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Alberto Moravia
LA VITA
Nato a Roma nel 1907 da una ricca famiglia borghese di intellettuali, Moravia fu segnato negli anni
dell'infanzia e dell’adolescenza dalla malattia, una tubercolosi ossea che gli impedì di frequentare
scuole regolari e lo obbligò a lunghi soggiorni in sanatori montani. La sua, quindi, fu la formazione
dell’autodidatta, costruita attraverso vaste letture. Ma la malattia, costringendolo all'esclusione, gli
consentì anche quello sguardo straniato nei confronti del mondo borghese di cui faceva parte.
Esordì giovanissimo pubblicando nel 1929 Gli indifferenti, un romanzo scritto tra il 1925 e il 1928.
Cominciò così la sua fortunata carriera di scrittore, a cui si affiancò quella di giornalista.
Negli anni Trenta, essendo sospetto al regime per le sue posizioni antifasciste, compì lunghi viaggi in
Europa e in America e raggiunse così una visione cosmopolita dei problemi culturali e sociali. Nel
1911 sposò la scrittrice Elsa Morante, da cui si separò nel 1962, pur senza mai divorziare. Nel
dopoguerra la sua produzione letteraria continuò copiosa, così come la sua attività giornalistica per
quotidiani e riviste.
La presenza di Moravia nella cultura italiana contemporanea è stata veramente centrale, con
interventi su tutti i problemi più urgenti, letterari, filosofici, politici.
Nel 1953, con Alberto Carocci, ha fondato la rivista “Nuovi Argomenti”, tuttora in vita; si è occupato di
cinema, scrivendo per anni recensioni di film sull'“Espresso”, nonché di teatro. Nel 1984 è stato eletto
al Parlamento europeo come indipendente nelle liste del Partito Comunista. Moravia è sempre stato
uomo di sinistra, ma di una sinistra laica e borghese, ed ha rifiutato la diretta militanza comunista,
traendo dall’ideologia marxista solo spunti critici. È morto a Roma nel 1990.
Lo scavo nel mondo borghese
Gli indifferenti, pur con le ingenuità che sono inevitabili nell'opera di un giovane esordiente, è un
romanzo di geniale acutezza: Moravia vi dipinge con sguardo penetrante il suo mondo, quello
borghese, di cui coglie lo sfacelo morale, il dissolversi dei valori, ipocrisia e la menzogna, propri di
un'epoca di decadenza come quella fascista. È un mondo chiuso e soffocante, a cui lo scrittore guarda
con lucido disprezzo e disincantata crudeltà, senza però riuscire a scorgere alternative.
AI centro vi è un personaggio portatore di coscienza, il giovane Michele, che vede chiaramente la
negatività di ciò che lo circonda, ma non riesce a stabilire un rapporto con la realtà, a vivere
sentimenti autentici, ad agire, e si perde nella sua «indifferenza».
Essendogli preclusa l’azione, non gli resta che sognare un mitico mondo passato, in cui era possibile
avere un rapporto immediato con la realtà: ma alla fine, data la sua indifferenza e la sua impotenza, la
sua opposizione all'esistente non può sfociare se non in un'integrazione, in un adattamento ai rituali
borghesi.
Nel romanzo si delineano i due nuclei tematici a cui Moravia resterà sempre fedele, il sesso e il
denaro, visti come le due componenti fondamentali intorno a cui si polarizza la vita umana. Per tutta
la sua opera successiva, in fondo, Moravia continuerà lo scavo nel mondo borghese iniziato col primo
romanzo, indagine impietosa di una crisi da cui egli non intravede vie di salvezza. Negli Indifferenti
l'indagine è condotta con una penetrazione ancora istintiva: più tardi Moravia utilizzerà soprattutto i
suggerimenti della filosofia esistenzialista, quelli della psicoanalisi e quelli del marxismo.
Dal punto di vista formale, Gli indifferenti presentano ancora una struttura naturalistica, ottocentesca:
una narrazione oggettiva in terza persona, con molto dialogo e con frequenti focalizzazioni interne ai
personaggi. In un momento in cui in Italia il romanzo era in crisi e lasciava il posto alla prosa d'arte, il
giovane Moravia forniva alla scena culturale una solida, tradizionale costruzione romanzesca. Questa
adesione ai moduli del realismo ottocentesco sarà una costante anche nel Moravia successivo.
Meno felice fu la seconda prova romanzesca, Le ambizioni sbagliate (1935), che si risolveva in una
costruzione estremamente macchinosa, tra il “giallo” e il romanzo psicologico dostoevskiano, e che la
critica e i lettori hanno messo in secondo piano. A questo romanzo si affiancarono raccolte di racconti,
Le bella vita (1935), L'imbroglio (1937), sempre di impianto realistico. La ricerca moraviana si volse poi in
altre direzioni con i racconti surreali di I sogni del pigro (1940) e con la satira politica della Mascherata
(1911), in cui, attraverso la rappresentazione di una dittatura sudamericana, viene colpito il regime
fascista.
