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GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga nasce a Vizzini nel 1840 e muore a Catania nel 1922 (anno della marcia su Roma). La sua è
una famiglia di nobili proprietari terrieri. Verga studia a casa, recandosi poi a Firenze e a Milano. Nella città
Lombarda pubblica, nel 1872, i romanzi “Eros”, “Eva” e “Tigre reale”, appartenenti al movimento degli
scapigliati. Non legge alcun classico, concentrandosi su libri quali “I tre moschettieri”. Comunemente
considerato un autore dell’Ottocento, Verga scrive anche nel Novecento. Nel 1865 egli giunge a Firenze, al
tempo capitale d’Italia, forse con l’intenzione di “sprovincializzarsi”. Qui scrive “Storia di una capinera”,
opera nella quale viene raccontata la monacazione forzata di una ragazza. Il romanzo costituì anche un
grande ritorno economico per lo scrittore.
Nel 1872 Giovanni giunge a Milano, città più vicina alle sollecitazioni e alla vita europea. A Bormio diviene
amico dei fratelli Treves, a capo di una casa editoriale. Nel 1873 Verga pubblica i romanzi appartenenti alla
scapigliatura. In “Eva” un pittore giunge a Firenze e si innamora di una ballerina che disprezza l’arte e
desidera soltanto il lusso; l’artista viene così declassato dalla società del profitto, fondata sul capitalismo
(romanzo anti-capitalistico). “Tigre reale” racconta invece la storia di un uomo innamorato di una donna
che è “divoratrice di uomini”. Nel 1871 con la pubblicazione delle opere del ciclo di Zola, lo stesso Verga
viene ispirato per i suoi lavori.
Nella “Prefazione di Eva” viene presentata una società in cui lo scrittore, l’artista è considerato inetto.
L’arte è un “lusso da scioperati” in quanto essa non è fonte di produzione. La realtà è segnata dal gretto
materialismo e dall’ipocrisia. La società è asservita proprio al godimento materiale. Il termine “positivo” è
proprio riferito al positivismo. Il vero di cui Verga parla non è quello della svolta verista ma quello degli
aspetti più crudi della realtà. L’arte raccoglie i dolori dell’artista, denunciando il vero.

MALAVOGLIA
Nella “Prefazione dei Malavoglia” viene fatta un’introduzione alla società che produce vinti. Il progresso
visto da lontano è positivo mentre andando a guardare l’individuo si vedrà questo essere travolto dalla
fiumana del progresso, che lo condanna alla solitudine, all’emarginazione e alla sconfitta all’inseguimento
di valori impuri. L’autore è travestito ma sempre presente nell’opera. Nei “Malavoglia” lo stesso Verga
realizza come i valori puri (solidarietà, mantenere la parola data) non sono mai neppure appartenuti ad una
società arcaica. La corruzione c’è sempre stata, anche in un ipotetica società primitiva e rurale, sempre
dominata dall’utile e dall’’interesse e pervasa costantemente dalla lotta per la vita.
Il personaggio di ‘Ntoni è caratterizzato da un leggero autobiografismo.
‘Ntoni vorrebbe abbandonare questo mondo arcaico, pre-moderno e patriarcale per spostarsi nelle grandi
metropoli (così come fece Verga), e per questo motivo si sente colpevole; questo voler abbandonare il
luogo è sentito come una colpa, un tradimento.
Padron ‘Ntoni è monologico, egli parla un unico linguaggio, fatto di proverbi. I punti costanti dell’attenzione
di Verga sono sé stessi, il mondo arcaico-rurale e i guasti che la modernità produce in questo mondo pre-
moderno. Nei “Malavoglia” i personaggi sono suddivisi in due aree:
coloro che vogliono confortare
coloro che obbediscono alla logica economica, la logica della modernità
Lo stato d’animo descritto è solo quello dei personaggi spiritualmente privilegiati.
Mena e Alessi conservano l’insegnamento del nonno mentre ‘Ntoni e Elia tendono alla corruzione.
