologi, autori e studiosi di ogni dove si sono
dedicati all’analisi della storia, della struttura, dei significati e delle plurime valenze educative di
queste forme di narrazione.
Il bisogno di narrazione
“Le fiabe aiutano a ricordare, a rivivere, a esplorare il mondo, a classificare persone, destini,
avvenimenti. Aiutano a costruire le strutture dell'immaginazione, che sono le stesse del pensiero. A
stabilire il confine tra le cose vere e le cose inventate. Insomma, se le fiabe non esistessero,
bisognerebbe inventarle” (Rodari G., “Grammatica della fantasia”). Parole di Gianni Rodari (1920
– 1980), scrittore e pedagogista italiano conosciuto in tutto il mondo, che proprio dalle fiabe ha
tratto ispirazione per le sue elaborazioni didattico - educative rivolte all’ infanzia, nell’ottica della
promozione e della tutela dello sviluppo armonioso del bambino.
In effetti, sarebbe difficile immaginare un’esistenza priva di fiabe. Il C'era una volta riecheggia un
po’ per tutti tra i ricordi d'infanzia; poche, magiche, parole pronunciate da un genitore, da un nonno
o magari dalla maestra. E un po’ tutti, a nostra volta, le abbiamo pronunciate nell'intento di
tramandare la stessa storia. Quella che ogni volta ci faceva stupire - spaventare, anche - come se
non l'avessimo mai sentita prima, e al tempo stesso ci confortava, regalandoci la garanzia che il
finale anelato sarebbe giunto sicuramente.
C’è una ricerca costante di narrazione nei bambini, fin dalla più tenera età. Si può dire che siano
“affamati” di storie: non di rado chiedono di ascoltare ripetutamente la stessa, anche se la
conoscono a memoria (e se il narratore prova a modificare un termine, lo correggono all'istante!).
Qual è il motivo di questo preponderante bisogno?
Una delle funzioni principali del pensiero narrativo - abilità cognitiva attraverso cui le persone
strutturano la propria esistenza e le danno significato, che inizia a delinearsi già a partire dai due
anni di vita - è la possibilità di creare la propria storia personale; significa dare un ordine agli eventi
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e alle azioni che riguardano l'individuo. Questo ordine crea stabilità e permette di riconoscersi
sempre come lo stesso individuo nonostante cambino gli scenari. Bruno Bettelheim (1903 – 1990),
uno dei più importanti tra gli studiosi che delle fiabe hanno fatto motivo di approfondite ricerche,
nel saggio Il mondo incantato offre la sua visione sul significato psicologico delle fiabe e sull’aiuto
pedagogico che offrono nel delicato periodo della crescita: “La necessità più forte e l’impresa più
difficile per noi consistono nel trovare un significato alla nostra vita … ad ogni età noi cerchiamo,
e dobbiamo essere in grado di trovare una pur modica quantità di significato … La fiaba, mentre
intrattiene il bambino, gli permette di conoscersi, e favorisce lo sviluppo della sua personalità.”
(Bettelheim B., “Il mondo incantato”). Le fiabe, infatti, parlando il linguaggio della fantasia, che è
lo stesso del bambino, ed essendo al di fuori del tempo e dello spazio, evocano situazioni che
consentono al piccolo, identificandosi con i personaggi e partecipando emotivamente alla storia, di
affrontare ed elaborare le reali difficoltà della propria esistenza.
- Peripezie dell'eroe
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- Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione)
Oltre che allo scrivere per i bambini, Gianni Rodari si è dedicato allo studio della narrazione in
maniera talmente intensa da giungere a mettere a punto un prontuario di tecniche di invenzione
narrativa e fiabesca, La grammatica della fantasia (1973), ancora oggi utilizzato come base per
l’attuazione di laboratori didattici dedicati alla promozione della creatività. Scrive il nostro autore:
“C’è sempre il bambino che domanda, per l’appunto. Come si fa a inventare le storie? E merita
una risposta onesta” (Rodari G., “Grammatica della fantasia”).