Ai temi e alle soluzioni narrative a lui più congeniali, Moravia torna nel dopoguerra con il racconto
lungo Agostino (1945). È la storia della maturazione di un ragazzo tredicenne, di famiglia agiata, che
durante una vacanza al mare scopre due aspetti da lui sino allora ignorati della vita, il sesso e
l'esistenza delle classi sociali. L'esperienza è traumatica e dolorosa, ma provoca in Agostino una presa
di coscienza: da un lato non riesce più a identificarsi col ruolo di bambino impostogli dalla madre,
dall'altro, frequentando un gruppo di ragazzi di estrazione popolare, si estrania dal suo ambiente
sociale, comincia a guardarlo con occhio critico, sente che non vi può più vivere se non con fastidio,
senza peraltro potersi assimilare ai ragazzi proletari.
In questo stato di esclusione e di sospensione, dinanzi alla durezza dei rapporti umani che scopre nella
vita reale, una volta uscito dal limbo ovattato dell'infanzia, Agostino sente un bisogno disperato di un
paese innocente, dove «tutte queste brutte cose» non esistano. Questo sogno di un mondo immune
dalle brutture della realtà borghese torna sistematicamente negli eroi moraviani, dagli Indifferenti alla
Noia: l'analisi pessimistica del negativo si rifugia nell'utopia.
La vicenda di Agostino si chiude con una situazione sospesa, di speranza in una futura integrazione
nel mondo degli adulti, che non riesce però a lenire la sensazione presente di dolorosa mancanza.
I temi di Agostino sono ripresi nel 1948 da un altro romanzo breve, La disubbidienza.
Anche qui compare una crisi adolescenziale. Ma per altri versi Luca vive un'esperienza simile a quella
del Michele de gli Indifferenti, un’impossibilità di stabilire rapporti col reale. Il ragazzo si estrania
progressivamente dalla famiglia, dalla scuola, dai compagni, in una sorta di «sciopero» dalla vita, sino
ai limiti dell’autoannientamento. Respinge tutti i falsi valori della famiglia borghese, in primo luogo il
culto del denaro e della proprietà. La crisi esistenziale si risolve in malattia fisica; e Luca è riportato
alla vita e alla normalità da una materna infermiera, che lo inizia al sesso. Ma non sì può dire che il
romanzo termini con una soluzione positiva: l'unica alternativa al rifiuto radicale e autodistruttivo
della realtà è un abbandonarsi passivo al puro esistere. Rifiutando la società, Luca può salvarsi solo
regredendo nel grembo della madre natura.
La scoperta del popolo negli anni del Neorealismo
La capacità di adattarsi alla naturalità immediata del vivere, di accettare il puro esistere biologico, in
questi anni è individuata da Moravia essenzialmente nel popolo. Nel clima postbellico, anch'egli scopre
il proletariato come alternativa positiva ad una classe borghese intimamente minata da una malattia
storica. Anche Moravia quindi subisce l'influenza di quel populismo che percorre come una costante la
letteratura neorealistica italiana. Alcune opere moraviane riflettono questa tendenza: La romana (1947)
e La ciociara (1957), a cui si affiancano i Racconti romani (1954) e i Nuovi racconti romani (1959).
La romana è la storia di Adriana, una ragazza del popolo mite, remissiva, disponibile ad accettare
l’esistenza in qualsiasi forma che, tradita da un fidanzato disonesto, finisce per diventare una
prostituta, ma conserva tuttavia la sua perfetta, “naturale” innocenza, nonostante venga a contatto col
male nelle sue forme estreme, la corruzione e la violenza omicida.
Nella Ciociara il mito della naturale sanità del popolo già si incrina, in quanto l’esperienza della guerra
vissuta da Cesira e dalla figlia Rosetta segna profondamente le due donne, facendo emergere il loro
fondo negativo: Cesira diviene disonesta per avidità, Rosetta, dopo aver subito uno stupro, trasforma il
suo candore in una disperata sensualità, divenendo una prostituta. Resta però comunque nelle due
popolane l'accettazione rassegnata del puro esistere naturale, dei semplici ritmi biologici
dell’esistenza.
L'adesione alle tematiche populistiche e alle formule neorealistiche è però in Moravia più apparente
che reale. L’immediatezza vitale del popolo è vagheggiata solo in quanto antitesi della “malattia” intima
che corrode la borghesia: è il mondo borghese che in definitiva è sempre al centro dell'indagine di
Moravia.