‘Ntoni è un personaggio moderno, che vuole cambiare; egli sa usare linguaggi diversi ed è fortemente
contraddittorio, anticipando la figura dell’intellettuale del Novecento, sempre scisso tra mondi e verità
diverse.
Nei “Malavoglia” c’è un elemento di nostalgia nei confronti del mondo arcaico-rurale. Verga è critico nei
confronti della modernità e del progresso. lata sociale. Egli apre la porta alla figura dell’inetto, colui che si
dimostra inadeguato.
Nel capitolo 3 ci sono in mare ‘Ntoni, Alessi e Padron ‘Ntoni; quest’ultimo diviene un personaggio negativo.
La burrasca rivela i sentimenti dei personaggi. Padron ‘Ntoni è preso dal senso d’unione con i familiari e
dall’attaccamento alla casa. Il declino viene mostrato dagli stessi proverbi, che non vengono più usati in
modo opportuno. Alessi invoca l’aiuto della madre mentre ‘Ntoni esce da questa situazione più arricchito,
riuscendo a salvare la barca e i familiari. Viene qui messa in evidenza l’esperienza e il coraggio, ma anche
l’insofferenza della vita dello stesso ‘Ntoni. C’è un contrasto tra la scioperataggine e il desiderio del lusso e
la grande forza ed esperienza mostrata nella burrasca. Il capitolo 10 segna la seconda metà del romanzo.
‘Ntoni contesta i proverbi del nonno, fatto che segna il declino di quest’ultimo. ‘Ntoni inizialmente è un
personaggio positivo. Ognuno ha una condizione che gli è stata data, il che si traduce in una staticità
generale. A tutto ciò si contrappone la voglia di riscatto sociale di ‘Ntoni. La reazione di ‘Ntoni è velleitaria;
secondo lui alla base vi è un sistema ingiusto che condanna parte della popolazione di Acci Trezza allo
sfruttamento. La sua ribellione non incide sui meccanismi della civiltà.
Il personaggio dei “Malavoglia” rifiuta l’oppressione e la miseria; la sua sofferenza lo conduce però verso il
degrado, verso l’ ozio nel vero senso della parola.
Il processo per corruzione al quale sarà chiamato lo porterà però a pentirsi. ‘Ntoni ė un personaggio “sulla
soglia”, venendo attratto dalla civiltà e al contempo voglioso di andarsene; questi sentimenti si succedono
più volte nel personaggio. La famiglia continua a parlare di chi è assente, di chi manca, piangendo un
passato ormai irrecuperabile. ‘Ntoni è travoltò dalla fiumana del progresso, che è inarrestabile. Egli
idealizza una comunità che si è sempre rivelata una fossa di serpenti.
Il romanzo si conclude con la figura di Rocco Spatu, un ubriacone e un fannullone, una figura negativa che
fa ricordare al lettore che quel paese idealizzato da ‘Ntoni è dominato dalla lotta per la vita e che vinti non
sono certamente in una realtà idilliaca. ‘Ntoni è colpevole di aver spezzato la sacralità della famiglia per via
di questo suo desiderio di andarsene. L’addio di ‘Ntoni e di Verga alla comunità sono completamente
opposti.

ROSSO MALPELO
Nel 1878 viene pubblicato “Rosso Malpelo”, un racconto diverso nel quale il verismo rappresenta i
meccanismi della lotta per la vita. La scelta dell’impersonalità è tipica del verismo e rappresenta la società
come essa di rappresenterebbe da sola (come una fotografia). Il dialetto non viene adottato ma si
preferisce utilizzare una lingua che simula espressioni dialettiche e che risulta quasi “essersi fatta da sé”. La
svolta verista quindi avviene proprio in questo anno (non si parla di conversione).
