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1.

ANTEFATTO

Rodari parla delle sue prime esperienze come insegnante alla fine degli anni Trenta e del suo incontro con i
surrealisti francesi. In quegli anni, rimane particolarmente colpito da una frase di Novalis che dice “Se avessimo
anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. (Questo mi fa pensare a Bruno Munari,
che tra l’altro firma quasi tutte le copertine di Rodari, e al suo geniale trattatello “Fantasia“)

Un po’ per simpatia e un po’ per la voglia di giocare, inizia a raccontare ai bambini “storie senza il minimo
riferimento alla realtà né al buonsenso” [8] che lui stesso inventa usando le “tecniche” promosse e allo stesso tempo
deprecate da Breton. Inizia a prendere nota “dei trucchi che scoprivo, o credevo di scoprire, per mettere in
movimento parole e immagini” in un suo Quaderno di Fantastica. E poi se ne dimentica.

Dopo alcuni anni da giornalista, alla fine degli anni Quaranta comincia a scrivere per bambini e riprende in mano quel
quaderno, arricchendolo di nuovi spunti. Nel 1962 utilizza il materiale accumulato per comporre un Manuale per
inventare favole, che pubblica in due puntate sul quotidiano romano Paese Sera. Seguono altre pubblicazioni sullo
stesso tema, che compaiono sul Giornale dei Genitori: Che cosa succede se il nonno diventa un gatto (1969), Un
piatto di storie (1971), Storie per ridere (1971).

Nella primavera del 1972 viene invitato a Reggio Emilia per tenere un corso di una settimana a una cinquantina di
insegnanti. Durante queste giornate, vengono registrate cinque conversazioni, che Rodari rielabora. Nasce così la
Grammatica della Fantasia.

L’autore ci tiene a precisare che questo libro non rappresenta il tentativo di fondare una “Fantastica” e nemmeno
una teoria completa dell’immaginazione. Semplicemente “vi si parla di alcuni modi di inventare storie per bambini e
di aiutare i bambini a inventarsi da soli le loro storie: ma chi sa quanti altri modi si potrebbero trovare e descrivere”
[pagina 10]. Rodari sottolinea anche come le storie possano essere non solo costruite, ma veicolate in tanti modi
diversi (raccontate a voce, messe in scena a teatro, trasformate in fumetto …) e incoraggia l’esplorazione.

“Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo
posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la
parola. <<Tutti gli usi della parola a tutti>> mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perchè tutti
siano artisti, ma perchè nessuno sia schiavo.“

2. IL SASSO NELLO STAGNO

Rodari paragona la parola a un sasso gettato nello stagno. Come esso, una parola “gettata nella mente a caso”
produce onde, ovvero provoca una serie infinita di reazioni a catena, che coinvolgono l’esperienza, la memoria, la
fantasia e l’inconscio poiché la mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma la co-crea. [11] Ad esempio: la
parola “sasso” richiama tutte le parole che iniziano per “s”, quelle che fanno rima con “asso”, e molte altre ancora.
Ma a Rodari ricorda anche il Santuario di Santa Caterina del Sasso e l’amico con cui lo ha visitato. Il suo flusso di
pensieri continua, come il sasso che affonda, e Rodari ricorda l’amico, la sua vita, le esperienze insieme. Questo
dimostra come “una parola qualunque, scelta a caso, possa funzionare come parola magica per disseppellire campi
della memoria che giacevano sotto la polvere del tempo.”perché la parola non solo urta altre parole, ma agisce nella
mente in tante direzioni richiamando anche il passato

Dato che qui si parla di creare storie per e con i bambini, questo ci interessa non tanto come spunto per scrivere
racconti sulle nostre memorie, ma come dimostrazione del “tema fantastico” che può nascere da una sola parola
quando la lasciamo libera di definire accostamenti strani. Rodari fa l’esempio di “mattone”, che porta con sè
“canzone”, e costruisce una storiella assurda ma ben formata su queste parole, collegate tra loro da accostamenti
istintivi, e non dalla logica. [13] In modo quasi inconscio, in questa storiella si infilano immagini che arrivano da altre
rime (“mattone”-“prigione”), e suggestioni letterarie di letture antiche e recenti. [14] Poi Rodari prende la parola
“sasso” e ci costruisce degli acronimi che formano una frase di senso compiuto. Da questa frase, da questa
immagine, è possibile creare una storia e Rodari ammette di aver usato più volte questo metodo per trovare

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ispirazione. [15] Incoraggia a utilizzare questo metodo perchè è a servizio dei bambini: non si serve di loro per
misurare quello che sanno, bensì li aiuta a immaginare. [16]

3. LA PAROLA “CIAO”

Dopo che Rodari aveva illustrato il metodo dell’acronimo a Reggio Emilia, una delle maestre presenti al corso ha
chiesto ai suoi alunni di usarlo per inventare una storia partendo dalla parola “ciao”. Un bambino di cinque anni crea
una storia in cui il protagonista si ammala perchè riesce a dire solo parole cattive, finché non trova la bella parolina
“ciao” che lo fa diventare buono. [18]
Durante il racconto in classe, il riferimento alle parole “cattive” innesca nei bambini quella che Rodari chiama
“comicità escrementizia” e iniziano a elencare tutte le parolacce che conoscono. Per loro si tratta di un gioco delle
associazioni che viaggia su quella che Jakobson chiama “asse della selezione”, ovvero l’asse che collega parole vicine
per significato.
I bambini intervengono anche in un altro punto della storia, quello in cui viene menzionata la visita dal medico. Qui si
sbizzarriscono a trovare le indicazioni più strane (“guarda in dentro”), in un gioco che è già teatro, “è l’unità minima
della drammatizzazione.” [18]

La cosa interessante per Rodari è che, nel creare la sua storia, il bambino non si è concentrato sul significato o il
suono di “ciao”, per esempio come saluto, ma sull’espressione “la parola ciao” che ha dato luogo sull’asse della
selezione alla costruzione di due classi di parole: le parole buone e le parole brutte e successivamente ha dato vita
alla contrapposizione tra parole lunghe e parole corte.
Quando parla della lunghezza delle parole, il bambino la indica con le due mani, riprendendo l’azione di una
pubblicità del tempo. Rodari legge quest’azione come un atto di appropriazione, che parte dalla televisione e si
trasforma in scintilla di creatività. Il bambino, infatti è capace di reagire creativamente a ciò che vede: in questo caso
si appropria di un gesto e sviluppa il suo significato implicito, non programmato dalla pubblicità, ma che dà forma
alle sue narrazioni.
Le parole brutte della storia non sono solo parolacce che vengono concepite dal bambino come parole brutte in virtù
della censura operata dal modello genitoriale, ma nella ricerca vengono considerate cattive anche “uffa” e
“arrangiati”. Complici i valori della scuola reggiana non repressiva, il bambino ha capito da solo che sono negative,
perché allontanano gli altri e non aiutano a stare insieme. Queste parole sono contrapposte alle parole buone cioè
gentili che aiutano a farsi dei nuovi amici e che riassumono i valori che il bambino acquisisce in quella scuola “A
questo risultato è arrivata la mente reagendo alle sue stesse immagini, giudicandole, governando le loro associazioni
con il contributo di tutta la piccola comunità in azione”.

4. IL BINOMIO FANTASTICO

Se nel secondo capitolo Rodari dà l’impressione che basti una sola parola per ispirare una storia, in questo capitolo
precisa che in realtà ne servono due. “La parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca,
la costringe a uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare. Non c’è vita, dove non c’è
lotta.” Nel dire questo, Rodari fa riferimento a Henry Wallon che, in Le origini del pensiero nel bambino, afferma che
il pensiero si forma per coppie di opposti, in uno scontro che è generazione: “L’elemento fondamentale del pensiero
è questa struttura binaria, non i singoli elementi che la compongono. La coppia, il paio sono anteriori all’elemento
isolato”. Ecco perché, secondo Rodari, “una storia può nascere solo da un binomio fantastico“ [20].

Perchè il binomio sia fantastico occorre una certa distanza fra le due parole, il loro accostamento deve risultare
insolito in modo che l’immaginazione si attivi per costruire una relazione. Il modo migliore per scegliere le parole è il
caso. I metodi per trovare le due parole sono vari: estrarle a sorte, indicare a caso in un libro, mandare uno scolaro a
scrivere una parola su un lato della lavagna e un altro sull’altra… In questo gioco anche le parole più comuni possono
innescare l’immaginazione perché sono “spaesate”, fuori contesto e quindi interessanti. Prese singolarmente
possono sembrare banali, ma la coppia che formano è un’invenzione, uno stimolo eccitante.E’ lo “spaesamento
sistematico” di Max Ernst che si serve del dipinto di de chirico di un armadio in un paesaggio classico, ancora meglio,
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lo “straniamento” di cui parla Viktor sklovski a proposito della descrizione del divano di tolstoj che appunto sembra
essere descritto dal punto di vista di chi non lo conosce.
Una volta selezionate le due parole svincolate dal loro significato quotidiano ma buttate lì (ad esempio, “cane” e
“armadio”), Rodari le collega con una preposizione articolata e ne ottiene varie figure (“il cane con l’armadio”,
“l’armadio del cane”, …). Ognuna di esse suggerisce uno schema per una narrazione fantastica, e non devono essere
per forza logiche, anzi. “Il nonsenso può restare tale” e la cosa non disturba affatto i bambini, che applicano questa
tecnica senza fatica, anzi divertendosi. È una tecnica che produce effetti di allegria non trascurabili che fanno bene ai
bambini e che dovrebbero fare da contrasto all’idea di un’educazione della mente tetra.
Rodari non perde occasione per ribadire che “nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco”.
L’educazione non deve per forza essere noiosa.

(Wallon- coppie per assonanze: funziona conoscitiva della rima che giustifica il piacere che i bambini vi provano,
molto più della gratificazione data dalla ripetizione del suono.

Uspneski- l’affinità fonetica obbliga il poeta a ricercare anche nessi semantici tra le parole: così la fonetica genera
pensiero.

5. “LUCE” E “SCARPE”
Rodari riporta la storia inventata da un gruppo di bambini di cinque anni: un bambino ruba le scarpe al padre e per
punizione viene attaccato alla luce, finendo per trasformarsi in una lampada che si spegne solo se le si tolgono le
scarpe. La trovata finale è frutto della partecipazione di tutti bambini alla storia [24] In questa storia Rodari nota
varie cose: i significati psicologici legati alla figura del padre, il gioco infantile del mettersi le scarpe di un genitore che
permette ai bambini di calarsi in un’altra identità, [25] ma soprattutto l’immagine del bambino come una lampada
accesa perché è attaccato alla corrente. Secondo Rodari, questa analogia non si è rivelata immediatamente, ma è
scaturita sull’asse della “selezione verbale”, dall’eco generato dalla parola “attaccato”. “L’analogia verbale e la rima
non pronunciata(attaccato, appeso, acceso) hanno fatto scattare l’analogia dell’immagine visiva” in un lavoro di
“condensazione delle immagini” che Freud ha descritto studiando i processi creativi del sogno. La storia ci appare
come un sogno ad occhi aperti con la disposizione all’assurdo e l’accavallarsi dei temi.
In questo caso il narratore principale è il detonatore di un’esplosione che coinvolge tutti (“amplificazione”) e tutti gli
altri bambini partecipano a trovare variazioni sul tema per analogia (il padre prova a “spegnere” il figlio girando la
testa, schiacciando il naso, …). I bambini cercano spunti osservando i corpi degli altri bambini, il presente interviene
nella storia. I gesti sono elencati in rima baciata, hanno un ritmo.
La soluzione finale, in quanto conclusione logica, rompe il sogno: il papà toglie le scarpe al bambino che si spegne.
C’era un elemento magico (le scarpe) che ha innescato la situazione e basta eliminarlo per far tornare tutto come
prima. I bambini scoprono la reversibilità come metafora, non ancora come concetto. Al concetto arriveranno più
Tardi, ora la storia fantastica ha posto le basi per la strutturazione del concetto.
Come ultima cosa, Rodari nota come la storia incarni dei valori tradizionali, poichè racconta di una disubbidienza
punita, e conclude notando come in questo breve racconto trovano spazio l’inconscio con i suoi conflitti,
l’esperienza, la memoria, l’ideologia, la parola in tutte le sue funzioni. [27] (Esattamente come diceva parlando del
sasso nel secondo capitolo)

6. CHE COSA SUCCEDEREBBE SE …

In questo capitolo Rodari parla della tecnica delle ipotesi fantastiche: “Che cosa succederebbe se un giorno un uomo
si risvegliasse trasformato in scarafaggio?” ed ecco che Kafka scrive “Metamorfosi”.