Nell’introduzione alla sua Grammatica egli sottolinea che: “Vi si tratta solo dell’invenzione per
mezzo delle parole e si suggerisce appena, ma senza approfondire, che le tecniche potrebbero
facilmente essere trasferite in altri linguaggi, dal momento che una storia può essere raccontata da
un narratore singolo o da un gruppo, ma può anche diventare teatro o canovaccio per una recita di
burattini, svilupparsi in fumetto, in film, venire incisa su un registratore e mandata agli amici;
potrebbero, quelle tecniche, entrare in ogni sorta di giochi infantili” (Rodari G., “Grammatica della
fantasia”). L'universalità e la trasversalità delle fiabe e delle favole, infatti, le rende particolarmente
adatte al lavoro creativo verbale, ma anche psicomotorio (in particolare le favole, perché hanno
come protagonisti gli animali).
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La parola singola, scrive Rodari, agisce allorché ne incontra una seconda alla quale si accosta,
somigliandole in qualche modo: dalla semplice assonanza o consonanza, all’ evocazione di una
significativa esperienza pregressa, come la madeleine fa per Proust. Per chiarire il meccanismo da
cui scaturisce l’intero suo repertorio di “giochi creativi”, Rodari utilizza un’efficace similitudine:
”Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie,
coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta
di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella
sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto
tra loro … Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e
di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e
immagini, analogie e ricordi, significati e sogni” (Rodari G., “Grammatica della fantasia”).
Le “tecniche” suggerite da Rodari “costringono” la parola di partenza ad assumere nuove capacità
di significare che danno il la per una narrazione originale: dal “binomio fantastico” (l’accostamento
insolito di due parole sufficientemente distanti a livello di significato fa sì che l’immaginazione sia
costretta a mettersi in moto per istituire tra loro una parentela) alle “ipotesi fantastiche” - in cui,
scegliendo a caso un soggetto e un predicato, si formula una domanda che ha come incipit “Che
cosa succederebbe se…”.. Peculiare è il gioco dello “sbagliare le storie”, che utilizza come materia
prima proprio la fiaba popolare. In esso l’adulto proponente pronuncia l’incipit di una storia
conosciuta sbagliando volutamente un dettaglio; il bambino sarà spontaneamente pronto a
correggerlo, attuando così, inconsapevolmente, un esercizio di analisi approfondita della narrazione.
“Va giocato al momento giusto”, dice Rodari. Sappiamo infatti che i bambini per lungo tempo
vogliono riascoltare le stesse storie con le stesse parole della prima volta: Può dunque darsi che
sulle prime il gioco di sbagliare le storie li irriti, perché li fa sentire in pericolo. All’apparizione del
lupo sono preparati: l’apparizione del nuovo inquieta, perché non sanno se sarà amico o nemico. A
un certo punto – forse quando Cappuccetto Rosso non ha piú molto da dire loro, quando sono
pronti a separarsene come da un vecchio giocattolo esaurito dal consumo – accettano che dalla
storia nasca la parodia, un po’ perché questa sancisce il distacco, ma un po’ anche perché il nuovo
punto di vista rinnova l’interesse alla storia stessa ... I bambini non giocano più tanto con
Cappuccetto Rosso, quanto con se stessi: si sfidano ad affrontare la libertà senza paura”(Rodari
G., “Grammatica della fantasia”).
Anche le 31 funzioni proposte da Propp possono essere impiegate per l'attuazione di un laboratorio
creativo nel quale prende vita una nuova fiaba: i partecipanti potranno estrarre una o più funzioni
che espliciteranno attingendo alla propria inventiva, il conduttore coordinerà i vari interventi
nell'ottica di un'organizzazione armoniosa che possa far nascere una nuova, unica storia nella quale
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gli attanti (non attori né personaggi, ma ruoli narrativi) danno vita ad una narrazione in cui il
protagonista lotta (ostacolato dall'antagonista e supportato dall'aiutante) per conquistare l' oggetto
di valore (che può essere concreto, ma anche relazionale, di potere o conoscitivo).
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Bibliografia
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