Di contro alla placida naturalità di Adriana, nella Romana, si colloca il giovane intellettuale Mino, che
soffre di un'impossibilità di rapporti con la realtà, di una scissione fra coscienza e azione.
Il senso dell'assurdità del reale lo porta prima a tradire i compagni della Resistenza, poi a darsi la
morte: l'impotenza dell'eroe borghese non può sfociare che nell'autodistruzione.
Anche alla Cesira della Ciociara si contrappone un intellettuale impotente di fronte alla borghesia
bottegaia di provincia, gretta sino alla disumanità, da cui proviene e per cui prova disgusto. Ed anche
nel suo caso l’unico riscatto possibile è nell’autodistiuzione: Michele si sacrifica per salvare la vita dei
contadini ciociari tra cui è sfollato, e viene ucciso dai tedeschi.
In questo periodo in cui subisce l'influenza del populismo neorealistico, Moravia non cessa poi di
scrivere romanzi che si concentrano esclusivamente sulle tematiche della crisi borghese e che hanno
al centro figure emblematiche di intellettuali dalla “coscienza infelice”. Nel Conformista (1951)
Marcello, ossessionato dal senso di colpa per un omicidio che crede di aver commesso da ragazzo,
insegue disperatamente la “normalità” e crede di trovarla nell’adesione al fascismo, sino a diventare un
sicario.
nell’assassinio di un antifascista. Nel Disprezzo (1954) un altro intellettuale, Riccardo, ancora legato ai
valori umanistici, si scontra con un mondo che li priva ormai di significato, quello dell'industria
culturale, del cinema che riduce la cultura a merce.
La noia e L'attenzione
Una ripresa decisa dei temi più profondi della visione moraviana si ha con La noia (1960), una delle
opere più significative dello scrittore. Il romanzo si collega direttamente al lontano Gli indifferenti,
testimoniando la costanza e la coerenza con cui Moravia si accanisce su un groviglio doloroso di
problemi.
Il protagonista, Dino, è un pittore che non riesce più a dipingere perché non può stabilire rapporti
autentici con la realtà, che gli appare assurda, privata di ogni senso. È questa la «noia», che non è altro
se non l'antica «indifferenza» del Michele degli Indifferenti.
Nel romanzo tuttavia Moravia aggiorna quei temi collegandosi con problematiche che erano molto vive
nel dibattito di quegli anni e che erano proposte con urgenza dall'avvento della società industriale
avanzata e tecnologica: l'alienazione e la reificazione, cioè la spersonalizzazione dell’uomo e la
riduzione dei rapporti umani a rapporti fra cose.
Dino si illude di ritrovare un rapporto con le cose attraverso la relazione con una giovane modella,
Cecilia, che ai suoi occhi diviene il simbolo stesso della realtà. Ma Cecilia è sfuggente, inafferrabile. Il
fatto è che Dino, per Moravia, sconta in sé il peccato d'origine della sua classe: non sa concepire il
rapporto con la realtà se non attraverso la categoria borghese del possesso: per cui ossessivamente
ricerca il rapporto sessuale con Cecilia, nell’illusione di arrivare a possederla. Poi, insoddisfatto,
ricorre al denaro pagandola dopo ogni amplesso, ma va sempre incontro allo scacco nei suoi tentativi.
Per questo, nel romanzo, accanto a quello del denaro il motivo sessuale è dominante.
Moravia è convinto che il sesso sia un modo fondamentale di rapportarsi alla realtà e che quindi
l'indagine sul comportamento sessuale delle persone sia uno strumento conoscitivo indispensabile.
La rappresentazione del sesso è pertanto nei suoi romanzi largamente presente, sempre esplicita, ma
non vi è mai in lui compiacimento morboso. Il sesso è appunto un mezzo conoscitivo, e quindi viene
trattato con distaccata, “filosofica” freddezza.
La soluzione che Dino trova, dopo un incidente d'auto che lo conduce vicino alla morte è il lasciarsi
vivere, in una pura contemplazione dell’esistente, senza più pretendere di stabilire um rapporto con le
cose attraverso il possesso.
È la soluzione a cui perviene anche il protagonista del romanzo successivo, L’attenzione (1965). un
giornalista e romanziere che avverte l’inautenticità intrinseca, immediabile della realtà, e quindi anche
della sua rappresentazione letteraria. Pertanto se fino alla Noia Moravia era rimasto fedele ad un
modulo di romanzo tradizionale e realistico, con un intreccio ben congegnato e con personaggi
delineati a tutto tondo, nell'Attenzione mette in questione la forma stessa del romanzo: viene rotta
L'illusione di “verità” propria del racconto realistico, poiché alle vicende si mescola il diario in cui il
protagonista annota fatti reali ma anche fatti inventati e fantasie concepite in vista di un romanzo da
scrivere. Si ha quindi una sorta di romanzo nel romanzo, ciò che è narrato diviene ambiguo, il lettore
non sa mai se i fatti siano “veri” o inventati dal protagonista.