La tecnica delle ipotesi fantastiche prevede la domanda “che cosa succederebbe se?” l’ipotesi su cui lavorare è
fornita dall’unione di soggetto e predicato. Per iniziare basta prendere un soggetto (“Milano”) e un predicato
(“circondato dal mare”): “Che cosa succederebbe se Milano si trovasse circondata dal mare?”. È una situazione in cui
gli eventi narrativi possono moltiplicarsi all’infinito. Possiamo proseguire immaginando la reazione delle persone e
farne una storia corale, o scegliere un protagonista e raccontare le sue avventure e imprevisti [28]

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La parte più divertente di questo processo è la formulazione della domanda. Scrivere il racconto, poi, è lo sviluppo di
una scoperta già avvenuta. Per mantenere il divertimento, Rodari consiglia di coinvolgere l’esperienza personale del
bambino così da permettergli un approccio insolito a una realtà per lui già carica di significato. [29] rodari pone un
esempio con la domanda: che cosa succederebbe se un coccodrillo si presentasse a rischiatutto? Non siamo nel
nonsenso, ma siamo all’uso della fantasia per stabilire un rapporto attivo con il reale. Questo permette di rileggere
la realtà con occhi nuovi: “Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi – è più divertente – da un
finestrino.” [30]

7. IL NONNO DI LENIN

A supporto della frase con cui chiude il capitolo precedente, Rodari rievoca l’immagine del nonno di Lenin, nella cui
casa Lenin giovane e i suoi amici si divertivano a entrare dalle finestre che davano sul giardino. Per evitare che si
facessero male, il nonno mise delle panche sotto le finestre. Secondo Rodari quest’immagine è la perfetta metafora
del mettersi a servizio dell’immaginazione infantile.
“Con le storie e i procedimenti fantastici per produrle noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra,
anzichè dalla porta. E’ più divertente: dunque è più utile.” Niente impedisce, però, di provocare l’impatto con la
realtà attraverso ipotesi più impegnative: “Che cosa succederebbe se in tutto il mondo sparisse il denaro?”.
La tecnica delle ipotesi fantastiche permette ai bambini di misurarsi con temi più grandi di loro assecondando la loro
voglia di crescere I bambini amano misurarsi con problemi più grandi di loro ed è questo il modo che hanno per
crescere, cosa che non vedono l’ora succeda [31] e che costituisce un diritto che gli adulti devono riconoscergli.
Rodari conclude il capitolo notando come l’ipotesi fantastica altro non sia se non un binomio fantastico in cui a
essere connesse non sono due parole ma un nome (“la città”) e un verbo (“vola”), oppure un soggetto e un
predicato, o anche un soggetto (“il coccodrillo”) e un attributo (“esperto in cacca di gatti”).

8. IL PREFISSO ARBITRARIO

“Un modo di rendere produttive, in senso fantastico, le parole, è quello di deformarle. Lo fanno i bambini, per gioco:
un gioco che ha un contenuto molto serio, perché li aiuta a esplorare le possibilità delle parole, a dominarle,
forzandole a declinazioni inedite; stimola la loro libertà di “parlanti”, con diritto alla loro personale parole (grazie,
signor Saussure): incoraggia in loro l’anticonformismo”.
Un modo per giocare a deformare le parole è aggiungere un prefisso arbitrario. Ecco così che il “temperino” diventa
uno “stemperino” che fa ricrescere la punta alle matite.
Questo gioco può portare a creare visioni di città future e utopiche, e Rodari ci tiene a precisare che “l’utopia non è
meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza […] a quello della volontà […].”
[33]Rodari prosegue con l’esempio del prefisso “bis-” che crea una “bispenna” che scrive doppio, “arci-” che da vita
a “arcicani” e “tri-” che inventa il “trinocolo”. Prosegue poi con “anti-” (“antiombrello”), “dis-” (“discompito”), “vice-”
(“vicecane”), “sotto-” (“sottogatto”), “semi-” (“semifantasma”), “super-” (“superfiammifero”), “micro-“, “mini-”
(“minigrattacielo”), “maxi-” (“maxicoperta”). Superman sarebbe, sotto questo punto di vista, un caso clamoroso di
applicazione del principio del prefisso fantastico.

Anche in questo caso, si tratta di un tipo di binomio fantastico in cui i due elementi sono un prefisso scelto per
originare nuove immagini e una parola usuale scelta per essere nobilitata dalla deformazione. Si può pensare
secondo rodari alla progettazione di un gioco che preveda il collegamento casuale tra prefissi e sostantivi scelti a
caso per dare vita a parole deformate sulle quali i bambini sono portati a riflettere, attivando la fantasia ed
esplorando il mondo del possibile che va oltre la realtà quotidiana.

9. L’ERRORE CREATIVO

Un altra cosa che può far spiccare il volo alla fantasia è l’errore ortografico e le storie che nascono in questo modo
possono avere risvolti comici (la “Lapponia” si trasforma nel succoso paese di “Lamponia”, il “Lago” di Garda diventa
“l’ago” di Garda), ma anche istruttivi (come dimostra la storia sull’ “Itaglia” contenuta nel Libro degli errori). [36]
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Molti degli errori che i bambini fanno sono creazioni autonome, frutto del tentativo di interpretare parole mai
sentite prima in forme conosciute. (incenso vincenzo). Quindi, in questo senso gli errori servono per assimilare una
realtà sconosciuta. Ecco così che la “pasticchina” diventa una “mastichina”.
In ogni errore giace la possibilità di una storia. Ad esempio, scrivere “casa” con due “s” offre l’occasione di inventarsi
una storia su un uomo che vive in una “cassa”. [37] Da un’unica parola si possono ricavare molti errori, cioè molte
storie. Sbagliando s’inventa. [38] Inoltre, ridere degli errori è il primo modo per distaccarsene. [37]

Lo sfruttamento dell’errore, volontario o involontario, è un caso interessante e sottile dell’ormai noto binomio
fantastico. Il trmine sbagliato deriva e da quello giusto, ne è una malattia. Il significato dell’elemento “sbagliato” si
può desumere solo dal significato del primo: ecco così che “quore” è un “cuore” malato a cui serve una dose di
vitamina C. [38]

10. VECCHI GIOCHI

La ricerca del tema fantastico può avvenire anche attraverso giochi già praticati dai surrealisti, come quello del
ritagliare i titoli dei giornali e mescolarli tra loro per ottenere notizie di avvenimenti assurdi, sensazionali o
semplicemente divertenti. Questi componimenti possono divertire e basta, oppure offrire lo spunto per creare una
storia. “Tecnicamente, il gioco spinge alle estreme conseguenze il processo di “straniamento” delle parole e dà luogo
a vere e proprie catene di binomi fantastici.” [39]

Un altro gioco è quello dei bigliettini a domanda e risposta: si scrive una lista di “domande che già configurano
avvenimenti in serie, cioè una narrazione” (per esempio, chi era? dove si trovava? cosa faceva?…) e poi si passa la
lista al primo del gruppo che risponde alla prima domanda, piega il foglio in modo che non si veda cos’ha risposto e
passa il foglio al secondo che risponde alla seconda domanda, e così via. Si leggono poi le risposte una di seguito
all’altra come fosse un racconto. Anche qui, si può riderne e basta o trasformare il tutto in una vera e propria storia,
solo che invece di scegliere un binomio fantastico si sceglie una sintassi fantastica del tutto casuale. [40] Lo stesso
procedimento può essere applicato per comporre un disegno a più mani in cui ogni bimbo a turno arricchisce il
disegno con una forma facendo prendere al disegno delle pieghe insolite che non rispecchiano il progetto del
bambino che ha disegnato per primo.

La cosa importante di questo gioco non è il risultato, ma la lotta che si crea per dominare le forme altrui e imporre le
proprie e le scoperte che avvengono a ogni passo, quando ogni componente interpreta a modo proprio quanto
disegnato da chi lo ha preceduto. Umberto Eco lo chiamerebbe “andirivieni di significato”. Inoltre, se quel disegno in
cui è apparso un mostro fantastico diventa una storia, sono le parole a continuare il gioco e c’è ancora una volta un
movimento dal nonsenso al senso.
Rodari ribadisce ancora una volta che “lo stimolo dell’immaginazione nasce anche in questo gioco dall’intuizione di
un legame nuovo tra due elementi che il caso mette in contatto”. Possono essere “forme dell’espressione” o “forme
del contenuto”, per rubare del gergo linguistico, ma il ritmo binario rimane al fondo dei loro scambi. “L’impero della
dialettica si estende anche sui territori dell’immaginazione”. [41]

11. UTILITA’ DI GIOSUE’ CARDUCCI

Ai surrealisti si deve anche un’altra tecnica: il “trattamento” di un verso dato, ovvero “l’esplorazione di tutte le sue
possibilità lungo la catena sonora, quella delle analogie o quella dei significati, alla ricerca di un tema fantastico.”

Seguono vari esempi in cui Rodari parte da singoli versi di Carducci, per stravolgerli fonicamente e ottenendone
poemetti non sense, [42, 43] tanto che si riferisce a questo gioco anche come tecnica del nonsenso. [44] Per attuarla
bisogna trattare le parole come fossero giocattoli, cosa che i bambini fanno senza neanche accorgersene. Si colgono
le scintille che la parola può far scoccare. È un allenamento dell’immaginazione a deragliare dai binari troppo
consueti del significato, a tenere d’occhio tutte le scintille che possono scoccare da una parola.

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È una tecnica del nonsenso che si ricollega a un gioco che tutti i bambini fanno, cioè quello di giocare con le parole.
Ha una motivazione psicologica che va al di là della grammatica della fantasia.

12. COSTRUZIONE DI UN LIMERICK

Il limerick è un genere di nonsenso inglese, organizzato e codificato (Civian e Segal, 1969). Il primo verso contiene
l’indicazione del protagonista. Il secondo verso indica la sua qualità, con un attributo o un oggetto che possiede o
un’azione che compie. Nel terzo e quarto viene realizzato il predicato oppure possono essere riservati alla reazione
degli astanti. Il quinto verso è riservato a un epiteto finale opportunamente stravagante (Rodari suggerisce di
“storpiare” e re-inventare una parola) oppure a rappresaglie più serie subite. [45] I bambini trovano la parte
dell’epiteto particolarmente divertente. [47]

Come esempi, Rodari usa alcune composizioni di uno degli scrittori di limerick più prolifici, Edward Lear, e alcune
scritte da lui stesso.
Nel limerick si segue una struttura perchè aiuta la composizione, ma Rodari suggerisce di evitare le pedanterie sulle
rime o altro, e soprattutto “non limitare le possibilità dell’assurdo” quando si costruisce un nonsense. [48]
L’obiettivo è immaginare, non eseguire un compito a scuola. Molti limerich che si costruiscono a scuola hanno un
finale banale quando invece i bambini dovrebbero essere stimolati alla ricerca di un finale sorprendente e creativo
con un piede nella grammatica e uno nella fantasia.

13. COSTRUZIONE DI UN INDOVINELLO

La costruzione di un indovinello è un esercizio sia di logica che di immaginazione.


Alla base della definizione ermetica c’è
-un processo di straniamento dell’oggetto che viene separato dal suo significato e dal suo contesto abituali, e
descritto semplicemente sulla base di una delle sue caratteristiche (es. il cigolio del secchio che viene calato nel
pozzo). Rdari a tal proposito cita Skloski: per fare di un oggetto un fatto artistico, è necessario estrarlo dal novero dei
fatti della vita, scuotere l’oggetto, estrarre l’oggetto dalle sue associazioni consuete.
-su cui viene fatto un lavoro di associazione e comparazione che si esercita sulle caratteristiche dell’oggetto produce
-una metafora (il cigolare somiglia a una risata, quindi il secchio ride). Per opposizione alla prima metafora (quando
scende nel pozzo il secchio ride), ne nasce una seconda (quando sale, piange). Ora la doppia metafora è pronta per
rappresentare l’oggetto nascondendolo e promuovendolo a oggetto banale a oggetto misterioso che sfida
l’immaginazione: “Scende ridendo e sale piangendo”. Quindi, la sequenza per costruire un indovinello è:
straniamento – associazione – metafora. [49] Rodari la testa su altri oggetti con successo e sottolinea come lo
straniamento sia la parte più interessante perché rende possibili le associazioni meno banali e permette lo scatto di
metafore più sorprendenti. Aumenta la carica di mistero dell’indovinello.

