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La lirica del primo Novecento in Italia

La lirica del primo Novecento esprime una profonda esigenza di


rinnovamento. Il romanzo subisce profonde trasformazioni e diventa un genere
molto praticato. Si ha la nuova concezione di una “poesia pura” e la pratica del
“frammento”, cioè della composizione breve e intensa.

I crepuscolari
La definizione di poeti crepuscolari risale ad una recensione del 1900 sul
quotidiano La Stampa, di Giuseppe Borghese, il quale parlò di una voce
crepuscolare , la voce di una gloriosa poesia che si spegne. Questi poeti
rappresentano infatti l’esaurirsi di un’intera tradizione.

Ai contenuti aulici e sublimi di questa tradizione, espressi in forme


retoricamente complesse ed elaborate, i crepuscolari contrappongono l’amore per
le piccole cose, con le atmosfere della vita quotidiana, rievocate attraverso un
linguaggio dimesso e prosaico.

Mutano radicalmente la concezione e il significato di poesia che si mimetizza


nell’opacità dell’esistenza borghese che si affaccia e si ricerca nel Simbolismo
intimista e introverso come ad esempio Pascoli con la poetica del “fanciullino”.

La geografia degli autori


Il crepuscolarismo non fu un programma formulato ma più un orientamento
diffuso che interpreta in modo diverso la crisi dei valori poetici nel mondo
borghese.

Si trovano esponenti a Torino, come Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, in


Liguria, come Novaro e a Roma e nel resto di Italia troviamo Sergio Corazzini,
Marino Moretti e Corrado Govoni.

Corazzini e Moretti
Il crepuscolarismo di Corazzini, che adotta il verso libero e si mostra
sensibile alla lezione simbolista ha un forte valore di proposta esistenziale; si
presenta come un fanciullo malato, fino a negare, il significato di poesia alla sua
povera scrittura dell’anima.

Moretti privilegia gli ambienti di provincia, le atmosfere di interni chiusi e


soffocanti, la noia delle giornate monotone e vuote.

Alla voluta banalità dei contenuti corrisponde un linguaggio che assume una
cadenza tutta dimessa e prosaica, al punto che si è potuto parlare di un “grado
zero” della scrittura morettiana. La poesia tende a mimetizzarsi nei modi della
comunicazione del piccolo borghese.

Gozzano, “poeta dello choc”


In Gozzano si nota un distacco ironico che conduce ad uno straniamento
sottile e complesso nei confronti della realtà. Egli considera l’arte come artificio, in
senso decadente, che tuttavia non promette la creazione di paradisi artificiali o di
mondi alternativi attraverso una ricerca di valori estetizzanti.

Da un lato la letteratura sembra offrire un’alternativa ma dall’altro non può


comunque evitare quel processo di degradazione in cui l’intera realtà sembra
coinvolta.

Guido Gozzano

“La Signorina Felicita ovvero la felicità”

“Invernale”
1. La cornice: si inquadra la vicenda in una cornice sportiva, mondana di una
pista di pattinaggio, dove si incontrava la gioventù elegante torinese ai primi del
Novecento. All’improvviso lo scricchiolio della superficie ghiacciata induce tutti,
per prevenire il pericolo della rottura, a raggiungere la riva.

2. Amore e morte: in cui la donna fatale chiede all’uomo di dimostrarle tutto


il suo coraggio. Ma questi solo per breve tempo corrisponde alla pressante
richiesta; alla fine, accentuandosi l’incrinatura del ghiaccio, l’abbandona,
lasciandola da sola a volteggiare.

3. L’antidannunzianesimo: l’aggettivo con cui la donna categorizza l’uomo


ha una funzione antidannunziana: il polemico rifiuto di far indossare al protagonista
i panni dell’eroe e farlo diventare una sorta di “superuomo”

Italo Svevo

Vita: Nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia borghese, il padre, un


imprenditore che lavora in un'azienda di vetrami, cerca di fornire ai figli
un'educazione commerciale mandandoli in Germania. La Trieste di fine ‘800 è una
realtà molto distaccata dal resto dell'Italia, infatti è molto orientata verso l'est
Europa. Il nome Italo Svevo, in realtà è uno pseudonimo, il suo vero nome è Ettore
Smithz.