Malpelo lavora in una cava di rena rossa ed è oggetto di pregiudizi popolari a causa del colore dei suoi
capelli. Il ragazzo vive in una condizione di totale isolamento ed è malvoluto da tutti, persino dalla madre
che lo accusa di rubare soldi dallo stipendio che porta a casa. L’unico a dimostrargli affetto è il padre,
Misciu Bestia, con cui lavora nella cava. Una sera, mentre sta lavorando all’abbattimento di un pilastro in
condizioni molto pericolose, l’uomo resta ucciso. A nulla servono le richieste d’aiuto del povero figlio, che
scava a mani nude per salvare il genitore. Questa perdita lo segna in modo inequivocabile. Persino
Ranocchio, un ragazzino claudicante arrivato a lavorare in miniera con lui, lo abbandona perché vinto dalla
fatica e dalla tubercolosi. Anche l’asino che usa picchiare viene trovato morto e il suo cadavere viene
mangiato dalle bestie. Decide dunque di addentrarsi in uno stretto cunicolo dove morirà.
Il narratore popolare è ostile nei confronti di Rosso Malpelo.
Rosso si rende conto della realtà in cui vive, caratterizzata dai meccanismi per la vita, fatta di desideri
materialistici. Non c’è una parte della società che si salva. Ci fa capire che non è Rosso Malpelo ad essere
cattivo, ma i suo aguzzini.
Si distinguono due gruppi:
quelli che opprimono - madre, padrone, ingegnere, sciancato, sorella
quelli oppressi - Mastro Misciu, Ranocchio e sua madre e l’asino grigio.
Le coppie che si formano sono basate su un rapporto di dipendenza: il rapporto tra lui e ranocchio dipende
dalla forza fisica e dall’età, la coppia tra lui e il padre dipende da un grado di gerarchia. Sembra che Rosso
voglia trasmetterci l’idea che la vita sia un sistema dualistico, ha un sistema binario: è una guerra nella
quale domina colui che è socialmente più forte (darwinismo sociale). Il padrone scarica il proprio male di
vivere sullo sciancato, lo sciancato su Mastro Misciu, Mastro Misciu su Rosso e Rosso sull’asino. La visione
materialistica presentata vede trionfare l’egoismo individuale; non vi è solidarietà di classe. L’unica
solidarietà è quella fra Rosso e il padre (e non con la madre e la sorella).
La vita è dominata da un sistema di violenza; l’unica via d’uscita da questa è una forma di suicidio, che
Rosso Malpelo usa anche come ribellione.
Fantasticheria
Il mondo rurale viene qui mitizzato; il narratore è ben lontano da quello popolare. Ciò evidenzia la
contraddizione che esiste in Verga, il quale rimane incerto fra un rimpianto romantico e una
rappresentazione fortemente veristica (mondo arcaico come scrigno di bontà e verità oppure come mondo
corrotto). Il pietismo sentimentale è presente, a differenza di ciò che avviene in Rosso Malpelo.
Il punto di vista è quello dell’autore, e non quello del narratore popolare.
In “Rosso Malpelo”, nella “Lupa” o anche nei “Malavoglia” vi è una consonanza tra paesaggio e stato
d’animo e una contrapposizione fra l’individuo e la sua passione e la società; Verga combina quindi il
simbolismo e il realismo. L’amore è visto come un carattere eversivo; sono quindi presenti dei tratti
romantici. In “Fantasticheria” sopravvivono il mondo veristico e quello romantico; qui vengono ritrovati,
soprattutto nei personaggi, i valori ormai non più presenti nella famiglia moderna.
Alla base della rivoluzione tematica e stilistica di Verga c’è Flaubert, il primo che ricerca e tenta la tecnica
dell’impersonalità. La differenza fra il narratore onnisciente di Manzoni e il narratore popolare di Verga
risiede negli umili; gli umili di Manzoni sono visti dall’alto dallo stesso narratore (solo con Lucia non c’è
questo distacco ironico); Verga invece descrive gli umili dal basso.
La presenza delle classi popolari nel Verga verista pone gli umili come protagonisti. Il punto di vista, la
prospettiva, è quella del basso.