Secondo Rodari, i bambini amano tanto gli indovinelli perchè condensa la loro esperienza di conquista della realtà,
popolata di cose che non conosco e di cui devono scoprire il segreto. La loro stessa presenza nel mondo è un
fenomeno che devono chiarire. Di qui il piacere di provare l’emozione della ricerca e della sorpresa [50] A questa
riflessione ne abbina un’altra sul gusto dei bambini per il gioco del nascondino, che gli permette di provare il brivido
di perdersi e essere ritrovati, il che irrobustisce il senso di sicurezza di un bambino, la sua capacità di crescere e il suo
piacere di esistere nel mondo e fare esperienza di quel mondo

14. IL FALSO INDOVINELLO

Il falso indovinello è quello che contiene già in qualche modo la sua risposta. Non si tratta di indovinare, ma di stare
attenti al suono delle parole. Esempio: “Ada, Gino, Pia, Nino / andavano a coglier fiori / Chi sì Chi no ne colse / chi fu
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che ne raccolse?” (“Chi si chinò”). [52] La struttura è la stessa di un limerick e spesso la forma è la negazione di un
falso “aut aut”. Secondo Rodari, il falso indovinello è molto educativo perchè insegna che, per trovare la risposta
giusta, spesso bisogna saper sfuggire alle false alternative. [53]

15. LE FIABE POPOLARI COME MATERIA PRIMA

Le fiabe sono state la materia prima di molte operazioni fantastiche: lo stravolgimento di Straparola, il gioco di corte
di Perrault, la filologia fantastica di Calvino, lo sfruttamento commerciale e stravolgimento pedagogico della Disney. I
Grimm le hanno trascritte, incidendo i loro nomi nella storia, e Andersen le ha scritte, rivivendo e riscattando in esse
la sua infanzia in un binomio fantastico “io e le fiabe” fino a trovare un proprio linguaggio con personaggi romantici e
oggetti quotidiani. Anche in “Pinocchio” di Collodi si percepisce il sostrato della fiaba tradizionale toscana, ma ancora
una volta il risultato è una materia composita. [54] “I Grimm, Andersen e Collodi sono stati – sul lato “fiabesco” – tra
i grandi liberatori della letteratura infantile dai compiti edificanti che le avevano assegnato le sue origini, legate alla
nascita della scuola popolare.” Andersen, primo creatore della fiaba contemporanea, ha portato i personaggi fuori
dal limbo del “non tempo” e dentro il presente e ha animato oggetti sciocchi con effetti di straniazione e
amplificazione. Collodi ha fatto dei bambini i protagonisti. E sono stati innovatori senza forse saperlo e sicuramente
senza la conoscenza capillare, in termini psicoanalitici, strutturalisti, e formalistici del patrimonio fiabesco che
abbiano noi oggi. Rodari conta proprio su questa e inizia a illustrare alcuni giochi fantastici per “trattare” le fiabe
classiche.

16. A SBAGLIARE LE STORIE

Questo gioco consiste nel raccontare una storia conosciuta sbagliandone intenzionalmente delle parti (Cappuccetto
Giallo, invece che Rosso). Può essere fatto da chiunque e in qualunque momento, ma bisogna giocarlo al momento
giusto per non irritare i bambini che sono conservatori per quanto riguarda le storie: vogliono risentirle sempre
uguali, riconoscerle per impararle e rivivere lo stesso ordine paura-sorpresa-rassicurazione. Lo scopo è quello di
essere rassicurati dal fatto che il mondo a cui stanno dando forma è ancora lì e che passo dopo passo lo costruiranno
tutto. A sentire le modifiche possono irritarsi perchè non sanno come reagire (il personaggio nuovo è buono o
cattivo?). Quando quella storia avrà esaurito il suo valore per loro, allora saranno pronti a lasciarla andare come ci si
separa da un vecchio gioco e sapranno accettare le modifiche che li aiuta a rinnovare l’interesse per la stessa storia
che si muove però su un binario vicino [56] La novità diventa piacevole perchè li porta a sfidarsi, a scoprire che sono
capaci di saltare nel vuoto.

Questo gioco può essere terapeutico perché aiuta il bambino a sbloccarsi da certe fissazioni: sdrammatizza e
ridicolizza cose che facevano paura, stabilisce un confine fra cose vere e cose immaginate.

Rodari puntualizza anche che chi “sbaglia” la storia deve prima compiere una vera analisi della fiaba e farlo nei punti
che la caratterizzano e strutturano, e non negli spostamenti da un nodo significativo all’altro. Infatti, si tratta di
interventi operativi e non logici che determinano non una riscrittura ma un vagabondaggio senza meta tra i temi
fiabeschi nella forma di uno scarabocchio.

17. CAPPUCCETTO ROSSO IN ELICOTTERO

Rodari descrive un gioco che ha visto fare in alcune scuole: si danno ai ragazzi cinque parole che suggeriscono una
storia (ad esempio, “bambina”, “bosco”, “fiori”, “lupo”, “nonna” che suggerisce Cappuccetto Rosso) ma poi si da un
sesto elemento che spezza la serie (“elicottero”) e i ragazzi devono creare una storia con queste sei parole. In questo
caso il binomio fantastico è formato da una serie di parole che formano un insieme coerente che riassume gli
elementi della storia e da una parola incoerente. Viene misurata nei bambini la capacità di reagire a un elemento
nuovo e inatteso rispetto alla serie canonica; di assorbire la parola e farla reagire con la storia tradizionale che già
conoscono.
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Rodari prosegue raccontando di un’esperienza di applicazione del gioco particolarmente faticosa e ribadisce ancora
una volta che l’importante è che i bambini si divertano e riescano a liberare l’immaginazione. [59]

18. LE FIABE AL ROVESCIO

“Una variante del gioco di sbagliare le storie consiste in un premeditato e più organico rovesciamento del tema
fiabesco.” Cappuccetto Rosso diventa cattiva e il Lupo buono, Pollicino vuole abbandonare i genitori e così via … Il
rovesciamento può essere applicato a uno solo o a più elementi della storia. [60] Sono particolarmente buffi i
racconti originati dal rovesciamento di fatti storici. Remo batte romolo e diventa primo re dei remani

L’errore diventa un pensiero guida, un progetto di disegno con cui possiamo ottenere una parodia della fiaba oppure
un racconto che si sviluppa liberamente e autonomamente in altre direzioni

19. CHE COSA ACCADDE DOPO

Visto che conosciamo i personaggi e cosa gli è accaduto, si può giocare a inventare che cosa succede dopo la fine
della fiaba. I bambini pongono spesso la domanda e dopo?

In questo caso, l’introduzione di un elemento nuovo può far proseguire la storia(es. un tesoro nascosto nella pancia
del pescecane che ha mangiato pinocchio oppure la condanna di cenerentola a rimanere custode del focolare anche
dopo il matrimonio con il principe che fa scattare nel principe l’attrazione per mondanità di matrigne e sorellastre ,
dando vita a una storia di gelosie. Si tratta di giocare con una fiaba di cui si conoscono le strutture privilegiando uno
dei suoi temi. Oppure il bambino, in base a un meccanismo di privilegiamento del tema, può chiedersi che cosa sia
successo a un certo elemento della storia che lo ha colpito particolarmente, ad esempio “Cosa succede agli stivali
delle sette leghe del gatto con gli stivali?”. L’immaginazione prosegue per “inerzia” e diventa fantasticheria
autonoma che dev’essere poi razionalizzata in una nuova storia. Anche nelle migliori prove dei surrealisti
l’automatismo è rinnegato da un’irresistibile tendenza dell’immaginazione alla sintassi.

20. INSALATA DI FAVOLE

Mescolare fiabe diverse, “scegliendo una strada nuova che sarà, in qualche modo, la diagonale delle due forze che
agiscono sullo stesso punto”. Così Pinocchio diventa l’ottavo nano di Biancaneve, introducendo la sua energia nella
vecchia storia costringendola a ricomporsi secondo la risultante delle due regole, quella di pinoccchio e quella di
biancaneve. Con questo trattamento le immagini più consunte sembrano rivivere, ringiovaniscono dotate di una una
nuova forza. Si vince la forza d’inerzia con cui si spegne progressivamente in un bambino l’entusiasmo per una
favola. (ovviamente dopo che ha imparato a riconoscerla e a godere della sua carica rassicurante)

Il binomio fantastico che governa questo gioco è composto da due nomi propri: due nomi propri di fiaba. [65]

21. FIABE A RICALCO

Il gioco del ricalco permette di ottenere “da una fiaba vecchia una fiaba nuova, in varie gradazioni di riconoscibilità”.
Un precedente illustre è l’Ulysses di Joyce che ricalca l’Odissea. Non si tratta semplicemente di sostituire nomi,
luoghi e date, bensì di ridurre la fiaba nota alla pura trama della sua vicenda e delle sue relazioni interne, e usarla
come un complesso sistema di coordinate fantastiche, una rete in cui fare incappare la nuova storia. [66] Per fare
questo, Rodari sostiene che sia necessaria la riduzione della storia alla sua pura trama e l’astrazione di questa in una
formula matematica che ci aiuta a distaccarci dalla fiaba originale e a predisporne la manovrabilità, a prescindere che
poi nel risultato sia riconoscibile la storia che lo ha ispirato. Si ottiene che la fiaba entra nella nuova storia in
profondità, nelle strutture più profonde per ispirare di lì svolgimenti impensabili. È la trama stessa a costituire quel
vincolo che trattiene la narrazione ma permette all’immaginazione di scattare in avanti. Nel fare degli esempi, Rodari
si perde nei ricordi suscitati dalla parola “forno” (suo padre faceva il fornaio) [68] e questo gli dà l’occasione di
ribadire ancora una volta che la scintilla innescata nella nostra mente, la messa in moto dell’energia per provocare la
nuova storia non si può comandare e che il resto è deduzione (fantastica, non logica).

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“ la parola forno ha pescato nella mia memoria e ne è risalita con un colore affettuoso e triste. Questo colore ha
presieduto alla nascita degli altri accostamenti: tra i bambini abbandonati della fiaba vecchia e quelli della nuova, tra
gli alberi del bosco e le colonne del duomo di milano. Il resto è deduzione fantastica, non logica.

A persone diverse il ricalco offre strade diverse che porteranno a messaggi, punti di arrivo involontari. Momento
essenziale del ricalco è l’analisi della fiaba data, operazione analitica e sintetiche che muove dal concreto all’astratto
per poi tornare al concreto. Questo è possibile grazie alla struttura stessa della fiaba caratterizzata dalla costanza di
determinati elementi compositivi che propp ha chiamato funzioni. È da propp che in nostro gioco deve partire per
prendere consapevolezza di sé e fabbricarsi nuovi giochi.

22. LE CARTE DI PROPP

Così come Leonardo ha saputo costruire macchine efficenti perchè vi ha lavorato concependole come composti di
macchine più piccole e ognuna con la propria funzione, così ha fatto l’etnologo sovietico Vladimir J. Propp con le
fiabe popolari in Morfologia della fiaba e La trasformazione delle fiabe in magia. [71] In Le radici storiche dei racconti
di fate teorizza che tutte le fiabe magiche derivino dai rituali di iniziazione in uso nelle società primitive (l’abbandono
nel bosco, il confronto con personaggi paurosi, l’aiuto magico, il ritorno). Nella struttura della fiaba si ripete la
struttura del rito e da qui propp deduce che la fiaba ha iniziato a vivere quando è stato abbandonato il rito. Che ha
lasciato dietro id sé il racconto.I narratori hanno poi progressivamente “tradito” il rito, arricchendo le storie per il
piacere stesso della narrazione.
“Le fiabe, insomma, sarebbero nate per caduta dal mondo sacro al mondo laico: come per caduta sono approdati al
mondo infantile, ridotti a giocattoli, oggetti che in ere precedenti sono stati oggetti rituali e culturali.” C’è all’origine
un processo che va dal sacro al profano.
“Attorno al primitivo nucleo magico le fiabe hanno raccolto altri miti desacralizzati, racconti di avventure, leggende,
aneddoti; accanto ai personaggi magici hanno schierato i personaggi del mondo contadino” fino a creare un denso
magma che però, secondo Propp, mantiene quell’unico filo centrale dell’iniziazione. Questa teoria è affascinante
proprio perchè istituisce un legame fra i ragazzi preistorici messi alla prova e i bambini di oggi che con la fiaba vivono
la prima iniziazione al mondo umano, attraverso le fiabe imparano a sfidare e vincere le proprie paure.