Terminati gli studi Svevo inizia a lavorare in banca, in una filiale della banca
di Vienna, dove resterà per vent'anni a causa del fallimento della ditta di famiglia.
Tutte le sue conoscenze letterarie sono frutto di studi personali eseguiti da
autodidatta nel tempo libero, egli approfondisce i classici italiani, soprattutto
Carducci, legge i testi dei naturalisti francesi e analizza molte tragedie di Smiller e
dei romantici tedeschi. Inizia a comporre per diletto, non pubblicando però niente
fino al 1892, anno in cui da alle stampe “Una Vita”, romanzo che però fu totale
fallimento sia a livello di critica che di pubblico.

Nel 1896 si sposa, abbandona la banca e nel 1899 inizia a lavorare nella
ditta del suocero, dove fa tantissima esperienza commerciale. Nel 1898 scrive
“Senilità”, che però si rivela un altro flop.

Decide per questo di smettere di scrivere e dedicarsi solo al lavoro. In questi


anni continua a leggere, approfondisce la sua conoscenza dei romanzieri russi, dei
filosofi i quali Schopenhauer e Nietzsche, e nel 1908 si avvicina alla psicoanalisi di
Freud, che sperimenta anche su di sé. Questa la porta a considerare la malattia
dell'uomo come strettamente legata alla condizione della vita moderna: Svevo
pensa che la società si divida in due categorie: i sani e i malati.

Nel 1923 decide di tornare a scrivere e pubblica “La Coscienza di Zeno”,


che all’inizio, similmente ai libri precedenti, si rivelerà un fallimento. Dopo tre anni,
però, la critica inizia ad elogiarlo, grazie a molti articoli fatti da Montale e Joyce.
Svevo inizia quindi ad essere apprezzato non solo in Italia, ma in tutta Europa. Nel
1927 decide di pubblicare, dopo una revisione stilistica, “Senilità”, che questa
volta gli darà un discreto successo.

Nel 1928 muore in un incidente automobilistico.

Le opere: Tutte le sue opere hanno uno stile molto simile: vedono la
presenza di due figure contrapposte: una sveglia, attiva, l'altra inetta, incapace di
vivere. L’inetto, però, subirà un’evoluzione nel corso dei libri, arrivando alla sua
espressione più completa solo con “La Coscienza di Zeno”.

"Una vita": Il protagonista è Alfonso Nitti, un impiegato che fatica a vivere a


causa di pregiudizi e del classismo che domina la società borghese. Il suo scopo è
quello di scrivere un romanzo, ma, non riuscendoci, si suiciderà. Questo libro è
molto autobiografico, anche se non ben orchestrato. Per comprenderlo fino il fondo,
bisogna infatti leggere anche la coscienza di Zeno.
"Senilità": Il protagonista è Emilio Brentani, un piccolo impiegato che,
nonostante sia riuscito a pubblicare un
romanzo, è un inetto, un uomo che si lascia scivolare la vita addosso, incapace di
prendere qualsiasi decisione. In più di Alfonso Nitti, ha però il fatto di essere
consapevole di questa sua inettitudine. Emilio si innamora di una ragazza popolana
dai facili costumi che però lui idealizza come una donna angelicata; un giorno si
presenta da lei con un amico scultore, Stefano Valli, che rappresenta il simbolo
della sanità, la ragazza si innamora di lui, abbandonando il protagonista. La sorella
di Emilio, Amalia, è un’altra figura inetta: nella vita non è mai stata capace di fare
nessuna scelta, e quindi non si è mai sposata. Anche lei si innamora dello scultore,
ma non è capace di essere ricambiata, e quindi tenta il suicidio. Alla fine del libro il
protagonista, entra nella camera della sorella, scoprendo il suo mondo nascosto, la
sua depressione e il suo alcolismo. Emilio accetterà la sua condizione di “Senilità”
interiore e deciderà di passare la vita aiutando sua sorella.