In tutta la letteratura romantica gli umili sono presenti; Flaubert è però il primo che, attraverso
l’impersonalità dei naturalisti francesi (non inserire il punto di vista del narratore intellettuale), introduce
l’innovazione adottata anche da Verga. Zola per primo, adotta per esempio il linguaggio della plebe
parigina. Verga non utilizza il dialetto ma impasta un lessico che è toscano e milanese. La sintassi invece è
dialettale e ricorda il siciliano. Nei “Malavoglia” vi sono moltissimi anacoluti (sospensione di soggetti); lo
stesso Verga affermò in “Fantasticheria” come la forma debba adeguarsi al dialetto. In Mastro Gesualdo il
linguaggio è quello della borghesia di provincia; cambia così la classe sociale rappresentata.

LA LUPA (novella)
La gnà Pina viene chiamata “Lupa” dal resto del villaggio per via del suo insaziabile appetito carnale, che la
porta a sedurre tutti gli uomini del paese. Occhi neri come il carbone, labbra rosse e carnose, seno
vigoroso, alta, pallida e magra, la Lupa incarna una sessualità istintiva e animalesca. Ha una figlia in età da
marito, Maricchia, che nessuno vuole sposare per via del disonore rappresentato dalla condotta della
madre. Gnà Pina si infatua del giovane Nanni, ma i suoi tentativi di seduzione vengono respinti dall'uomo.
Arsa dal desiderio inappagato, gnà Pina costringe Maricchia a sposare Nanni, in modo da poterlo tenere
sempre in casa con sé. I suoi tentativi di seduzione continuano anche di fronte alla figlia, che si dispera nel
disonore. Incapace di resistere alla donna, Nanni si risolve a ucciderla con una scure.
L’ambiente non è idilliaco e non coincide con la campagna impregnata di valori; la corruzione è anche qui
presente. La lupa rappresenta la persona esclusa, incapace di adattarsi agli altri. Le metafore popolari sono
proprie di una comunità contadina. Nella novella rivive il mito romantico di amore e morte insieme. Le
descrizioni del mondo primitivo-magico sono quasi liriche, e appartengono dunque all’autore. Il paesaggio è
al contempo simbolico; la campagna assetata rimanda alla sete d’amore e di passione, così come il colore
rosso dei papaveri, simbolo della morte della Lupa per mano di Nanni, associato al colore del sangue.

LA ROBA (novella)
A Francofonte, in contrada Passaneto, un bracciante, Mazzarò, grazie alla sua intelligenza ed attraverso
l'utilizzo di imbrogli, riesce ad appropriarsi delle terre del padrone (un ricco barone) lasciando a
quest'ultimo solo il proprio stemma.
Mazzarò diventa ricco ma avaro, è severo con i suoi mezzadri e il suo unico scopo è possedere così tanta
terra da eguagliare quella del re. Divenuto vecchio, pensando che la morte sia ormai vicina, è disperato
perché sa di non poter portare con sé le ricchezze accumulate ed infine uccide gli animali delle sue
proprietà.
Punto di vista: prima del viandante e poi del paese. Narratore esalta personaggio, è in sintonia con esso. Il
fallimento di Mazzarò non consiste nella perdita di una ricchezza materiale, bensì nella perdita dell’affetto
familiare. Mazzarò è un personaggio malavogliesco, in quanto in lui rimane sempre questo desiderio di
affetto familiare.
narratore basso - vede delle cose come l’uccisione degli animali come qualcosa di risibile perché questo
atto non risponde alla logica economica
narratore alto (l’autore) - vede questo gesto come tragico.
Mazzarò è un personaggio moderno in quanto fortemente problematico. È un personaggio malavogliesco:
dentro di se ha lo stesso desiderio di affetto di Ntoni. Il fallimento di Mazzarò è umano e esistenziale.