Propp ha formulato tre principi:

1) “gli elementi costanti, stabiliti della favola sono le funzioni dei personaggi, indipendentemente dall’esecutore e
dal modo dell’esecuzione”;
2) “il numero delle funzioni che compaiono nelle fiabe di magia è limitato”;
3) “la successione delle funzioni è sempre identica”.

Le funzioni di Propp sono trentuno e, secondo lui, descrivono tutte le fiabe:

allontanamento
divieto
infrazione
investigazione
delazione
tranello
connivenza
danneggiamento (o mancanza)
mediazione
consenso dell’eroe
partenza dell’eroe
l’eroe messo alla prova dal donatore
reazione dell’eroe
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fornitura del mezzo magico
trasferimento dell’eroe
lotta tra eroe e antagonista
l’eroe marchiato
vittoria sull’antagonista
rimozione della sciagura o mancanza iniziale
ritorno dell’eroe
sua persecuzione
l’eroe si salva
l’eroe arriva in incognito a casa
pretese del falso eroe
all’eroe è imposto un compito difficile
esecuzione del compito
riconoscimento dell’eroe
smascheramento del falso eroe o dell’antagonista
trasfigurazione dell’eroe
punizione dell’antagonista
nozze dell’eroe

Non in tutte le fiabe sono presenti tutte le funzioni, ma la progressione è sempre la stessa con salti e aggregazioni di
fasi,ma il filo è lo stesso. “A noi interessano perchè possiamo usarle per costruire infinite storie.” [75]

Rodari prosegue spiegando che nel suo corso a Reggio Emilia ne hanno selezionate venti e con l’aiuto di amici artisti
ne hanno fatto venti carte illustrate, ognuna con una parola esplicitante la funzione. Le hanno poi usate per creare
storie. I bambini hanno imparato in fretta il gioco e si sono divertiti.
Hanno anche sperimentato delle variazioni su tema: costruire una storia con solo tre carte usare solo una carta.
Questo è possibile perché ogni funzione o tema fiabesco è carico di significati favolosi e si presta a un gioco di
variazioni infinite. Ogni pezzo non ha un significato univoco, ma è aperto a molti significati. Ogni carta di propp non
rappresenta solo se stessa, ma uno spaccato del mondo fiabesco, echi fantastici per bambini che hanno
dimistichezza con le fiabe e il loro linguaggio. Ogni carta rimanda inoltre alle esperienze del bambino, alle sue
modalità di entrare in relazione con il mondo.
La struttura della fiaba non solo ricalca quella dei riti di iniziazione, ma si ripete nell’esperienza infantile che è un
seguito di missioni, duelli, prove e delusioni secondo passaggi inevitabili. Le funzioni possono aiutare il bambino a far
luce su se stesso .
(Questa attività rappresenta un passaggio ulteriore rispetto ai giochi di parole visti nella prima parte, perché
presuppone una conoscenza delle fiabe tradizionali. Inoltre, ogni funzione ha un richiamo per la vita personale del
bambino, che a questo punto è cresciuto oltre la fase esplorativa. Nell’elemento iniziatico delle fiabe, il bambino
ritrova le proprie sfide e le esperienze della propria vita.

Rodari conclude questo capitolo particolarmente lungo con due note. La prima: Nelle trasformazioni subite dalle
fiabe, Propp ha individuato meccanismi di riduzione (una capanna diventa una capannuccia), amplificazione (la
capanuccia sta su zampe di gallina e ha il tetto di marzapane), sostituzione (al posto della capanna compare una
grotta), intensificazione (un intero paese magico). Rodari nota anche come queste variazioni tipiche richiamino la
descrizione dell’immaginazione che fa Sant’Agostino, come di un “disporre, moltiplicare, ridurre, estendere,
ordinare, ricomporre in qualunque modo le immagini.” La seconda annotazione è in realtà un ricordo dei quadri di
Antonio Faeti ispirati alle fiabe e alle funzioni di Propp. Quadri densi di immagini allusioni e citazioni che ammiccano
alle stampe polari e al surrealismo. Ogni immagine dice cose che si dovrebbero esprimere con milioni di parole, altre
non si possono nemmeno esprimere con le parole.

23. FRANCO PASSATORE METTE “LE CARTE IN FAVOLA”

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Rodari cita un altro esempio di gioco d’invenzione a carte, quello inventato da Franco Passatore e il Gruppo Teatro-
Gioco-Vita e che si chiama “Mettiamo le carte in favola”. Il gioco consiste nell’inventare e nell’illustrare una storia
collettiva. Si crea un mazzo di carte ritagliando foto da giornali e riviste e incollandole su un cartoncino. Poi a turno,
un giocatore pesca la carta e inventa un pezzo di storia, che poi illustra su un foglio bianco. Poi un secondo giocatore
pesca, racconta e illustra, e così via fino all’esaurimento delle carte. [80]

Rodari loda il lavoro del gruppo di Passatore e riporta un altro loro gioco che lo ha colpito: a un gruppo di bambini
vengono dati tre oggetti e devono creare collettivamente una scenetta che li includa. A Rodari piace particolarmente
l’uso di oggetti, perché forniscono più stimoli sensoriali rispetto alle parole (odori, per esempio). In questi giochi i
bambini sono a un tempo autori, attori e spettatori. [81]

24. FIABE IN “CHIAVE OBBLIGATA”

Abbiamo detto che all’interno di ogni “funzione” fiabesca sono possibili infinite variazioni. La tecnica della variazione
può essere applicata anche all’intera fiaba, della quale si può immaginare una trasposizione da una modalità all’altra.
Si tratta di ri-raccontare una fiaba in un’altra “chiave”. Per farlo è importante scegliere bene il punto della fiaba da
cui può avere inizio la modulazione. Rodari fa l’esempio del Pifferaio Magico ambientata nella Roma del 73 e che che
invece di topi, incanta automobili e libera così Roma dall’invasione del traffico cittadino. È un’ipotesi di fantasia che
trascina nello stampo della fiaba una grossa fetta di realtà . la vecchia fiaba suonata nella nuova chiave, adattandosi
alla nuova esecuzione renderà suoni inattesi.
L’autore prosegue raccontando di quando, in una scuola media, ha guidato gli alunni a trasformare “ I Promessi
Sposi” in una storia d’amore durante il Nazismo. [83, 84]

25. ANALISI DELLA BEFANA

L’analisi fantastica di un personaggio fiabesco consiste nella “sua scomposizione in “fattori primi” allo scopo di
rintracciarvi gli elementi per la costruzione di nuovi binomi fantastici, cioè per inventare altre storie intorno a quel
personaggio”. Per esempio, la Befana è definita da tre “fattori primi”: la scopa, il sacco dei regali, le scarpe rotte. [85]
Ogni elemento offre spunti creativi: Dove si comprano le scope magiche? Dato che può volare, fin dove viaggia la
Befana? E se nel sacco ci fosse un buco? E se, dato che le sue sono rotte, la Befana decide di rubare le scarpe delle
case che visita?
L’analisi fantastica porta l’immaginazione a lavorare su dati semplici come l’opposizione tra elemento fiabesco ed
elemento realistico, offrendo le opposizioni elementari su cui l’immaginazione articola le sue storie, mette in moto
ipotesi fantastiche, si apre all’’introduzione di chiavi È un esercizio in cui intervengono contemporaneamente
diverse tecniche d’invenzione.

L’OMINO DI VETRO

“Dato un personaggio, reale (come la Befana o Pollicino) o immaginario (come l’uomo di vetro, per dire il primo che
mi viene in mente) le sue avventure potranno essere logicamente dedotte dalle sue caratteristiche.”
L’omino di vetro avrà i pensieri trasparenti finquando non indosserà un cappello per nasconderli, sarà fragile, la sua
casa sarà tutta imbottita.
Molte delle avventure di Pinocchio scaturiscono dal fatto che lui è fatto di legno. Ma se fosse di ferro…gli
succederebbero altre avventure. In questo campo analisi merceologica e analisi fantastica coincidono. Però bisogna
sfidare e andare oltre la logica razionale che vuole che con il vetro si facciano le finestre e con il cioccolato le uova di
Pasqua. In queste favole la fantasia si muove tra reale e immaginario, in un’altalena indispensabile per impadronirsi
fino in fondo del reale, rimodellandolo.

PIANOFORTE-BILL

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La stessa cosa vale per i personaggi dei fumetti, le cui avventure vengono dettate da un loro attributo specifico,
solitamente morale. Un esempio: i Paperi Disney (Paperone ricchissimo, Paperino iracondo, Gastone fortunato,
eccetera).

Dopo avere letto un po’ di fumetti, i bambini sono in grado di riutilizzare quei personaggi per creare le proprie storie.
Per questo dovrebbero essere considerati non solo consumatori, ma anche creatori. La creazione di fumetti è un
esercizio utilissimo perché richiede di ideare una storia, strutturarla in vignette, inventare i dialoghi, caratterizzare i
personaggi, eccetera. Spesso, bambini con voti bassi in italiano sono bravissimi creatori di fumetti. Sarebbe
un’attività da implementare più spesso, secondo Rodari. [90]
Talvolta l’attributo specifico è un oggetto, come nel caso degli spinaci di Braccio di Ferro, per esempio. Poi Rodari
divaga sul processo mentale che ha trasformato i gemelli Marco e Amerigo, figli di un amico, in Marco e Mirko,
supereroi gemelli armati di martelli, su cui ha scritto un libro.
Alcuni personaggi vengono caratterizzati semplicemente dal loro nome, come nel caso de “il pirata”, “il cowboy”…
Gli attributi possono sommarsi. Possiamo creare un personaggio cowboy che ha come attributo oggetto un
pianoforte. Ecco che nasce Pianoforte-Bill, che viaggia portando il pianoforte sul suo cavallo.

MANGIARE E “GIOCARE A MANGIARE”

Con questo capitolo Rodari inizia una sezione dedicata a osservazioni di fantastica casalinga che prende le mosse dal
discorso materno. Si apre con una citazione presa da Vygotskji (Pensiero e Linguaggio, 1967): “Lo sviluppo dei
processi mentali ha inizio con un dialogo, fatto di parole e gesti, tra il bambino e i genitori. Il pensiero autonomo
comincia quando il bambino è per la prima volta capace di interiorizzare queste conversazioni e di istituirle dentro di
se.” Questo dialogo è in primo luogo il monologo di madre e padre che, fin da quando è molto piccolo, parlano al
bambino costantemente. Senza saperlo, prendono atto del fatto che la mente del neonato è una mente assorbente
(Montessori) che interiorizza tutti i suoni e le informazioni dell’esterno. Non solo, il costante accompagnamento
sonoro fa sentire al bambino la presenza di chi si prende cura di lui e procura alimenti alla sua fame di stimoli.

Naturalmente si sviluppano dei giochi fra bambino e genitore, come quello della pappa-aeroplanino. Ogni attività
della routine diventa un gioco, una recitazione come in un grande teatro gioco vita. Il bambino li apprezza perché
trasformano l’azione quotidiana in un fatto estetico, in un qualcosa di interessante. [94] Le madri più pazienti
constatano ogni giorno l’efficacia di trasformare un’azione quotidiana in un “giocare a…”. Sono momenti importanti
perchè forniscono informazioni utili e perchè sono condivise con l’amato genitore.

Secondo Rodari, chi vuole inventare storie per i piccolissimi, non può non prendere in analisi il “discorso materno”.