"La coscienza di Zeno": Il terzo romanzo di Svevo appare 25 anni dopo


Senilità, quindi appare diverso nella forma, anche perché vi è stata la prima guerra
mondiale, le avanguardie, l’affacciarsi della psicoanalisi e della teoria della
relatività, da tutto ciò egli viene influenzato. Infatti vediamo un nuovo impianto
narrativo, la voce non è più in terza persona, sembra una confessione
autobiografica che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicoanalista,
il dottor S., ma Zeno si sottrae poi alla cura e il dottore si vendica pubblicando
questo manoscritto, alla fine ritroviamo una sorta di diario di Zeno, in cui spiega il
suo abbandono della terapia. Anche il tempo muta, Svevo lo chiama “tempo misto”,
poiché non vi è un tempo lineare, cronologico, gli avvenimenti non si susseguono
secondo una logica, ma il passato di Zeno riaffiora e si intreccia continuamente con
il presente, così la narrazione non appare scorrevole ma spezzata. Gli argomenti
dei capitoli sono: il vizio del fumo, la morte del padre, la storia del proprio
matrimonio e il rapporto con l’amante.
Zeno è un inetto come Alfonso ed Emilio, anche se non appartiene più alla
piccola borghesia ma alla ricca borghesia commerciale, nella vita giovanile egli
conduce una vita oziosa, ha una relazione difficile con il padre infatti alla sua morte
il padre gli da uno schiaffo, e Zeno non fa altro che costruirsi giustificazioni per non
sentirsi in colpa per la morte del padre. Va subito alla ricerca di una nuova figura
forte e sicura di sé e la trova in Malfenti. Propone il matrimonio alla figlia di Malfenti,
che lo rifiuta perché fidanzata con Guido, un altro Antagonista sicuro di sé, all’altra
figlia Alberta che lo rifiuta, e allora si propone alla più brutta, Augusta, in realtà il
suo inconscio sceglie per lui perché lei si rivela dolce e affettuosa come egli
desiderava, ma in realtà Zeno scrive anche dei suoi sensi di colpa per il rapporto
con l’amante. Egli scrive comunque di essersi allontanato dalla terapia perché lo
psicoanalista lo accusa di complesso edipico, ma lui risulta essere guarito
soprattutto dopo che la guerra gli favorisce alcune speculazioni commerciali che lo
portano ad essere un abile uomo d’affari, ma in realtà sappiamo che egli non è
guarito.
Il narratore dunque è interno, la sua opinione è inattendibile, ma colma di
autoinganni, menzogne determinati da processi inconsapevoli dell’inconscio, per
cui la coscienza di Zeno potrebbe essere chiamata l’incoscienza di Zeno. Inoltre, a
differenza degli altri due romanzi, Zeno non è solo oggetto di critica ma anche
soggetto, egli critica tutto ciò che gli è intorno, dato che lui è caratterizzato da una
malattia, critica tutti gli altri “sani e normali”, questo perché egli ha un disperato
bisogno di essere normale, vorrebbe essere un buon padre di famiglia, un abile
uomo d’affari, ma non riesce.
Qui Svevo cambia la sua concezione dell’inetto, poiché non è pienamente
sviluppato, egli può svilupparsi in tante forme, in questo è superiore agli altri sani
che sono già formati, quindi l’autore non ha un atteggiamento critico ma più aperto.
Il libro, diversamente dai libri precedenti ha la struttura di un diario
psicoanalitico. La narrazione è molto libera:, infatti Svevo scrive utilizzando la prima
persona, creando dei capitoli separati sia a livello cronologico che contenutistico.
Alcuni fatti, vengono ripresi in più capitoli, ma il modo diverso, questo consente al
lettore di creare un quadro più preciso della figura di Zeno Cosini, il protagonista.
Svevo, si rende però conto che, usando la prima persona, è molto difficile non
cadere in un racconto autobiografico. Questo fatto sarà molto evidente nell'ultima
parte del romanzo, dove, con la voce di Zeno, Svevo darà la sua visione del mondo
e del progresso.
Lo scopo del diario per Zeno, e quindi per Svevo, è quello di prendere i
ricordi passati, registrati dalla memoria e poi dal diario, per poterli poi utilizzare, per
comprendere meglio la propria vita. La memoria secondo l’autore non è quindi
capace di creatività, è solo logica e razionale. Quest'idea è molto diversa da quella
di Joyce, secondo il quale la memoria è essenzialmente attività creativa, ricordiamo
lo “stream of consciousness” caratteristico dei romanzi di quest’ultimo.