La comunità condivide la logica dell’utile. Successivamente diviene evidente l’ascesa di quei ceti sociali
emergenti che si sostituiscono alla nobiltà, oltre che la delusione post-Risorgimentale. La prospettiva è
bassa e vi sono numerosi errori sintattici. La prospettiva del viandante è invece alta, quasi romantica. Nella
novella lo straniamento viene rovesciato. Tutto ciò che apparirebbe strano appare invece normale e
legittimo. Il punto di vista diventa poi quello di Mazzarò stesso, con un discorso indiretto libero.
Il narratore esalta il punto di vista del personaggio di Mazzarò, il quale viene celebrato. Questa celebrazione
iperbolica è riferita quindi all’accumulo. Lo straniamento consiste con il far apparire legittimo, normale e
meritorio tutto ciò che Mazzarò fa. Egli è disumano ma viene presentato come eroico; successivamente si
scontra con la natura, e quindi con la morte.

Mastro-don Gesualdo
In Gesualdo c’è un costante desiderio di affetto. All’innalzamento sociale segue la catastrofe. La
contrapposizione non contempla un’alternativa affettiva. Anche per Mastro-don Gesualdo la modernità ha
assunto il principale disvalore, quello dei soldi; è la logica economica a dominare, sacrificando affetti e
sentimenti. Più egli diventa ricco e più diventa isolato, sposando per esempio Bianca, non per vero amore.
La famiglia di Gesualdo è un covo di vipere e la sua vita è una sconfitta interiore, che corrisponde al
crescente successo economico.
Il protagonista riesce ad arricchirsi mantenendo un costante odio in tutta la cittadina; la morte per cancro
allo stomaco incarna le preoccupazione e la malattia interiore, dovuta alla lotta per l’accumulazione e alla
solitudine. Alla fine la famiglia del genero spenderà tutti i suoi soldi. Gesualdo muore con l’angoscia di non
aver avuto l’aiuto della figlia nel corso della propria vita. La modernità, che porta all’alienazione, è
totalmente sconfitta. Verga denuncia implicitamente il mondo degli affari, mostrando come l’adozione di
una logica economica porti inevitabilmente ad una sconfitta.
Il self-made man è associato al totale fallimento, il quale però non è un fallimento economico. Mazzarò non
si rende conto della sua sconfitta, al contrario di Gesualdo. La malattia di Gesualdo è un concretizzarsi della
malattia interiore e del fallimento. Mastro-don Gesualdo si rende conto dell’insensatezza della religione
della roba, che si sostituisce alla religione della famiglia, e della fatica. La prima ha infatti portato solo
dolore e sofferenza. Il progresso è inevitabile e non ci sono alternative alla sua negatività.
Verga distrugge il mito del self-made man, mostrando il non-senso che c’è nel cercare il significato della vita
sull’arrampicata sociale.
In Mastro-don Gesualdo scompare il conflitto fra economicità e i valori positivi. Questo contrasto non è più
presente all’esterno ma rimane sempre all’interno di Gesualdo, il quale alla fine diviene il negatore dei
valori della famiglia. Non ci sono personaggi completamente positivi come nei “Malavoglia” (Alessi, Mena,
Padron ‘Ntoni). I residui di idealismo romantico sono qui scomparsi. Verga approda ad un pessimismo
assoluto. La realtà è completamente disumanizzata.
Gesualdo ricava dalla sua ricchezza soltanto l’odio.
La focalizzazione è concentrata sul protagonista (il paesaggio notturno del capitolo I parte 4 è da collegare
al “Canto notturno di un pastore errante”). Nel racconto affiora il prezzo che Gesualdo ha dovuto pagare
per la sua ascesa. Diodata potrebbe rappresentare un’alternativa, essendo lei l’incarnazione dei valori
affettivi. Lei è l’ultimo residuo dei valori nel mondo disumano; Gesualdo decide però di rifiutarla. Egli
diviene alienato dalla logica della roba. Nella morte di Mastro-don Gesualdo il punto di vista è quello del
servitore.

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