STORIE IN TAVOLA

“Storie per i piccolissimi si possono inventare animando gli oggetti che si trovano sulla tavola o sul seggiolone
quando debbono mangiare.” I padri e le madri creano questi giochi in continuazione, applicando uno dei principi
essenziali della creazione artistica: lo straniamento di un oggetto dal suo mondo abituale per attribuirgli nuovo
significato. Così facendo, il cucchiaio può diventare un pesonaggio autonomo: corre cammina ha avventure con la
forchetta, sfida il coltello; la favola si sdoppia perché da un lato segue i movimenti del cucchiaio, dall’altro, crea un
signor cucchiaio. L’animazione si fa personificazione come nelle favole di andersen.
Il piattino che il bambino muove sul tavolo come una macchinina diventa grazie alla fantasia dell’adulto un aereo.
Lo zucchero dà modo a rodari di riflettere al meccanismo della sottrazione fantastica che consiste nel fare
scomparire tutti gli oggetti di questo mondo. Sottraendo oggetto dopo oggetto arriviamo ad un mondo fatto di
niente. (“C’era una volta un omino di niente, camminava su una strada di niente che non andava in nessun posto…”).
I bambini stessi fanno il gioco del niente chiudendo gli occhi. Serve a dare corpo alle cose, a isolare la loro esistenza
dalla loro apparenza. La scoperta del rapporto tra Essere/Non essere del bambino, che si manifesta già nel gioco del
chiudere gli occhi e pensare di essere sparito, inizia molto presto. Il filosofo che tratta questi due concetti con la
lettera maiuscola, riprende ad alto livello un gioco infantile.[98]

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VIAGGIO INTORNO A CASA MIA

I bambini esplorano i materiali in modo ambiguo e pluridimensionale, unendo conoscenza e affabulazione,


esperienza e simbolizzazione. “Mentre impara a conoscerne la superficie, il bambino non cessa di giocare con essi, di
formulare ipotesi sul loro conto. Dei dati positivi che immagazzina, non cessa di fare uso fantastico.” Ne sono
esempio la sedia che diventa vagone di treno, il tavolo che diventa tetto di casa. Per molti anni, le scoperte che fa
convivono con aspetti animisti (“cattivo tavolo!”) e “artificialisti” (“c’è un signore che mette l’acqua nei tubi”.
A raccontare storie di oggetti si può avere l’impressione di incoraggiare l’aspetto “animista” a scapito di quello
“scientifico”, ma in realtà “giocare con le cose serve a conoscerle meglio” e quindi non sembra utile imporre limiti al
gioco e alla fantasia. [99] Tocca all’adulto capire se il bambino sta giocando o vuole ricevere informazioni, e
assecondarlo nel suo scopo.
La prima avventura del bambino che comincia a muoversi autonomamente è l’esplorazione degli oggetti di casa. Il
genitore può raccontargli la vera storia di quegli oggetti (l’acqua arriva dalla sorgente, eccetera) rimanendo però
conscio che, almeno all’inizio, saranno percepite dal bambino come semplici catene verbali.

(E qui Rodari si lamenta di come non esistano libri per piccolissimi sull’argomento e in generale non ci sia una
letteratura per l’età 0 -3 … Cosa che adesso esiste e con un’abbondanza di titoli, per fortuna).
Il genitore può inventare storie “animiste” senza paura, perché sarà il bambino stesso a capire l’opposizione “reale-
immaginario”, vero davvero e vero per gioco che gli permetterà di fondare la realtà.
Poi Rodari fa una riflessione su quanto sia diversa la casa del bambino di oggi (del suo oggi, gli anni Settanta) e quella
della sua infanzia. La casa moderna è piena di macchine, vere (gli elettrodomestici, per esempio) e giocattolo (le
automobiline). Questo avrà inevitabilmente un impatto sull’idea che il bambino si fa del mondo e delle possibilità
dell’essere umano. Le macchine stesse, sviluppate secondo principi di design, forniscono informazioni al bambino.
Rodari non esprime giudizi, ma constata che questo fa sì che ci siano più elementi per inventare storie.
“L’immaginazione è una funzione dell’esperienza, e l’esperienza del bambino di oggi è più estesa, rispetto a quella
del bambino di ieri.” Ogni oggetto dell’esperienza offre appigli alla favola. Lui stesso ha scritto storie in cui
compaiono frigoriferi e mangiadischi.
Per i piccolissimi si può partire dagli oggetti con cui hanno più confidenza, come il letto. Per l’uso a cui sono destinate
(accompagnare il momento della pappa, della messa a letto, …) queste storie non devono obbedire a legge ferree ma
a quelle morbide dell’ “improvviso”. Non devono essere per forza compiute, ma hanno il carattere dei primi giochi
infantili che sono un vagabondaggio tra molte storie sparse che sconfinano le une nelle altr, popolato di oggetti che
vengo presi, lasciati, ripresi.

IL GIOCATTOLO COME PERSONAGGIO

Grazie ai bambini, ritornano in vita come giocattoli oggetti dimenticati (una sveglia rotta), non più utili per lo scopo
originale (arco e frecce), decaduti d’importanza nella società (le maschere), ma anche cose, animali, macchine,.
Anche i mestieri, le arti e le professioni diventano giochi “Il bisogno del bambino di imitare l’adulto […] fa parte della
sua volontà di crescere.”

L’atteggiamento del bambino verso il giocattolo è composito: da una parte obbedisce ai suoi suggerimenti e lo usa
per il gioco per cui è destinato, dall’altro lo usa come mezzo per esprimersi, il giocattolo diventa il mondo con il quale
si misura e quindi può capitare che lo smonti o distrugga. [104] Ma è anche una proiezione della sua persona (questo
è particolarmente evidente nel gioco con le bambole, in cui i bambini ricapitolano tutta la loro conoscenza della vita.
Ad esempio la bambina sgrida la bambola con i termini con cui è stata sgridata dalla mamma. Picchia una bambola
per sfogare la gelosia veso il fratellino. Nel gioco i bambini drammatizzano le proprie relazioni e i propri conflitti).
Piaget ha chiamato questi giochi simbolici e costituiscono una “autentica attività del pensiero” che viene espressa in
un monologo che il bambino fa fra sè e sè. Nella scuola per l’infanzia si moltiplicano i monologhi collettivi perché i
bambini non giocano fra loro ma individualmente. Rodari auspica uno studio di questi monologhi, che sicuramente si
rivelerebbe fondamentale per la costruzione della grammatica della fantasia.

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Inventare storie con i giocattoli è naturale, la storia è un prolungamento festoso del giocattolo. I genitori sono i
migliori compagni di gioco perché hanno un’esperienza più vasta che permette di spaziare di più con
l’immaginazione. Questa esperienza deve essere messa al servizio del bambino. L’adulto gioca con lui, per lui,
stimola la sua capacità inventiva per consegnargli nuovi strumenti che usaerà quando gioca da solo. L’adulto con la
sua esperienza e il suo potenziale immaginativo più ampio insegna a giocare.
L’adulto deve giocare con e per il bambino, non relegarlo a spettatore. Deve imparare da lui a parlare ai pezzi del
gioco, e attraverso la cura per il giocattolo dire al bambino “che gli vogliamo bene, che può contare su di noi, che la
nostra forza è sua”. [106]
Nel gioco, i giocattoli sono personaggi di un teatrino in cui agiscono liberamente. La cosa più noiosa è relegare un
giocattolo all’utilizzo solo secondo il proprio ruolo (“rapidamente esplorato, rapidamente esaurito”). “Sono necessari
i mutamenti di scena, i colpi di scena, i salti nell’assurdo che favoriscono le scoperte”. L’adulto può imparare questo
gioco di “drammatizazione” dal bambino e contraccambiare portandolo a un livello più alto e stimolante di quanto il
bambino possa fare con le sue forze ancora limitate. [107]

MARIONETTE E BURATTINI

Marionette e burattini sono arrivati ai bambini per una doppia “caduta”. La prima è quella delle maschere rituali dei
popoli primitivi dal sacro al profano cioè dai riti al teatro. Qui parla del lavoro filologico di Otello Sarzi che ha
scoperto i testi che venivano messi in scena con i burattini fino al Novecento e dentro ci sono miti, opere liriche,
ricostruzioni storiche, … La cosa che Rodari più ammira è che Sarzi sia andato nelle scuole con la sua compagnia a
insegnare la tradizione del teatro di burattini ai bambini, ma soprattutto la sua compagnia ha insegnato ai bambini a
fabbricare dei burattini e a muoverli.

Nelle scuole per l’infanzia di Reggio Emilia c’è sempre un teatrino a disposizione dei bambini, che in ogni momento
possono prendere il proprio burattino e iniziare a inventare. Ricorda anche di un maestro di roma che aveva nella
sua classe un maestro burattino al quale tutti i suoi alunni potevano dire le cose come se le dicessero al maestro.
Diceva di essere un maestro che apprende dai difetti.
Rodari nota come nelle scuole ci siano più spesso i burattini, e nelle case le marionette.
“Il linguaggio proprio dei burattini e delle marionette è il movimento.” Non sono fatti per i lunghi monologhi né per i
lunghi dialoghi, ma possono dialogare a lungo col pubblico.
La superiorità del teatrino dei burattini sta nel maggiore estro dei movimenti, quello delle marionette nella
scenografia e nell’arredamento. Ma per entrambi vale il fatto che si può impararne le risorse tipiche solo con la
pratica.
Ora la domanda che ci interessa è: quali storie possiamo inventare per le marionette e i burattini? L’adattamento di
fiabe popolari fornisce un repertorio inesauribile. Unico consiglio: inserire un personaggio comico. In questo caso
qualunque coppia di burattini costituisce un binomio fantastico. [110]
Rodari prosegue illustrando due esercizi fantastici che si possono fare con i teatrini, sfruttando la loro capacità di
veicolare “messaggi segreti”. Il primo consiste nel ricreare un programma televisivo con i burattini o inserire un
personaggio fantastico in quel contesto (es. Pinocchio al Rischiatutto). Il secondo consiste nell’attribuzione di ruoli
nascosti a determinati personaggi, nello sfruttare la simbologia fissa dei burattini (Re-Padre, Regina-Madre, Fata-
Magia buona, eccetera) per trasmettere al bambino messaggi personalizzati e rassicuranti. [111] “Comunicare per
simboli non è meno importante che comunicare per parole. Qualche volta è il solo modo di comunicare con il
bambino.” Talvolta il bambino può gradire che il suo nome venga passato al burattino, talvolta non gradisce essere
esposto pubblicamente: anche lui ha i suoi segreti. [112]

IL BAMBINO COME PROTAGONISTA

“Tutte le mamme usano raccontare al bambino storie di cui egli stesso è protagonista. Ciò soddisfa il suo
egocentrismo. Ma le mamme ne approfittano a scopo didattico.” [114] L’importante è farlo inserendo la storia in un
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contesto piacevole, per fargli vivere imprese memorabili o un futuro di soddisfazioni, rendendola una fiaba di cui lui
è l’eroe, e non una lezione. Rodari sa bene che la vita non andrà sempre bene, ma nell’infanzia la cosa importante è
fare scorta di ottimismo e di fiducia, anche di utopia, per sfidare la vita. Non trascuriamo il valore educativo
dell’utopia.
“In questo tipo di storie la madre ripropone al bambino la sua esperienza e la sua persona come oggetto, lo aiuta a
chiarirsi il suo posto tra le cose, ad afferrare le relazioni di cui è al centro. Per conoscersi, bisogna potersi
immaginare.” Se il bambino ha paura del buio, la sua versione fiabesca sfida il buio e vince. [114]
Non sono “vuote fantasticherie”, ma esercizi indispensabili quando si hanno tre o cinque anni ad immaginare il
proprio destino. Le storie, per essere più vere, devono essere popolate di personaggi e luoghi presi dalla vita reale,
di lessico famigliare, di nomi riconoscibili. Anche nelle sue esperienze con adolescenti, Rodari utilizza i loro nomi per i
personaggi e scopre che gradiscono: il nome rafforza l’interesse e l’attenzione perché rafforza l’identificazione. [115]

STORIE TABU’