“Il ritratto dell’inetto”

1. Le maschere dell’inetto: la fisionomia del protagonista balza subito dalle sue


parole e quelle del narratore. La caratteristica principale è il fatto che mente. I
livelli di menzogne sono due: con i suoi propositi dice ad Angelina di non
volerla più trattare come un “giocattolo” e in secondo luogo adduce alla
“famiglia” e alla “carriera” per motivare il proposito di non intrecciare un
legame serio.

2. La famiglia e la carriera non esistono in realtà: la prima non è costituita da una


moglie e dei figli ma dalla triste convivenza con la sorella nubile con cui
giocano col ruolo di genitore-figlio l’uno con l’altro. La seconda non è che un
modesto “impieguccio” a cui si aggiunge la “reputazioncella” ricavata da un
romanzo.

3. Si manifesta nei punti precedenti la tendenza di Emilio nel crearsi maschere


gratificanti ai propri occhi; emerge inoltre fin dall’inizio la “senilità” di Emilio nel
non voler affrontare la vita perché gli appare piena di pericoli: questa
concezione viene intesa più come un’immaturità infantile. Egli non ha la
capacità di vedersi realmente come un romanziere fallito e sterile.

4. Malattia e salute: il personaggio di Angelina è un modo per uscire dalla sua


bolla ed appare piena di significati simbolici mostrandosi come vita e salute
che si contrappone alla senilità e mortificazione di Emilio. Qui cade un’altra
maschera che è quella del libertino che vuole vivere un’avventura “facile e
breve”.

5. La funzione critica della voce narrante: è una narrazione eterodiegetica ma il


narratore non si eclissa come nei romanzi naturalistici anzi interviene
frequentemente a giudicare e a smascherare gli alibi e le maschere del
protagonista. Vi sono poi commenti di un sarcasmo tagliente e il narratore
smentisce i sogni velleitari di Emilio facendo notare un aspetto critico da parte
dell’autore verso il protagonista in una prospettiva superiore, più lucida e
consapevole.

Il fumo - La Coscienza di Zeno


1. Il fumo e la figura paterna: Zeno è un inetto, non è mai riuscito a concludere
nulla e non sa fare altro che sognare e suonare il violino sotto la tutela
dell’amministratore Olivi. Però, per giustificarsi, deve trovare degli alibi come
ad esempio la presunta malattia di cui dice di essere affetto e che è provocata
dal fumo che avvelena il suo organismo. Aspira però con tutte le sue forze ad
essere un uomo “normale” ed equilibrato. Per questo si ostina nel proposito di
smettere di fumare. Da questa sua iniziativa si capisce che quella del fumo non
è una semplice e innocente mania ma si riscontra nel rapporto col padre; lui
racconta che gli rubava le sigarette ed i soldi per comprarsele così da doverle
finire subito per paura di essere scoperto. Questo gesto indica nel ragazzo il
desiderio di volersi appropriare della virilità del padre sostituendosi a lui.

2. I sensi di colpa: ma la rivalità virile col padre implica impulsi aggressivi nei suoi
confronti che si ritorcono in sensi di colpa e i quali a loro volta si concentrano
intorno all’oggetto simbolico del fumo. Il senso di colpa prende forma nel
divieto che Zeno vuole imporsi e nella “doppia personalità” della persona che
comanda e l’altra che è schiava.

3. Fumare diventa un gesto ambiguo di libertà e di ricerca di un motivo per farsi


punire (o punirsi); infatti è proprio il senso di colpa del fumo ad indurre Zeno
alla convinzione che sia la causa della sua malattia e inettitudine.

4. Smettere di fumare vorrebbe dire non solo essere innocente da ogni colpa ma
soprattutto non essere dipendente dal fantasma introiettato del padre dato che
questa è una dipendenza infantile e ha radici molto più vecchie.

Guido Gozzano

“La Signorina Felicita”

“Invernale”

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