Le ultime opere
Dopo L'attenzione Moravia ha ancora scritto molto, ma perdendo la forza corrosiva che caratterizzava
la sua indagine precedente. Lo scrittore è così tornato con monotona insistenza sui temi da lui
prediletti, pur cercando di aggiornarli con l'aggancio alle problematiche più attuali. In questi ultimi
romanzi la chiarezza geometrica e l'illuministico razionalismo di Moravia, che riuscivano a ridurre i
problemi al loro nocciolo essenziale, divengono elementarità e povertà, o schematismo dimostrativo di
una tesi preordinata. Anche il linguaggio che, pur nella sua secchezza, era estremamente efficace, ora,
svuotato della sua intima forza corrosiva, diviene piatto, incolore, persino banale.
Io e lui (1971) raffigura in chiave grottesca il problema del sesso, sullo sfondo delle velleità
“contestatrici" del Sessantotto; La vita interiore (1978) affronta il problema del terrorismo; in 1934
(1982) compare il motivo del “doppio”, e in L'uomo che guarda (1985) l'incubo atomico; Il viaggio a
Roma (1988) si incentra su un complesso groviglio edipico, nel rapporto del protagonista con la madre;
postumo è ancora apparso La donna leopardo.
L'attenzione costante di Moravia ai problemi urgenti dell'attualità, alle idee e alle correnti culturali si è
manifestata anche in una vasta produzione saggistica, affidala sia a volumi, sia ad articoli più
occasionali, comparsi su riviste e quotidiani. Moravia è sempre stato una presenza vitale nella cultura
italiana di quegli anni, capace di stimolare la discussione ed anche la polemica.
I temi dei romanzi, in questo ultimo periodo di attività, sono stati ripresi in vari volumi di racconti:
L'automa (1962), Una cosa è una cosa (1967), Il paradiso (1970), Un’altra vita (1973), La cosa (1983), La
villa del venerdì (1990).
Oltre che al cinema, Moravia si è dedicato attivamente anche al teatro: con Enzo Siciliano e Dacia
Maraini ha fondato la compagnia “Il porcospino”, che però è durata solo due anni; ha scritto poi vari
testi drammatici, che hanno trovato anche la via del palcoscenico. La presenza di Moravia nella realtà
contemporanea si è manifestata infine nei suoi numerosi viaggi, soprattutto nel Terzo Mondo. Da
queste esperienze sono nati vari volumi: Un'idea dell'India (1962), La rivoluzione culturale in Cina
(1968), A quale tribù appartieni (1972, dedicato all'Africa), Lettere dal Sahara (1981).
GLI INDIFFERENTI
La corruzione borghese
l tratti che caratterizzano il romanzo rivelano un'impostazione decisamente teatrale: pochi personaggi,
prevalenza del dialogo sulla narrazione, azione che si svolge quasi sempre in interni, pochi
cambiamenti di scena.
«Indifferenza», «noia» e società fascista
Moravia ha precisato che quando scriveva il romanzo non era mosso da propositi coscienti di critica
verso la società, ma evidentemente questo atteggiamento critico era in lui istintivo, radicato nel
profondo. Egli riesce a cogliere oggettivamente, nell'acutezza e nella forza della rappresentazione
concreta, il rapporto tra una condizione esistenziale, «indifferenza» e la «noia» di Michele, e la
stagnazione della borghesia italiana sotto il fascismo, che la svuotava di energie e di valori.
L'integrazione inevitabile
Nella scena culminante del romanzo, Michele si reca a casa di Leo, dove sa che Carla ha trascorso la
notte, deciso ad ucciderlo: non prova vero sdegno, ma sa che quello è il contegno che dovrebbe avere, e
se lo impone, per tentare di ristabilire un contatto con la realtà. Quando si trova dinanzi a Leo gli
spara, ma si rende conto di aver dimenticato di caricare la pistola. Anche la sua rivolta quindi, come
quella di Carla, fallisce: la vita borghese riprende i suoi rituali, Carla sposa Leo e Michele
presumibilmente si adatterà ad avere una buona sistemazione grazie al cognato. Per un verso quindi
Michele rappresenta la coscienza critica all’interno del mondo borghese, l'esigenza di autenticità in un
mondo falso e degradato, cioè incama una forma di opposizione, ma, nella sua impotenza di
intellettuale, finisce per essere subalterno all'unico personaggio borghese interamente coerente,
saldamente piantato nella realtà. Nel pessimismo di Moravia dall'“inferno” borghese non vi sono vie
d'uscita.

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