Ci sono storie che Rodari trova utili raccontare ai bambini perché parlano di argomenti che li interessano
intimamente ma che l’educazione tradizionale relega tra le cose di cui “non sta bene parlare”: le funzioni corporali,
le curiosità sessuali. Secondo Rodari, è doveroso permettere ai bambini di esprimere tutti i loro contenuti, liberarsi
delle paure e sconfiggere i sensi di colpa. Le fiabe popolari sono ancora una volta uno strumento utile perché sono
“olimpicamente aliene da ogni ipocrisia”, [116] così come le barzellette. E’ importante non demonizzare cose come
la cacca, e niente come il riso aiuta a sdrammatizzare. Nelle fasi di crescita e confronto con un certo argomento è
importante inventare con e per il bambino storie su di esso, per esempio storie di cacca, vasetti e affini. [117] Rodari-
papà ha composto per i suoi figli canzoncine sulla cacca che cantavano tutti insieme quando la domenica uscivano in
auto per una gita. Si dispiace di non avere mai avuto il coraggio di farle stampare e prevede che solo dopo il Duemila
ci saranno autori tanto coraggiosi…
Quando va nelle scuole i bambini chiedono la storia del Re Mida che trasforma tutto in “cacca” e “Da come ridono”
scrive Rodari “si capisce benissimo, poveretti, che non hanno mai potuto sfogarsi a pronunciarla di persona, fino a
levarsene la voglia.” Racconta poi di quando lui, i suoi figli e dei loro amici hanno inventato un intero romanzo sulla
cacca e ne hanno riso fino ad avere mal di pancia. Dopo quel pomeriggio, nessuno vi ha più fatto riferimento. “La
storia aveva adempiuto la sua funzione, spingendo alle conseguenze estreme, con tutta l’aggressività del caso, la
contestazione delle cosidette <<convenienze>>.” [118]
Il capitolo si conclude con Rodari che si immagina mettere per iscritto la storia e consegnarla a un notaio perché
venga pubblicata solo nel 2017, quando il concetto di “cattivo gusto” sarà cambiato e riguarderà lo sfruttamento dei
lavoratori e i minori in prigione. (Non ci aveva azzeccato sulla visione della società, purtroppo, ma sul maggiore
coraggio dell’editoria per l’infanzia sì)

PIERINO E IL PONGO
Quando i bambini sono lasciati liberi di parlare come vogliono, attraversano un periodo in cui fanno un uso intenso,
aggressivo, quasi ossessivo, delle cosidette “parolacce”. [119] Ne è un esempio la storia inventata da un bambino di
cinque anni e riportata da Rodari in questo capitolo, in cui ne compaiono diverse e in cui è chiara l’espressione di un
qualche senso di colpa che il racconto gli permette di sfogare e domare. [120, 121]

Il bambino sentendosi libero di esprimersi si affretta a usare questa libertà per i suoi fini e racconta una storia con la
cacca al fine di esorcizzare qualche senso di colpa connesso con l’apprendimento delle funzioni corporali.(Rodari
dedica il capitolo alla ricostruzione di come ipotizza il racconto si sia sviluppato nella mente del bambino e lo
analizza. Per l’analisi dettagliata è bene leggere il capitolo originale che va da pagina 120 a pagina 125. Qui riporto
qualche punto interessante e comprensibile anche se isolato.)

C’è a volte l’idea che il gioco sia più “reale” del racconto, che il racconto sia solo fantasticheria, ma Rodari ritiene che
il racconto rappresenti una fase di dominio sul reale più avanzata, perché è già una forma di razionalizzazione
dell’esperienza, è un avvio all’astrazione.

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Un’altra cosa che Rodari nota è che l’invenzione della storia sembra essere avvenuta per scoperta di coppie di
opposti, in linea con le sue tecniche basate sul binomio fantastico. [122]
Inoltre, Rodari nota che c’è un forte senso di musicalità e ritmo (prevalenza dell’uso della lettera P, ripetizioni
ternarie, e altro) denotando un’ispirazione che potrebbe essere andata dal suono alla storia, e non viceversa.
In questa storia il bambino ha fatto confluire tante cose diverse (parole, significati, spunti personali, suoni, divieti
infranti) e si sbaglierebbe a giudicarla solo sul piano ortografico o strutturale, ma le storie devono essere analizzate
nei contenuti e sul piano del linguaggio dietro il quale possono celarsi molte associazioni e significati latenti.
Importante è che il pongo viene associato alla cacca per condensazione onirica. Vedendola nella sua interezza,
Rodari deduce che abbia dato grande soddisfazione al suo inventore.

STORIE PER RIDERE


Il bambino che, durante il rito della “pappa”, ride vedendo la mamma infilarsi il cucchiaio nell’orecchio invece che in
bocca ride perché “la mamma sbaglia”. Il “riso di superiorità” è una delle prime forme di riso del bambino ed è uno
strumento di conoscenza perché giocato sull’opposizione tra uso corretto e uso errato dell’oggetto. (Per
approfondimenti, Rodari suggerisce Il senso del comico nel fanciullo di Raffaele La Porta). Se poi la mamma cambia e
si porta il cucchiaio all’occhio, scatta il “riso di sorpresa”.
Sfruttare l’errore è il modo più semplice per creare una storia comica, e le primissime saranno più gestuali che
verbali. Un esempio: il papà si mette le scarpe sulle mani invece che ai piedi. Poi Rodari divaga immaginando
Monaldo Leopardi, padre del celeberrimo Giacomo, che fa il pirla per divertire il figlio (cosa evidentemente mai
avvenuta visto che il poeta non ha mai dedicato una poesia al padre) e conclude dicendo “Và và, conte padre, tu non
hai capito niente.
Dai gesti sbagliati, poi, nascono le storie vere e proprie. Esempio: la storia dell’uomo “al rovescio” che cammina sulle
mani e mangia coi piedi.

Bisogna fare attenzione che il “riso di superiorità” non diventi espressione di piatto conformismo in cui si prende in
giro tutto ciò che è nuovo o diverso. Perché il riso abbia funzione positiva deve colpire le vecchie paure, compresa
quella di cambiare. I personaggi anticonformisti delle nostre storie devono avere successo, la loro disobbedienza alla
natura e alla norma premiata. “Il mondo, sono i disobbedienti che lo mandano avanti!”

Un’altra occasione per creare storie comiche ce la forniscono molte metafore che usiamo tutti i giorni. Basta
“prenderle alla lettera”. Per esempio: l’orologio che “spacca il minuto”, spacca anche la legna, le pietre, distrugge
ogni cosa.
Un altro meccanismo di creazione di storie comiche è quello dell’inserzione violenta di un personaggio banale in un
contesto per lui straordinario, o di un personaggio straordinario in un contesto banale. [128] Questa tecnica sfrutta il
principio base della comicità, ovvero la capacità di “sorpresa”, l’elemento “deviazione dalla norma”. Esempio: Una
gallina entra in una macelleria e… Nella sua esperienza, Rodari ha visto i bambini applicare questa tecnica senza
fatica e con ottimi risultati.
Un altro meccanismo facile da usare e gradito ai bambini è quello del rovesciamento totale e violento della norma.
Esempio: Pierino che, invece di avere paura dei fantasmi, gli dà la caccia. In questo caso, l’esorcizzazione della paura
avviene attraverso un “riso di aggressività” e un “riso di crudeltà”, che riesce facile ai bimbi ma presenta dei pericoli
e va tenuto sotto controllo o può trasformarsi in atti di crudeltà vera, per esempio la tortura di insetti. [129]
Gli esperti hanno spiegato che ridiamo di alcuni avvenimenti perché vediamo gli umani comportarsi come oggetti, ad
esempio ridiamo se un uomo cade perché si comporta come fosse un birillo. Questo è un altro meccanismo che
possiamo sfruttare e che Rodari battezza “cosizzazione”. Esempio: Lo zio Roberto che di mestiere sta in piedi
nell’ingresso di un ristorante e fa l’attaccapanni. Il riso, inizialmente crudele, genera una sensazione di inquietudine,
capiamo che stiamo assistendo a un’ingiustizia. E’ il riso amaro pirandelliano. [130]

LA MATEMATICA DELLE STORIE


La mente è una sola e quando l’attività mentale si innesca la coinvolge tutta. Ecco perché “la novella, a sua insaputa,
è anche un esercizio di logica.” Quando leggiamo una storia possiamo percepirne la struttura. Ma secondo Rodari è
possibile compiere anche il processo inverso e utilizzare una struttura logica per fare un’invenzione di fantasia.
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Posso sfruttare l’idea degli insiemi e raccontare di un pulcino che perde la mamma e la cerca, rivolgendosi ad altri
animali (che non fanno parte del suo insieme), finché ritrova la propria. Oppure posso fare il gioco del “chi sono io”
in cui il bambino fa questa domanda a varie persone e ne ottiene punti di vista diversi (mio figlio, mio nipote, mio
amico, …) perché appartenenti a sistemi diversi.
L’operazione che il bambino fa costruendo queste storie è di tipo logico e l’emozione ne costituisce un
rafforzamento.
Ci sono maestri che manovrano i “blocchi logici” della loro materia, personificandoli e rendendoli personaggi di
storie che inventano con e per gli studenti. Per esempio: la storia dei Triangolo Blu che cerca la sua casa tra Quadrati
Rossi, Triangoli Gialli, Cerchi Verdi … Viene così impiegata la capacità del bambino di “capire con le mani” ma anche
quella di “capire con la fantasia”.
Rodari prosegue con altri esempi: storie di uomini trasformati in topi e poi di nuovo in uomini per insegnare la
reversibilità; la storia dell’uomo che invece di prendere l’autobus 3 e poi l’autobus 1 decide di prendere il 4 per
spiegare addizioni corrette e impossibili; il piccolo ippopotamo che scherza con il grande moscone ma rimane
comunque più grande di lui per parlare di relatività.
Per inventare storie di contenuto matematico valgono le direttive date finora: la storia del personaggio è già nel suo
nome, il personaggio è un simbolo, il personaggio può evolvere e acquistare nuovi significati, non matematici. Anche
in questo caso bisogna lasciare libera la fantasia e avere fede nel fatto che la storia, se servita con fedeltà, riuscirà.

Il BAMBINO CHE ASCOLTA LE FIABE


Possiamo solo ipotizzare come sia l’esperienza del bambino di tre o quattro anni cui la madre legge o narra una fiaba
(“asse dell’ascolto“). A quest’età il contenuto potrebbe anche non avere affatto valore. Sicuramente, la fiaba
rappresenta per il bambino un modo per tenere l’adulto con sè. Quando ne vuole una seconda, la richiesta potrebbe
essere semplicemente un tentativo di prolungare l’esperienza piacevole del momento esclusivo con quell’adulto.
Forse è per questo che chiedono sempre la stessa storia, in modo da potersi concentrare non sul racconto ma
sull’osservazione dell’adulto.
La voce della madre gli parla di Cappuccetto Rosso, ma soprattutto gli parla di se stessa. Il bambino è interessato al
contenuto e alle sue forme, alle forme dell’espressione, ma anche alla sostanza dell’espressione, cioè alle sfumature
della voce materna, alla sua capacità di trasmettere tenerezza e sciogliere le paure.
Quasi contemporaneamente, c’è il piacere del contatto con la lingua materna, le sue parole, le sue forme, le sue
strutture. L’apprendimento e lo strutturamento della lingua materna nel cervello infantile è ancora spiegato solo da
teorie, ma quello che importa a noi è che la fiaba è un’attività linguistica molto rilevante nel suo sviluppo.
La fiaba serve a costruirsi strutture mentali, a definire rapporti come “io / gli altri” o “cose vere / cose inventate”, a
prendere delle distanze nello spazio (“lontano / vicino”) e nel tempo (“una volta / adesso”, “prima / dopo”). [137]
Come ha scritto Calvino nella prefazione de Le fiabe italiane, la fiaba è anche un’iniziazione all’umanità, offre un
vasto repertorio di caratteri e destini. Alla critica che le fiabe dipingono un mondo arcaico ormai desueto, Rodari
risponde che esse non sono fatte per l’imitazione, ma per la contemplazione, e il bambino lo sa. Si disinteresserà alle
fiabe in modo naturale, quando raggiungerà la fase in cui è più interessato al contenuto che alla forma.

