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“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese

Interpretazione

Il testo esprime un’amara riflessione sulla fine di un amore che preclude ogni speranza per il
futuro, e quindi la vita stessa, di fatto traducendosi in un’immagine di morte. L’identificazione tra
amore e morte e tra amore e dolore non è una novità in ambito poetico da Dante a Petrarca,
l’immagine della morte si accompagna a quella della donna amata.
Anche in Leopardi “amore e morte” sembrano un binomio inscindibile: secondo il poeta l’amore è
una ricerca di passione totale, di perfezione assoluta mai raggiunte che portano inevitabilmente a
frustazione, a un travaglio interiore, causati o dalla perdita o dall’indifferenza da parte dell’amata.
Le poesie di Leopardi sono intrise di malinconia, di dolore, perché il suo profondo bisogno d’amore
non viene mai soddisfatto. Riconosce presto che l’amore a cui aspira l’uomo è un’illusione che gli
provoca continuo affanno, come recita nella poesia giovanile “Alla sua donna”: “..provar gli affanni
di funerea vita”.. Solo la morte annulla ogni dolore, essa è l’esistenza priva di ogni speranza, di
ogni sogno, di ogni attesa.

Altro elemento appartenente alla tradizione lirica è il richiamo allo sguardo, agli occhi che, nella
poesia stilnovistica, sono motivo di turbamento del cuore. Lo sguardo penetrante della donna,
vista dall’amato come un angelo, porta a un tale piacere paragonabile a uno stato di estasi divina,
rende l’amato vulnerabile, disiorentato.

E in Pavese trasmettono un’impressione di dolore e di angosciosa ineluttabilità.


D’altra parte l’opera di Pavese riflette il travaglio interiore che è dell’autore, ma anche di un
contesto storico e culturale che ha vissuto i drammi individuali e collettivi del 900, la crisi delle
certezze, il conflitto esistenziale.
La stessa ambivalente presenza di tradizione e novità si ritrova negli aspetti stilistici e metrici.
La poesia è infatti caratterizzata da un’ossessiva presenza di figure retoriche che fanno da specchio
all’assurdità dell’esistenza: …
Il linguaggio è…
I versi novenari non presentano rime, ma…
Streghe

La prima volta che ho sentito parlare di streghe è stato con la lettura di “Biancaneve e i sette nani”
dei fratelli Grimm, la fiaba in cui la regina Grimilde, antagonista principale, viene descritta come
una strega malefica, esperta di magia nera, invidiosa della bellezza di Biancaneve.
Lo stereotipo della strega è quello innanzitutto dell’avere un brutto aspetto fisico: naso aquilino,
capelli grigi e stopposi, solitamente è arrabbiata e mostra un’aria minacciosa verso le persone più
fortunate di lei contro cui usa poteri magici per fare dispetti o trasformarle in altri esseri viventi,
come ad esempio rospi. La strega è sempre una donna, trasgredisce ogni regola sociale, si veste
con colori scuri per non farsi notare quando di notte si sposta con la sua scopa nel cielo. E’ una
figura che inquieta e allo stesso tempo affascina per i suoi super poteri.
Anche il luogo in cui vive è molto particolare, si tratta di un’ambiente angusto, isolato, all’interno
di un bosco, circondato da pipistrelli, dove all’interno si aggirano gatti neri, teschi, elementi che
richiamano la morte. Dunque un modello di donna pericolosa, da evitare.
Questo modo di ritrarre le donne considerate streghe nella letteratura per l’infanzia rispecchia
quelle donne che tra la fine del 1400 e l’inizio del 1600 erano mal viste perché vivevano in
situazioni economiche precarie, erano state rifiutate dai mariti o erano donne troppo
intraprendenti, quando all’epoca la donna per bene era quella che si prendeva cura della famiglia,
dedita alla cura della casa, al cucito, al ricamo se benestante, o al lavoro della terra, del bestiame
se di famiglia povera ed erano escluse da incarichi sociali, politici. La donna era considerata fino al
1500 debole, bisognosa di protezione, di un marito, aveva diritti e autonomia inferiori all’uomo.
Quelle donne che non si sposavano erano destinate alla vita religiosa. La mortalità era anche
molto alta poiché la maggior parte delle donne dell’epoca avevano poche possibilità di curarsi ed
erano esposte a numerose malattie. Quelle donne che erano sospettate di essere delle streghe e
dunque pericolose per la società venivano cacciate e finivano per essere bruciate sul rogo.
Solo nel Rinascimento le donne iniziano ad acquisire un ruolo più importante sia in famiglia sia
nella società.
In alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia permane ancora oggi la convinzione che la donna sia inferiore
all’uomo. In Europa le cose sono molto cambiate, la donna partecipa alla vita politica, può
esercitare qualsiasi lavoro che prima era di pertinenza solo dell’uomo.
A mio parere la donna tuttora nella nostra società europea ha conquistato piena parità e deve
liberarsi dell’idea che ci sia ancora uno stereotipo su di lei, non deve rincorrere la figura maschile
nel lavoro, nel sociale, in politica. Deve credere in se stessa, nelle sue capacità e capire che non
serve essere in competizione con l’uomo per dimostrare quello che vale.

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