Quando ascolta una fiaba, il bambino ne contempla la struttura e al tempo stesso mette le basi per poterne
sviluppare di proprie.
L’ascolto di una fiaba è un allenamento: gli serve per impegnarsi, per conoscersi, per misurarsi (con la paura, per
esempio). Spesso le fiabe sono criticate per il loro contenuto horror ma tutto dipende dalle condizioni in cui incontra
gli elementi paurosi. [138] Se è la voce della mamma a evocare il mostro, nella sicurezza e nella pace della casa, il
bambino può sfidarlo senza paura. Può “giocare ad avere paura”, un gioco fondamentale per costruire i suoi
meccanismi di difesa. Se la paura del bambino è angosciosa e esagerata, la fiaba l’ha probabilmente risvegliata ma
non ne è la causa: era già dentro di lui. La storia di Pollicino raccontata dalla mamma non fa paura. Raccontata
mentre la mamma è fuori casa potrebbe spaventare. Oppure raccontata a un bambino a cui è capitato di svegliarsi,
chiamare la mamma e non vederla arrivare può fare paura. La “decodifica” delle fiabe avviene in base a leggi
personalissime ed è importante tenerlo in considerazione. [139]

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IL BAMBINO CHE LEGGE I FUMETTI
Se nel capitolo precedente Rodari ha analizzato l’ “asse dell’ascolto”, qui analizza l’ “asse della lettura” e immagina il
lavoro mentale di un bambino che ha finalmente imparato a leggere da solo e legge un fumetto per il piacere di
farlo. Deve imparare a riconoscere i personaggi nonostante i cambi di posizione, attribuire loro una voce, capire chi
sta parlando e come e in che sequenza, interpretare l’ambiente, [140] usare l’immaginazione nel passaggio da una
vignetta all’altra, interpretare i suoni. La storia è da ricostruire con l’immaginazione, combinando le indicazioni visive
fornite. E’ il lettore che dà senso al tutto.

Per un bambino di sei o sette anni è un lavoro impegnativo, che combina operazioni logiche e fantastiche,
indipendentemente dai valori e dal contenuto del fumetto. La sua immaginazione non assiste passiva, ma è
sollecitata a prendere posizione, ad analizzare, sintetizzare, classificare e decidere. La fantasia non è impegnata in
qualcosa di vacuo ma in operazioni nobili e animate da un’attenzione complessa.
Secondo Rodari, più che il suo contenuto, il bambino è attirato dal fumetto per la sua forma: legge il fumetto per
imparare a leggere il fumetto. Gode del lavoro della propria immaginazione, gioca con la propria mente, più che con
la storia. Non dobbiamo sottovalutare la sua serietà di fondo, l’impegno morale che mette in tutte le sue cose.

CAPRA DEL SIGNOR SèGUIN


Rodari continua l’esplorazione dell’ “asse della lettura” e analizza la reazione di una classe di scolari a un racconto a
loro sottoposto. Nel racconto, un pastore ha una capra da cui ricava il latte, ma la capra sogna la libertà e un giorno
scappa, finendo uccisa da un lupo dopo una gloriosa battaglia. I ragazzi criticano quella che secondo loro è la morale
della storia (“se disubbidisci, vieni punito”) e riscrivono la storia concludendola con la vittoria della capra sul lupo.
[143] Rodari commenta citando quelli che chiama “i teorici dell’informazione”: “la decodifica di un messaggio
avviene sempre secondo il codice del destinatario”. Lui nel racconto vede il valore di una capra-eroina che muore per
la propria libertà. Per i ragazzi, un finale positivo coincide solo con la vittoria dell’eroe.
Nella discussione che scaturisce fra i ragazzi si intuiscono posizioni e interpretazioni della storia diverse, e l’accordo si
trova solo una volta che ci si assesta sui concetti di “libertà”, “diritto”, “insieme”. Questo perché nella loro
esperienza, scolastica e di vita, queste sono parole cardine in cui riconoscono innegabile valore positivo. [146]
Questo dimostra la verità dell’antico detto “de te fabula narratur” se “anche i bambini che non conoscono il latino
riferiscono a se stessi le favole che ascoltano.”
“Nell’immaginazione del bambino lettore (come del bambino ascoltatore) il messaggio non incide come una punta
nella cera, ma si scontra con tutte le forze della personalità.” E’ importante incoraggiare questo germe di spirito
critico, fin dai primi incontri decisivi con i libri, che solitamente avvengono a scuola. [146] Se l’avvicinamento alla
lettura avviene in una situazione creativa, “dove conta la vita e non l’esercizio, ne potrà sorgere quel gusto della
lettura col quale non si nasce, perché non è un istinto. […] Se il libro sarà mortificato a strumento di esercitazioni, […]
ne potrà nascere la tecnica della lettura, ma non il gusto.” Ed è così che i bambini si rifugeranno nei fumetti, unico
elemento non contaminato.

STORIE PER GIOCARE

Rodari racconta di quando, in un programma radio, ha raccontato di un gruppo di fantasmi marziani che volevano
invadere la terra per poi chiedere ai bambini presenti in studio di concludere la storia. I bambini, che fino a poco
prima beffeggiavano i fantasmi, quando vengono nominati narratori sentono il bisogno di prudenza, e inventano
modi per fermare l’invasione. Da narratori, la loro immaginazione si è trovata diretta, anche se inconsapevolmente,
dalla loro paura. [148] Questa è una dimostrazione dell’influenza che i movimenti del sentimento hanno sulla
matematica dell’immaginazione, poiché la storia procede passando per filtri molteplici. Il “codice del destinatario” (i
bambini) ha suonato un campanello d’allarme dove il codice del trasmettitore (il narratore) intendeva destare una
risata. A questo punto si può scegliere un finale rassicurante, uno provocatorio o uno a sorpresa, completamente
imprevisto.
Rodari fa un altro esempio parlando di un bambino che, in reazione alla storia di un uomo che non riesce a dormire
perché sente i lamenti delle persone da aiutare (tipo supereroe), risponde che lui si sarebbe messo i tappi nelle
orecchie. Non si tratta di egoismo o egocentrismo (cosa che tutti i bambini hanno) ma del fatto che questo bambino

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si è identificato con il poveretto che non può dormire. Eì probabile anche che il bambino abbia intuito il potenziale
comico di questa risposta, in linea con un esibizionismo infantile molto comune di cui bisogna tenere conto.
Reazioni di questo tipo sono comunque preziose per il narratore, perchè aprono uno squarcio su come la storia viene
percepita e sono utili quando la si modifica perchè abbia l’effetto desiderato.
“Non si può mai dire in anticipo quale particolare del racconto, quale parola, quale passaggio guiderà la
“decodifica”.”

Rodari fa ancora un esempio, raccontando di quando ha proposto ai bambini la storia di Pinocchio il furbo, che dice
bugie di proposito e si arricchisce rivendendo il legname che ottiene dal naso che si allunga. Le conclusioni dei
bambini vertevano tutti sulla punizione dell’imbroglio, della bugia. Nessuno ha visualizzato Pinocchio diventare
l’uomo più ricco del mondo e buttarsi in politica. [150] E’ buffo, però, vedere che poi i bambini decidono di dover
elaborare un trabocchetto per imbrogliare l’imbroglione, usando la moralità convenzionale come alibi per il loro
divertimento.
“Le storie aperte – cioè incompiute, o con più finali a scelta – hanno la forma del problema fantastico”: si dispone di
alcuni dati e bisogna decidere la combinazione risolutiva, facendo calcoli fantastici (basati sul puro movimento delle
immagini), morali (in riferimento ai contenuti), del sentimento (in riferimento all’esperienza), ideologici (nel caso ci
sia un “messaggio” da chiarire). A volte la storia porta verso qualcosa di inaspettato e bisogna sapere accettare il
suggerimento del caso. [151]

SE IL NONNO DIVENTA UN GATTO

Rodari fornisce un altro esempio di reazioni dei bambini a cui viene chiesta di completare una storia. In questa, un
nonno si sente ignorato dalla famiglia, scappa e finisce per trasformarsi in gatto. Da gatto, torna a casa e viene
coccolato tantissimo. [152]

Rodari riporta la volontà manifestata dai bambini che il nonno, alla fine, ritorni una persona, dettata dalla giustizia e
dall’affetto per il nonno. Chiedendo come possa il gatto tornare ad essere il nonno i bambini non esitano a
rispondere che l’unico modo era passare sotto alla sbarra nel verso opposto al precedente. (non passare sopra
perché l’uso della sbarra ha un rituale ben finito). Si può quindi pensare che ritrasformazione del nonno sia dettata
da motivi non solo di giustizia, ma di simmetria fantastica per cui, se avviene un evento magico in una direzione ci si
aspetta che si compia anche l’evento magico opposto. Nell’immaginazione dei bambini, quindi, si attiva anche la
logica.
L’appagamento dell’ascoltatore per essere completo doveva avere un fondamento logico formale almeno quanto un
fondamento morale. La soluzione viene suggerita dalla matematica e dal cuore.

GIOCHI IN PINETA

Rodari racconta i giochi di due bambini di sette e cinque anni che ha osservato dalla finestra di un albergo al mare:
l’innocente slealtà dei due nel proporre ognuno i giochi in cui eccellono; l’aggirarsi per la pineta in quella che Rodari
chiama “ricerca del caso” (“Giocare è sperimentare con il caso”, Novalis); l’uso dell’imperfetto come segnale di inizio
del gioco di immaginazione; [154] l’assegnazione di ruoli fantastici a oggetti comuni; il ricreare le dinamiche della vita
e i ruoli degli adulti nel gioco, in un continuo andirivieni fra livello dell’esperienza e livello dell’invenzione.

Interessante è la considerazione del tempo: i bambini affermano che vanno a dormire per finta e trascorre un giorno,
poi passa un altro giorno senza che ci sia bisogno dell’azione simbolica dell’andare a dormire funzionale
probabilmente ad amplificare l’impressione di distacco dalla realtà[156, 157]; l’amplificazione dei movimenti
maldestri per far ridere l’altro. [158]
Quella che fa Rodari è una “lettura” del gioco come “racconto in atto” [160] resa talvolta complicata dalla difficoltà
di ricostruire di dove vengano certi movimenti o parole o spunti poiché “nel gioco, come nel sogno, l’immaginazione
condensa le immagini a velocità fulminea.” [158] Lo scopo di questa lettura è dimostrare come sull’ “asse del
gioco”come in un testo libero, convengano i tributi e le sollecitazioni degli altri “assi” visti nell’analisi della storia di

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Pierino: quello della selezione verbale, quello dell’esperienza, quello dell’inconscio, quello che immette nel gioco i
valori.
Inoltre, rodari sostiene che nell’analisi del gioco dovrebbe avere un ruolo importante non solo la psicologia, ma
anche la semiologia e la linguistica per spiegare come le azioni simboliche del presente compiute nel gioco
necessitano per essere espresse da parte del bambino dell’imperfetto. Forse si tratta del tempo che scandisce
l’entrata in una realtà altra che è quella della finzione. Il verbo stabilisce la distanza tra il mondo preso per sé, com’è
e il mondo trasformato in simboli per il gioco.
L’autore riflette anche sul fatto che abbiamo molte teorie sul gioco, ma non abbiamo una fenomenologia
dell’ammaginazione che gli dà vita.

IMMAGINAZIONE, CREATIVITA’, SCUOLA

(Calcoliamo che questo libro è stato scritto nel 1972 e stampato nel 1973…)

A occuparsi delle parole immaginazione e fantasia per lungo tempo c’è stata solo la filosofia, di recente si è aggiunta
la psicologia, mentre la scuola ha sempre preferito concentrarsi su attenzione e memoria.
Immaginazione e fantasia sono sempre state espresse con una sola parola (ma Rodari non dice quale mannaggia, se
no me la facevo tatuare), fino al Settecento e con wolf arriviamo alla distinzione tra “la facoltà di produrre
percezioni delle cose sensibili assenti” e la “facultas fingendi” ovvero la produzione, “mediante la divisione e la
composizione delle immagini, dell’immagine di una cosa mai percepita dal senso.” [161] Se ne occupano Kant
(immaginazione ri/produttiva) e Fichte (funzioni dell’immaginazione), finché Hegel distingue “immaginazione” e
“fantasia” come determinazioni dell’intelligenza riproduttiva (immaginazione) e creatrice (fantasia).” Ecco così che
l’artista è dotato di fantasia, materiale di serie A, e l’artigiano di immaginazione, roba da serie B. Questa è la base su
cui si costruisce un binomio che contrappone l’uomo comune e l’artista borghese, sottolineato da Marx e Engels che
parlano di “concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui” e di “suo soffocamento nella grande
massa”.
Rodari dice che, però, al tempo in cui egli scrive le due parole possono essere usate tranquillamente come sinonimi,
grazie anche al lavoro di Husserl e Sartre. [162]
(Il capitolo prosegue con utilissime indicazioni bibliografiche relative a studi sulla fantasia e sul gioco che invito a
consultare … parla di dewey, piaget wallon e bruner. Poi cita l’illuminante Immaginazione e creatività infantile di
Vigoski che descrive con chiarezza l’immaginazione come modo di operare della mente umana e riconosce a tutti gli
uomini l’attitudine alla creatività, rispetto alla quale le differenze sono prodotto di fattori culturali e sociali.
“La funzione creatrice dell’immaginazione appartiene all’uomo comune, allo scienziato, al tecnico: è essenziale alle
scoperte scientifiche come alla nascita dell’opera d’arte; è addirittura condizione necessaria della vita quotidiana.”
Il gioco è una forma di rielaborazione creatrice in cui il bambino combina i dati dele esperienze per costruire una
nuova realtà rispondente alle sue curiosità e ai suoi bisogni. Ma poiché l’immaginazione dipende dalle esperienze, il
bambino deve crescere in un ambiente ricco di stimoli e impulsi in ogni direzione per nutrire l’immaginazione e
applicarla a compiti adeguati che ne rafforzino le strutture e ne allarghino gli orizzonti.
Rodari ribadisce che questa Grammatica della Fantasia non è un manuale, ma una proposta da mettere accanto alle
altre che tendono di arricchire di stimoli l’ambiente in cui il bambino cresce. “La mente è una sola. La sua creatività
va coltivata in tutte le direzioni.” Le fiabe non bastano, come non basta esplorare le possibilità della lingua. Ma
meglio di niente, dice Rodari.

“la mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni. Le fiabe non sono tutto quello che serve al
bambino. Il libero uso delle parole è una delle tante direzioni in cui egli può espandersi.
L’immaginazione del bambino, stimolata a inventare parole, applicherà i suoi strumenti su tutti i tratti
dell’esperienza che sfideranno il suo intervento creativo. Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve
alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al
fantasticatore. Servono proprio perchè, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il
teatro o lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo. Se una società basata sul mito della
produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili
strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini
creativi, che sappiano usare la loro immaginazione.”
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La società è sempre a caccia della creatività per usarla per i propri scopi [164] ma è come dire “Cercasi persone
creative perché il mondo resti com’è”. “Nossignore”, scrive Rodari, “sviluppiamo invece la creatività di tutti, perché il
mondo cambi.”
Dedica quindi alcune righe alle (allora) recentissime prime ricerche sulla creatività, definita come “pensiero
divergente”, cioè “capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza.” E’ una mente che fa domande, che
vede opportunità e non pericoli, capace di giudizi autonomi, fluida.
Questa è la mente creativa e queste sono le caratteristiche del processo creativo, che è anche giocoso. Poi Rodari fa
varie citazioni prese dalle pubblicazioni del Movimento di Cooperazione Educativa, in cui si puntualizza che la
creatività non appartiene solo ai momenti di minor impegno, ma a tutti gli ambiti, compreso quello della
concettualizzazione matematico-scientifica. Se la creatività è confinata agli ambiti di minor impegno, la società è in
realtà repressiva e il mondo condannato al disumano. La scuola dovrebbe essere luogo della trasformabilità, cioè la
possibilità da parte dell’utente di non subire passivamente ma di intervenire in modo attivo e creativo sul suo stesso
modo di essere.
Trova in Schiller la conferma del valore del gioco come espressione umana: “L’uomo gioca unicamente quando è
uomo nel senso pieno della parola, ed è pienamente uomo unicamente quando gioca.” Da qui shiller giunge alla
definizione di stato estetico anche se noi abbiamo con il sangue conquistato lo stato etico. A questo aggancia
Herbert Read che sosteneva che l’attività artistica, ed essa sola, può realizzare e sviluppare nel bambino un modo di
esperienza integrale. Secondo Rodari, il suo unico torto è che abbia parlato di immaginazione solo in funzione
dell’arte, e allora cita Dewey che invece ha parlato di immaginazione coinvolgendovi tutte le materie poiché ogni
materia, ogni conoscenza per essere compresa necessita delle operazioni dell’immaginazione. Perché la funzione
dell’immaginazione è la visione di realtà e possibilità che non possono mostrarsi nelle normali condizioni della
percezione sensibile.
Per quanto riguarda la figura del maestro, Rodari concorda con il Movimento di Cooperazione Educativa e afferma
che dovrebbe diventare un “animatore”, promotore di creatività. [167] E’ un adulto che sta con i ragazzi, li guida,
impara e cresce con loro. Nessuna gerarchia di materie ma una materia sola: la realtà, affrontata da tanti punti di
vista. Nella scuola il ragazzo non deve essere consumatore di cultura e valori, ma creatore e produttore di valori e di
cultura, nella scuola vi si deve stare da uomini interi. La scuola viva è una scuola per creatori. Quelle di rodari non
sono parole ma riflessioni che nascono dalla pratica scolastica, non sono ricette, ma la conquista di una posizione
nuova, di un ruolo diverso.
Rodari deve avere presentito le critiche su questo capitolo così “ideologico” e si prende avanti a rispondere
affermando “Non sono parole: sono riflessioni che nascono da una pratica di vita scolastica, da una lotta politico-
culturale, da un impegno e da una sperimentazione di anni. […] La scuola per “consumatori” è morta, e fingere che
sia viva non ne allontana la putrefazione (che è sotto gli occhi di tutti); una scuola viva e nuova può essere solo una
scuola per “creatori”. E’ come dire che non vi si può stare da “scolari” o da “insegnanti”, ma da “uomini interi”.”
Rodari continua dicendo che sa che ci vuole una buona dose di immaginazione per vedere questi sviluppi [168], per
credere che il mondo possa diventare più umano. “E’ di moda l’Apocalisse,” scrive e poi aggiunge “I vecchi sono
egocentrici”, citando Leopardi che denunciava lo stesso atteggiamento secoli prima, ma invitava a non perdere la
speranza. Proprio come fa Rodari.

SCHEDE

Capitolo dedicato a brevi approfondimenti su concetti presenti nel libro (ma su cui Rodari sentiva di non avere detto
appieno la sua)

Novalis/ in cui dice altre cose che lo hanno interessato nel lavoro dello scrittore

La doppia articolazione/ in cui dice che nei vari giochi sulla parola “sasso” del capitolo 2 sono riconoscibili esercizi
sulla “prima articolazione” del linguaggio (nella quale ogni unità ha un senso e una forma fonica) e esercizi sulla
“seconda articolazione” (nella quale ogni parola è analizzabile in una successione di unità e ciascuna contribuisce a
distinguerla dalle altre) presi da Martinet, Elementi di linguistica generale (1966)

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La Parola che gioca / in cui suggerisce alcuni libri per approfondire i capitoli 2, 4, 9, 36 e che sono quelli che lui ha
usato per preparasi. La parte davvero interessante è quella in cui ammette, con grande candore, di avere un
retroterra culturale troppo povero per scrivere un “saggio” e di non avere una bibliografia per giustificare molte
delle cose che ha detto. Ma non gli dispiace fare brutta figura, quello che gli dispiace è essere ignorante.

Sul pensare per coppie / in cui fa alcuni esempi e cita degli studi a sostegno del fatto che i bambini spesso
costruiscono le coppie per assonanza sonora, più che semantica.

Lo straniamento / in cui fornisce suggerimenti bibliografici per approfondire quest’argomento.

Il “perfetto subliminale” / in cui richiama il concetto di Tauber e Green (Esperienza prelogica, 1971) secondo cui “il
lavoro onirico non crea un nuovo discorso, ma utilizza “percetti subliminali”, verbali o visivi, i quali costituiscono una
miniera per l’immaginazione visiva.”

Fantasia e pensiero logico / in cui, a proposito delle storie inventate dai bambini (capitoli 3, 5, 35), riporta alcune
citazioni di Dewey in cui si sottolinea le storie inventate dai bambini sono costruzioni che precedono un tipo di
pensiero più rigorosamente coerente e gli aprono la strada. Quindi se vogliamo insegnare a pensare dobbiamo
insegnare a inventare. Nemica del pensiero è la noia, bisogna stimolare i bambini a pensare alle ipotesi fantastiche
perché riflettere sulle cose familiari porta la noia.

L’indovinello come forma del conoscere / in cui Rodari cita Bruner che a sua volta cita Weldom che dice che
“risolviamo un problema o facciamo una scoperta quando imponiamo la forma di indovinello a una difficoltà per
trasformarla in un problema che può essere risolto.” All’indovinello dedica un capitolo anche Lucio Lombardo Radice
(L’educazione della mente, 1962), che lo vede ancora una volta come gioco utile alla maturazione intellettuale e
anche all’acquisizione di patrimonio culturale.

L’effetto di amplificazione / in cui ritorna sulla “fiaba a ricalco” che si ottiene attraverso un effetto di
“amplificazione”( ciò che è insignificante in un dato senso apre la strada in determinate condizioni a qualcosa di
difficile e importante in un altro), parola che in fisica e in cibernetica si riferisce all’amplificazione di una piccola
quantità di energia che produce effetti di grande rilievo. Nel contesto della fiaba l’elemento amplificato è un
elemento secondario la cui energia viene liberata (amplificata) creando la nuova fiaba.

Il teatro dei ragazzi / in cui fornisce una bibliografia commentata se si vuole approfondire su quest’argomento.
Parenti: propone una grammatica del teatro che possa allargare l’orizzonte del bambino inventore. Dopo le prime
improvvisazioni, perché il gioco non si esaurisca bisogna arricchirlo.

Merceologia fantastica / in cui dice che quanto illustrato nel capitolo 26 è stato sfruttato al massimo nel suo libro I
viaggi di Giovannino Perdigiorno, libro che non ha mancato di innescare nei bambini la voglia di inventare i loro
uomini. Un buon libro è appunto un libro che fa venire voglia di giocare.

L’orso di pezza / in cui si domanda e cerca risposta al perchè i bambini tengono con loro pupazzi a forma di animale
(capitolo 31). Molto ha a che fare col bisogno di contatto, ma forse anche con un rapporto antico che gli uomini
hanno avuto con gli animali.

Un verbo per giocare / in cui tratta dell’imperfetto che i bambini usano naturalmente quando giocano (capitolo 33) e
che è ignorato da tutte le grammatiche.

Le storie della matematica / in cui puntualizza che, accanto a una matematica delle storie (capitolo 37), ci sono
anche delle “storie della matematica”. E cita il gioco inventato da un matematico inglese che consiste nel simulare
sul calcolatore la nascita, la trasformazione e il declino di una società di organismi viventi, in una parabola molto
simile alla narrazione.

Difesa de Il Gatto con gli Stivali / in cui discute dell’interpretazione della morale di questa fiaba, ma anche
dell’aiutante-animale fiabesco come forma derivata dell’antico animale totemico.

Attività espressive ed esperienza scientifica / in cui commenta quanto detto nel capitolo 44, riportando un brano
preso da I modi dell’insegnare di Bruno Ciari in cui si ribadisce il rapporto stretto che esiste fra attività espressiva,
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creativa ed esperienza scientifica: il testo libero, la più importante delle attività espressive, stimola il ragazzo a
osservare meglio la realtà, a immergersi nell’esperienza, ponendo le basi per l’osservazione scientifica.

Arte e scienza / in cui suggerisce La scienza e l’arte a cura di Ugo Volli (1972) per approfondire sulle analogie e
omologie di struttura tra metodologia estetica e metodologia scientifica. “La tesi generale è che <<lavoro scientifico
e lavoro artistico hanno entrambi per caratteristica essenziale quella di progettare, dar senso, trasformare la realtà:
ridurre cioè oggetti e fatti a significati sociali. Sono semiotiche del reale.>>” Conclude riportando la formula di Nake
per la computer graphics e sottolinenando la presenza dell’elemento I che rappresenta l’intervento del caso e
soprattutto la presenza del binomio fantastico R (segni) e M (regole).

Klee : anche nell’arte vi è spazio per la ricerca esatta

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